Naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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UNIONE EUROPEA

Regione Basilicata

Dipartimento Agricoltura, Sviluppo Rurale, Economia Montana


SOMMARIO Sommario LA SUGGESTIONE DEI PAESAGGI, IL FASCINO DELLA POPOLAZIONE E IL GUSTO SAPIDO DEI PRODOTTI LUCANI di Vincenzo Viti Assessore all’Agricoltura Sviluppo Rurale, Economia Montana - Regione Basilicata UNIONE EUROPEA

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Regione Basilicata

Dipartimento Agricoltura, Sviluppo Rurale, Economia Montana

viaggio nei territori della Basilicata VINI DOC

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Aglianico del Vulture Terre dell’Alta Val d’Agri Matera

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VINI IGT Basilicata Grottino di Roccanova

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DOP Pubblicazione a cura della Regione Basilicata Dipartimento Agricoltura, Sviluppo Rurale, Economia Montana - Ufficio Qualità e Servizi agromktg@regione.basilicata.it e

Regione Basilicata 2009

www.regione.basilicata.it/sportelloeuropa www.porbasilicata.it Pubblicazione cofinanziata dall’Unione Europea nell’ambito della Misura A.T.1 del POR Basilicata 2000/2006 Redazione a cura del periodico ORIGINE - Il sapore del territorio italiano edito da Edizioni L’Informatore Agrario Spa Via Bencivenga-Biondani, 16 - 37133 VERONA Tel. 045 8057511 - Fax 045 8009378 www.informatoreagrario.it www.origineonline.it

Pecorino di Filiano Caciocavallo Silano

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IGP Fagioli di Sarconi Peperoni di Senise Pane di Matera

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DOP (protezione transitoria) Olio extravergine d’oliva del «Vulture» Fagioli Bianchi di Rotonda Melanzana Rossa di Rotonda

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IGP (protezione transitoria) Canestrato di Moliterno Stagionato in Fondaco

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Richiesta Dop in corso Oliva infornata di Ferrandina

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Richiesta Igp in corso Marroncino di Melfi Lucanica di Picerno

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Grafica e foto

Certificazione territoriale

Via del Commercio, sn - 75100 MATERA Tel./Fax 0835 381852

Cavolfiore della Valle dell’Ofanto Miele lucano Cacioricotta lucano Agnello delle Dolomiti Lucane

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Finito di stampare nel mese di Marzo 2009

ORIZZONTI LUCANI

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LA SUGGESTIONE DEI PAESAGGI, IL FASCINO DELLA POPOLAZIONE E IL GUSTO SAPIDO DEI PRODOTTI LUCANI Se l’ambizione di ogni territorio è quella di mettere in luce il meglio di quanto possiede, la Basilicata ha tutte le ragioni per affermare la propria eccellenza nelle produzioni agricole. Posta in un’area che appartenne alla florida Magna Grecia, la Basilicata è una piccola regione del Sud, bagnata dai mari Tirreno e Jonio. La storia organizzata della nostra agricoltura affonda le radici nella feconda opera dei coloni greci che misero a punto le tecniche di coltivazione dell’olivo e della vite e portarono la pratica dell’allevamento zootecnico. Un esempio dell’evoluzione dell’ottimizzazione di quel «percorso storico e tecnico» è il vitigno Aglianico, che sarebbe arrivato in queste aree proprio attraverso gli Elleni per poi risalire gradualmente verso il Vulture, a nord della regione ove, trovando le condizioni climatiche ideali, fu possibile ottenere il grande vino Aglianico del Vulture Doc, gioiello dell’enologia lucana. Tutte le nostre produzioni agroalimentari hanno l’esperienza di millenni. Il pane, la pasta, il vino, le olive e l’olio extravergine di oliva, i formaggi e i salumi sono prodotti che per qualità organolettiche e nutrizionali risultano tra i migliori del Paese. E la grande qualità si trova anche negli ortaggi, le pesche e le nettarine, le albicocche, le fragole, le arance e le clementine dell’area Metapontina, definita a ragione «la California del Sud» grazie agli interventi originati dalla lungimirante azione della Riforma agraria degli anni 50. Ma la Basilicata è anche terra di colline e montagne dove, allo stato brado, viene allevata la vacca Podolica dalla quale si ottiene l’ottimo caciocavallo, definito tra i migliori formaggi italiani. Dalla zootecnia, specie da quella naturale e biologica, si ottengono altri eccellenti latticini e salumi. E ancora, a Matera, la Città dei Sassi che dal 1993 fa parte del patrimonio mondiale dell’Unesco, produciamo il pane Igp e il vino Doc Matera. Nel Vulture tra i suggestivi laghi craterici si ottengono quel famoso vino Aglianico Doc considerato dagli esperti tra i cento vini migliori del mondo, oltre che l’olio extravergine di oliva del «Vulture». Non da meno sono le saporite mele della Val D’Agri, il pregiato vino «Terre Alta Val D’Agri» Doc, i fagioli di Sarconi e i peperoni di Senise Igp. Mentre nel Potentino a Picerno, nel cuore dell’antica Lucania, si produce la salsiccia Lucanica, tanto decantata anche dai letterari sin dai tempi dei Romani. Nella caratteristica Filiano, invece, si ottiene il Pecorino di Filiano Dop che, accanto al Canestrato di Moliterno Igp e al Caciocavallo Silano Dop, rimane uno dei formaggi più invitanti della Penisola. Da non dimenticare, poi, il pro-

fumo intenso e il gusto piccante della singolarissima Melanzana Rossa di Rotonda, coltivata nei fruttuosi terreni della natura inviolata del Parco Nazionale del Pollino, e la sapidità e dolcezza dell’oliva infornata di Ferrandina che già nel secolo scorso era apprezzata ed esportata negli Stati Uniti. E ancora, solo per citare altre eccellenze, vi sono i vini Igt Basilicata e Grottino di Roccanova; i saporiti fagioli Bianchi di Rotonda; il ricercato Marroncino di Melfi, castagna riconosciuta in tutta Italia per la qualità del frutto gustato fresco ma utilizzato anche dall’industria dolciaria; le quindici tipologie di Miele lucano; il Cavolfiore della Valle d’Ofanto, principe delle minestre nella cucina contadina; il cacioricotta lucano con il suo gusto appetibile sia quando è fresco sia quando è stagionato; e la tenera carne dell’Agnello delle Dolomiti lucane, allevato nei prosperi pascoli dell’entroterra. In definitiva, visitare la Basilicata, significa gustarne le produzioni e la ricca cucina, apprendere la nostra cultura e la storia impregnata di millenaria civiltà. E allora, consigliamo ai «turisti del gusto e della cultura» di inserire nei loro itinerari la Basilicata. Rimarranno suggestionati dalla sua unicità, affascinati dalla cordialità delle popolazioni e allietati dal gusto sapido di piatti e produzioni che hanno il sapore dell’antico.

Vincenzo Viti

Assessore all’Agricoltura, Sviluppo Rurale, Economia Montana Regione Basilicata

naturale, tipico, ma soprattutto lucano


Lo scrigno dei sapori lucani

Viaggio nei territori della Basilicata Un microcosmo che incanta per la spettacolare varietà, regalando indimenticabili e magici momenti a contatto con natura, cultura, sapori e ospitalità. Potrebbe essere questa sensazione a «invadere» il viandante del gusto nell’intraprendere un viaggio in Basilicata. Sarà una straordinaria esperienza, un’immersione nella natura e nelle radici di una terra antica e ospitale che si deve scoprire lentamente, adeguandosi ai ritmi e alla complessa morfologia che non concede alcuno spazio al «tutto e subito», ma spinge a concentrarsi su piccole tappe, tutte da vivere. Già. Perché aprire lo scrigno dei sapori lucani significa anche immergersi in un territorio tanto piccolo nelle dimensioni - meno di 10.000 chilometri quadrati - quanto ricco di ambienti diversi e suggestivi: mari e monti, laghi e fiumi, boschi e valli che si alternano in un susseguirsi di scenari mozzafiato, al cui interno sono gelosamente custoditi aree protette e tesori culturali, artistici, storici e archeologici, ma anche tracce indelebili dei grandi personaggi che hanno abitato questo lembo di Sud. Come Federico II, lo Stupor mundi (meraviglia del mondo) che amava la buona tavola e il Vulture per i suoi

svaghi - su tutti la caccia con il falcone - e per i suoi ozi, immersi nella placida campagna di un territorio oggi molto noto grazie ai suoi tesori enogastronomici, vino Aglianico Doc in primis.

Il Parco della Grancia Alcune delle tradizioni federiciane sono rivissute ancora oggi: le rappresentazioni di falconeria, ad esempio, che in occasioni di particolari raduni animano il borgo antico di Melfi e diventano punto di attrazione nel week end, all’interno del meraviglioso Parco della Grancia, a pochi chilometri da Potenza. È qui che va in scena «La storia bandita», la più grande rappresentazione spettacolare di teatro popolare, animata da oltre 400 volontari, all’interno di un format artistico di livello internazionale con straordinari effetti speciali. Poco oltre la Grancia si erge l’incredibile scenario delle Dolomiti Lucane, dal bizzarro e suggestivo profilo, all’interno del Parco Regionale Gallipoli Cognato, 27.000 ettari


di verde a proteggere un’ampia area posta al centro del territorio regionale che presenta importanti valori naturalistici, storici ed etno-antropologici. Il cuore dell’area è concentrato tra Castelmezzano (nel ristretto club dei borghi più belli d’Italia) e Pietrapertosa, le cui vette sono da qualche tempo collegate da un cavo di acciaio che permette al visitatore più ardito di lasciarsi andare per qualche minuto all’inenarrabile ebbrezza di una fantastica avventura, unica in Europa per la bellezza del paesaggio e per l’altezza massima di sorvolo: è il volo dell’angelo. Sospesi tra cielo e terra, si potranno provare due traiettorie: quella che va da da Pietrapertosa (quota di partenza 1.020 metri) a Castelmezzano (859), percorrendo 1.415 metri e raggiungendo una velocità massima di 110 chilometri orari, o il tratto che va da Castelmezzano (quota di partenza 1.019 metri) a Pietrapertosa (888 metri), con picchi di 120 chilometri orari su una distanza di 1.452 metri. Spingendosi fino a lambire il Materano, nell’entroterra, la vegetazione e gli animali al pascolo (tra cui i famosi bovini di razza Podolica) conducono il visitatore verso Accettura. Qui la magia dei riti arborei (celebre è il «Maggio») conquista anche l’animo più disincantato, a condizione di vivere per intero una festa che miscela sacro e profano e che inizia la domenica di Pentecoste, quando un cerro di grandi dimensioni denominato il «maggio» viene tagliato, privato dei rami e scortecciato, per essere trascinato in paese da diverse coppie di buoi. Contemporaneamente, nel bosco di Gallipoli viene prelevata la «cima», un agrifoglio trasportato in paese a spalla. Due giorni dopo, il martedì di Pentecoste, la «cima» viene innestata sul «maggio», a simboleggiare l’unione degli alberi, rito propiziatorio di fertilità e di buoni raccolti. A questo punto il «maggio» è pronto per essere innalzato in piazza, grazie agli anziani più esperti che a forza di braccia e con l’ausilio di grosse funi e argani compiono il rito.

Il Vulture Tornando a Federico II, sull’asse che corre tra Potenza e Melfi, Filiano è il primo avamposto del Vulture. È qui che si possono ammirare riserve antropologiche di straordinario valore, tra cui le pitture rupestri di Tuppo dei Sassi, le uniche finora conosciute in Basilicata. Proseguendo in direzione di Foggia, lo splendido scenario naturale è interrotto, d’improvviso, dalla visione dei castelli fatti edificare dall’imperatore e, tuttavia, diversissimi tra loro: Lagopesole (dedicato esclusivamente ai suoi soggiorni estivi, quando la calura pugliese e siciliana diventava insopportabile), Palazzo S. Gervasio (una sorta di «casino» di caccia) e Melfi. Qui lo Stupor mundi emanò le «Con-

stitutiones Augustales» (note anche come Costituzioni di Melfi), codice legislativo del Regno di Sicilia fondato sul diritto romano e normanno, tra le più grandi opere della storia del diritto, in onore a un centro vitale del Regno, oltre che nodo di importanti arterie di comunicazione e sede della «Suprema Corte dei Conti». Vulture, dunque, non è solo sinonimo di buona tavola, sebbene una visita alla scoperta di cantine (più tradizionali o moderne) sia un’esperienza assolutamente da consigliare. Siamo nella zona nord-orientale della provincia di Potenza, giusto all’intersezione del confine con Puglia e Campania. Venosa, patria del poeta Quinto Orazio Flacco, tra i borghi più belli d’Italia, merita attenzione non solo per le tenute vitivinicole che ne caratterizzano il paesaggio ma anche per ammirare le tracce antiche di un territorio abitato già 600.000 anni fa. Fondata nel 291 a.C. dai Romani con il nome di Venusia, la città si caratterizza per alcuni spettacolari monumenti tra cui il Castello Pirro del Balzo (dal nome del duca che lo fece edificare) e il complesso della Trinità, che ha al suo interno una chiesa mai terminata (da qui il nome «l’incompiuta»). Attraverso la visita di chiese, palazzi e fontane si arriva al parco archeologico, con testimonianze comprese tra il periodo della Repubblica Romana (tra il 509 a.C. e il 27 a.C.) e l’età medievale. Da non perdere la visita alle catacombe ebraiche, scoperte nel 1853 e diventate oggetto di studio sistematico a partire dal 1974. Composte da una serie di corridoi lungo i quali si possono ammirare le sepolture e le iconografie di questo popolo, hanno la particolarità di avere - proprio accanto - un’altra struttura che ospita quelle cristiane. È questa una delle prove che gli ebrei riuscirono a convivere pacificamente con la popolazione locale. Alle pendici del Vulture, due suggestivi laghi vulcanici danno fama a Monticchio, amena località meta di un turismo soprattutto estivo. Il Lago Piccolo (16 ettari di superficie e una circonferenza di 1.800 metri) e il Lago Grande (38 ettari di superficie e un circonferenza di 2.700 metri) sono sovrastati dall’Abbazia di San Michele Arcangelo, edificata nell’VIII secolo su una grotta scavata nel tufo e abitata, a suo tempo, da monaci basiliani. Influente l’eredità religiosa, in tutto il Vulture. Ne sono testimonianza i riti della Pasqua che, ancora oggi, trasportano lo spettatore in momenti drammaticamente intensi in occasione della Via Crucis, e chiese che spuntano qua e là a custodire piccoli e grandi tesori d’arte. Monumento di infinita bellezza è la Cattedrale di Acerenza (un altro incantevole borgo), risalente ai primi anni del XII secolo ed eretto da maestranze locali dirette da architetti francesi, che si ispirarono alla architettura del monastero benedettino di Cluny. naturale, tipico, ma soprattutto lucano


La Val d’Agri Un’altra direttrice di viaggio parte da Potenza per spingersi a sud della provincia e ci permette di esplorare un territorio verso il quale la natura è stata particolarmente generosa: è la Val d’Agri, una miscela di ambiente pressoché incontaminato e prodotti tipici da gustare. Siamo nel bel mezzo del Parco della Val d’Agri-Lagonegrese, destinazione per chi ama coniugare svago e serenità, tra cultura e tradizioni antiche tutte da scoprire, girovagando tra borghi e paesini che regalano grandi suggestioni in ogni periodo dell’anno. Chi ama l’archeologia può trovare grandi emozioni nel parco dell’antica città romana di Grumentum. L’origine è nella prima metà del III secolo a.C. (contemporaneamente a Venusia e a Paestum). Fu un sito militarmente strategico, privilegiato dal punto di vista economico perché al centro della viabilità antica della Lucania meridionale (tra la via Herculia, la via Appia e la via Popilia). Spingendosi all’interno, dove il territorio si fa più aspro e le vie di collegamento più frammentarie, la zona del Sauro cela Guardia Perticara, un borgo completamente ristrutturato dopo il terremoto del 1980, con gli edifici del centro antico ricoperti di pietre a faccia vista. È uno spettacolo incantevole, di rara bellezza, che ricorda i villaggi umbri e provenzali e che fu il cuore della terra degli Enotri, antica e affascinante popolazione progenitrice dei Lucani.

Il Pollino Lasciando la Val d’Agri per andare ancora più a sud, lo sguardo va ad accarezzare cime sempre più impervie. Siamo al confine tra Basilicata e Calabria, dove il territorio si fa aspro e i paesini si arrampicano sempre più in alto. È il Pollino. Con i suoi 182.000 ettari è il parco naturale più grande d’Italia, prende il nome dal Massiccio del Pollino e comprende ben 56 comuni, 32 di sponda calabrese e 24 lucani. Il simbolo del Parco è il pino loricato, che è anche l’obiettivo più ambito per gli escursionisti disposti a spingersi sulle cime più elevate, pur di vederlo da vicino. L’impatto con la natura, la flora e la fauna è totale. Ci si può lasciare andare alla scoperta dei borghi (con conventi e santuari) o immergersi nei silenzi dei paesaggi squarciati dai versi di nibbi, aquile e capovaccai che volteggiano maestosi, mentre cavalli allo stato brado corrono tra abeti e faggi per filar via tra le radure. In primavera, poi, non è raro osservare favolose fioriture di orchidee, viole, genziane, campanule, oltre ad innumere-

voli specie di piante officinali e aromatiche tra cui timo, santoreggia, lavanda, issopo, le cui fioriture esplodono al culmine dell’estate in un delicato accostamento di colori e di sfumature. Non da meno sono da considerare le varie famiglie di frutti di bosco e di specie arboree spontanee che producono frutti e bacche, come mele selvatiche, i vari Prunus, le deliziose fragoline di bosco e i dissetanti lamponi di cui sono disseminati i sentieri e le frequenti radure. Lo sport, infine, sul Pollino si declina in escursionismo, trekking, torrentismo, rafting, speleologia, mountain bike e sci di fondo.

Matera Un capitolo a parte nell’itinerario del gusto lo merita Matera, la capitale turistica della Basilicata e sede degli antichi rioni Sassi, dichiarati Patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1993. Ecco come li descrive Carlo Levi nel suo «Cristo si è fermato ad Eboli».

«Arrivai a Matera verso le undici del mattino. Avevo letto nella guida che è una città pittoresca, che merita di essere visitata, che c’è un museo di arte antica e delle curiose abitazioni trogloditiche. Allontanatami un poco dalla stazione, arrivai a una strada, che da un solo lato era fiancheggiata da vecchie case, e dall’altro costeggiava un precipizio. In quel precipizio è Matera. La forma di quel burrone era strana; come quella di due mezzi imbuti affiancati, separati da un piccolo sperone e riuniti in basso in un apice comune, dove si vedeva, di lassù, una chiesa bianca, Santa Maria de Idris, che pareva ficcata nella terra. Questi coni rovesciati, questi imbuti, si chiamano Sassi. Hanno la forma con cui, a scuola, immaginavamo l’inferno di Dante, in quello stretto spazio tra le facciate e il declivio passano le strade, e sono insieme pavimenti per chi esce dalle abitazioni di sopra e tetti per quelle di sotto. Alzando gli occhi vidi finalmente apparire, come un muro obliquo, tutta Matera. È davvero una città bellissima, pittoresca e impressionante».

Tra alterne fortune, sgomberi e ripopolamenti, questi antichi rioni sono oggi la «cartolina» turistica per eccellenza della Basilicata, tanto da fare di Matera una meta ambita da viaggiatori italiani e internazionali in tutte le stagioni. Tantissimi e caratteristici (molti sono scavati nel tufo) i locali aperti fino a tarda sera per rifocillare i visitatori con pietanze tradizionali o rielaborate in chiave moderna, nelle pause tra la visita alle chiese rupestri (se ne contano circa 150 in tutta la murgia materana), al


Castello Tramontano, agli ipogei di Piazza Vittorio Veneto o ai palazzi gentilizi che connotano il centro storico. Ricchissimo il patrimonio culturale, artistico e archeologico, custodito nei vari musei. Quello Nazionale d’arte medievale e moderna è ospitato, insieme alla Pinacoteca D’Errico e al Centro Carlo Levi, nei locali del seicentesco Palazzo Lanfranchi. Il Museo archeologico nazionale «Domenico Ridola» contiene materiale proveniente prevalentemente dal territorio materano e riveste particolare interesse per lo studio della preistoria nell’Italia meridionale e per la conoscenza delle culture e delle popolazioni indigene (Enotrie e Lucane) venute in contatto con le colonie greche della costa ionica. Il Musma, Museo della scultura contemporanea di Matera, ospita una vastissima collezione di opere che raccontano la storia della scultura, italiana e internazionale, dalla fine del 1800 a oggi. Da visitare, inoltre, il Museo-Laboratorio della civiltà contadina e il Museo della tortura medievale. Gli amanti del cinema, infine, potranno restare affascinati dagli scenari di una città unica come Matera alla pari dei grandi registi che lì vi hanno ambientato pellicole importanti: da «La Lupa» di Alberto Lattuada (1953) al «Vangelo secondo Matteo» di Pierpaolo Pasolini (1964) fino a «The Passion» di Mel Gibson (2004), che ha sancito la definitiva consacrazione della Città dei Sassi importante location cinematografica, oltre che icona del turismo internazionale (sono ormai circa una trentina le pellicole girate almeno in parte a Matera).

Il Metapontino Tappa obbligata per un viaggio all’interno dei sapori lucani, infine, è la fascia ionica, l’area a vocazione turistica che negli ultimi anni ha avuto il maggiore impulso in termini di strutture ricettive e posti letto. Il fascino della tradizione antica è testimoniato da Metaponto, colonia Greca di grande importanza dell’VIII secolo a.C. nella quale soggiornarono importantissimi filosofi e matematici, tra cui Pitagora (nel VI secolo a.C.). Si respira ancora aria di Magna Grecia osservando le cosiddette Tavole Palatine, costruite proprio in quel periodo; si tratta di 15 colonne doriche di un antico tempio che danno l’idea della grandezza culturale del luogo, oggi noto ai viandanti del gusto soprattutto per essere nel bel mezzo del territorio di produzione della frutta made in Basilicata. Proprio grazie al Metapontino (e a Policoro in particolare) la regione è oggi una delle più importanti in Italia per quantità e qualità delle produzioni precoci (fragole, albicocche, pesche e nettarine), favorite da un clima tendenzialmente asciutto e mite, sia nel periodo della fioritura sia durante la maturazione. I centri sperimentali della Regione Basilicata e il Distretto Agroalimentare di Qualità del Metapontino sostengono gli sforzi dei produttori - che hanno intelligentemente saputo sviluppare forme di associazionismo, in cooperative e organizzazioni - in termini di ricerca e di valorizzazione commerciale delle produzioni.

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vini doc

AGLIANICO DEL VULTURE DOC Il rosso che lega l’Italia all’America

Denominazione

Aglianico del Vulture Doc

Istituito con

D.M. del 18-2-1971 (G.U. n. 129 del 22-5-1971)

Resa uva

100 q/ha

Resa massima uva/vino

Non superiore al 70%

Tipologie

Rosso, Vecchio e Riserva, Spumante

Zone di produzione

15 comuni del Vulture in provincia di Potenza: Rionero in Vulture, Barile, Rapolla, Ripacandida, Ginestra, Maschito, Forenza, Acerenza, Melfi, Atella, Venosa, Lavello, Palazzo San Gervasio, Banzi e Genzano di Lucania

Vitigni

Aglianico del Vulture 100%


vini doc

«Aglianico, vino meraviglioso e trascurato». Così titolava l’Herald Tribune - noto quotidiano nordamericano - del 18 settembre 2008, riflettendo con rammarico sulla scarsa conoscenza che gli americani hanno di questo vino e segnalando, di contro, il progresso fatto da alcune aziende lucane nel rapporto qualità/prezzo. Se nel contesto globale c’è ancora un significativo lavoro da fare in termini di promozione e commercia-

LA PRODUZIONE L’Aglianico del Vulture Doc è il vino a marchio più «anziano» della regione (è Doc dal 1971) ed è anche il «decano» di tutti i prodotti lucani a denominazione di origine. Noto come il «Barolo del Sud», similitudine che ne sottolinea l’eccellenza, si ottiene da un vitigno autoctono, probabilmente importato dai greci, come dimostrerebbe anche l’etimo della parola: la vite Ellenica o Hellanica ha tramutato la sua forma fonetica in Aglianico, per via della pronuncia spagnola durante la dominazione aragonese (XVI sec.). I vigneti si estendono su terreni collinari di origine vulcanica, o comunque di buona costituzione, situati tra i 200 e i 700 metri sul livello del mare. Le operazioni di vinificazione, compreso l’invecchiamento, devono essere effettuate all’interno della zona di produzione. Segno della tradizione vitivinicola della zona del VultureMelfese sono le numerosissime cantine che caratterizzano i centri abitati: sia nelle periferie che all’interno dei palazzi storici si trovano questi locali a piano terra, dall’entrata a forma di ferro di cavallo, scavati nel tufo dai contadini nei periodi di inattività nei campi, allo scopo di conservare vino e cibo. Quelle più moderne, frequentate dai viaggiatori del gusto, rappresentano un motivo in più per conoscere un territorio ricchissimo di risorse enogastronomiche, sede - tra l’altro - di un Distretto agroindustriale. L’Aglianico del Vulture Doc si ottiene dalla vinificazione in purezza delle uve Aglianico. Il vino della tipologia «Rosso», con gradazione alcolica minima di 11,5 gradi, non può essere immesso al consumo prima del 1° novembre dell’anno successivo a quello di produzione delle uve, ma di solito viene affinato per

Consorzio di tutela Vino Aglianico del Vulture Presidente: Teodoro Palermo c/o Cantina di Venosa S.c.ar.l. Via Appia - C.da Vignali - Venosa (PZ) Tel. +39 0972 36702 - Fax +39 0972 35891 info@cantinadivenosa.it www.cantinadivenosa.it

lizzazione, in ambito nazionale l’Aglianico del Vulture Doc resta in assoluto il vino più rinomato e apprezzato della Basilicata. E, di riflesso, il territorio lucano è sicuramente più conosciuto anche grazie a questo prodotto, che ha ispirato il romanzo «Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo» del potentino Gaetano Cappelli.

almeno un anno in botti di legno. I vini Aglianico del Vulture Doc sottoposti a un invecchiamento più lungo, che partono da una gradazione alcolica più elevata che deve raggiungere un minimo di 12 gradi, si possono fregiare dell’indicazione «Vecchio» (tre anni, di cui due in legno) e «Riserva» (cinque anni, di cui due in legno). È prevista anche una tipologia «Spumante» che si ottiene con i mosti o i vini che rispondono alle indicazioni del Disciplinare nel territorio della denominazione. Il tessuto produttivo dell’Aglianico è costituito da 55 aziende iscritte al Consorzio di tutela, estese su 1.120 ettari iscritti all’Albo della Doc. Si producono 113 etichette, per un totale di 3.860.000 bottiglie all’anno.

COME RICONOSCERLO All’analisi sensoriale presenta un colore rosso rubino più o meno intenso o granato vivace, con riflessi arancione dopo l’invecchiamento. L’odore è vinoso, con profumo delicato caratteristico che migliora con l’invecchiamento. Il sapore è asciutto, sapido, fresco, armonico, giustamente tannico, che tende al vellutato con l’invecchiamento.

Consorzio di valorizzazione Aglianico del Vulture Doc «Qui Vulture» Presidente: Gerardo Giuratrabocchetti c/o Cantine del Notaio Via Roma, 159 - Rionero in Vulture (PZ) Tel. + 39 0972 723689 - Fax +39 0972 725435 info@cantinedelnotaio.it - www.cantinedelnotaio.it

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vini doc

TERRE DELL’Alta val d’agri DOC Un aristocratico di gran carattere

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Denominazione

Terre dell’Alta Val d’Agri Doc

Istituito con

D.M. del 4-9-2003 (G.U. n. 214 del 15-9-2003)

Resa uva

100 q/ha

Resa massima uva/vino

70%

Tipologie

Rosso, Rosso Riserva, Rosato

Zone di produzione

Comuni di Viggiano, Grumento Nova e Moliterno nella provincia di Potenza

Vitigni

Per il Rosso e il Rosso Riserva: Merlot (minimo 50%), Cabernet Sauvignon (minimo 30%) con la possibilità di aggiungere vitigni autorizzati in provincia di Potenza (20%); per il Rosato: Merlot (minimo 50%), Cabernet Sauvignon (minimo 20%); Malvasia di Basilicata (minimo 10%) e altri vitigni a bacca rossa e bianca, non aromatici autorizzati nella provincia di Potenza, fino a un massimo del 20%


vini doc

La felicissima posizione delle colline della Val d’Agri, meridionali e assolate, un ideale microclima con forti escursioni termiche estive nel mese di agosto e fino alla completa maturazione delle uve, che avviene tra la metà e la fine di ottobre, la coltivazione di due vitigni internazionali come il Cabernet Sauvignon e il Merlot

regalano a questa piccola valle nel tratto iniziale dell’Agri un vino particolarmente equilibrato, strutturato e adatto a invecchiare: il Terre dell’Alta Val d’Agri Doc. Si tratta della seconda denominazione di origine controllata ottenuta da un vino lucano, nel 2003, dopo quella riconosciuta all’Aglianico del Vulture.

LA PRODUZIONE

COME RICONOSCERLO

La storia e l’archeologia testimoniano con i ritrovamenti avvenuti presso l’antica Grumentum, colonia romana del III sec. a.C., l’antica coltivazione della vite e la produzione del vino: ne sono un esempio le fornaci per produrre anfore adatte al trasporto del vino risalenti al periodo tra il I e il II sec d.C., che oggi sono custodite nel Museo nazionale dell’Alta Val d’Agri di Grumento Nova. Tra le innumerevoli testimonianze segnaliamo la citazione dello storico viaggiatore Giuseppe Antonini ne «La Lucania» del 1747 sull’agro di Viggiano «molto ben coltivato, specialmente le vigne sono da quei contadini tenute con tal proprietà, che fanno invidia a quelle di Toscana». E sempre nel comune di Viggiano esiste una località che si chiama «Vigne» su cui è stato coniato un detto: «Perdersi nelle vigne di Viggiano». In questa contrada, caratterizzata da un fitto labirinto di filari, si celebra ancora la Festa dell’uva la prima domenica di ottobre, giorno dedicato alla Madonna di Pompei, e periodo in cui le vigne si presentano lussureggianti e pronte a dare i loro frutti. Quando è stata proposta la Doc Terre dell’Alta Val d’Agri nel 2003 esisteva in Basilicata solo il dominio incontrastato di trentadue anni di «Doc Aglianico del Vulture» e non è stato semplice proporre anche al grande pubblico un nuovo protagonista della vitivinicoltura lucana. I numeri crescenti della produzione e della risposta del mercato, però, hanno dato ragione in questi anni del carattere del vino dell’Alta Val d’Agri. I vigneti sono allevati su terreni di medio impasto a un massimo di 800 metri sul livello del mare, situati nei comuni di Viggiano, Grumento Nova e Moliterno, che rappresentano la zona di produzione. Il vino è realizzato in tre tipologie: il «Rosso», per il quale il disciplinare prevede un invecchiamento di minimo un anno, il «Rosso Riserva» che invecchia due anni (di cui almeno 6 mesi in legno) e per entrambi è obbligatorio l’affinamento in bottiglia rispettivamente per 3 e 4 mesi; il «Rosato» che prevede anche l’utilizzo di Malvasia Bianca di Basilicata. Le aziende che aderiscono al Consorzio di tutela sono 6, gli ettari iscritti all’Albo delle Doc sono 14,5. Si producono attualmente 8 etichette, per un totale di circa 80.000 bottiglie all’anno.

Il Terre dell’Alta Val d’Agri Doc si presenta con un colore rosso rubino. All’olfatto è vellutato, con un contegno aristocratico. Ha una buona consistenza, una dolcezza di more ed è vinoso. Il retrogusto è elegante e intenso.

Consorzio di tutela e valorizzazione del vino Doc Terre dell’Alta Val d’Agri Presidente: Francesco Pisani c/o AASD «Bosco Galdo» Via Grumentina, 118 - Villa d’Agri di Marsicovetere (PZ) Tel. +39 0975 352547- Fax +39 0975 352403 info@terredellaltavaldagri.it www.terredellaltavaldagri.it naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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vini doc

MATERA DOC Il Greco, il Primitivo, il Bianco, il Moro...

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vini doc

Denominazione

Matera Doc

Istituito con

D.M. del 6-7-2005 (G.U. n. 163 del 15-7-2005)

Resa uva

100 q/ha

Resa massima uva/vino

70%

Tipologie

Rosso, Primitivo, Moro, Greco, Bianco, Spumante

Zone di produzione

Tutti i comuni della provincia di Matera

Vitigni

Per il Rosso: Sangiovese (60% minimo), Aglianico (minimo 10%), Primitivo (minimo 10%); per il Primitivo: Primitivo (minimo 90% e altre uve a bacca nera non aromatiche autorizzate); per il Moro: Cabernet Sauvignon (minimo 60%), Primitivo (minimo 20%), Merlot (minimo 10%) e altre uve a bacca nera non aromatiche autorizzate per un massimo del 10%; per il Greco: Greco Bianco (minimo 85%) e altre uve autorizzate a bacca bianca non aromatiche per un massimo del 15%; per il Bianco: Malvasia Bianca di Basilicata (minimo 70%), Greco Bianco (minimo 10%) e altre uve a bacca bianca non aromatiche autorizzate per un massimo del 20%; per lo Spumante (metodo classico): Malvasia Bianca di Basilicata (minimo 70%), Greco Bianco (minimo 10%) e altre uve a bacca bianca non aromatiche autorizzate per un massimo del 20%

È la denominazione di origine più giovane della Basilicata, riconosciuta nel luglio 2005 e autorizzata al commercio dal 2007. Da allora questo vino si va progressivamente affermando nei mercati extraregionali,

LA PRODUZIONE Il territorio della provincia di Matera presenta in maniera diffusa una lunga tradizione vitivinicola, che affonda le sue radici nell’epoca della Magna Grecia, come testimoniano anche le ricerche archeobotaniche della zona di Metaponto, dove sono stati rinvenuti resti lignei di piante e vinaccioli di vite risalenti al IV secolo a.C. D’altronde è proprio questa la zona che i Greci chiamarono Enotria, ossia «terra del vino». Altre testimonianze risalgono al 700. In una relazione inviata a Carlo III di Borbone si elencano le località dove si produceva buon vino: Matera, Montescaglioso, Ferrandina, Irsina, Miglionico, Tricarico, Tursi, Pisticci, Pomarico, solo per citarne alcune. Per non parlare, infine, della presenza di numerose cantine nei rioni dei Sassi a Matera: il Catasto dei Beni culturali e ambientali ne conta 96, di cui 53 solo nel rione Casalnuovo del Sasso Caveoso, scavato da gruppi di etnia serbo-croata nel XV secolo. Oggi i vigneti si trovano su terreni adeguati a fare vino di qualità. Il disciplinare obbliga ad effettuare sia le operazioni di vinificazione che di imbottigliamento nella zona di produzione. I vini Matera Doc possono essere immessi al consumo solo dopo il periodo di invecchiamento di un anno, con 3 mesi di affinamento obbligatorio in bottiglia. Lo Spumante Matera Doc è ottenuto con rifermentazione in bottiglia (metodo classico).

favorito da un nome che è già universalmente conosciuto, «Matera», e che evoca un ricco patrimonio culturale, storico, naturalistico legato alla Città dei Sassi, Patrimonio mondiale dell’Unesco.

Le aziende iscritte al Consorzio di tutela sono 9, mentre gli ettari iscritti all’Albo delle Doc sono 58,72. Si producono 8 etichette, per un totale di 300.000 bottiglie all’anno.

COME RICONOSCERLO Il Matera doc ha debuttato sulla scena internazionale al Vinitaly 2008, presentando alla prima degustazione ufficiale anche il primo bianco a denominazione d’origine controllata della Basilicata: il Matera Greco Le Paglie. Il Greco è solo una delle 6 tipologie in cui si può produrre - e degustare - il Matera doc: oltre al Rosso, al Primitivo e al Bianco, spicca il Moro, un vino dal colore rosso rubino intenso, con profumo persistente, sapore secco, pieno, armonico tendente al vellutato. La gradazione minima è di 12% vol. Di particolare pregio, infine, lo Spumante, ottenuto dalle stesse uve del Matera Bianco - Malvasia di Basilicata e Greco - e realizzato con metodo classico, mediante rifermentazione in bottiglia. Lo spumante presenta una spuma fine e persistente, colore paglierino, profumo gradevole e fruttato e una gradazione minima di 12,5% vol. Consorzio di tutela Vini Matera Doc Presidente: Michele Dragone Via Lucana, 23 - Matera - Tel. +39 0835 256344 info@doc.matera.it - www.doc.matera.it

naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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vini IGT

BASILICATA IGT Il vino comun denominatore della regione

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vini IGT

Denominazione

Basilicata Igt

Istituito con

D.M. del 3-11-1995 (G.U. n. 267 del 15-11-1995)

Resa massima uva

170 q/ha con forme di allevamento a tendone

Resa massima uva/vino

75%; 50% per la tipologia Passito

Tipologie

Bianco (anche frizzante), Rosso (anche frizzante e Novello), Rosato (anche frizzante) e Passito

Zone di produzione

Le province di Matera e Potenza

Vitigni

Vitigni raccomandati e/o autorizzati nelle due province; la specificazione di uno dei vitigni raccomandati e/o autorizzati, con l’esclusione di Aglianico e Montepulciano, per le relative province è riservata ai vini ottenuti da uve provenienti da vigneti composti, nell’ambito aziendale, per almeno l’85% dai corrispondenti vitigni

Piccole aziende che conservano intatto il loro legame col territorio, attraverso la cura dei vigneti e la passione profusa in cantina dai produttori, danno origine a

LA PRODUZIONE Dal Repertorio Vini della Basilicata 2007 (pubblicazione ufficiale della Regione) apprendiamo che il vino Basilicata Igt interessa sorprendentemente ben 122 delle 282 etichette censite (rappresentando il 43,2% del totale) e supera di poco l’Aglianico del Vulture Doc (113 etichette, pari al 40%). Questo dato si spiega con la sovrapposizione dell’area Igt su quella delle Doc, di cui quella dell’Aglianico del Vulture è la più estesa. Molti vini lucani che si fregiano dell’Igt sono, infatti, prodotti anche nelle aree a denominazione, pur utilizzando uve di elevato pregio qualitativo di varietà non previste dalla Doc che insiste nell’area oppure di varietà previste dalla Doc in «sovrapposizione» ma vinificandole con modalità non previste nel disciplinare della denominazione. Nell’ambito del Basilicata Igt segnaliamo un’area che per storia, tradizione e diffusione dà origine a vini di particolare pregio, le «Colline Materane» in cui il vitigno principale è il Primitivo di Matera.

vini di ottimo livello e di grande diffusione. Il comune denominatore è rappresentato dall’Igt Basilicata che comprende tutto il territorio regionale.

Tra gli altri vitigni diffusi in zona riscontriamo il Sangiovese, il Montepulciano, il Merlot, il Cabernet e, tra quelli a bacca bianca, la Malvasia bianca di Basilicata e il Greco.

COME RICONOSCERLO I vini identificati dall’Igt Basilicata, approvata nel 1995, si dividono in 6 tipologie: Bianco, Rosso, Rosato, Frizzante, Novello e Passito. È difficile descriverli in modo omogeneo, poiché derivando da diversi vitigni - quelli raccomandati e/o autorizzati per le province di Potenza e di Matera - ciascun prodotto assume in sé le principali caratteristiche del territorio di riferimento, rispettandone storia e tradizione. La gradazione alcolica minima per i bianchi deve essere di 10,5% vol. e di 11% vol. per rosati e rossi. Per quanto riguarda il Passito, viene prodotto con uve aromatiche alle quali è consentito un leggero appassimento sulla pianta o su graticci.

naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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vini IGT

GROTTINO DI ROCCANOVA IGT Il vino delle «tempe» arenarie

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Denominazione

Grottino di Roccanova Igt

Istituito con

D.M. del 14-3-2000 (G.U. n. 78 del 3-4-2000)

Resa uva

100 q/ha

Resa massima uva/vino

75%

Tipologie

Rosso (anche Novello), Rosato (anche frizzante e amabile) e Bianco (anche frizzante, amabile) e Passito

Zone di produzione

Comuni di Roccanova, Castronuovo Sant’Andrea, Sant’Arcangelo in provincia di Potenza

Vitigni

I vini devono essere ottenuti da uno o più vitigni raccomandati e/o autorizzati per la provincia di Potenza. I più usati: Sangiovese, Barbera, Malvasia nera e bianca di Basilicata, Trebbiano e Moscato


vini IGT

La variabilità e la ricchezza degli uvaggi consentiti per la vinificazione, magnificati dal clima dei colli della Media Valle dell’Agri, trovano un punto fermo nel momento dell’invecchiamento nelle grotte arenarie tipiche di questi luoghi, che fanno maturare in sapore e colore il prezioso vino, custodendolo con costanza nel tempo.

È questo il segreto del Grottino di Roccanova Igt, che deve il suo nome proprio alla tradizione secolare di invecchiare il vino nelle grotte, dove, a temperatura e umidità costanti, le sue caratteristiche rimangono inalterate. Le grotte sono veri e propri cunicoli scavati nelle «tempe» arenarie sotto il centro abitato: alcune risalgono al 700 e se ne contano oltre 300.

LA PRODUZIONE

COME RICONOSCERLO

La cultura del vino in questa zona risale probabilmente all’epoca dei Greci, (III-IV secolo a.C.), che portarono nei vari insediamenti la coltivazione della vite, come dimostrano i numerosi reperti archeologici rinvenuti in quest’area esposti oggi nei Musei di Metaponto e Policoro. E non è escluso che gli ottimi e curativi vini «Bagarini», citati da Plinio il Vecchio nella sua «Naturalis Historia», che si producevano non lontano da Grumentum, si riferissero proprio alla zona di Roccanova. Ancora oggi a Roccanova, nel giorno dell’Immacolata, l’8 dicembre, si organizza la Sagra del vino e si festeggia la Madonna «Spertusavotte». Si tratta di una festa tradizionale in cui si effettua il primo travaso del vino e vengono benedette le grotte. Sono caratteristiche grotte-cantine, scavate direttamente nelle pareti tufacee: alcune risalgono al 1700 e molti viticoltori le mostrano con orgoglio e molto spesso rappresentano il luogo di incontro in cui più che altrove si rinsaldano i legami di amicizia. A coronamento di questa tradizione e per il perfezionamento qualitativo maturato in questi ultimi tempi, nel 2000 il Grottino di Roccanova è stato riconosciuto a Indicazione geografica tipica (Igt). La zona di produzione è quella dei comuni di Roccanova, Castronuovo di S. Andrea e Sant’Arcangelo, per una superficie complessiva di 21,3 ettari iscritti all’Albo, in una zona che può essere definita di media e alta collina, con un’altitudine variabile tra i 400 ei 750 metri sul livello del mare. Il clima è quello tipico delle aree interne della Basilicata, con inverni molto freddi ed estati calde e siccitose, piovosità contenuta e concentrata nel periodo primaverile-autunnale. I terreni molto fertili e soleggiati, fanno sì che le uve acquistino aromi e caratteristiche unici. Le varietà più utilizzate sono: Sangiovese, Barbera, Malvasia nera e bianca di Basilicata, Trebbiano e Moscato; le forme di allevamento sono la spalliera bassa e l’alberello. Ad oggi si contano 14 etichette, per una produzione di 163.000 bottiglie, in aziende a carattere prevalentemente familiare e di piccole dimensioni. Nel settembre 2008 si è costituito il Consorzio di tutela, a cui aderiscono le 5 aziende produttrici.

Il vino generalmente non supera i 13 gradi alcolici e si serve a temperatura di 18°C. Presenta un caratteristico colore rosso rubino, che con l’invecchiamento diventa intenso e con lievi sfumature violacee. L’odore ricorda i piccoli frutti, il sapore è asciutto, morbido e leggermente tannico.

Consorzio di tutela per la valorizzazione del Grottino di Roccanova Igt Presidente: Vincenzo Petruzzelli c/o Municipio di Roccanova Piazza del Popolo - Roccanova (PZ) Tel. +39 348 0053915 consorziogrottino@libero.it naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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DOP

pecorino di filiano dop Nato da pascoli generosi di erbe officinali e di acque

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DOP

Denominazione

Pecorino di Filiano Dop

Istituito con

Reg. CE n. 1485 del 14-12-2007 (GUCE L. 330 del 15-12-2007)

Caratteristiche

Formaggio a pasta dura, da latte intero di pecora

Zone di produzione

Atella, Avigliano, Balvano, Baragiano, Barile, Bella, Cancellara, Castelgrande, Filiano, Forenza, Ginestra, Maschito, Melfi, Muro Lucano, Pescopagano, Picerno, Pietragalla, Pignola, Potenza, Rapolla, Rapone, Rionero in Vulture, Ripacandida, Ruoti, Ruvo del Monte, San Fele, Savoia di Lucania, Tito, Vaglio di Basilicata, Vietri di Potenza in provincia di Potenza

Il Pecorino di Filiano Dop è il primo prodotto agroalimentare regionale interamente lucano ad aver ricevuto il marchio a denominazione di origine protetta. Si tratta di un formaggio a pasta dura, ottenuto con

latte intero di pecora delle razze Gentile di Puglia e di Lucania, Leccese, Comisana, Sarda e loro incroci. Si produce in un areale di trenta comuni che si estende dal Vulture alla zona del Melandro.

LA PRODUZIONE

COME RICONOSCERLO

Nella zona di produzione del Pecorino di Filiano Dop i casari usano ancora, come prescritto dal disciplinare, strumenti tradizionali come lo «scuopolo» (il mestolo di legno) per rompere la cagliata e le «fuscedd» (fuscelle), le caratteristiche forme di giunco per contenere le forme. Il radicamento dell’allevamento ovino e la numerosità dei capi che caratterizzavano l’area in passato sono testimoniati anche dal fatto che il nome della cittadina che presta il nome al Pecorino - Filiano, appunto - deriva dall’abbondanza di produzione di lana filata. Come pure sono in questo senso significative le strutture produttive dei nobili Doria, organizzate nel 600 con criteri davvero imprenditoriali: nel territorio di Melfi vi erano masserie specializzate per l’allevamento di pecore, maiali, vacche e bufale. Nei registri delle aziende, conservati nell’Archivio di Stato di Potenza, è documentata la consistenza del patrimonio zootecnico e in particolare ovino, che da solo raggiungeva punte di oltre 10.000 capi. L’intera economia della zona era quindi vivacizzata anche da stabilimenti per la trasformazione del latte e della lana. Le greggi dell’«azienda» dei Doria passavano dalle masserie della Piana dell’Ofanto, dove trascorrevano i mesi invernali, alle alture della Valle di Vitalba, dove si trasferivano in estate. È qui che nei mesi di giugno e luglio si svolgeva il rito della produzione di formaggi, in particolare del Pecorino, la cui qualità è dovuta all’eccellenza dei pascoli, generosi di erbe officinali come l’origano, il timo, il finocchietto selvatico, nonché alla ricchezza di acque che sgorgano cariche di sali minerali dalle falde vulcaniche del monte Vulture. Le aziende certificate sono 11:3 trasformatori e 8 allevatori, che fanno capo al Consorzio di tutela del Pecorino di Filiano Dop, ma le potenzialità di crescita della produzione sono significative.

Il Pecorino di Filiano Dop ha un sapore inizialmente dolce e delicato, dal piccante giustamente pronunciato quando raggiunge la stagionatura, con odori e aromi tipici. Viene prodotto principalmente a livello familiare, seguendo tecnologie di caseificazione tradizionali, tramandate di generazione in generazione, nel rispetto delle produzioni naturali strettamente connesse al territorio di origine. Il Pecorino di Filiano ha forma cilindrica a facce piane, con scalzo diritto o leggermente convesso. Il peso è compreso tra 2,5 e 5 kg. La stagionatura dura 180 giorni.

Consorzio di Tutela del Pecorino di Filiano Dop Presidente: Luigi Zucale Corso Giovanni XXIII - Filiano (PZ) Tel. e fax +39 0971 808757 info@pecorinodifiliano.it www.pecorinodifiliano.it naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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dop

caciocavallo silano dop Delicatissimo con brio

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dop

Denominazione

Caciocavallo Silano Dop

Istituito con

Reg. CE n. 1263 del 1-7-1996 (GUCE L. 163 del 2-7-1996) e Reg. CE n. 1204 del 4-7-2003

Caratteristiche

Formaggio semiduro a pasta filata, da latte intero bovino

Zone di produzione

Provincia di Matera: Accettura, Bernalda, Calciano, Cirigliano, Ferrandina, Garaguso, Gorgoglione, Irsina, Matera, Montescaglioso, Oliveto Lucano, Pisticci, Policoro, Pomarico, Rotondella, Salandra, Scanzano Jonico, San Giorgio Lucano, San Mauro Forte, Stigliano, Tricarico, Tursi Provincia di Potenza: Lavello, Montemilone, Melfi, Rionero, Venosa, Palazzo San Gervasio, Atella, Forenza, Banzi, Genzano di Lucania, Acerenza, Oppido Lucano, Filiano, San Fele, Ruvo del Monte, Rapone, Pescopagano, Castelgrande, Muro Lucano, Bella, Avigliano, Ruoti, Baragiano, Balvano, Potenza, Picerno, Tito, Pignola, Brindisi di Montagna, Vaglio di Basilicata, Tolve, Albano di Lucania, Pietrapertosa, Laurenzana, Corleto Perticara, Anzi, Abriola, Calvello, Brienza, Marsiconuovo, Marsicovetere, Paterno, Tramutola, Viggiano, Grumento Nova, Moliterno, Lagonegro, Castelsaraceno, Lauria, Trecchina, Maratea, Sant’Arcangelo

Nonostante porti nel nome il riferimento a una zona geografica calabrese, il Caciocavallo Silano è tra i prodotti che maggiormente vengono associati alla Basilicata. In effetti si tratta di una Dop interregionale istituita nel 1993 che ha come zona di produzione

LA PRODUZIONE I riferimenti storici che attestano l’importanza di questo prodotto risalgono a Ippocrate, che già nel 500 a.C. descriveva la tecnica usata dai Greci nella preparazione del cacio. Tra gli autori latini, inoltre, Plinio esaltava le qualità del «butirro», che si può considerare un «antenato» del Caciocavallo, definito dallo storico come «cibo delicatissimo». Il Caciocavallo Silano Dop è un formaggio semiduro a pasta filata, prodotto esclusivamente con latte intero di vacca. È consentito termizzare il latte fino a 58°C, purché venga riportato in etichetta. Il latte viene poi coagulato alla temperatura di 36-38°C, usando caglio in pasta di vitello o di capretto. Quando la cagliata ha raggiunto la consistenza voluta, si procede alla rottura, fino al momento in cui si formano dei grumi grandi quanto una nocciola. Appena la pasta si trova nelle condizioni di essere filata, segue un’operazione caratteristica: si crea una specie di cordone che viene lavorato fino a raggiungere la forma voluta. Così modellata, si chiude la pasta all’apice, immergendo la

- sia del latte sia del formaggio - diversi comuni di Calabria, Campania, Molise, Puglia e Basilicata. I comuni lucani che rientrano nel territorio del Caciocavallo Silano sono ben cinquantadue, distribuiti su entrambe le province.

parte velocemente in acqua bollente alla temperatura di 80-85°C e completando l’operazione a mano. Le forme così ottenute vengono immerse prima in acqua di raffreddamento, poi in salamoia e successivamente legate a coppia e sospese con delle pertiche a stagionare per un minimo di 30 giorni.

COME RICONOSCERLO La forma è ovale o tronco-conica, con testina o senza, a seconda delle tradizioni locali. Il peso varia tra 1 e 2,5 kg. La crosta è sottile, liscia, di colore paglierino. Il sapore è aromatico, piacevole, delicato e tendenzialmente dolce quando il formaggio è giovane, fino a diventare piccante a maturazione avanzata. Innumerevoli gli abbinamenti gastronomici, a seconda della stagionatura. Tagliato a cubetti si presta a insaporire primi conditi con salse alle verdure o insalate di pasta estive. Ridotto a fette di medio spessore può essere impanato e dare origine a golosi medaglioni. Il Caciocavallo Silano stagionato si sposa, inoltre, molto bene con il miele e con un vino rosso di struttura o con un passito. Consorzio di tutela Formaggio Caciocavallo Silano Via Forgitelle - Camigliatello Silano (CS) Tel. e fax +39 0984 570832 www.caciocavallosilano.net

naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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IGP

fagioli di sarconi igp Ovali o tondi: sempre teneri e delicati

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IGP

Denominazione

Fagioli di Sarconi Igp

Istituito con

Reg. CE n. 1263 del 1-7-1996 (GUCE L. 163 del 2-7-1996)

Zone di produzione

Sarconi, Grumento Nova, Marsiconuovo, Marsicovetere, Moliterno, Montemurro, Paterno, San Martino d’Agri, Spinoso, Tramutola, Viggiano tutti in provincia di Potenza

Varietà

Ecotipi locali di cannellino e borlotto (fasuli russi, tovagliedde rampicanti, verdolini, napulitanu vasciu, napulitanu avuti, ciuoti o regina, tabacchino, munachedda, nasieddo, maruchedda, San Michele, muruseddu, truchisch, cannellino rampicante)

Il loro segreto risiede nell’acqua. Il merito della qualità dei Fagioli di Sarconi Igp era ed è riconducibile alle basse temperature estive e alla freschezza delle acque di irrigazione, che permettono di mantenere nei semi un elevato contenuto di zuccheri semplici, conferendogli un tipico sapore dolce. A Sarconi, piccolo centro dell’Alta Val d’Agri, però, venivano coltivati pochi appezzamenti, che bastavano appena all’autoconsumo. E per di più i contadini adottavano il tradizionale metodo di irrigazione «a scorrimento». Solo con l’adozione del sistema «a pioggia»

LA PRODUZIONE In passato il fagiolo era conosciuto anche da Greci e Romani, che lo consumavano abitualmente, ma che non lo ritenevano un cibo prelibato. Virgilio, ad esempio, lo chiamava «vilem phaseulum» perché lo si poteva trovare in abbondanza. Nel ricettario di Apicio è presente negli antipasti o abbinato a salse piccanti. Durante il Medioevo, per la facilità della sua coltivazione e per le notevoli proprietà nutritive, diventò da allora un alimento del popolo, il cosiddetto «pane dei poveri». L’origine della coltivazione del prodotto nella Valle dell’Agri è incerta, anche se a partire dal 700 esiste un’ampia documentazione a testimoniare il legame tra fagiolo e territorio. Del resto, l’unicità della produzione è il risultato finale della combinazione di una serie di elementi naturali: il clima, la qualità delle acque d’irrigazione (leggere e poco alcaline) e quella dei terreni, di origine alluvionale, sabbiosi, ricchi di azoto e privi di calcare. Il borlotto e il cannellino bianco sono le qualità più diffusamente coltivate, anche se il fagiolo storico di Sarconi è il cosiddetto «ciuoto»; verdolini, tabacchini, monachedde e tovaglielle sono tra gli altri ecotipi prodotti, ottimi da gustare ma anche straordinari da osservare nelle loro diverse forme e nei particolari cromatismi (se ne con-

si è potuta qualificare e incrementare la produzione, ottenendo progressivi successi fino al riconoscimento dell’Indicazione geografica protetta, ottenuta - insieme al Peperone di Senise - nel 1996. I terreni in cui viene coltivato si trovano al di sopra dei 600 metri di altitudine e la semina avviene tra aprile e luglio. Un ulteriore collegamento con l’acqua, per il Fagiolo di Sarconi Igp, deriva dalla caratteristica di cuocere a «prima acqua», cioè senza ammollo preventivo, molto rapidamente, risultando dopo la cottura teneri e di gusto piacevole.

tano più di una ventina). Il binomio territorio-prodotto si è consolidato nel tempo fino a dar vita, dal 1981, a una delle sagre lucane più rinomate, dedicata proprio al Fagiolo di Sarconi Igp: ogni anno, nella seconda metà di agosto, vengono proposti in rassegna come ingredienti delle pietanze più disparate, dai primi piatti al gelato, dalla pizza alle marmellate. È qui che i visitatori possono spaziare lungo un itinerario che si snoda attraverso i vicoli del paese, dove vengono allestiti punti-ristoro in collaborazione con i migliori ristoratori della Valle. Le aziende iscritte al Consorzio di tutela comprendono 41 produttori e 4 confezionatori; 24 sono le aziende con produzione certificata, che si estendono su una superficie di 42 ettari.

COME RICONOSCERLI Il Fagiolo di Sarconi Igp ha una forma ovale o tondeggiante e si caratterizza per la polpa tenera, che lo rende particolarmente digeribile. Viene prodotto in 19 ecotipi locali di borlotto e cannellino, ha un colore chiaro, che varia dal giallo pallido al bianco, e può presentare striature scure. Vengono commercializzati secchi in confezioni da 250 e 500 grammi che portano il marchio del Consorzio.

Consorzio di tutela dei Fagioli di Sarconi Igp Presidente: Terenzio Bove Piazza Aldo Moro, 1 - Sarconi (PZ) Tel. +39 0975 354488 - Fax +39 0975 354432

naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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IGP

peperoni di senise igp I croccanti che fanno festa con il gusto

Denominazione

Peperoni di Senise Igp

Istituito con

Reg. CE n. del 1-7-1996 (GUCE L. 163 del 2-7-1996)

Zone di produzione

Nella provincia di Potenza: Chiaromonte, Francavilla, Noepoli, Roccanova, Sant’Arcangelo, Senise; nella provincia di Matera: Colobraro, Craco, Montalbano Jonico, San Giorgio Lucano, Tursi, Valsinni

Varietà

Ecotipi tronco, uncino, appuntito

Li troviamo tra la provincia di Potenza e di Matera, tra i fiumi Sinni e Agri. In questo territorio collocato nella zona centro-meridionale della Basilicata, come un cuore pulsante i Peperoni di Senise Igp accendono di rosso fuoco i balconi delle case bianche dei paesini durante il periodo dell’essiccazione. A Senise la tradizione rivive, festosa, con «U Srittul ru Zafaran», il vicolo del peperone, dove «Zafaran» è appunto il nome dei peperoni croccanti, o «cruschi», usati come contorno, ad esempio, al baccalà fritto. Ma

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«U Srittul ru Zafaran» designa anche la famosa sagra che si svolge a metà agosto in concomitanza con la festa di San Rocco, volta a promuovere sia il Peperone Igp che il centro storico senisese. In quell’occasione i vicoli si arricchiscono delle classiche «serte», le collane di peperoni appese ai balconi, mentre nelle piazzette compaiono tavole imbandite con i prodotti tipici della zona. Non manca, naturalmente, la degustazione del peperone tipico, proposto in tutti i modi, persino sotto forma di gelato.


IGP

Consorzio per la tutela dei Peperoni di Senise Igp Presidente: Antonio Gazzaneo Corso Garibaldi, 283 - Senise (PZ) Tel. e fax +39 0973 585733

LA PRODUZIONE La storia racconta che il peperone arrivò a Senise tra il 1500 e il 1600, e da allora i contadini locali selezionarono nel tempo la varietà che ancora oggi viene coltivata. Oltre che all’essiccazione, il peperone veniva destinato anche alla macinazione in polvere. È da allora che in dialetto si chiama «zafaran», termine che ricorda la preziosa polvere dello zafferano. Il Peperone di Senise Igp viene piantato tra febbraio e marzo e raccolto a luglio. La produzione riguarda ecotipi locali che si distinguono per un maggior contenuto di sali e vitamina C e un più basso contenuto di acqua. Questa specialità viene commercializzata fresca, essiccata e in polvere. L’essiccazione avviene secondo sistemi tradizionali, attraverso l’esposizione indiretta ai raggi solari: i peperoni vengono inseriti in lunghe «collane» appese in luoghi soleggiati e areati. Per eliminare ogni residuo di umidità e facilitare l’eventuale molitura per ottenere la polvere, si

effettua un ultimo rapidissimo passaggio nel forno. Le aziende che seguono la certificazione del Peperone di Senise Igp comprendono 4 produttori e 3 trasformatori.

COME RICONOSCERLI Il Peperone di Senise Igp ha una forma appuntita, a uncino o a tronco, a seconda del tipo. Il colore è prima verde, poi rosso porpora, le dimensioni sono piccole. La polpa è sottile e il peduncolo non si stacca dalla bacca durante l’essiccazione. Il sapore è dolce. Con i peperoni di Senise si realizzano numerosi piatti della tradizione contadina: passati in olio bollente e salati vengono chiamati «cruschi», cioè croccanti, e accompagnano formaggi e verdure fresche, come fave o insalate, oppure il baccalà. Possono essere serviti anche come gustosi e innovativi aperitivi. L’uso della polvere, inoltre, esalta la preparazione di numerosi salumi lucani, ai quali conferisce gusto, colore e ne agevola la stagionatura. naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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IGP

pane di matera igp Un giovane dal cuore antico

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Denominazione

Pane di Matera Igp

Istituito con

Reg. CE n. 160 del 21-2-2008 (GUCE L. 48/28 del 22-2-2008)

Caratteristiche

Il 20% delle semole deve provenire da ecotipi locali e vecchie varietĂ quali Senatore Cappelli, Duro Lucano, Capeiti, Appulo, coltivate nel territorio della provincia di Matera

Zone di produzione

Tutta la provincia di Matera


IGP

Il Pane di Matera Igp è cronologicamente l’ultimo dei prodotti a marchio lucani e, quindi, l’ultimo ad aver completato il processo di certificazione nel febbraio 2008. I primi 5 panifici certificati sono stati resi noti soltanto nel mese di ottobre scorso. Eppure, la sua storia è antichissima e risale al XVIXVII secolo. Da allora, leggende e racconti popolari dimostrano quanto fosse centrale la cerealicoltura nel territorio materano e, di conseguenza, la panificazione.

Tra gli elementi di artigianato collegati alla produzione del pane a Matera vi sono, ad esempio, i «timbri», statuette di legno intagliate dai pastori durante la transumanza, che servivano a «marchiare» le forme di pane prima della cottura, in modo che si potessero distinguere quando venivano sfornate. Recavano alla base le iniziali del capofamiglia e venivano realizzate con sembianze umane o animali (figure di uomini, donne, galli, chiocce, gatti, cani ecc.). Oggi sono dei veri e propri oggetti da collezione.

LA PRODUZIONE

COME RICONOSCERLO

Tra le ragioni che hanno fatto diventare il Pane di Matera uno dei quattro pani a marchio comunitario riconosciuti in Italia ci sono anche i tratti caratteristici della preparazione. Il disciplinare stabilisce, ad esempio, le modalità di preparazione del lievito madre con polpa di frutta fresca matura tenuta prima a macerare in acqua, accorgimento che consente di utilizzare ceppi di lievito che si sviluppano nel territorio di produzione. Per la cottura, inoltre, è previsto l’impiego di essenze legnose locali, che esaltano il profumo e l’odore caratteristici del prodotto. Per quanto riguarda la semola, almeno il 20% deve provenire da ecotipi locali e vecchie varietà, come Senatore Cappelli, Duro Lucano, Capeiti e Appulo, coltivate nella zona di produzione, ovvero il territorio della provincia di Matera. Per migliorarne la qualità e rendere più saldo il legame con il territorio, si stanno sperimentando anche altre composizioni: un 20% minimo della varietà Senatore Cappelli e per la restante parte varietà provenienti dalla Collina Materana. Le cronache recenti rivelano, infine, come il Pane di Matera Igp sia anche «virtuoso», poiché - stante il continuo aumento del costo dei prodotti da forno (pane e pasta) a causa dei rincari del grano all’ingrosso - Regione Basilicata, Confcommerio e Confesercenti provinciali di Matera ne hanno sancito il blocco del prezzo: da un minimo di 1,40 a un massimo di 2,20 euro per una panella da un chilo. L’iniziativa ha meritato anche il plauso del ministro delle politiche agricole, Luca Zaia.

Il Pane di Matera Igp ha una caratteristica forma a cornetto oppure a pane alto, del peso di 1 o 2 kg. Lo spessore della crosta deve essere di almeno 3 mm. La mollica ha un colore giallo paglierino con caratteristica alveolazione e l’umidità non deve superare il 33%. Innumerevoli i pregi del Pane di Matera. Non solo è squisito ma è anche digeribile e si conserva per diversi giorni. Questo prodotto ha dato inoltre origine a una ricetta tradizionale, la «cialledda», originale e gustosa minestra a base di pane raffermo insaporita con olio extravergine di oliva, pomodori, aglio, cipolla, sale, origano e verdure locali a scelta.

Associazione per la Promozione e valorizzazione del Pane di Matera Presidente: Massimo Cifarelli Via XX Settembre, 25 - Matera Tel. +39 0835 385630 - Fax +39 0835 383099 naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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dop (protezione transitoria)

OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA DEL «VULTURE» DOP L’oro del vulcano spento

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Denominazione

Olio extravergine di oliva del Vulture Dop (a protezione transitoria)

Istituito con

D.M. del 25-3-2005 (G.U. n. 78 del 5-4-2005)

Zona di produzione

Atella, Barile, Ginestra, Maschito, Melfi, Rapolla, Rionero in Vulture, Ripacandida, Venosa in provincia di Potenza

Cultivar

Ogliarola del Vulture (70%), per il restante 30% dalle varietà Coratina, Cima di Melfi, Palmarola, Provenzale, Leccino, Frantoio, Cannellino e Rotondella, impiegate da sole o congiuntamente


dop (protezione transitoria)

Nella zona di produzione dell’Olio extravergine di oliva del Vulture Dop compaiono, a pochi chilometri di distanza l’una dall’altra, due Città dell’Olio: Barile e

Rapolla. È il segno della tradizione tangibile, secolare e al contempo moderna, che distingue questi territori e li anima dal punto di vista economico.

LA PRODUZIONE L’olio extravergine del Vulture trae la sua singolare qualità da un particolare connubio ambientale e agronomico: le caratteristiche climatiche e i terreni vulcanici dell’area di produzione. I terreni coltivati a olivo, che occupano le pendici del Monte Vulture, un vecchio vulcano inattivo, sono quasi tutti in pendenza e raggiungono la zona limite dove, per altimetria e condizioni climatiche, l’olivo sopravvive. Da secoli, con queste condizioni, olivicoltori e frantoiani del Vulture hanno saputo adeguare la produzione di olio alla conformazione del terreno, studiando idonee tecniche di coltivazione. L’Olio extravergine del Vulture Dop proviene dalla molitura di olive prodotte e trasformate in 9 comuni del Vulture. Per il 70% è composto dalla cultivar Ogliarola, in particolare l’Ogliarola del Vulture, e per il restante

30% dalle varietà Coratina, Cima di Melfi, Palmarola, Provenzale, Leccino, Frantoio, Cannellino e Rotondella, impiegate da sole o congiuntamente. Anche l’imbottigliamento dell’olio deve avvenire nella zona del Vulture per garantirne il controllo, la rintracciabilità e mantenere inalterate le qualità del prodotto. Per la molitura e l’estrazione sono ammessi solo processi meccanici e fisici. L’olio deve essere conservato nella zona di produzione in locali poco illuminati, a una temperatura compresa tra i 18 e 10°C.

COME RICONOSCERLO L’Olio extravergine del Vulture Dop si presenta limpido, dal colore giallo ambrato con riflessi verdi. Il profumo è fruttato medio, con sentore di pomodoro; il sapore è fruttato medio di oliva matura, dal gusto dolce ammandorlato, leggermente amaro e con una nota di piccante.

Consorzio di tutela Olio extravergine d’oliva «Vulture» c/o Oleificio Cooperativo Rapolla Fiorente Presidente: Giovanni Grimolizzi Zona Industriale - Rapolla (PZ) Tel. e fax +39 0972 760200 rapolla63@libero.it

naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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dop (protezione transitoria)

fagioli BIANCHI di rotonda dop I Bianchi dallo spirito ÂŤGaribaldinoÂť

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dop (protezione transitoria)

Denominazione

Fagioli Bianchi di Rotonda Dop (a protezione transitoria)

Istituito con

D.M. del 2-4-2008 (G.U. n. 89 del 15-4-2008)

Zona di produzione

Castelluccio Inferiore, Castelluccio Superiore, Rotonda, Viggianello in provincia di Potenza

Cultivar

Fagiolo Bianco e Tondino Bianco (o Poverello Bianco)

Quattro caratteristiche cittadine alle pendici del Pollino, nel Parco protetto più esteso d’Italia, si contendono una sorta di primato, quello di aver candidato e

LA PRODUZIONE Castelluccio Inferiore, Castelluccio Superiore, Rotonda e Viggianello, i paesi della Valle del Mercure - già zona di produzione della Melanzana Rossa di Rotonda - compongono il territorio eletto dei Fagioli Bianchi di Rotonda, con sette aziende impegnate nella certificazione a Dop. Sono 2 gli ecotipi locali per i Fagioli Bianchi di Rotonda Dop: il Fagiolo Bianco e il Tondino Bianco (detto anche «poverello»). Le caratteristiche principali dei Fagioli di Rotonda Dop, che tanto li differenziano per qualità, sono il contenuto proteico elevato (che raggiunge il 27% sulla sostanza secca), la bassa percentuale del tegumento rispetto al peso totale, che è una caratteristica molto apprezzata dai consumatori perché riduce drasticamente i tempi di cottura che se fossero lunghi altererebbero la sua gradevolezza, e, infine, il colore privo di striature. Queste caratteristiche sono esaltate dalle particolari condizioni climatiche della zona, che unisce temperature dolci e piogge abbondanti nel periodo che va da ottobre a maggio, e dai terreni di origine alluvionale, sabbiosi e limo-argillosi, freschi profondi e fertili con una buona ritenzione idrica. La produzione dei fagioli bianchi non deve superare le 13 tonnellate a ettaro, corrispondenti alle 3 tonnellate di prodotto secco. La raccolta dei baccelli, che inizia nel mese di agosto e termina entro ottobre, deve essere rigorosamente effettuata a mano. Sul mercato si possono trovare sia prodotti freschi da sgusciare che secchi in granella.

ottenuto contemporaneamente per due prodotti tipici la protezione transitoria nazionale della Dop: il Fagiolo di Rotonda Dop e la Melanzana di Rotonda Dop.

La storia racconta che persino Giuseppe Garibaldi fu un grande estimatore dei Fagioli Bianchi di Rotonda Dop. Ne è prova il periodico «L’Eco di Basilicata Calabria Campania» che in data 2 settembre 1860 riportava che, di ritorno dalla Sicilia, l’eroe dei Due Mondi si fermò a Rotonda per dormire e mangiare. Gustò i fagioli bianchi e ne rimase così piacevolmente colpito che decise di portarsene una piccola quantità da seminare nella sua Caprera. Da allora i fagioli bianchi rappresentano un’espressione fondamentale dell’orticoltura del Pollino.

COME RICONOSCERLI I Fagioli di Rotonda Dop sono bianchi, senza striature e si distinguono per l’elevato contenuto proteico e la bassa percentuale del tegumento rispetto al peso totale, caratteristica che riduce notevolmente i tempi di cottura. Tra le ricette tipiche di antica tradizione dell’area di produzione ricordiamo: scarole e faglioli bianchi; cavoli e fagioli bianchi; patate, fagioli e minestra impastata; fagioli e scorza (cotica di maiale); lagane e fagioli. Oggi questi piatti, pur venendo consumati ancora in famiglia, vengono proposti con successo nei ristoranti, negli agriturismi e durante le feste popolari. Tra le manifestazioni ricordiamo la quasi trentennale Sagra del Fagiolo Bianco di Rotonda Dop che ogni agosto continua a richiamare nell’omonima cittadina migliaia di persone, testimoniando il forte legame che esiste tra questo prodotto e il territorio in cui è coltivato.

Comitato promotore per il riconoscimento della Melanzana Rossa di Rotonda Dop e dei Fagioli Bianchi di Rotonda Dop Presidente: Giuseppina De Marco c/o AASD Pollino Contrada Incoronata - Rotonda (PZ) Tel. +39 0973 667545 - Fax +39 0973 667621 azienda.pollino@alsia.it naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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dop (protezione transitoria)

melanzana rossa di rotonda dop Originale per vocazione

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Denominazione

Melanzana Rossa di Rotonda Dop (a protezione transitoria)

Istituito con

D.M. del 2-4-2008 (G.U. n. 90 del 16-4-2008)

Zona di produzione

Castelluccio Inferiore, Castelluccio Superiore, Rotonda, Viggianello in provincia di Potenza


dop (protezione transitoria)

LA PRODUZIONE Nel 1992 questa melanzana fu scientificamente classificata a Rotonda durante una delle missioni periodiche di esplorazione e raccolta di germoplasma condotte dal C.N.R. di Bari. Gli agricoltori locali la coltivavano prevalentemente per l’autoconsumo, mentre oggi grazie al riconoscimento della Denominazione di origine protetta (Dop) la produzione sta avendo un nuovo slancio. Il terreno in cui viene coltivata è di origine alluvionale, sabbioso, fresco, profondo e fertile, con buona ritenzione idrica. Il clima, sostanzialmente dolce nei mesi estivi, quando le temperature medie si aggirano intorno ai 20-22°C, e le innumerevoli sorgenti e i corsi di acqua fresca affluenti del Mercure che rendono possibile l’irrigazione, garantiscono le condizioni ideali per la coltivazione della Melanzana Rossa, l’unica in Italia a fregiarsi del marchio Dop; è anche un Presidio Slow Food dal 2000 quale esempio di biodiversità da proteggere e conservare. Le piantine vengono poste a dimora in maggio e il primo raccolto avviene nel mese di agosto, per continuare fino ai primi freddi. Come si fa per conservare pomodori e peperoni, le melanzane più piccole vengono «insertate», cioè legate a grappoli e messe ad asciugare all’aperto al coperto.

COME RICONOSCERLA L’aspetto la fa curiosamente somigliare, per forma e per colore, a un pomodoro o a un caki. Non a caso la Melanzana Rossa di Rotonda è chiamata nella sua zona «melanzana a pomodoro» (in dialetto «merlingiana a pummadora») per le sue dimensioni piccole e tondeggianti e per il colore arancio striato di verde, tendente al rosso più intenso quando è matura. Il suo profumo ricorda il fico d’India, mentre al palato è piccante con retrogusto amarognolo. Viene consumata sott’aceto e sott’olio come antipasto o contorno, ma non è raro trovarla in soluzioni originali come sulla pizza, nei dolci o come gelato. Un’altra sua caratteristica, che la distingue dalle melanzane comuni, è che la polpa non annerisce dopo il taglio al contatto con l’aria.

È una varietà di origine etiopica (Solanum aethiopicum) che cresce solo nella Valle del Mercure, nel Parco Nazionale del Pollino. Nel 1800 fu importata per la prima volta in Italia nel comune di Rotonda, probabilmente da soldati che rientravano dalle guerre coloniali, come hanno dimostrato alcune testimonianze di novantenni locali.

Comitato promotore per il riconoscimento della Melanzana Rossa di Rotonda Dop e dei Fagioli Bianchi di Rotonda Dop Presidente: Giuseppina De Marco c/o AASD Pollino Contrada Incoronata - Rotonda (PZ) Tel. +39 0973 667545 - Fax +39 0973 667621 azienda.pollino@alsia.it naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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IGP (protezione transitoria)

canestrato di moliterno stagionato in fondaco igp Il Pecorino nelle fuscelle

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IGP (protezione transitoria)

Denominazione

Canestrato di Moliterno Stagionato in Fondaco Igp (a protezione transitoria nazionale)

Istituito con

D.M. del 21-5-2005 (G.U. n. 181 del 5-8-2005)

Caratteristiche

Formaggio a pasta dura, prodotto con latte ovino-caprino intero crudo

Razze

Ovine: Gentile di Lucania e di Puglia, Leccese, Sarda, Comisana e loro incroci Caprine: Garganica, Maltese, Ionica Camosciata e loro incroci

Zona di produzione

In provincia di Potenza: Armento, Brienza, Calvello, Calvera, Carbone, Castelluccio Inferiore, Castelluccio Superiore, Castelsaraceno, Castronuovo Sant’Andrea, Cersosimo, Chiaromonte, Corleto Perticara, Episcopia, Fardella, Francavilla in Sinni, Gallicchio, Grumento Nova, Guardia Perticara, Lagonegro, Latronico, Lauria, Marsiconuovo, Marsicovetere, Missanello, Moliterno, Montemurro, Nemoli, Noepoli, Paterno, Rivello, Roccanova, Rotonda, San Chirico Raparo, San Costantino Albanese, San Martino d’Agri, San Paolo Albanese, San Severino Lucano, Sant’Arcangelo, Sarconi, Senise, Spinoso, Teana, Terranova del Pollino, Tramutola, Viggianello, Viggiano In provincia di Matera: Accettura, Aliano, Bernalda, Craco, Cirigliano, Ferrandina, Gorgoglione, Montalbano Jonico, Montescaglioso, Pisticci, Pomarico, Scanzano Jonico, Stigliano, Tursi

Se fosse un racconto, quello del Canestrato di Moliterno inizierebbe dalla fine, ovvero dall’ultima parte del processo di caseificazione: la stagionatura. È a Moliterno, infatti, un piccolo paese della Val d’Agri, che si è consolidata nei secoli l’arte di stagionare il formaggio di pecora e di capra in caratteristici locali (i «fon-

LA PRODUZIONE Già dal 1700 i moliternesi fecero del Pecorino la loro attività primaria. Lo storico Racioppi nell’800 attestava che il toponimo «Moliterno» derivava dal radicale «mulcternum», ossia «luogo dove si fa il latte, dove si munge l’armento e si coagula il latte». Il latte con cui viene prodotto il Canestrato proviene da allevamenti ovini e caprini di 47 comuni della provincia di Potenza e 14 della provincia di Matera. Un territorio vasto e ricco di pascoli, dove le greggi trovano essenze erbacee pregiate e dove la sapienza dei pastori affonda le sue origini nella civiltà contadina della Magna Grecia. Il Canestrato di Moliterno Igp si ottiene da latte intero crudo o termizzato nei periodi più caldi dell’anno. Il latte di pecora deve essere in quantità non inferiore al 70% e non superiore al 90% e quello di capra non inferiore al 10% e non superiore al 30%. La tecnica di caseificazione prevede che il latte non caseificato entro le due ore venga refrigerato e comunque trasformato entro le 48 ore successive. La coagulazione del latte deve essere ottenuta ad una temperatura compresa tra 36 e 40°C, entro 30 minuti dall’aggiunta del caglio di agnello o di capretto. La cagliata va rotta fino ad ottenere grumi delle dimensioni

daci») che danno il nome anche all’unica Indicazione geografica tipica (Igp) lattiero-casearia della Basilicata riconosciuta dal 2005. Il fondaco è un ambiente molto fresco e ben areato dove vari fattori contribuiscono alla formazione del microclima ideale per questo prodotto, rendendolo unico e apprezzato.

di un chicco di riso. Dopo pochi minuti di riposo, viene estratta dal siero e posta in canestro di giunco (detto «fuscella») da cui l’appellativo Canestrato. Alla messa in forma segue la salatura a secco entro 12-24 ore. L’asciugatura è effettuata nel tempo massimo di 15 giorni. Durante la stagionatura, che dura almeno 30 giorni, il Pecorino viene asciugato, ripulito e rivoltato e può essere trattato con olio in superficie. A seconda della durata del periodo di stagionatura il Canestrato viene classificato come «primitivo» (fino a 6 mesi), «stagionato» (da 6 a 12 mesi), «extra» (oltre i 12 mesi).

COME RICONOSCERLO A pasta dura uniforme, il Canestrato di Moliterno Stagionato in Fondaco Igp è di colore giallo paglierino e presenta un sapore piccante, forte e aromatico, che diventa via via più intenso con il progredire della stagionatura.

Consorzio di tutela del Pecorino Canestrato di Moliterno stagionato in fondaco Presidente: Antonio Pugliese Via Roma - Moliterno (PZ) Tel. e fax +39 0975 668061 www.pecorinodimoliterno.com naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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richiesta dop in corso

oliva infornata di ferrandina Golosita per tutti i palati

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Denominazione

Oliva infornata di Ferrandina

Riconoscimenti

Presidio Slow Food; è stata inoltrata la richiesta al Ministero per la Dop

Zona di produzione

In provincia di Matera: Accettura, Aliano, Cirigliano, Ferrandina, Gorgoglione, Salandra, San Mauro Forte, Stigliano

Cultivar

Maiatica


richiesta dop in corso

L’Oliva infornata di Ferrandina, già riconosciuta Presidio Slow Food, è caratterizzata da una particolare e complessa tecnica di produzione di cui si hanno testimonianze scritte risalenti al 1700. Attualmente per la cottura delle olive quasi nessuno usa più i forni a legna che sono stati abbandonati a partire dal 1910 e progressivamente sostituiti da essiccatoi ad aria calda

che inizialmente provenivano dalla Germania e solo in seguito furono costruiti a Napoli sul modello tedesco. Questa modernizzazione permise in breve tempo ai produttori locali di intrecciare rapporti d’affari non solo con le regioni limitrofe ma addirittura con le Americhe, dove arrivarono a spedire ingenti quantità di olive infornate.

LA PRODUZIONE

COME RICONOSCERLE

Sono le olive della varietà Maiatica a dare origine all’Oliva infornata di Ferrandina, per la quale è stata avviata la richiesta di Denominazione di origine controllata. Nella Collina Materana l’olivo copre oltre l’80% della superficie coltivabile e la cultivar qui più diffusa è proprio la Maiatica, che nei terreni argillosi di questa parte della valle del Basento trova condizioni climatiche favorevoli che conferiscono sia all’olio extravergine ricavato dai suoi frutti, sia alle olive «infornate» caratteristiche qualità organolettiche. In particolare nella sola zona di Ferrandina rappresenta il 20% della produzione totale del territorio della provincia di Matera. Metà di questa percentuale viene destinata all’essiccazione. La Maiatica ha frutti piuttosto grandi, con il nocciolo piccolo rispetto alla massa della polpa. Questa caratteristica è fondamentale per un’infornatura ideale, che richiede olive a maturazione piena, consistenti e di grandi dimensioni. Dopo la raccolta le olive vengono appassite per una settimana su ripiani di legno. In seguito vengono scottate in acqua bollente per pochi minuti, poi scolate, salate e condite con origano e finocchio selvatico. Trascorso qualche giorno si passa «all’infornata», ossia alla cottura negli essiccatoi a temperatura moderata, di circa 50°C. Ripetuta due volte, la cottura esalta quella naturale sapidità delle olive, mantenendo la dolcezza della Maiatica.

Le olive infornate di Ferrandina sono nere e coniugano sapidità e dolcezza. Si conservano in recipienti di terracotta e vengono vendute sfuse o confezionate. Si possono consumare da sole, così come sono, o tradizionalmente condite con olio extravergine di oliva, ovviamente di Maiatica, aglio fresco a pezzetti e scorze di arancia e limone grattugiate. Si accompagnano magnificamente ai salumi e ai formaggi lucani, in particolare ai pecorini stagionati, ma anche all’insalata di arance o al baccalà in umido.

Olio extravergine di oliva Maiatica L’oliva Maiatica si presta non solo alla mensa, ma anche all’estrazione di olio extravergine di oliva, è cioè a duplice attitudine. Gli olivi di questa varietà sono esclusivi di questo areale: non esistono né nel Bacino del Mediterraneo né nel resto del mondo. Per l’olio extravergine che ne deriva è stata avviata la richiesta di Denominazione di origine protetta, eccezionalmente con la menzione «Maiatica» grazie all’esclusività del suo areale che permette un’eccezione (non si potrebbe infatti utilizzare il nome della varietà). Il disciplinare prevede che l’olio extravergine di oliva «Maiatica» Dop venga ottenuto dalla frangitura delle olive di questa varietà per il 70% e per il restante 30% delle varietà Coratina, Augellina, Justa, Leccino, Frantoio, Ogliarola, da sole o congiuntamente. L’olio si presenta di colore verde con riflessi gialli; ha odore fruttato di oliva, da leggero a medio con note erbacee. è leggermente amaro e piccante e le due componenti sono tra loro equilibrate. L’area di produzione è in parte sovrapposta a quella dell’oliva infornata di Ferrandina e comprende 15 comuni (Accettura, Aliano, Calciano, Cirigliano, Craco, Ferrandina, Garaguso, Gorgoglione, Oliveto Lucano, Salandra, San Mauro Forte, Stigliano, in provincia di Matera; Gallicchio, Missanello, Sant’Arcangelo in provincia di Potenza).

Presidio Oliva infornata di Ferrandina c/o Gal Le Macine Referente: Angela Ciliberti Tel. +39 0835 675270 info@lemacine.com naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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richiesta IGP in corso

MArroncino di melfi La nuova stagione della castagna

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richiesta IGP in corso

Denominazione

Avviata la richiesta al Ministero per l’Igp Marroncino di Melfi

Zona di produzione

Atella, Barile, Melfi, Rapolla, Rionero in Vulture in provincia di Potenza

Il 29 settembre, festività degli Arcangeli Michele, Raffaele e Gabriele, i contadini del Vulture si davano appuntamento per raccogliere nei boschi, intorno all’antico vulcano spento, la castagna chiamata «settembrina» o «bianca».

Quella castagna autoctona è oggi conosciuta come Marroncino di Melfi e circa la sua introduzione si fanno diverse ipotesi: l’arrivo con le invasioni dei Saraceni oppure con il rientro dalla Crociate dell’imperatore normanno Federico II di Svevia.

LA PRODUZIONE La castanicoltura ha costituito da sempre per il comprensorio del Vulture una importantissima fonte alimentare: in tempi di carestia, infatti, le castagne venivano messe ad essiccare al sole per poi ricavarne una farina con cui si impastavano la pasta e il pane di castagna (il «pane nero») con cui i contadini più poveri sostituivano il pane di semola. La castanicoltura ha subito un grave regresso a partire dall’ultimo dopoguerra, perché molti giovani hanno progressivamente abbandonato l’agricoltura e la raccolta dei frutti dei boschi, ma anche per l’effetto devastante del cancro corticale del castagno. Da qualche anno, grazie al contenimento di questa fitopatia e alla sempre maggiore richiesta di prodotti derivanti dalla castanicoltura, il settore sta vivendo una lenta ripresa. Nuova linfa potrà arrivare proprio dal Marroncino di Melfi, candidato per l’Indicazione geografica protetta (Igp). I comuni maggiormente interessati dal riconoscimento comunitario sono quelli di Melfi, Atella, Barile, Rapolla e Rionero in Vulture, per una superficie di circa 1.490 ettari, 900 dei

quali destinati a castagno da frutto. I castagneti più rigogliosi si trovano nel comune di Melfi, lungo una fascia che per alcuni chilometri si estende tra le località «Il Nucelleto» e «Giumentari».

COME RICONOSCERLO Il Marroncino di Melfi ha una forma tondeggiante, simmetrica, una dimensione medio-grande e un colore marrone lucido con evidenti striature e per le sue caratteristiche organolettiche e di pezzatura è molto ricercata per la produzione dei marrons-glacés. Si raccoglie nei mesi di settembre e ottobre. Il Marroncino di Melfi è noto con il nome di «varola», derivante dal termine dialettale del recipiente bucherellato che serve per arrostirlo e che dà anche il nome a una delle feste enogastronomiche più longeve della Basilica - la Sagra della Varola, appunto - che si celebra fin dal 1960 a Melfi. È in questa occasione, nella penultima domenica di ottobre di ogni anno, che si possono degustare prodotti di ogni tipo, dal pane alla pasta, dai dolci al gelato, tutti a base di castagna.

Associazione dei produttori e trasformatori per la valorizzazione e tutela del Marroncino Melfi Presidente: Antonio Ciola c/o Comune di Melfi Piazza Pasquale Festa Campanile - Melfi (PZ) Tel. +39 0972 251111 naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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richiesta IGP in corso

lucanica di picerno La salsiccia che fa gola all’Italia

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richiesta IGP in corso

Denominazione

Avviata richiesta al Ministero per l’Igp Lucanica di Picerno

Zona di produzione

Avigliano, Balvano, Baragiano, Bella, Brienza, Castelgrande, Filiano, Muro Lucano, Pescopagano, Picerno, Rapone, Ruoti, Sasso di Castalda, San Fele, Sant’Angelo Le Fratte, Satriano di Lucania, Savoia di Lucania, Tito, Vietri di Potenza in provincia di Potenza

Ricca di pascoli, boschi di querce, castagni e faggi, la zona del Marmo Platano Melandro è il territorio della Basilicata a maggiore vocazione zootecnica. Qui è nato un prodotto di cui si parlava già in epoca Romana: la Lucanica. Marco Terenzio Varrone, nel I secolo a.C., nell’opera «De Lingua Latina» la descriveva come «una carne tritata, insaccata in un budello, che i nostri soldati hanno imparato a preparare dai lucani». Nello stesso periodo anche Cicerone ne parlava con enfasi, descrivendo gli ingredienti usati dai lucani per preparare la «luganica». Apicio, nel trattato «De re coquinaria», elencava i «condimenti» che assieme a del-

LA PRODUZIONE I centri di produzione della Lucanica sono ubicati sulle montagne di Avigliano e Muro Lucano e soprattutto nel Melandro. Il fulcro rappresentativo dal punto di vista delle produzioni di carni e salumi è Picerno, dove un gruppo di produttori - con l’ausilio della Camera di Commercio di Potenza e dell’Università degli Studi della Basilicata - ha costituito di recente il Consorzio della Lucanica di Picerno, produzione per la quale è stato richiesto al Ministero delle Politiche Agricole il marchio Igp. Diversi gli obiettivi: veicolare meglio i prodotti nel mercato globale, intercettare finanziamenti atti alla promozione del prodotto e dell’area di produzione, accedere a sistemi di distribuzione moderna e qualificata, intensificare le azioni di promozione del prodotto con la partecipazione ad eventi fieristici nazionali e internazionali La Lucanica è una salsiccia ottenuta da carni di animali nati, allevati e macellati in Italia, aventi le caratteristiche del suino pesante italiano di peso pari a 160 kg e di età non inferiore a 9 mesi. Si utilizzano i migliori tagli di suino tra cui la spalla disossata, la pancetta, la punta di filetto e il trito di prosciutto, e il composto viene così

la «carne ben macinata» e ad «abbondante quantità di grasso» riempivano «un budello lungo e molto sottile che si sospenderà così al fumo». Da allora, il termine «Lucanica» è diventato praticamente un sinonimo di salsiccia, e pur se il suo nome fuga ogni dubbio, molte località del Nord Italia hanno conteso la paternità di questo prodotto alla Basilicata, terra che ha sempre riservato particolari attenzioni all’allevamento suino. Ne sono testimonianza detti popolari, poesie e numerosi toponimi che richiamano non solo lo stretto legame tra animale, bosco di querce e tradizioni, ma anche il maiale quale fonte insostituibile di provviste alimentari.

insaccato in budelli naturali di suino. L’aroma principale che dà sapore a questo prodotto è quello dei semi di finocchio selvatico, ma al suo interno si possono trovare anche altre spezie come il pepe e, nella versione piccante, il peperoncino. Ha una caratteristica forma ad «U», un peso che varia dai 250 ai 500 grammi e una lunghezza che va dai 40 ai 70 centimetri. Dopo la preparazione, la Lucanica è sottoposta alla fase dell’asciugatura - che dura dai 2 ai 7 giorni - e, in seguito, a quella della stagionatura, che dura almeno 21 giorni. Si può commercializzare sfusa (secca, sott’olio o sotto sugna) o confezionata sottovuoto, intera, in tranci o affettata. Tutte le operazioni di confezionamento, compresa la porzionatura, devono avvenire esclusivamente nella zona di produzione del prodotto.

COME RICONOSCERLA La Lucanica è una salsiccia preparata con tagli di suino lavorati a punta di coltello, conciati con semi di finocchio selvatico e peperone rosso dolce in polvere. Il sapore è deciso, sapido e piccante se è stato aggiunto peperoncino.

Consorzio Lucanica di Picerno Presidente: Giovanni Lettieri Piazza Plebiscito - Picerno (PZ) Tel. +39 0971 991003 - Fax +39 0971 991667

naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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certificazione territoriale

cavolfiore della valle dell’ofanto Il principe di minestre e zuppe tipiche

Denominazione

Cavolfiore della Valle dell’Ofanto, marchio collettivo. Certificazione territoriale

Zona di produzione

I comuni adiacenti al corso del fiume Ofanto, che comprende parte delle province di Potenza, Foggia e Bari. I comuni della provincia di Potenza sono: Lavello, Melfi, Montemilone, Venosa

Era dagli anni Venti che nelle campagne della Valle dell’Ofanto, sul confine tra la Puglia e il Vulture AltoBradano, non si vedevano i cavolfiori. La coltura di quest’ortaggio, infatti, era stata abbandonata perché

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richiedeva molta manodopera ed era difficile, allora, arrivare ai mercati di riferimento. Oggi le cose sono cambiate, la coltivazione del Cavolfiore della Valle dell’Ofanto ha ripreso slancio.


certificazione territoriale

produttori. Strategie nuove, insomma, per una coltura storica - presente già nei ricettari romani di Apicio - e da sempre al centro della cucina contadina come di quella nobile per la sua versatilità e le sue qualità nutrizionali. Oggi la disponibilità sui mercati è estesa a un periodo di 8 mesi, grazie al calendario di produzione che sfrutta le diversità tra le varietà per la lunghezza del ciclo di sviluppo (da 70 a 230 giorni dal trapianto, in base alle caratteristiche genetiche). Secondo il disciplinare di produzione, le varietà di cavolfiore devono essere scelte tra quelle principalmente coltivate nella zona Ofantina tutte con infiorescenze di colore bianco o leggermente paglierino. La raccolta inizia a ottobre per le cultivar precoci e termina a maggio per quelle molto tardive e deve essere effettuata manualmente. Attualmente la produzione di cavolfiore è regolata da un marchio collettivo e da un disciplinare di produzione a cui gli agricoltori devono attenersi e c’è l’intenzione di inoltrare la richiesta al Ministero delle Politiche Agricole per l’ottenimento dell’Igp, l’Indicazione geografica protetta. Sarebbe il giusto riconoscimento per un prodotto così importante nella storia dell’alimentazione e dell’agricoltura di questo areale della Basilicata, oggi molto richiesto sui mercati extraregionali.

COME RICONOSCERLO Nella cucina contadina lucana era facile trovare il cavolfiore in inverno nelle minestre e nelle zuppe cosiddette «maritate» (per il perfetto abbinamento tra diversi ingredienti); nell’Aviglianese accompagnava la Carchiola, una focaccia non lievitata a base di farina di mais, una sorta di «pane dei poveri» secco. Insieme al soffritto di lardo, aglio e peperoncino, il cavolfiore esaltava anche le sue qualità terapeutiche per combattere i malanni della stagione invernale.

LA PRODUZIONE Il Cavolfiore della Valle dell’Ofanto è coltivato in tre province: una della Basilicata e due della Puglia. La parte lucana interessata è composta da quattro comuni della provincia di Potenza già rinomati per altre produzioni di eccellenza: Lavello, Melfi, Montemilone e Venosa. È qui che il Cavolfiore della Valle dell’Ofanto ha trovato delle condizioni di terreno e clima ottimali per raggiungere elevati livelli qualitativi a cui contribuisce anche l’abilità professionale degli operatori che hanno pensato bene di aggregarsi in cooperative e organizzazioni di

Consorzio Mensa Sobria Via Giovanni Robbe, 67 - Lavello (PZ) Tel. e fax +39 0972 86377 info@mensasobria.com www.mensasobria.com naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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certificazione territoriale

MIELE LUCANO La dolcezza si fa in quattro (e piu...)

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certificazione territoriale

Denominazione

Miele lucano certificazione territoriale

Zona di produzione

Intero territorio regionale

Tipologia

Millefiori, Arancio, Castagno, Eucalipto

Mai come negli ultimi anni l’opinione pubblica europea si è resa conto della straordinaria importanza ambientale delle api, la cui morìa fa riflettere sulla qualità dell’ambiente in cui viviamo. La biodiversità

della Basilicata, caratterizzata da una enorme varietà di specie mellifere e pollinifere, rende la regione una piccola isola felice, favorendo un’ottima e abbondante produzione di miele.

LA PRODUZIONE In base a dati del 2006 dell’Osservatorio della produzione e del mercato del miele, la Basilicata si piazza al decimo posto in Italia. In particolare, il settore apistico lucano conta 47.000 alveari che producono più di 5.000 quintali di miele, per un valore economico di 660.000 euro. Le 500 aziende iscritte all’Albo regionale degli apicoltori perpetuano un’antica tradizione che contribuisce al rispetto e alla tutela dell’ambiente, producendo un alimento gradito da diverse fasce di consumatori. L’apicoltura vanta una tradizione antichissima, testimoniata anche da alcuni ritrovamenti archeologici; il reperto più noto è la famosa corona d’oro di Armento, che fece parte della collezione di Carolina Bonaparte, raffigurante un tema floreale con api ronzanti tra i rami. Il risultato dell’instancabile lavorio delle api, in Basilicata, si traduce nella Carta dei Mieli lucani. Realizzata dal Consorzio di tutela e valorizzazione del Miele lucano, comprende 15 tipologie diverse: di acacia, di agrumi, di sulla, fino a quelli più rari di edera e biancospino. I mieli millefiori, di arancio, di castagno e di eucalipto sono stati inseriti nel disciplinare di produzione del Miele lucano, che ha intrapreso l’iter procedurale per ottenere l’Indicazione geografica protetta (Igp).

COME RICONOSCERLO Il miele millefiori è caratterizzato da un colore chiaro, che spazia dal bianco all’ambra, e da profumi e sapori variabili dal delicato al mediamente intenso, con essenze caramellate o fruttate. Il miele d’arancio si produce prevalentemente nel Metapontino. Ha un odore intenso che ricorda il profumo fragrante dei fiori di zagara. Il miele di castagno si presenta con un colore scuro ambrato con tonalità rossiccio-verdastre; il sapore è molto intenso, leggermente amarognolo; il profumo è forte, persistente e pungente, tale da ricordare l’odore del legno bagnato. La produzione si concentra nell’area del Vulture-Melfese. Infine, il miele di eucalipto si presenta con sfumature che vanno dall’ambrato scuro al beige grigiastro. Il sapore è dolce, con un aroma caratteristico che ricorda la liquirizia, e ha un profumo inconfondibile, che varia da sentori che ricordano i funghi secchi al caramello.

Consorzio regionale di tutela e valorizzazione del Miele Lucano Presidente: Franco Rondinella Via Giambattista Rossi - Ripacandida (PZ) Tel. e fax +39 0972 645404 info@mielelucano.it www.mielelucano.it naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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certificazione territoriale

cacioricotta LUCANO Fior di capra ad alto gradimento

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certificazione territoriale

Denominazione

Cacioricotta lucano certificazione territoriale

Zona di produzione

Basilicata

Caratteristiche

Formaggio a pasta dura ottenuto prevalentemente con latte intero di capre autoctone o loro incroci con altre razze presenti e stabilizzate sul territorio (Garganica, Maltese, Jonica e Camosciata)

Nasce dall’esigenza di dare continuità alla caseificazione anche nei mesi estivi quando le pecore vanno in «asciutta», cioè rallentano e sospendono la produzione di latte. Ecco che in questo periodo dell’anno i pastori utilizzavano latte di pecora e di capra misto o solo di capra.

LA PRODUZIONE Il linguista ed etnografo zurighese Paul Scheuermeier, ne «Il lavoro dei contadini», fa riferimento al glottologo tedesco Gerhard Rohlfs che nel 1923 aveva rilevato come in Lucania fosse prodotto «un particolare tipo di formaggio chiamato cacioricotta», oggi diffuso anche nelle altre regioni meridionali. Il Cacioricotta Lucano, tuttavia, tende ora a distinguersi commercialmente. Annoverato tra i prodotti agroalimentari tradizionali, sta ottenendo un crescente apprezzamento fra i consumatori sui mercati extraregionali. In Basilicata si stima una produzione di 10.000 quintali all’anno, con un fatturato di circa 8 milioni di euro: numeri che sono destinati a crescere, se si pensa che la Basilicata è tra le prime regioni d’Italia per quantità di caprini allevati. Un prodotto al centro di un’opera di salvaguardia: nel 2007 è nata un’Associazione per la Tutela e la Valorizzazione, che riunisce una decina di allevatori e caseificatori e che lavora per ottenere la denominazione di origine protetta. Dal punto di vista tecnico, il Cacioricotta Lucano è un formaggio a pasta dura, ottenuto con latte intero di capre autoctone (o di loro incroci con altre razze presenti e stabilizzate sul territorio) in quantità non inferiore all’80% e da una percentuale di latte ovino o bovino non superiore al 20%, proveniente da allevamenti ubicati nell’intero territorio della Basilicata, con animali che devono nutrirsi al pascolo e con foraggi freschi di qualità prodotti in regione. L’integrazione è consentita solo con fieni, granella e leguminose provenienti per almeno il 70% dalla stessa area. Il latte destinato alla caseificazione deve essere intero e provenire da una o due mungiture giornaliere. La lavorazione, infine, deve essere eseguita al massimo entro 48 ore dalla mungitura. Le strutture di trasformazione impegnate in Basilicata nella produzione di Cacioricotta comprendono 49 caseifici, di cui 29 in provincia di Potenza e 20 in quella di Matera. Uno degli àmbiti da sviluppare è la commer-

Deve il suo nome «Cacioricotta» alla particolare tecnica di lavorazione: grazie alla temperatura del latte prossima all’ebollizione, nella cagliata vengono inglobate sia la caseina del latte che le sieroproteine che di solito dopo la coagulazione della caseina rimangono nel siero e danno origine poi alla ricotta.

cializzazione: oggi è possibile, infatti, acquistare questa specialità presso le aziende zootecniche e di frequente solo su ordinazione.

COME RICONOSCERLO Il Cacioricotta Lucano presenta una forma cilindrica, con la superficie esterna rigata di colore bianco-grigio e una pasta compatta, priva di occhiature. Il sapore è leggermente acidulo e può tendere al piccante. È particolarmente appetibile sia fresco che stagionato, adatto ad accompagnare tanti piatti tipici tradizionali. Spesso grattugiato a grosse scaglie accompagna le paste e le insalate. Si sposa con gli «strascinati» (pasta fresca fatta di farina di semola di grano duro e acqua, poi tagliata a cilindretti che vengono «strascinati» su una superficie ruvida intagliata e allargati) che siano conditi con semplice sugo di pomodoro o con un elaborato ragù lucano, oppure con croccante mollica di pane di grano duro soffritta insieme ai peperoni secchi a pezzi. Accompagna egregiamente i funghi cardoncelli, il tutto condito con succo di limone e olio extravergine di oliva e un pizzico di un pizzico di «puljo» (menta calamita), spezia tipica della montagna lucana. Ma il Cacioricotta Lucano può essere degustato anche da solo: da provare la degustazione con i vari tipi di Miele Lucano. Si taglia prima in fette rotonde e poi in spicchi triangolari. Inutile sottolinearlo forse, l’abbinamento ideale di questi piatti è con vini rossi strutturati, primo fra tutti l’Aglianico del Vulture Doc.

Associazione di tutela e valorizzazione del Cacioricotta Lucano Presidente: Giovanni Samela c/o AASD Pantano di Pignola Contrada Pantano - Pignola (PZ) Tel. e fax +39 0971 482000 naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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certificazione territoriale

agnello delle dolomiti lucane Dalle Dolomiti alle tavole carni certificate per il consumatore

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Denominazione

Agnello delle Dolomiti Lucane certificazione territoriale

Zona di produzione

Tutto il territorio regionale

Razze

Agnelli nati da pecore e arieti di razza derivata Merinos (Merinizzata, Gentile, Sopravvisana)


certificazione territoriale

In Basilicata il settore ovi-caprino ricopre da sempre un ruolo centrale nella zootecnia. Rilevante l’importanza economica e sociale: ad oggi si contano circa 120.000 capi ovi-caprini e oltre 1.100 aziende. L’agnello delle Dolomiti Lucane prende il nome da uno dei luoghi più suggestivi dell’intera regione, caratterizzato da alte guglie e che fa parte di un complesso montuoso risalente a 15 milioni di anni fa. La carne che si ottiene da razza derivata Merinos rappresenta una delle produzioni emergenti da poco inserita nel «paniere» Basilicata nella filiera zootecnica.

LA PRODUZIONE Tutto è nato da un progetto ideato e promosso dal Gruppo di azione locale (Gal) «Basento Camastra» a seguito di un protocollo d’intesa siglato da vari enti, fra i quali la Regione Basilicata e le Comunità montane «Alto Basento» e «Camastra Alto Sauro». «L’Agnello delle Dolomiti Lucane» è così diventato un marchio geografico collettivo che dall’inizio del 2008 tutela gli agnelli nati da pecore e arieti di razza Merinizzata, Gentile e Sopravvisana e allevati nei territori dei 55 comuni montani dell’intera regione. Il marchio rende l’Agnello delle Dolomiti Lucane ben identificabile attraverso la tracciabilità e la certificazione garantendo il consumatore finale. Sono 18 le aziende rappresentative interessate alla certificazione. Secondo il disciplinare di produzione la macellazione degli agnelli può essere effettuata in due diverse età del capo (a 45 e a 100 giorni) e deve avvenire all’interno del territorio della Basilicata, evitando stress elevati agli animali nelle fasi di trasporto, carico e scarico. L’intento del marchio collettivo d’area è quello di sostenere un settore, quello ovi-caprino, che si distingue per la qualità delle carni ma che al momento sta attraversando un periodo difficile a causa dei prezzi poco remunerativi e della difficoltà di commercializzare il prodotto carne. L’obiettivo finale del progetto è valorizzare questa tipologia di agnello e dare un’ottima visibilità al comparto sia sui mercati regionali che nazionali.

COME RICONOSCERLO

Cooperativa Edere Lucanum Presidente: Vita Guglielmi c/o Gal Basento Camastra Via del Gallitello, 86 - Potenza Tel. e fax +39 0971 508029 info@galbasentocamastra.it

Le carni dell’Agnello delle Dolomiti Lucane devono la loro prelibatezza alla ricchezza dei pascoli montani; per questo l’allevamento delle pecore, secondo il disciplinare, deve essere effettuato prevalentemente allo stato brado, con ricovero solo nel periodo invernale e nel corso della notte. Tra le ricette lucane più note segnaliamo l’agnello alle erbe e le costolette di agnello al forno con verdure. naturale, tipico, ma soprattutto lucano

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«ORIZZONTI LUCANI»

il tipico al centro del marketing territoriale Con «Orizzonti lucani» i prodotti tipici diventano i soggetti di iniziative per fare «girare» in Italia e nel mondo la notorietà della Basilicata. In primo piano i suoi profumi e i suoi sapori inconfondibili, sullo sfondo incantevole e altamente distintivo dei suoi paesaggi. Questa l’originalità del marchio ombrello promosso a settembre 2008 dalla Regione Basilicata e che per la prima volta ha riunito le cinque filiere dell’agroalimentare lucano (vitivinicoltura, olivicoltura, cerealicoltura, ortofrutticoltura e zootecnia). Nato per iniziativa delle Associazioni Allevatori e del Dipartimento Regionale Agricoltura e Sviluppo Rurale, «Orizzonti lucani» si caratterizza per il logo rappresentato da una vivace girandola di golosità. Un marchio che ha contrassegnato il successo della prima edizione Festa del gusto meridiano a Matera, dal 26 al 28 settembre scorso, e che accompagnerà tutte le iniziative di valorizzazione e promozione delle produzioni agroalimentari di pregio della Basilicata. Si intende costruire un modello di sviluppo agricolo regionale forte, competitivo e diversificato che faccia leva sul connubio tra la particolare configurazione geografica e le peculiarità storico-sociali per puntare, in primo luogo, su un modello di agricoltura in grado di valorizzare la diversità della Basilicata. L’attenzione del Dipartimento Agricoltura della Regione è rivolta, quindi, a quei sistemi capaci di elevare gli standard qualitativi mantenendo inalterate le differenziazio-

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ni, creando ricchezza e rilanciando il tessuto sociale delle campagne nel perseguire lo sviluppo di particolari e inimitabili identità territoriali. «Orizzonti lucani» punta a diventare, insomma, la bandiera di una Basilicata compatta negli intenti. Partendo dalla considerazione che è ormai urgente fare sistema tra i vari comparti e adeguarsi ai nuovi scenari nazionali ed internazionali in rapido mutamento. La Regione desidera attivare un circolo virtuoso che consenta di programmare le produzioni, ottenere eccellenza e collocare sui mercati più adatti i prodotti agricoli e della zootecnia, utilizzando i prodotti anche per far conoscere il territorio in cui sono stati ottenuti. «Orizzonti lucani» dipinge la Basilicata come un’unica fattoria per tutte le produzioni di eccellenza, organizzate in diverse filiere agroalimentari. Per dare visibilità a ciascun attore di questo contesto è stato approntato un fitto programma di appuntamenti nazionali ed internazionali, nell’ambito di una visione che è stata condivisa da istituzioni, organizzazioni professionali e da diversi attori del comparto. La partecipazione del Dipartimento Agricoltura della Regione Basilicata ai maggiori eventi internazionali di settore, con una struttura espositiva ad hoc, contribuirà a dare valore aggiunto al progetto e permetterà di esaltare il binomio tra territorio e produzioni tipiche, per attrarre gli operatori particolarmente attenti alla qualità e i consumatori più attenti nelle scelte.



Redazione e realizzazione a cura della rivista


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