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Ottobre 2018 Numero Speciale
Le 15 menzogne del biologico. Un’analisi agronomica
SOMMARIO Prima Menzogna ........................ 5 Seconda Menzogna .................... 6 Terza Menzogna ......................... 8 Quarta Menzogna ...................... 9
Alberto Guidorzi Agronomo. Diplomato all' Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni presso la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l'Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell'agricoltura francese che italiana.
Luigi Mariani Docente di Storia dell' Agricoltura Università degli Studi di MilanoDisaa, condirettore del Museo Lombardo di Storia dell'Agricoltura di Sant'Angelo Lodigiano. E' stato anche Docente di Agrometeorologia e Agronomia nello stesso Ateneo e Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia.
Quinta Menzogna....................... 10 Sesta Menzogna ......................... 13 Settima Menzogna ..................... 15 Ottava Menzogna ....................... 20 Nona Menzogna ......................... 21 Decima Menzogna...................... 22 Undicesima Menzogna .............. 23 Dodicesima Menzogna ............... 25 Tredicesima Menzogna .............. 27 Quattordicesima Menzogna ....... 28 Quindicesima Menzogna ............ 29
Intervista a Norman Borlaug ….16
LE 15 MENZOGNE DEL BIOLOGICO. UN’ANALISI AGRONOMICA A. Guidorzi, L. Mariani
"Odo spesso la gente lamentarsi ora dell’attuale sterilità dei campi, ora dell’attuale inclemenza delle stagioni che ormai va danneggiando i frutti della terra; c’è chi poi vuol attenuare in certo modo queste lamentele con l’assegnare al fatto una ragione precisa e dice che, stanco e isterilito dalle eccessive produzioni del passato, il terreno non può più offrirci i suoi frutti come nel passato” Columella, prima metà del I sec. d.C.
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on passa giorno che i media non imputino ai residui di fitofarmaci le malattie più disparate. Colpa del glyphosate sarebbero l’autismo, la sindrome dell’intestino permeabile, l’obesità, la celiachia, il cancro….e tutto perché troviamo 7 parti per miliardo di glyphosate nel pane (che, tanto per avere un ordine di grandezza equivalgono a quel che sono 7 secondi su 250 anni!). E’ la soluzione al supposto problema starebbe nel “Mangiare prodotti biologici”, come dicono le lobby del bio-business, molte fondazioni, le ONG e una pletora di guru degli strumenti di marketing, impegnati a inventare nuovi metodi per fare molta cresta su prodotti che non pagano a sufficienza i produttori raddoppiandone e triplicandone il prezzo di mercato. Vedremo qui di analizzare alcuni dei luoghi comuni che vengono sparsi a piene mani nella collettività facendo leva sulle paure (morte, malattie,ecc.) e sugli odi (odio per la tecnologia perché impedirebbe il ritorno ad una vita paradisiaca condotta in sintonia con i ritmi della natura) che in essa covano da millenni. 4
PRIMA MENZOGNA Gli agricoltori convenzionali non rispettano il terreno e le colture mentre gli agricoltori bio lo fanno.
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’ideologia del “mancato rispetto del terreno da parte dell’agricoltura tecnologica” trova la sua sintesi nelle affermazioni di Carlo Petrini secondo cui i concimi di sintesi avvelenano il terreno e lo rendono sterile, affermazioni che per la loro bestialità ci spingono a domandarci come abbia potuto l’Università di Palermo insignire un simile soggetto di una laurea honoris causa in scienze agrarie che è motivo di disonore per tutti gli agronomi. Infatti se i concimi di sintesi rendessero il terreno sterile come potrebbe spiegarsi il fatto che la produzione italiana media per ettaro di mais è oggi di 90 q per ettaro (dato del 2009) contro i 14 q che si ottenevano nel 1921 e cioè prima dell’avvento dei concimi di sintesi stessi? Chi fa agricoltura per campare dev’essere professionale e quindi sa bene che il terreno agrario non è nato com’è ora, ma si è formato perché l’uomo agricoltore ne ha avuto cura e rispetto nei secoli, a partire da quando l’agricoltura è giunta in Italia 6 millenni orsono. D’altronde è insito nell’esperienza atavica che un terreno argilloso troppo ricco d’acqua ove calpestato diventa improduttivo per alcuni anni. Gli agricoltori di pianura conoscono poco il fenomeno dell’erosione in quanto i loro terreni sono profondi, ma nelle zone montane sono molti più i terreni di ridotto spessore, che per effetto dell’erosione idrica o eolica sono soggetti alla perdita dello strato superficiale di terreno agrario fertile. Ebbene in questi casi la non lavorazione, il non rivoltamento e la copertura erbacea del suolo anche durante la cattiva stagione sono obbligatorie per rispettare del terreno. Solo che ciò è diventato possibile proprio grazie all’uso di diserbanti totali. Quindi dato che nel biologico non si possono usare, l’unica soluzione che rimane è quella di distruggere le erbe infestanti infossandole con l’aratro o rimuovendole assieme al terreno con sarchiatrici, ma ciò è proprio l’esatto contrario del rispetto del terreno coltivabile, in quanto così facendo si perde umidità e sostanza organica; inoltre l’azione diserbante non è com-
pleta (e tantomeno lo è se si usa il pirodiserbo) e si favorisce la diffusione delle malerbe rizomatose o stolonifere, frammentandone i fusti. Inoltre in annate piovose il rischio di non poter intervenire in modo tempestivo o di danneggiare la struttura del terreno intervenendo su terreni troppo bagnati è elevatissimo (si veda il caso del mais, in cui la sarchiatura è possibile solo fra 4 e 9 foglie (in un arco di tempo di 10-15 giorni) e se non si interviene le coltivazioni vengono “sommerse” dalle malerbe con conseguente crollo delle produzioni per la competizione che le malerbe esercitano per luce, acqua nutrienti. Circa poi l’idea secondo cui gli agricoltori convenzionali non rispetterebbero le colture, essa trova una sintesi ideale nell’affermazione della signora Maria Giulia Crespi secondo cui “le piante coltivate con metodo biodinamico sono più contente”. A fronte di tali gratuite affermazioni quel che diciamo noi è che rispettare le colture significa anzitutto evitare di affamarle lesinando in concimi o di “farle ammalare” non difendendole da malerbe, insetti e crittogame. Tale comportamento è controproducente non solo perché la produzione si riduce in modo sensibilissimo ma anche perché piante coltivate in condizioni di stress ci ripagano con un maggiore ricchezza in fattori antinutrizionali o in sostanze tossiche e cancerogene sviluppate allo scopo di combattere i loro nemici (tema di cui tratteremo in una successiva puntata di questo post). In sintesi a nostro avviso è proprio un’agricoltura aperta all’innovazione tecnologica e che sfrutti al meglio le innovazioni nel settori della genetica e delle tecniche colturali (l’esatto contrario del credo Bio) a garantirci quel rispetto per il terreno e le colture che consente al buon imprenditore agricolo di massimizzare in quantità è qualità la propria produzione.
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SECONDA MENZOGNA La natura pro-
duce sostanze buone per l’uomo mentre le sostanze di sintesi sono “cattive”.
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peggiori veleni esistenti in natura sono presenti nelle piante. Si pensi ad esempio ai terribili veleni presenti in Conium maculatum, in Scilla maritima o in Atropa belladonna. O tutti gli antinutrizionali presenti nella fabacee e nelle apiacee di cui l’uomo ha dovuto disfarsi per poterle mangiare. Questi veleni, a cui afferiscono sostanze che la scienza della nutrizione decanta come sostanze salutari (es. polifenoli, antiossidanti), sono sintetizzati dalle piante da milioni di anni per colpire i loro nemici mortali e cioè gli animali erbivori e fra questi l’uomo. E’ interessante a questo riguardo notare che le sostane velenose prodotte dai vegetali, a differenza dei fitofarmaci sintetizzati dall’uomo e Cicuta maggiore (Conium maculatum): è che sono fatti apposta passata alla storia per essere stata la per colpire o le catene metaboliche dei vegetali, bevanda mortale di Socrate. o il modo di nutrirsi degli insetti e dosati un funzione del loro peso corporeo, infinitesimo rispetto all’uomo, non fanno americani mangino circa 1,5 g di fitofarmaci nessuna distinzione tra esseri viventi; sono naturali per persona al giorno, che è circa tutti considerati “nemici da combattere, Se10.000 volte più di quanto ingeriscono in fatto condo Bruce Ames (classe 1928 - professore di residui di fitofarmaci sintetici" (Ames, emerito di Biologia e biochimica all’università 1990). della California Berkeley ) ogni pianta produce Inoltre, Ames stima che consumiamo ogni alcune dozzine di tossine, alcune delle quali giorno da 5.000 a 10.000 diversi pesticidi (con una dose abbastanza alta) sarebbero naturali, molti dei quali causano il cancro tossiche per gli esseri umani. Il cavolo produquando vengono testati in animali da laborace almeno 49 fitofarmaci noti. Data l'ubiquità torio. dei fitofarmaci naturali, Ames stima che "gli
“In natura vi sono i veleni più terribili in piante come la scilla marittima (Scilla maritima L.), l’oleandro (Nerium oleander L.), la cicuta (Conium maculatum L.), la vite bianca (Bryonia dioica L.), la belladonna (Atropa belladonna L.), ecc. Infine in Europa la purissima (perché perfettamente rispondente ai canoni del biologico) agricoltura del medioevo causava migliaia di morti per un’intossicazione alimentare prodotta dalla Claviceps purpurea - fungo parassita dei cereali - e nota come ergotismo (piaga oggi sradicata anche grazie all’uso degli anticrittogamici per la concia delle sementi)”. https://agrariansciences.blogspot.com/2015/04/riuscira-l-agricoltura-di-slow-food.html
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Le 15 menzogne del biologico
A. Guidorzi, L. Mariani
Rappresentazione della Mandragora da Tacuinum Sanitatis, la peculiare biforcazione della radice insieme alle proprietà anestetiche della pianta hanno contribuito a far attribuire alla mandragora poteri sovrannaturali in molte tradizioni popolari.
Ma lasciamo parlare Ames: "agenti che risultano cancerogeni su roditori sono presenti nei seguenti alimenti: anice, mela, albicocca, banana, basilico, broccoli, cavolini di Bruxelles, cavoli, melone, carvi, carote, cavolfiori, sedano, ciliegie, cannella, chiodi di garofano, cacao, caffè, cavolo, erba aromatica, ribes, aneto, melanzana, indivia, finocchio, succo di pompelmo, uva, guava, miele, melone, rafano, cavoli, lenticchie, lattuga, mango, funghi, senape, noce moscata, succo d'arancia, prezzemolo, pastinaca, pesca, pera, piselli, pepe nero, ananas, prugna, patate, ravanelli, lamponi, rosmarino, semi di sesamo, dragoncello, tè, pomodoro e rapa. E’ probabile che quasi ogni frutto e verdura contenga pesticidi vegetali naturali che sono cancerogeni per i roditori. ( nota: i topi, non potendo evidentemente cuocere i fagioli, non si azzardano ad addentare fagioli crudi, appunto per i contenuti in antinutrizionali e antitripsici qui contenuti) I livelli di queste sostanze cancerogene naturali sono comunemente migliaia di volte superiori ai livelli dei pesticidi sintetici." Una sintesi “operativa” di tali concetti è stata di recente fatta da Alex Berezow (2017): “Cucini il tuo cibo? Questo produce anche tossine che causano il cancro. Ti piace il caffè? È una tazza bollente di agenti cancerogeni per i roditori.( nota: nel caffè tostato vi sono circa 3000 sostanze diverse, di cui solo 1000 sono state testate da un punto di vista tossicologico). Occorre tener presente che per ogni terribile pesticida sintetico che l'uomo ha creato, Madre Natura ha creato qualcosa di peggio che probabilmente ognuno di noi mangia regolarmente. Tuttavia, se insisti ancora a eliminare tutti i pesticidi dalla tua dieta, c'è una cosa che puoi fare: smettere di
“Naturale ma oltremodo insalubre è il ceppo di E. coli O104, produttore di tossine che ha dato 54 morti e 10.000 ricoveri ospedalieri in Germania nel 2011 per cibi (germogli di fieno greco) che provenivano da una filiera di agricoltura biologica”.
mangiare”. Nel suo lavoro Ames (voce Bruce Ames, Wikipedia, 2017; Ames e Gold, 2000) si è costantemente preoccupato del fatto che un'attenzione eccessiva per gli effetti sulla salute relativamente minori di tracce di agenti cancerogeni potesse allontanare le scarse risorse finanziarie per la ricerca sui rischi più concreti per la salute e causare confusione nell’opinione pubblica sull'importanza relativa dei diversi rischi, proprio quello che oggi sta accadendo in modo sempre più massiccio. In tal senso Ames si è sempre considerato uno dei principali "contrari all'isteria per le minuscole tracce di sostanze chimiche che possono o meno causare il cancro", ed ha dichiarato che "se si hanno migliaia di rischi ipotetici a cui si dovrebbe prestare attenzione, ciò distoglie l’attenzione dai principali rischi da cui ci si dovrebbe proteggere.” Il problema sollevato da Ames lo viviamo tutti i giorni in agricoltura quando osserviamo che l’opinione pubblica viene ad arte spaventata per la concia delle sementi, che per difendere i semi delle piante coltivate usa 50 g di principio attivo per ettaro evitando così almeno uno o due irrorazioni a pieno campo con quantità di prodotto venti volte maggiori. Ma gli agricoltori biologici non difendono i loro raccolti? Certo che lo fanno ed usano o hanno usato prodotti che è falso definire naturali mentre si tratta di prodotti di sintesi e non anodini.
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TERZA MENZOGNA Gli agricoltori
convenzionali sommergono di “pesticidi” il loro terreno e le loro coltivazioni.
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i è una terminologia usata ad arte per impressionare il consumatore. I termini devono far paura ed impressionare negativamente, ecco che allora si usano termini come: contaminazione, tossico, veleno; vocaboli che vanno a formare frasi come queste: i terreni “rigurgitano di veleni” o “sono imbibiti di pesticidi”, quando invece occorre che si sappia che le quantità di principio attivo fitofarmaceutico sono un volume pari ad una lattina di coca cola diluito in 300/400 litri d’acqua e distribuiti su 10.000 mq. Oggigiorno per i prodotti fitofarmaceutici più evoluti si parla di quantità dell’ordine di qualche decina di grammi per ettaro. Oggi poi le macchine irroratrici sono gestite da appositi software, agiscono ad altissima pressione (si chiamano atomizzatori) e possono distribuire con precisione piccolissime quantità di soluzione. Circa la tossicità su cui tanto si insiste si deve sapere che non esiste più nessun fitofarmaco acutamente tossico per l’uomo come lo erano quelli di 40 o 50 anni fa. Inoltre si parla di frutta e verdura “contaminata” quando invece si tratta di residui tutti ben al disotto del limite massimo per il quale la sostanza è ritenuta innocua, limite che è fissato in modo molto prudenziale (tramite analisi di laboratorio da cui si ricava la NOAEL (No Observed Adverse Effect Level) e cioè la dose che non provoca effetti avversi osservabili sugli animali sottoposti ai test di laboratorio. Dividendo poi la NOAEL per un fattore tra 100 e 1000 si ottiene la ADI e cioè la quantità di sostanza, espressa in mg per kg di peso corporeo, assumibile quotidianamente per l’intero arco di vita dell’individuo senza che si manifestino effetti tossici.
Si usa, al fine di terrorizzare, espressamente il vocabolo “pesticida” e non quello di fitofarmaco. Lo si è mutuato dall’inglese dove, però, ha un significato molto diverso da quello che il prefisso “pest” ha per noi. Infatti noi parliamo di pestilenza, ma nella lingua inglese si è ben lontani dall’evocare un’epidemia di peste con
tale termine in quanto ”pest” sta per “parassita” (che in quanto distruttivo per i raccolti e dunque “pest” – dal latino pestis viene combattuto con prodotti atti allo scopo e cioè i “pesticides”).
QUARTA MENZOGNA Gli organismi pubblici preposti alle autorizzazioni di messa in commercio dei fitofarmaci sono al soldo delle industrie chimiche e non li verificano in termini di sicurezza per l’uomo.
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videntemente gli uomini di questi organismi sono dei professionisti e come tali nella loro attività possono avere collaborato con l’industria (non c’è università che non cerchi finanziamenti da industrie), ma ciò non vuol dire che non sia possibile verificare i dossier di approvazione che hanno firmato. No, questi lobbisti basta che trovino un piccolo accostamento, che li definiscono “pagati” senza verificare se la loro opera prestata nell’organismo di approvazione è stata condotta con onestà intellettuale e perizia scientifica. Il fatto poi che il prodotto sia valutato anche (ma non solo) sulla base di studi condotti dall’industria stessa non deve scandalizzare, perché partendo da dati non elaborati (che spesso sono il frutto di sperimentazioni decennali) e sempre possibile valutarli autonomamente e verificare la scientificità o meno dei risultati. Inoltre esiste sempre un post-controllo dopo la messa in commercio che verifica se nulla è sfuggito. La recente valutazione fatta sul rame usato anche in biologico e che ha portato provvisoriamente ad un solo anno di riomologazione dell’elemento è stata fatta unicamente sulla base di documenti dei produttori di prodotti cuprici. Si vorrebbe che tutti i dossier fossero resi pubblici ma in certi studi vi sono parti sensibili in fatto di segreto industriale e che quindi non possono andare in mano alla concorrenza, rendendo lo studio non divulgabile, ma totalmente visibile agli organi addetti alle omologazioni in quanto si sono impegnati alla non divulgazione. A Berlino è stata appena presentata la lista di 7000 sostanze usabili in biologico e compatibili con i dettami UE (Imageline, 2018). Ora questa miriade di prodotti per l'agricoltura biologica ben pochi sono sottoposti a indagini obbligatorie e a certificazioni, perciò è piuttosto difficile, se non impossibile, per gli agricoltori biologici
sapere se un prodotto contiene solo sostanze autorizzate. Con questo sistema anche i residui non sono valutati. Per i fitofarmaci dell’agricoltura convenzionale invece deve essere richiesta una “autorizzazione di messa in commercio” e ciò fa scattare automaticamente l’obbligo di una valutazione tossicologica (con fissazione dell’ADI), di impatto ambientale e un postcontrollo dopo la messa in commercio. Ora il costo per far approvare una nuova molecola fitofarmaceutica, a causa di tutti gli studi e indagini che sono oggi richiesti, è diventato superiore a quanto si spende per la scoperta, lo sviluppo e l’omologazione di un tratto genetico OGM che tra il 2008 ed 2012 è stato di 136 milioni di $ (McDougall, 2011). Questi rincari potrebbero alla lunga privare gli agricoltori dei fitofarmaci necessari per difendere le colture da parassiti, patogeni e malerbe e ciò in quanto i prodotti “vecchi” finiscono via via fuori commercio sia perché i requisiti richiesti sono sempre più stringenti sia perché la selezione naturale produce inevitabilmente lo sviluppo di forme resistenti di parassiti/ patogeni/malerbe.
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QUINTA MENZOGNA L’agricoltura
biologica non usa pesticidi e se lo fa si tratta di prodotti a blando effetto o anodini o ancora di prodotti usati in piccole quantità.
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i tratta di una menzogna su cui punta moltissimo il marketing dei produttori bio e delle catene di distribuzione di prodotti bio. Per rendere palese la menzogna citeremo 13 prodotti usati nell’agricoltura biologica riferendone la DL50 (tossicità acuta) e cioè la dose che uccide il 50% degli animali di laboratorio che sono ad essa esposti, essa è espressa in mg per kg di peso vivo dell’individuo (si ricorda che più alto è il dato di DL50 e minore è la tossicità acuta) e useremo come termine di paragone il famigerato Glyphosate, la cui DL50 è superiore a 5000 mg/kg di peso vivo¹: Boro: in biologico è usato come concime e presenta una DL50 di 560 mg/kg, ben 10 volte superiore al famigerato glyphosate acido acetico è usato come diserbante in miscela con sale e sapone. Tale miscela ha una DL₅₀ compresa tra 3000 (sale) e 3350 (aceto) mg/kg, cioè un po’ meno del doppio del glyphosate in fatto di tossicità acuta solfato di rame: è un prodotto di sintesi (e dunque a rigor di logica non naturale) usato come fungicida. Ha una DL50 di 300 mg/kg ed è dunque 20 volte più tossico del glyphosate. A titolo di ulteriore esempio delle enormi contraddizioni su cui si sviluppa il settore del biologico si segnala che in biologico è bandito il fungicida mancozeb, che pure ha una DL50 di 11.200 mg/kg (esattamente la metà del glyphosate), e questo solo perché è un prodotto di sintesi. Si noti poi che sulle confezioni di poltiglia bordolese si legge “nociva se inalata, provoca gravi lesioni oculari, è molto tossica per lunga durata per gli organismi acquatici ”. Inoltre del rame non sono mai stati studiati gli effetti sulle api. Il rame poi è un metallo pesante che persiste nel suolo per tempi indefiniti e che valori nei suoli europei di 1301280 mg/kg sono segnalati in bibliografia (Wightwick et al., 2008) con danni per l’ambiente e la biodiversità (Van Zwieten et al., 2007) Piretrine: sono usate come insetticidi in biologico. Si tratta di un vasto gruppo di molecole contenute in una specie di crisantemo e mai testate singolarmente sull’uomo. Esse hanno una DL₅₀ che va da 200 a 2600 mg/kg, ossia da il doppio a 30 volte maggiore del glyphosate. Vi è di più: le piretrine sono tossiche per le api e nel 1999 l’agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (EPA) le ha dichiarate cancerogene. Acqua ossigenata: è usata come disinfettante generalizzato. Ha DL50 simile a quella del Glyphosate (5000 mg/kg). Le stesse guide pratiche per l’uso dicono che non si deve
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spargere in ambienti frequentati da insetti pronubi perché letale a concentrazioni elevate. Si noti che si tratta dello stesso problema attribuito agli insetticidi della classe dei neonicotinoidi, che gli agricoltori usano nella concia delle sementi non frequentate dalle api e che, una volta diffusesi nelle piante provenienti dalle sementi trattate, manifestano dosi diluite al punto da essere inoffensive. Polisolfuro di Calcio: altamente caustico e con DL50 di 820 mg/kg (qui). Anche questo è a rigore un prodotto di sintesi perché si fanno reagire gli acidi formati dallo zolfo con un ossido di Calcio; inoltre lo zolfo oggi usato proviene dalla desolforazione del petrolio e quindi come tale non naturale ma frutto di reazioni chimiche guidate dall’uomo. Rotenone: con DL50 di 132 mg/kg è un potente uccisore di api oltre che un perturbatore endocrino. Dato che in biologico non vengono testati i residui il consumatore è all’oscuro delle quantità ingerite. Solfato di nicotina: ha una tossicità per l’uomo elevatissima (DL50 è di 50 mg/kg) in quanto neurotossico. Azaridactina: insetticida dichiarato relativamente poco tossico per l’uomo (DL50 di 34505000 mg/kg e quindi tossica quanto o addirittura il doppio del gliphosate ) ma è tossica per molte forme di vita acquatica (Barnabò, 2017; Lencioni et al., 2016, Lencioni, 2017) e inoltre uno studio ha mostrato che sciroppi contaminati con azaridactina a livello di 10.87 microgrammi/ml di sciroppo provocano la morte di api adulte e più ancora le larve di operaie che non sopportano dosi di 100.13 nanogrammi/ml (Peng et al., 2000). Un altro studio parla di cancerogenicità ed un successivo di lesioni al fegato e ai polmoni nei ratti (Rosenkranz HS and Klopman G, 1995; Rahman MF and Siddiqui MK., 2004).
Le 15 menzogne del biologico Spinosad: insetticida relativamente poco tossico per l’uomo (DL50 di 2000-5000 g/kg) ma tossico per le api. Sulla confezione è scritto “altamente tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata.” Bromuro di metile: fumigante ammesso in biologico. E’ molto tossico per l’uomo presentando una DL50 di 214 mg/kg e inoltre necessita di specialisti per essere usato misture estemporanee incontrollate (qui) . Olio di citronella, olio di eucalipto ed estratti d’aglio. Delle prove in laboratorio nelle quali si sono alimentati degli insetti, comprese le api, con queste sostanze, la mortalità è risultata compresa fra il 42 e il 60%, valori simili a quelli ottenuti alimentando le api con soluzioni zuccherate contenenti neonicotinoidi; la differenza è che nel primo caso si continuano ad usare in biologico, mentre nel secondo caso pur sapendo che le prove non rispecchiavano le condizioni di campo sono stati sospesi tre neonicotinoidi per tre anni ed ora si parla di radiazione degli stessi.
A. Guidorzi, L. Mariani Vogliamo anche precisare che i fitofarmaci a base di rame possono essere ancora oggi una soluzione interessante come prodotti di copertura. Tuttavia è farne l’uso massiccio che se ne fa in biologico altro è farne l’uso limitato che se ne fa nell’agricoltura convenzionale, ove sono disponibili svariate alternative costituite in particolare da prodotti sistemici che hanno un importante effetto preventivo e curativo. E’ bene a questo punto precisare che delle 13 sostanze sopra elencate, alcune sono interdette dall’uso in biologico in Francia ed in Italia come ad esempio il Rotenone (usato fino al 2011), il solfato di nicotina e il Bromuro di metile; tuttavia rimangono utilizzabili in altri paesi con cui abbiamo, però, degli accordi di reciproca accettazione della certificazione biologica. Questi accordi ci concernono eccome, perché si deve sapere che il consumo del biologico in Europa è per il 75% importato e quindi se anche “chiudiamo la porta”, il consumatore biologico si vede “rientrare le molecole dalla finestra”. Alla luce di ciò sarebbe bene che il lettore neutrale sapesse che i lobbisti del biologico raccontano bugie. Certo, le sanno raccontare bene ed hanno potenti alleati nei media, i quali ben sanno che “le paure si vendono a scatola chiusa”.
Sempre a proposito di rame ricordiamo che esiste una vasta bibliografia che ne attesta la tossicità ambientale. In particolare elevate Al riguardo occorre rimarcare che se fosse abolito il glyphosate per concentrazioni di rame sono tossiche e possono causare ridotta la sua tossicità e si usasse lo stesso metro per i “pesticidi” usati in attività biologica nei suoli con perdita di fertilità (Dumestre et al., biologico, dalla cancellazione non se ne salverebbe nessuno, lascian1999). I residui di rame riducono la biomassa microbica e le micorrido così l’agricoltura biologica alla mercé dei parassiti (funghi, insetti, ze (Graham et al., 1986, Kong 1995, Liao et al., 2003), riducono acari, ecc.). E allora come farebbero i produttori biologici ad esibire l'attività microbica (Bogomolov et al. 1996; Merrington et al., 2002) sul mercato mele che sembrano quelle di Biancaneve sul tipo di e influenzano negativamente la mesofauna (Böckl et al., 1998). Dati quelle in figura 1? prodotti da Thrupp (1991)evidenziano che l'applicazione di alte quantità di poltiglia bordolese (con tenori in rame nel suolo tra 20 e 4000 mg di kg-1) sono associate ad aree ad alto contenuto di sostanza organica nelle ex piantagioni di banano in Costa Rica e in tali aree si manifesta fitotossicità sulle colture successive. Inoltre Alva et al., (2000) hanno osservato che a basso pH del terreno il rame resta legato alla frazione organica mentre con l'aumento del pH la fitotossicità diviene palese. I terreni che contengono residui di rame significativi hanno pochi lombrichi (Van Rhee, 1967). Inoltre una forte correlazione è stata osservata tra la concentrazione di rame nel terreno e il livello di rame nei tessuti di lombrichi (Ma et al., 1983; Morgan e Morgan 1988; Beyer et al., 1982). Figura 1 – Immagini di mele BIO tratte dal sito di un noto produttore nazionale. Il marchio è stato Infine i lombrichi mostrano risposte volutamente cancellato. Senza l’uso di “pesticidi” sarebbe stato possibile ottenere mele tanto belle? tossiche subletali a concentrazioni relativamente basse di rame (9-16 mg kg⁻¹) (Helling et al., 2000; Kula et al., 1997). Circa poi la tossicità del rame per l’uomo segnaliamo la rewiew di Husak (2015), il quale segnala fra l’altro che i fitofarmaci a base di rame appaiono responsabili di vari affetti avversi alla salute umana ivi inclusi differenti tipi di tumore, malattie degenerative e svariati disordini immunitari, ematologici, neurologici e riproduttivi (Pertile et al., 2009). Inoltre il rame appare associato a malattie neurodegenerative quali la sclerosi laterale amiotropica, il morbo di Alzheimer, l’encelopatia spongiforme (Strausak et al.,2001).
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QUINTA MENZOGNA Le mele non trattate sarebbero invece del tutto simili a quelle ripotate in figura 2 e sarebbero prontamente rifiutate dagli acquirenti di prodotti Bio. Su quanto sopra detto invitiamo a riflettere su articoli del tipo di quello pubblicato su LA STAMPA del 30 novembre 2017 a firma di Silvia Toscano “Due settimane di dieta bio, e i pesticidi nell’organismo spariscono - Finale col botto dell’esperimento organizzato da Federbio e Cambialaterra.it: 15 giorni di dieta a pesticidi zero bastano a cancellare le alte concentrazioni di insetticidi e glifosato riscontrate nelle urine di una normale famiglia italiana”. Il fatto che dopo 15 giorni non si trovino più tracce di Glyphosate dimostra che il prodotto (peraltro sempre in dosi ben al disotto della soglia di innocuità, il che nell’articolo non viene in alcun modo precisato), viene eliminato con rapidità con le urine per cui l’interazione con l’organismo umano è oltremodo ridotta, mentre nell’articolo tale evidenza viene assunta come prova del fatto che se passi ad una dieta bio non avrai più residui di fitofarmaci nel tuo organismo. Peccato però che le analisi non abbiano riguardato il rame o ad altri prodotti usati in biologico ed elencati nella lista sopra riportata. Un’ulteriore riflessione alla luce di quanto sopra meritano le pubblicità di “Natura si” in cui si vedono vecchie foto di agricoltori muniti di dispositivi di protezione individuale che distribuiscono fitofarmaci sulle colture. Tali foto configurano un suo del tutto demagogico dell’immagine fotografica e qualcosa del genere accade con la foto in figura 3, tratta dal succitato articolo di Silvia Toscano. E’ a nostro
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Figura 2 – Mele non trattate attaccate da Carpocapsa pomonella, il cui bruco dovrebbe essere graditissimo agli amanti del bio. avviso corretto parlare di uso demagogico delle immagini in quanto: la foto in figura 3 si riferisce non alla normale condizione operativa agricola ma a un campo sperimentale, ove i fitofarmaci distribuiti sono da parcella a parcella non può essere svolta con dei trattori a cabina pressurizzata. “Natura si” e “La stampa” si guardano bene dal presentare immagini che illustrano la distribuzione di fitofarmaci su colture bio, cosa che accade molto più di frequente di quanto il comune cittadino possa immaginare.
SESTA MENZOGNA Il bio è naturale, l’agricoltura convenzionale no.
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uanto si abusa del vocabolo “natura e dell’aggettivo “naturale”! L’agricoltura è naturale in quanto l’uomo è parte della natura ed in tal senso l’agricoltura è “natura migliorata dall’uomo” e non “natura senza la presenza dell’uomo”. Più nello specifico occorre guardare all’agricoltura
mente potrà essere percepito come innaturale il fatto che nei campi coltivati sia idealmente presente una sola specie (frumento, mais, riso, patata, fagiolo, ecc.) mentre le altre sono combattute come “infestanti”, il che porta a una rilevantissima perdita di biodiversità che tuttavia viene compensata dal fatto che la biodiversità
"Les hommes oublieux opposent aujourd’hui ce qu’ils appellent le vin naturel au vin artificiel, les créations de la nature aux combinaisons de la chimie. Il n’y a pas
de vin naturel ; il n’y a pas de froment naturel. Le pain et le vin sont un produit du génie de l’homme. La nature elle-même est un merveilleux artifice humain" Jean Jaurès , La Houille et le blé, la Petite République, 31 juillet 1901.
come alla simbiosi mutualistica fra uomo da un lato e piante colture coltivate e animali domestici dall’altro. Tale simbiosi si manifesta nel fatto che piante ed animali sono protetti dall’uomo che ne garantisce la sopravvivenza e la diffusio
può conservarsi nei territori non coltivati, territori che possono conservarsi proprio grazie dall’elevata produttività che si raggiunge nei campi coltivati.
ne. Potrà infatti sembrare strano agli animalisti ma se non vi fossero gli allevatori le razze di bestiame selezionate per millenni dall’uomo scomparirebbero in men che non si dica così come stanno scomparendo le razze equine da tiro e quelle canine da caccia. Analoga-
In tal senso giova riflettere sul fatto che da circa 50 anni l’estensione globale degli arativi destinati alle grandi commodities (mais, frumento, riso, soia, sorgo, ecc.) che nutrono il mondo è ferma a
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Le 15 menzogne del biologico
A. Guidorzi, L. Mariani L
1,5 miliardi di ettari e ciò proprio grazie all’innovazione tecnologica che ha permesso di incrementare la produzione su superfici stazionarie, salvaguardando così foreste e praterie, che sarebbero invece messe a repentaglio proprio dalla scelta BIO, che riducendo al 50% la produttività spingerebbe al raddoppio delle superfici degli arativi (Burney et al., 2010). Peraltro la “naturalità agricola” (che in termini tecnici è poi quell’ecosistema antropizzato noto come agro-ecosistema) accompagna la nostra specie fin dalla rivoluzione neolitica, avvenuta a partire da circa 10000 anni orsono e che ci ha portato a quel “salto di qualità” da cui sono discese specializzazione del lavoro, città, religione, cultura, istituzione, ecc., in una parola tutto quel che noi oggi chiamiamo “civiltà”. Stupisce pertanto che si debba esser qui a spiegare cose tanto elementari e che dovrebbero far parte della nostra cultura più profonda. Inoltre la rivoluzione neolitica (Mariani, 2017) ha coinvolto tutti i continenti tranne l’Australia e l’Antartide e quindi gran parte delle popolazioni della Terra hanno modificato la natura che le circondava, addomesticando piante ed animali e modificando l’uso del suolo. La devozione alla “natura”, trasformata in religione, oltre che deprecabile sul piano etico, porta a scelte irrazionali di cui si riportano alcuni esempi. Nell’ambito dei fungicidi è meglio usare il mancozeb invece del solfato di rame? BIO si esprime senza alcun dubbio a favore del solfato di rame (esemplare in tal senso è il linguaggio minaccioso di questo articolo di Repubblica “Può uccidere ma tutti lo usano Mancozeb, un veleno legale” il che è irragionevole stante la tossicità acuta nettamente inferiore del mancozeb. Al riguardo si veda la
Effetti sulla salute umana
Ecotossicità
tabella qui sotto da cui emerge una verità scomoda.
•
che senso hanno in termini di compatibilità ambientale le migliaia di ettari persi, laddove persiste tra l’altro la fame, per coltivare (peraltro usando sistemi propri dell’agricoltura convenzionale) i crisantemi necessari per ricavare piretrine, e ciò solo per onorare la scelta ideologica di rifiutare il piretroidi, che sono gli analoghi di sintesi delle molecole naturali;
•
che senso ha il tabù ecologista che spinge a bandire le biotecnologie che oggi sarebbero in grado di incrementare in modo sensibile la compatibilità ambientale dell’agricoltura riducendo sensibilmente il ricorso alla chimica per la difesa delle colture?
•
a parole Bio non rifiuta l’agricoltura conservativa e tuttavia nei fatti ne è un fiero avversario nel senso che rifiuta i diserbanti (Glyphosate e altri) che consentono di eseguire le classiche pratiche dell’agricoltura conservativa e cioè le semine su sodo e il minimum tillage.
Mancozeb
Rame
DL50*
>5000 mg/kg
50 mg/kg
Classe EPA
non tossico
corrosivo e tossico
Effetti sulla salute
non tossico per via orale
danni ai reni e al fegato
lombrichi
bassa
elevata
uccelli
bassa
moderata
piccoli mammiferi
Non tossico
pericoloso
DT50** nel terreno
6-15 giorni
Non degradabile
Tabella – Confronto fra gli effetti del Mancozeb e del rame su uomo e ambiente. Fonte: Zvonko Pacanoski Z., 2009. The Myth of Organic Agriculture, Plant Protect. Sci. Vol. 45, 2009, No. 2: 39–48 . (*) DL50= dose letale per il 50% degli individui a essa esposti. (**) DT50= indicatore di persistenza nel suolo (più e basso e meno il prodotto persiste).
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SETTIMA MENZOGNA Si può nutrire il mondo ritornando alle tecnologie agricole in uso prima della rivoluzione verde.
M
olti seguaci del biologico affermano che si potrebbe comunque alimentare l’intera popolazione mondiale rinunciando alle varietà moderne, ai fitofarmaci moderni e ai concimi di
sintesi. L’affermazione è basata su una equazione di cui non si è mai verificata la soluzione: si dice che se anche l’agricoltura biologica applicata al 100% dell’agricoltura facesse diminuire del 40% la produzione (e grazie a Dio lo ammettono!) sarebbe sufficiente eliminare gli sprechi per colmare la differenza e riempire i granai con minori produzioni. A ben vedere la soluzione è già stata verificata come impossibile nel vicino passato. Se guardiamo ad esempio al 1960, allora si produceva 1/3 di quanto si produce oggi e il 40% della popolazione mondiale era al di sotto della soglia di sufficienza alimentare contro il 10% odierno. La drastica riduzione dei sottonutriti si deve al contenimento delle perdite dovute agli eventi atmosferici avversi e agli attacchi parassitari, contenimento ottenuto, guarda caso, grazie alla massiccia applicazione dei metodi dell’agricoltura convenzionale. Passare al biologico significherebbe rinunciare alle proteine ottenute grazie ai concimi di sintesi (urea, ammoniaca, ecc.) ottenuti a partire dall’azoto atmosferico, i quali coprono oggi il 40% del fabbisogno di proteine dell’umanità (Smil, 2001). Tale inesauribile fonte d’azoto consente di accrescere le rese delle colture in due modi (Crew e Peoples, 2004): 1.
aumentando la disponibilità di proteine strutturali e di enzimi (si pensi ad esempio la Rubisco che come accettore dell’anidride carbonica essenziale per il processo di fotosintesi è la proteina più diffusa in natura)
2.
permettendo all’agricoltore di operare piani di rotazione meno rigidi e di espandere l’uso di specie più produttive
come il mais (si pensi ad esempio che un ettaro di silomais produce un numero di unità foraggere che è triplo rispetto a quello di un prato – 21000 contro 7000 - consentendo così di triplicare il numero di bovini o suini allevati per unità di superficie) (Omodeo, 2007). Rinunciare all’azoto atmosferico significherebbe rinunciare a tali vantaggi, con una “cura da cavallo” i cui risultati sarebbero a nostro avviso disastrosi. Per coprire il deficit di azoto si renderebbe quantomeno necessario raddoppiare la produzione delle proteaginose il che comporterebbe la necessità di dissodare enormi estensioni oggi a bosco o a prateria, il che non ci pare certo una soluzione ecologicamente sostenibile. A ciò si assocerebbero soluzioni che possiamo definire “fasciste”, come quella di far diventare tutti vegani ovvero di abbandonare i tradizionali animali domestici (ovi-caprini, bovini, suini, avi-cunicoli) in favore degli insetti. Poi vi sono le soluzioni neo-malthusiane che propugnano la diminuzione demografica del pianeta. Domanda? Chi si arrogherà il diritto di decidere da chi o da che cosa si deve cominciare? Al riguardo preghiamo i lettori di notare che le soluzioni proposte passano invariabilmente attraverso misure draconiane che scardinano i principi delle economie di mercato in nome di un bene superiore come la salvezza del pianeta o una maggiore salubrità. Il problema è tuttavia che in passato ogni qualvolta lo Stato si è sostituito al mercato (si pensi ad esempio al calmiere di cui parla Manzoni al capitolo 12 dei Promessi Sposi o alle collettivizzazioni operate dai regimi comunisti in Russia, Cina e Cambogia) il risultato non è stato certo un incremento della felicità delle masse ma innumerevoli morti per fame, il che dovrebbe renderci più che mai prudenti prima di inoltrarci su tali strade adottando ricette che oggi in troppi propongono a cuor leggero .
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Intervista al premio Nobel padre della "rivoluzione verde" sul futuro della ricerca genetica, chiamata a soddisfare i bisogni degli abitanti del globo che soffrono la fame. Antonio Saltini con Norman Borlaug all’Università di Bologna
Sulle soglie ormai dei novant’anni, Norman Borlaug, padre dei frumenti che hanno permesso la “rivoluzione verde”, per quell’impresa insignito del premio Nobel, è il decano dell’agricoltura mondiale. Nell’intero corso della storia umana nessun uomo poté mai vantare, come può vantare lui, di avere creato piante che consentono la vita di due miliardi di esseri umani.
Nonostante l’età, è ancora al centro dell’agone scientifico internazionale, e non manca mai di esprimere la preoccupazione, che lo agita e lo sospinge, per il pane e il riso necessari ai nove miliardi di abitanti che la Terra dovrà ospitare, per consenso unanime dei demografi, tra trent’anni. Quella preoccupazione lo ha condotto anche a Bologna, dove alcuni organismi scientifici hanno convocato, presso la Facoltà di Agraria, un’importante assise sulle prospettive della ricerca genetica. È durante una pausa dei lavori, grazie alla premura di Roberto Tuberosa, responsabile, per conto dell’Università di Bologna, del convegno, che ho potuto incontrarlo. Seduti al banco di un’aula deserta, Norman Borlaug non mi ha concesso una semplice intervista, ma si è immerso in una appassionante conversazione sulle prospettive degli equilibri alimentari del pianeta.
Antonio Saltini Già Docente di Storia dell'agricoltura all'Università di Milano, giornalista, storico delle scienze agrarie. Ha diretto la rivista mensile di agricoltura Genio Rurale ed è stato vicedirettore del settimanale, sempre di argomento agricolo, Terra e Vita. E' autore della Storia delle Scienze Agrarie opera in 7 volumi.
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Antonio Saltini
Intervista Norman Borlaug
Non di solo pane Professor Borlaug, è passato mezzo secolo da quando lei congegnò i frumenti che avrebbero permesso la “rivoluzione verde”. Da allora la popolazione del globo è raddoppiata, la produzione di cereali è triplicata, ma triplicarla non è stato sufficiente: un un miliardo di uomini soffre ancora la fame. Ritiene che fossero migliori allora, o che siano migliori adesso le condizioni per accrescere la produttività della terra?
«Non v’è dubbio che astrattamente le condizioni siano migliori oggi: le nostre conoscenze si sono enormemente accresciute, e con quelle conoscenze non sarebbe difficile accrescere le produzioni. Ma gli ostacoli all’impiego delle conoscenze sono immani: nei Paesi che mancano di cibo, l’America latina, l’Asia meridionale, l’Africa, diffondere cognizioni agronomiche è impossibile se parallelamente non si realizzino strade, scuole e ospedali. Ed è inutile produrre alimenti se il bracciante asiatico lavora solo due giorni alla settimana e non ha il denaro necessario a comprare il riso. Cina, India e Pakistan hanno realizzato aumenti di produzione prodigiosi, ma in quei Paesi si soffre ancora la fame, si muore di fame, siccome il cibo non è equamente distribuito. Esaminiamo il caso della Cina, oggi il primo produttore al mondo di frumento, il secondo di mais, che pure ha zone dove la fame è endemica: i responsabili del Paese spiegano che in quelle zone tutto il cibo necessario è difficile trasportarlo per mancanza di sistemi funzionali di comunicazione».
Non ritiene si debba riconoscere che negli anni Cinquanta sul pianeta v’erano milioni di ettari di foreste da convertire in arativi, fiumi immensi da sbarrare, lo stato dei terreni era eccellente, il consumo di fertilizzanti era irrisorio, mentre oggi non vogliamo sacrificare altre foreste, non ci sono fiumi per nuove immani dighe, tutti denunciano i danni dell’erosione e quelli della salinizzazione sulla fertilità, il consumo di fertilizzanti è già elevato, e voci autorevoli temono consumi ancora maggiori. Non sono tutte condizioni negative, che rendono più ardui progressi ulteriori? «Credo che le carenze idriche possano costituire un impedimento all’esercizio dell’agricoltura, nei prossimi trent’anni in alcune aree del pianeta, ma che il problema non sarà generale. L’erosione è un processo sempre operante, certamente grave nelle aree declivi, molto meno in quelle pianeggianti e la salinizzazione è stata la conseguenza di impianti di irrigazione che non prevedevano la necessità di dilavare il contenuto salino delle acque impiegate, ma oggi gli impianti si progettano con il complemento di reti drenanti. Certo, dove un governo vuole realizzare una rete drenante per vitare il pericolo su aree di antica irrigazione, gli agricoltori si oppongono all’arresto dell’erogazione necessario all’impianto della nuova rete: ma sappiamo come procedere. Il degrado dei suoli non è problema nuovo: quando iniziammo il nostro lavoro in Messico, a metà del secolo scorso, fummo costretti a renderci conto che operavamo su terreni impoveriti da millenni di coltivazione intensiva. Prima di Cortez quelle terre producevano mais tutti gli anni, e il mais impoverisce la terra. Per favorire la crescita delle piante il suolo non deve presentare anomalie chimiche e dev’essere dotato di tutte le sostanze necessarie. Fertilizzare un terreno è impresa complessa. Ricordiamo la storia del terreni acidi del Brasile, tanto acidi da essere considerati sterili: si pensò di correggere l’acidità con somministrazioni di calce, le piante crebbero, ma la calce aveva neutralizzato l’acidità dei primi venti centimetri, sotto il suolo era ancora acido e in condizioni di acidità diventa solubile l’alluminio, che risultava letale se le radici penetravano in profondità. Per coltivare quei terreni erano necessarie piante tolleranti l’alluminio, che solo la genetica può congegnare».
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Antonio Saltini
Intervista Norman Borlaug
Non di sola genetica La genetica è indispensabile, ma non è sufficiente, da sola, al progresso delle produzioni, deduco dalle parole del mio interlocutore. “Non lo è mai stata e lo sarà sempre meno ― conferma il professor Borlaug ―. La genetica stabilisce il potenziale delle colture, la quantità di carboidrati che le piante sono in grado di produrre nelle migliori condizioni ambientali, ma quella condizioni debbono essere assicurate da interventi agronomici. In India i primi frumenti selezionati elevavano le rese da una a due tonnellate per ettaro nei campi di tutti i coltivatori, di quattro o cinque in quelli dei più capaci, che avevano compreso le esigenze delle nuove piante. Ecco perché ripeto che non basta fare nuove sementi, ma che occorrono, insieme, strade e scuole: senza strade non si possono distribuire agli agricoltori i fertilizzanti necessari a ottenere produzioni elevate, senza scuole è difficile che quei coltivatori imparino come combinare le sementi con l’impiego dell’acqua e dei fertilizzanti.” La genetica resta, comunque, arguisco, il fattore capitale del progresso futuro “Senza dubbio ― conferma il mio interlocutore ― : sussiste l’imperativo categorico di produrre di più, e solo la genetica può mettere nelle nostre mani piante più produttive. E genetica significa, oggi, creazione di genotipi estrapolando geni favorevoli dalle fonti possibili e componendoli nelle combinazioni più favorevoli. Produrre di più e più razionalmente: pensiamo ai benefici dell’introduzione dei geni del Bacillus Thuringiensis nel genoma delle piante più esposte all’attacco degli insetti, quei risultati che si riassumono nella drastica riduzione delle irrorazioni di antiparassitari. Pensiamo ai vantaggi delle piante resistenti agli erbicidi: il sessanta per cento del cotone è coltivato, nel mondo, in aziende familiari, dove tutta la famiglia vive piegata penosamente sulla zappa. Le erbe infestanti nei climi equatoriali hanno un vigore prodigioso! Con un gene per la resistenza agli erbicidi si risparmia a milioni di uomini il più penoso dei lavori!” Come in Italia è stato possibile chiudere la tragica epopea delle mondine nelle risaie di Vercelli e Pavia, annoto. Ma, a combinare genetica e agronomia lei ritiene possibile, soggiungo, risolvere i problemi alimentari di tutte le regioni del mondo dove si soffre la fame, anche dell’Africa, il continente sul cui futuro non mancano le prognosi disperate? “Ricerche precise, finanziate, da una fondazione giapponese, hanno dimostrato quale immenso incremento sia possibile imprimere alle produzioni africane fondamentali, mais sorgo e manioca. Ma prima di tutto gli africani hanno bisogno, ripeto, di strade e scuole, strade per comunicare, per conoscersi, per dissolvere la paura reciproca che alimenta i conflitti tribali. Certo, le conseguenze positive non si vedranno in un anno, ma dobbiamo contare che non mancheranno.” E fino a quando potrà la genetica accrescere le produzioni, chiedo al mio interlocutore? Agronomi non privi di prestigio sostengono che le grandi specie agrarie sarebbero prossime, ormai, ai propri limiti biologici, oltre i quali non si potrebbe aumentare ancora. “Non v’è dubbio che limiti biologici sussistano ― riconosce Norman Boralug ― ma non possiamo dire di averli raggiunti. Certo, per superare i limiti già raggiunti dobbiamo usare i mezzi più raffinati della biologia molecolare. Senza sapere fino a dove ci sarà consentito progredire, ma fino a quando la crescita della popolazione non si arresti, dobbiamo continuare lo sforzo per progredire.”
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Antonio Saltini
Intervista Norman Borlaug
Contro la genetica La genetica, quindi, strumento indispensabile per nutrire l’umanità del futuro, ma contro la genetica si agitano forze prepotenti, soprattutto in Europa. Come spiega il fenomeno, e quali pensa possano esserne le conseguenze? “Quando, nel 1965, l’India dovette confrontarsi con la carestia più grave del passato recente, molte voci, nel gabinetto del primo ministro, erano contrarie all’introduzione delle sementi nuove sperimentate in Messico e in alcuni altri paesi. Indira Gandhi decise di importarle, e la quantità necessaria fu raccolta col contributo di paesi diversi. Per illustri luminari americani lo sforzo era inutile: la fame dell’India non si poteva sconfiggere. La carestia fu superata: tra la popolazione dell’India non sorse alcuna obiezione contro l‘impiego di quelle sementi. La gente sapeva cosa era la fame. In Europa, ma anche negli Stati Uniti, la resistenza contro le nuove creature della genetica è virulenta, ma è comprensibile: nessuno ricorda cosa sia la fame. C’è chi mi rimprovera di non avere risolto i problemi alimentari dell’India. Risolvere i problemi alimentari dell’India! Io chiedo semplicemente: ma senza i frumenti della Rivoluzione verde cosa sarebbe stato dell’India? Non sanno rispondere. L’umanità si moltiplica, ogni anno ottanta milioni di bocche in più chiedono pane e riso, dobbiamo pensare ad alimentare una popolazione di nove miliardi. Per farlo l’arma a nostra disposizione è la scienza, la genetica con l’agronomia. Capisco le paure: di fronte al cambiamento è naturale chiedersi perché cambiare, anche gli uomini politici, potessero, non affronterebbero mai i cambiamenti. Ma la popolazione cresce, dobbiamo cambiare. Il cambiamento necessario consiste anche nella nuova genetica.” Ma crede, insisto, che la politica saprà cambiare? Nel 1974 si celebrò a Roma la Conferenza mondiale sull’alimentazione, che proclamò la prossima eradicazione della fame: Cosa ha fatto la politica mondiale da allora? “Partecipai alla conferenza ―sorride il premio Nobel Borlaug ― e ricordo la riunione per la stesura del documento nella quale Henry Kissinger proclamò che entro cinque anni nessun bambino del pianeta sarebbe più andato a letto senza avere soddisfatto l’appetito. Una dichiarazione penosa: le dichiarazioni politiche, purtroppo, non alleviano la fame.”
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Le 15 menzogne del biologico
OTTAVA MENZOGNA L’uso dei fitofarmaci può essere superato grazie al biocontrollo dei parassiti.
A. Guidorzi, L. Mariani
I
l biocontrollo dei parassiti è una nonconquista del biologico, nel senso le prime applicazioni in Italia risalgono agli inizi del 900. Ad esempio nel 1906 Antonio Berlese introdusse e acclimatò dell’imenottero calcidoideo Prospaltella berlesei per il biocontrollo della cocciniglia bianca del Gelso Diaspis pentagona mentre Giacomo del Guercio introdusse nel 1923 un altro calcidoideo, l’Aphelinus mali, per il biocontrollo dell’afide lanigero del melo (Eryosoma lanigerum). Il biocontrollo non è comunque la panacea per tutti i mali, trattandosi di un’arma a doppio taglio e dunque da utilizzare con prudenza. Ad esempio quando si tentò di introdurre i nematodi entomopatogeni ci si accorse poi che questi invadevano anche i nidi del Bombus terrestris (impollinatore selvatico di molte specie fra cui il trifoglio violetto) ed anche le api erano a rischio. Altro esempio è quello della coccinella Adalia bipunctata che introdotta in Italia per combattere biologicamente gli afidi ha avuto una tale inaspettata proliferazione che l’insetto, svernando da adulto, ha invaso le nostre case, suscitando le ire di chi probabilmente è pronto a firmare per abolire i fitofarmaci. Ricordiamo inoltre che nel caso di predatori monofagi, le popolazioni sono
strettamente legate alla presenza della preda (legge di Lotka Volterra), per cui con la scomparsa la preda anche i predatori scompaiono e dunque debbono essere reintrodotti nell’ambiente al ricomparire del parassita. Tale fenomeno spesso limita la generalizzazione del biocontrollo che viene dunque limitato alle colture protette (coltivazioni in serra).
Adalia bipunctata sia la larva che l'adulto si nutrono di afidi. E' stata introdotta in Italia come agente di controllo biologico.
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NONA MENZOGNA La dipendenza eccessiva dagli erbicidi genera l’esplosione di super infestan-
S
e c’è una cosa scientificamente fasulla è proprio questa. Non è il mezzo di difesa che genera questo stato di cose, ma il cattivo uso del mezzo di difesa, in quanto è insito nella natura che quando una specie è sottoposta alla pressione selettiva di un prodotto diserbante seleziona, ma solo se questi esistono, individui dotati di meccanismi di resistenza ad un principio attivo diserbante. Pertanto l’uso prolungato dello stesso diserbante o il sottodosaggio del diserbante stesso (uso di dosi inferiori a quelle prescritte) favorisce la selezione e la proliferazione di individui che hanno un qualche meccanismo di difesa. Si noti che tale fenomeno capitava anche quando si facevano le rotazioni o le si faceva male e si usava la zappa, nel senso che le specie perennanti difficilmente venivano sradicate e anzi se ne moltiplicavano gli organi di moltiplicazione vegetativa (rizomi, stoloni, tuberi, ecc.). Contro quest’ultimo fenomeno, che si ripete puntualmente anche nell’agricoltura biologica, la soluzione sta nell’associare rotazioni lunghe delle colture con obbligata rotazione di diversi principi attivi diserbanti senza abolire la zappatura meccanica. Al limite anche nella monosuccessione (che spesso può rivelarsi non consigliabile per altri motivi, come l’accumulo di parassiti, patogeni, semi e organi di moltiplicazione agamica delle malerbe) se si ruotano i principi attivi diserbanti non si favoriscono le superinfestanti, e un esempio lo abbiamo proprio con
il “famigerato” glyphosate che è ancora largamente usato dopo 40 anni dall’introduzione mentre se fosse all’origine di super-infestanti sarebbe stato da tempo abbandonato. Insomma è vero proprio il contrario, cioè più agricoltura biologica equivale a più problemi di infestanti.
C’è chi rimpiange le infestanti: “ qualcosa in molti di quei campi non va. C’è tanto giallo ma c’è solo giallo. Dove sono i papaveri, i fiordalisi o la camomilla? Sono stati eliminati dai diserbanti selettivi…." Susanna Tamaro, 28 Giugno 2013 Corriere della Sera .
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DECIMA MENZOGNA Gli effetti di de-
riva dei fitofarmaci sono un problema enorme .
M
a se sono per primi gli agricoltori a subire i danni dalle derive nei loro campi adiacenti! Quindi sanno bene che devono trattare in assenza di vento non solo per i danni da deriva ma anche perché non tratterebbero dove intendono farlo. Di solito i media presentano a supporto della loro tesi l’esempio dei trattamenti da aereo o elicottero. Peccato che la gente non sappia che per scegliere questo sistema di protezione occorre disporre di migliaia e migliaia di ettari delle stessa coltivazione, altrimenti non è prefigurabile poterlo fare. A riprova basti sapere che i trattamenti aerei non sono più ammessi nell’Unione Europea e ciò in quanto la condizione suddetta manca. Qualora poi si abolisse il glyphosate per timore degli effetti di deriva, ecco che in queste situazioni si opterebbe per il Dicamba, le cui derive potrebbero essere ancora maggiori per la volatilità molto più elevata del prodotto. Quando i lobbisti del bio non possono attaccare con sufficienti speranze di successo un dato
principio attivo allora si rivolgono ai coformulanti. Seguendo tale strategia in Francia si è giunti ad proibire l’uso del
coformulante del glyphosate “tallowamine” proveniente dal sego di pecora o di manzo e dunque prodotto naturale e quindi consentito per l'uso non solo in fitofarmaci approvati per l'agricoltura biologica ma anche in shampoo, cosmetici e dentifrici.
“Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto.“ Paracelso (1493-1541)
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UNDICESIMA MENZOGNA Fare agricoltura biologica è anzitutto una scelta etica.
C
apita di frequente di ascoltare agricoltori, tecnici e opinionisti che parlando di agricoltura biologica lodano la scelta eminentemente etica di chi aderisce a tale agricoltura in nome di un quadro di valori che dovrebbe essere a fondamento dell’agire umano (tutale degli ecosistemi, sicurezza alimentare, difesa dallo strapotere delle multinazionali sono alcuni fra i valori citati in modo più ricorrente). E’ stupefacente invece osservare quanto sia raro trovare agricoltori convenzionali che difendono il proprio modo di fare agricoltura fondato sulle migliore tecnologie oggi disponibili. E si che è l’agricoltura convenzionale che oggi garantisce sicurezza alimentare al 90% della popolazione mondiale, un livello questo mai toccato nel XX secolo. E’ l’agricoltura convenzionale inoltre che tutela gli ecosistemi evitando che basse rese spingano a dissodare praterie e ad abbattere foreste. E’ sempre l’agricoltura convenzionale che porta sul mercato prodotti salubri e a prezzi accessibili per il consumatore. In questa nostra analisi eviteremo ovviamente di parlare di chi fa “biologico fasullo” come di chi fa convenzionale utilizzando prodotti chimici non autorizzati. Viceversa ci riferiremo a coloro che praticano tali agricolture in modo corretto e rispettoso delle regole. In estrema sintesi nella prima colonna di tabella 1 abbiamo provato a riassumere alcuni indicatori di eticità dell’agricoltura mentre nelle colonne 2 e 3 abbiamo provato a riportare quanto a questi indicatori aderiscano le agricolture convenzionale e biologica. Come vedete non c’è storia, nel senso che il biologico presenta una rilevante serie di limitazioni rispetto al convenzionale. Guardando la tabella da un altro punto di vista potremmo ricavare che il biologico è insostenibile sul piano economico, sociale e ambientale.
In sostanza sottolineiamo che per affrontare il grave problema della sicurezza alimentare in un mondo sempre più inurbato e che si avvia a raggiungere i 10 miliardi di abitanti occorre mettere in campo le migliori tecnologie (genetica innovativa, agricoltura di precisione, agricoltura conservativa, difesa integrata, ecc.) e non lasciarsi vincere dalla nostalgia per agricolture che non reggono alla prova della modernità così come non reggevano a tale prova in un passato che vedeva fame e miseria farla da padrone. Concludendo dunque gli operatori della filiera del biologico (non solo gli agricoltori ma la stesa filiera di trasformazione e commercializzazione) hanno da tempo adottato un approccio moralistico alle produzione agricola con l’evidente scopo di gettare discredito su coloro che praticano l’agricoltura convenzionale e che oggi soddisfano oltre il 95% del fabbisogno alimentare europeo e globale. Discredito a parte, le soluzioni proposte dai propugnatori del bio non sono in alcun modo in grado di offrire soluzioni realistiche al problema alimentare globale. A titolo d’esempio ci piace ricordare che l’idea di palingenesi nell’approccio alla produzione agraria fu messa in opera nel ventesimo secolo da parte dei regimi comunisti che rifiutarono la “genetica borghese” per abbracciare le idee neo-lamarkiane di Trofim Lysenko. Il risultato furono le decine di milioni di morti delle grandi carestie che hanno affitto tali regimi, i quali peraltro proclamavano a gran voce di agire per superiori motivi etici. Quanto più bello e umano sarebbe allora se chi pratica il biologico si limitasse di presidiare la propria nicchia di mercato operando al meglio e senza avanzare pretese palingenetiche che in passato hanno portato malissimo.
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Le 15 menzogne del biologico
A. Guidorzi, L. Mariani
Nel XX sec. chi ha applicato le leggi di Mendel è arrivato a produrre 50 semi su 1 seminato con un incremento costante di 1,25 q/ha/anno tra il 1960 ed il 1990. Nello stesso periodo in URSS con Lisenko la produzione non si discostò di molto dai valori di produzione del XVIII sec. con 6 semi a 1 (vale a dire 9
Aspetto in esame
Agricoltura convenzionale
Agricoltura biologica
Rispettare le leggi e i regolamenti nazionali e comunitari
SI
SI
Produrre prodotti a prezzi contenuti evitando di scaricare sul consumatore le proprie inefficienze
SI
NO (i prezzi sono 2-3 volte quelli del convenzionale in ragione dei maggiori oneri in termini di manodopera, dei maggiori costi di produzione e delle minori rese)
Evitare che le superfici agricole si espandano minacciando gli altri ecosistemi
SI E’ grazie all’agricoltura convenzionale che la superficie agricola globale dal 1961è sostanzialmente stazionaria, intorno a 1,5 miliardi di ettari)
NO Una produttività ridotta al 30-70% rispetto al convenzionale (Mariani, 2016; Academie d’Agriculture de France, 2017) significa il 30-70% in più di superficie necessaria a parità di prodotto.
Contenere le emissioni di CO2 per unità di prodotto
SI Nel caso specifico della zootecnia intensiva da latte le emissioni in equivalenti di CO2 sono pari a 1 kg per litro di latte prodotto (Capper et al., 2009).
NO Nel caso specifico della zootecnia estensiva da latte le emissioni in equivalenti di CO2 sono pari a oltre 3 kg per litro di latte prodotto (Capper et al., 2009). Inoltre se nel 1961 si fosse deciso di non intensificare le produzioni puntando sul convenzionale le emissioni del settore agricolo sarebbero oggi salite da 1,4 GTC a 6 GTC per effetto della necessità di dissodare nuove terre (Burney et al., 2010)
Evitare di inquinare l’ambiente con prodotti non biodegradabili
SI I prodotti organici cui fa ricorso l’agricoltura convenzionale sono biodegradabili
NO L’agricoltura biologica fa ricorso a fungicidi a base di rame che è un metallo pesante tossico per molte forme di vita e per l’uomo e che non è in alcun modo biodegradabile, tant’è vero che persiste nel terreno per tempi indefiniti.
Soddisfare il fabbisogno proteico dell’intera umanità
SI
NO L’agricoltura biologica rifiuta l’uso dei concimi di sintesi da cui oggi deriva il soddisfacimento del 50% del fabbisogno proteico dell’umanità (Smil, 2012).
Tabella 1 – Fondamenti di un’agricoltura etica.
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DODICESIMA MENZOGNA Il biologico non usa concimi di sintesi, “pesticidi” di sintesi e mangimi contenenti OGM.
I
l protocollo biologico ammette solo la concimazione organica. Tuttavia pochi sanno che il protocollo stesso non impone all’azienda certificata biologica, come sarebbe logico attendersi, che si doti di un allevamento animale e che dunque autoproduca il letame da distribuire sui suoi terreni. L’autoproduzione del letame sarebbe una scelta coerente e che conferirebbe più credibilità alla filiera del biologico nel suo complesso. Tuttavia diciamo chiaro e tondo che il letame prodotto nell’azienda non è mai sufficiente a restituire al terreno le asportazioni delle colture, e ciò in quanto vi sono perdite ingentissime durante il ciclo di trasformazione di un raccolto in letame. E’ questa la ragione principale per cui la produzione del bio è molto inferiore al convenzionale, anzi per quanto appena detto la situazione si aggrava. Ciò anche perché le fonti di sostanza organica usate in bio (sangue, cornunghia, piume, pollina..) presentano caratteristiche qualitative spesso assai difformi rispetto a quelle del letame e in vari casi peggiori. Comunque, non essendo l’esistenza di un allevamento imposta per legge nelle aziende BIO, l’azienda biologica che non ne dispone è costretta a rifornirsi di letame al suo esterno. Peraltro per tale attività di acquisizione del letame non viene affatto richiesto di approvvigionarsi da altre aziende BIO (anche perché nessuna azienda bio ha un eccesso di letame da porre sul mercato), per cui si può attingere anche ad aziende convenzionali, ponendo come unica regola da rispettare che il letame non provenga da “allevamenti intensivi”, termine più che mai ambiguo perché privo di una definizione stringente. Inoltre si consideri che il letame è in primis un apportatore di azoto e questo non deriva certo dall’autoproduzione dell’animale che produce il letame, ma deriva invece dal foraggio (erba, fieno e
concentrati) di cui si è nutrito l’animale e che in parte è servito per i processi vitali dell’animale stesso mentre in parte è stato escreto con feci e urina. A ben guardare tale azoto proviene:
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in parte da concimi che nelle aziende convenzionali sono in prevalenza concimi di sintesi usati per concimare la piante con cui si sono ottenuti i concentrati (mais e soia in primis) ovvero le foraggere da prato e da erbaio
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in parte dai batteri simbionti delle leguminose che lo prendono dall’aria e lo cedono alle piante che li ospitano.
Ecco dunque che i concimi di sintesi che nelle aziende BIO sono cacciati dalla porta rientrano dalla finestra, e guarda caso si tratta dei concimi tanto vituperati dai seguaci del BIO e che si ottengono attingendo azoto dall’atmosfera tramite il processo Haber-Bosch, la stessa fonte atmosferica a cui attingono i batteri simbionti delle leguminose. Per inciso ricordiamo che oggi il 50% del fabbisogno proteico degli esseri umani è coperto con il processo Haber-Bosch senza il quale la carenza di proteine porterebbe la sicurezza alimentare globale a livelli bassissimi. In altri termini l’azienda biologica che compra letame non compra direttamente il concime azotato di sintesi ma lo fa comprare a un’altra azienda che lo dà alle colture da cui si ricavano foraggi e mangimi che in parte costituiranno letame da cedere a chi fa biologico. Insomma la fonte di azoto è la stessa ed è la più naturale possibile, cioè l’aria, il concime di sintesi è solo acquistato per interposta persona; pertanto è una panzana quella secondo cui in biologico non si usano concimi di sintesi.
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Il biologico impone ai propri adepti di sopperire al fabbisogno di nutrienti delle piante coltivate rinunciando ai concimi minerali di sintesi e limitandosi al letame ed ai sovesci. In tal modo si ottiene il bel risultato di “affamare” le piante, comportandosi nella realtà da “antibiologici” anzi-
ché da “biologici”. https:// agrariansciences.blogspot.com/2015/02/ilbiodinamico-sbarca-alla-bocconi.html#more
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Lo stesso discorso fatto per l’azoto può farsi per gli altri due macroelementi nutritivi, cioè fosforo e potassio. Occorre altresì dire che aziende bio attingono ancor oggi (e lo faranno per anni) a riserve di P e K accumulatesi durante la rivoluzione verde, per cui anche in questo caso la dipendenza del bio dal convenzionale è palese. In altre parole le aziende biologiche dipendono dalle aziende non biologiche ed uno studio ne ha calcolato anche percentualmente il livello di dipendenza: 73% per il fosforo, 53% per il potassio e 23% per l’azoto. A ciò si aggiunga che oggi nei nostri allevamenti si usano correntemente mangimi OGM. Anche ammettendo che per “motivi etici” le aziende zootecniche Bio rifiutino tali mangimi, l’OGM è spesso la regola nelle aziende convenzionali e pertanto rientra dalla finestra nelle aziende BIO attraverso i concimi. In sintesi dunque le aziende BIO fanno uso dei concimi di sintesi e
degli OGM, ma lo fanno per interposta persona, per cui il consumatore cui sfuggono i flussi in atto nell’agro-ecosistema continua a essere convinto dell’esatto contrario. Circa infine i fitofarmaci, alias “pesticidi”, usati in biologico, non si tratta in molti casi di prodotti naturali ma di prodotti di sintesi. Ad esempio il rame della poltiglia bordolese con cui i bio combattono la peronospora non proviene certo dalla miniere ma è viceversa prodotto dalle industrie chimiche. Concludendo, quanto espresso nel titolo risulta menzognero.
TREDICESIMA MENZOGNA
Foto simbolo dell’orrore della guerra in Vietnam, dove vennero utilizzate dosi massicce di defoliante. “Il male non sta dunque nella conoscenza o nella scoperta, ma nelle sue applicazioni.”
L
’acido cianidrico è stato usato dal 1886 al 1955 per difendere le nostre colture da insetti molto dannosi come le cocciniglie (Cravedi et al., 2012). Anche i nazisti utilizzarono un fumigante che liberava acido cianidrico (il famigerato Zyklon B) per sterminare innocenti nelle camere a gas dei campi di concentramento. Tuttavia dovrebbe a tutti apparire con immediatezza del tutto arbitrario stabilire paragoni o relazioni di causa-effetto fra uso della chimica in agricoltura e nazismo. Tale accostamento è stato di recente rispolverato quando si è diffusa la notizia che la Bayer tedesca si era offerta di comprare la Monsanto. Molti esempi tratti dalla storia ci dicono che “il male non sta tanto nella conoscenza o nella scoperta ma nelle sue applicazioni” (Huxtable, 2002), per cui ad esempio un chimico o un’industria che in un contesto particolare hanno sintetizzato o prodotto sostanze chimiche di sterminio di massa sono state altrettanto capaci di produrre prodotti utili all’umanità e impiegati in un contesto di pace. Nello specifico, la Monsanto fu fra le nove ditte che su incarico del governo USA produssero per l’impiego in Vietnam l’Agente Orange, defoliante molto dannoso anche per gli umani poiché conteneva significative quantità di diossina come impurità. L’Agente Orange, il cui impiego in Vietnam fu per la prima volta autorizzato nel dicembre 1961 dal , fu poi ampiamente utilizzato dal 1962 al 1971 nel corso delle presidenze Kennedy, Johnson, Nixon e Ford (Institute of Medicine (US), Committee to Review the Health Effects in Vietnam Veterans of Exposure to Herbicides, 1994; Monsanto, 2017). Tuttavia la Monsanto non ha prodotto solo l’Agente Orange ma innumerevoli diserbanti e antiparassitari utilissimi per la difesa delle nostre colture dai loro nemici. Per inciso la Monsanto stessa ha poi letteralmente abbandonato la chimica per gettarsi sulle biotecnologie e questo è uno dei motivi per cui
Il nostro modello agricolo è stato costruito sulla necessità di riconvertire dei prodotti chimici tossici sintetizzati per uso bellico.
ha accettato l’offerta Bayer; Monsanto apporta gran parte delle sementi e Bayer gran parte della chimica, solo che la strategia ha bisogno del connubio per avere l’accesso ai finanziamenti necessari. Nucleare a parte, uno dei simboli più forti della contraddizione fra usi di pace e usi di guerra delle scoperte scientifiche e delle tecnologie da esse derivanti è senza dubbio costituito dalla figura di Fritz Haber, geniale scienziato di religione ebraica nato a Breslavia nell’attuale Polonia nel 1868 e poi convertitosi al cristianesimo. Haber fu un fervente nazionalista tedesco e durante la prima guerra mondiale, per supportare lo sforzo bellico, sviluppò di gas asfissianti (fosgene, iprite, acido cianidrico) di cui mise a punto anche le tecniche d’impiego sui campi di battaglia, nonostante tali prodotti fossero già a quei tempi proibiti dalle convenzioni dell’Aia (1899 e 1907). Peraltro ad Haber nel primo dopoguerra si deve anche lo sviluppo del Zyklon-B, insetticida fumigante prodotto per scopi di pace ma che fu poi usato dai nazisti nei campi di sterminio per asfissiare le loro vittime. Ma ad Haber si deve altresì l’invenzione della tecnologia di sintesi dell’ammoniaca a partire dall’azoto atmosferico, che è oggi essenziale per la sicurezza alimentare dell’intera umanità, perché da tale tecnica deriva quasi il 50% dell’azoto delle proteine presenti negli alimenti. Per tale scoperta Haber vinse il Nobel per la chimica nel 1918 mentre Carl Bosch, che industrializzò il processo, vinse il Nobel nel 1931. Nel 1933, con l’avvento al potere dei nazisti, Haber, nonostante un intervento a suo favore da parte di Max Planck, fu cacciato dalla Germania su decisione di Hitler in quanto ebreo e morì in Svizzera nel 1934.
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QUATTORDICESIMA MENZOGNA Il libero mercato tende al
monopolio e le multinazionali premono per sopprimere le regolamentazioni precauzionali.
P
er poter smentire l’affermazione contenuta nel titolo è necessario un ragionamento minimamente articolato e che faccia riferimento a eventi accaduti negli ultimi 40 anni. Se infatti fino agli anni 80-90 si prediligeva l’autoregolamentazione in settori economici omogenei, si è poi iniziata la corsa degli eletti verso regolamentazioni sempre più costrittive. Un esame dei tempi in cui ciò è avvenuto potrebbe far pensare che lo Stato sia stato obbligato ad imporre regole a fronte dei comportamenti non virtuosi negli anni precedenti, in cui sussisteva di fatto un’autoregolamentazione. Se però osserviamo le conseguenze scaturite da questa pletora di imposizioni e direttive, osserviamo che ciò ha messo fuori causa proprio le ditte meno potenti creando invece vere e proprie autostrade per le più potenti. Non solo ma dato che il concetto di “più potente” è sempre relativo, le ditte meno potenti per poter sopravvivere hanno dovuto accettare l’offerta di aggregarsi al più potente ovvero di unire gli sforzi nel caso in cui il livello di potenza non fosse molto diverso e le attività fossero complementari. La storia di questi anni in fatto di sementi ce ne dà conferma, nel senso che i piccoli sementieri sono per lo più scomparsi perché obbligati a chiudere o inglobati in ditte più grandi che a loro volta sono poi state o fagocitate ad ditte ancora più grandi o costrette ad aggregarsi con altre ditte. L’industria chimica dal canto suo ha dapprima saccheggiato il mondo delle sementi e poi ha dovuto anch’essa creare nuove unificazioni.
“L’agricoltura biologica sviluppa a livello mondiale un volume di affari di oltre 80 miliardi di dollari rispetto ai meno di 60 raccolti da tutti gli agrofarmaci messi insieme da tutte le multinazionali del Mondo. Nella sola Italia, soddisfa all’incirca il 3% della domanda interna di alimenti, occupando (foraggere incluse), circa il 10% della SAU nazionale (che ammonta a circa 128.100 km², sulla base del censimento ISTAT del 2010).” https://agrariansciences.blogspot.com/2018/08/il-dramma-dei-pummaro-ma-di-quali.html#more
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QUINDICESIMA MENZOGNA Mangia bio e mangi
italiano (o europeo).
Le superfici europee ad agricoltura biologica (organic farming) sono in continua ascesa e le statistiche indicano che i paesi con le superfici più vaste sono oggi l’Italia e la Spagna (figura 1). In attiva crescita è anche il mercato europeo del biologico che una ricerca del centro studi esteri del ministero dell’agricoltura statunitense (USDA - FAS) ha di recen-
te stimato pari a 35 miliardi di dollari USA (figura 2). A livello mondiale il mercato europeo è secondo solo a quello statunitense che è
stimato in 41 miliardi di dollari USA (Willer et al., 2017).
Figura 1 – Superfici a biologico dei maggiori produttori europei (dati 2016 - fonte Eurostat).
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Le 15 menzogne del biologico
A. Guidorzi, L. Mariani
Figura 2 – Crescita del mercato del biologico in Europa - dati in miliardi di dollari USA - elaborati USDA su stime FAS del 2016, FIBL and Agricultural Market Information Company - AMI (Rader and FAS Europe Specialists, 2018).
Figura 3 – Principali mercati del biologico in Europa - dati in miliardi di dollari USA - elaborati USDA su stime FAS, FIBL and Agricultural Market Information Company - AMI (Rader and FAS Europe Specialists, 2018).
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Figura 4 – Mercati europei con maggiori acquisti pro-capite di prodotti bio (Dollari USA pro-capite). Elaborati USDA su stime FAS, FIBL and Agricultural Market Information Company - AMI (Rader and FAS Europe Specialists, 2018).
Peraltro i maggiori mercati del Bio rimangono nel Nord Europa con Germania e Francia a farla da padrone (figura 3) mentre i consumi pro-capite più elevati si registrano in Danimarca, Svezia, Lussemburgo, nazioni con consumi annui oltre i 200 dollari USA pro-capite (figura 4). I dati che emergono dal report USDA – FAS sono di enorme interesse sul piano economico e anche sociologico. Abbiamo tuttavia consultato un report recentissimo (https:// www.eca.europa.eu/Lists/ECADocuments/BP_ORGANIC_FOOD/ BP_ORGANIC_FOOD_EN.pdf) che quantifica l'import di bio europeo in 1,64 Miliardi di Euro, accompagnando il dato con con questa frase da "morte della statistica": "According to data provided by the Research Institute for Organic Agriculture FIBL, organic imports into the EU have increased from 590 million euro in 2011 to 1 640 million euro in 2015. However, there is only incomplete data on imports and exports of organic products into and from the EU". A questo punto, sperando che i lettori ci possano perdonare, adottiamo un “doppio spannometro” ipotizzando che l'import totale di BIO nell'UE sia doppio rispetto a quello dai soli USA, il che porterebbe a un tasso di autosufficienza UE inferiore al 50% (12 Miliardi di Euro autoprodotti e 18 miliardi importati). A maggiore ragione ci aspetteremmo che venisse fatta chiarezza sui contorni del settore bio (produttività, autosufficienza, im-
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port e export), in primis come forma di tutela minima per il consumatore, che pensiamo abbia quantomeno il diritto di sapere da dove provengono i prodotti che circolano sul mercato europeo. In tal senso sarebbe auspicabile che venissero adottate le raccomandazioni elencate in Zanoli (2014) e qui di seguito riportate: 1.
aumentare le tipologie di dati statistici raccolti
2.
raccogliere informazioni statistiche sui prezzi e volume e valore della produzione a livello di mercato interno e di commercio internazionale, per gruppi di prodotti o prodotti definiti
3.
raccogliere dati di import/esport di prodotti biologici
4.
specificare un mandato legale affinché si possano acquisire informazioni statistiche non solo dagli Stati membri, ma anche dalle autorità di controllo, dagli organismi di controllo, dalle autorità doganali e, se del caso, dalle singoli aziende.