AICARR CDA NOVEMBRE 2003

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Reed Business Information Spa - Sped. abb. post. 45% art. 2 comma 20/B legge 662/96 Filiale di Milano- ISSN 0373-7772 In caso di mancato recapito inviare al CMP Roserio Milano per la restituzione al mittente previo pagamento resi

La legionella negli impianti ospedalieri

Impianti innovativi Climatizzare con la deumidificazione chimica

DELL’ARIA • RISCALDAMENTO REFRIGERAZIONE • ORGANO DIRETTIVO NAZIONALE DELL’AICARR TO EN M

Ricerca

CON DI ZI O N A

Certificazione edifici

Calcolo del rendimento energetico

Sistema edificio Formazione umidità e patologie edilizie

Trattamento aria Funzionamento e manutenzione delle centrali

Normativa

Verifiche, controlli e rendimento di combustione

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Sommario N.10/Novembre 2003

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Comitato di redazione

Direttore Scientifico Direttore editoriale Redattori

Segreteria

Franco Adami, Claudia Calabrese, Gianvincenzo Fracastoro, Renato Lazzarin, Eleonora Monti, Ubaldo Nocera, Michele Vio

7

Nuove visioni di sicurezza C.M. Joppolo

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D. Farina

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M. Bo, G. Demaria, M. Masoero, C. Molineris, C. Silvi

Prezzo di copertina 2003 Un fascicolo Euro 6,60 Arretrato Euro 13,20

56

Per il periodo 01/01/2002-31/12/2002 Tiratura media n. 4.169 copie Diffusione media n. 3.799 copie Certificato CSST n. 2002-578 del 21/02/2003 Società di Revisione Grant Thornton Spa Tiratura del presente numero: n. 3.800 copie

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Impianti

Climatizzazione invernale con deumidificazione chimica A. D’Ascanio, R. Lazzarin

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Sistema edificio

I “vizi” dell’aria F.R. D’Ambrosio, G. Raffellini

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Normativa

Verifiche, controlli e rendimento di combustione

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C.F. Marazzi

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Normativa

La certificazione energetica di edifici residenziali G. Cellai, A. Geri, B. Mondì

84 CDA CONDIZIONAMENTO DELL’ARIA RISCALDAMENTO REFRIGERAZIONE Direttore responsabile Emile Bernard Blomme. Registrazione Tribunale di Milano n. 4545 del 7-21958. Iscrizione al ROC n. 1136. La Direzione non risponde delle idee od opinioni espresse dagli autori nei loro articoli - Copyright Reed Business Information Spa - Milano Italia.

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Ricerca

Contaminazione da legionella negli impianti ospedalieri

Brunella Chiari, Paola Fabbri

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Stato dell’arte

Razionalizzare per migliorare la qualità dell’aria

Renato Lazzarin Franco Adami Adriana Del Longo, Eleonora Monti, Federica Orsini, Stefano Rimassa

Editoriale

Consulenza elettrotecnica

La selettività A. Porro

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Intervista

Integrazione edifici-impianti-città F. Adami

66 Le Rubriche pag. 13

Panorama Attualità & Mercato Prodotti & Cataloghi

pag. 90

Si parla di…

n.10 novembre 2003

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cda Editoriale

Cesare Maria Joppolo

Nuove visioni

di sicurezza dente ad Aicarr, si è impegnata fortemente per li eventi degli anni passati sviluppare dibattito e documenti di riferie, con ulteriore acceleramento (alcuni dei quali scaricabili dal sito zione, quelli dell’estate apwww.ashrae.org). Termini come rischio (propena trascorsa e di quebabilità di soffrire danni per la salute o perdite st’autunno, hanno forteeconomiche), come vulnerabilità (suscettibimente accresciuto i motivi oggettivi per i qualità ad attacchi e danneggiamenti fisici) o acli i sistemi impiantistici (di cui si occupa il cettabile vulnerabilità compaiono nei documenti mondo professionale e industriale di cui Aicarr Ashrae ed entrano nel lessico della climatizè riferimento culturale) concorrono al ragzazione. giungimento di esigenze primarie per la perCesare Maria Joppolo, Le teorie dell’affidabilità e della gestione sona e per la società nel suo complesso. È anVicePresidente AICARR del rischio, che abbiamo per lungo tempo che cresciuta in ampi settori della pubblica opiconsiderate non prioritarie nel nostro settore, nione la percezione soggettiva di questo legame diventeranno strumenti importanti di progetto e di verifica? tra impianti ed esigenze non rinunciabili delle persone. Il riLe infrastutture impiantistiche e le reti energetiche sono sistemi ferimento è non solo all’evoluzione delle esigenze di comfort fortemente interdipendenti e pertanto malfunzionamenti, ri(cui si associa in particolare il trend di penetrazione del rafduzioni e guasti possono avere impatto ben oltre lo specifico frescamento estivo) ma piuttosto a quella del bisogno fondaambito in cui si sono sviluppati. mentale di sicurezza, nelle molte e diverse accezioni che queGli utenti degli edifici e degli impianti che sono stati abituasto termine può avere. Sicurezza è certamente tutela della sati ad aspettarsi una affidabilità del 100% delle infrastrutture lute delle persone e miglioramento delle condizioni ambientali che li servono, quali livelli di interdipendenza e di vulnerabi(con le specificità proprie degli ambienti indoor e, nelle aree lità riterranno accettabili? urbanizzate, dell’ambiente esterno), e sappiamo che tutto Alcuni provvedimenti migliorativi o correttivi possono costaciò è intimamente legato al normale funzionamento dei sistemi re poco ed essere a portata di mano (si pensi, per esempio, al e dei componenti impiantistici e all’utilizzo come barriera posizionamento e alla protezione delle prese d’aria per gli imdell’involucro edilizio. Sicurezza è anche prevenzione degli evenpianti di condizionamento). Ma è certamente necessaria una ti incidentali e mitigazione delle conseguenze (per le persone messa a giorno di queste complesse problematiche e una nuoe per le cose) che da essi possono derivare. Ci occupiamo di inva visione da utilizzare in ogni fase, dal progetto alla gestiocidenti (incendi, esplosioni, rilasci di sostanze tossiche ecc.) che ne degli impianti. Per il raggiungimento degli obiettivi è cenmi sia consentito chiamare incidenti normali; ce ne occupiatrale una visione integrata: impianti, edifici e le aree urbane mo non da oggi e tuttavia credo che ancora molta strada debin cui sono inseriti non possono più essere visti in modo sepaba essere percorsa sia per quanto riguarda le normative che per rato, ma devono essere sempre affrontati con una visione quanto riguarda prodotti, pratiche progettuali, verifiche… Ma unitaria. Occorre uno sforzo ampio per affinare e sviluppare rischi gravi per la sopravvivenza delle persone, per i beni, per le conoscenze, e per formare aggiornando le competenze le attività economiche, per risorse fondamentali quali l’aria, professionali. I soci e l’Aicarr possono giocare un ruolo posil’acqua, il cibo ecc., possono arrivare da incidenti straordinari, tivo e determinante. Peraltro, il processo può non solo essedisastri naturali e atti terroristici. Anche in questo ambito, sore avviato ma giungere a risultati adeguati solo se riusciremo no centrali le conoscenze sulle prestazioni degli involucri edia garantirci e a garantire le necessarie risorse intellettuali ed lizi, sulla ventilazione naturale e meccanica, sui trattamenti deleconomiche. L’etica e il principio di responsabilità sostanzial’aria e dell’acqua, sulle reti energetiche ecc., ovvero le conoscenze le sono presupposti dell’azione di ogni socio Aicarr e dell’Asche costituiscono il bagaglio culturale dei nostri soci e dell’Aicarr. sociazione che li raccoglie.

Oltreatlantico, l’Ashrae, associazione americana corrispon-

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n.10 novembre 2003

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Stato dell’arte

Daniele Farina

Razionalizzare per migliorare la qualità dell’aria Funzionamento e manutenzione delle centrali di trattamento aria

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Incrementare l’Iaq (Indoor air quality), ossia la qualità dell’aria interna di un ambiente, è certo lo scopo principale di una centrale di trattamento aria. L’autore si sofferma sulla storia di questi apparecchi e sostiene l’importanza della valutazione del Lcc (Life Cycle Cost), per una scelta razionale del tipo di centrale da prediligere.

Circa 15 anni fa l’ingegner Mario Constantino, durante un intervento al Convegno Aicarr di Mostra Convegno Expocomfort, disse: “Avete mai guardato in una centrale di trattamento aria e, in particolare, nel suo bacino raccolta acqua, dopo un anno di funzionamento?”

A quel tempo, Iaq (Indoor air quality) - acronimo di qualità dell’aria interna - non era un termine molto noto nel panorama della climatizzazione. I tecnici più perspicaci, però, avevano già capito che un ambiente interno sano deriva dal tipo e dal grado di pulizia dell’impianto di climatizzazione soprattutto quella del suo cuore, la centrale di trattamento aria.

Le argomentazioni trattate in questo articolo potranno sembrare poco scientifiche ma decisamente pratiche, a causa della mia provenienza dall’industria. Secondo la mia esperienza però certe problematiche non vengono sufficientemente considerate.

Prima di entrare pienamente nell’oggetto della trattazione vorrei ricordare che solitamente l’Iaq viene riferito agli impianti centralizzati a tutt’aria dei medi e grandi edifici del terziario, del commerciale oppure a speciali applicazioni (ospedali, settore farmaceutico, elettronica ecc.). Di contro, dobbiamo considerare che il 70% del

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mercato mondiale del condizionamento dell’aria consta di condizionatori tipo split o da finestra, di residenziali (modello Usa) e di idronici (ventilconvettori e derivati), nei quali la qualità dell’aria, pur essendo pubblicizzata, viene di fatto trascurata. Infatti, io chiamo queste macchine “raffrescatori” e non condizionatori d’aria. Gli split non hanno quasi mai né prese d’aria esterna né filtri (hanno solo una sorta di schermi antilanuggine). Anche i ventilconvettori e i residenziali spesso non hanno prese d’aria esterna e i filtri, al massimo, sono di classe G1 o meno. Per cui credo opportuno e auspico che vengano dedicate più risorse in questa direzione i cui risultati sarebbero molto utili.

La storia Dalla norma CEN EN 13053-2001 [16] apprendiamo che le centrali di trattamento aria sono: ”Unità preassemblate in fabbrica composte da più sezioni contenenti ventilatori e altri apparati necessari a effettuare una o più delle seguenti funzioni: circolare, filtrare, riscaldare, raffreddare, deumidificare, umidificare, recuperare calore, miscelare l’aria…”.

La centrale di trattamento aria a sezioni componibili è una delle più flessibili macchine per la climatizzazione che sia mai stata progettata, tanto da rispondere alle più svaria-

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Figura 1 - Centrale in muratura (anni ’50 e anteriori)

te necessità dell’ambiente interno. La produzione italiana di queste centrali nel 2002 è stata di 70 milioni di euro (circa 30.000 pezzi), di cui il 20% destinata all’esportazione.

La produzione totale europea è stata di circa 950 milioni di euro (solo la Germania 200 milioni di euro). Da tener presente che l’intero mercato del condizionamento in Italia nel 2001 è stato di circa 1 miliardo di euro [1].

La centrale di trattamento aria nasce fra il 1910 e il 1930.

Ai tempi veniva costruita impianto per impianto insieme all’edificio, in muratura (fig. 1) e con le varie sezioni realizzate in stanze separate accessibili.

Poi, durante gli anni ’50, gli alti costi di realizzazione e l’espandersi delle applicazioni impiantistiche, portarono l’in-

dustria a progettare e costruire unità preassemblate in fabbrica (fig. 2), composte da un telaio in acciaio, rivestito esternamente con pannelli in lamiera coibentati internamente con materassini in lana di vetro e poi in schiuma di poliuretano (moltoprene).

Negli anni ‘70, al fine di standardizzare la produzione, furono messe sul mercato unità modulari senza telaio, a pannelli autoportanti coibentati (fig. 3), e in alcuni casi assemblati con speciali profilati senza bullonature. È dagli anni ‘80 in poi - e dalla Germania in particolare che la costruzione “flessibile non-modulare” domina il mercato (fig. 4). Oggi la standardizzazione coinvolge anche le “materie prime” e i programmi automatici elaborano direttamente le liste pezzi fornendo i componenti da avviare alla fabbricazione e all’assemblaggio in officina.

Ai vertici delle unità ci sono dei tripodi o quadripodi in alluminio o plastica su cui si innestano barre con sezione simil-omega tagliate a misura, così da formare l’intelaiatura desiderata sulla quale sono inseriti pannelli metallici

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Type AH — Horizontal Unit

Seven unit sizes with direct expansion coils… Twelve unit sizes with water coils… Three types of mounting… Six fan discharge locations… Air volumes from 1200 cfm to 21,000 cfm… Cooling capacities from 20,000 Btuh to 2,000,000 Btuh… Heating capacities from 100,000 Btuh to 2,500,000 Btuh.

Figura 3 Centrali modulari a pannelli autoportanti (anni ’70)

Type AV — Vertical Unit

Figura 2 – Centrale con telaio rivestito di pannelli in lamiera coibentati (anni ’50-’60)

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Figura 4 - Centrale odierna a costruzione “flessibile”

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Stato dell’arte

Figura 5 – Tripode di spigolo e relative barre della struttura (vista interna)

cda 42 Figura 6 – Centrale a “desiderio del cliente”

“sandwich” a doppia parete con interposto il coibente (fig. 5).

Le centrali oggi possono essere realizzate secondo il “desiderio del cliente” (fig. 6) con grande flessibilità in termini di trattamenti dell’aria, forma e dimensioni, materiali costruttivi, spazi d’ispezione, accessibilità interna per la manutenzione, accessori e controlli.

non solo per il comfort, ma anche per prevenire la cosiddetta Sindrome dell’edificio malato (Sick building syndrome – Sbs).

La regolare manutenzione è un obbligo per evitare che la centrale sia essa stessa fonte di contaminazione dell’aria.

Partendo dai concetti espressi nel documento basilare dell’Eurovent/Cecomaf (European Commitee of Air Handling and Refrigeration equipment Manufacturers) n. 6/7 dei primi anni ’80, intitolato “Guide for maintenance of air handling plants” [2], e tutt’ora valido, sono state recentemente emesse le norme VDI 6022 [3] e UNI/CTI 5/716 [4]. Qui si possono trovare delle “check lists” che, ad una lettura superficiale, possono sembrare ovvie, ma che invece bisogna applicare seriamente.

Da quel primo documento sulla climatizzazione molti altri sono stati preparati dai tecnici delle aziende europee e pubblicati sempre da Eurovent/Cecomaf a giovamento della evoluzione della professione. Questi sono serviti e servono da base di partenza per le normative CEN del settore e sono inoltre preziose linee-guida per il lavoro giornaliero dei progettisti, costruttori, installatori e utilizzatori [5-11].

Come già detto uno dei principali scopi delle centrali di trattamento aria è quello di incrementare l’Iaq ma anche se ben progettate e consegnate “pulite”, le Centrali da sole sono inutili se l’impianto viene avviato “sporco”. Molte volte le canalizzazioni sono progettate e costruite senza cura [12], per poi essere installate ancor peggio: il risultato può così essere che l’aria sia più pulita alla centrale che alla diffusione nei locali [13-15].

La soluzione ideale consiste non tanto nella pulizia periodica dell’intero impianto - che pure è fondamentale quanto che la polvere e lo sporco non entrino mai in un impianto nuovo che “parta” pulito. La centrale, che rappresenta l’unico punto di entrata di elementi inquinati, dovrà essere progettata e costruita per prevenire questa eventualità.

Il documento Eurovent “Life cycle cost guidelines for air handling units” [5], insieme alle recenti norme EN 130532001 per le prestazioni [16], EN 1886-99 per i requisiti meccanici [19], EN 12097 per una più facile manutenzione dei canali [12], EN sulla costruzione dei canali tondi e rettangolari [21-23], danno dettagliate informazioni e rappresentano un utile riferimento per la nostra professione.

La centrale e l’impianto aeraulico La costruzione di una centrale dovrebbe prevedere: - pulizia interna alla consegna e dopo l’installazione; - opportuni stadi di filtrazione; - tenuta ai trafilaggi d’aria; - facile manutenzione e pulizia durante l’esercizio; - efficienza energetica (scelta in base al Costo del ciclo di vita o Lcc - Life Cycle Cost).

Attualmente la letteratura e le norme europee sono tali da fissare e suggerire ai tecnici del settore come meglio progettare, costruire, installare, condurre e mantenere una moderna centrale di trattamento aria e il sistema di distribuzione e diffusione dell’aria.

Una centrale dovrebbe migliorare la qualità dell’aria interna

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La centrale e i suoi componenti I filtri sono quei componenti delle centrali (fig. 7) atti a non permettere l’entrata di sporco o inquinanti.

Le norme europee EN 1822-1-1998 “High efficiency air filters (Hepa/Ulpa)-part1: classification, performance testing, marking” e quella recentemente pubblicata EN 7792003:”Particulate air filters for general ventilation-determination of the filtration performance” aggiornano e definiscono adeguatamente le classi di filtrazione e come determinare le prestazioni dei filtri. Questi servono a tenere: - l’impianto pulito; - alta l’efficienza delle apparecchiature; - basso o prevenire la formazione di microrganismi;

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Figura 7 – Tipica composizione di una centrale “Tutto l’Anno”

- fuori o togliere i contaminanti interni ed esterni dall’ambiente abitato.

I filtri devono essere scelti accuratamente, in quanto essi sono sì dei componenti passivi, ma anche dei consumatori di elevate quantità di energia specialmente se - come capita frequentemente - non vengono controllati e quindi causano significative perdite di carico.

In generale, nelle applicazioni, il limite al quale si raggiunge il valore di massima perdita di carico applicativa dichiarato dal produttore e al quale anche per ragioni igieniche è bene procedere alla sostituzione dei filtri, è di sei mesi. La scelta del tipo e della qualità del filtro deve essere accompagnata dall’analisi del Costo del ciclo di vita (noto come Lcc) [10].

Per la scelta minimale per le applicazioni generali suggerirei due stadi di filtrazione: classe G3 sulla presa dell’aria esterna e classe F7 sulla portata totale dopo la camera di miscela. Una buona soluzione è quella di prevedere la classe G5 sull’aria esterna, la classe F9 sull’aria totale ed eventualmente la classe H10 come filtrazione finale sulla mandata del ventilatore.

Non sempre è previsto un filtro sull’aria esterna per gli impianti, ma - a mio avviso - risulta molto utile soprattutto nelle zone ad alta concentrazione di polveri dove previene anche l’ingresso di insetti che, dalla camera di miscela attraverso i canali di ricircolo, raggiungerebbero gli ambienti climatizzati.

I filtri classe F7-F9 devono essere di tipo a sacco (più ingombranti); essi, infatti, hanno una buona durata nel tempo e trattengono una maggiore quantità di polvere e lanuggine grazie alla loro superficie interna. Al contrario, i filtri plissettati piani o a V (più compatti) delle stesse classi accumulano più facilmente bruscoli e lanuggine, sugli stretti ingressi, accorciandone la vita applicativa; in questi casi è bene prevedere un terzo stadio di prefiltri classe G3.

Per particolari applicazioni (musei, camere di sterilizzazione ecc.) è meglio prevedere speciali filtri chimici (allumina, permanganato di potassio, carboni attivi ecc.).

Per assicurare la circolazione dell’aria pulita si devono evitare le infiltrazioni attraverso l’involucro della centrale e massima cura deve essere prestata nell’assicurare la tenuta sui telai portafiltri per evitare by-pass del flusso d’aria [19].

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L’attuale costruzione a doppia parete coibentata e profilati permette l’uso, sia per la parete interna sia per quella esterna, dei materiali e delle finiture, che sono diversi a seconda del tipo di applicazione. Le superfici interne lisce, inoltre, riducono la possibilità di accumulo (fig. 5).

Le batterie di riscaldamento e raffreddamento permettono di tenere le perdite di carico entro i valori raccomandati in letteratura [5]. Esse prevedono - come accorgimento tecnico - superfici alettate, con passo tra le alette di 1,8/2,0 mm, studiate per garantire l’incremento dello scambio termico, nonché abbondanti superfici frontali e velocità di attraversamento non superiori ai 2,5 m/s, per evitare anche l’uso di separatori di gocce.

Il bacino di raccolta acqua - che funge anche da base per la centrale - è un punto caldo della contaminazione biologica. Deve essere costruito in acciaio inossidabile, avere un fondo inclinato, essere totalmente drenabile e facilmente lavabile con un getto d’acqua e deve asciugarsi quando l’acqua di deumidificazione finisce.

La scelta di inserire umidificatori ad atomizzazione o a spruzzo e superfici evaporative deve essere fatta solo se strettamente necessario. Il biotrattamento dell’acqua e delle parti bagnate è invece auspicabile. Per quanto riguarda gli umidificatori, è consigliabile utilizzare quelli a vapore, in quanto più affidabili e facili da mantenere.

I ventilatori, motore e origine del consumo di energia dell’impianto aeraulico, devono essere scelti con un ridotto margine di sicurezza rispetto al punto di funzionamento previsto e con spazi per l’aspirazione sufficientemente ampi per evitare turbolenze alla bocca profilata aerodinamicamente.

I motori elettrici di comando che assicurano la migliore efficienza operativa hanno un alto rendimento, un basso margine fra potenza assorbita e di targa, il giusto dimensionamento della trasmissione a cinghie e cuscinetti frequentemente ispezionati e lubrificati. L’accoppiamento diretto motore/ventilatore, con variatore continuo di velocità di rotazione, asservito al grado di Iaq (CO2 ecc.) e alla potenza termica necessaria all’impianto, ottimizzerebbe il consumo di energia e il rumore. È opportuno infine prevedere ampia accessibilità alle parti interne che devono essere ispezionate grazie anche alla presenza di portelli, oblò e luci interne alle unità.

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Analisi del Lcc Un’analisi del Lcc [5] è fondamentale per una scelta razionale di una centrale di trattamento d’aria. Questa valutazione deve tenere conto non solo del prezzo d’acquisto, ma anche dei costi di: - investimento totale iniziale (acquisto, installazione, collaudo, istruzione addetti); - consumo di energia per il tempo di vita; - manutenzione prevedibile; - riparazioni impreviste (stime); - provvedimenti ecologico-ambientali; - consegna finale (Commissioning);

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Stato dell’arte

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- fattori finanziari: attuale e futuro costo dell’energia, tassi di inflazione, di sconto e d’interesse; - vita prevedibile dell’impianto.

Quale esempio di massima si può dire che, considerando di vent’anni la vita dell’impianto, nella valutazione del Lcc, il 25% si può attribuire all’acquisto e all’installazione, il 10% alla manutenzione e il 65% al consumo di energia.

Le “5 regole d’oro” per ottenere un lungo funzionamento dell’impianto e la tutela della salute degli utenti sono: - scelte basate sul Lcc; - unità “pulite”; - installazione “pulita”; - verifica accurata prima dell’avviamento dell’intero impianto; - funzionamento con periodiche ispezioni e un piano di manutenzione scritto e puntigliosamente applicato.

Generalmente si usa discutere di Iaq per indicare la protezione dell’ambiente interno, ma questo obiettivo sarà tanto più facile da raggiungere quanto più noi contribuiremo a proteggere l’ambiente esterno: il Oaq (Outdoor ambient quality). In particolare, bisogna proporsi di: - ridurre il rilascio d’inquinanti; - risparmiare energia; - controllare i rifiuti; - ridurre l’effetto serra.

In questo modo l’opinione pubblica capirà che la nostra non è un’industria che spreca energia e distrugge la natura, ma aiuta a rendere la vita più confortevole, conscia del suo ruolo nel rispetto dell’ambiente esterno.

Ing. Daniele Farina Bibliografia [1] Anima/Coaer – Componenti d’impianto di C.d.A.: statistiche anno 2002 [2] Eurovent/Cecomaf: “doc.6/7 - Guide for maintenance of A.H.U.” - 1980 [3] VDI 6022: “Hygienic aspect for planning,design,operation and maintenance of Air Conditioning Systems” - 1998 [4] UNI/CTI 5/716: “Requisiti igienici per la manutenzione degli impianti di climatizzazione” - Bozza 2002 (prof Gentili, P.L. Cattaneo e al.)

[5] Eurovent/Cecomaf: “Life Cycle Cost guideline for air handling units” - April 2002 [6] Eurovent/Cecomaf: “Review” magazine - May 2001 [7] Eurovent/Cecomaf: “Rec 02 - Application of Eu directives to A.H.U.” - December 1996 [8] Eurovent/Cecomaf: “Rec 08 - Indoor Air Quality” - January 1999 [9] Eurovent/Cecomaf: “Rec 14 - Hygienic aspects in A.H.U.” -May 2000 [10] Eurovent/Cecomaf: “Rec 10 - Calculating Life Cycle Cost for air filter” - Januay 1999 [11] Eurovent/Cecomaf: “Rec 06 - Air filters for better Indoor Air Quality”- January 1999

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[12] EN 12097-2001: “Requirements for ductwork components to facilitate maintenance of ductwork systems” [13] Anglesio, “Componenti e sistemi di ventilazione.

Stato della ricerca interuniversitaria nazionale”, 41° Convegno AICARR, Marzo 2000-Milano [14] Carletti, Cellai, Raffellini, “Definizione di una metodologia di indagine in relazione all’inquinamento degli impianti aeraulici in ambiente ospedaliero”, CDA 7 Luglio 2001 [15] Alfano, Cellai, Cennini, Medori, “Studio sperimentale sulle condizioni igieniche di condotte di impianti di condizionamento”, 39° Convegno AICARR, Marzo 1998-Milano [16] EN 13053-2001: “A.H.U. Rating and performances for units, components and sections” - 2001 [17] EN 779-2003: “Particulate air filters for general ventilation-determination of the filtration performance” - 2003 [18] EN 1822-1-1998: “High Efficiency air filters (HEPA and ULPA) - part 1: Classification, performance testing, marking” - 1998 [19] EN 1886-1999: “A.H.U. - Mechanical requirements” 1999 [20] Joppolo, Sanvito, “Impianti di CdA e problematiche di controllo dell’inquinamento interno del terziario”, Convegno nazionale “Edilizia e ambiente”, Trento, 18-20 febbraio 1998, Incontro AICARR, 26 marzo 2001 [21] EN 12273-2003: “Strength and leakage of circular sheet metal ducts” [22] EN 1507-2003: “Strength and leakage of rectangular sheet metal ducts” [23] EN 13403-2003: “Non metallic ductwork made from insulation ductboard” *EUROVENT-CECOMAF: “European commitee of air handling and refrigeration equipment manufacturers” - www.eurovent-cecomaf.org Contattare: Mr Sule Becirspahic: Email: s.becirspahic@eurovent-certification.com *ANIMA/COAER: “Association of Italian Aeraulic Manufacturers”- www.coaer.it o www.anima.it Contattare: sig. G.P.Colli: Email: colli@anima-it.com *AICARR: “Associazione italiana condizionamento d’aria, riscaldamento, refrigerazione” - www.aicarr.it Contattare: ing. S. Boldrini; Email: aicarr@aicarr.it

Ringraziamenti Ringrazio il compianto prof. Paolo Anglesio per avermi invitato a scrivere queste note, l’ing. Gianfranco Pellegrini e il Coaer per l’aiuto prestatomi e il Sig. Garanzini della società “Saiver” per i preziosi suggerimenti.

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Ricerca

Matteo Bo, Gianluca Demaria, Marco Masoero, Cristina Molineris, Chiara Silvi

Contaminazione da legionella negli impianti ospedalieri Un’indagine sperimentale in Piemonte

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La legionella è un batterio che vive nell’acqua e prolifera maggiormente se sussistono particolari condizioni di temperatura e di nutrimento.

In particolare, sono ambienti ideali alcuni dispositivi tecnici come gli impianti di acqua calda sanitaria, gli impianti di climatizzazione e le torri evaporative.

Il lavoro svolto ha l’obiettivo di analizzare in modo organico la notevole mole di informazioni raccolte da entità diverse per valutare l’efficacia dei vari metodi di decontaminazione prescelti, in relazione alle modalità utilizzate e alle caratteristiche tecniche dell’impianto.

on il termine Legionellosi si identificano tutte le forme morbose causate da batteri del genere Legionella: esse si possono manifestare in forma di polmonite, in forma febbrile extrapolmonare e in forma subclinica.

Sebbene le specie identificate siano ad oggi più di quaranta, un ristretto numero di esse, e in particolare la Legionella Pneumophila, è responsabile della maggior parte delle infezioni. Secondo alcuni autori, la Legionella è responsabile dell’1÷5% dei casi totali di polmonite comunitaria e del 3÷20% dei casi nosocomiali, con una letalità, rispettivamente, del 5÷15% e del 30÷50%, assumendo quindi una notevole incidenza in campo pneumologico [1].

La Legionella vive nell’acqua e, pur essendo ubiquitaria, prolifera maggiormente se sussistono particolari condizioni di temperatura (25÷42°C) e di nutrimento (ossia, di depositi calcarei, biofilm) [2-8]. Il batterio si trasmette all’uomo mediante inalazione di gocce d’acqua contaminate, di dimensioni inferiori a 5 µm [7,9], allorché è in gra-

C

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do di raggiungere le basse vie respiratorie. Pertanto alcuni dispositivi tecnici, come gli impianti di acqua calda sanitaria (ACS), gli impianti di climatizzazione, le torri evaporative ecc., costituiscono ambienti ideali per la proliferazione del batterio e ne favoriscono la trasmissione. D’altra parte alcuni edifici, quali ospedali e case di cura, sono a più alto rischio per la presenza di pazienti immunodepressi e quindi più esposti al contagio.

Mentre in passato l’attenzione degli studiosi era rivolta principalmente agli impianti di climatizzazione e alle torri evaporative, oggi gli sforzi principali sono concentrati sugli impianti ACS: per i primi, infatti, si sono raggiunti significativi progressi grazie all’adozione generalizzata di sistemi di umidificazione a vapore e di procedure affidabili di manutenzione e bonifica delle torri. Il controllo degli impianti ACS riveste particolare importanza, sia per la loro estensione e diffusione capillare sia perché in essi si verifica una concomitanza di fattori che li rende particolarmente adatti alla proliferazione della Legionella, quali temperature

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ottimali e presenza di ossidi e depositi calcarei. La trasmissione del batterio è inoltre favorita dalla generazione di aerosol dai soffioni delle docce e dagli aeratori dei rubinetti.

Per le ragioni sopra esposte, da molti anni si conducono studi finalizzati alla redazione di un protocollo unitario per la prevenzione e la verifica della contaminazione delle reti idriche; i protocolli attualmente disponibili si riconducono sostanzialmente a tre diverse linee di pensiero. Secondo il Center for Disease Control (Cdc) di Atlanta la valutazione del rischio deve essere basata esclusivamente sull’identificazione di casi di Legionellosi [3], mentre l’Allegheny County Health Department (Achd) ritiene prioritario il rilievo della presenza di contaminazione negli impianti ACS [4]. L’Ashrae non prende posizione in merito alla sorveglianza delle polmoniti e basa invece la strategia proposta sugli interventi atti a interrompere la catena di trasmissione [5]. Le attuali Linee Guida Italiane [2,11], predisposte dal Ministero della Sanità e adottate dalla Conferenza Stato-Regioni il 4 aprile 2000, basano la propria strategia di intervento sia sull’identificazione di casi di Legionellosi sia sulla verifica della contaminazione degli impianti ACS, senza considerare il parametro “costo”, che è invece alla base della disputa tra Cdc e Achd.

Un’interessante proposta [10] che mira a conciliare gli approcci divergenti proposti da Cdc e Acdh, consiste nell’attivare un’attenta sorveglianza di ogni caso di polmonite nosocomiale in tutti gli ospedali in cui si sia riscontrata la colonizzazione dell’impianto. Dal maggio del 2001 questa proposta è stata adottata in Piemonte da alcuni ospedali; requisito essenziale per partecipare alla ricerca è non avere mai isolato la Legionella Pneumophila 1 (la più virulenta). Le strutture che partecipano allo studio prendono in considerazione tutti i casi di infezione acuta delle basse vie respiratorie, con segni di polmonite focale, insorti dopo 48 ore dal ricovero ed eseguono campionamenti ambientali con frequenza semestrale. Il progetto ha una durata biennale e in questo periodo non si effettua nessun intervento di bonifica nelle strutture coinvolte.

Traendo spunto da questo progetto e da altre iniziative condotte in Piemonte negli ultimi anni, il lavoro qui presentato si pone come obiettivo di analizzare in modo organico la notevole mole di informazioni raccolte da entità diverse (aziende ospedaliere, istituti universitari, ditte specializzate nel settore ecc.) che spesso, per molteplici ragioni, non hanno modo di interagire fra di loro. Si intende in particolare valutare l’efficacia dei diversi metodi di decontaminazione prescelti, in relazione alle modalità utilizzate e alle caratteristiche tecniche dell’impianto ACS.

Metodo di indagine L’indagine presentata in questo studio ha riguardato gli impianti ACS di 38 presidi ospedalieri, di cui uno in Lombardia e i restanti in Piemonte. Per ognuno di essi sono state raccolte tramite un apposito questionario informazioni relative a:

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- Caratteristiche dell’ospedale collegabili in qualche modo al problema Legionella: dati dimensionali del presidio, caratteristiche degli impianti ACS, degli impianti di climatizzazione e delle torri evaporative.

- Bonifiche attuate sull’impianto ACS: tipi di intervento adottati, modalità dettagliate di esecuzione, costi e cronologia delle operazioni.

- Analisi effettuate in seguito a campionamenti eseguiti sull’impianto: laboratorio che ha eseguito le analisi, punti e modalità di prelievo, cronologia dei campionamenti.

- Numero di degenti infetti, con l’indicazione di quanti abbiano contratto l’infezione in ospedale e del numero di degenti per cui sia dimostrabile un legame fra infezione e impianto ACS. Sono state inoltre condotte le analisi atte a valutare lo stato di contaminazione e l’efficacia degli interventi di bonifica. Si sono così elaborati grafici relativi agli andamenti temporali delle seguenti grandezze: - Percentuale di punti privi di Legionella, determinata mediante prelievo di acqua.

- Concentrazione di Legionella nei punti contaminati.

- Percentuale di punti privi di Legionella, determinata mediante prelievo di tamponi.

- Percentuale di punti con concentrazione superiore a 10.000 UFC/l.

- Percentuale di punti caratterizzati dalle diverse specie e relativi sierotipi.

Gli andamenti sono stati valutati in relazione agli interventi di bonifica eseguiti. Inoltre, si sono ricostruiti gli schemi degli impianti ACS (schemi non esistenti per la quasi totalità degli ospedali); quando è stato possibile, si sono tracciate le dorsali principali individuando i punti di campionamento sul piano tipo, in modo da poter correlare con il grado di contaminazione sia la temperatura di prelievo sia la distanza di tali punti dalla localizzazione dell’intervento di bonifica.

Non è stato invece possibile mettere in relazione, in modo puntuale, il livello di contaminazione con il numero di polmoniti nosocomiali diagnosticate, in quanto per motivi di riservatezza tali dati sono stati comunicati solamente in forma aggregata.

cda 47

Risultati Le caratteristiche degli impianti dei 38 presidi esaminati possono essere così riassunte: - L’impianto ACS è solitamente composto da un bollitore con serpentino incorporato.

- In più della metà dei casi la rete di distribuzione ha più di 30 anni.

- La temperatura di mandata dell’acqua è generalmente compresa tra 50 e 55°C, mentre nel ricircolo si arriva a circa 40÷45°C. - La totalità dei presidi esaminati utilizza umidificatori a vapore.

- Il 42% degli impianti esaminati presenta torri evaporative.

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Ricerca

- La manutenzione delle torri evaporative viene sempre eseguita, mentre quella dei produttori di acqua calda sanitaria spesso è limitata dalla loro non ispezionabilità (22%); in entrambi i casi la frequenza di manutenzione, quando eseguita, è solitamente semestrale (rispettivamente 33 e 26%) o annuale (33 e 37%), mentre per i terminali, se attuata, ha cadenza annuale (31%).

Per quanto riguarda le strategie di campionamento (limitate in questo studio al solo impianto ACS), la scelta dei punti di prelievo ricade sui laboratori specializzati e sulle Direzioni Sanitarie: in genere si privilegiano i reparti a maggior rischio (trapianti, terapie intensive ecc.) e quindi i punti spesso risultano non omogeneamente distribuiti nelle strutture. Il numero di punti campionati raramente soddisfa il criterio proposto dalle Linee Guida Achd, che prevede di controllare almeno dieci punti negli ospedali con, al massimo, cinquecento posti letto, più due pun-

ti per ogni ulteriore aumento di cento (fig. 1).

L’evoluzione nel tempo dal 1994 al primo semestre del 2001 della frequenza dei campionamenti e del tipo di interventi di bonifica è riassunta nelle tabelle 1 e 2. La sensibilità al problema è andata crescendo negli anni: fino al 1998, infatti, un solo ospedale ha eseguito campionamenti, mentre nel periodo successivo la prassi si è estesa alla maggior parte dei presidi. Dai dati raccolti emerge, inoltre, che 36 presidi su 38 sono stati contaminati da Legionella (i due presidi non infetti, comunque, hanno avuto una sola analisi relativa a un singolo punto della rete di acqua calda sanitaria) e che in un solo presidio il batterio è stato debellato.

Anche riguardo alle strategie di intervento – suddivise in dodici classi: nessun intervento, shock termico (ST), iperclorazione shock (IS), clorazione continua (CC), raggi ultravioletti (UV), ozono (O), ionizzatori rame/argen-

45 40 35 punti analizzati

cda 48

30 25 20 15 10 5 0 0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

N° posti letto Punti mediamente analizzati

Criterio delle linee guida dell’Allegheny County Pittsburgh

Figura 1 - Relazione numero posti letto con i punti mediamente analizzati per ogni presidio

Tabella 1 -

Andamento percentuale del numero di campionamenti e del tipo di bonifica eseguiti dai presidi nei diversi anni

1994

1995

1996

1997

1998

1999

2000

2001 1° sem.

Numero di campionamenti 0

n.10 novembre 2003

100%

97%

97%

97%

80%

28%

27%

28%

1÷5

-

3%

3%

3%

20%

69%

62%

59%

6 ÷ 10

-

-

-

-

-

3%

5%

9%

11 ÷ 15

-

-

-

-

-

-

-

3%

16 ÷ 20

-

-

-

-

-

-

3%

-

21 ÷ 25

-

-

-

-

-

-

3%

-

media

0,0

1,0

1,0

3,0

1,4

2,4

3,8

3,8

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Tabella 2 -

Andamento percentuale dei tipi di bonifica eseguiti dai presidi nei diversi anni

1994

1995

1996

Nessuna

97%

97%

97%

ST

3%

3%

IS

-

ST+IS

-

CC ST+CC

1997

1998

1999

2000

2001 1° sem.

95%

82%

39%

37%

41%

3%

5%

13%

42%

34%

24%

-

-

-

-

3%

8%

8%

-

-

-

-

5%

3%

3%

-

-

-

-

-

3%

-

5%

-

-

-

-

-

-

5%

-

Tipo di bonifica

ST+IS+CC

-

-

-

-

5%

5%

5%

5%

UV

-

-

-

-

-

-

3%

3%

ST+UV

-

-

-

-

-

3%

-

-

ST+IS+UV

-

-

-

-

-

-

5%

3%

O

-

-

-

-

-

-

-

3%

ST+I

-

-

-

-

-

-

-

5%

to (I), e alcune combinazioni delle precedenti – si osserva un cambiamento di prassi a partire dal 1998. Inizialmente gli ospedali hanno optato per gli interventi termici, che sono tuttora il metodo più utilizzato data la semplicità di attuazione, mentre successivamente appaiono interventi di clorazione shock o continua; dalla fine del 1999 si comincia a sfruttare la tecnologia dei raggi UV e infine dal 2001 si attuano interventi che prevedono l’utilizzo di ozono e di ionizzatori rame/argento.

Confronto tra i diversi metodi di bonifica Per valutare l’efficacia degli interventi di bonifica si sono confrontati gli andamenti delle percentuali di punti privi di Legionella e delle concentrazioni medie nei punti contaminati, escludendo i presidi con meno di cinque punti di prelievo. Dall’esame dei dati, si evince che nessun intervento di bonifica ha decontaminato completamente gli impianti ACS e che non sono evidenti chiare correlazioni fra reazione delle varie specie di Legionella e tipo di trattamento.

Le varie tipologie di interventi di tipo shock sono sostanzialmente equivalenti e, pur garantendo risultati positivi soprattutto nei primi giorni dopo la bonifica, perdono efficacia dopo 1÷1,5 anni dall’inizio del trattamento, probabilmente a causa di una sorta di assuefazione della Legionella nei confronti di cloro e calore. Non ha quindi senso intervenire saltuariamente, eseguire un campionamento a pochi giorni dalla bonifica e, nel caso di risultati soddisfacenti, archiviare il problema. Il campionamento effettuato nei primi giorni dopo l’intervento ha pertanto l’unico scopo di verificare la corretta esecuzione del trattamento, mentre è indispensabile ripetere le misure dopo circa trenta giorni per valutare se si risente ancora dell’effetto dell’intervento o se è necessaria un’ulteriore decontaminazione.

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Effetto delle caratteristiche dell’impianto Le caratteristiche dell’impianto considerate sono: età del presidio, tipo di scambiatore (ad accumulo o istantaneo), presenza o meno di serbatoi di accumulo dell’acqua fredda, accuratezza con cui si esegue la manutenzione.

Contrariamente a quanto si potrebbe ipotizzare, l’età della rete ACS non risulta essere un fattore aggravante rispetto alla contaminazione: ci si potrebbe, infatti, aspettare concentrazioni di Legionella più elevate in tubazioni obsolete, a causa della presenza di biofilm e di placche di calcare che potrebbero limitare l’efficacia dei trattamenti; al contrario, i presidi costruiti da meno di 10 anni sono risultati mediamente più contaminati degli altri.

Neanche l’esame dell’influenza delle altre caratteristiche tecniche di impianto consente di stabilire evidenti correlazioni con il livello di contaminazione. Questo fatto confermerebbe quanto affermato da diverse fonti (fra cui l’Ashrae), ossia che per ottenere buoni risultati occorre mettere in pratica strategie di intervento le più capillari possibili, senza trascurare nessun aspetto particolare, poiché tutti possono essere significativi nel controllo della contaminazione.

cda 49

Influenza della durezza dell’acqua Una grandezza che pare invece avere un’influenza significativa sul livello di contaminazione della rete ACS è la durezza dell’acqua. Le figure 2 e 3 evidenziano, infatti, che i presidi che immettono nella rete ACS acqua quasi completamente addolcita, ossia con durezza di circa 1÷2°F, risultano molto meno contaminati degli altri, in termini sia di percentuali medie di punti privi di Legionella sia di concentrazioni medie relative ai punti contaminati.

I due ospedali che utilizzano acqua addolcita sono, in effetti, quelli che hanno ottenuto i maggiori successi, soprattutto per quanto riguarda la persistenza del risulta-

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Ricerca

Percentuale punti con concentrazione di Legionella < 100 UFC/I

100% 90% 80% 70% 60%

media “durezza > 10 °F” media “durezza = 1-2 °F”

50%

durezza > 10 °F durezza = 1-2 °F

40% 30% 20% 10% 0% prima

dopo 1-15 gg

dopo 15-30 gg dopo > 30 gg

tempo prima e dopo l’intervento Figura 2 - Andamento della percentuale di punti senza Legionella (< 100 UFC/I) relativo ai singoli SHOCK TERMICI: presidi caratterizzati da differente durezza del circuito ACS

25000 Percentuale punti con concentrazione di Legionella < 100 UFC/I

cda 50

20000

15000

media “durezza > 10 °F” media “durezza = 1-2 °F” durezza > 10 °F durezza = 1-2 °F

10000

50000

p

0

dopo 1-15 gg

dopo 15-30 gg

dopo > 30 gg

tempo prima e dopo l’intervento Figura 3 - Andamento della percentuale di punti senza Legionella (< 100 UFC/I) relativo ai singoli SHOCK TERMICI: presidi caratterizzati da differente durezza del circuito ACS

to. In entrambi gli ospedali è stato adottato il cloro come biocida, mediante clorazione continua in uno, iperclorazioni shock periodiche nell’altro: a titolo di esempio si veda la figura 4.

Da uno studio condotto dall’Università degli Studi di Torino e dall’Arpa di Novara sulla contaminazione della re-

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te ACS negli ospedali piemontesi [12,13] è, inoltre, emerso che uno solo di essi è privo di Legionella. In quell’ospedale (non coinvolto nella presente analisi) è stata quindi misurata la durezza dell’acqua, risultata pari a 0,95°F, a fronte di un valore medio di 10÷15°F per l’intero campione regionale. Questo risultato appare essere un’ulteriore con-

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FINO A DICEMBRE 1998 SI SONO ESEGUITI DEGLI INTERVENTI DI SHOCK TERMICO A CADENZA SETTIMANLE RELATIVI AI SOLI BOLLITORI

7000

120% 100%

100%

100%

100% 6000

100%

Iperclorazione shock

Iperclorazione shock

Iperclorazione shock

% punti con UFC/I < 100

26/1/01 14/02/01

9/7/99 29/07/99

100 14/9/00 02/10/00

120

18/12/98 08/01/99 22/1/99 28/01/99 12/02/99

0%

497 0%

5000

Iperclorazione shock

20%

83%

28/10/99 18/11/99

40% 33%

Iperclorazione shock

60%

Shock termico Iperclorazione shock

80%

83%

13/4/00 04/05/00

5750

4000 3000 2000 1000 0

Concentrazione media punti positivi (UFC/I)

Punti con concentrazione di Legionella < 100 UFC/I

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concentrazione media

Figura 4 - Andamento percentuale dei punti con concentrazione di Legionella < 100 UFC/I

100% 90%

100%

100%

cda 51 100%

93%

Frequenza relativa

80% 76%

70%

71%

60% 50%

52%

50%

50%

40% 30% 19%

20% 10%

0%

0%

5% 0%

23% 16% 10%

20% 17% 13%

49%

23%

22%

17% 11%

19%

13%

10%

11% 5%

7% 0%

0%

0%

10-17,5 17,5-25 25-32,5 32,5-40 40-47,5 47,5-55 55-62,5 62,5-70 70-77,5 77,5-85 classi di Temperatura di prelievo [°C] < 100 UFC/I

100 - 1.000 UFC/I

1.000 - 10.000 UFC/I

> 10.000 UFC/I

Figura 5 - Frequenza relativa delle quattro classi di concentrazione di Legionella in funzione della classe di Temperatura di prelievo di appartenenza

ferma della correlazione tra contaminazione e durezza: quest’ultima favorisce, infatti, la formazione di incrostazioni calcaree in grado di proteggere i batteri che vi si annidano dalle azioni delle bonifiche e potrebbe, più o meno di-

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rettamente, determinare condizioni ottimali per il nutrimento dei batteri. In letteratura, peraltro, non si riscontrano resoconti di studi condotti in questa direzione, per cui l’argomento andrebbe ulteriormente approfondito.

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Ricerca

UTENZA 1 UTENZA 2 UTENZA 3

50°C

15°C DELL’ADDOLCITORE

35°C

70°C

70°C

cda 52

DALLA/ALLA CALDAIA

ACCUMULATORE CON SCAMBIATORE DI CALORE A SERPENTINA

SCAMBIATORE DI CALORE A PIASTRE

ELETTROPOMPE DI RICIRCOLO ACS

VALVOLA MISCELATRICE A TRE VIE

VALVOLA DEVIATRICE A TRE VIE

SONDA DI TEMPERATURA

Figura 6 - Schema funzionale di una possibile centrale di produzione ACS “anti-Legionella”

Effetto della distanza tra punto di campionamento e zona di intervento di bonifica L’analisi è riferita a un sottocampione di 13 presidi per i quali è stato possibile reperire informazioni attendibili sulla conformazione delle reti ACS e quindi sull’andamento dei parametri di interesse in funzione della geometria degli impianti. In genere, le concentrazioni di Legionella risultano più elevate nei punti più distanti dalla zona di intervento di bonifica.

In effetti, al crescere della distanza diminuiscono sia la temperatura (shock termico) sia la concentrazione di cloro libero attivo disponibile (clorazione). Si è inoltre riscontrato che i punti più vicini alla zona di intervento, la maggior parte delle volte localizzati in centrale termica, sono i più contaminati, subito dopo quelli più lontani. Il fenomeno può essere dovuto al fatto che gli ospedali in questione, che utilizzano lo shock termico come intervento unico o in combinazione con altri, presentano tutti bollitori o accumulatori con grande quantità di incrostazioni e depositi: i depositi, smossi durante lo shock termico, libererebbero i batteri

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annidati al loro interno che andrebbero quindi in sospensione.

Influenza della temperatura di prelievo L’analisi è stata effettuata su un campione di 781 coppie di valori relativi ai 22 ospedali che hanno indicato la temperatura di prelievo dell’ACS. La relazione tra concentrazione di Legionella (rappresentata in quattro classi di concentrazione: <100 UFC/l; 100÷1000 UFC/l; 1000÷10.000 UFC/l; >10.000 UFC/l) e temperatura di prelievo (rappresentata in classi di ampiezza 7,5°C) è rappresentata nel grafico di figura 5. Dal grafico si evince che nell’89,5% dei casi la concentrazione di Legionella risulta inferiore a 10.000 UFC/l.

Per valori di temperatura esterni all’intervallo 15÷60°C non si riscontra Legionella, se non a bassissime concentrazioni, mentre la più alta probabilità di rilevare concentrazioni superiori a 10.000 UFC/l (23%) è relativa alla classe di temperatura 25÷32,5°C. Da questi risultati scaturiscono le considerazioni seguenti: in primo luogo è inutile effettuare campionamenti in punti della rete in cui fluisce acqua fred-

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da, in quanto si otterrebbero sempre risultati negativi; inoltre, appare opportuno mantenere in tutta la sezione di impianto in cui è presente acqua calda una temperatura superiore a 50°C.

Conclusioni e proposte di intervento Lo studio presentato in questo articolo rivela che, per risolvere il problema della Legionellosi nelle strutture ospedaliere, si sono esercitati notevoli sforzi anche se in modo non sufficientemente coordinato. È probabile che un campionamento ottimizzato per quanto riguarda tempi e modalità, anche se condotto su un numero limitato di presidi, possa condurre a risultati più affidabili e generalizzabili relativamente all’efficacia dei metodi di bonifica e alla pianificazione delle strategie di intervento.

Le analisi condotte in questo lavoro suggeriscono inoltre l’opportunità di approfondire lo studio delle relazioni che intercorrono tra durezza dell’acqua nella rete ACS, proliferazione del batterio ed efficacia degli interventi di bonifica.

Sarebbe poi di grande interesse riuscire a verificare quale sia l’eventuale correlazione tra numero di polmoniti nosocomiali notificate e grado di contaminazione dell’impianto al fine di stabilire una soglia critica di contaminazione al di sotto della quale si possa supporre pressoché certa l’assenza di casi d’infezione. Si limiterebbero così gli interventi di decontaminazione che, come più volte sottolineato, sono costosi e spesso di difficile attuazione, data la complessità degli impianti ACS ospedalieri.

Sulla base delle considerazioni sopra esposte, si propone infine uno schema di impianto di produzione di ACS (fig.

6) che dovrebbe garantire l’assenza di Legionella.

L’acqua è mantenuta nel bollitore 1 alla temperatura costante di 70°C (alla quale il batterio certamente non sopravvive) mediante uno scambiatore a serpentina regolato con una elettrovalvola a tre vie montata sul ritorno del circuito primario. L’acqua a 70°C passa quindi attraverso lo scambiatore a piastre 2, dove si raffredda fino a circa 50°C prima di essere distribuita alle utenze mediante una rete con ricircolo. Dall’altro lato dello scambiatore 2 circola acqua fredda di reintegro, proveniente dall’addolcitore, che in questo modo si preriscalda indicativamente da 15°C a 35°C, prima di essere inviata al bollitore. Lo scambiatore è regolato dalla valvola miscelatrice a tre vie 4, montata sul ritorno del circuito acqua di reintegro. L’acqua destinata alla distribuzione raggiunge quindi una temperatura di circa 50°C, teoricamente idonea alla proliferazione del batterio che è stato però eliminato a monte grazie all’elevata temperatura di accumulo. La condizione di funzionamento descritta è quella relativa al reintegro di acqua nel circuito, che si verifica tutte le volte che c’è un prelievo di acqua dalla rete o quando si riempie il circuito prima della messa in funzione dell’impianto.

Il bollitore e il suo scambiatore a serpentina devono essere dimensionati in modo da garantire che, anche in presenza di forte prelievo dalla rete ACS, la portata di reintegro sia in grado di raggiungere per un tempo adeguato la tempe-

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ratura di 70°C, così da risultare sicuramente decontaminata.

In assenza di prelievi dalla rete, l’acqua che esce dal bollitore a 70°C non si può raffreddare nello scambiatore 2, poiché dall’altro lato non vi è circolazione d’acqua. Per mantenere la temperatura di distribuzione dell’ACS al valore di 50°C in tutte le condizioni di funzionamento si utilizza allora l’elettrovalvola a tre vie 5, montata sul ritorno dell’anello di ricircolo: la valvola, comandata dal sensore di temperatura di mandata 6, devia una frazione della portata al bollitore quando la temperatura è troppo bassa, oppure invia tutta la portata direttamente alla rete quando la temperatura dell’acqua è sufficientemente elevata.

Nel caso di installazione di questo sistema in un impianto nuovo, tutta la rete di ACS deve essere priva di Legionella. Se, invece, l’impianto è già esistente, il sistema può garantire il risultato ottimale solo previa completa decontaminazione della rete. La soluzione proposta garantisce, infatti, la distribuzione di acqua priva di Legionella, ma, se il batterio fosse già presente nei tubi, troverebbe comunque nell’acqua a 50°C condizioni favorevoli alla sua proliferazione. Per realizzare con successo l’impianto descritto occorrerebbe dunque adottare un sistema in grado di eliminare con certezza la Legionella dall’intera rete ACS, in quanto basterebbe la presenza di acqua contaminata anche in un solo tratto per consentire ai batteri superstiti di ricolonizzare tutta la rete.

Per queste ragioni, dal momento che una decontaminazione completa dell’impianto è praticamente irrealizzabile, è consigliabile affiancare, comunque, a questo sistema un altro metodo di bonifica ad azione continua e ad effetto residuo, quale la ionizzazione rame-argento, la clorazione continua o l’ozonizzazione.

Dal punto di vista del consumo di energia e dei costi iniziali, l’impianto non risulta apprezzabilmente più oneroso rispetto a una soluzione tradizionale. La potenza termica supplementare, necessaria per portare la temperatura dell’acqua nel bollitore a 70°C, viene, infatti, sostanzialmente recuperata attraverso il preriscaldamento dell’acqua di reintegro nello scambiatore a piastre e il possibile incremento delle dispersioni termiche nel bollitore e nella rete può essere efficacemente contrastato adottando un adeguato livello di coibentazione. Anche i costi legati al sovradimensionamento del bollitore è sostanzialmente trascurabile, soprattutto se considerato in rapporto alla dimensione (economica oltre che sanitaria) del problema Legionella.

Il sistema è stato recentemente installato in un ospedale del Piemonte e sarà interessante verificare gli esiti dei primi campionamenti.

cda 53

Dott. Ing. M. Bo, Studio PRODIM, Torino Dott. Ing. G. Demaria, Libero professionista, Torino Prof. Ing. M. Masoero, Politecnico di Torino, Dipartimento di Energetica Dott. Ing. C. Molineris, Libero professionista, Torino Dott. Ing. C. Silvi, Politecnico di Torino, Dipartimento di Energetica

n.10 novembre 2003

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Impianti

Andrea D’Ascanio, Renato Lazzarin

Climatizzazione invernale con deumidificazione chimica Risultati sperimentali

cda 56

L’articolo riporta l’esito del monitoraggio di un innovativo sistema di climatizzazione per un edificio scolastico basato sulla deumidificazione chimica. L’impianto è composto da un sistema ad assorbimento con soluzione H2O-LiBr per il trattamento dell’aria espulsa, funzionante sia durante la stagione invernale sia durante quella estiva. Si esaminano le condizioni reali di funzionamento nel periodo del riscaldamento, al fine di valutare le prestazioni del sistema complessivo e dei singoli componenti, confrontandole con quelle previste da un modello di simulazione e con le prestazioni ottenibili da impianti di climatizzazione tradizionale.

a ristrutturazione di un edificio scolastico situato presso la sede di Vicenza dell’Università degli Studi di Padova ha consentito la progettazione di un impianto di condizionamento innovativo che prevede la deumidificazione dell’aria per via chimica.

L’impianto è stato attentamente monitorato e i risultati dell’analisi vengono presentati dagli autori in tre differenti articoli. Nel primo, quello che state leggendo, si esaminano i dati di funzionamento dell’impianto nel ciclo invernale, mentre nel secondo, sul prossimo numero di Cda, quelli relativi al ciclo estivo. Il terzo, infine, tratterà delle maggiori difficoltà che si sono presentate e di come queste sono state risolte.

L

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L’impianto di climatizzazione Descrizione dell’edificio e dei fabbisogni energetici L’edificio oggetto del monitoraggio (fig. 1) presenta un volume complessivo di circa 14.500 m3 ed è stato suddiviso in 5 zone in funzione del tipo di utilizzo, come descritto in tabella 1.

Come si può notare, nelle zone A (Mensa) e B (Aula Magna) l’elevata densità di persone comporta un carico latente interno notevole e un consistente fabbisogno energetico associato al ricambio d’aria.

Ciò impone soluzioni che privilegino il risparmio energetico: per queste due zone è stato quindi previsto un impianto di climatizzazione “a tutta aria” con due CTA indipendenti do-

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Tabella 1 -

Carichi termici invernali dell’edificio

UM

Zona A Mensa

Zona B Aula Magna

Zona C Laboratori

Zona D Uffici

Zona E Aule

Volume

m3

1.500

3.000

4.000

3.000

3.000

Persone

n°

240

300

50

50

100

7.500

12.000

2.000

-

3.500

3

Portata di rinnovo

m /h

Carico sensibile invernale

kW

-12

-22

-28

-45

-18

Carico latente invernale

kW

+12

+15

+2,5

+2,5

+5

A tutta aria

A tutta aria

Ventilconvettori + aria primaria

Ventilconvettori

Ventilconvettori + aria primaria

Tipologia di impianto di climatizzazione

Figura 1 - Rappresentazione schematica dell’edificio scolastico “Contrà Barche” a Vicenza

USCITA ARIA

INGRESSO SOLUZIONE DISTRIBUTORE PACCO DI RIEMPIMENTO

TORRE DI ASSORBIMENTO

FASCIAME

INGRESSO ARIA USCITA SOLUZIONE Parametri principali di progetto: • Concentrazione soluzione • Temperatura della soluzione e dell’aria • Umidità aria in ingresso • Portate soluzione/aria (L/G)

Figura 2 – Principio di funzionamento di una chema di torre di assorbimento

tate entrambe di torri di assorbimento in grado di deumidificare l’aria trattata mediante il contatto con una soluzione igroscopica.

L’impianto ha presentato, proprio perché innovativo, una serie di problematiche non ancora del tutto risolte, soprattutto perché nella fase di messa a punto sono emerse difficoltà

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sottovalutate che hanno messo in scacco l’impianto per molti mesi. Si pensi solo al problema, in sé di modesta portata, della tenuta delle guarnizioni: non realizzate come da progetto, ma in modo tradizionale, hanno provocato ingenti perdite di soluzione in tratti di circuito di difficile ispezionabilità e problemi di corrosione dei materiali a contatto con la soluzione stessa.

La novità dell’impianto suggerisce di mettere a disposizione dei lettori - in questo e in un successivo articolo - i primi dati di funzionamento sia nel ciclo invernale sia in quello estivo e, soprattutto, un’analisi delle maggiori difficoltà che si sono presentate (e di come sono state risolte) in un ultimo e conclusivo articolo.

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Principio di funzionamento della deumidificazione chimica La trasformazione subita dall’aria nell’impianto analizzato è la deumidificazione per via chimica, ottenuta nel passaggio attraverso una colonna impaccata (fig. 2), riempita con elementi “pall rings” a distribuzione casuale per aumentare la superficie di scambio e irrorata da una soluzione igroscopica H2O-LiBr. Il contenuto di umidità dell’aria può così essere notevolmente ridotto (fino a 15 gv/kgas in funzione soprattutto del rapporto tra le portate di soluzione e di aria, della concentrazione e della temperatura della soluzione [Lazzarin et al., 1999], [Gasparella, 1998]) perché parte del vapore passa in soluzione, che così viene diluita. La soluzione ha ovviamente necessità di essere rigenerata per ritornare nelle condizioni iniziali: si deve quindi estrarre il vapore dalla soluzione riscaldandola a temperatura sufficiente. Tale processo rappresenta l’effettivo input energetico per il sistema.

In torre si realizza una trasformazione che, rappresentata in un diagramma psicrometrico, permette di evidenziare la differenza rispetto a un sistema di deumidificazione ottenuto mediante raffreddamento fino al punto di rugiada (fig. 3).

Il processo A-B-D è il tipico processo tradizionale: per ridurre l’umidità assoluta di circa 1,5 gv/kgas (da 10,5 a 9 gv/kgas) si deve ridurre la temperatura di circa 11°C (da 25 a 14°C) e poi successivamente riscaldarla (da 14 a 20°C); viceversa, utilizzando una soluzione igroscopica (processo A-

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Impianti

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to è legato essenzialmente al processo chimico di assorbimento ed è quindi ineliminabile). Si può quindi successivamente raffreddare l’aria, in maniera solo sensibile, fino alle condizioni di progetto richieste.

Il vantaggio della deumidificazione chimica, nel caso di applicazioni per il condizionamento estivo, è quindi la possibilità di evitare il post-riscaldamento dell’aria deumidificata, di utilizzare un fluido di raffreddamento a più alta tempeFigura 3 - Confronto tra deumidificazione per raffreddamento (A-B-D) e ratura e infine di ridurre la deumidificazione chimica (A-C-D) potenza elettrica del gruppo frigo installato (deve inC-D) si può ottenere lo stesso risultato in cambio di un legfatti coprire soltanto il carico sensibile di raffrescamento, gero incremento di temperatura (da 25 a 29°C, dovuto sia mentre il carico latente è smaltito facendo ricorso a eneralla maggiore temperatura della soluzione che al calore di gia termica come input energetico). assorbimento. La temperatura della soluzione, infatti, diSi sottolinea inoltre che con la deumidificazione chimica pende dall’efficacia del raffreddamento della stessa prisi possono raggiungere livelli di deumidificazione molto spinma dell’ingresso in torre, mentre il calore di assorbimenti, difficilmente ottenibili con un impianto tradizionale.

Figura 4 - Diagramma a blocchi della C.T.A. della zona A - Mensa nel ciclo invernale

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L’impiego, infine, di sostanze igroscopiche permette anche un forte abbattimento della carica batterica nell’aria trattata, paragonabile a quella di un filtro ad alta efficienza [Kovak et al., 1997], rendendolo interessante per applicazioni nel settore ospedaliero.

Schemi di funzionamento dell’impianto L’impianto analizzato ha due modalità di funzionamento: invernale ed estiva.

Nel ciclo di riscaldamento invernale (fig. 4) l’aria di espulsione viene fatta passare attraverso la torre di assorbimento, da cui esce deumidificata e riscaldata. La soluzione in uscita dalla torre ha aumentato il proprio contenuto d’acqua e va quindi rigenerata (fig. 5). Nel caso in esame, tale processo è realizzato mediante un rigeneratore sotto vuoto, alimentato da una caldaia a metano ad acqua pressurizzata. Il vapore che si genera dal processo viene raffreddato in un condensatore recuperando il relativo calore latente a temperature utili per l’integrazione sul circuito di riscaldamento. Tale recupero è possibile perché le temperature di ritorno dalle utenze sono sufficientemente basse (40-50°C).

La soluzione rigenerata (calda), dopo aver subito uno scambio termico rigenerativo con la soluzione diluita (fredda) nello scambiatore soluzione-soluzione, ritorna in CTA dove riscalda l’aria di rinnovo (scambiatore aria-soluzione) prima di irrorare nuovamente la torre. Quest’ultimo scambio termico è importante perché abbassa la temperatura della soluzione a livelli che consentono di attuare un’efficace deumidificazione dell’aria. L’aria di rinnovo, dopo lo scambio termico con l’aria in uscita dalla torre e con la soluzione igroscopica, viene umidificata e infine riscaldata fino a ottenere le condizioni di immissioni desiderate.

In questa configurazione il sistema funziona a tutti gli effetti come una pompa di calore ad assorbimento a ciclo aperto che utilizza l’aria di espulsione come sorgente fredda.

Dall’aria espulsa viene così recuperato sia calore sensibile sia latente e, a differenza di un recuperatore entalpico, il recupero latente è indipendente da quello sensibile, ed è tanto maggiore quanto maggiore è il carico latente interno.

Analisi delle prestazioni dell’impianto

Dopo aver condotto una serie di simulazioni al calcolatore sulle prestazioni previste e per il dimensionamento dei componenti [Lazzarin et al., 1999], l’impianto è stato progettato e realizzato prevedendo anche un sistema di monitoraggio e controllo dei principali parametri di progetto, con l’obiettivo di verificare l’efficacia e l’efficienza del comportamento degli elementi innovativi inseriti: l’entità della deumidificazione realizzata nelle torri impaccate, l’effetto della concentrazione e della temperatura della soluzione nell’efficienza di deumidificazione, le potenze termiche scambiate nelle varie fasi del processo (rigenerazione, deumidificazione, condensazione ecc.), i tempi di risposta del sistema e infine una valutazione del risparmio energetico realizzato rispetto a un impianto tradizionale.

Come precedentemente accennato, l’impianto non è ancora completamente operativo e ha dovuto subire interventi correttivi per la risoluzione di diversi problemi legati non solo alla componentistica e all’installazione, ma anche alla logica di regolazione e controllo del sistema nel suo complesso (aspetti che verranno descritti in un articolo successivo).

A tale fine è stato quindi necessario eseguire numerose misure preliminari per la verifica del corretto funzionamento dei componenti installati e del sistema di controllo [D’Ascanio, 2002].

Per l’analisi delle prestazioni energetiche dell’imCICLO INVERNALE pianto sono state effettuaCENTRALE di RIGENERAZIONE te delle prove, di durata limitata ad alcune ore di funzionamento continuativo per 8.9 kg/h i problemi di cui sopra, che VAPORE 85.6°C - 0.15 bar hanno permesso, comunPERDITE que, di effettuare un priPOMPA da VUOTO 8.3 kW mo bilancio energetico del 81.4 kW RITORNO CALDAIA a SOLUZIONE 33.4 kW METANO ad 73.2 kW sistema, sia in configuraSCAMBIATORE acqua CONDENSATORE RIGENERATORE SOL./SOL. surriscaldata zione invernale sia estiva. Le MANDATA SOLUZIONE prove sono state effettuate durante diverse giornate SCARICO CONDENSE nella stagione invernale 2001-2002, facendo sempre 40°C funzionare una sola delle 2 INTEGRAZIONE SU RITORNO ACQUA CALDA torri di assorbimento alla CALDAIA A CONDENSAZIONE volta per poter effettuare bilanci energetici coerenti. Si Figura 5 - Diagramma a blocchi della centrale di rigenerazione della soluzione nel ciclo invernale è, comunque, tenuto conto,

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Impianti

nel valutare la lunghezza del periodo di prova, di minimizzare gli effetti del funzionamento discontinuo del sistema e dello sfasamento temporale tra deumidificazione e rigenerazione.

I valori riportati sono quindi da intendere come valori medi dei periodi di prova considerati.

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10.48 11.02 11.16 11.31 11.45 12.00 12.14 12.28 12.43 12.57 13.12 13.25 13.40 13.55 14.09 14.24 14.38 15.52 15.07 15.21 15.35 15.50 15.04 16.19 16.33 16.48

Variazione di umidità assoluta (g/kg)

9.35 9.50 18.04 18.19 10.33 10.48 11.02 11.16 11.31 11.45 12.00 12.14 12.28 12.43 12.57 13.12 12.26 13.40 13.55 14.09 15.24 14.38 14.52 15.07 15.21 15.36 15.50 16.04 16.19 16.33 16.48 17.00 17.16 17.31 17.45 18.00

Variazione di umidità assoluta (g/kg)

cda 60

e comunque inferiore alle condizioni previste dal progetto, e in alcuni casi si è avuto addirittura il fenomeno opposto di umidificazione dell’aria espulsa (valori negativi nel grafico di fig. 7).

Tale andamento si giustifica prendendo in considerazione i principali fattori che determinano l’entità della Prestazioni deumidificazione nelle torri ad assorbimento, in particolare In questa sede ci si sofferma solamente sull’analisi della concentrazione della soluzione e la temperatura mele prestazioni delle torri di assorbimento, in particolare dia della soluzione in torre. sull’entità della deumidificazione ottenuta e sui motivi Per quanto riguarda la concentrazione, durante le prove di tali risultati, rimandando ad altri lavori [D’Ascanio, 2002] svolte è stata mantenuta bassa (un massimo di circa il 50%) l’analisi più dettagliata sull’impianto nel suo complesso. per difficoltà nell’approvvigionamento della necessaria quanIn figura 6 si riporta l’andamento di una giornata di protità di soluzione. Tale limite non ha consentito quindi di va in regime invernale, dove viene evidenziata la diffeestendere l’analisi a un più largo campo di funzionarenza tra i valori di umidità in ingresso e in uscita dalla mento, né di raggiungere le effettive condizioni di protorre di assorbimento quando circola la soluzione igroscopica getto (la concentrazione minima di soluzione H2O-LiBr pre(torre a regime) rispetto a quando l’impianto funziona in vista in fase di progetto era del 52%). maniera tradizionale (regime “tradizionale”).

Tuttavia anche la temperatura media di ingresso della soLa deumidificazione media ottenuta nelle diverse prove luzione in torre si è rivelata un parametro fondamentasvolte varia da 1,2 a 2,5 gv/kgas, valore piuttosto basso le per spiegare le prestazioni riscontrate. Si è osservato, infatti, che anche lievi incrementi della temperatura (es. da 25 a 30-35°C) VARIAZIONI DI UMIDITÀ ASSOLUTA (Xin - Xout) possono ridurre notevol(Mensa - regime invernale, 31-01-02) mente le capacità deumi5,00 dificanti della soluzione, Regime Torre Transitorio Regime “tradizionale” a regime “fine prova” “tradizionale” soprattutto a basse con4,00 centrazioni. La situazione è peggiore nel caso inverna3,00 le, anche a parità di concentrazione: basta, infatti, Deumidificazione 2,00 l’incremento di qualche grado della temperatura 1,00 della soluzione per passare da condizioni di deumidifi0,00 cazione a quelle opposte di umidificazione.

Ora campionamento segnale (hhmm) Sono stati infine confronta-1,00 ti i risultati sperimentali Figura 6 - Andamento orario della deumidificazione ottenuta con quelli previsti da un modello di simulazione del comportamento delle torri di VARIAZIONI DI UMIDITÀ ASSOLUTA (Xin - Xout) assorbimento. Dal diagram(Mensa - regime invernale) ma di figura 8 si vede che il 5,00 06-02-02 modello segue fedelmente 4,00 30-01-02 l’andamento delle curve 3,00 2,00 sperimentali, sia in condizioni Deumidificazione 1,00 di deumidificazione sia in 0,00 quelle di umidificazione, -1,00 sebbene abbia uno scostaUmidificazione -2,00 mento (sempre in eccesso) -3,00 in media di circa 1,6-1,8 -4,00 gv/kgas. Tenendo conto del∆x < 0 (umidificazione) -5,00 le difformità tra le ipotesi di Ora campionamento segnale (hhmm) base del modello e quelle Figura 7 - Andamento orario della capacità di deumidificazione in due diverse dell’impianto realizzato, e giornate in regime invernale

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Confronto tra risultati sperimentali e risultati attesi per la deumidificazione in torre regime invernale 5,00 4,00

Concentrazione media durante la prova: 47%

Variazione di umidità assoluta (g/kg)

degli inevitabili errori legati alla limitata precisione delle misure effettuabili su impianti a scala commerciale (es. incertezza su portate di aria e di soluzione, precisione sonde di temperatura, ecc.), tale differenza è giustificabile.

3,00 2,00

∆xmedia: 1,6-1,8 g/kg

Deumidificazione

1,00 0,00 4 1 8 5 2 9 6 3 0 7 4 1 8 6 2 9 6 3 0 7 ,3 ,4 ,4 0,5 1,0 1,0 1,1 1,2 1,3 1,3 1,4 1,5 1,5 2,0 2,1 2,1 2,2 2,3 2,4 2,4 10 10 10 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 -1,00

0 6 3 ,2 ,3 ,4 13 13 13

Umidificazione

-2,00

-3,00 Bilancio energetico nel Delta X sperimentale AULA MAGNA -4,00 ciclo invernale Delta X TEORICO CONC. MEDIA 47% Ora campionamento segnale (hhmm) -5,00 Per una giornata media inFigura 8 - Deumidificazione invernale: confronto tra modello teorico e vernale, le potenze medie risultati sperimentali misurate durante il funzionamento della zona A (mensa), sono riportate in figura 9 e 10. Per maggiore chiarezza i bilanci energetici sono stati distinti da due Energia utile 49,2% Recupero su scamb. aria-soluzione(18,8 kW) Consumo punti di vista: dal “lato soal rigeneratore di metano (10,9 kW) 28,5% Scambio energetico in torre (34,3 kW) luzione” per l’individuazio(38,2 kW) 89,9% (4,3 kW) 11,3% Recupero al condensatore ne della ripartizione del100% 10,1% l’input termico fornito al 0,8% Scarico condense (0,3 kW) Perdite (fumi) sistema (fig. 9) e dal “lato 3,9 kW) aria” per l’analisi della copertura dei fabbisogni enerFigura 9 - Diagramma di flusso per il bilancio energetico medio giornaliero, getici della zona climatizzata lato soluzione, per le prove in regime invernale (zona A – mensa) (fig. 10).

Si può notare che gran parte dell’energia fornita (si è considerato il PCI del combustibile - metano, pari a Recupero su scambiatore Recupero “diretto” Fabbisogno aria aria-aria (19,1 kW) 35,7% 8.250 kcal/m3) dalla caldaia (37,9 kW) di immissione ad acqua pressurizzata (38 Recupero su scambiatore 35,1% 70,8% (53,6 kW) aria-soluzione (18,8 kW) kW) viene impiegata per la 100% batteria di preriscaldamenBatteria di post-riscaldamento (15,7 kW) 29,1% to dell’aria di rinnovo (cirRecupero al condenzatore 8% ca il 49%) e per lo scambio (recupero “indiretto”) (4,3 kW) in torre (circa il 28%). Il recupero al condensatore, a reFigura 10 - Diagramma di flusso per il fabbisogno energetico medio gime, è pari alla quantità di giornaliero, lato aria, per le prove in regime invernale (zona A - mensa) vapore sottratto all’aria di espulsione (4,3 kW, pari a cirTabella 2 - Indice di efficienza energetica del sistema in ca l’11%). Ciò dipende fortemente dalle capacità igroregime invernale scopiche della soluzione: nelle prove effettuate la riduzione media di umidità sull’aria espulsa è stata di circa 1,2 Recupero energetico Potenza Potenza gv/kgas. Tale valore è inferiore alle attese, per i motivi viInverno - zona A (mensa) [kW] [%] sti nel paragrafo “prestazioni”, e comporta quindi un miRecupero su scambiatore aria-aria 19,1 45,3% nore recupero energetico al condensatore rispetto al preRecupero su scambiatore aria-soluzione 18,8 44,5% visto.

Se si considera il fabbisogno energetico della mensa (fig.

10) nei periodi di prova considerati, questo è stato di circa 54 kW, di cui gran parte fornito dal sistema innovativo (circa il 71%, ottenuti, in parti quasi uguali, dal recupero attraverso gli scambiatori aria-aria e aria-soluzione) e so-

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Recupero al condensatore

4,3

10,2%

Totale energia recuperata

42,2

100,0%

Energia primaria impiegata

38,2

90,4%

REP (RAPPORTO ENERGIA PRIMARIA)

1,11

110,6%

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Impianti

Deumidificazione media: 1,2 g/kg

Recupero su scambiatore aria-soluzione Recupero al condensatore

10,2% 45,3%

40

MILANO BOLZANO

30

20

10

SC FLUSSI INCROCIATI

Figura 11 - Ripartizione dell’energia recuperata, regime invernale, zona A - mensa

TORRE + SC. ARIA-ARIA

RUOTA ENTALPCA

Figura 13 - Risparmi energetici annui previsti per i tre sistemi analizzati, in regime invernale

Recuperatore entalpico

lo per il 29% è “apparenteCONFRONTI ENERGETICI mente” fornito dal sistema REGIME INVERNALE di riscaldamento tradizioRecupero tradizionale Deumidificazione chimica Recupero entalpico recupero solo sensibile recupero sensibile e latente recupero sensibile e latente nale. Apparentemente persull’aria di espulsione sull’aria di espulsione sull’aria di espulsione ché in realtà una quota di Aria di rinnovo Aria di rinnovo Aria espulsa questa energia deriva dal recupero latente al conSC SC densatore. In pratica, il siaria-aria aria-aria stema innovativo ha coperto, quindi, quasi il 79% del fabbisogno della zona consiAria di rinnovo Aria espulsa derata (circa 42 kW). Vale ovviamente la considerazione Torre che se si realizzasse una maggiore deumidificazione questo contributo potrebbe Aria espulsa essere ulteriormente incrementato.

Figura 12 - Confronto tra diversi sistemi di recupero energetico sull’aria di Se si analizza, infine, l’eespulsione, in regime invernale nergia recuperata complessivamente dal sistema (sull’aria di espulsione per la quota sensibile e sul condensatore aria-aria e in quello aria-soluzione (per la parte sensibile). per la quota latente), si vede che, del totale recuperato (42,2 Per l’impianto esistente il modo per incrementare le prekW), è rilevante la quota relativa al recupero sensibile stazioni del sistema è quello di aumentare, a parità di al(circa il 90%, diviso quasi equamente tra scambiatore ariatre condizioni, la concentrazione della soluzione e di ridurre aria e batteria aria-soluzione) mentre il recupero latente è la temperatura di ingresso della soluzione in torre. solo del 10% (tab. 2 e fig. 11).

Per ottimizzare inoltre il funzionamento dell’impianto è imIl totale dell’energia recuperata è comunque superiore alportante sfruttare il più possibile il calore di condensazione l’energia primaria impiegata dal metano, come dimostra mantenendo a circa 40-50°C la temperatura di ritorno l’indice REP, definito, per le pompe di calore “termiche” dalle utenze del circuito di riscaldamento tradizionale. Nelcome: l’impianto analizzato è stata prevista anche una caldaia a condensazione per sfruttare il più possibile questa caratteristica.

Q Q +Q +Q utile

aria-aria

aria-sol

cond

REP = ––––––– = ––––––––––––––––––––––––– Qfornito Qmet

Il REP, pari a 1,11, inferiore alle attese (un valore di REP di riferimento per impianti di concezione analoga è di circa 1,3 [Lazzarin et al., 1992]) è ovviamente funzione della capacità di deumidificazione della soluzione (per la parte latente) e dell’entità del recupero nello scambiatore

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VENEZIA

50

0

44,5%

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Recupero energetico medio annuo (MWh)

60

Recupero su scambiatore aria-aria

Confronto con sistemi “tradizionali” di recupero energetico Le tecnologie alternative al sistema di deumidificazione chimica attraverso soluzioni igroscopiche possono essere di due tipi: da un lato un sistema “tradizionale” che prevede un semplice scambiatore sensibile e dall’altro uno energeticamente più efficiente come un recuperatore entalpico, che interviene sia sul recupero sensibile sia su quello latente (fig. 12).

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Tabella 3 -

Dati di progetto per il confronto stagionale nel caso invernale

Condizioni ambientali

Condizioni per la torre di deumidificazione

Tipologia ambiente

Aula scolastica 200 posti

Concentrazione soluzione

52%

Carico latente interno

10 kg/h di vapore

Rapporto L/G in torre

0,5

Aria di rinnovo

7.000 m3/h

Temperatura media di ingresso della soluzione in torre

Tsol = 28°C

Generazione di umidità interna equivalente

Xint = 1,19 g/kg

Deumidificazione media ottenibile

2,3 g/kg

Tipologia di impianto

A “tutta aria”

Incremento medio di temperatura dell’aria in torre

6,7°C

Condizioni interne

T =20°C; x =7,5 g/kg

Temperatura media dell’aria in uscita

26,7°C

LOCALITÀ

MILANO - VENEZIA BOLZANO

Efficienza dello scambiatore aria-aria

50%

Orario funzionamento impianto

07.00-20.00

Rendimento medio per la rigenerazione della soluzione in termini di energia primaria (compresi consumi elettrici)

80%

Differenza del risparmio annuo (%)

Il confronto è stato effettuato su baCarico latente interno (g/kg) se stagionale, ipotizzando un funzio50% 0,50 namento “ottimale” dell’impianto in 40% 1,00 base alle indicazioni fornite dal mo1,50 dello teorico, opportunamente corretto 30% per adeguarlo alle condizioni realiz2,00 20% zate nell’impianto sperimentale. Le condizioni di simulazione sono ripor10% tate in tabella 3, ipotizzando il soddisfacimento del solo carico di rinnovo.

0% VENEZIA MILANO BOLZANO I risultati delle simulazioni effet-10% tuate, nelle condizioni analizzate (fig. 13), dimostrano che l’utilizzo del -20% sistema di deumidificazione chimiFigura 14 - Incremento % delle prestazioni della torre di ca permette un risparmio energetiassorbimento rispetto al recuperatore entalpico, in funzione del co annuo (espresso in termini di carico latente interno energia primaria), per le località di Venezia e Milano, pari a circa 45 MWh, rispetto ai 25 MWh del solo scambiatore aria-aria, ed gli incrementi percentuali del recupero energetico della torè superiore ai risparmi ottenibili anche da un recuperatore re di assorbimento rispetto al recuperatore entalpico: si veentalpico (circa 38 MWh). Per le condizioni climatiche di de che, per le condizioni ipotizzate, il vantaggio energetico Bolzano, caratterizzato da un clima più rigido e con minore della torre si ottiene per valori di produzione interna di vaumidità esterna nella stagione invernale, i benefici del repore superiori a 1 g/kg (e quindi con possibili forti recuperi cuperatore entalpico sono elevati (il risparmio è di 55 latenti) e per condizioni climatiche non eccessivamente riMWh) e superiori invece al sistema con soluzione igroscogide.In conclusione, si può affermare che un impianto per pica. Tale differente comportamento tra recuperatore applicazioni HVAC che impieghi la deumidificazione chimica, entalpico e torre di deumidificazione dipende dai diversi se ben progettato e installato, può avere delle potenzialiconcetti di recupero realizzato: nel recuperatore entalpico tà di risparmio energetico notevole, per quanta riguarda la si può trasferire da un flusso all’altro solo una parte delstagione invernale, anche rispetto a sistemi molto efficienti l’entalpia dell’aria stessa e ciò è limitato anche dalla gedi recupero energetico, soprattutto negli ambienti dove i nerazione interna di carico latente e sensibile, mentre la carichi endogeni latenti sono significativi. torre di deumidificazione può spingere il recupero (latente) ben oltre questi limiti perché il calore di condenAndrea D’Ascanio, Renato Lazzarin sazione viene recuperato nel circuito di riscaldamento Università di Padova, Dipartimento di Tecnica dell’edificio, e quindi presenta una maggiore possibilità di e Gestione dei Sistemi Industriali, Vicenza impiego. Limitando il confronto alla torre di assorbimento e al recuperatore entalpico, è interessante vedere (fig.

I riferimenti bibliografici saranno riportati nel terzo e 14) come varia l’entità del recupero in funzione della proconclusivo articolo. duzione interna di vapore. Nel diagramma sono rappresentati

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Francesca Romana d’Ambrosio, Giorgio Raffellini

I “vizi” dell’aria Patologie edilizie da insufficiente ricambio d’aria

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Condense, muffe ed efflorescenze saline sugli intonaci sono spesso provocate da un insufficiente ricambio dell’aria ambiente.

Gli autori passano in rassegna le cause di formazione dell’umidità e le patologie edilizie che a questa sono connesse ed esaminano le normative in materia di controllo del rischio di condensa superficiale e interstiziale.

n insufficiente o poco efficace ricambio dell’aria ambiente è spesso alla base di numerose patologie edilizie, prime fra tutte la comparsa di condense, muffe ed efflorescenze saline sugli intonaci, con rilevanti conseguenze estetiche, ma soprattutto igieniche ed epidemiologiche. Inoltre, elevate concentrazioni di vapore negli ambienti confinati possono agevolare, all’interno delle murature, la formazione di condensa, particolarmente insidiosa per due motivi: è difficile da rilevare e spesso, quando ci si accorge, i danni provocati sono già gravi e i rimedi difficili da attuare.

Il fenomeno in esame risulta, poi, aggravato dall’ormai consolidata, anche se per vari aspetti meritoria, consuetudine di utilizzare infissi a elevata tenuta all’aria, nonché dal fatto che le nuove costruzioni vengono occupate sempre più a ridosso dell’ultimazione dei lavori, impedendo quindi la naturale e utilissima asciugatura dell’acqua di costruzione contenuta in intonaci e murature.

A queste cause possono anche aggiungersi l’uso di materiali fortemente igroscopici con tendenza a ritenere l’ac-

U

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qua di costruzione, la carenza di sistemi di ventilazione naturale e, soprattutto, la mancanza di impianti di ventilazione meccanica efficienti.

Cause di formazione dell’umidità Le pareti che delimitano un ambiente edilizio sono caratterizzate da contenuti fisiologici di umidità, provocati dalle condizioni di equilibrio con l’umidità relativa in ambiente [1], mentre i fenomeni patologici sono da riferirsi a eccessi di umidità che possono essere attribuiti a una serie di cause [2]: - umidità da costruzione; - umidità da condensa; - elevata produzione di vapore in ambiente; - umidità ascendente; - umidità da terrapieno; - umidità accidentale, provocata dalla presenza di infiltrazioni o perdite in corrispondenza di parti della costruzione a diretto contatto con acqua, quali cisterne d’acqua, im-

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pianti idrosanitari, scarichi, pluviali, coperture ecc.; - umidità meteorica, presente sulle superfici esterne delle murature e direttamente conseguente al fenomeno delle precipitazioni atmosferiche. Si può manifestare sia in zone limitate della costruzione sia in modo diffuso sulle superfici esterne; - assorbimento igroscopico per presenza di sali [3].

Le prime cinque cause sopra evidenziate sono riconducibili, direttamente o indirettamente, alla presenza in ambiente di aria con elevati contenuti di umidità; infatti, l’umidità può influire sui tempi di evaporazione dell’acqua di costruzione, è responsabile dell’assorbimento igroscopico e, soprattutto, aumenta il rischio di condensazione del vapor d’acqua. Per quanto riguarda, in particolare, l’umidità ascendente e quella da terrapieno, l’acqua che evapora dalla muratura aumenta il grado igrometrico in ambiente.

Umidità da costruzione Si riscontra in una struttura durante, e/o immediatamente dopo, i lavori di costruzione o ristrutturazione. Essa è dovuta alla presenza di acqua nella fase di preparazione a umido dei materiali edili e alla sua evaporazione durante le successive fasi di consolidamento del materiale.

I tempi necessari per l’asciugatura delle comuni murature sono, generalmente, dell’ordine di alcuni mesi, ma variano fortemente in funzione del clima, del tipo di muratura e del tipo di finitura; a questo proposito, vale la regola che i materiali che assorbono più rapidamente sono anche in grado di rilasciare più rapidamente l’acqua assorbita.

Attualmente, poiché i tempi occorrenti per la costruzione e quelli intercorrenti tra l’ultimazione dei lavori e l’occupazione degli alloggi si sono sensibilmente ridotti (essenzialmente per ragioni economiche), è frequente assistere, nel giro di poche settimane, alla comparsa di muffe estese in modo indifferenziato in tutti i locali, a causa della pratica impossibilità di smaltire l’umidità da costruzione.

Figura 1 - Muffe nerastre del genere Aspergillus

In figura 1 è rappresentata la comparsa di muffe del genere Aspergillus, a distanza di circa 5 mesi dall’occupazione di un alloggio a Firenze (termine lavori settembre 1997, occupazione alloggio giugno 1998, comparsa muffe novembre-dicembre 1998).

Studi condotti [4-6] in merito alle fasi di assorbimento e desorbimento dell’acqua su campioni ridotti di comuni materiali da costruzione hanno evidenziato che in condizioni climatiche tipiche delle abitazioni1 il tempo occorrente per il rilascio di almeno il 98% dell’acqua assorbita è di circa 21 giorni per i mattoni pieni e di 14÷21 giorni per i calcestruzzi cellulari. È evidente che questi tempi, riferiti a singoli campioni, devono essere sensibilmente aumentati quando si opera in cantiere in vasta scala e con strutture murarie complete nelle quali il rilascio dell’acqua è ostacolato dalla mutua influenza tra i componenti.

Tutto ciò è da attribuire innanzitutto alla struttura dei pori presenti nella matrice e alle caratteristiche chimico-fisiche del materiale; infatti, la presenza di acqua trattenuta nei pori dei materiali aumenta i valori di conducibilità termica, limitando così la funzione di isolamento termico di questi ultimi [7].

Umidità da condensa L’umidità da condensa è di due tipi: quella superficiale, purtroppo assai diffusa nelle costruzioni degli ultimi vent’anni, che si manifesta generalmente nei casi di pareti non sufficientemente isolate termicamente e in corrispondenza di discontinuità della struttura in termini di geometria e/o di materiali2 (fig. 2), e quella interstiziale o interna, che si verifica all’interno della parete.

La causa sta nel fatto che il vapor d’acqua contenuto nell’aria può condensare quando la tensione di vapore dell’acqua liquida uguaglia la pressione parziale del vapor d’acqua (condensa superficiale e interna).

Per la prima occorre evitare, sia progettualmente sia in fase di realizzazione, che l’isolamento termico presenti dis-

Figura 2 - Muffe attribuibili a condensa in zona ponte termico

1

Temperatura e umidità oscillanti rispettivamente tra i 18 e i 28°C e tra il 40 e il 60%, e velocità dell’aria inferiore a 0,1 m/s.

2

Generalmente dette ponti termici.

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continuità, e quindi che si creino sul lato interno delle pareti zone “fredde”, dove la temperatura superficiale risulti inferiore a quella di rugiada (condensa). Mentre la condensazione interna, anche detta interstiziale, è legata alla migrazione del vapor d’acqua verso l’esterno a causa del differenziale di pressione parziale del vapore tra interno ed esterno, che si verifica nella stagione invernale quando la temperatura interna della miscela aria-vapor d’acqua è maggiore della esterna. Analogamente a quanto succede per la trasmissione di energia termica, la diffusione del vapore nelle murature dipende dalla resistenza opposta dai vari strati che compongono la parete: per limitare i rischi di condensazione interna vale la regola generale di disporre gli strati con maggior resistenza alla diffusione del vapore a partire dall’interno verso l’esterno, viceversa per quanto riguarda la resistenza termica.

Tuttavia, ostacolare la naturale diffusione del vapore, per esempio utilizzando barriere al vapore, può, in assenza di opportuni ricambi d’aria, aumentare l’umidità ambiente con conseguente rischio di formazione di condensa superficiale.

Secondo la recente normativa [8], la condensazione interstiziale non è di per sé grave qualora la quantità di acqua condensata possa essere smaltita per evaporazione in tempi ragionevoli (in genere nel periodo successivo alla stagione di riscaldamento) e non raggiunga entità tali da poter danneggiare il materiale.

Va però sottolineato che la presenza di acqua allo stato liquido all’interno della muratura, anche se per un periodo limitato, può comunque danneggiare la struttura e sicuramente altera le proprietà termofisiche dei materiali comportando, tra l’altro, una diminuzione della conducibilità termica degli isolanti, con conseguente aumento di dispersioni termiche e rischio di condensa superficiale.

La condensa superficiale e quella interstiziale possono essere evitate con una corretta progettazione termoigrometrica dell’involucro esterno: utilizzando materiali tali da garantire un’adeguata resistenza termica delle pareti, disponendo opportunamente gli strati, ed eliminando i ponti termici.

Figura 3 - Muffe sulla parete esterna di un bagno

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Figura 4 - Fessurazione e sgretolamento di intonaco dovuto all’umidità

Produzione di vapore in ambiente La produzione di vapore in ambiente, G, è valutata in relazione alla destinazione d’uso dell’edificio.

In letteratura sono riportate diverse modalità di calcolo; quelle di uso più pratico per i progettisti fanno riferimento al numero di persone presenti in ambiente, parametro che, per quanto attiene a edifici a uso residenziale e simili, è prevedibile con sufficiente accuratezza e, soprattutto, è prestabilito dai regolamenti di igiene in funzione dei vani, della superficie dei locali o del volume dell’ambiente.

Un esempio di ambiente con elevata produzione endogena è il bagno, dove l’elevata produzione interna di vapore porta spesso alla comparsa di muffe sulle pareti, come mostrato in figura 3.

Umidità ascendente È connessa con i fenomeni di risalita capillare nelle murature a contatto con terreno umido [9]. La consistenza del fenomeno dipende da diversi fattori quali la porosità dei materiali che costituiscono la muratura, la quantità di acqua presente nel terreno, la presenza di una impermeabilizzazione sulla superficie della parete e la capacità evaporativa delle superfici esterne della muratura.

All’umidità ascendente sono generalmente associati fenomeni di trasporto di sali idrosolubili (cloruri, solfati, nitrati), presenti nei materiali da costruzione o nel terreno, che, trasportati in soluzione sulla superficie, cristallizzano a causa dell’evaporazione dell’acqua provocando lo sgretolamento dell’intonaco, come riportato in figura 4.

Umidità da terrapieno È dovuta al fatto che il livello del pavimento dell’ambiente interno della parete considerata è inferiore a quello del piano di calpestio dell’ambiente esterno, e quindi l’acqua che si trova nel terreno tende a passare nella parete; è essenzialmente associata agli stessi fenomeni di trasporto di sali di cui si è parlato per l’umidità ascendente.

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Figura 5 evaporazione

Barbe

bianche

nella

zona

di

Patologie edilizie dovute all’umidità nell’aria Le patologie edilizie attribuibili alla presenza di umidità in eccesso nell’aria ambiente possono essere raggruppate in due categorie, a seconda che le manifestazioni del fenomeno siano o meno visibili: - “visibili”, legate alla comparsa di muffe ed efflorescenze sulle superfici delle pareti di confine con l’ambiente esterno e in qualche caso anche interno; sono dovute essenzialmente alle prime quattro cause considerate; - “invisibili”, legate alla presenza di acqua liquida negli strati interni delle pareti di tamponamento esterno, dovuta essenzialmente alla condensa interstiziale e all’umidità ascendente.

Le muffe sono costituite da colonie di funghi (o miceti) che proliferano a causa della presenza di umidità su materiale a base organica: condizione essenziale per lo sviluppo e la conservazione di tali microrganismi è pertanto un ambiente umido, mentre l’assenza di luce solare non influenza la loro capacità riproduttiva. La temperatura ideale per il loro sviluppo è intorno a 18-22°C con aria stagnante; ne consegue che zone caldo-umide e poco venti-

Figura 6 - Macchie attribuibili alla presenza di sali igroscopici

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late (dietro i mobili, nei ripostigli, negli spigoli delle pareti ecc.) costituiscono l’habitat ideale di insorgenza e riproduzione.

Le efflorescenze saline si manifestano con barbe bianche in corrispondenza delle zone di evaporazione (fig. 5).

I sali solubili (solfati di magnesio, calcio e sodio) possono essere presenti nell’impasto dei mattoni, nel pietrame, nella malta o provenire per capillarità dal suolo. La presenza di elevate concentrazioni di sali igroscopici negli intonaci può essere individuata dalla comparsa ciclica di macchie di umidità ben marcate come quelle in figura 6, tanto che tale patologia spesso è confusa con la rottura di tubazioni idriche.

Una volta che la patologia si è palesata, occorre evidentemente quantificare l’entità della stessa [2] e risalire alle cause che ne hanno determinato l’insorgenza. Non sempre la diagnosi risulta facile: infatti, possono instaurarsi concause, interazioni e sinergie.

Ad esempio, l’umidità in eccesso nell’aria ambiente può essere dovuta a un carente rinnovo di quest’ultima, ma anche alla presenza di umidità da costruzione; non vanno poi trascurati altri fattori quali il clima, gli aspetti tipologicocostruttivi, il numero e le attività degli occupanti e le modalità di utilizzo dell’ambiente. In particolare, le abitudini degli occupanti, anche se spesso sottovalutate perché difficilmente valutabili, esercitano una grande influenza sui contenuti di umidità ambientale; infatti, sono indubbiamente importanti i comportamenti in materia di igiene personale e di preparazione e consumazione dei pasti nell’abitazione; anche l’asciugatura del bucato all’interno degli ambienti, così come il sovraffollamento degli alloggi e l’uso di stufe catalitiche3 può, in particolari circostanze, determinare l’insorgenza delle patologie in questione.

A questo occorre aggiungere l’influenza esercitata dalle modalità di conduzione dell’impianto di riscaldamento: l’utilizzo di impianti autonomi, che consente una gestione indipendente, fa sì che gli impianti si accendono solo in presenza degli occupanti, mentre si tende ad abbassare le temperature di set-point, con interruzione o attenuazione notturna, accentuando il rischio di condensazione del vapor d’acqua. Inoltre, si è verificata una progressiva riduzione delle superfici utili e del volume degli ambienti, con altezze nette interne inferiori a 3 m (con minimi di 2,2 ÷ 2,4 m). I mutamenti sociali hanno accentuato l’uso più discontinuo degli alloggi con conseguente limitazione dei ricambi d’aria.

Un ultimo aspetto merita di essere esaminato: da una trentina d’anni, per motivi di risparmio energetico, i serramenti a elevata tenuta all’aria hanno sostituito, anche in molte abitazioni esistenti, i vecchi serramenti, che assicuravano un minimo di infiltrazioni e di ricambio costante dell’aria, anche se incontrollato. In altri termini [10], le finestre hanno perso il ruolo di dispositivi necessari alla ven-

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3 Un risultato della combustione è la produzione di vapore acqueo.

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tilazione degli ambienti, conservando la funzione insostituibile di garantire l’illuminazione naturale e isolare acusticamente.

Da quanto detto consegue la necessità che la ventilazione degli alloggi sia garantita da impianti di ventilazione naturale o meccanica [11].

Normativa sul controllo del rischio di formazione di condensa La norma EN-ISO 13788 [6] riporta le modalità di calcolo e verifica del rischio di formazione di condensa, sia superficiale sia interstiziale. Questa norma, pur non essendo ancora stata pubblicata come UNI, è, a tutti gli effetti, valida in Italia e quindi sostituisce la UNI 10350 [12].

Prima di passare a esaminare nel dettaglio le procedure proposte dalla norma per il calcolo della condensa, è opportuno ricordare che in condizioni di regime stazionario, e in assenza di fenomeni di condensazione superficiale del vapore sulle superfici delimitanti l’ambiente, la differenza di pressione parziale del vapore tra interno ed esterno, Dpv, può essere calcolata come [8]:

(1)

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dove : pi = pressione parziale del vapore all’interno dell’ambiente, Pa; pe = pressione parziale del vapore all’esterno dell’ambiente, Pa; Rv = costante dei gas per il vapor d’acqua = 462 J/kgK; ti, te = temperatura dell’aria all’interno e all’esterno, K; G = produzione di vapore in ambiente, kg/h; n = numero di ricambi d’aria, h-1; V = volume dell’ambiente, m3; Dn = apporto specifico di vapore, kg/m3.

Considerato che le situazioni reali non sono stazionarie e che ci sono fattori che possono influenzare i fenomeni superficiali, la norma EN-ISO 13788 prescrive che il valore di Dpv ricavato con la (2) venga maggiorato del 10%.

Tabella 1 -

Sulla base della (2), dalla quale si ricava [13] che la differenza tra le pressioni parziali aumenta all’aumentare della produzione di vapore per unità di volume e al diminuire dei ricambi d’aria, si è giunti ad una classificazione degli ambienti interni in funzione della concentrazione del vapore all’interno e della temperatura media mensile esterna, così come mostrato in tabella 1.

I valori riportati in tabella rappresentano gli estremi del campo di variazione di Dp e Dn per ciascuna classe; è disponibile anche un diagramma dal quale è possibile ricavare i valori puntuali di Dp e Dn in funzione della temperatura [8, 13].

Per quanto riguarda i ricambi d’aria, la norma 13788 [8] nell’Appendice B (informativa) suggerisce la seguente relazione, diversa da quelle previste dalle altre norme di settore [14-15]:

(2)

La verifica della condensa superficiale La EN-ISO 13788 impone che il valore massimo del grado igrometrico all’interno degli ambienti sia pari all’80% in relazione al rischio di sviluppo di muffe4 e definisce cinque parametri di interesse nel calcolo della condensa superficiale: - le condizioni climatiche esterne, espresse in termini di valori medi mensili della temperatura e dell’umidità relativa; - l’apporto specifico di vapore ∆n, sopra definito; - la temperatura dell’aria all’interno; - il fattore di temperatura superficiale, definito come:

(3)

con: tsi = temperatura della superficie interna di un elemento di parete, °C; che è un indice del grado di isolamento termico della parete, in quanto dipende dalla trasmittanza della parete, evidenziata dalla relazione:

Determinazione dei campi di Dp e Dn in funzione delle classi di concentrazione del vapore. Da [8] modificata

Uso dell’edificio

∆p (Pa)

∆n (g/h)

1 molto bassa

Magazzini

0 ÷ 270

0÷2

2 bassa

Uffici

270 ÷ 540

2÷4

3 media

Alloggi con basso indice di affollamento

540 ÷ 810

4÷6

4 alta

Alloggi con alto indice di affollamento

810 ÷ 1080

6÷8

5 molto alta

Edifici speciali (p.e. lavanderie, piscine)

> 1080

>8

Classe di concentrazione (kg/m3)

4 Questo limite può variare a seconda dei casi; p.e., per evitare fenomeni di corrosione va imposto Fmax= 60%; per i telai delle finestre, generalmente caratterizzati da una finitura superficiale impermeabile, si assume Fmax= 100%.

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(4)

con: . q = flusso termico attraverso la parete, W/m2; Rsi = resistenza termica liminare interna dell’elemento di parete, m2K/W; U = trasmittanza termica dell’elemento di parete, W/m2K. La procedura prevede che per ciascun mese dell’anno si calcoli il fattore di temperatura superficiale; il mese cui corrisponde il fattore più elevato, fRsi,max, è il mese critico e l’elemento di parete va progettato in modo che risulti fRsi>fRsi,max.

Il calcolo del fattore di temperatura superficiale può essere effettuato in vari modi, a seconda dei dati di cui si dispone. Per esempio, se sono noti la temperatura interna e la temperatura e il grado igrometrico esterni, si calcola la pressione parziale esterna e da questa, conoscendo la destinazione d’uso dell’ambiente e quindi la classe, con la tabella 1 si ricava il valore di ∆p; maggiorando quest’ultimo del 10% e sommandolo a quello della pressione parziale esterna si ottiene la pressione parziale interna e, imponendo fmax secondo il criterio precedentemente illustrato, si calcola la pressione di saturazione alla parete e quindi la temperatura della superficie interna che risulta uguale a quella di rugiada, tr; a questo punto non resta che calcolare fRsi. Evidentemente, progettando i vari elementi dell’involucro in modo che sia fRsi > fRsi,max, si ottiene tsi>tr e quindi si evita il rischio di condensa superficiale.

La norma EN-ISO 13788 fornisce anche una procedura per la verifica della condensa superficiale in strutture a bassa inerzia termica.

La verifica della condensa interstiziale Per la verifica della condensa interstiziale, la norma ENISO 13788 [8] fa riferimento al metodo di Glaser, nelle ipotesi di monodimensionalità e stazionarietà e supponendo che la struttura sia inizialmente asciutta.

Il metodo si basa, come noto, sul confronto tra i valori della pressione parziale, pv, e di quella di saturazione, pvs; qui di seguito saranno omessi tutti gli aspetti che si ritengono scontati, quali il calcolo delle pvs di interfaccia.

In analogia al flusso termico, considerato che le resistenze alla diffusione del vapore in corrispondenza delle superfici interna ed esterna della parete sono nulle, il flusso di vapore all’interno della muratura è dato dalla nota relazione:

(5)

con: g = flusso di vapore, kg/m2s; pi = pressione parziale del vapore all’interno dell’ambiente, Pa; pe = pressione parziale del vapore all’esterno dell’ambiente, Pa; dj = spessore del j-esimo strato di materiale che costituisce la parete, m; dp,j = permeabilità al vapore del j-esimo strato di materiale che costituisce la parete, kg/msPa; Zv = resistenza alla diffusione del vapore, m2sPa/kg.

Essendo anche:

(6)

con: m = permeabilità relativa o fattore di resistenza alla diffusione del vapore, adim.; d = spessore dello strato di materiale, m; d0 = permeabilità al vapore dell’aria, kg/msPa; sd = spessore dello strato equivalente d’aria che ha la stessa resistenza alla diffusione del vapore dello strato di materiale considerato, = md, m; si ottiene in definitiva:

cda 71

(7)

La norma prevede che, a partire dal mese che appare più critico, si verifichi la presenza di condensa; evidentemente, si possono verificare tre casi: 1. non c’è formazione di condensa: la struttura è ben progettata dal punto di vista termoigrometrico; 2. c’è formazione di condensa a partire da un certo mese e per un certo periodo dell’anno: va verificato che la condensa che si forma riesca poi a evaporare nei rimanenti mesi dell’anno, anche se, per quanto già detto, i calcoli effettuati nell’ipotesi di materiale asciutto non sono più validi5; 3. c’è formazione di condensa tutto l’anno: la struttura presenta problemi.

Questo fatto va evidenziato in un’apposita relazione, nella quale va riportato, per ciascun mese dell’anno, e in corrispondenza di ciascuna interfaccia, il valore della quantità di acqua condensata e quello della quantità di acqua evaporata.

Il metodo di Glaser non è rigoroso, in quanto evidentemente

5

La norma UNI 10350 prevedeva un valore della quantità ammissibile di condensa presente in un elemento di parete alla fine del periodo di condensazione pari a 500 g/m2. La norma imponeva che tale quantità evaporasse “prima dell’inizio della successiva stagione di riscaldamento”.

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in una muratura non valgono certamente le ipotesi di stazionarietà e monodimensionalità; inoltre, ci può essere trasporto di acqua in fase vapore, legato a movimenti di aria all’interno di cavità, o in fase liquida a seguito di assorbimento capillare e comunque dovuto all’igroscopicità dei materiali; ancora, e forse soprattutto, le proprietà termoigrometriche dei materiali variano con l’umidità. Infine, c’è da considerare il fatto che, con questo metodo, si suppone che la condensa che si forma nella parete sia concentrata alle interfacce e non distribuita negli strati.

Esistono altri metodi di valutazione e calcolo della condensa interstiziale, per esempio quelli basati sul metodo delle differenze finite o quelli che considerano la variazione delle proprietà termoigrometriche con l’umidità, che forniscono risultati più accurati.

Il motivo per cui il metodo di Glaser continua a essere largamente utilizzato, al punto da essere oggetto di normativa internazionale, è che gli altri metodi di cui si è detto utilizzano comunque dati approssimati, per cui al rigore del metodo corrispondono complessità di calcolo e bassa precisione.

I problemi legati all’umidità in eccesso negli ambienti possono essere dovuti a varie cause, tra cui la mancata asciugatura dell’acqua di costruzione e/o per condensazione: entrambi i fenomeni sono causa di patologie delle strutture murarie che possono portare al degrado delle murature stesse e alla comparsa di muffe.

La soluzione di tali problematiche sta, innanzitutto, in una corretta progettazione termoigrometrica dell’involucro e in un’adeguata gestione dell’edificio, ma non può prescindere dal controllo dell’umidità che può avvenire solo con un’efficace ventilazione degli ambienti.

tamento igrometrico di alcuni materiali da costruzione: rilievi sperimentali e analisi critica”, L’Industria dei Laterizi, 16, 232-242, 1992.

[5] G. Raffellini, G.F. Cellai, F. De Lorenzi, “Rising damp in the masonry walls: the hygrometric behaviour of some traditional building materials”, Atti del Congreso Internacional Rehabilitacion del Patrimonio Arquitectonico y Edificacion, I, 324327, Canarias, 13-18 Luglio 1992.

[6] G. Raffellini, G.F. Cellai, “Aspetti teorici e risultati sperimentali preliminari in merito al comportamento igrometrico di alcuni tipici materiali da costruzione”, Atti del 47° Congresso Nazionale A.T.I, I, 235-247, Parma, 16-18 Settembre 1992.

[7] M. Barsottelli, G.F. Cellai, F. Fratini, C. Manganelli Del Fa, “The higrometric behaviour of some artificial stone materials used as elements of masonry walls”, Materials and Structures, 34, 211-216, 2001.

[8] CEN 2001, Hygrothermal performance of building components and building elements- Internal surface temperature to avoid critical surface humidity and interstitial condensation. Standard EN-ISO 13788. Bruxelles: Comité Européen de Normalisation.

[9] G. Alfano, F.R. d’Ambrosio, G. Riccio, “Degrado degli edifici dovuto ad umidità: prevenzione e bonifica”, in: Edilizia e Ambiente (A. Peretti e P. Simonetti eds.), 103-122. Padova: Arti Grafiche Padovane, 1992.

[10] G. Alfano, F.R. d’Ambrosio, “L’inquinamento ambientale all’interno dell’abitazione. Il ruolo della finestra”, Convegno “Il contributo del serramento

Francesca Romana d’Ambrosio Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Università degli Studi di Salerno Giorgio Raffellini Dipartimento di Tecnologie e Design “P.L. Spadolini”, Università degli Studi di Firenze

in PVC. Risparmio energetico ed inquinamento ambientale”, SAIEDUE 1999. Bologna, 20 marzo 1999.

[11] G. Alfano, F.R. d’Ambrosio, G. Riccio, “La qualità dell’aria negli ambienti confinati: lo stato dell’arte. Edilizia: Progetto, Costruzione, Gestione”, 1934, 2000.

[12] UNI 1999, Componenti edilizi e strutture edilizie – Prestazioni igrotermiche: Stima della temperatura superficiale interna per evitare umidità critica su-

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[2] C. Aghemo, E. Cirillo, I. Fato, M. Filippi, “L’umidità

[14] UNI 2001, Prestazione termica degli edifici – Calcolo

nelle murature: una metodologia di indagine”, Re-

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[3] P. Bianchi, G. Cuppini, G. Raffellini, “Recupero e risanamento: problemi d’umidità”, Costruire in Laterizio, 19, 44-51, 1991.

[4] G. Raffellini, G.F. Cellai, F. De Lorenzi, “Compor-

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perficiale e valutazione del rischio di condensa-

cazione Italiana.

[15] CEN 2001, Thermal performance of buildings – Calculation of energy use for space heating. prEN-ISO 13790. Bruxelles: Comité Européen de Normalisation.

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Verifiche, controlli e rendimento di combustione Il nuovo libretto di impianto Le prime cinque sezioni del nuovo libretto d’impianto, previsto dal DM 17 marzo 2003 e successiva errata corrige del 15 maggio 2003, sono state commentate sullo scorso numero di Cda (pag. 65-69). Ora l’autore completa l’argomento, presentando le modifiche e le novità introdotte dalle ultime cinque.

l Decreto del Presidente della Repubblica 26 agosto 1993, n. 412 (pubblicato sul Supplemento Ordinario n. 96 alla Gazzetta Ufficiale n. 242 del 14 ottobre 1993) - regolamento recante le norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell’art. 4 comma 4 della legge 9 gennaio 1991, n. 10 - è stato successivamente modificato e integrato dal DPR del 21 dicembre 1999, n.

551 (pubblicato sulla GU n. 81 del 6 aprile 2000). Il comma 9 dell’art. 11 prevede che gli impianti termici con potenza nominale al focolare inferiore a 35 kW debbano essere muniti di un “libretto di impianto” predisposto secondo il modello indicato all’allegato G dello stesso Decreto.

Il comma 10 dell’art. 11 prevede che il libretto possa essere periodicamente aggiornato, in relazione all’evoluzione normativa del settore, e che il suo aggiornamento debba avvenire esclusivamente tramite un decreto del Ministero per le attività produttive (MAP). È proprio in base a tale disposto che, con Decreto 17 marzo 2003 (SO n. 60 alla GU n. 86 del 12 aprile 2003), e con la successiva errata corrige del 15 maggio 2003, il Ministero per le attività produttive pubblica, nell’allegato II, il nuovo modello di libretto d’impianto.

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Valore minimo di legge del rendimento di combustione L’art. 11 comma 14 del Regolamento stabilisce che per un generatore di calore ad acqua calda o ad aria calda, alimentato da combustibile liquido o gassoso comunemente commercializzato, quale: gas naturale, GPL, gasolio e olio combustibile, il rendimento di combustione minimo di legge, misurato alla massima potenza termica effettiva del focolare, in condizioni di normale funzionamento, deve essere calcolato con le seguenti relazioni: a) per i generatori di calore ad acqua calda installati prima del 29 ottobre 1993: ηDPR412 = 81+2log10PN, che corrisponde al valore minimo del rendimento termico utile di una caldaia standard, secondo il DPR 15 novembre 1996, n. 660 (direttiva rendimenti), diminuito di tre punti percentuali; b) per i generatori di calore ad acqua calda installati dopo il 29 ottobre 1993: ηDPR412 = 84+2log10PN, che corrisponde al valore minimo del rendimento termico utile di una caldaia standard, secondo il DPR 15 novembre 1996, n. 660 (direttiva rendimenti); c) per i generatori di calore ad aria calda installati prima del 29 ottobre 1993: ηDPR412 = 77+2log10PN, che corrisponde al valore minimo del rendimento di combustione, se-

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lido o non comune il valore del rendimento di combustione minimo accettabile si ottiene dalle relazioni eventualmente fornite dai costruttori.

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condo l’allegato E al DPR 412/93, diminuito di sei punti percentuali; d) per i generatori di calore ad aria calda installati dopo il 29 ottobre 1993: ηDPR412 = 80+22log10PN, che corrisponde al valore minimo del rendimento di combustione, secondo l’allegato E al DPR 412/93, diminuito di tre punti percentuali.

PN è la potenza termica utile nominale massima (kW) del generatore di calore che, secondo l’interpretazione data dalla lettera del Ministero dell’Industria dell’11-6-1996, prot. n. 823351, deve essere intesa come sinonimo di potenza termica utile effettiva del generatore di calore.

Ai sensi della norma UNI 10389, il valore effettivo di un parametro è quello ottenuto durante il normale funzionamento dell’impianto, a seguito dell’eventuale regolazione effettuata su richiesta del responsabile dell’esercizio e della manutenzione e riportato sul libretto di impianto.

I valori limite dei rendimenti sopra indicati non si applicano ai generatori di calore alimentati da combustibili solidi oppure non comuni quali, ad esempio, il biogas. Per essi i valori limite sono indicati dai costruttori.

La sezione 6 del libretto di impianto, assente nel precedente modello, è prevista per dichiarare il rendimento di combustione minimo di legge; un dato di fondamentale importanza che deve essere confrontato con il rendimento di combustione misurato allo scopo di verificare il rispetto della legge.

Tale sezione deve essere compilata dalla ditta installatrice, in caso di prima messa in servizio dell’impianto. Per gli impianti esistenti al 29/10/1993 la compilazione della sezione è a cura del responsabile dell’esercizio e della manutenzione.

Per i generatori ad acqua calda e ad aria calda alimentati da combustibili liquidi o gassosi comuni, viene riportata la formula per il calcolo del rendimento di combustione minimo ammesso per legge. Tale rendimento di combustione risulta comunque già precalcolato (tab. 1 e 2) in funzione della potenza termica utile effettiva del generatore di calore e della data di installazione. I valori tabellati sono arrotondati all’intero più vicino.

Per i generatori di calore alimentati da combustibile so-

Generatori di calore speciali Quando, in un impianto termico, la produzione di calore è ottenuta con un generatore di calore non tradizionale, come per esempio: una pompa di calore, uno scambiatore di calore (nella sottostazione di un impianto di teleriscaldamento) o un impianto a collettori solari, il relativo libretto di impianto deve essere predisposto secondo la specificità del caso (art. 11 comma 17 del Regolamento). La sua compilazione iniziale deve essere eseguita dalla ditta installatrice mentre, nel caso di un impianto esistente al 29/10/1993, deve essere curata dal responsabile dell’esercizio e della manutenzione.

Il libretto di impianto speciale deve riportare la descrizione delle caratteristiche dell’impianto termico e contenere l’elenco dei componenti da sottoporre a verifica periodica, i valori limite di accettazione delle loro prestazioni, secondo la normativa tecnica specifica e la periodicità prevista per le verifiche. In un’apposita sezione del libretto di impianto è previsto lo spazio per registrare gli interventi di manutenzione straordinaria.

Quando l’impianto termico, oltre al generatore di calore speciale ne comprende anche uno tradizionale, per la parte convenzionale il relativo libretto di impianto deve risultare conforme al modello di cui all’allegato II al DM 17 marzo 2003.

Risultati delle verifiche a cura del responsabile dell’impianto La sezione 7 del libretto di impianto raccoglie i risultati della prima e delle successive verifiche periodiche.

In caso di prima messa in servizio dell’impianto, la sezione deve essere compilata dalla ditta installatrice, mentre per quelli esistenti al 29/10/1993 è a cura del responsabile dell’esercizio e della manutenzione (art. 11 comma 11 del Regolamento). Viceversa, in sede di verifiche periodiche, la sezione deve essere compilata dal manutentore o dall’eventuale terzo responsabile. In tutti i casi, chi compila la sezione vi appone anche la propria firma.

Rispetto alla precedente versione del libretto, i vari parametri sono raccolti e organizzati in più riquadri, secondo un criterio logico che ne consente una lettura più chiara.

I parametri misurati Nel primo riquadro sono raccolti i valori misurati dei seguenti parametri: - la temperatura dei fumi (°C); - la temperatura dell’aria comburente (°C); - la concentrazione percentuale di ossigeno (O2) oppure di anidride carbonica (CO2) che lo strumento analizzatore misura effettivamente; - l’indice di opacità Bacharach (solo nel caso di combustibile liquido);

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- la concentrazione di monossido di carbonio (CO) effettivamente misurata nei fumi secchi (espressa in ppm v/v); - la portata di combustibile consumata con il generatore di calore tarato alla potenza termica effettiva del focolare.

Tutti i valori, da registrare negli appositi campi, sono ottenuti come media di tre misurazioni significative, così come previsto dalla norma UNI 10389 (p.to 5.5.2).

I parametri calcolati Nel secondo riquadro sono riportati i valori dei seguenti parametri, generalmente calcolati in automatico dai moderni analizzatori di combustione a microprocessore: - l’indice d’aria; - la concentrazione percentuale calcolata di anidride carbonica (CO2), nel caso in cui lo strumento analizzatore abbia misurato la percentuale di ossigeno (O2), oppure la concentrazione percentuale di O2 se, viceversa, lo strumento analizzatore ha misurato la percentuale di CO2; - la concentrazione di monossido di carbonio (CO) nei fumi secchi, riportata in condizioni stechiometriche (senz’aria) (espressa in ppm v/v); - la perdita per calore sensibile nei fumi QS (%); - il valore calcolato del rendimento di combustione ηC (%); - la potenza termica effettiva del focolare del generatore di calore (kW); un parametro non previsto nella precedente versione del libretto d’impianto.

Le verifiche di legge Nel terzo riquadro vengono riportati gli esiti delle verifiche previste dalla norma UNI 10389 che riguarda la misurazione in opera del rendimento di combustione.

Indice di fumosità La prima verifica, dell’indice di opacità Bacharach, riguarda gli impianti alimentati da combustibile liquido. Il metodo correla la formazione di incombusti solidi all’annerimento determinato dalla fuliggine su un filtro di carta di caratteristiche prefissate. Lo strumento di misura è costituito da una pompa manuale che mediate 10 pompate preleva un prefissato volume di fumi e lo fa passare attraverso la carta da filtro. La fuliggine trattenuta dal filtro lascia su di esso una macchia rotonda il cui colore risulta tanto più scuro quanto maggiore è la quantità di incombusti trattenuti.

La macchia viene quindi confrontata con 10 campioni numerati dallo 0 al 9 con tonalità di grigio crescenti dal bianco al nero.

La verifica dell’opacità dei fumi secondo Bacharach si ritiene superata se almeno due delle tre misurazioni forniscono un risultato non superiore al valore limite che per il gasolio è pari a due mentre per l’olio combustibile è pari a sei.

nossido dei carbonio nei fumi. Essa si ritiene superata quando la concentrazione di CO, riportata in condizioni di prodotti della combustione secchi e senza aria (stechiometrici), non supera i 1000 ppm v/v. In caso di verifica negativa e qualora non fosse possibile, mediante interventi di conduzione o di manutenzione, ricondurre sotto i 1000 ppm la concentrazione del monossido di carbonio, l’esito del controllo della combustione deve essere considerato negativo, indipendentemente dal valore misurato del rendimento di combustione.

Rendimento di combustione La terza e ultima verifica riguarda il rendimento di combustione la cui misura non deve risultare inferiore al valore minimo prescritto dal Regolamento (art. 11 comma 14) e riportato alla sezione 6 del libretto d’impianto.

Ai sensi della norma UNI 10389, per tener conto dell’incertezza relativa agli strumenti di misura e della lettura dei parametri misurati (UNI 4546), l’operatore deve esprimere il rendimento di combustione misurato con un’incertezza di ± 2 punti percentuali.

Un esempio contribuisce a chiarire meglio come l’operatore incaricato dall’Ente locale deve esprimere i risultati della verifica del rendimento di combustione.

Altre verifiche La legge 10/91, all’art. 31, assegna agli Enti locali preposti il compito di eseguire i controlli intesi ad accertare con cadenza almeno biennale l’osservanza delle norme relative al rendimento di combustione. Tale prescrizione è stata estesa dal Regolamento anche alle verifiche sugli aspetti di sicurezza e di salvaguardia ambientale riportati nel libretto di impianto (art. 11 comma 12). Le verifiche previste dall’art. 31 della Legge 10/91 riguardano tutti gli impianti termici ma, a differenza delle verifiche di sicurezza previste dall’art. 14 comma 1 della Legge 46/90, non prevedono un approfondito esame della documentazione di progetto e si limitano unicamente al locale d’installazione dell’impianto termico. Dette verifiche tendono soprattutto ad accertare che l’impianto sia realizzato secondo i criteri di risparmio energetico e minimo impatto ambientale.

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Concentrazione rinormalizzata di CO nei fumi La seconda verifica riguarda la concentrazione di mo-

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È per tale motivo che, nel quarto riquadro della scheda, si chiede di dare un giudizio, sia pure qualitativo, sullo stato della coibentazione, sull’efficienza del sistema di regolazione e controllo e sul sistema di ventilazione del locale d’installazione degli apparecchi in quanto aspetti che rivestono una certa influenza sul risparmio energetico. Sebbene le ultime due verifiche riguardino anche aspetti di sicurezza, l’efficienza del sistema di regolazione e controllo e la corretta ventilazione del locale d’installazione degli apparecchi vengono qui verificati soprattutto con l’intento di accertare la presenza di una corretta combustione, sinonimo di risparmio energetico.

In conclusione, è opinione diffusa che i controlli previsti dalla Legge 10/91 non possano essere considerati alternativi, come se fossero una sorta di doppione, a quelli più spiccatamente di sicurezza che l’art.14 della Legge 46/90, e soprattutto l’art.4 del DPR 392/94, pongono a carico dei Comuni con oltre 10.000 abitanti. Controlli che, sia pure a campione, sono rigorosamente obbligatori, anche se largamente disattesi.

Nella scheda è previsto un apposito spazio nel quale inserire i riferimenti a eventuali documenti e note.

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Conclusioni La sezione 7 del libretto di impianto si presenta completamente rinnovata rispetto alla precedente edizione.

Tra i parametri misurati è stato aggiunto il campo per registrare la portata di combustibile e al posto della temperatura ambiente viene richiesta, più correttamente, la temperatura dell’aria comburente.

Tra i valori calcolati, oltre a quelli già presenti nella vecchia edizione del libretto, sono stati aggiunti: l’indice d’aria, la concentrazione di monossido di carbonio riportata in condizioni di fumi secchi senz’aria e la potenza termica effettiva del focolare.

La nuova sezione del libretto d’impianto si presenta dunque più chiara e raccoglie in uno specifico riquadro gli esiti di tutte le verifiche di legge: verifica dell’indice di opacità di Bacharach, verifica della concentrazione massima ammissibile di monossido di carbonio in condizioni normalizzate e verifica del rendimento di combustione. Tra le verifiche qualitative è stata invece eliminata la verifica dello stato della canna fumaria.

Nella nuova edizione del libretto non è ancora stato previsto il campo per registrare il valore misurato della temperatura di mandata del fluido termovettore, un parametro richiesto dalla norma UNI 10389 (p.to 5.4) ma che può essere indicato nel rapporto di controllo e manutenzione.

Risultati delle verifiche a cura dell’autorità di controllo La legge 10/91, all’art. 31 comma 3, assegna agli Enti locali: i Comuni con più di quarantamila abitanti e le Province per la restante parte del territorio, il compito di eseguire i controlli su tutti gli impianti termici intesi ad accertare, con cadenza almeno biennale e con onere a ca-

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rico degli utenti, l’osservanza delle norme relative al rendimento di combustione.

Tale originaria prescrizione è stata successivamente estesa dal regolamento di attuazione dell’art.4 comma 4 all’effettivo stato di manutenzione e di esercizio dell’impianto termico (art. 11 comma 18) e agli aspetti di sicurezza e di salvaguardia ambientale (art. 1 comma 1.m). In un tale quadro normativo, il mandato ricevuto dall’Ente locale è quello di promuovere la tutela degli interessi degli utenti e dei consumatori e di adoperarsi per informare, sensibilizzare e assistere l’utenza (art. 11 comma 18). Per espletare tale compito, gli Enti locali preposti hanno la facoltà di avvalersi anche di organismi esterni aventi specifica competenza tecnica.

Ai sensi dell’art. 11 comma 20 del Regolamento, per gli impianti con potenza termica al focolare inferiore ai 35 kW, l’Ente locale, con apposito provvedimento reso noto alla popolazione interessata, al Ministero per le attività produttive e all’Enea, ha la facoltà di decidere che i controlli previsti siano sostituiti da una dichiarazione che il proprietario o il manutentore o il terzo responsabile (se previsto) deve trasmettere all’Autorità di controllo, secondo le modalità e i termini stabiliti dallo stesso provvedimento. Per esempio, l’Ente locale ha la facoltà di imporre al manutentore o al terzo responsabile l’obbligo di inviare periodicamente la dichiarazione tramite un supporto informatico standardizzato. Questa deve essere redatta, secondo l’allegato H al DPR 551/99, e firmata dal manutentore o dal terzo responsabile il quale, con connessa assunzione di responsabilità e facendo anche riferimento all’ultima delle verifiche periodiche previste dalla legge, attesta che l’impianto termico rispetta tutte le prescrizioni del Regolamento.

L’Ente locale che decida di ricorrere all’autodichiarazione deve comunque effettuare annualmente dei controlli a campione su almeno il 5% degli impianti termici installati sul territorio, con potenza del focolare inferiore ai 35 kW. Il campione da controllare deve essere scelto tra gli impianti termici che hanno inviato nell’ultimo biennio la dichiarazione di avvenuta manutenzione. Ciò allo scopo di controllare la veridicità della dichiarazione stessa. Facendo attenzione per evitare qualsiasi distorsione di mercato, i

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controlli a campione possono essere programmati dando la priorità agli impianti più vecchi o per i quali si abbia comunque un’indicazione di maggiore criticità. In ogni caso, l’Ente locale deve eseguire i controlli a tappeto su tutti gli impianti termici dei quali non sia pervenuta la dichiarazione, su quelli la cui dichiarazione sia risultata affetta da gravi lacune di compilazione e su quelli dalla cui dichiarazione siano emerse situazioni di non conformità alla vigente normativa.

Ai sensi dell’art.31 comma 3 della Legge 10/91, il costo per l’esecuzione dei controlli a campione viene suddiviso tra tutti gli utenti che inviano la dichiarazione, secondo procedure che ciascun Ente locale può definire nell’ambito della propria autonomia.

La sezione 8 del libretto di impianto è nuova. Nella prima parte della scheda, il proprietario, l’occupante, il manutentore o il terzo responsabile (se previsto) dichiara di aver inviato all’Ente locale l’allegato H e precisa le modalità di trasmissione.

La seconda parte della scheda viene invece compilata dal verificatore incaricato dall’Ente locale, in caso di effettiva verifica sull’impianto. Nella scheda, il verificatore dell’Ente locale attesta di aver rilasciato al responsabile dell’esercizio e della manutenzione dell’impianto una copia del rapporto di prova, redatto secondo le norme UNI 10389 e UNI 70011, con i risultati delle verifiche effettuate (art. 11 comma 18 del Regolamento); rapporto che il responsabile dovrà allegare al libretto di impianto.

Il verificatore incaricato dall’Ente locale completa la scheda indicando la data della verifica e il proprio nominativo e dichiarando l’esito, positivo o negativo, dell’avvenuta verifica di completezza della documentazione dell’impianto, della corretta esecuzione della manutenzione e dell’idoneità del rendimento di combustione.

Interventi di controllo e manutenzione La sezione 9 del libretto di impianto è completamente rinnovata ed è predisposta per registrare gli interventi di controllo e di eventuale manutenzione, sia ordinaria sia straordinaria, eseguiti sull’impianto.

Ai sensi dell’art. 11 comma 4 del Regolamento, l’operatore incaricato dal responsabile dell’esercizio e manutenzione dell’impianto termico deve eseguire le operazioni di controllo ed eventuale manutenzione secondo quanto previsto nel libretto d’uso, manutenzione e regolazione dell’impianto che la ditta installatrice, costruttrice dell’impianto, ha predisposto e lasciato al committente.

Nel caso in cui non si trovino precise indicazioni in merito, il manutentore deve trarre i principali riferimenti per la corretta manutenzione degli apparecchi e dei dispositivi dai manuali predisposti dai fabbricanti. Infine, per i componenti e dispositivi privi dei libretti d’uso e manutenzione elaborati dai fabbricanti, il controllo e la manutenzione devono avvenire secondo le prescrizioni e con la periodicità prevista dalle vigenti norme tecniche Uni, ad esem-

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pio la UNI 7129, la UNI 10436 e la UNI 10845. In mancanza di ogni altra indicazione, il manutentore deve eseguire con frequenza annuale i controlli previsti nell’allegato H al DPR 412/93.

Per i generatori di calore con potenza nominale del focolare inferiore a 35 kW la verifica degli elementi riportati sul libretto di impianto deve essere eseguita con periodicità biennale.

Al termine delle operazioni di controllo e manutenzione dell’impianto termico, il manutentore incaricato dal responsabile dell’esercizio e manutenzione deve redigere e sottoscrivere un rapporto di controllo e manutenzione (art.

11 comma 4-bis del Regolamento) che rilascia in originale al responsabile dell’impianto il quale lo allega al libretto di impianto e ne sottoscrive una copia per ricevuta.

In una delle schede previste nella sezione 9 del libretto di impianto, il manutentore, o il terzo responsabile, registra gli estremi del rapporto di controllo tecnico consegnato al responsabile dell’esercizio e manutenzione, indica se ha eseguito o meno la prova di combustione e nelle note può fare riferimento alle norme UNI rispettate.

Infine, pone la data dell’intervento di manutenzione e firma la scheda.

Registrazione dei consumi Nella sezione 10, l’ultima del libretto di impianto, l’occupante dell’unità immobiliare o il terzo responsabile (quando esiste) annota i consumi di combustibile dei vari esercizi.

La sezione è nuova e non era prevista nella vecchia edizione del libretto d’impianto. La compilazione della tabella consente di tenere d’occhio la spesa energetica per il riscaldamento e di seguire l’eventuale aumento dei consumi in seguito alla degradazione nel tempo dell’efficienza energetica dell’impianto. La tabella prevede diverse colonne per registrare, nelle varie stagioni di riscaldamento, i consumi disaggregati per: riscaldamento degli ambienti, produzione di acqua calda sanitaria e cottura dei cibi.

Nel caso in cui non siano disponibili i singoli consumi è ammesso compilare solo l’ultima colonna, quella relativa ai consumi totali.

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Informazioni più chiare e comprensibili Il nuovo modello di libretto di impianto traduce le disposizioni contenute nel Regolamento e nelle norme tecniche UNI in termini operativi più chiari. La migliorata chiarezza dei termini adottati e delle informazioni richieste e la diversa e migliore organizzazione dei dati facilita il compito degli operatori del settore in quanto permette una più corretta impostazione del loro lavoro e dissipa molti dubbi su come si devono condurre le attività previste e su chi le deve eseguire.

Ing. Carlo Federico Marazzi Consulente termotecnico, Vedano O. (Va)

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Normativa

Gianfranco Cellai, Alessandro Geri, Barbara Mondì

La certificazione energetica di edifici residenziali Prima parte. Una procedura alternativa per il calcolo del rendimento energetico La Direttiva Europea 2002/91/CE stabilisce dei requisiti minimi per la certificazione energetica degli edifici e suggerisce un metodo per il calcolo del rendimento. Il fatto, però, che in Italia i dati necessari sono difficilmente reperibili per gli edifici costruiti fino al 1991 ha consigliato l’elaborazione di una metodologia di stima sintetica, basata sui risultati dell’analisi di alcuni parametri ambientali, dimensionali e tipologici.

La Direttiva Europea 2002/91/CE del dicembre 2002 sul rendimento energetico nell’edilizia, che dovrà essere recepita entro gennaio 2006, contiene disposizioni che riguardano: a) il quadro generale di una metodologia per il calcolo del rendimento energetico integrato degli edifici; b) l’applicazione di requisiti minimi in materia di rendimento energetico degli edifici; c) la certificazione energetica degli edifici in costruzione, compravendita o locazione.

In merito al primo aspetto, la metodologia cui la Commissione europea intende riferirsi per il calcolo del rendimento energetico degli edifici è sostanzialmente la EN 832 Calcolo del fabbisogno di energia per il riscaldamento-Edifici residenziali.

Per quanto riguarda i requisiti minimi, nel fissarli gli Stati membri possono distinguere tra gli edifici già esistenti e quelli di nuova costruzione, nonché tra diverse categorie di edifici. Infine, diverrà obbligatorio il rilascio del-

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l’attestato di certificazione energetica già previsto all’art. 30 della legge n. 10 del 1991.

Il primo problema da affrontare è l’oggettiva differenza esistente tra edifici nuovi e vecchi e, conseguentemente, valutare se non sia possibile ricorrere ad altri strumenti metodologici per la certificazione energetica di quest’ultimi: infatti, l’uso dei metodi di calcolo suddetti implica l’acquisizione di dati che, almeno in Italia, non sono facilmente reperibili per gli edifici costruiti fino al 1991 (in merito ai dati di ingresso per i calcoli in questione, il CTI ha elaborato una raccomandazione, in corso di pubblicazione, che potrà alleviare la suddetta problematica).

La stessa Direttiva europea propone implicitamente un’altra impostazione metodologica, prevedendo che la certificazione per gli appartamenti di un condominio può fondarsi: - su una certificazione comune dell’intero edificio per i condomini dotati di un impianto termico comune; - sulla valutazione di un altro appartamento rappresentativo dello stesso condominio (appare evidente che tale im-

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Normativa

postazione può correttamente essere estesa anche ad alloggi non appartenenti allo stesso condominio purché confrontabili in merito ai fattori ambientali tipologici e tecnologici), fatto questo che giustifica implicitamente la metodologia che viene proposta e che contribuisce certamente a contenere i costi dell’attestazione.

La questione dei costi non è un fatto secondario e riguarda aspetti socio-politici che possono decretare il successo o meno delle iniziative in questione che, prima ancora della loro imposizione legislativa, potrebbero trovare applicazione su base volontaria, così come avviene in molti Paesi europei: occorre pertanto fare in modo che l’attestazione energetica del maggior numero possibile di edifici possa avvenire a costi sensibilmente contenuti, tali da non escludere l’eventuale diretto coinvolgimento delle pubbliche amministrazioni nel prestare tale servizio al cittadino.

La proposta metodologica

cda 80

Per conseguire i suddetti obiettivi, e anche al fine di contenere l’impatto iniziale del provvedimento, è stata elaborata una metodologia di stima sintetica di parametri energetici significativi quali: - il FEN - Fabbisogno Energetico Normalizzato (in kJ/GGm3), - l’FTs - Fabbisogno Termico specifico (in kWh/m2anno), quest’ultimo desumibile dal primo e spesso riportato per una

migliore comprensibilità da parte degli utenti.

La metodologia è basata sui risultati di un’approfondita analisi delle influenze di alcuni parametri ambientali, dimensionali e tipologici, che trovano sintesi in una correlazione di tipo statistico con il valore dei parametri energetici suddetti.

Il modello di certificazione che viene proposto consente all’utente e alle pubbliche amministrazioni, eventualmente interessate anche per il proprio patrimonio immobiliare (Ater, Comuni, Enti Previdenziali ecc.), di determinare il consumo convenzionale specifico dell’alloggio con un margine di tolleranza accettabile rispetto alla procedura di calcolo più accurata. La metodologia può anche servire come base di partenza per eventuali diagnosi energetiche e consente la valutazione dell’efficacia di alcuni possibili interventi di contenimento dei consumi quali: l’isolamento a cappotto dei solai e delle pareti esterne verticali, l’adozione di doppi vetri, doppi infissi e serre solari, l’installazione di generatori ad alto rendimento; infine, può fornire utili indicazioni anche in sede di progetto.

Campione di edifici e modelli di riferimento Il primo problema affrontato è consistito nell’analisi tipologica di un numero significativo di interventi residenziali per

Figura 1 - Dall’alto in senso orario: intervento di 80 alloggi nel PEEP Vingone a Scandicci (1975-78).

Complesso residenziale di 60 alloggi a S. Bartolo a Cintola Firenze (1975-79). Due immagini del complesso residenziale di 50 alloggi nel PEEP Rimaggio a Sesto Fiorentino (1975-78). Fonte: “Edilizia residenziale in Toscana 1972-‘92”

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Tabella 1 Elementi

Descrizione

Orientamento

A fronti contrapposti nord-sud

-

Zona climatica

Firenze GG 1821

-

Trasmittanza U (W/m2K)

Tipologia

A schiera, in linea e a torre

-

Struttura portante

Puntiforme in cemento armato

-

Vano scale

Con una parete esterna e temperatura pari a 9,5°C

-

Cantine e garage

A temperatura pari a 8°C

-

Tamponamenti verticali esterni

Muratura a cassetta in laterizi forati intonacata eseguita in opera con pannello di isolamento termico interno rigido in fibra di vetro e intercapedine d’aria dello spessore di 2 cm.

0,44

Solaio pavimento disperdente verso esterno

Solaio in latero-cemento dello spessore di 31 cm con getto in opera dei travetti in c.a. e del massetto collaborante dello spessore di 6 cm.

1,51

Solaio pavimento disperdente verso terreno

Solaio in latero-cemento dello spessore totale di 30 cm con getto in opera dei travetti in cemento armato e del massetto collaborante dello spessore di 6 cm con sottofondo costituito da vespaio di ghiaia di varie dimensioni per uno spessore di circa 20 cm.

1,15

Pareti interne

Pareti eseguite in laterizi forati per interni dello spessore di 8 e 12 cm con finiture su entrambi i lati a intonaco (spessore 1,5 cm).

Infissi esterni

Finestre o porte finestre in legno su asse orizzontale o verticale, con apertura a battente, predisposte per l’oscuramento a persiana avvolgibile, complete di: controtelaio metallico, cassonetto coprirullo in particelle di fibra di legno verniciato con antina sfilabile per ispezione, vetro singolo posto in opera con listelli fermavetro interni.

Ventilazione

Ricambi d’aria convenzionalmente assunti pari a 0,5 volumi/ora.

-

Impianto termico

Di tipo autonomo, con caldaia murale a gas dotata di camera di combustione stagna verso l’ambiente, bruciatore atmosferico a gas, scambiatore di calore per riscaldamento e produzione di acqua calda sanitaria, scarico fumi di combustione a tiraggio forzato.

Regolazione manuale mediante termostato di caldaia. Potenza nominale 24 kW. Rendimento 90%.

-

Terminali di erogazione

Corpi scaldanti a radiatori realizzati in lega leggera pressofusa a elementi componibili.

-

Tabella 2 -

4,6

Denominazione

Unità di misura

Su

Superficie netta in pianta dell’alloggio

m2

H

Altezza netta dei locali riscaldati

m

Vn

Volume netto dell’alloggio

m3

S/V

Superficie dell’involucro dell’edificio/Volume lordo riscaldato

m-1

Sf

Superficie finestrata

m2

Sf/Su

Superficie finestrata/Superficie netta in pianta dell’alloggio

-

S.disp.vs

Superficie disperdente verso vano scala

m2

S.disp.s

Superficie disperdente verso locale sottotetto

m2

S.disp.vo

Superficie disperdente verticale opaca

m2

S.disp.o

Superficie disperdente orizzontale

m2

GG

Gradi giorno della località (UNI 10349)

-

Fabbisogno di energia primaria per riscaldamento

kJ

FEN

Fabbisogno energetico normalizzato calcolato a partire da Q

kJ/m3GG

FTs

Fabbisogno Termico specifico riferito alla superficie

kWh/m2anno

1

cda 81

Simboli, denominazioni e unità di misura dei parametri utilizzati nei calcoli

Simbolo

Q

1

Fattori costruttivi e impiantistici assunti a riferimento delle valutazioni del campione di edifici

FEN = Q/(GG · V )

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3

(kJ/m GG)

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Normativa

Figura 2 - I-L) Alloggi in linea adiacenti a vano scale, ascensore e appartamento - solai pavimento su esterno

cda 82 Figura 3 - II-LP) Alloggi in linea al pianterreno solai pavimento su cantine e garages

complessivi 1053 alloggi, dei quali 102 con tipologia a schiera, 799 in linea e 152 a torre, realizzati da alcune cooperative edilizie toscane nell’ambito di piani PEEP, nel periodo che va dagli anni 70 fino a metà degli anni 90 (fig. 1) [1-3].

L’analisi tipologica ha consentito di individuare un campione

Tabella 3 -

Superficie utile (Su) m

2

-1

Schiera

Linea

Torre

92 – 105

50 - 97

50 – 97

2,7 – 3,0

2,7 – 3,0

2,7 – 3,0

0,50 – 0,64

0,35-0,80

0,36 – 0,62

Volume netto (Vn)m3

248 – 315

135 – 290

135 – 290

Superficie finestrata (Sf) m2

11 – 22

8 – 20

9 – 21

Superficie finestrata / superficie utile (Sf/Su)

0,11 – 0,18

0,09 – 0,24

0,14 – 0, 22

Superficie disperdente verso vano scala (Sdisp.vs) m2

-

10 – 50

11 – 30

47 - 104

23 –78

20 – 97

49 - 60

-

-

Superficie disperdente verticale opaca (Sdisp.vo) m

2

Superficie disperdente verso locale sottotetto (Sdisp.st) m2

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di 80 alloggi, costituito da 10 a schiera, 61 in linea e 9 a torre, rappresentativo degli interventi suddetti.

Considerato il numero di alloggi esaminati, le relative modalità tipologico-costruttive e la diffusione delle costruzioni in cooperativa in Toscana, si può ritenere che, con l’esclusione dei centri storici, il campione in questione sia rappresentativo di buona parte del parco edilizio regionale e probabilmente anche extraregionale.

Resta, comunque, valida l’impostazione metodologica che può essere adottata indifferentemente dal contesto urbanistico, territoriale e climatico.

A partire dal campione di 80 alloggi, si sono individuati sei modelli base di riferimento sui quali è stata fatta l’analisi delle correlazioni tra fattori ambientali/costruttivi e indicatori energetici, mediante l’uso di un programma di calcolo [4] che utilizza gli algoritmi della norma UNI 10344 Calcolo del fabbisogno di energia.

I modelli sono stati uniformati rispetto ai parametri riportati in tabella 1, mentre, per tener conto di una più ampia casistica di situazioni (per esempio, presenza di sottotetti o garage confinanti con l’alloggio da esaminare, differente grado d’isolamento degli elementi di chiusura, diversità di orientamento ecc.), sono stati valutati gli incrementi o i de-

Campo di validità della metodologia per i parametri dimensionali degli alloggi

Altezza netta dei locali riscaldati (h) m S/V m

Figura 4 - III-LA) Alloggi in linea in angolo confinanti con vano scale e ascensore - solai pavimento su esterno

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crementi medi percentuali da apportare ai consumi energetici calcolati per le situazioni standard della tabella suddetta.

Le correzioni sono state definite sulla base dell’analisi delle caratteristiche più rappresentative degli interventi esaminati, ciascuno schedato attraverso un lavoro di ricerca condotto sulle relazioni tecniche depositate nei Comuni.

In tabella 2 sono riportati i simboli dei parametri utilizzati nei calcoli e le relative Figura 5 - I-T) Alloggi a denominazioni. torre confinanti con vano Le tipologie assunte a scale, ascensore e modello di riferimento appartamento adiacente per i calcoli sono le solai pavimento su esterno seguenti: Tipologia in linea È stata suddivisa in tre sottotipi al variare della posizione che gli alloggi occupano all’interno della configurazione lineare (fig. 2, 3, 4): le caratteristiche dimensionali medie sono comprese nei range di tabella 3 e rappresentano i limiti di validità della procedura di calcolo.

Tipologia a Torre Le configurazioni degli edifici analizzati sono riconducibili a un solo tipo di alloggio (fig. 5).

Tipologia a Schiera Sono stati individuati due sottotipi definiti dalla diversa posizione degli alloggi rispetto alla configurazione planimetrica (fig. 6 e 7). Alcuni presentano al pianterreno dei solai confinanti con cantine e/o garage; talvolta detti locali sono invece allo stesso livello della zona termica di calcolo. In entrambi i sottotipi non è presente il sottotetto utilizzato come mansarda (locale riscaldato). In proposito, si ricorda che gli alloggi a schiera realizzati in ambito dell’edilizia sovvenzionata/convenzionata normalmente non sono dotati di mansarda abitabile per la limitazione imposta alla superficie utile dell’alloggio al fine di poter usufruire delle agevolazioni. Analoga considerazione può essere fatta per i vani interrati, accatastati come cantine e spesso utilizzati come taverne.

Ciascuna delle sei categorie di alloggi descritte costituisce quindi il modello di riferimento sul quale sono state ricercate le correlazioni tra fattori costruttivi e indicatori dei consumi energetici.

A conclusione della prima parte dell’articolo, ci preme porre l’accento sull’importanza del lavoro di ricerca svolto per

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Figura 6 - I-S) Alloggi a schiera compresi tra due appartamenti - solai pavimento su terreno

cda 83 Figura 7 - II-SA) Alloggi a schiera ad angolo - solai pavimenti su terreno

l’analisi tipologico-edilizia: fatta salva la metodologia, l’attendibilità dei risultati (pubblicati sul prossimo numero nella seconda parte) è, infatti, primariamente affidata alla rappresentatività del campione nei confronti degli oltre 1000 alloggi esaminati, costruiti in Toscana negli ultimi 30 anni.

La metodologia individuata può quindi essere estesa ad altri scenari edilizi, per esempio quello relativo ad abitazioni costruite dal dopoguerra a oggi, che possono essere classificati, in base al rapporto con l’insieme urbano, come interventi di ricostruzione, di recupero, di saturazione, di sostituzione ed espansione [5], senza escludere la possibilità di avventurarsi anche all’analisi dei centri storici, per alcuni dei quali, peraltro, già sono disponibili ricerche su campioni di tessuto edilizio (a titolo di esempio, vedi [6, 7, 8]).

Gianfranco Cellai, Alessandro Geri, Barbara Mondì Dipartimento Tecnologie dell’Architettura e Design “PierLuigi Spadolini”, Università di Firenze

La bibliografia sarà pubblicata nella seconda parte dell’articolo.

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Consulenza elettrotecnica

Antonio Porro

La selettività a norma impianti, la CEI 64-8, si occupa di selettività tra dispositivi di protezione contro le sovracorrenti e all’articolo 536.1 così recita: “Quando più dispositivi di protezione sono disposti in serie e quando le necessità di esercizio lo giustificano, le loro caratteristiche di funzionamento devono essere scelte in modo da staccare dall’alimentazione solo la parte dell’impianto nella quale si trova il guasto”.

Spetta poi al progettista stabilire “quando le necessità di esercizio lo giustificano”, nonché le modalità di attuazione della selettività.

Un corretto coordinamento selettivo tra dispositivi di protezione contro le sovracorrenti (di norma attuato mediante gli interruttori automatici) prevede il rispetto delle seguenti quattro regole fondamentali: - Allo scopo di ridurre gli effetti di tipo termico ed elettrodinamico, e contenere i tempi di ritardo entro valori ragionevoli, il coordinamento selettivo non dovrebbe avvenire tra più di quattro interruttori in cascata.

- Ciascun interruttore deve essere in grado di stabilire, supportare e interrompere la massima corrente di cortocircuito nel punto dove è installato.

- Per assicurarsi che gli interruttori di livello superiore non intervengano, mettendo fuori servizio anche parti di impianto non guaste, si devono adottare soglie di corrente di intervento, ed eventualmente di tempo di intervento, di valore crescente partendo dagli utilizzatori e andando verso la sorgente di alimentazione.

- Per assicurare la selettività, l’intervallo dei tempi di intervento dovrebbe essere approssimativamente di 0,1 - 0,2 s. Il tempo massimo di intervento non dovrebbe superare gli 0,5 s.

Inoltre, la selettività tra due o più interruttori può essere totale o parziale. È totale quando, con riferimento alla figura 1, si apre solo l’interruttore B per tutti i valori di corrente inferiori o uguali alla massima corrente di cortocircuito presunta nel punto in cui è installato B; viceversa è parziale se si apre solo l’interruttore B per valori di corrente di cortocircuito in C inferiori al valore IL, oltre il quale si ha l’intervento simultaneo di A e B.

L

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B

A A

IL = limite di selettività tra A e B

B Totale

C

Parziale

Figura 1 - Le curve A e B rappresentano le curve di intervento dei due interruttori A e B posti rispettivamente uno a monte (ossia vicino all’alimentazione) e l’altro a valle. Ciascuna curva riproduce la caratteristica di intervento degli sganciatori termomagnetici che intervengono nel primo tratto (intervento termico) in modo inversamente proporzionale alla sovracorrente che li attraversa, mentre nel secondo tratto (intervento magnetico) si verifica l’apertura pressoché istantanea dell’interruttore, non appena la corrente supera una prefissata soglia

t B

A lm

A

B

∆t I

C

Figura 2 - Selettività cronometrica

Vi sono quattro diverse tipologie di selettività - cronometrica, amperometrica, di zona, energetica - che esamineremo nello specifico.

La selettività cronometrica è di norma la più efficace e si attua con l’impiego di sganciatori provvisti di dispositivi che intenzionalmente ritardano l’intervento.

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1

I B

A

2 2

(A S)

1

A

2

I*

2

B C

I Icc

Figura 3 - Selettività amperometrica

Figura 5 - Selettività energetica

I tempi di ritardo devono essere scelti con valori crescenti risalenA 0,2 s do l’impianto, ossia, con riferimento alla figura 2, l’interruttore A deve intervenire B 0,1 s con ritardo ∆t rispetto all’interruttore B, nel caso che entrambi gli interruttori siano interessati da una corrente di guasto di valore C 0s superiore a Im; ovviamente l’interruttore A dovrà O essere in grado di sopportare le solFigura 4 - Selettività di zona lecitazioni sia di tipo termico sia elettrodinamico che si manifestano durante il tempo di ritardo.

La selettività amperometrica si realizza sfruttando il diverso valore assunto dalla corrente di cortocircuito in funzione della posizione ove si manifesta il guasto; in particolare, a causa dell’impedenza propria dei conduttori, il valore della corrente di cortocircuito decresce allontanandosi dalla sorgente di alimentazione.

La selettività amperometrica viene attuata regolando la soglia di intervento istantaneo degli interruttori A e B (fig. 3) a valori diversi. È evidente che la sua efficacia dipenda dalla possibilità di regolare l’intervento istantaneo dell’interruttore a monte a un valore che sia superiore alla massima corrente di cortocircuito che può essere supportata dall’interruttore a valle; viceversa con valori di corrente di cortocircuito superiori a I*, i due interruttori aprono contemporaneamente e la selettività amperometrica risulta vanificata.

La selettività di zona o “accelerata” (fig. 4) prevede: - l’immediata individuazione dell’interruttore a cui compete l’eliminazione del guasto; - l’abbreviazione del tempo di intervento di tale interruttore; - il mantenimento del coordinamento selettivo degli interruttori a monte.

Lo scambio di informazioni deve essere praticamente istantaneo e allo scopo vengono attualmente utilizzati i moderni sganciatori e microprocessore; in tal caso, con riferimento alla figura 4, si possono verificare le seguenti situazioni: - Guasto a valle dell’interruttore C. L’interruttore C interviene istantaneamente per guasti di cortocircuito che insorgono a valle di esso e gli interruttori A e B, in virtù dei ritardi impostati, non intervengono e ritornano alle condizioni di esercizio normalmente, non appena la sovracorrente si estingue.

- Guasto a valle dell’interruttore B. Il guasto dà luogo all’intervento dell’interruttore B. L’interruttore A si comporta come nel caso precedente.

- Guasto a valle dell’interruttore A. La corrente di guasto interessa solo l’interruttore A e pertanto dà luogo all’intervento istantaneo del solo interruttore A.

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cda 85

Selettività energetica È un tipo di selettività alla quale si ricorre quando fra i due interruttori non è possibile impostare un tempo di ritardo all’intervento.

Per lo studio della selettività energetica non si confrontano le curve di intervento corrente/tempo dei componenti installati in serie, ma le curve dell’energia specifica passante (I2t) (Cda n. 7, luglio 2003) lasciata passare dall’interruttore a valle e la curva dell’energia dell’interruttore a monte (fig. 5). Si ottiene la selettività energetica se le due curve non hanno punti di intersezione. L’effetto di limitazione dell’energia specifica passante è funzione del tipo di interruttore, mentre il livello energetico di non sgancio è legato alle caratteristiche di intervento dello sganciatore, nonché dalla soglia di repulsione dei contatti (apertura incondizionata).

Ing. Antonio Porro

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Intervista

Franco Adami

Integrazione edifici-impianti-città Un tema suggestivo per il Convegno Aicarr 2004 di Milano

cda 88

“Impianti, edifici, città. Integrazione e nuove visioni di progetto e di gestione” è il titolo del convegno Aicarr 2004 (Milano, dal 3 al 4 marzo), un tema stimolante per gli scenari che lascia intravedere.

Ne abbiamo parlato con il Prof. Cesare Maria Joppolo, del Politecnico di Milano, che presiede sia il comitato tecnico-scientifico sia quello organizzatore del Convegno.

integrazione tra edifici e imducono sistemi e componenti, nelle università pianti è un tema da tempo die nei centri di ricerca; stiamo cercando, e battuto. Perché è stato scelto per il Convegno può essere uno strumento imil convegno Aicarr del prossimo anno e portante, di allargare e migliorare la nostra quali sono le nuove ipotesi di discussione azione culturale verso settori di compesull’argomento? tenza e di attività che si dimostrano estreJoppolo: Gli impianti, gli edifici e le aree urmamente importanti per garantire il ragbane in cui sono inseriti non possono più esgiungimento delle prestazioni attese e il sucsere visti in modo separato, ma devono escesso di tecnologie impiantistiche efficaci sere sempre affrontati con una visione unied efficienti.

Cesare M. Joppolo, taria. Scegliendo questo tema vogliamo sotMi riferisco agli architetti e al vasto insiepresidente dei comitati tecnico-scientifico tolineare che il settore della climatizzaziome dei professionisti che si occupano del proe organizzatore del ne, con le sue diverse professionalità, può cesso edile, ai gestori degli impianti, agli convegno Aicarr 2004 dare un contributo determinante alla soluutenti finali e ai gestori di patrimoni imzione delle problematiche di qualità ammobiliari, agli enti locali, alla pubblica bientale indoor, ma anche contribuire in amministrazione, agli enti di controllo. modo assai significativo al miglioramento delle condizioni ambientali esterne agli edifici, con interventi che escaMa chi può coordinare tutti questi personaggi? no dalla logica dell’emergenza e delle soluzioni tampone.

Joppolo: Ritengo che Aicarr possa tentare di essere un luogo di incontro delle diverse competenze. A questo fine l’AsUna visione di questo genere è certamente interdisciplinare. sociazione ha avviato degli “osservatori” (grandi patriChi sono gli altri interlocutori coinvolti oltre ai progetmoni immobiliari, ospedali) e altri momenti di incontro e tisti? tavoli di lavoro possono essere aperti per far incontrare chi Joppolo: Aicarr ha un solido radicamento tra i progettisi occupa di tecnologia impiantistica, i gestori del processo sti di impianti, tra gli installatori, nelle aziende che proedilizio e gli utilizzatori degli edifici.

L’

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Torniamo al convegno, come è strutturato?

Joppolo: Il convegno abbina le relazioni a invito, che ne costituiscono l’ossatura portante, a quelle “libere”, che giungono in risposta al call for paper. Nell’edizione 2004 avremo quindici relazioni a invito e circa 65 libere. Abbiamo voluto “contenere” il convegno in due mattinate lasciando i pomeriggi liberi per la visita alla Fiera e per i Seminari di Aggiornamento Tecnico. Il 3 marzo apriremo il Convegno con una Sessione plenaria che affida a tre relazioni l’illustrazione del tema generale. Il prof. Ole Fanger, personalità danese di grande spicco internazionale per i suoi contributi alla ricerca e alla normativa di settore, svilupperà il tema dell’integrazione partendo dalla centralità della persona e della percezione dell’ambiente in cui è inserito, centralità che costituisce anche strumento fondamentale per la verifica delle prestazioni dei sistemi impiantistici. Il dott. Richard Rooley, professionista inglese, dal luglio 2003 presidente Ashrae (e, si noti, primo presidente non proveniente dal Nord America in più di cento anni di storia dell’associazione americana), affronterà il tema dell’integrazione, descrivendo le diverse fasi del “ciclo di vita” dei sistemi edificio-impianto, i problemi e i malfunzionamenti che possono manifestarsi e come questi, molto spesso, derivino da inadeguate definizioni dei passaggi e dei confini “di responsabilità”. A me, come Chairman del Comitato tecnico-scientifico, il compito di fornire il contesto, situazione nazionale ed eventi recenti (emergenze ambientali delle aree urbane, condizioni climatiche ed espansione delle esigenze di climatizzazione, fonti energetiche e situazione delle reti di distribuzione ecc.), nel quale maturano gli elementi per nuove visioni di progetto, di realizzazione e di gestione dei sistemi impiantistici. Dopo le due ore di sessione plenaria, il resto della mattinata e quella successiva vedranno quattro sessioni tecniche (tra loro parallele): integrazione edificio/impianto e nuove energie; condizionamento e riscaldamento; refrigerazione; ventilazione e qualità dell’aria.

Vorrei sottolineare che le ultime tre sono sessioni “tradizionali” per il Convegno Aicarr di Milano, mentre la prima costituisce una novità; significa che abbiamo voluto evidenziare non solo l’attenzione per l’efficienza energetica (da sempre tema di azione per i nostri soci) ma anche da-

Conoscere l’acqua reziosa e completa, la pubblicazione edita da Esselibri “L’inquinamento idrico” tratta in forma organica, chiara e concreta tutti gli aspetti inerenti l’inquinamento idrico primario e secondario, da quelli tecnico-scientifici a quelli normativi.

L’organizzazione razionale dei contenuti, la praticità e la semplicità di approccio al testo, la presenza di schede di approfondimento, di numerose figure esplicative, di un ricco glossario e di utili appendici rendono agevole la comprensione degli argomenti svolti.

P

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re adeguato rilievo alle applicazioni concrete di corretta integrazione tra soluzioni edilizie e impiantistiche e di reale impiego di nuove fonti energetiche.

Nuove energie anche nelle città? Possono davvero dare un valido contributo nel contesto urbano?

Joppolo: Dopo tanti discorsi fatti in anni passati, forse più legati a mode culturali, oggi si tratta di vedere quello che c’è di concreto e quello che può essere fatto a breve, perché questo interessa, e non solo, o piuttosto, le prospettive su cui si fa ricerca e che daranno risultati nel lungo periodo. Le nuove energie rappresentano un’opportunità non solo per un’edilizia diffusa e fuori dei centri urbani, ma anche per gli edifici situati in aree densamente popolate. Certamente bisogna capirsi su che cosa si intende per nuove energie, un concetto ampio che va, solo per fare qualche esempio, dall’utilizzo dell’acqua di falda (di sicuro interesse anche proprio per Milano), a reti che consentano di recuperare energia da un edificio e di riutilizzarla in un altro, alle celle a combustibile, ai pannelli fotovoltaici, ai sistemi solari termici (specie a quelli adattati al contesto urbano e a quelli per il raffrescamento estivo).

Infine, oltre alle relazioni, ci saranno ancora i Seminari di Aggiornamento Tecnico.

Joppolo: Sì, i seminari tecnici, esperienza felicemente introdotta nell’edizione 2002 del Convegno, saranno mantenuti e migliorati e si svolgeranno nei pomeriggi del 3 e 4 marzo e nell’intera giornata del 5. Saranno momenti di aggiornamento su temi circoscritti (di norma un seminario prevede un’ora di tempo per la presentazione), concreti, anche diversi da quelli del convegno, e affidati a esperti sotto la responsabilità culturale dell’Associazione. Il programma (argomenti e ripetizione) verrà comunicato al più presto.

Riassumendo, chi si iscrive al Convegno avrà diritto a partecipare alla sessione plenaria e alle sessioni tecniche parallele. Riceverà inoltre i testi di tutte le relazioni sia su carta sia su cd-rom. Nei pomeriggi del 3 e 4 marzo potrà visitare la Fiera e, se interessato, iscriversi a uno o più seminari tecnici, che saranno offerti anche a chi non si iscrive al Convegno e anche al di fuori di queste due giornate.

cda 89

Il volume si rivolge ai professionisti che operano nel settore idrico-ambientale, agli studenti iscritti ai corsi di laurea in scienze nonché agli insegnanti delle scuole superiori, ai docenti e agli studenti dei corsi di formazione professionale inerenti le tematiche ambientali.

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