AICARR JOURNAL NR. 6/2011

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riscaldamentoenergia ISSN:2038-2723

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AiCARR JOURNAL # 6 – 2011 – RISPARMIO ENERGETICO NELLE STRUTTURE SANITARIE

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MARZO 2011. UN MESE FOLLE PER IL RISPARMIO ENERGETICO

Nello scorso numero 5 di AICARR JOURNAL si è parlato di come modifiche scellerate della struttura tariffaria avessero in passato affossato delle tecnologie innovative: neppure il tempo di andare in stampa che il governo azzerava dall’oggi al domani gli incentivi sul fotovoltaico, gettando nel panico (e in alcuni casi anche sul lastrico) migliaia di operatori del settore. “Atteggiamento irresponsabile” è l’unico eufemismo pubblicabile, ma viene da pensare di peggio. Erano incentivi troppo alti? Probabilmente sì, tanto da provocare speculazioni, sempre negative nel settore energetico. Li avevano abbassati in tutta Europa, anche perché il costo iniziale degli impianti si era ridotto molto negli ultimi anni. Aveva un senso abbassarli anche da noi, ma in modo progressivo, con tempi sufficientemente lunghi. Sarebbe stato saggio lasciare tutto invariato fino a fine anno per poi ridurli dichiarando da subito i nuovi valori, in modo che chiunque potesse calcolare la convenienza di un investimento fin da ora. Agendo così si sarebbe evitato il blocco dell’intera filiera. Abolirli da fine maggio significa barare, cambiare le carte mentre il gioco è in corso. Non a caso ha protestato anche l’associazione delle banche estere che operano sul nostro territorio, ricordando come un comportamento del genere azzera la credibilità del paese, allontanando gli investitori. Il presidente dell’associazione ha profetizzato: «non sarà solo il comparto energetico a rimetterci, ma ne faranno le spese anche gli investimenti per le infrastrutture». Se si visita la Germania, stupisce la diffusione capillare delle energie rinnovabili. Si prenda l’eolico, la più visibile: tanti piccoli campi sparsi un po’ ovunque, formati anche da un solo aerogeneratore, difficile vederne più di 5 assieme, segno che gli incentivi sono studiati per premiare di più i piccoli impianti, piuttosto che quelli grandi, più a rischio di speculazione. Là il concetto di Smart Grid è già passato: la produzione diffusa di energia ha vinto rispetto a quella concentrata. Del resto era così già per la produzione da combustibili fossili: non importava il tipo di centrale, nucleare, a metano, a carbone, quanto piuttosto la sua dimensione. Il criterio è sempre stato quello di avere tante centrali medio piccole diffuse nel territorio. Da decenni non si investiva più nel nucleare che adesso può essere abbandonato senza traumi: i tedeschi se lo possono permettere, perché hanno investito nella cogenerazione, nelle pompe di calore, nel solare termico, nel fotovoltaico. Possono permettersi anche un cancelliere, la Merkel, che pubblicamente fa ammenda e ammette di essersi sbagliata sul nucleare. Da noi è stato un inizio di marzo delirante anche su questo tema. In piena bagarre sugli incentivi al fotovoltaico è arrivata la tragedia del Giappone. Mentre tutto il mondo assisteva attonito ad una possibile catastrofe nucleare,

interrogandosi sul futuro di questa tecnologia, alcuni dei nostri ministri hanno continuato ad insistere sulla nostra scelta: tornare al nucleare per non tornare al medioevo. Ovviamente di ammende non si parla: la colpa delle scelte passate è sempre altrui, anche se alcuni di questi signori nel 1987 erano esponenti dei partiti che spinsero per il referendum sul nucleare (fu un’idea del socialista Martelli, per chi non lo ricordasse). Non si torna al medioevo: la corsa al nucleare l’abbiamo persa negli anni ’50 e ’60, quando ci puntò tutta l’Europa, ma non noi, più propensi a seguire la politica energetica di Mattei. Avremmo perso altre corse, nei decenni successivi: quella per il solare termico, negli anni ’80, quella sulla cogenerazione, negli anni ’90, entrambe grazie alla lungimiranza dei nostri monopolisti del mercato elettrico, che hanno sempre visto in queste tecnologie non una risorsa, ma un concorrente da abbattere ad ogni costo. Avessero almeno saputo spingere la tecnologie delle pompe di calore, ma neppure quelle sono riusciti a far decollare. Per fortuna è arrivato il decreto che recepisce la direttiva RES sulle fonti energetiche rinnovabili. Terrà banco per molto tempo e probabilmente ci farà cambiare il modo di pensare e progettare gli impianti. All’interno della rivista è riportato un primo dibattito, nato quasi per caso durante una riunione del comitato scientifico. È presto per dire se sia una buona legge o meno. Sicuramente spingere sulle rinnovabili è sempre positivo, ma non basta un buon testo: conta di più farlo rispettare. “L’utilizzo delle fonti rinnovabili è OBBLIGATORIO per tutti gli edifici ad USO PUBBLICO qualora non vi siano impedimenti di natura tecnica o economica. Il calcolo economico deve essere fatto con il metodo del ritorno semplice, ed il tempo di ritorno dell’investimento non deve superare gli 8 anni, per edifici in comuni con un numero di abitanti inferiore a 60.000, 10 anni negli altri casi”. Finalmente, dirà qualcuno. Peccato non si tratti del nuovo decreto, bensì della legge 10. Correva l’anno 1991 e le pompe di calore erano considerate tra le fonti energetiche rinnovabili, la cogenerazione tra quelle assimilabili. Quanti hanno visto edifici pubblici utilizzare prima del 2006 queste tecnologie? È stata forse la disposizione di legge più disattesa in Italia: il vero scandalo è questo, non certo l’abolizione del nucleare. Provate a immaginare dove saremmo, dove sarebbe la nostra industria, se questi obblighi di legge fossero stati rispettati davvero. La colpa non è solo dei nostri politici, ma di ciascuno di noi che, per qualunque motivo, abbia preferito progettare un impianto normale, trascurando le fonti rinnovabili. Il miglior modo per incentivare le tecnologie innovative è crederci davvero. Michele Vio, Presidente AiCARR


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TAVOLA ROTONDA DECRETO RINNOVABILI Obblighi di fonti rinnovabili nei nuovi edifici. Opinioni a confronto

Cosa ne pensano Sergio Croce, Renato Lazzarin, Livio Mazzarella e Michele Vio a cura di Marco Zani

INTERVISTA Lo sviluppo passa attraverso la formazione Come l’efficienza energetica e la sostenibilità ambientale cambiano il lavoro delle società di ingegneria. Lo racconta Giorgio Finotti, AD di Manens-Tifs di Mara Portoso

AZIENDA SANITARIA RIQUALIFICATA Buone pratiche messe in pratica Interventi tecnici e opere di sensibilizzazione degli operatori sanitari hanno consentito significativi risparmi alla AUSL di Rimini a cura della Redazione

FLESSIBILITÀ DEGLI IMPIANTI Ospedali, organismi in divenire

Le problematiche realizzative degli impianti nell’ambito degli interventi di ristrutturazione e riqualificazione degli ospedali esistenti di Matteo Bo

RISCHIO IMPIANTISTICO Legionellosi, strategie di sorveglianza e bonifica L’attività di prevenzione in strutture complesse richiede la stesura di un vero e proprio Piano di Autocontrollo a cura della Redazione

CASE HISTORY RIQUALIFICAZIONE IMPIANTISTICA Interventi di razionalizzazione delle centrali di produzione energia L’ospedale di Brunico ha condotto il rifacimento delle reti locali di condizionamento, adeguando i terminali di Massimo Bacci, Maurizio Cerutti

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CERTIFICAZIONE ENERGETICA NEGLI OSPEDALI Prestazioni termoigrometriche ed acustiche delle pareti opache dell’involucro edilizio

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CASE HISTORY Sale operatorie di cardiochirurgia iso 5, dalle esigenze ai collaudi operational

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Esame dei requisiti termo-acustici minimi di alcune tipologie di pareti verticali e loro rispondenza alle nuove norme termoacustiche di Francesca R. d’Ambrosio e Elvira Iannello

Nei casi limite delle sale operatorie si rendono necessari impianti di ventilazione con flussi controllabili di Oscar Di Marino, Aldo Maria Capra e Christian Rossi

FOCUS TECNOLOGICO L’evoluzione tecnologica del generatore di calore

I generatori di calore oggi in commercio sono lontani parenti delle vecchie caldaiette di Renato Lazzarin

Periodico mensile Organo ufficiale AiCARR Direttore responsabile ed editoriale Marco Zani Direttore scientifico Michele Vio Consulente scientifico Renato Lazzarin Comitato scientifico Paolo Cervio, Sergio Croce, Francesca Romana d’Ambrosio Alfano, Renato Lazzarin, Luca Alberto Piterà, Mara Portoso, Michele Vio, Marco Zani Redazione Alessandro Giraudi, Silvia Martellosio, Marzia Nicolini, Cristina Zuccarini redazione@aicarrjournal.org Art Director Marco Nigris Grafica e Impaginazione Fuori Orario - MN Hanno collaborato a questo numero Massimo Bacci, Matteo Bo, Aldo Maria Capra, Maurizio Cerutti, Francesca Romana d’Ambrosio, Oscar Di Marino, Elvira Iannello, Renato Lazzarin, Mara Portoso, Christian Rossi Pubblicità Quine Srl 20123 Milano – Via Spadari, 3 – Italy Tel. +39 02 864105 – Fax +39 02 72016740 Traffico, Abbonamenti, Diffusione Rosaria Maiocchi Editore: Quine srl www.quine.it Presidente Andrea Notarbartolo Amministratore Delegato Marco Zani Direzione, Redazione e Amministrazione 20123 Milano – Via Spadari, 3 – Italy Tel. +39 02 864105 – Fax +39 02 72016740 e-mail: redazione@aicarrjournal.org Servizio abbonamenti Quine srl, 20123 Milano – Via Spadari, 3 – Italy Tel. +39 02 864105 – Fax +39 02 70057190 e-mail: abbonamenti@quine.it Gli abbonamenti decorrono dal primo fascicolo raggiungibile.

Stampa Arti Grafiche Boccia - Salerno AiCARR journal è una testata di proprietà di AICARR – Associazione Italiana Condizionamento dell’Aria, Riscaldamento e Refrigerazione Via Melchiorre Gioia 168 – 20125 Milano Tel. +39 02 67479270 – Fax. +39 02 67479262 www.aicarr.org Posta target magazine - LO/CONV/020/2010. Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione n. 12191 Responsabilità Tutto il materiale pubblicato dalla rivista (articoli e loro traduzioni, nonché immagini e illustrazioni) non può essere riprodotto da terzi senza espressa autorizzazione dell’Editore. Manoscritti, testi, foto e altri materiali inviati alla redazione, anche se non pubblicati, non verranno restituiti. Tutti i marchi sono registrati. INFORMATIVA AI SENSI DEL D.LEGS.196/2003 Si rende noto che i dati in nostro possesso liberamente ottenuti per poter effettuare i servizi relativi a spedizioni, abbonamenti e similari, sono utilizzati secondo quanto previsto dal D.Legs.196/2003. Titolare del trattamento è Quine srl, via Spadari 3, 20122 Milano (info@quine. it). Si comunica inoltre che i dati personali sono contenuti presso la nostra sede in apposita banca dati di cui è responsabile Quine srl e cui è possibile rivolgersi per l’eventuale esercizio dei diritti previsti dal D.Legs 196/2003.

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Testata volontariamente sottoposta a certificazione di tiratura e diffusione in conformità al Regolamento C.S.S.T. Certificazione Stampa Specializzata Tecnica Per il periodo 01/01/2010-31/12/2010 Tiratura media n. 11.250 copie Diffusione media 11.079 copie Certificato CSST n. 2010-2115 del 28/02/2011 – Società di Revisione Metodo s.r.l.

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Tavola rotonda: Decreto Rinnovabili

Obblighi di fonti rinnovabili nei nuovi edifici

Silohouse, Cornell University. Progetto dimostrativo di edificio alimentato esclusivamente da fonte rinnovabile presentato al Solar Decathlon 2009 a Washington

Opinioni a confronto Raggiungere l’obiettivo del 50% di energia termica e frigorifera da rinnovabili nel 2017. Industria, legislatore e progettazione sono pronti? Cosa ne pensano Sergio Croce, Renato Lazzarin, Livio Mazzarella e Michele Vio

a cura di Marco Zani

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Decreto legislativo n.28 del 3 marzo 2011 di recepimento della direttiva RES 2009/28/CE (Decreto rinnovabili o Romani) ha previsto nuovi obblighi di integrazione delle fonti rinnovabili per coprire parzialmente i “consumi” (così si legge nel decreto) per la climatizzazione nei nuovi edifici e negli edifici esistenti sottoposti a ristrutturazioni rilevanti (cioè con superficie d’intervento superiore a 1000 m² o soggetti a demolizione e ricostruzione). Il decreto prevede una l

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roadmap che parte il 31 maggio 2012, momento dal quale occorrerà rispettare la quota d’obbligo da fonti rinnovabili del 20%. L’obbligo passerà al 35% dal 2014 per arrivare al 50% dal 2017. Pene severe per chi vorrà continuare a progettare come in passato: l’inosservanza delle norme comporta l’annullamento del titolo edilizio. Eppure, considerando che l’Italia è lunga e stretta e che gli edifici hanno destinazioni d’uso, collocazioni e microclimi ambientali differenti si

può davvero affermare che la progettazione e le tecnologie riusciranno a conseguire agevolmente l’obiettivo del legislatore? E in quale modo? Ne abbiamo parlato con alcuni esperti del settore, scoprendo che se tanto il legislatore ha fatto sulla strada dell’efficienza non sempre ha puntato la barra nella giusta direzione.


Art. 11 Dlgs. 28/2011

1. I progetti di edifici di nuova costruzione ed i progetti di ristrutturazioni rilevanti degli edifici esistenti prevedono l’utilizzo di fonti rinnovabili per la copertura dei consumi di calore, di elettricità e per il raffrescamento secondo i principi minimi di integrazione e le decorrenze di cui all’allegato 3. Nelle zone A del decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, le soglie percentuali di cui all’Allegato 3 sono ridotte del 50 per cento. Le leggi regionali possono stabilire incrementi dei valori di cui all’allegato 3. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano agli edifici di cui alla Parte seconda e all’articolo 136, comma 1, lettere b) e c), del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, e a quelli specificamente individuati come tali negli strumenti urbanistici, qualora il progettista evidenzi che il rispetto delle prescrizioni implica un’alterazione incompatibile con il loro carattere o aspetto, con particolare riferimento ai caratteri storici e artistici. […]

Allegato 3 – Dlgs. 28/2011

Obblighi per i nuovi edifici o edifici sottoposti a ristrutturazioni rilevanti 1. Nel caso di edifici nuovi o edifici sottoposti a ristrutturazioni rilevanti, gli impianti di produzione di energia termica devono essere progettati e realizzati in modo da garantire il contemporaneo rispetto della copertura, tramite il ricorso ad energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili, del 50% dei consumi previsti per l’acqua calda sanitaria e delle seguenti percentuali della somma dei consumi previsti per l’acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raffrescamento: a) il 20 per cento quando la richiesta del pertinente titolo edilizio è presentata dal 31 maggio 2012 al 31 dicembre 2013; b) il 35 per cento quando la richiesta del pertinente titolo edilizio è presentata dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016; c) il 50 per cento quando la richiesta del pertinente titolo edilizio è rilasciato dal 1° gennaio 2017. 2. Gli obblighi di cui al comma 1 non possono essere assolti tramite impianti da fonti rinnovabili che producano esclusivamente energia elettrica la quale alimenti, a sua volta, dispositivi o impianti per la produzione di acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raffrescamento. […] 5. L’obbligo di cui al comma 1 non si applica qualora l’edificio sia allacciato ad una rete di teleriscaldamento che ne copra l’intero fabbisogno di calore per il riscaldamento degli ambienti e la fornitura di acqua calda sanitaria. 6. Per gli edifici pubblici gli obblighi di cui ai precedenti commi sono incrementati del 10%. 7. L’impossibilità tecnica di ottemperare, in tutto o in parte, agli obblighi di integrazione di cui ai precedenti paragrafi deve essere evidenziata dal progettista nella relazione tecnica di cui all’articolo 4, comma 25, del decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2009, n. 59 e dettagliata esaminando la non fattibilità di tutte le diverse opzioni tecnologiche disponibili. […]

Ritiene che questi obblighi siano tecnicamente coerenti con le tecnologie attuali e conseguibili per tutte le tipologie di edifici? Renato Lazzarin Professore ordinario nella Facoltà di Ingegneria dell’Università di Padova, insegna Gestione dell’energia e Acustica applicata. Past president AiCARR

Livio Mazzarella Professore Ordinario al Politecnico di Milano, insegna acustica applicata

Michele Vio Libero professionista, Presidente AiCARR

Sebbene la legge 10/91 già prevedesse per gli edifici pubblici un obbligo di integrazione di rinnovabili termiche, e la nuova direttiva europea 2010/31/CE sull’efficienza energetica degli edifici vada nella direzione di edifici ad energia quasi zero (a partire dal 2019 per quelli pubblici e 2021 per quelli privati), non si può ammettere che la progettazione abbia fatto particolare pratica con le fonti rinnovabili se non negli ultimi anni. Si impone un cambio di marcia. «Il legislatore – afferma Livio Mazzarella – sostanzialmente prevede una sostituzione di energia da fonte non rinnovabile con energia che in cinque anni dovrà passare da zero al 50% dei consumi! Questa quota, che va riferita al totale dei consumi previsti per il complesso dei servizi, l’acqua calda sanitaria, riscaldamento e raffrescamento, sembrerebbe di primo acchito difficilmente ottenibile». «In realtà – continua Mazzarella – tutto dipende da una prima ambiguità presente nello scritto della legge: cosa si intende per consumi? Di norma i consumi sono riferiti ai vettori energetici (gas, olio combustibile, energia elettrica), giacché il termine consumo fa diretto riferimento

all’impiego di una risorsa non inesauribile. Se si usa il significato corretto del termine non se ne viene fuori! Cioè la quota di energia rinnovabile minima che occorre impiegare dipende dal tipo di sistema tecnologico adottato (il vincolo dipende dalla soluzione) innescando un processo ricorsivo che o porta al 100% di rinnovabile o non ammette soluzione (tenuto conto dell’ulteriore vincolo di cui al punto 2 dell’allegato 3). Se viceversa, coerentemente con quanto riportato nella proposizione strumentale “tramite il ricorso ad energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili”, si INTERPRETA il consumo come fabbisogno termico, cioè la richiesta di energia termica agli impianti di produzione/conversione, cioè la loro produzione, allora le cose possono funzionare e i limiti posti (20%,35% e 50%) sono ragionevoli e raggiungibili senza grosse difficoltà da tutte le tipologie edilizie, almeno per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria.» «A questo punto il problema – evidenzia Renato Lazzarin – è se mai questo possa essere economicamente valido o quanto meno

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costituisca la migliore allocazione delle risorse per risparmiare energia». «Se si ricorre al solo solare termico – osserva Lazzarin – è ovvio che il compito si presenta più facile nei climi caldi e quindi forse era il caso di fissare percentuali legate anche alla zona climatica. Va ricordato tuttavia che quelle percentuali fanno riferimento anche al raffrescamento e questo può bilanciare la richiesta complessivamente. Inoltre l’aver esplicitamente affermato che l’obbligo non può essere assolto da rinnovabili che producono solo energia elettrica, toglie di mezzo una serie di sistemi che potevano risultare di grande utilità, vale a dire impianti fotovoltaici collegati a pompe di calore. Probabilmente la prescrizione può essere in qualche modo elusa con il fotovoltaico cogenerativo che, a questo punto, potrebbe avere un’interessante promozione. Tuttavia non va dimenticato che le percentuali possono essere soddisfatte con un impiego più ridotto delle rinnovabili ed una decisa riduzione dei fabbisogni sia di riscaldamento che di raffrescamento». Michele Vio concorda che per il settore residenziale il conseguimento degli obblighi non rappresenterebbe un grande problema, «ma lo sarà molto di più per un centro commerciale nel Sud Italia che richieda oltre 10 MW termici nel periodo estivo». Ma Vio rileva un altro problema del decreto: «Bisognerebbe ragionare in termini assoluti e non percentuali, più sul REP (Rapporto di Energia

Primaria) che sulla percentuale da fonti rinnovabili. Vorrei segnalare un paradosso: in un edificio molto ben costruito potrebbe essere più difficile soddisfare la percentuale di rinnovabile rispetto a uno con minore isolamento termico. Si supponga un edificio nel quale non si consumi energia al di sopra di 0°C. La percentuale di rinnovabile dovrebbe essere prodotta tutta con temperature inferiori a 0°C, quando è più difficile perché le pompe di calore perdono efficienza e presumibilmente c’è meno sole. Ragionando in termini percentuali, potrebbe quasi convenire costruire un involucro meno prestazionale che consumi energia anche a temperature superiori, quando è molto più facile sfruttare le rinnovabili: il consumo assoluto sarebbe maggiore, ma lo sarebbe anche la percentuale di rinnovabile prodotta». Come conseguire praticamente questi obblighi? Lo spiega Livio Mazzarella: «Fatto 100 il fabbisogno termico complessivo, la quota di rinnovabile è 20, 35 e 50. Se considero un sistema a pompa di calore con COP 3.5, la quota del fabbisogno ricoperta da fonte rinnovabile (energia prelevata dall’ambiente senza ulteriore necessità di specificazione) è pari a 72! > 50. Si può ben capire come si possa far rientrare facilmente anche il raffrescamento se questo non costituisce il fabbisogno dominante. Ma tutto ciò – conclude Mazzarella – si basa sull’interpretazione del termine consumo e quindi si attendono lumi dal ministero».

Il legislatore consente una deroga agli obblighi per le rinnovabili termiche in caso di allaccio dell’edificio alla rete di teleriscaldamento. Quale è la sua opinione in proposito? Non sembra che la fiducia del legislatore per il teleriscaldamento raccolga molti consensi. Già Assotermica aveva evidenziato nelle proprie osservazioni allo schema di decreto uno sbilanciamento verso il teleriscaldamento, in quanto si prevede che gli obblighi di produzione termica con altri sistemi anche più efficienti di generazione diffusa (ad esempio il solare termico, il fotovoltaico e le pompe di calore) vengano meno nel caso in cui si sia allacciati alla rete di teleriscaldamento, senza tener conto che per quest’ultimo non si distingue in base alle fonti energetiche che alimentano la rete di teleriscaldamento stessa. Ecco perché secondo Livio Mazzarella «se non si impone una quota di rinnovabile sulla generazione dell’energia termica immessa nella rete di teleriscaldamento si vanifica lo stesso spirito della legge. Infatti la definizione di teleriscaldamento riportata nel Dlgs include anche il riscaldamento condominiale! Basta che vi sia una

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centrale termica separata e più di un edificio ad essa asservito!» Tuttavia ci possono anche essere centrali termiche asservite al teleriscaldamento che possono contribuire all’efficienza del sistema senza essere considerate rinnovabili. È il caso di una rete di teleriscaldamento collegata ad un sistema cogenerativo, quindi ad una centrale di produzione dell’energia elettrica. «Non si può prescindere – ritiene Michele Vio – dal sistema di produzione a monte: collegarsi a una semplice caldaia di quartiere sarebbe una vera beffa. Estenderei la deroga anche ai sistemi cogenerativi per una singola utenza nella convinzione che la prima energia rinnovabile da sfruttare sia il cascame derivante da un’altra produzione: l’energia termica nel caso della produzione dell’energia elettrica. Erano le famose fonti assimilate alle rinnovabili richiamate dalle legge 9 del 1991, da sfruttare sempre, se si ragiona in termini di REP. Temo, invece, che alcune di queste fonti preziose

saranno perse, proprio a causa di un illogico calcolo sulla sola percentuale di rinnovabile». Punta l’attenzione sulle prestazioni Renato Lazzarin: «A volte il legislatore mostra un’eccessiva fiducia nelle prestazioni energetiche di un teleriscaldamento. Tempo fa ho avuto modo di realizzare uno studio dettagliato che dimostrava come soltanto a certe condizioni il teleriscaldamento consentisse un risparmio energetico rispetto a sistemi di riscaldamento locali moderni come caldaie a condensazione o pompe di calore. Sarebbe stato opportuno concedere la deroga, ma solo nel momento in cui veniva verificato che il teleriscaldamento avesse dei requisiti minimi prestazionali».


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Ritiene che questi obblighi favoriscano delle tecnologie a svantaggio di altre? E secondo Lei l’industria nazionale è “al passo” con quella europea?

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Vede positivamente il ruolo del nostro Paese Michele Vio: «Finalmente vengono prese in considerazione seriamente le “rinnovabili termiche”, le pompe di calore in particolare. Il loro utilizzo era obbligatorio già con la legge 10/91, ma nessun obbligo è mai stato così disatteso in Italia. Le aziende italiane sono leader mondiali nella costruzione di pompe di calore e gruppi frigoriferi ad alta efficienza, al pari con le giapponesi e le statunitensi. Addirittura, in Italia abbiamo il principale costruttore mondiale di pompe di calore ad assorbimento». Bene dunque per le pompe di calore ma un po’ di preoccupazione per il sistema elettrico nazionale viene espressa da Livio Mazzarella per il quale «lo scenario di copertura di tale introduzione delle fonti rinnovabili tramite la pompa di calore porterebbe a una richiesta di maggiore potenza elettrica del 10-15%! Dove, come e quando realizziamo tali nuove centrali di potenza? … e quali? Occorrerebbe quindi disciplinare forse meglio l’applicazione della legge, magari ponendo dei tetti alle potenze installabili». Tuttavia questi obblighi penalizzano il fotovoltaico quando in abbinamento a sistemi elettrici di produzione di energia termica, ricorda Renato Lazzarin che riconosce come ancora una volta, come nel passato, si stia infliggendo un colpo all’industria nazionale. «Nell’ambito delle rinnovabili l’Italia – ricorda Lazzarin – aveva una posizione di primo piano all’inizio degli anni ’80 anche in assenza di incentivazioni. Erano presenti alcune decine di aziende. Poi venne avviata nel 1982 la campagna ENEL “Acqua calda dal sole” che prometteva il finanziamento di 100.000 m² di collettori solari con un programma normativo e di qualificazione dei collettori che tardò moltissimo a delinearsi dopo l’annuncio. Nella lunghissima attesa che si precisassero gli estremi dell’offerta ENEL (che prevedeva severe prove di qualità presso la Conphoebus di Catania) le aziende si trovarono con il portafoglio ordini vuoto per non meno di 6 mesi. Questo portò alla progressiva uscita dal mercato di quasi tutti i produttori. Il crollo del prezzo dei prodotti petroliferi nel 1985 fece il resto». «L’industria nazionale – conclude Lazzarin – sta nuovamente qualificandosi, ma necéssita di un quadro normativo e di prospettive certe per un periodo di almeno 5-6 anni. L’attuale produzione legislativa è esattamente agli antipodi di tutto questo, con norme che spesso hanno carattere retroattivo».

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Solare termico, una grande risorsa per l’industria nazionale

Il parere di Sergio Croce Ritengo particolarmente apprezzabile l’attenzione al solare termico per l’acqua calda sanitaria: un settore che fino ad ora non ha ricevuto grande attenzione. L’Italia al 2008 si presentava con un parco solare termico di 36,7 m² ogni mille abitanti mentre l’Austria si presentava con 345 m² ogni mille abitanti. Altri paesi come Austria e Grecia hanno un parco solare termico circa 15 volte maggiore rispetto a quello italiano. Riuscendo a raggiungere tali valori l’Italia potrebbe tendere ad avere un parco solare termico di almeno 24 milioni di metri quadrati, e ipotizzando una potenza media di 0,7 kWth per metro quadrato di collettore, la potenza complessiva risulterebbe di 16,8 GWth. Secondo uno studio di un gruppo di lavoro dell’accademia dei Lincei (Road-Map per un Sistema Integrato di Gestione dell’Energia) tale obiettivo potrebbe essere raggiunto al 2020 installando 2,4 milioni di metri quadrati di collettori all’anno. La cosa è certamente raggiungibile se si pensa che la Germania nel 2008 ha installato circa 1,9 milioni di metri quadrati. Non va dimenticato l’aspetto occupazionale: uno scenario di questo tipo potrebbe

Art. 2 comma 1

Ai fini del presente decreto legislativo si applicano le definizioni della direttiva 2003/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 giugno 2003. Si applicano inoltre le seguenti definizioni: a) “energia da fonti rinnovabili”: energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica e oceanica, idraulica, biomassa, gas

creare circa 21.000 nuovi posti di lavoro. Per sopperire a tale richiesta, sempre secondo lo studio citato, al fine di non importare dall’estero come nel caso del fotovoltaico, sarebbe necessario aprire almeno 5 nuovi stabilimenti per la produzione di moduli solari termici, con un indotto notevole nella fabbricazione dei collettori, ma anche nella Sergio Croce realizzazione sia dei boiler solari, stimabili Ordinario di Architettura Tecnica in circa 600 mila ogni anno, che delle pompe al Politecnico di Milano e docente di movimentazione dei termo vettori, che si di Tecnologie costruttive possono stimare in 600-1200 mila pezzi ogni anno. Il nostro Paese ha inoltre sue specificità da sfruttare, come una sviluppata industria di elettrodomestici facilmente convertibile per facilitare il risparmio energetico e l’uso del solare termico.

di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas; b) “energia aerotermica”: energia accumulata nell’aria ambiente sotto forma di calore; c) “energia geotermica”: energia immagazzinata sotto forma di calore nella crosta terrestre; d) “energia idrotermica”: energia immagazzinata nelle acque superficiali sotto forma di calore;

e) “biomassa”: la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.

Pensa che il decreto dia una definizione di energia

rinnovabile che consenta di sfruttare tutte le risorse tecniche oggi disponibili?

«La definizione di energia rinnovabile è sufficientemente ampia e se mai va precisata per quanto riguarda l’impiego delle pompe di calore, così come previsto dalla normativa europea» ritiene Renato Lazzarin. A tal proposito Livio Mazzarella osserva che «sarebbe stato meglio darne una definizione più chiara nella letture, pur preservando lo spirito della direttiva». Definizioni più consone sarebbero state le seguenti, secondo Mazzarella: • “energia aerotermica”: l’energia termica posseduta dall’aria ambiente ed estraibile sotto forma di calore; • “energia geotermica”: energia termica posseduta dal sottosuolo ed estraibile sotto forma di calore; • “energia idrotermica”: l’energia termica posseduta dalle acque superficiali ed estraibile sotto forma di calore. «Al di là di questa diversità terminologica legata al fatto che l’energia accumulata o immagazzinata in un mezzo è energia interna o cinetica o potenziale – spiega Mazzarella –, il “calore” è solo una modalità di scambio energetico, mentre l’energia termica rappresenta la quota parte di energia interna estraibile sotto forma di calore.

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Penso che la/le definizioni date consentirebbero di sfruttare di tutto e di più. Si tenga presente che rispetto alla definizione canonica di energia rinnovabile (la rinnovabilità è legata solo a processi/fenomeni naturali), la definizione data ha introdotto in alcuni casi (ma non tutti) un concetto di rinnovabilità sostenuta da processi antropici (vedi gas di discarica e gas residuati dai processi di depurazione, mentre limita alla frazione “umida” i rifiuti industriali ed urbani)». Anche per Michele Vio con questa definizione «si perdono tutte le fonti assimilabili, in particolare il recupero di calore dalla cogenerazione, ma anche dall’aria esausta. Su questa potrebbero addirittura sorgere incongruenze: sarebbe considerata rinnovabile parte dell’energia recuperata da un sistema dinamico (è una pompa di calore!), non quella recuperata da sistemi statici». Ma poi Vio individua altre pieghe nelle definizioni che possono creare impasse alla progettazione. «Il free-cooling estivo è considerato energia rinnovabile oppure no? – si chiede Vio – E una pompa di calore ad aria in funzionamento estivo sfrutta energia rinnovabile? Sono tutte domande cui si dovrà dare risposta, anche perché, se in estate queste non si contano, non resta che

il sole. Francamente sembra assai difficile produrre il 50% di energia frigorifera con il solo sole nelle nostre città. Su questi temi si dovrà discutere molto». In conclusione però esiste anche un problema di reperibilità di risorse rinnovabili denuncia Vio. «Le sorgenti di energia rinnovabile ce le lasceranno usare liberamente oppure no? Pensiamo alla falda acquifera: permette di sfruttare il free-cooling estivo in abbinata con sistemi di climatizzazione radiante a soffitto ed è la sorgente ideale per le pompe di calore, sia in inverno che in estate, soprattutto in certe zone della Pianura Padana dove è fruibile a pochi metri dal suolo e con bassi costi energetici per il suo prelievo. In tutti i paesi del nord Europa si utilizza tranquillamente: da noi è tabù quasi ovunque. La tecnologia ce l’abbiamo – ribadisce Vio – il problema è lasciarcela utilizzare».


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Intervista

Nuovo polo chirurgico di Borgo Trento a Verona Studio Altieri, GMP von Gerkan Marg e Partner. Vista aerea

Lo sviluppo passa attraverso la formazione Efficienza energetica e sostenibilità ambientale stanno modificando l’approccio al lavoro delle società di ingegneria. Giorgio Finotti, AD di Manens-Tifs, spiega come di Mara Portoso

Qual è la filosofia alla base dei vostri progetti? La grande rivoluzione degli ultimi anni, che corrisponde proprio al nostro modo di pensare, ha riguardato l’efficienza energetica e la sostenibilità ambientale; una rivoluzione che ha modificato e sta modificando l’approccio al nostro lavoro. La filosofia di azione di Manens-Tifs, che tra l’altro è uno dei soci fondatori del Green Building Council Italia e promotore del sistema di certificazione LEED, pone quindi al primo posto la sostenibilità ambientale in tutte le sue componenti: energia, acqua, rumore, ecc. La necessità di individuare soluzioni tecnologiche ottimali e di valutarne le prestazioni nel contesto dell’edificio in modo integrato, tenendo conto di aspetti ambientali, economici, e realizzativi, ci ha portato a sviluppare un approccio innovativo in cui l’involucro edilizio rappresenta esso stesso un componente dell’impianto. Ciò significa una progettazione fortemente integrata con la parte edilizia-architettonica; significa disporre ed implementare, fin dalle fasi preliminari di studio, conoscenze specialistiche di fisica tecnica applicata agli edifici; significa anche

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“impadronirsi” di tecniche di simulazione in grado di analizzare ciascuna tecnologia e di valutare preventivamente il comportamento dell’edificio al fine di ottimizzare il risultato finale nel suo complesso. È un processo che ha richiesto un cambio di mentalità e la necessità di dotarsi di strumenti e mezzi di lavoro diversi da quelli che usavamo fino a qualche anno fa e che erano orientati al mero dimensionamento degli impianti. Di quali progetti orientati al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale vi siete occupati di recente? Tra i progetti di maggior rilievo si possono citare la sede del gruppo Intesa Sanpaolo di Torino, la sede EFSA di Parma, la sede di 3M Italia a Pioltello (MI), il nuovo polo chirurgico di Borgo Trento a Verona, la riqualificazione dell’ospedale Niguarda di Milano, la riqualificazione dell’area ex-Michelin e il nuovo Museo della Scienza (MUSE) entrambi a Trento. Da sempre collaboriamo con alcuni tra i più prestigiosi architetti italiani – Mario Bellini, Dante Benini, Massimiliano Fuksas, Vittorio Gregotti, Renzo Piano – e stranieri, tra cui Zaha Hadid, Norman Foster, Mario Botta, David Chipperfield, Herzog & De Meuron, Daniel Libeskind, Richard Rogers, Pei Cobb Freed & Partners, in opere di assoluto prestigio. A proposito di ospedali, quali sono i principali elementi che caratterizzano i due interventi che ha citato? Entrambi gli interventi prendono luogo all’interno di aree ospedaliere con padiglioni attivi e mirano alla realizzazione di ambienti ad alta specializzazione con una particolare attenzione, nel contempo, alla personalizzazione,

all’umanizzazione, al comfort ed alla sicurezza dei processi clinici anche attraverso l’articolazione dei percorsi interni alla struttura, finalizzata ad ottimizzare la fruibilità da parte di utenti ed operatori. Tali opere si caratterizzano altresì per la particolare attenzione dedicata alle problematiche di “sostenibilità ambientale”. In tal senso sono state analizzate ed ottimizzate le scelte relative all’involucro edilizio con soluzioni fortemente performanti, sia per il contenimento dei consumi, sia per il miglioramento del comfort ambientale. Il Nuovo Polo Chirurgico realizzato all’interno dell’Ospedale Civile Maggiore di Borgo Trento rappresenta un’area intensiva ad alta specializzazione tra le principali in Europa, con una superficie complessiva pari a 115.000 mq. Tra le opere propedeutiche alla realizzazione del Nuovo Polo Chirurgico si segnala la costruzione del Polo Tecnologico costituito da tre generatori di vapore di potenza termica pari a 15 MW ciascuno, un generatore di acqua surriscaldata ed un cogeneratore di potenza elettrica pari a 1 MW. L’approvvigionamento energetico avviene mediante tre fonti primarie: il gas metano, il gasolio (in caso di emergenza) e il calore prelevato dalla rete di teleriscaldamento cittadina.


Giorgio Finotti

Giorgio Finotti si è laureato in Ingegneria elettrotecnica presso l’Università Studi di Padova nel 1982. Dopo una breve esperienza in ambito universitario e un corso di perfezionamento in “Ingegneria del plasma e della fusione termonucleare controllata”, ha iniziato l’attività professionale come collaboratore del prof. Lorenzo Fellin. Amministratore delegato di TiFS ingegneria S.r.l. dal 1999 al 2009, nel gennaio 2010 – a seguito della fusione di Manens Intertecnica S.r.l. in TiFS ingegneria S.r.l. – è diventato Amministratore delegato e Direttore tecnico della nuova società Manens-Tifs s.p.a. FInotti ha maturato competenze impiantistiche con un alto grado di specializzazione in ambito elettrico soprattutto nel settore degli impianti di distribuzione e utilizzazione dell’energia elettrica, impianti di comunicazione, sicurezza e cablaggio di reti informatiche per sistemi integrati destinati a strutture complesse. È autore di numerose pubblicazioni nel settore dell’impiantistica e dell’illuminotecnica, tra cui “Luce sull’Aeroporto, il Marco Polo di Venezia” e “Architettura e tecnologia. I nuovi uffici TiFS”, entrambi editi da Marsilio Editori.

Per quanto attiene nel dettaglio l’Ospedale Niguarda di Milano, l’intervento di riorganizzazione generale si svolge in due fasi sostanziali: nella prima sono stati realizzati il Nuovo Polo Tecnologico, il Polo Logistico ed il Blocco Sud oltre ai cunicoli (tecnologico, pedonale, logistico) di interconnessione tra le strutture; nella seconda fase, in corso di esecuzione, è prevista la costruzione del Blocco Nord oltre ai cunicolo di interconnessione. Nel Polo Tecnologico è concentrata la produzione dell’energia termica e frigorifera tesa a soddisfare il fabbisogno dell’intero presidio ospedaliero incluse le strutture esistenti, con una potenza termica complessiva pari a 45 MW per la produzione di vapore e acqua calda, una potenza frigorifera complessiva pari a 20 MW (alcuni dei

quali ad assorbimento) e 4 gruppi di cogenerazione con motore endotermico di potenza elettrica pari a 4MW ciascuno. I due blocchi ospedalieri di nuova realizzazione sono caratterizzati da una superficie complessiva pari a circa 170.000 mq, un numero di posti letto di degenza ordinaria e day hospital/surgery pari a circa 600, 36 posti letto di terapia intensiva, 40 sale operatorie. Il Presidente dell’OICE ha dichiarato che “il 2010 è stato un altro anno terribile; nel 2011 si dovrà cambiare rotta”. Un suo parere su questa dichiarazione? La situazione economica e l’assenza di risorse hanno influito pesantemente anche sul nostro settore, arrivando praticamente a bloccarlo. Uno degli elementi della dichiarazione del presidente dell’OICE veniva, infatti, dalla considerazione dello scarso numero di bandi e del loro valore. Credo quindi che dovrebbe innanzitutto essere il sistema economico dell’Italia a dover cambiare rotta per dare un po’ di impulso al settore. A questa situazione critica si accompagna poi la fortissima

Manens-Tifs è nata nel gennaio 2010 dalla fusione di due tra le più importanti società di ingegneria impiantistica in Italia: TiFS ingegneria e Manens Intertecnica, attive nel mercato da oltre quarant’anni come Società di ingegneria specializzate nel settore impiantistico, con un alto grado di specializzazione e competenze specifiche nella progettazione e direzione lavori di impianti di distribuzione e utilizzazione dell’energia elettrica, impianti di comunicazione, sicurezza e cablaggio di reti informatiche, climatizzazione, impianti idrosanitari e antincendio. La società è strutturata in tre settori di business: un primo settore, ubicato a Verona, è orientato al cliente privato e si occupa di impiantistica nell’ambito dell’edilizia direzionale, commerciale, alberghiera, congressuale e museale. La seconda unità si trova invece a Padova ed è orientata al cliente pubblico. Storicamente, questa unità ha una sua competenza e conoscenza specifica nell’ambito dei settori ospedaliero e universitario, a cui negli ultimi anni si è aggiunto anche il settore della produzione di energia con centrali di piccole e medie dimensioni, prevalentemente da fonti rinnovabili e impianti di cogenerazione. Infine, a San Donà di Piave l’unità di business dedicata al mercato estero e una sede secondaria a Roma. Nella compagine societaria sono presenti i professori Alberto Cavallini e Roberto Zecchin dell’Università di Padova, che garantiscono da un lato un know-how di eccellenza in vari settori degli impianti e dall’altro permettono di avere un costante aggiornamento sulle evoluzioni tecnologiche in atto.

concorrenza al ribasso indotta anche dalla liberalizzazione delle tariffe in un mercato impreparato e incapace di valutare e confrontare le offerte. Vista la situazione, ritengo che per il nostro Paese il 2011 difficilmente sarà migliore del 2010. Com’è la situazione all’estero? Oggi è quasi obbligatorio guardare nella direzione dei paesi del Medio Oriente, dove ci sono mercati molto più ricchi e con potenzialità enormi, ma l’impresa non è facile perché l’ingegneria italiana è impreparata ad affrontarli. Le società di ingegneria italiane mediamente non sono strutturate per affrontare un mercato che per anni è stato colonizzato dalle grandi società di ingegneria di stampo anglosassone. Per affrontare quel mercato in modo vincente bisogna essere capaci di portare del valore aggiunto. Non a caso nei paesi del Medio Oriente sono richiesti gli architetti italiani più importanti, perché sono portatori di un made in Italy molto appetibile all’estero. Noi siamo ad esempio in grado di portare in quei mercati la grande conoscenza che abbiamo acquisito nell’ambito dell’efficienza energetica e la capacità di lavorare con le procedure di certificazione del livello di sostenibilità degli edifici. Si ha la sensazione che l’Italia, in molti ambiti, tra cui quello dell’ingegneria, sia in ritardo rispetto agli altri Paesi europei. Più che una sensazione è una realtà, ma ci dovremmo chiedere perché è successo. Il mondo anglosassone ha diffuso il suo modo di pensare, i suoi standard, il suo metodo di lavoro. Da un certo punto di vista è stato quindi avvantaggiato. Noi soffriamo il fatto che la politica e le leggi hanno oppresso questo mercato. Indipendentemente dalla situazione contingente, alle società di ingegneria non è stato consentito di svilupparsi, di diventare delle strutture imprenditoriali organizzate dove gli aspetti della formazione, della ricerca, dell’innovazione fossero elementi fondamentali dello sviluppo. In questa situazione è difficile che le società di ingegneria italiane possano improvvisamente affrontare strutture straniere che hanno alle spalle una lunga storia di organizzazione e al proprio interno delle professionalità in grado di gestire un processo di ingegneria. In Manens-Tifs siamo perfettamente consci di tutto ciò e, proprio per questo, abbiamo deciso di fare una scelta atipica per una società di ingegneria specializzata, che conta oggi circa 170 addetti: stiamo investendo sulle persone, sulle nostre risorse interne, perché siamo convinti che lo sviluppo debba passare attraverso la formazione sui metodi di lavoro e sulla capacità di impratichirsi di nuovi strumenti, perché solo così potremo affrontare in modo vincente anche i mercati stranieri e in particolare quelli dei paesi emergenti. n

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impianto fotovoltaico da 81 kwp

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rende il nome di PMS, “Piano di azione per il miglioramento della sostenibilità energetica”, l’operazione che la AUSL riminese ha lanciato nel 2010. Si tratta di un progetto di sostenibilità che unisce all’aspetto ambientale anche quello sociale, economico e comunitario e che interessa oltre 4000 dipendenti dislocati in cinque presidi ospedalieri (Rimini, Santarcangelo, Riccione, Cattolica e Novafeltria), in 30 presidi distrettuali e territoriali e una decina di gruppi appartamento. Un’iniziativa, spiega Francesco Versari, Energy Manager della stessa AUSL, che si sostiene e mantiene anche grazie ad una poderosa campagna di comunicazione online. Supportato da un sito aziendale dedicato, il PMS intende promuovere in tutti gli attori coinvolti nella realtà ospedaliera comportamenti virtuosi nell’impiego delle risorse e, parallelamente, porre la stessa Azienda come modello da imitare, diffondendo le proprie iniziative green e generando maggiore consapevolezza sul tema della sostenibilità ambientale.


Replicabile, anche in caso di scarse risorse economiche Una peculiarità del PMS è la sua elevata replicabilità, grazie all’approccio modulare per linee di intervento ed alla presenza di misure a basso costo e rientro rapido, generalmente inferiore ai 4 anni, ma in alcuni casi addirittura inferiore ad una stagione. Questa fisionomia flessibile vuole, nelle intenzioni degli ideatori, incoraggiare altre realtà analoghe ad adottare lo stesso piano e aderire all’iniziativa “Sanità sostenibile”.

Una veduta dall’alto del complesso ospedaliero

AUSL di Rimini in cifre

La AUSL di Rimini è un ente strumentale attraverso il quale la Regione assicura assistenza nel territorio della provincia riminese, su cui è distribuito il patrimonio edilizio (composto da oltre 150.000 m²). L’ente assorbe annualmente per il suo funzionamento oltre 6.500 TEP e circa 210.000 m³ di acqua, emettendo in atmosfera oltre 15.000 tonnellate di CO2. Dovendo affrontare ogni anno una media di 58.149 ricoveri, la sanità riminese ha in questi ultimi anni sentito l’esigenza di rinnovarsi, per soddisfare i nuovi bisogni sanitari della popolazione con un ventaglio di servizi orientati

Sono 58.149 i ricoveri medi in un anno

all’innovazione, tra i quali il PMS spicca per completezza e dimensioni. La “sfida” del PMS (già vinta per quanto riguarda il consumo idrico, calato di oltre 70.000 m³) è di ridurre questi consumi e le relative emissioni di almeno il 20%, contenendo il tempo di rientro dell’investimento entro 5 anni. 4000 dipendenti per la AUSL riminese, distribuiti in un complesso che supera i 150.000 m²

Innovazione amica dell’ambiente

Per raggiungere l’obiettivo e coinvolgere utenti e addetti ai lavori nel progetto, l’Azienda ha sviluppato una strategia articolata, che poggia su diversi binari paralleli. Le buone pratiche avviate all’interno delle strutture sanitarie e i corsi di formazione dedicati agli operatori sono, infatti, solo una parte del progetto che ha ottenuto un riconoscimento nazionale con la consegna del premio “Innovazione Amica dell’Ambiente” da parte di Legambiente.

Un riconoscimento alle buone pratiche del PMI da parte di Legambiente

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Interventi di ammodernamento e sostituzione impianti

Riduzione di spurghi di torri evaporative

Impianti di cogenerazione in ciascuno dei 4 presidi per un totale di 1700 kWt e 1300 kWe

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Bianco, Responsabile Impianti ed Energia, spiega come la strategia di azione dell’azienda poggi le sue basi su più linee parallele di intervento, che possono essere raggruppate in tre grandi aree tematiche: l’efficienza energetica, le fonti rinnovabili e le buone pratiche. 1) Efficienza energetica, ottenuta aumentando il rendimento degli impianti installati, con una serie di interventi specifici: • Efficienza degli impianti termici (nuove caldaie a condensazione in 7 sedi per oltre 5.000 kWt, riqualificazione degli involucri, isolamento delle tubazioni, installazione di 600 valvole termostatiche, sostituzione del gasolio con gas naturale). • Efficienza degli impianti elettrici (oltre 150 nuovi motori di classe IE2 per 700 kW complessivi, 150 corpi illuminanti esterni ad alta efficienza, 1.200 plafoniere a LED e T5, 5 nuovi gruppi frigo per 4500 kWf e oltre 250 split aolo

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Sostituzione di caldaie a gasolio con nuove a gas naturale

Isolamento delle tubazioni

R22 sostituiti con modelli a più alto rendimento, spegnimento notturno da remoto dei pc non utilizzati). • Impianti di cogenerazione nei 4 presidi principali (per un totale di 1.300 kW elettrici e 1.700 kW termici di potenza).

• Risparmio idrico (riduzione degli spurghi di caldaie e torri evaporative, 280 nuove cassette dei wc a doppio pulsante, 500 erogatori a basso flusso) e riduzione dei rifiuti

Attori sociali coinvolti nel progetto

Il PMS prevede il coinvolgimento e la partecipazione di numerosi attori sociali, in primis il Gruppo Regionale Energia – associazione degli Energy manager delle aziende sanitarie della Regione Emilia Romagna – in collaborazione con il quale vengono portate avanti le iniziative in merito a formazione ed informazione degli operatori dell’Azienda USL. Il Comune di Rimini, l’Unione dei comuni italiani e la Società Italiana per l’Architettura e Ingegneria sono altri soggetti con i quali l’Azienda collabora periodicamente alla realizzazione di eventi dedicati all’informazione tecnica sui temi dell’efficienza energetica. Infine, tra i partner, figura anche la locale azienda di distribuzione del gas (SGR), attiva nel recupero delle incentivazioni fiscali (certificati bianchi) e nell’organizzare eventi promozionali destinati ai propri dipendenti.


prodotti (tramite la raccolta differenziata). 2) Fonti rinnovabili, per produrre una quota del fabbisogno residuo in modo sostenibile: tra le varie azioni, si distinguono alcune modalità innovative di aggiudicazione, capaci di reperire sul mercato risorse senza costi aggiuntivi per l’ente, come ad esempio il bando in comodato d’uso per impianti fotovoltaici per circa 120 kWp, e quelli per la realizzazione di Asilo Aziendale e nuovo Day Hospital Oncologico, che porteranno il totale intorno a 200 kWp. 3) Buone pratiche, per informare e coinvolgere gli operatori e

ridurre i consumi non necessari, tra cui si segnalano il calcolo del bilancio energetico e dell’impronta ecologica (con software sviluppato in proprio) e l’ottenimento delle certificazioni energetiche di tutti i fabbricati. Molto interessante anche la campagna “Abbi cura del tuo pianeta!”, nella quale l’Azienda USL di Rimini ha deciso di investire, cercando di stimolare il personale a lavorare per un servizio pubblico che esercita un ruolo di apripista ed esempio virtuoso; l’iniziativa – avviata nell’estate 2010 – dedica a ciascuna delle buone pratiche individuate un messaggio, con relativo manifesto personalizzato. Tramite oltre 20 manifesti mirati, comunicazioni via mail e tramite il sito internet www.ausl. rn.it/energia, messaggi nelle buste paga e nelle bacheche, iniziative di coinvolgimento e premiazione dei più attivi (es. la “caccia” alle lampadine ad incandescenza, con oltre 500 sostituzioni;

Sono state oltre 600 le valvole termostatiche installate la distribuzione gratuita ai dipendenti di 5.000 kit di efficienza energetica con lampadine e riduttori di flusso), “Abbi cura del tuo pianeta” si configura come un compendio di tutte quelle misure che possono, ogni giorno, innescare un piccolo ma significativo cambiamento. n

CAMPAGNE DI SENSIBILIZZAZIONE della AUSL di Rimini

Molteplici e differenti, i progetti avviati nel quadro del PMS sono tutti però accomunati da un unico fil rouge: innovare con riguardo all’ambiente. Tra questi il programma Acquasana, una vera e propria rivoluzione nelle mense aziendali, dove tutte le bottigliette di plastica sono state sostituite con erogatori di acqua microfiltrata, conforme alle più restrittive normative vigenti in tema di acqua potabile. Un’idea dalla portata decisamente innovativa, se si considera che in mensa, ogni anno, erano circa 40.000 le bottiglie di plastica utilizzate, con emissioni per oltre 4.000 chili di CO2 in atmosfera.

Spegni l’aria condizionata mezz’ora prima di uscire dal lavoro e risparmi 24 ore di TV a settimana* Abbi cura del tuo pianeta!

Segui le buone pratiche su: www.ausl.rn.it/energia

* Considerando un tipico locale da 25 m², con un consumo specifico di energia elettrica per il condizionamento pari a 0,03 kW/m² (fonte: Carbon Trust), in un tempo di 30 minuti per 5 giorni a settimana si consumano: 0,5 * 25 * 0,03 * 5 = 0,375 * 5 = 2,625 kWh. Il consumo tipico di un apparecchio TV LCD da 32” è in media pari a 110 Wh, per cui risultano: 2,625 / 110 = 23,9 ore di televisione.

Campagna a cura di:

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“Colosseo” riqualificato

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’USL di Rimini, nell’ambito del proprio Piano di Miglioramento della Sostenibilità, ha completato nel corso dell’estate 2010 il progetto “Energie in circolo”, ristrutturazione a fini energetici della propria sede centrale di via Coriano, intervento apripista ed esemplificativo delle misure contenute nel PMS. Il fabbricato, dalla caratteristica forma circolare – da cui il nome “Colosseo” – è costituito da un piano interrato e tre piani fuori terra, per una superficie totale pari a circa 18.000 metri quadrati, con la seguente impronta ecologica: • consumo di energia elettrica: circa 700.000 kWh/anno; • consumo di gas: circa 68.000 m³/anno; • consumo di acqua: circa 3.600 m³/anno; • emissioni annue in atmosfera: 450 Ton CO2. Il progetto ha comportato per l’Azienda un investimento complessivo di circa 290.000 euro a fronte dei seguenti risparmi energetici attesi: • energia elettrica: 210.000 kWh/anno;

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• gas metano: 17.840 m³/anno; • acqua: 1.500 m³/anno; Si stima che l’intervento porterà ad una riduzione delle emissioni inquinanti pari a circa 130 tonnellate/anno di CO2 (-30%), oltre ad un risparmio economico stimabile in circa 60.000 euro l’anno, con conseguente tempo di rientro previsto inferiore ai 5 anni. L’operazione, inscritta all’interno della campagna di sensibilizzazione sul risparmio energetico, ha agito su più fronti, elaborando diversi progetti.

tetto dell’edificio è costituito da 360 moduli per una potenza nominale complessiva di 81 kWp ed una produzione di circa 95.000 kWh annui. L’intervento è stato realizzato a costo zero per l’Azienda, nonostante il suo valore di 350.000 euro, grazie ad un bando con cessione del “conto energia” al concessionario (ditta Tecnologie Ambientali s.r.l. di Rimini) per la durata di 20 anni.

Impianto fotovoltaico da 81 kWp L’impianto fotovoltaico installato sul

L’impianto consentirà una riduzione di emissioni inquinanti pari a 43,6 tonnellate/ anno di CO2 e, per l’azienda, un risparmio economico annuo di 14.250 euro, derivante dall’energia elettrica prodotta, senza alcun esborso economico.


Gruppi frigoriferi ad alto rendimento

I 2 vecchi gruppi frigoriferi per il condizionamento d’aria, in cattivo stato di conservazione e con basse rese di funzionamento, sono stati sostituiti con 2 nuovi gruppi da 425 kW del tipo ad elevato rendimento multiscroll. Realizzato nel mese di maggio 2010 dalla ditta Torri snc di Riccione, l’intervento permetterà un risparmio di energia elettrica per 70.000 kWh/anno, mentre la riduzione di inquinamento in atmosfera sarà pari a 32,1 tonnellate/anno di CO2.

Cassette wc con doppio pulsante Le 45 cassette WC presenti all’interno della sede USL sono state sostituite con modelli a doppio pulsante, in grado di funzionare con 3/6, invece che con 9 litri come i vecchi modelli. L’intervento consentirà di risparmiare 1.500 metri cubi d’acqua l’anno, con economie sui consumi idrici tali da ripagarlo in meno di 3 anni.

lo spegnimento automatico dopo l’orario di lavoro. Inoltre, la campagna di sensibilizzazione è già stata sufficiente perché i due terzi dei dipendenti interessati prestassero autonomamente più attenzione a spegnere il terminale quando non lo utilizzano. Il programma “Shutdown” consentirà di risparmiare complessivamente quasi 300.000 kWh a livello dell’intera Azienda, mentre per il solo edificio Colosseo la stima è di circa 45.000 kWh, ed emissioni in atmosfera per 19,8 tonnellate di CO2.

Nuove caldaie a condensazione ad alto rendimento

Cappotto termico L’applicazione del cappotto rientra in un intervento più ampio inerente la messa in sicurezza della facciata esterna dell’edificio. Quest’ultima, realizzata in materiale ceramico, presentava infatti ammaloramenti in più punti. Si è perciò giunti alla decisione di riunire i lavori di rimozione delle piastrelle e rifacimento della finitura esterna e quelli di applicazione del cappotto in lana di vetro dello spessore di 10 centimetri. In questa maniera, il costo del cappotto è limitato a 30.000 euro, grazie alla detrazione del 55%. L’intervento porterà un risparmio energetico di gas metano stimabile in 5.300 metri cubi l’anno, per economie di 4.500 euro l’anno. La riduzione di inquinamento atmosferico si può stimare in 10,3 tonnellate/anno di CO2.

Due nuove caldaie da 350 kW del tipo a condensazione ad alto rendimento hanno sostituito le due precedenti caldaie, in cattivo stato di conservazione e con basse rese di funzionamento. Il relativo intervento consentirà di risparmiare 12.540 metri cubi di metano l’anno, con un tempo di rientro dell’intervento di circa 6 anni e mezzo. La riduzione di inquinamento in atmosfera è stimabile in circa 24,5 tonnellate/anno di CO2. n

Raccolta differenziata

Distribuire raccoglitori per la raccolta differenziata è stato uno tra i primi interventi avviati già a partire dall’estate 2008 nella sede di via Coriano 38. I raccoglitori sono stati pensati per carta, plastica e vetro. Da dati di Hera Rimini emerge che, a fronte di una produzione complessiva di oltre 22 tonnellate annue di rifiuti, si è riusciti a raccogliere in maniera differenziata il 37 per cento della carta, il 14 per cento della plastica, il 9 per cento del vetro.

Programma “shutdown” Nei mesi scorsi è stato effettuato un censimento dei computer che per motivi di servizio devono restare accesi anche di notte. Per tutti gli altri è stato previsto

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Flessibilità degli impianti

Ospedali, organismi

in divenire G

li ospedali, come tutti gli edifici ad alta densità tecnologica, sono soggetti nel tempo a forti necessità di rinnovamento delle attrezzature e ad alti indici di variazione delle destinazioni d’uso degli ambienti. Di qui l’esigenza di non pensare mai l’ospedale come una struttura statica e chiusa, finalizzata ad una precisa ed immutabile organizzazione sanitaria, bensì ad un organismo quanto più possibile elastico nei confronti degli imprevedibili programmi sanitari e quanto più possibile aperto verso modificazioni e ampliamenti. Gli impianti tecnologici costituiscono uno degli aspetti più critici e delicati, dal momento che l’impostazione metodologica, formalmente corretta, di realizzare un organismo edilizio fortemente flessibile, impone che gli impianti vengano progettati in modo idoneo a servire la specifica attività sanitaria, ma nel contempo siano strutturati per consentire futuri adattamenti e/o riconversioni senza interventi fortemente distruttivi, invasivi ed eccessivamente onerosi. Un ulteriore problema si manifesta se prendiamo in considerazione gli ospedali esistenti che hanno la necessità di essere riqualificati per recuperare i gravi problemi di obsolescenza presenti. Negli interventi di ristrutturazione ospedaliera gli impianti, in particolare quelli di climatizzazione, costituiscono una delle parti più difficili da realizzare, tant’è che in molti casi le problematiche di natura impiantistica sono state e continuano ad essere risolte con interventi che devastano e abbrutiscono gli edifici, a volte anche in modo estremamente pesante, concorrendo ad

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Esempio di posa in vista di tubazioni

Le problematiche realizzative degli impianti nell’ambito degli interventi di ristrutturazione e riqualificazione degli ospedali esistenti di Matteo Bo*

accrescere il loro degrado e il loro decadimento. Per cercare di dare una soluzione a questi problemi occorre innanzitutto modificare il modo di pensare l’impostazione progettuale del sistema edificio-impianti, il quale deve sempre più essere concepito con le necessarie ridondanze e le necessarie predisposizioni per poter accettare e sostenere future modifiche e futuri ampliamenti. In una parola, occorre dar vita ad un organismo edilizio quanto più possibile flessibile ed elastico. Questo problema investe soprattutto gli aspetti di natura edile e più precisamente gli aspetti

di integrazione fra impianti ed edificio. Per sviluppare la complessa tematica degli interventi di ammodernamento e riqualificazione impiantistica degli ospedali esistenti bisogna analizzare nell’ordine i seguenti aspetti: cosa si è sempre fatto e si continua a fare, cosa si sarebbe dovuto fare o meglio cosa sarebbe opportuno fare nelle nuove realizzazioni e, infine, cosa si potrebbe fare.


Cosa si è sempre fatto In Italia vi sono circa 1550 ospedali e case di cura (dati Ministero della salute riportati nel documento “Indirizzi strutture di ricovero” 2009 e dati ISTAT), di cui il 60% circa pubblici e il restante 40% privati. In merito alla vetustà degli edifici che compongono il suddetto patrimonio edilizio non esistono dati aggiornati e affidabili, soprattutto perché, come hanno avuto modo di precisare i tecnici del Ministero, essendo gli ospedali degli organismi complessi, composti da edifici e da corpi di

Figura 1 – Vetustà indicativa degli ospedali italiani secondo una ricognizione effettuata nel 2001 dal Ministero della Salute

Esempi di interventi impiantistici in un ospedale esistente

Hospital’s highly flexible building structure, requires facilities appropriately designed

Hospitals, like all the high-density technology buildings, are over time subject to strong needs of renewal of the equipment and to high rates of change in the intended use of the rooms. Hence, the need to never think of the hospital as a static and closed frame, aiming at a precise and unchanging health organization. On the opposite, it has to be conceived as a body as flexible as possible to the unpredictable health programs and to any other modification or extension. The technological systems are one of the most critical and delicate. Infact, the methodological approach to create a highly flexible building structure, requires facilities appropriately designed in order to serve the specific health care activities, but at the same time, they should be structured for allowing also future adaptations and/or redevelopment, without the need for invasive and overly burdensome operations. Keywords: Hospital, plant, refurbishment, flexible, adaptations

fabbrica realizzati in epoche diverse e poi soggetti a ripetuti interventi più o meno radicali che ne influenzano in maniera variabile l’età reale, è molto difficile attribuire loro una precisa vetustà. Se anche si volesse considerare l’anno di costruzione dell’edificio più antico come rappresentativo dell’età di un presidio ospedaliero (rappresentatività che è tanto meno valida quanto più diminuisce la rilevanza odierna di quello specifico edificio all’interno dell’intero presidio), si deve comunque considerare che la sua vetustà funzionale non dipende solo dalla sua data di costruzione, ma anche dagli interventi successivi, che possono portare a un’età reale difficilmente valutabile, specialmente nei casi di ristrutturazione pesante e/o di aggiunta di nuovi volumi. Ciò premesso e precisato, a titolo di cronaca vale comunque la pena di precisare che nel 1990, al momento dell’avvio del programma pluriennale di riqualificazione del nostro patrimonio edilizio sanitario, sancito com’è noto dal famoso articolo 20 della legge finanziaria del 1988, venne fatto un censimento in base al quale “la maggior parte dei presidi era definibile come scadente o mediocre”. Risultava inoltre che all’epoca il 26% degli ospedali italiani era ospitato in presidi di altra origine come, ad esempio, monasteri; il 57% edificato prima del 1940 e l’età media degli edifici si calcolava intorno ai 62 anni, con impianti inadeguati alle norme di sicurezza. Circa dieci anni dopo, nel 2001, venne fatta un’altra ricognizione in merito a questo aspetto dalla commissione sul “modello di ospedale tipo” voluta dall’allora Ministro Veronesi e presieduta dall’arch. Renzo Piano. Tali dati, che sono però in parte incompleti e certamente oggi superati, portarono a una articolazione dell’età stimata del nostro patrimonio ospedaliero pubblico del tipo indicata in figura 1. Sta di fatto che la consapevolezza che il nostro patrimonio edilizio ospedaliero fosse assolutamente vetusto e obsoleto si concretizzò dal punto di vista operativo solo alla fine degli anni ’80 e trovò la sua risposta a livello di azione

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Figura 2 – RETI TERMO FLUIDICHE. Esempio di posa in vista di tubazioni

Figura 5 – Esempio di installazione di condensatori esterni

governativa con l’emanazione del già citato articolo 20 della legge finanziaria del 1988, il quale stanziava ben 30.000 miliardi di vecchie lire (pari a 15.493 milioni di euro) per “l’esecuzione di un programma pluriennale di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico e di realizzazione di residenze per anziani e soggetti non autosufficienti”. Detto programma finanziario è stato poi successivamente integrato, sia con la legge finanziaria del 2000 che autorizzava la spesa di ulteriori 15,5 milioni di euro per il potenziamento dei reparti di radioterapia, sia con la legge finanziaria del 2001 che autorizzava la spesa di ulteriori 2.065 milioni di euro per la realizzazione di strutture per attività libero-professionali intramoenia, sia, infine, con la legge finanziaria 2007 che ha portato i precedenti finanziamenti a complessivi 20 miliardi di euro.

Impianti di climatizzazione a norma di legge In materia di impianti di climatizzazione le suddette norme di accreditamento hanno, in linea generale, introdotto la necessità di soddisfare due principali requisiti: il ricambio meccanico dell’aria ambiente e il controllo entro limiti di massima della temperatura anche durante la stagione estiva. Di fatto ciò ha comportato la necessità di riqualificare dal punto di vista impiantistico

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Figura 4 – PRODUZIONE DEL FREDDO. Esempio di installazione di un nuovo gruppo frigorifero

anche gli ospedali esistenti, realizzando in essi quanto meno degli impianti di ventilazione e di raffrescamento estivo. A questi aspetti di riqualificazione di natura generale si devono poi aggiungere tutti quegli interventi impiantistici connessi con l’installazione di nuove tecnologie e nuovi macchinari per la diagnosi e la cura delle malattie. Questa molteplice e variegata attività di ristrutturazione dei nostri ospedali ha fatto sì che in questi ultimi 20 anni ogni struttura ospedaliera esistente è stata e continua a essere caratterizzata dalla presenza di cantieri più o meno grandi, in una sorta di incessante ricerca di un punto di arrivo che la natura stessa dei processi che in un ospedale si svolgono non consentirà mai di raggiungere. Infatti il costante e sempre più rapido sviluppo di nuovi strumenti e di nuove tecnologie in campo medico, l’individuazione di più moderni criteri di organizzazione dell’attività sanitaria all’interno dei vari reparti (basti pensare al crescente impiego delle attività di day hospital e di day surgery) e le mutate strategie di programmazione della medesima a livello locale e/o regionale, rendono indispensabile intervenire sulle strutture ospedaliere in misura più o meno invasiva, ma certamente in modo continuo. Il denominatore comune che caratterizza questi interventi di trasformazione e/o di riqualificazione risulta essere sicuramente il seguente: le problematiche di natura edile vengono in genere risolte in maniera più o meno semplice a seconda dei vincoli esistenti. Le problematiche di natura impiantistica vengono invece troppo spesso risolte con interventi che devastano e abbrutiscono gli edifici, a volte anche in modo estremamente pesante, concorrendo ad accrescere il loro degrado e il loro decadimento. Se a ciò si aggiunge poi il fatto che non vi è nessun altro tipo di edificio a destinazione civile che presenti, in modo anche solo minimamente paragonabile, tali evidenti e ricorrenti forme di degenerazione e deformazione dell’aspetto estetico, si può certamente concludere che si tratta di una vera e propria patologia edilizia congenita con l’utenza ospedaliera a cui è pertanto indispensabile porre in qualche

modo rimedio, pur riconoscendo che l'assolvimento degli obblighi antisismici rappresentano da soli una complicazione delle opere edili. Anche l’elenco delle problematiche e delle criticità di intervento che ciascuno di noi potrebbe fare sulla scorta delle proprie esperienze è altrettanto lungo. Per fare una sommaria sintesi di quelle più ricorrenti in cui puntualmente ci si imbatte riportiamo l’elencazione che segue.

Problematiche relative ai sistemi di produzione energetica I moderni impianti di climatizzazione sono decisamente più energivori rispetto alle situazioni preesistenti, specie per quanto attiene i fabbisogni connessi con il trattamento dell’aria di ventilazione. In un moderno ospedale realizzato secondo criteri di risparmioenergetico i fabbisogni termici per il trattamento dell’aria sono pari, se non superiori, all’75÷80% del fabbisogno complessivo. Essi inoltre hanno bisogno per funzionare del fluido termovettore freddo che di norma non è disponibile nei vecchi ospedali. In relazione a ciò si assiste quasi sempre all’esecuzione dei seguenti interventi. Il primo consiste nell’installazione di nuove reti di collegamento per poter prelevare dalla centrale termica e/o dalle sottocentrali termiche esistenti il fluido termovettore caldo. I percorsi delle nuove reti non sono sempre facili da individuare, ragione per cui la soluzione di posarle in vista all’esterno, diventa (soprattutto anche per motivi di


Figura 6 e 7 – Esempio di installazione di UTA all’esterno

costo) quasi sempre la soluzione preferibilmente adottata, anche se essa ha come conseguenza (figura 2) i risultati estetici in precedenza richiamati. Mentre il secondo riguarda l’installazione di nuovi gruppi refrigeratori d’acqua, strettamente dedicati a quello specifico impianto, in una specie di ineludibile condizione di causa/effetto: nuovo impianto, nuovo gruppo frigorifero. I nostri vecchi ospedali sono infatti caratterizzati dalla presenza di una miriade di gruppi frigoriferi di tutte le taglie e misure costituiti spesso da impianti di tipo split, in genere con condensazione ad aria posizionati nei posti “di fortuna” (figure 4 e 5), che in quel momento è stato possibile individuare. Questo comporta

pesanti ripercussioni su almeno tre aspetti: l’affidabilità del sistema che non può risultare minima; i consumi energetici che non sono certamente ottimizzati, rispetto ad una produzione centralizzata effettuata con macchine e/o sistemi di produzione integrata (per esempio trigenerazione) ad elevata efficienza energetica; i costi di manutenzione che salgono alle stelle, giacché macchine di costruttori diversi, di caratteristiche costruttive diverse, con fluidi frigorigeni diversi richiedono rapporti con più società di service e una più pesante e onerosa gestione della loro conduzione.

Problematiche relative all’ubicazione delle unità di trattamento aria (UTA) Il secondo grave problema da risolvere riguarda le unità di trattamento aria. Le UTA, specie se progettate con attenzione e quindi dotate di tutti i necessari dispositivi, non ultimi i silenziatori a bordo macchina, sono sempre molto

ingombranti, specie in lunghezza, richiedono adeguati spazi per le operazioni di manutenzione e soprattutto dovrebbero essere installate quanto più vicino possibile alle utenze da servire, per ridurre il percorso dei canali di mandata e ripresa dell’aria. Giacché gli spazi tecnici per installare tali apparecchiature non sono quasi mai presenti, si sono nel tempo consolidate due soluzioni esecutive. L’installazione all’esterno (figura 6 e 7), condizione tutt’altro che corretta sia dal punto di vista architettonico che manutentivo, e quella di piano (figura 8) che ruba però spazio all’attività sanitaria, inserendo all’interno della stessa una funzione “sporca” non compatibile. Altro aspetto connesso con la necessità di installare nuove UTA in aree ospedaliere non predisposte a ciò, è quello legato alle modalità esecutive dei sistemi di umidificazione dell’aria. La necessità infatti di rispettare i requisiti minimi imposti dalle norme di accreditamento, le quali prescrivono, sia pure con corretti

Figura 8 – Esempio di installazione di UTA di piano

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Figura 9 e 10 – Esempio di posa all’esterno in facciata di canali di distribuzione aria

che, con il tempo, hanno condizionato in modo irreversibile l’estetica di molti dei nostri ospedali.

Considerazioni generali

margini di tolleranza (di norma 40÷60%), anche il controllo dell’umidità relativa, impone che le UTA siano dotate di adeguati sistemi di umidificazione. Di fatto ciò si traduce nella stragrande maggioranza dei casi nella installazione di produttori del vapore per umidificazione alimentati ad energia elettrica con pesanti ricadute anche in questo caso sui costi di gestione e sui costi di manutenzione.

Problematiche relative al transito dei canali d’aria I canali di distribuzione aria essendo molto ingombranti costituiscono sempre il più critico dei problemi di distribuzione impiantistica in qualsiasi progetto. A maggior ragione questo problema diventa sempre di difficilissima soluzione negli interventi di ristrutturazione, specie se questi ultimi non sono effettuati a scala di edificio (nel qual caso è più facile prevedere la realizzazione di cavedi), ma sono, al contrario, di natura puntuale interessando solo una piccola porzione dell’edificio stesso, quale per esempio

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un piano o addirittura una parte di esso. In campo ospedaliero purtroppo si presentano continuamente situazioni del genere, in particolare ogni qual volta si rende necessario installare nuove apparecchiature di diagnosi e cura (per esempio radiologie, TAC, risonanze magnetiche, sale di emodinamica, ecc) che ragioni di natura sanitaria connesse con i layout dei reparti esistenti impongono vengano inserite in una specifica posizione. In queste circostanze il più delle volte sia ragioni di tempo legate all’esigenza di avere quanto prima disponibile l’apparecchiatura, sia soprattutto ragioni di budget legate ai sempre troppo ridotti finanziamenti disponibili per realizzare le opere, hanno indotto le aziende ospedaliere ad accettare pesanti compromessi nella esecuzione degli impianti, (figure 9 e 10) che, in molti casi, vengono realizzati come se si dovesse trattare di opere “provvisorie”, eseguite in condizioni di “emergenza” e come tali destinate a essere prima o poi sostituite. Questo malcostume si è purtroppo trasformato da eccezione a prassi, dando via libera al susseguirsi di interventi

Per concludere questa analisi introduttiva corre l’obbligo di precisare che tutto ciò non dipende dal fatto che i progettisti di impianti siamo meno bravi e/o meno attenti degli architetti, ma bensì dalla natura stessa dell’intervento. La modifica di un layout architettonico ha in generale come scala di intervento l’area stessa su cui si interviene; la modifica di un intervento impiantistico ha il più delle volte come scala di intervento l’intero sistema impiantistico dell’edificio, specie se quest’ultimo, come di norma avviene negli ospedali esistenti, non è pensato per accettare azioni di modifica e implementazione. È proprio questo, come vedremo in seguito, il punto focale della problematica in oggetto. Solo se i progettisti saranno capaci di creare situazioni di svincolo dalle difficoltà sopra esposte, ma soprattutto solo se saranno capaci di far diventare proprie le esigenze degli impiantisti alle committenze e agli architetti, potremo dire di aver introdotto le basi per l’inquadramento e la progressiva risoluzione o quanto meno la progressiva riduzione di queste criticità.


Nuove realizzazioni: cosa si sarebbe dovuto e cosa sarebbe opportuno fare? Facendo tesoro di tutte le difficoltà incontrate e di tutti gli errori commessi, i criteri progettuali applicati agli ospedali di nuova costruzione dovrebbero soddisfare tutti i requisiti richiesti sia in termini di impostazione dei sistemi impiantistici sia in quelli di integrazione fra il sistema edificio e il sistema impianto. Purtroppo non è così. In Italia non si è mai portato a compimento quel processo di identificazione del “modello di ospedale tipo” che prese avvio dieci anni or sono con l’allora Ministro della Sanità Prof. Umberto Veronesi e che diede origine al noto progetto dell’arch. Renzo Piano “Nuovo Modello di Ospedale”, datato marzo 2001, e successivamente (2003) al Progetto di Ricerca Finalizzata denominato “Principi guida tecnici, organizzativi e gestionali per la realizzazione e gestione di ospedali ad alta tecnologia ed assistenza”. Seppure questi tentativi

di pianificazione progettuale non abbiano però dato frutti, si può comunque affermare che in Italia vi sia una tendenza nel modo di costruire gli ospedali? Se andiamo ad analizzare le più recenti edificazioni di nuovi complessi ospedalieri, possiamo solo rilevare che, almeno in Lombardia (figure 11, 12 e 13) si sta tentando di uniformare per quanto possibile la struttura plani volumetrica dei nuovi ospedali ad un modello standard che potremmo definire a forma di “mano aperta”, in cui nel “palmo” sono presenti tutte le aree di servizio e high care, mentre nelle “dita” è posizionata la zona alberghiera di degenza. Inoltre, quale altro elemento importante nei confronti degli aspetti impiantistici, va fatto rilevare che sono ormai entrate nel comune modo di impostare l’edificio i seguenti aspetti: le altezze di interpiano, sempre più adeguate alle esigenze impiantistiche (figura 14) essendo mediamente superiori a 3,7÷3,8 m nelle aree di degenza e 4,0÷4,5 m nelle altre zone; le opere strutturali, sempre più caratterizzate da solai pieni, privi di travi ribassate che, com’è noto, costituiscono un grave vincolo alle distribuzioni impiantistiche; e infine le centrali di produzione energetica con tutti i loro problemi di impatto ambientale, di sicurezza e

di manutenzione, di norma confinate all’esterno in aree e edifici dedicati (isola tecnica). Al di là di questi elementi, che comunque sono certamente importanti, non possiamo però ancora sostenere di essere vicini alla meta.

Cosa fare? Gli impianti sono ancora troppo rigidi e troppo legati alle scelte progettuali in essere e non sono impostati e pensati per poter essere cambiati con facilità. Cosa possiamo fare? Per prima cosa dobbiamo far rilevare che la questione, benché riguardi gli impianti, non è esclusivamente di natura impiantistica, ma bensì quasi interamente di natura architettonica. Le esigenze di flessibilità possono essere infatti ottenute solo mediante una attenta e mirata definizione degli spazi e delle predisposizioni da attribuire alle installazioni impiantistiche, frutto di una stretta interrelazione e integrazione fra il “sistema edificio” e il “sistema impianti”, che deve essere effettuata pensando soprattutto alla necessità di “lasciare spazio” per future modifiche e ampliamenti. Che piaccia o no questa è l’unica via percorribile se non vogliamo trovarci con nuovi complessi ospedalieri già obsoleti fra qualche anno, specie

Figura 11 – Nuovo ospedale di Vimercate (MB)

Figura 12 – Nuovo ospedale Sant’Anna (Como)

Figura 13 – Nuovo ospedale G.Salvini (Garbagnate Milanese)

Figura 14 – Esempio di ingombro delle distribuzioni impiantistiche nei controsoffitti di un moderno ospedale

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Figura 15 – Schema ideale dell’architettura del sistema impiantistico. Una corretta soluzione per la realizzazione delle dorsali termo fluidiche a partire dalle centrali tecnologiche

se, come avviene in Italia, gli ospedali sono chiamati a vivere molto a lungo. Sotto questo aspetto, dobbiamo convincerci che l’impostazione progettuale con cui dovrebbe essere pensato un moderno ospedale nel rapporto con i propri impianti tecnologici, deve essere simile a quella con cui si opera in campo industriale. Vediamo ora cosa vuol dire sul piano pratico trasferire questi concetti nell’edilizia ospedaliera andando ad individuare qui di seguito i requisiti essenziali che un moderno presidio ospedaliero dovrebbe avere. In altre parole è necessario definire quale sarebbe un possibile schema ideale di impostazione dell’architettura di un sistema impiantistico che possa dirsi caratterizzato da una elevata possibilità di modifica e implementazione nel tempo. Per fare ciò si devono prima di tutto individuare i macro sotto sistemi nei quali è sempre scomponibile il sistema impiantistico di un edificio. Essi sono le centrali tecnologiche, le dorsali impiantistiche (Figura 16) termo fluidiche primarie (fluidi termo vettori, fluidi di consumo e fluidi di servizio), le centrali e/o sottocentrali termiche e di condizionamento ubicate in prossimità

delle utenze, con particolare riferimento ai locali UTA (Figura 17) e le reti di distribuzioni secondarie aerauliche e temo fluidiche alle utenze.

Le centrali tecnologiche: l’isola tecnica Le centrali tecnologiche (centrale termica, centrale frigorifera, centrale idrica, centrale antincendio, cabina elettrica, centrale di cogenerazione, ecc…) mutuando una impostazione progettuale tipica degli stabilimenti industriali, è indispensabile vengano allocate all’esterno dell’edificio ospedaliero in un fabbricato a esse dedicato (isola tecnica) e a quest’ultimo collegate tramite una galleria tecnica di adeguate dimensioni (figure 17 e 18). Le dorsali impiantistiche che costituiscono questo delicato cordone ombelicale devono essere ampiamente dimensionate, non scartando a priori l’ipotesi di suddividere la portata dei fluidi indispensabili per il funzionamento dell’ospedale su due tubazioni in parallelo, in modo da poter eventualmente intervenire un una di esse senza mettere completamente fuori servizio le utenze.

Figura 17 – Esempio di galleria tecnica di collegamento tra l’isola tecnica e il complesso ospedaliero in fase di costruzione – Vista dall’esterno

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Figura 16 – Ubicazione dei locali tecnici all’interno del complesso ospedaliero. a) Sottopiano tecnico più interpiano tecnico b) Sottopiano tecnico più copertura

Le dorsali termo fluidiche primarie: il sottopiano tecnico Le dorsali termo fluidiche primarie dovrebbero possibilmente presentare le seguenti caratteristiche, anch’esse tipiche dell’impiantistica industriale: essere rigorosamente a portata variabile; essere dimensionate con adeguati margini di surdimensionamento per consentire senza problemi futuri allacciamenti di nuove utenze; essere simmetriche rispetto ai centri di carico da servire e preferibilmente conformate ad anello in modo da consentire eventuali interventi manutentivi straordinari mettendo fuori servizio solo una piccola porzione degli impianti; essere di comodo accesso e soprattutto essere installati in modo da poter sempre agevolmente intervenire in qualunque parte di esse (per

Figura 18 – Esempio di galleria tecnica di collegamento tra l’isola tecnica e il complesso ospedaliero in fase di costruzione – Vista dall’interno


Figura 19 – Esempio di distribuzione dorsali termo fluidiche in un sottopiano tecnico

Figura 20 – Esempio di distribuzione di dorsali elettriche e speciali in un sottopiano tecnico

Figura 21 – Esempio di distribuzione di dorsali elettriche e speciali in un sottopiano tecnico

Figura 22 – Sistema di trasporto automatizzato AGV

esempio mai tubazioni posate sovrapposte). Per questi motivi gli ospedali dovrebbero essere sempre dotati di un sottopiano tecnico di adeguata altezza (altezza utile > 3 m), al quale assegnare la funzione di connettivo di distribuzione orizzontale di tutte le dorsali impiantistiche, sia termofluidiche (figura 19), sia elettriche e speciali (figura 20), sia gas medicinali (figura 21). La presenza di questo

sottopiano tecnico garantirà inoltre la possibilità di realizzare e modificare nel tempo senza particolari criticità le reti di scarico degli impianti idricosanitari. Nei grandi complessi ospedalieri in esso potranno essere ubicate le eventuali sottocentrali termiche con le quali suddividere determinati impianti e, come schematicamente indicato nella figura 16 b, parte delle UTA destinate a servire i piani più bassi dell’edificio. Da ultimo vale la pena di sottolineare che, grazie alla presenza di un siffatto connettivo orizzontale, possono essere più agevolmente implementati

Figura 23 – Esempio di sistemazioni di UTA in un interpiano tecnico

i sistemi di trasporto automatizzato di tipo AGV (Automatic Guided Vehicles di figura 22).

Le centrali di condizionamento: l’ubicazione delle UTA L’ubicazione e le dimensioni che vengono assegnate ai locali tecnici destinati a ospitare le UTA, costituiscono certamente uno degli aspetti strategici e importanti ai fini delle corretta realizzazione dell’architettura del sistema impiantistico. Per comprendere ciò occorre ribadire i seguenti concetti, anche se essi dovrebbero ormai

Figura 24 – Esempio di realizzazione di un interpiano tecnico sottostante il blocco operatorio

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Figura 25 – Esempio di posizionamento di cavedi tecnici verticali Figura 27 – Esempio di ingombro delle distribuzioni impiantistiche nei controsoffitti di un moderno ospedale

Figura 26 – Esempio di dimensionamento di cavedi tecnici verticali con accesso diretto dalle scale

essere a tutti assolutamente noti. Negli ospedali la portata di aria è pari a circa 6-7 m³/h mq, a fronte di4-5 m³/h m² tipici di un palazzo uffici (6), per cui la distribuzione dell’aria costituisce l’aspetto invasivo impiantistico in assoluto più rilevante. Per limitare quanto più possibile il problema espresso al punto precedente occorre ridurre al minimo le reti di canalizzazioni, installando le UTA quanto più possibile in adiacenza alle utenze da servire Come già in precedenza schematicamente indicato nella figura 16, vi sono sostanzialmente due possibilità di ubicazione: la prima è quella di installarle in un interpiano tecnico ad esse appositamente dedicato; la seconda è quella di posizionarle in massima parte sulla copertura. L’interpiano tecnico (figura 23) è certamente la soluzione che da più anni gli impiantisti indicano come la migliore, soprattutto se si avrà l’accortezza di ubicare le zone high care e in particolare il blocco operatorio e le terapie intensive in stretta adiacenza, vale a dire sopra o sotto l’interpiano tecnico medesimo (figura 24). Se il suddetto interpiano tecnico è di adeguata altezza (h = 4,2÷4,5 m) e di adeguate dimensioni, vengono certamente massimizzati i vantaggi sia in termini di facilità costruttiva degli impianti in fase di prima installazione, sia in termini di flessibilità in

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Figura 28 – La definizione delle altezze utili per il transito degli impianti nei corridoi di un moderno ospedale

fase di future modifiche e ampliamenti, in quanto com’è facile dimostrare: a) le reti aerauliche sdoppiandosi verso l’alto e verso il basso riducono di molto l’ingombro dei cavedi; b) i percorsi delle canalizzazioni sono contenuti al minimo indispensabile. Ciò non di meno, questo tipo di soluzione progettuale trova non poche difficoltà ad essere accettata, specie dagli architetti che adducono diverse ragioni per osteggiarla. Tra queste troviamo ragioni di natura economica, in quanto un interpiano tecnico, specie se dotato degli opportuni spazi per futuri ampliamenti, viene ritenuto (anche in questo caso a mio giudizio in modo miope e sbagliato) un eccessivo spreco di spazio, senza voler comprendere che è appunto questa disponibilità di spazi tecnici che potrà garantire la tanto auspicata flessibilità; ragioni di natura logistica, legate all’interferenza con la distribuzione dei percorsi sanitari, anche se la presenza di un interpiano tecnico interessa solo le percorrenze verticali, che essendo totalmente meccanizzate costituiscono di fatto uno dei problemi meno rilevanti nell’ottimizzazione dei tempi per gli spostamenti in ambito ospedaliero; e, infine, ragioni di natura estetica legate al disegno delle facciate.

Le reti di distribuzioni aerauliche e termo fluidiche alle utenze: i cavedi verticali e i controsoffitti dei corridoi Per realizzare le distribuzioni secondarie dell’aria e dell’acqua alle utenze si utilizzano i cavedi verticali e i controsoffitti dei corridoi. Prendendo in esame i cavedi verticali è necessario che tutti gli spazi tecnici in precedenza descritti che costituiscono le distribuzioni impiantistiche orizzontali (sottopiano tecnico e/o interpiano tecnico e/o locali tecnici in copertura) siano posti in diretto collegamento con tutta una serie di cavedi la cui posizione e le cui dimensioni devono essere attentamente progettate nell’ambito della corretta integrazione fra il sistema edificio e il sistema impianti. Naturalmente l’ubicazione dei cavedi dovrà essere definita caso per caso, avendo cura di cercare di posizionarli in modo quanto più possibile simmetrico rispetto all’edificio e quanto


più possibile in adiacenza ad altri sistemi di distribuzione verticale per non creare ulteriori vincoli alla composizione architettonica e in particolare, per quanto possibile, alle scale (figura 25), in modo da renderli accessibili da queste ultime ed evitando interferenze fra le attività di manutenzione e l’attività sanitaria. Diverso discorso riguarda le loro dimensioni. I cavedi impiantistici sono a tutti gli effetti dei locali che svolgono un ruolo fondamentale nel funzionamento

dell’edificio, alla stessa stregua di un vano corsa ascensori o di un corpo scale. Nella maggior parte dei progetti si nota chiaramente che i cavedi non sono “pensati”, ma frutto dello spazio che è rimasto a disposizione, senza una interrelazione con le reali esigenze impiantistiche. La forma corretta di un cavedio non può essere se non quella di un rettangolo allungato, la cui dimensione trasversale deve essere almeno maggiore di 2,5 ÷ 2,7 m (figura 26). Altre forme, ad esempio la forma quadrata, costituiscono un puro e semplice spreco di spazio. Nei cavedi, più ancora che nelle centrali, non si può pertanto continuare a ragionare in termini di metri quadri, anche se è ancora

questa purtroppo la domanda che troppo spesso viene posta agli impiantisti: «Diteci di quanti metri quadri avete bisogno!» Per quanto riguarda il transito degli impianti nei corridoi dei vari reparti (figure 27 e 28) gli spazi di controsoffitto a disposizione devono essere molto ampi (altezza > 1,3÷1,5 m) per consentire una corretta installazione e una agevole manutenibiltà nel tempo delle reti impiantistiche secondarie. Questa condizione, che di fatto è quella che determina l’altezza di interpiano degli edifici, è ormai entrata a far parte del normale modo di impostare la progettazione di un moderno edificio a destinazione ospedaliera.

Cosa si potrebbe fare Se non si hanno le idee chiare sui modelli ideali di riferimento a cui tendere, risulta difficilissimo individuare il modo migliore per affrontare le complesse problematiche realizzative degli interventi impiantistici sugli ospedali esistenti. Per vedere come sul piano pratico sarebbe utile procedere, sono dell’opinione che una razionale impostazione metodologica di questa complessa problematica debba passare attraverso una corretta procedura operativa, articolata in due fasi: una dettagliata analisi dello stato di fatto, a cui deve seguire un’attenta pianificazione delle modalità d’intervento. Più precisamente, se si arriva a stabilire che

un determinato ospedale deve ancora operare per diversi anni, condizione che con i tempi che corrono risulta tutt’altro che irrealistica, sarebbe opportuno, per non dire indispensabile, redigere e tenere periodicamente aggiornato un masterplan volto a definire e a programmare i possibili futuri interventi di riqualificazione dell’opera. Nell’ambito di tale studio, se l’ospedale esistente risulta dotato di impianti tecnologici vetusti ed obsoleti, vuoi dal punto di vista funzionale, vuoi dal punto di vista energetico (condizione anche quest’ultima tutt’altro che irrealistica), particolare attenzione dovrà essere data agli interventi di ristrutturazione e ampliamento del sistema impiantistico generale, i quali dovrebbero risultare propedeutici e predecessori ai singoli futuri interventi di riqualificazione e/o trasformazione edilizia. Per dirla in altre parole, ciascun ospedale con impianti in cattivo stato dovrebbe, indipendentemente o

Figura 29 – Confronto indicativo delle efficienze energetiche di diverse tipologie di macchine frigorifere con condensazione ad aria

meno dalla necessità di realizzare in tempi brevi specifici interventi edili di ammodernamento e/o ampliamento, dar corso prima di tutto ad un adeguato riallestimento del proprio sistema impiantistico generale, specie per quanto attiene almeno ai sistemi di produzione energetica e alle dorsali impiantistiche termo fluidiche primarie. Nel seguito analizzeremo schematicamente quelle che potrebbero essere le principali e più ricorrenti soluzioni progettuali di riferimento, sia in merito ai criteri di ristrutturazione delle centrali di produzione energetica, sia in merito ai criteri di realizzazione idronica delle dorsali impiantistiche primarie. Concluderemo con un sintetico richiamo in merito alle tipologie di impianti di climatizzazione oggi più utilizzate sia nella costruzione di nuovi ospedali che nella ristrutturazione degli ospedali esistenti. È doveroso però precisare che, essendo impossibile tener conto delle molteplici

Figura 30 – Confronto indicativo delle efficienze energetiche di diverse tipologie di macchine frigorifere con condensazione ad acqua

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casistiche impiantistiche che si possono riscontrare negli ospedali esistenti, le valutazioni e le analisi che verranno condotte sono necessariamente di natura generale in quanto si riferiscono alle situazioni di norma più ricorrenti. Come tali pertanto sono lungi da potersi considerare esaustive.

Le centrali di produzione energetica Ogni ospedale dovrebbe essere dotato di un sistema centralizzato ad elevata efficienza energetica e con le necessarie riserve in grado di produrre tutti i fluidi termo vettori sia caldi (acqua calda e vapore sporco), sia freddi (acqua refrigerata). Ciò non solo per poter garantire una più elevata affidabilità del sistema, ma anche, e soprattutto, per ridurre i costi gestionali dovuti ai consumi energetici che sono particolarmente significativi. Per quanto riguarda la produzione dell’acqua calda per il riscaldamento si dovranno certamente installare moderne caldaie a condensazione, avendo cura di porre in essere tutti gli accorgimenti possibili per abbassare la temperatura di funzionamento degli impianti ed elevarne il salto termico, in modo da ridurre i consumi parassiti per i pompaggi e al contempo favorire la condensazione nei generatori di calore. In quest’ottica vale la pena di sottolineare come sia assolutamente importante procedere preliminarmente a un attento monitoraggio dei dati di esercizio delle reti acqua calda esistenti, in quanto essi si discostano quasi sempre da quelli di progetto e/o dalle previsioni che si potrebbero cautelativamente fare. Più precisamente l’esperienza maturata consente di affermare che i vecchi ospedali sono nella quasi totalità dei casi riscaldati da impianti a radiatori sempre, per fortuna, molto surdimensionati, i quali pertanto di norma funzionano con livelli termici anche di gran lunga più bassi (60÷65°C), rispetto a quelli con cui si può ritenere siano stati inizialmente progettati (80÷85°C). Per quanto riguarda invece la produzione dell’acqua refrigerata, l’esigenza di realizzare un impianto centralizzato facente capo a una sola centrale frigorifera dotata di più gruppi refrigeratori d’acqua in parallelo, significa innanzi tutto dover riallacciare a quest’ultima le utenze esistenti alimentate da propri gruppi frigoriferi distribuiti. Un simile impianto è opportuno, per non dire indispensabile, sia esso del tipo con circuito primario a portata costante che a circuiti secondari di utenza a portata variabile. Pertanto per prima cosa si dovranno trasformare tutti i circuiti secondari, che negli impianti esistenti sono quasi sempre a portata costante con valvole di regolazione a tre vie, in circuiti a portata variabile con valvole di regolazione a due vie

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(sostituzione dei corpi valvola). Nella scelta poi delle macchine frigorifere dovrà essere posta la massima attenzione all’efficienza energetica e, in particolare, all’efficienza energetica stagionale che, com’è noto, viene facilmente individuata dal parametro prestazionale ESEER (European Saisonal Energy Efficiency Ratio), con il quale si caratterizza, in modo convenzionale e come tale confrontabile, il comportamento energetico delle macchine durante l’intera stagione estiva. In termini pratici ciò significa privilegiare l’impiego di macchine frigorifere dotate di compressori centrifughi controllati da inverter, sia normali per impianti di grande potenza, sia di ultima generazione del tipo a levitazione magnetica (Turbocor) per impianti di più piccola potenza. Come infatti illustrano le figure 29 e 30 i vantaggi in termini di incremento del parametro ESEER che questa tipologia di macchine frigorifere consente di ottenere, sia nella versione con condensazione ad aria, sia nella versione con condensazione ad acqua, sono veramente notevoli, grazie soprattutto all’ottimizzazione del controllo della portata di gas refrigerante ai carichi parziali consentita dalla regolazione tramite inverter del numero di giri del compressore (centrifugo e non volumetrico).

Ad aria o ad acqua? Considerazione a parte merita poi il problema di individuare se sia più conveniente l’installazione di macchine con condensazione ad aria o di macchine con condensazione ad acqua accoppiate a torri evaporative. Come è logico aspettarsi vi sono dei pro e dei contro in entrambi i casi, per cui è sempre necessaria una attenta analisi volta a stabilire quale soluzione risulti più favorevole. Al riguardo valgono le seguenti considerazioni generali: a) le macchine con condensazione ad aria presentano, almeno in prima analisi (cfr. figure 29 e 30), degli ESEER meno interessanti rispetto alle macchine con condensazione ad acqua. Occorre però effettuare in modo corretto tale confronto conteggiando tutte le energie in gioco, vale a dire considerando nel caso delle macchine ad aria anche l’energia consumata dai ventilatori e non solo quella consumata dai compressori, mentre per le macchine ad acqua anche l’energia consumata dalle pompe di circolazione dell’acqua di torre e quella consumata dai ventilatori delle torri evaporative medesime. L’installazione di macchine frigorifere con condensazione ad aria è in generale più problematica specie se le potenze in gioco sono elevate, per via degli ingombri che esse presentano e per via della maggior

difficoltà a controllare il problema della rumorosità da esse prodotta, anche in relazione al fatto che le macchine in versione silenziata presentano di norma efficienze energetiche più basse. b) Le macchine con condensazione ad acqua accoppiate a torri evaporative comportano costi di prima installazione sempre maggiori e soprattutto presentano il non facile problema connesso con l’installazione delle torri evaporative, le quali, specie in un ospedale, devono essere posizionate e costantemente controllate in modo da garantire nessun rischio di possibile trasmissione per via aerea del batterio della legionella. Anche per questo motivo i costi di manutenzione delle centrali frigorifere con condensazione ad acqua sono sempre di gran lunga superiori. In definitiva è possibile sostenere che nel condurre questa analisi comparativa, se si sommano correttamente tutti i termini economici presenti (costi di installazione, costi energetici, costi di manutenzione), il vantaggio che a prima vista parrebbero presentare le centrali frigorifere con condensazione ad acqua risulta il più delle volte tutt’altro che confermato; al contrario, si possono individuare reali convenienze solo se l’incremento dell’efficienza energetica medio stagionale (ESEER) che queste ultime garantiscono rispetto alle centrali frigorifere con condensazione ad aria è veramente notevole, come nel caso delle macchine con compressori centrifughi controllati da inverter.

L’idronica delle dorsali impiantistiche primarie Ogni ospedale dovrebbe essere dotato di reti di distribuzione termo fluidiche primarie aventi le caratteristiche prestazionali già in precedenza descritte, ed essere dotato di dorsali primarie di distribuzione dei fluidi termo


Figura 31 – Schema idronico di principio di un impianto di produzione e distribuzione acqua calda in un ospedale esistente. La figura rappresenta le diverse condizioni che si potranno avere relativamente al riallacciamento degli impianti esistenti, che sostanzialmente si riducono a impianti a temperatura variabile, tipicamente impianti a radiatori, la cui temperatura di mandata è regolata in funzione della temperatura esterna; impianti a temperatura costante, tipicamente UTA e batterie di post riscaldo. In entrambi i casi è consigliabile intervenire sui terminali di utenza per trasformare sempre e comunque anche queste circuitazioni a portata variabile, se non altro per poter risparmiare sui consumi elettrici parassiti dovuti ai pompaggi. I moderni terminali di utenza (soffitti radianti o travi fredde) dei nuovi impianti di riscaldamento che si andranno a realizzare nell’ambito degli interventi di ristrutturazione e/o ampliamento, funzionano certamente tutti a bassa temperatura (t < 40 ÷45°C). Analogamente, anche le UTA e le batterie di post riscaldo dovranno essere alimentate a bassa temperatura in modo da consentire di abbassare quanto più possibile la temperatura di ritorno dell’acqua calda ai generatori e alzare il salto termico

vettori del tipo a portata variabile opportunamente surdimensionate, giacché è questa la condizione essenziale per garantire la massima flessibilità e la massima facilità nei futuri allacciamenti di nuovi impianti. Per fare ciò dobbiamo per prima di tutto stabilire come trasformare i circuiti esistenti a portata costante in circuiti a portata variabile, definendo innanzi tutto quanti e quali fluidi termo vettori sia necessario distribuire e di conseguenza quanti gruppi di pompaggio e relativi circuiti realizzare. Al riguardo va subito detto che dovrà essere radicalmente ribaltata la logica tipica della

progettazione degli impianti a portata costante che prevedeva una pompa per ogni circuito di utenza, andandola a sostituire con la logica tipica degli impianti a portata variabile secondo cui il numero dei gruppi di pompaggio e i relativi circuiti da installare dipende solo ed esclusivamente dai livelli termici dei fluidi termo vettori (un circuito per ogni livello termico). Stante il fatto che per una molteplice serie di ragioni dobbiamo sempre cercare di realizzare impianti quanto più possibile semplici e razionali, anche a scapito di qualche rinuncia in termini di ottimizzazione, si dovrà possibilmente distribuire solo i seguenti fluidi termo vettori: acqua calda per riscaldamento, acqua refrigerata per il condizionamento e vapore sporco per le eventuali utenza a vapore ancora esistente e per l’umidificazione dell’aria.

Legenda 1. Generatori di calore a condensazione a elevato contenuto d’acqua; 2. Pompe circuito primario a portata variabile; 3. Utenza esistente a media/alta temperatura (per es. radiatori) mantenuta a portata costante (nessun intervento); 4. Utenza esistente a media/alta temperatura (per es. radiatori) trasformata a portata variabile (per es. installando valvole termostatiche); 5. Utenza esistente a media/alta temperatura (per es. UTA e/o batterie di post riscaldo mantenuta a portata costante(nessun intervento); 6. Utenza esistente a media/alta temperatura (per es. UTA e/o batterie di post riscaldo) trasformata a portata variabile (sostituzione valvole di regolazione); 7. Nuova utenza a bassa temperatura (per es. UTA o pannelli radianti a soffitto) a portata variabile; 8. Nuovo impianto alimentato parzialmente o totalmente da sistema di produzione acqua calda a bassa temperatura (per es. pompa di calore).

Impianto di distribuzione e produzione dell’acqua calda Lo schema idronico di principio con cui realizzare gli impianti centralizzati di produzione acqua calda è illustrato in figura 31. Essendo i generatori di calore comandati in sequenza, se la riduzione di portata del circuito primario non è elevata al variare del carico termico, per la presenza di troppi circuiti di utenza ancora a portata costante, questa circuitazione idronica comporta certamente grandi variazioni di portata all’interno dei generatori di calore. Ciò non di meno le moderne caldaie a condensazione a elevato contenuto d’acqua dovrebbero essere in generale in grado di accettare simili condizioni di esercizio. Il livello termico a cui produrre l’acqua calda dovrà essere assunto, come già in precedenza affermato, pari al più sfavorevole dei livelli termici

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Figura 32 – Schema idronico di principio di un impianto di produzione e distribuzione acqua refrigerata in un ospedale esistente. Il livello termico a cui produrre l’acqua refrigerata sarà certamente pari ai canonici 7°C, con salto termico purtroppo quasi sicuramente vincolato dagli impianti esistenti agli altrettanto canonici 5°C

minimi che una attenta verifica delle modalità di funzionamento delle singole utenze installate richiede. In merito a questo specifico aspetto, poiché molto spesso questa condizione di sfavore è determinata dall’impianto di produzione dell’acqua calda sanitaria che deve essere riscaldata a 65÷70°C nei serbatoi di accumulo, con livelli a volte anche sensibilmente superiori per i problemi di disinfezione termica delle reti antilegionella, è consigliabile effettuare il riscaldamento terminale di quest’ultima utilizzando, ove disponibile, il vapore per non penalizzare il livello termico dell’intera rete di distribuzione dell’acqua calda. Risulta infine evidente che negli ospedali esistenti se si desidera installare nuovi impianti di produzione energetica a bassa temperatura, quali per esempio pompe di calore aria/acqua o pompe di calore geotermiche, non si potrà farlo se non dedicandoli specificatamente a nuove installazioni interamente funzionanti a bassa temperatura. In tal caso, come illustra la figura 31, l’impianto principale avrà solo funzione di integrazione o di riserva.

costante e circuiti secondari di utenza tutti a portata rigorosamente variabile. Discorso a parte meritano i criteri di alimentazione in fase di raffrescamento dei moderni terminali di utenza (soffitti radianti e travi fredde) dal momento che essi, com’è noto, funzionano con acqua refrigerata ad alta temperatura (tipicamente maggiore o uguale a 16÷17°C) per non avere problemi di condensazione superficiale, con salti termici sempre molto contenuti (2÷3°C). Al riguardo si possono individuare due possibili soluzioni. La prima (cfr. punto 5 di figura 32) consiste nel privilegiare la semplicità costruttiva degli impianti a scapito della loro efficienza energetica e consiste nel produrre l’acqua refrigerata a più elevata temperatura mediante semplice scambio termico. Mentre la seconda (cfr. punto 6 di figura 32), pur privilegiando l’efficienza energetica, comporta l’installazione di gruppi refrigeratori d’acqua dedicati funzionanti a livelli termici più favorevoli (14°C).

Impianto di distribuzione e produzione dell’acqua refrigerata

Negli interventi di ristrutturazione e riqualificazione degli ospedali esistenti non vi è ragione per non utilizzare le stesse tipologie impiantistiche che di norma si utilizzano negli ospedali nuovi. Esse sostanzialmente si possono così suddividere: impianti a tutt’aria di tipo multizone e impianti misti aria/acqua. • Impianti a tutt’aria di tipo multizone: vengono

In merito agli impianti centralizzati di produzione acqua refrigerata in precedenza è già stato evidenziato come sia assolutamente consigliabile scegliere la soluzione progettuale più collaudata e cautelativa (figura 32), consistente nella realizzazione di un impianto primario a portata

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Legenda 1. Gruppi refrigeratori d’acqua a elevata efficienza energetica (elevato ESEER); 2. Pompe circuito primario a portata costante; 3. Pompe circuito secondario a portata variabile; 4. Utenza esistente (per es. UTA) trasformata a portata variabile (sostituzione valvole di regolazione); 5. Nuova utenza alimentata da acqua refrigerata a 7°C; 6. Nuova utenza alimentata da acqua refrigerata a 16°C; 7. Nuovo impianto alimentato parzialmente o totalmente da sistema di produzione acqua refrigerata a più alta temperatura.

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Le tipologie di impianti di climatizzazione

previsti in tutti quei reparti e/o aree in cui la portata d’aria esterna di ventilazione prescritta o imposta dalle vigenti disposizioni normative e legislative è già di per sé molto elevata (> 6÷8 Vol/h), ragion per cui è già sufficiente a coprire sia i carichi termici invernali, sia soprattutto i carichi termici estivi, con salti termici fra aria di mandata e aria ambiente ancora accettabili (Δt ≤ 10°C). Ciò normalmente avviene per tutte le aree high care dell’ospedale quali il blocco operatorio, le terapie intensive, gli ambienti speciali di diagnosi e cura, la sterilizzazione, le morgue, ecc. • Impianti misti aria/acqua: due le tipologie più diffuse: soffitti radianti e travi fredde, entrambe, e in particolare la prima, assolutamente compatibili con le esigenze di pulizia e facilità di sanitizzazione tipiche dell’utenza ospedaliera. Vale comunque la pena di ricordare che in passato (anni ’90), quando queste due tipologie impiantistiche non erano ancora sviluppate, una delle soluzioni che è stata impiegata con successo,

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C


specie negli interventi di riqualificazione dei reparti di degenza, era costituita dall’installazione di impianti a portata variabile più radiatori. I radiatori esistenti venivano mantenuti con la semplice sostituzione della valvola di intercettazione con una valvola termostatica e l’impianto di ventilazione veniva realizzato del tipo a portata variabile (V.A.V.). In questi impianti durante la stagione invernale la portata dell’aria dell’impianto V.A.V. si riduce al valore minimo (per le degenze pari a 2 Vol/h) e l’aria esterna trattata viene immessa a temperatura quasi neutra (20°C). Il riscaldamento ambiente viene fornito dai radiatori, la cui potenza termica è regolata in funzione della temperatura ambiente per mezzo della valvola termostatica. In inverno l’impianto si comporta quindi come un ottimo impianto

a radiatori più aria primaria. Durante la stagione estiva l’impianto si comporta invece come un impianto a tutt’aria a portata variabile e il sistema di regolazione provvede ad aumentare sempre più la portata dell’aria esterna fino a raggiungere il valore massimo di progetto (6÷7 Vol/h) in corrispondenza del massimo carico estivo. Questo incremento della portata dell’aria di ventilazione, connesso con l’esigenza di coprire il carico termico essendo necessariamente effettuato con tutta aria esterna, comporta un indebito consumo energetico, che penalizza purtroppo questa bella soluzione impiantistica, la quale risulterebbe altrimenti particolarmente comoda e agevole proprio nel caso di interventi su edifici esistenti.

Conclusioni Come abbiamo visto gli ospedali sono, fra gli edifici civili, quelli senza dubbio maggiormente caratterizzati da continue richieste di riqualificazione, modifica e ammodernamento. Fino ad ora abbiamo effettuato tali interventi accettando, purtroppo, dal punto di vista impiantistico compromessi a volte anche pesanti in merito

alle modalità di realizzazione delle opere, andando in troppi casi a degradare l’aspetto estetico di molti presidi ospedalieri. Nonostante ciò non possiamo dire di aver fatto tesoro degli errori commessi, dal momento che nella costruzione dei nuovi ospedali non vengono ancora adottati criteri progettuali volti a dare soluzione a queste problematiche. In particolare non viene ancora realizzata una corretta impostazione dei sistemi impiantistici e una corretta integrazione fra sistema edificio e sistema impianti, mirate soprattutto a realizzare tutte le necessarie predisposizioni, sia in termini di spazi, sia in termini di dimensionamenti, tali da consentire l’esecuzione senza particolari difficoltà per future modifiche e implementazioni. È pertanto indispensabile avviare un attento e serrato dibattito su queste tematiche se non si vuole che anche le nuove costruzioni in ambito ospedaliero si trovino a essere già obsolete nel giro di pochi anni. n * Matteo Bo – Prodim S.r.l, Torino

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a Legionellosi resta oggi un problema da non sottovalutare all’interno della sanità pubblica. Sebbene l’incidenza della malattia sia modesta, quando essa si manifesta lo fa in forma epidemica e con particolari complicazioni che la possono rendere letale. All’interno delle strutture sanitarie il problema diviene particolarmente rilevante perché le operazioni di bonifica degli impianti sono onerose. Da queste premesse e con l’obiettivo di individuare i fattori di rischio e le cause del diffondersi della malattia, a partire dall’estate 1998 si è sviluppato un progetto di Sorveglianza epidemiologica e di implementazione di misure di controllo, all’interno dell’Ospedale di Alessandria. Definito come un caso di “Sorveglianza nazionale Legionellosi”, l’iniziativa ha permesso di distinguere clinicamente

38

#6

Un monitoraggio pluriennale all’interno dell’Ospedale di Alessandria ha permesso di accertare il rischio tecnico impiantistico, nonché le cause del diffondersi della malattia e la sua mortalità. I successivi interventi di bonifica e revamping impiantistico hanno consentito di mantenere sotto controllo il proliferarsi della cariche batteriche. L’esperienza ha dimostrato come l’attività di prevenzione in strutture complesse richieda la stesura di un Piano di Autocontrollo, un vero e proprio documento di sintesi e valutazione del rischio impiantistico e clinico a cura della redazione


i casi accertati da quelli presunti e di classificarli in nosocomiali e comunitari.

Analisi 10-LOMOLINO clinica e 81-96.qxd analisi ambientale

16/11/10 10:26 Pagina 85

A riassumercene gli intenti, i metodi esecutivi e i risultati conseguiti, sono Grazia Lomolino, Responsabile Medico SS Controllo Infezioni, e Lisa Balzano, La sicurezza del paziente: dalla Valutazione del rischio biologico alla 85 Responsabile scientifico ACEL S.r.l., Valutazione del rischio Impiantistico per la riqualificazione degli impianti all’interno del Seminario Sanità AiCARR dello scorso novembre Ingresso dell’Ospedale di Alessandria 2010. 3. RISULTATI Le attività, raccontano Lomolino e Balzano, si sono arNel periodo giugno ’98-agosto 2010 sono stati identificati complessivamente 119 ticolate su due differenti aspetcasi di Legionellosi di cui 49 di tipo ospedaliero e 69 di tipo comunitario. ti, uno clinico ed uno ambientale. valutarne le concentrazioni in condizioni di norquesti, 49 risultavano di tipo ospedaliero, mentre Le misure di controllo ambienta- male utilizzo. i restanti 69 erano di tipo comunitario. In entramLa distribuzione per sesso ed età nei casi nosocomiali e comunitari mostra una le hanno previsto diversi sistemi Il campionamento è stato eseguito in base bi i casi, i dati hanno riportato una preponderanprevalenza dei maschi rispetto alle femmine in zatutte le classi di età. Nelle forme di bonifica, mentre la valutazione alle caratteristiche del sistema di distribuzione maschile, in tutte le classi di età; nelle forme ospedaliere i maschi prevalgono, particolare, classi anziane nelle forme tecnico-impiantistica è stata re- dell’acqua (reti distinte per i pianiinsuperiori e per nelle nosocomiali gli uominimentre prevalgono, in particolacomunitarie i maschi prevalgono di più nella classe media di età. alizzata studiando nel dettaglio i i piani inferiori: alta e bassa pressione rispettivare, tra gli anziani, mentre nelle forme comunitadifferenti comparti, secondo un mente) sia all’eventuale presenza di casi clinici. rie i maschi dominano nella fascia media di età. Il Frequenza di decesso, durante il ricovero, registrata stata complessivamente criterio di rischio impiantistico, Durante ilèricovero, la frequenza di decesso del risul16.5% ambientale e gestionale. Ne è sca- Statistiche sui casi di Legionella tava di circa il 16,5% (17 soggetti su 103 casi com(17 soggetti sui 103 casi complessivi) turito un Piano di riqualificazione plessivi) e a prevalere erano sintomatiche di tipo Lo stretto monitoraggio ha consentito di Il corredo sintomatologico registrato su tutti i casi ha vistoquali prevalere i sintomi di tipo degli impianti esistenti e di autopolmonare, febbre, tosse, addensamento trarre una panoramica dettagliata del fenomecontrollo per la prevenzione del ri- no(febbre, polmonare polmonare, dispnea). polmonare, dispnea. legionella.tosse, Come addensamento primo aspetto, con consischio biologico. Tra i fattori di rischio esogeni nei casi coderazione al periodo giugno 1998 – agosto 2010, munitari, sulla scheda di Sorveglianza sono stati 119 i casi di Legionellosi identificati; di Tra le patologie concomitanti, registrate nei casi notificati nosocomiali, prevalgono le

Campionamento d’acqua neoplasie e le vasculopatie. Tra i fattori di rischio esogeni nei casi comunitari, notificati

Essendo gli ambienti acquatici sulla scheda di Sorveglianza nazionale prevalgono il fumo e l’alcool. naturali e artificiali gli habitat tipici L’analisi della distribuzione delle manifestazioni cliniche nei pazienti mostra una delle legionelle, come prima mosnetta prevalenza dei1sintomi respiratori, seguiti dai sintomi neurologici e gastroenterici. Figura – Distribuzione dei casi nosocomiali per alta e bassa pressione sa si è proceduto all’indagine delle 119 casi di Legionellosi identificati nel biennio giugno ’98 – agosto 2010. Di questi, possibili contaminazioni della rete 49 erano di tipo ospedaliero e 69 di tipo comunitario, mentre dalla distribuzione idrica e del sistema di condizionaper sesso ed età nei casi nosocomiali e comunitari emerge una prevalenza dei maschi in tutte le dei classi di di età. Durante ilnosocom ricovero,iale la frequenza dialta decesso registrata Distribuzione casi legionellosi in base alla e bassa mento. A questo scopo, sono stapressione dell'im pianto idrico risulta complessivamente del 16,5% (17 soggetti sui 103 casi complessivi). ti effettuati prelievi periodici di 1998-2010 campioni d’acqua, sia dal circuito dell’acqua calda, sia dai sistemi 9 di umidificazione e di refrigera8 zione. Per la raccolta, periodica e 7 reiterata, dei campioni, gli esper6 ti hanno utilizzato bottiglie sterili di vetro neutro della capacità di 5 n.paz 1 litro, contenenti sodio tiosolfato 4 ad una concentrazione finale di 3 0,01%, così da neutralizzare l’even2 tuale presenza di cloro. Nei punti di erogazione prescelti, puntua1 lizzano i responsabili, la raccolta è 0 stata effettuata senza flambatura 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Casi Alta e scorrimento dell’acqua, al fine di anni

Casi bassa

Figura 1 – Distribuzione dei casi nosocomiali per alta e bassa pressione.

#6

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Valutazione del rischio tecnico-impiantistico

nazionale, prevalgono fumo e alcool, mentre dall’analisi della distribuzione delle manifestazioni cliniche nei pazienti gli analisti hanno dedotto una netta prevalenza dei sintomi respiratori, seguiti dai sintomi neurologici e gastroenterici.

Interventi di bonifica sulla rete idrica Parallelamente, il piano ha previsto l’avvio di trattamenti di bonifica. Monitorati tramite periodici controlli microbiologici, i trattamenti di risanamento hanno comportato innalzamenti di temperatura superiori a 65°C nei serbatoi di accumulo centrali e di circa 60°C ai punti di erogazione nei vari reparti, mentre quelli chimici sono stati effettuati con concentrazioni progressive di cloro libero residuo di 20-30-50 mg/litro per un tempo di contatto pari a 4 ore. Dal 2002 si è, inoltre, deciso per l’introduzione dello Ionizzatore Cu-Ag sulla rete idrica, in un’ottica di prevenzione a tutto raggio. Negli ultimi due anni, spiega lo staff scientifico, si è mostrato particolarmente problematico l’andamento elevato delle cariche nel reparto di chirurgia generale, servito dall’alta pressione. Per affrontare questa tendenza, è stata avviata una sanificazione a base di Biossido di cloro, grazie alla quale si è ottenuto un significativo abbattimento delle cariche.

Misure di controllo sotto la lente § Per i casi clinici: • Trattamento antibiotico adeguato • Adozione di protocolli per la gestione dei gorgogliatori per l’ossigenoterapia § Per l’ambiente: • Bonifiche meccaniche e termiche

40

#6

• Iperclorazione dell’acqua con l’utilizzo progressivo di 10-20-30-50 mg./l di cloro libero residuo • Adozione di filtri assoluti ai terminali del sistema idrico in alcune SS.OO.CC. considerate a rischio maggiore per la tipologia dei pazienti • Bonifica chimica continua con Ioni Cu-Ag sul Presidio Civile • Shock termici di rinforzo alla ionizzazione • Utilizzo sperimentale di biossido di cloro in uno specifico reparto contaminato

I risultati non si sono fatti attendere. I dati emersi dalla pratica di sorveglianza, durata due anni, (2007-2009), hanno segnalato una presenza reiterata di Legionella nell’impianto idrico sanitario, con particolare incidenza in alcuni reparti in cui le concentrazioni si innalzavano fino a valori di 104 UFC/ litro. Al fine di poter approfondire l’analisi del problema, dal momento che i protocolli gestionali in uso per l’antilegionella portavano risultati ancora troppo parziali per poter abbassare lo stato di allarme e sorveglianza, è stato deciso di costituire un tavolo tecnico multidisciplinare nell’intento di approfondire ogni aspetto del problema, ciascuno per le sue specifiche competenze. All’iniziativa hanno aderito la SS Controllo Infezioni Ospedaliere, affiancata dal servizio Tecnico Ospedaliero e dalla direzione medica di presidi, ma sono state coinvolte anche le ditte subappaltatrici, dirette responsabili della gestione delle torri e dell’impianto idrico. Infine, come referente oggettivo e competente, ci si è avvalsi del supporto di una ditta di consulenza esterna, esperta in materia di prevenzione da Legionellosi.


Sorveglianza ambientale

% camp +

Andamento della % delle cariche positive 1998-2009 80

% pos alta

70

%pos bassa

60 50 40 30 20 10 0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

anno

Si delinea una complessiva riduzione del grado di contaminazione di tutto l’impianto

Dal 1998 è in corso il monitoraggio periodico delle CFU/L di Legionella sia sull’impianto idrico che su quello di condizionamento dell’aria. Il monitoraggio, associato a varie misure di bonifica, modificatesi nel tempo, ha permesso il controllo delle cariche e l’avvio tempestivo delle misure necessarie. I grafici descrivono l’andamento delle cariche positive >1000 CFU/L nel tempo e i principali interventi effettuati.

Ripartizione % dei sierogruppi di legionelle 1998-2009

30% 38%

Lg1

Lg3

Lg5

Lg6

spp

8%

1%

23%

La distribuzione dei sierogruppi di Legionella identificati evidenzia una netta prevalenza di L. pneumophila spp, seguita da sierogruppo 1, 3

Studio del rischio e punteggio ponderale Range di punteggio Rischio molto basso

1-5

Rischio basso

1-10

Rischio medio basso

1-20

Rischio medio

1-30

Rischio molto alto

1-40

Rischio alto

1-50

#6

41


Le soluzioni Bonifica meccanica

A cadenza trimestrale, bonifica meccanica dei serbatoi d’accumulo: • Svuotamento • Rimozione biofilm • Risciacquo con ipoclorito di sodio al 10% circa

Filtri ai rubinetti

Da settembre 1999 vengono montati i filtri ai rubinetti per aree a rischio: • Ematologia • Area intensiva neonatale • Nido e vasca parto • Terapia intensiva CCH

Iperclorazione Shock

Shock termico

Nuovo scambiatore di calore potenziato: • Programmazione Intervento • Comunicazione ai reparti • Innalzamento massimo T° nei serbatoi di accumulo • Effettuazione flushing per 30 min. con controllo T° ai rubinetti

Ionizzazione

Biossido di cloro

Nel marzo 2002 viene montato il 1º Ionizzatore Cu-Ag: • Controllo periodico legionelle • Titolazione colorimetrica Ioni • Potenziamento dell’impianto • Titolazione Ioni con assorbimento atomico

Costituito il tavolo tecnico, si è passati a una fase di sopralluoghi tecnici, realizzando, infine, uno studio dettagliato del rischio tecnicoambientale di Legionella sull’intera struttura ospedaliera, per la quale è stato esaminato ciascun comparto impiantistico potenzialmente a rischio.

Strategie preventive Terminata la fase di valutazione e studio dei risultati, la commissione multidisciplinare è passata all’azione con una strategia preventiva costituita da diverse misure risolutive. Nei reparti con

Un intervento effettuato fino al 2002, su richiesta della Direzione: • Programmazione Iperclorazione shock con concentrazioni 20-50 mg/l • Comunicazione ai Reparti • Effettuazione clorazione con protocollo • Titolazione cloro residuo ai rubinetti e verifica degli scostamenti • Ripotabilizzazione acqua • Titolazione cloro residuo (0,2-1 mg/l)

Nel luglio 2010 viene montato il sistema di dosaggio del Biossido di cloro diluito • Controllo periodico legionelle • Controllo concentrazione del biossido di cloro alle utenze • Spegnimento dello Ionizzatore • Controllo concentrazione Ioni Cu – Intervento di bonifica Ag nel sistema idrico

contaminazioni al di sopra delle 104 UFC/litro (ad esempio Chirurgia 8°P), si è proceduto con interventi di bonifica. Contemporaneamente, la commissione ha avviato interventi di revamping impiantistico, ai quali si è particolarmente ricorsi nella riqualifica della sottocentrale termica di produzione e distribuzione di acqua calda sanitaria. Il sistema di spurgo delle torri evaporative è stato oggetto di una riqualifica, mentre – a livello gestionale – sono stati introdotti alcuni accorgimenti particolari volti a limitare la proliferazione batterica. Infine, grande attenzione è stata prestata

alla definizione di un Piano di Autocontrollo, un vero e proprio documento di sintesi dell’attività di prevenzione della Legionellosi, contenente procedure di conduzione e manutenzione da rispettare. La prevenzione, da effettuarsi in sede di progetto e attraverso una gestione e manutenzione accurate, risulta essere la chiave principale per contrastare la proliferazione della legionella. n

Cosa è stato fatto ad oggi I. Valutazione del Rischio Legionella Tecnico-Ambientale II. Video ispezione delle canalerie di aerazione di tutte le sale operatorie III. Bonifica canali aeraulici non conformi al NADCA VACUUM TEST (polveri < 0,75 mg/100 cm²) IV. Redazione del progetto di riqualifica impiantistica dell’impianto idrosanitario V. Monitoraggio delle cariche di Legionella (alte in alcuni reparti) e della conc. Ioni Cu++ e Ag+ VI. Inserimento filtri < 0,22 μm sui terminali dei reparti contaminati VII. Mappatura delle colonne montanti di distribuzione ACS

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#6

Bonifica del reparto chirurgia 8º piano • Inserimento di un impianto di trattamento in continuo a BIOSSIDO DI CLORO sulla colonna montante di distribuzione ACS • Durata della bonifica: 3 mesi, da 12 luglio al 11 ottobre • Flussaggio periodico di tutte le utenze interessate nella bonifica e rilievo ai terminali della concentrazione del sanitizzante • Verifica ambientale per 3 campionature successive delle cariche (da >10.000 UFC/l a <1 UFC/l) • Rimozione dei filtri < 0,22 μm sui terminali del reparto bonificat


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CASE HISTORY – RIQUALIFICAZIONE IMPIANTISTICA

L’ospedale di Brunico ha condotto il rifacimento delle reti locali di condizionamento, adeguando i terminali alle destinazioni d’uso dei locali, delle centrali tecnologiche e, in particolare, di quella frigorifera dedicando attenzione anche al funzionamento nelle stagioni intermedie

Interventi di razionalizzazione delle centrali di produzione energia

di Massimo Bacci e Maurizio Cerutti*

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CASE HISTORY – RIQUALIFICAZIONE IMPIANTISTICA

N

onostante la qualità dell’offerta ospedaliera italiana sia una fra le prime al mondo, uno dei maggiori oneri per lo Stato è rappresentato dalla spesa sanitaria nazionale che annovera, tra le voci che più concorrono ad aumentarla, l’obsoleto patrimonio delle strutture ospedaliere. La ridotta capacità di spesa spinge così, sempre più frequentemente, verso complessi progetti di ristrutturazione, piuttosto che alla realizzazione di nuove strutture. Come conseguenza immediata si ha la necessità di intervenire anche nella riqualificazione dell’impiantistica che, all’interno di una crescente richiesta di prestazioni sanitarie di alto livello qualitativo, acquista un ruolo sempre più rilevante. Infatti, le esigenze di una qualità dell’aria ottimale per i diversi ambiti di attività, di condizioni di asetticità sempre più garantite, di parametri termoigrometrici rigorosamente controllati, richiedono impianti HVAC sempre più performanti, ma al tempo stesso “virtuosi” in termini di consumi energetici e di tutela dell’ambiente. Ristrutturare riqualificando, soprattutto nel settore ospedaliero, è dunque una sfida impegnativa. Per meglio comprenderla abbiamo deciso di analizzare le soluzioni adottate nel complesso ospedaliero di Brunico (BZ) dove è previsto il rifacimento sia delle reti locali di condizionamento che delle centrali tecnologiche e in particolare di quella

Condizioni di progetto

Riassumendo i parametri che determinano il dimensionamento complessivo degli impianti si ha: • condizioni esterne di riferimento invernali = -20°C con punte fino a -25°C; • condizioni esterne di riferimento estive = + 31°C – u.r. 45%; • condizioni interne invernali 20-22°C u.r. 40-45% e fattori di rinnovo a seconda delle zone e dei reparti; • condizioni interne estive = 22-26°C – u.r. e fattori di rinnovo a seconda delle zone e dei reparti; • caratteristiche dell’involucro: tali da garantire la classificazione casaclima B, ovvero un consumo medio per il riscaldamento invernale non superiore a 50 kwh/m² – anno al netto dei consumi legati all’aria di rinnovo.

frigorifera. Inoltre, nel presente scritto verranno esposte le diverse soluzioni indagate per le centrali e il confronto dell’economicità delle stesse sulla base dei consumi e dei costi, valutati nell’arco del medio periodo.

Stato di fatto del complesso ospedaliero Il complesso ospedaliero è articolato con la classica forma a croce nella quale due ali sono adibite a degenze, una alle prestazioni ambulatoriali o di day hospital e una a pronto soccorso, operatorio e reparti speciali. La ristrutturazione complessiva dell’ospedale prevede la costruzione di due nuovi edifici da destinarsi il primo alle funzioni accessorie (direzione sanitaria, gestione personale, economato, tecnico, amministrazione) e il secondo alle cosiddette lungo degenze. Nei due blocchi adibiti a degenze è prevista una ristrutturazione limitata alla razionalizzazione degli spazi e all’adeguamento impiantistico (impianti di sicurezza, reti gas medicali, condizionamento estivo dei reparti), mentre il blocco C dei reparti speciali verrà pressoché raddoppiato e ristrutturato integralmente. L’incremento complessivo di volume è pari a circa il 35-40%. Data la natura dei luoghi e, in particolare, le rigide temperature invernali la ristrutturazione e

Rationalization of power energy production in mountain hospital

Even if the quality of the Italian hospital is one of the highest in the world, the national health expenditure, which also includes the obsolete assets of hospitals, is one of the major cost for Italian government. Rather than creating new structures, the reduced spending capacity drives increasingly to complex renovation projects. As an immediate consequence, one needs to intervene also in upgrading plant that, within a growing demand for high quality health services, takes on a growing role. In fact, the requirements concerning air quality for different activities, increasingly secured aseptic conditions and hygrothermal parameters strictly controlled, require more and more efficient HVAC systems, that must at the same time be “virtuous” in terms of energy consumption and environmental protection. Restructure while retraining is therefore a major challenge, especially in the hospital sector. To better understand it, we decided to analyze the solutions adopted in the hospital complex of Brunico (BZ), where is scheduled the rebuilding of air conditioning local networks. Moreover, in this paper will be exposed different solutions explored for the plants and a comparison of their cheapness, on the basis of consumptions and costs, assessed over the medium term. Keywords: hospital, thermal plants, cold production, dry cooler

l’ampliamento dell’ospedale prevede la realizzazione di strutture che garantiscano un ottimo isolamento termico; tale esigenza è peraltro sottolineata dall’imposizione normativa locale che impone per gli edifici pubblici il rispetto dei parametri di isolamento termico in conformità alla classificazione “casaclima grado B”. Tuttavia Brunico presenta un clima tipicamente continentale e le temperature registrate nei mesi estivi raggiungono picchi di 31-32°C con medie giornaliere intorno ai 27-28°C, richiedendo quindi un adeguato condizionamento dei reparti. Situazione impiantistica L’ospedale nel suo complesso è stato realizzato tra la metà e la fine degli anni ’80 e presenta, come la gran parte dei nosocomi realizzati all’epoca, notevoli deficienze per quanto riguarda i fattori di rinnovo dell’aria e la climatizzazione dei reparti. Il complesso sta subendo una serie di interventi di ampliamento ed adeguamento che in un recente passato, per quanto riguarda le dotazioni impiantistiche generali, hanno compreso il collegamento della produzione di acqua calda per il riscaldamento e del vapore ad uso ospedaliero alla rete di teleriscaldamento cittadina che sfrutta il recupero dei cascami di segheria. Di seguito ci si concentrerà quindi sugli interventi previsti nell’ampliamento del cosiddetto “blocco C” che comprende tutti i reparti speciali (pronto soccorso, operatorio, diagnostica, dialisi, maternità, laboratori e sterilizzazione) e il rifacimento della centrale frigorifera.

Esigenze generali del progetto È evidente che le attuali centrali di produzione non risultano più adeguate alle future esigenze e devono essere integralmente ridimensionate e in parte ricollocate. Quest’ultima esigenza nasce dal fatto che l’operatività dell’ospedale deve essere mantenuta e non è quindi sempre possibile sostituire le centrali attuali con altre nella stessa posizione: questo è il caso della centrale frigorifera che verrà collocata al piano interrato, mentre quella attuale è posta in copertura. Per quanto riguarda la produzione di acqua calda per il riscaldamento si è già provveduto a

#6

45


CASE HISTORY – RIQUALIFICAZIONE IMPIANTISTICA

Peso significativo dei carichi interni

Viste le condizioni esterne particolarmente rigide, è necessario provvedere ad un forte isolamento delle strutture e all’utilizzo di serramenti estremamente performanti dal punto di vista termico. Tale aspetto comporta tuttavia, soprattutto negli ambulatori, nelle diagnostiche e in tutte le zone dove il carico interno delle apparecchiature presenti è relativamente elevato, la necessità di provvedere ad un raffrescamento significativo anche nelle stagioni intermedie se non proprio invernali. Tralasciando l’ovvietà di provvedere al raffrescamento di locali che non presentano dispersioni esterne, come per esempio le sale operatorie, è evidente che in condizioni esterne non estreme il carico dovuto alle apparecchiature e alle

installare una serie di scambiatori di calore, il cui primario è collegato alla rete di teleriscaldamento cittadina; l’intervento è già completato e non viene analizzato nel seguito in quanto non costituisce argomento di innovazione, mentre, per contro, è evidente il risparmio in termini gestionali. È importante evidenziare che le precedenti caldaie sono state mantenute in modo tale da poter intervenire nel caso di indisponibilità da parte della rete di teleriscaldamento.

Gli impianti terminali Le soluzioni adottate per gli impianti terminali devono tenere conto sia delle esigenze prestazionali che della necessità di mantenere attiva l’operatività dell’ospedale e non possono quindi prescindere dalla situazione pre-esistente cercando di mantenerla immutata il più possibile, soprattutto dove gli interventi edili non sono particolarmente estesi. Nei due blocchi attualmente adibiti a degenza è presente un impianto di rinnovo ad aria primaria che prevede una rete di distribuzione a colonne. Nei singoli locali sono presenti convettori sottofinestra dotati di sistema di immissione tipo venturi che, richiamando aria dall’ambiente, provvede a reimmetterla insieme a quella di rinnovo dopo il transito attraverso una batteria ad acqua. La soluzione finale di progetto prevede la sostituzione di tali convettori, operanti solo in fase di riscaldamento, con travi fredde che di fatto sfruttano lo stresso principio di funzionamento. Per quanto riguarda il blocco adibito alle prestazioni di day hospital e ambulatoriali, sono già operanti ventilconvettori canalizzabili che verranno mantenuti insieme all’impianto di aria di rinnovo. Mentre nel nuovo edificio servizi generali, come pure nell’edificio dei lungo degenti (quest’ultimo progettato da un gruppo austriaco), sono in corso di installazione impianti di aria di rinnovo associati a ventilconvettori canalizzabili a soffitto; la soluzione consente una buona miscelazione tra aria di rinnovo e aria ricircolata, una “non presenza” di impianti a pavimento con maggiore flessibilità nell’arredo associata a

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#6

persone presenti supera le dispersioni termiche, richiedendo quindi il raffrescamento. Nel progetto in esame, come peraltro sarebbe necessario in tutti i progetti, si deve tenere conto anche delle condizioni intermedie dove non è sufficiente mantenere temperature interne simili a quelle estive (circa 26°C), ma è necessario garantire un massimo di 20-22°C. Le verifiche termoigrometriche effettuate nel progetto in esame, evidenziano che già ad una temperatura esterna di circa 8-10°C i carichi interni superano le dispersioni e quindi è necessario provvedere al raffrescamento dei locali.

prestazioni ottimali soprattutto per quanto riguarda la regolazione puntuale del microclima.

Le soluzioni adottate nei reparti speciali Il blocco dei reparti speciali invece ha richiesto una maggiore attenzione e personalizzazione delle soluzioni. Nelle sale operatorie un ormai classico sistema indipendente con u.t.a. dedicate alle singole sale, distribuzione con plafoni a flusso laminare e parziale ricircolo delle portate estratte. La regolazione prevede la riduzione delle portate a sala non attiva in modo tale da mantenerne le condizioni di asetticità riducendo fortemente i consumi; nelle zone accessorie al blocco operatorio, la diagnostica e nel pronto soccorso, trovano adozione impianti a tutt’aria a porta variabile (VAV) e batterie di post trattamento locali: in tal modo si garantiscono localmente le condizioni sia termoigrometriche che igieniche richieste variando l’erogazione in funzione delle effettive esigenze. Un analogo impianto è adottato per la sterilizzazione e per i laboratori di analisi dove l’impianto di rinnovo è associato al sistema

Centrale U.T.A – Collettore

di gestione cappe di estrazione. Le zona del parto e della dialisi sono invece dotate di propri impianti indipendenti a tutt’aria e a portata variabile con batterie di post trattamento locali per le sale parto, mentre nella dialisi, essendo i carichi interni molto significativi, l’impianto di rinnovo è integrato da un sistema di pannelli radianti a soffitto. Infine, negli ambulatori e nelle degenze è previsto un impianto di rinnovo associato a travi fredde, in analogia a quanto previsto nei due blocchi degenza di cui sopra. Come si può notare le soluzioni adottate sono personalizzate in modo tale da ottimizzare da un lato le prestazioni e dall’altro il controllo dei consumi mediante sistemi adeguati di regolazione e di attenuazione, se non proprio di spegnimento, quando i locali non sono utilizzati o comunque operano in condizioni meno onerose da quelle di picco.


CASE HISTORY – RIQUALIFICAZIONE IMPIANTISTICA

Figura 1 – STRALCIO SCHEMA A BLOCCHI ZONA U.T.A DI MANDATA. Il recupero avviene sul condotto comune di presa d’aria e prevede una doppia batteria per garantire maggiore efficienza: la scelta di batteria di recupero comune a tutte le u.t.a. consente di limitare i costi di installazione massimizzando l’efficienza del sistema

L’impianto nel dettaglio Centrale U.T.A – Recupero di calore

L’impianto, come peraltro appare in figura 1, è suddiviso in più unità di trattamento aria sia per garantire prestazioni “dedicate” alle singole zone, sia per consentire l’esecuzione degli interventi per fasi mantenendo l’operatività dei reparti seppure con qualche limitazione. L’adozione di unità di trattamento di zona infatti garantisce la messa in servizio dei vari reparti via via che gli stessi vengono allestiti nella loro veste definitiva lasciando di fatto inalterate le funzionalità dei reparti ancora in assetto “ante operam”. Come si evidenzia in figura, l’esigenza di contenere gli impianti in cavedi di dimensioni relativamente ridotte porta a suddividere le unità di trattamento aria tra mandata e ripresa: mentre le prime sono posizionate al piano inferiore e hanno in comune il condotto di presa d’aria, le seconde sono posizionate nel sottotetto. Operando tale scelta i canali presenti nel cavedio sono solo o quelli di mandata o quelli di ripresa, ottimizzando quindi gli ingombri del cavedio stesso. Con una simile struttura impiantistica il recupero di calore non può che avvenire in via indiretta mediante batterie aria-acqua nelle unità di ripresa ed espulsione e una batteria sulla presa di aria comune. Come è evidente, con una struttura del genere non è possibile provvedere al ricircolo anche parziale

#6

47


CASE HISTORY – RIQUALIFICAZIONE IMPIANTISTICA

SCHEMA A BLOCCHI DEGLI IMPIANTI DI VENTILAZIONE DEL BLOCCO C

Figura 2 – STRALCIO SCHEMA A BLOCCHI ZONA U.T.A DI RIPRESA E SISTEMA DI RECUPERO CALORE. Sulle riprese è necessario inserire batterie di recupero singole su ciascuna u.t.a. collegandole ad una batteria di preriscaldo posta a monte del ventilatore principale di presa aria: tale accorgimento è necessario in un clima rigido come quello di Brunico al fine di evitare il rischio di congelamento della presa d’aria

48

#6

dell’aria e diventa quindi a maggior ragione importante prevedere impianti a portata variabile in modo da evitare gli sprechi propri della portata costante. A tale impostazione fa eccezione il blocco operatorio che per sua natura richiede una percentuale elevata di ricircolo al fine di garantire il flusso laminare nel campo operatorio, contenendo i costi di esercizio: per tale motivo, sopra il blocco stesso verrà realizzato un locale tecnico dedicato alle unità di trattamento aria sia di immissione che di estrazione, espulsione e ricircolo.


CASE HISTORY – RIQUALIFICAZIONE IMPIANTISTICA

LA PRODUZIONE DEL FREDDO

Figura 3 – SCHEMA DELL’IMPIANTO ACQUA REFRIGERATA ATTUALE

Ampliando l’ospedale e aumentando le prestazioni richieste agli impianti di climatizzazione si rende necessario provvedere ad una ristrutturazione quasi integrale delle centrali di produzione. Come sopra accennato, la centrale termica precedente, che comprende tre gruppi termici (dei quali uno di riserva) a gasolio della potenzialità di circa 2.300 kW ciascuno è stata integrata con tre scambiatori di potenzialità pari a circa 2.000 kW collegati alla rete di teleriscaldamento cittadina. Il dimensionamento apparentemente ridotto del circuito del teleriscaldamento, se paragonato ai futuri volumi in gioco (l’incremento dei

nuovi volumi complessivo è pari a circa il 30-35% rispetto all’attuale), è ben compensato dal minore disperdimento delle strutture sia sui volumi di nuova costruzione che su quelli ristrutturati, riducendo notevolmente il fabbisogno in un unità di volume.

Centrale frigorifera Discorso contrario avviene invece per la centrale frigorifera, sia perché aumentano i volumi delle zone da trattare sia perché le esigenze delle zone stesse aumentano in relazione alla maggiore richiesta di aria di rinnovo e all’aumento

Potenze frigorifere di picco Confronto stato attuale – stato di progetto Blocco – edificio

Tabella 1

Centrale termica

Potenza attuale (kW)

Potenza futura (kW)

Blocchi A+B (degenze)

360

700

Blocco C (speciali)

500

1960

Blocco D (ambulatori e D.H.)

500

600

Blocco E (nuovi servizi)

0

390

Blocco L (luogo degenti)

0

550

1360

4200

Totale

#6

49


CASE HISTORY – RIQUALIFICAZIONE IMPIANTISTICA

Valutazioni acustiche per la scelta dei gruppi frigo Nella individuazione della soluzione di progetto, fatta salva la presenza del potenziamento dell’impianto di accumulo di ghiaccio, sono state indagate diverse soluzioni. È stata subito esclusa la soluzione che prevede gruppi frigoriferi ad assorbimento, data la scarsa o nulla disponibilità del teleriscaldamento nella stagione estiva. È stato quindi fatto il confronto tra un sistema “tradizionale” che prevedesse gruppi frigoriferi condensati ad aria posizionati negli ampli spazi in copertura e un sistema che comprende invece gruppi frigoriferi condensati ad acqua associati a dry coolers. La prima soluzione richiede, come peraltro evidente, una serie di costi accessori che riguardano le opere di insonorizzazione e di riduzione delle vibrazioni trasmesse ai reparti sottostanti, anche se la zona eventualmente prescelta per l’installazione è quella degli studi medici. Tale esigenza è inoltre accentuata dalla necessità di far funzionare i gruppi in condizioni notturne per provvedere a “caricare” l’accumulo di ghiaccio: come ben noto i limiti di emissione sonora nelle ore notturne sono di gran lunga inferiori a quelli diurni, richiedendo quindi maggiori apprestamenti per le opere di insonorizzazione. La seconda soluzione comporta invece minori esigenze dal punto di vista acustico

50

#6

in quanto confina i gruppi frigoriferi in locali posizionati al piano interrato dell’edificio e quindi acusticamente facilmente isolabili; in copertura restano i dry cooler, ma l’impatto acustico di tali apparecchiature è di qualche ordine di grandezza inferiore a quello dei gruppi frigo richiedendo quindi sistemi di attenuazione di gran lunga meno onerosi. Un ragionevole sovradimensionamento dei dry coolers stessi comporta una minore velocità dell’aria a parità di calore da smaltire e quindi riduce ulteriormente l’impatto acustico di tali apparecchiature.

Confronto economico A conclusione di questa prima parte di indagine, basata sia su considerazioni di carattere generale che dei costi di installazione, è stato fatto un confronto dei costi tra l’adozione dei gruppi frigoriferi ad aria e quelli ad acqua, addivenendo alla conclusione che il minor costo derivante dall’adozione di singole macchine (gruppi condensati ad aria) rispetto al sistema gruppo frigo-pompe di circolazione-dry cooler è di fatto compensato dalle protezioni acustiche e di prevenzione delle vibrazioni. Occorre inoltre tenere presente che il Cop complessivo del sistema frigo condensato ad acqua-pompe di circolazione-dry cooler è mediamente maggiore di quello di macchine condensate ad aria. Un discorso a sé merita il sistema di accumulo di ghiaccio, già presente in ospedale: come si evince dalle considerazioni di cui in precedenza, già attualmente il picco di richiesta di potenza frigorifera è coperto per circa il 20% dal sistema di accumulo di ghiaccio che prevede 5 serbatoi di volume pari a circa 10 m³ ciascuno. Tale sistema viene “caricato” durante le ore notturne da un gruppo frigorifero dedicato che è in grado di produrre acqua refrigerata, additivata con glicole al 25%, alla temperatura di -5°C. La perdita di rendimento del gruppo in tali condizioni di funzionamento è di circa il 20%, relativamente ridotta in virtù della considerevole escursione termica tra giorno e notte propria del clima brunicense.

Il sistema peraltro si avvale anche della tariffazione elettrica notturna che rende oltremodo conveniente tale soluzione.

Accumulo di ghiaccio Nel dimensionamento di progetto è stato poi deciso di triplicare l’accumulo di ghiaccio, recuperando il sistema esistente e affiancandolo con altri due analoghi, ciascuno collegato ad un gruppo frigorifero. Per valutare la potenza frigorifera residua è necessario ragionare in termini di energia giornaliera. È stata quindi sviluppata una analisi di dettaglio dei carichi da smaltire nelle singole zone nell’arco della giornata: tale analisi è stata eseguita sulla base dei fattori di esposizione che determinano i carichi esterni legati in gran parte all’irraggiamento e dei fattori di utilizzo delle varie zone a fini ospedalieri da cui conseguono le richieste di energia agli impianti di condizionamento. Una volta determinata la richiesta in termini energetici, si deve procedere per iterazioni successive ipotizzando dapprima il volume di accumulo di ghiaccio e di conseguenza l’energia disponibile e poi la potenza frigorifera richiesta. L’accumulo di ghiaccio deve essere in grado di coprire i carichi di picco senza esaurirsi completamente nell’arco della giornata. Nel caso in esame il compito è stato agevolato dalla presenza di un impianto di accumulo in grado di garantire una energia pari a 17.466 MJ.

Determinazione della energia frigo complessiva richiesta nelle 24 ore Potenza Orario % di carico richiesta (kW)

Tabella 2

dei carichi interni dovuti alla presenza di apparecchiature. Nella determinazione della struttura della nuova centrale frigorifera devono inoltre essere tenuti in considerazione anche due fattori che riguardano da una parte l’esigenza di contenere l’impatto acustico della centrale e dall’altra la natura discontinua delle richieste e in particolare la notevole variazione delle stesse non solo nell’arco stagionale ma anche giornaliero. Le mutate esigenze del progetto sono riportate in Tabella 1. La scelta tecnologica tiene inoltre conto della possibilità di riutilizzare parte degli impianti esistenti come l’accumulo di ghiaccio e di garantire l’erogazione del servizio ai reparti operanti anche durante l’esecuzione delle opere. Per identificare in modo corretto i fattori di utilizzo e di contemporaneità dei reparti, verificato che l’impianto attuale prevede una potenza frigorifera installata di circa 750 kW integrata da una potenza erogabile dall’accumulo di ghiaccio pari a 250 kW, si ottiene che la potenza attuale disponibile è pari a circa 1.000 kW, ovvero il 73% della potenza di picco complessiva. Il dato, relativamente ridotto, non deve stupire se si considerano gli orientamenti diversi dei vari reparti associati all’incidenza del picco di richiesta dei reparti speciali che si concentra nelle ore mattutine mentre quello delle degenze nelle ore pomeridiane.

Energia richiesta (MJ)

06-08

30

1.260

9.072

08-10

60

2.520

18.144

10-12

80

3.360

24.192

12-14

100

4.200

30.240

14-16

80

3.360

24.192

16-18

60

2.520

18.144

18-20

30

1.260

9.072

Totale

133.056


CASE HISTORY – RIQUALIFICAZIONE IMPIANTISTICA

Altri interventi L’impianto prevede inoltre la possibilità di collegare direttamente i dry coolers anziché ad un gruppo frigorifero ad uno scambiatore a sua volta collegato alla rete utenze. Tale possibilità consentirà di provvedere alla produzione di acqua “refrigerata” a temperature compatibili con le richieste delle stagioni intermedie e delle travi fredde. Sarà infatti possibile con temperature esterne pari a 8-12°C ottenere nel circuito utenze una mandata di circa 16-17°C, il che è sufficiente a coprire le esigenze di raffrescamento senza il contributo, e il consumo, dei gruppi frigoriferi. Tale tipo di impianto è già stato peraltro utilizzato con successo dagli scriventi nel progetto della centrale frigorifera del Centro Nazionale di Adrologia Oncologica (CNAO) di Pavia per il raffredamento dei magneti del sincrotrone che produce i fasci di particelle destinate alla radiazione dei pazienti. La ristrutturazione prevede inoltre la realizzazione di due facciate continue realizzate con pannelli fotovoltaici in ottemperanza alle disposizioni normative sia nazionali che locali: tali installazioni saranno in grado di alimentare almeno le pompe di circolazione dei dry coolers rendendo nelle stagioni intermedie la produzione di acqua “refrigerata” pressoché gratuita. È opportuno infine evidenziare che la soluzione prescelta oltre a consentire un notevole risparmio nei costi di esercizio porta anche ad un risparmio nei costi di installazione: una batteria di accumulo di ghiaccio completa di collegamenti, pompe e alimentazioni elettriche costa circa la metà di un sistema gruppo frigo-dry cooler-pompe di circolazione e relativi collegamenti elettromeccanici.

Conclusioni La scelta degli impianti terminali personalizzati consente di ottimizzare le prestazioni sia in termini di comfort ambientale che di controllo dei consumi, specie se associati a buoni sistemi di regolazione e di parzializzazione. La valutazione

di più soluzioni progettuali consente di individuare quella che meglio soddisfa le esigenze di controllo dei costi sia in fase di installazione che soprattutto di esercizio e a vita intera. In particolare, sistemi di accumulo di ghiaccio consentono notevoli risparmi sia in termini di potenza installata (anche elettrica!) che di costi di produzione. La tecnologia adottata a Brunico appare particolarmente favorevole a causa del clima e della forte escursione termica giornaliera, ma potrà trovare ottime applicazioni anche in altri climi più mediterranei. Gli aspetti relativi alle stagioni intermedie devono essere sempre presi in considerazione, soprattutto considerando l’evoluzione delle

caratteristiche costruttive degli involucri che risultando sempre più isolati portano a richieste di raffrescamento sempre più anticipate nell’arco dell’anno. L’utilizzo di sistemi gruppi frigoriferi – dry coolers, oltre a garantire più facilmente il rispetto dei limiti sulle emissioni sonore, consente di utilizzare i dry coolers stessi per la produzione di acqua refrigerata a temperature compatibili con le esigenze di travi fredde e in generale degli impianti durante le stagioni intermedie, con notevoli risparmi in termini di consumi e costi. n * Massimo Bacci, Maurizio Cerutti – Rocca Bacci Associati, Genova

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CASE HISTORY – RIQUALIFICAZIONE IMPIANTISTICA

DIMENSIONAMENTO DELL’ACCUMULO DI GHIACCIO Essendo la potenza richiesta circa il triplo di quella attuale, la soluzione è stata quella di triplicare l’accumulo di ghiaccio ottenendo quindi una capacità di accumulo pari a MJ 52.398 (tale energia è valutata dalla somma del calore latente di fusione del ghiaccio e di quello sensibile legato al un salto termico di 6°C). È stata poi ipotizzata la potenza della nuova centrale frigorifera: per i vari periodi della giornata di riferimento è quindi possibile determinare la potenza richiesta all’accumulo di ghiaccio e quindi l’energia che di questo viene “consumata”. Il procedimento, con semplice tabella elettronica, consente di determinare la corretta taglia dei gruppi frigoriferi che deve essere tale da non provocare l’esaurimento dell’accumulo di ghiaccio. Relativamente alla potenza erogabile dall’accumulo in linea strettamente teorica sarebbe possibile ipotizzare una potenza istantanea erogabile pressoché illimitata: tuttavia, e pare evidente, ciò contrasta con la capacità di scambio termico intrinseca dell’accumulo stesso e non può superare in un’ora mediamente il 15-18% dell’energia complessiva (dato che dipende ovviamente dalle caratteristiche di costruzione dell’accumulo stesso e deve essere verificato con i costruttori dei serbatoi e dei relativi serpentini). Il riepilogo del dimensionamento è riportato nella Tabella 3 dove alla potenza richiesta nell’arco del periodo di due ore è stata sottratta la potenza della nuova centrale pari a 1.800 kW: la potenza richiesta all’accumulo ne riduce l’energia residua di conseguenza. Come si evidenzia l’accumulo non si esaurisce e la verifica quindi è positiva. Il margine nel dimensionamento appare relativamente ridotto (solo il 3-4% della riserva residua), ma si deve considerare che l’ipotesi di picco prevede un fattore di carico nelle ore meridiane pari al 100%, scelta sicuramente conservativa. Un’ulteriore considerazione a favore dalla corretta scelta del sistema è legata al fattore â

Serbatoio ghiaccio

Figura 4– SCHEMA DI PROGETTO DELL’IMPIANTO DI ACCUMULO GHIACCIO. L’impianto progettato comprende tre gruppi frigoriferi condensati ad acqua collegati ad una batteria di 6 dry coolers installati in copertura. L’accumulo di ghiaccio è suddiviso in tre batterie da 5 serbatoi del volume singolo di 10 m³: ciascun gruppo frigorifero è collegabile indifferentemente alla rete utenze o alla batteria di accumulo di ghiaccio: in tal modo, anche se è di gran lunga preferibile provvedere a “caricare” l’accumulo nelle ore notturne per i motivi già esposti, potrà essere possibile accumulare il ghiaccio con un gruppo frigorifero mentre gli altri due erogano acqua refrigerata alle utenze.

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#6


CASE HISTORY – RIQUALIFICAZIONE IMPIANTISTICA

Figura 5 – SCHEMA DI PROGETTO DELL’IMPIANTO ACQUA REFRIGERATA. I circuiti utenze sono separati idraulicamente da quelli di produzione per due motivi: il primo è legato alla necessità di separare il circuito del ghiaccio che contiene glicole al 25% dal circuito utenze. Il secondo invece è legato alla necessità di provvedere alla ristrutturazione per gradi mantenendo quindi attivi i circuiti esistenti e attivando man mano quelli dei reparti nuovi o ristrutturati: utilizzare collettori e scambiatori agevola tale tipo di operazioni.

Verifica del dimensionamento gruppi frigoriferi – accumulo ghiaccio

Tabella 3

totale Potenza residua Energia Orario Potenza richiesta (kW) accumulo (kW) residua (MJ) 06-08

1.260

0

52.398

08-10

2.520

720

47.214

10-12

3.360

1.560

35.982

12-14

4.200

2.400

18.702

14-16

3.360

1.560

7.470

16-18

2.520

720

2.286

18-20

1.260

0

2.286

â di potenza installato attualmente: il sistema attuale prevede infatti una potenza complessiva tra gruppi frigo ed accumulo pari a circa il 73% della totale installata: anche ammettendo che il fattore di carico di punta tenda ad aumentare per la maggiore incidenza degli impianti dedicati ai reparti speciali la cui variabilità nell’arco della giornata è quasi nulla, il margine atteso al dimensionamento reale sarà almeno del 10-12%. È importante evidenziare come la soluzione, a fronte di un forte picco di richiesta e di una potenza considerevole installata pari a 4.200 kW, riesca a contenere la potenza frigorifera installata entro valori pari al 42-45%. Una verifica ulteriore deve essere fatta relativamente alla capacità dei gruppi frigoriferi di “caricare” la riserva nelle ore notturne: ammettendo un decremento delle prestazioni di circa il 20% si ha che il singolo gruppo è in grado di produrre acqua glicolata a -5°C (temperatura necessaria alla produzione di ghiaccio) con una potenza di circa 480 kW che corrispondono nell’arco di 12 ore ad una energia di 20.736 MJ e quindi superiore a quella necessaria a caricare l’accumulo.

#6

53


Certificazione energetica negli ospedali

John Muir Medical Center (California)

Prestazioni termoigrometriche ed acustiche delle pareti opache dell’involucro edilizio. Il caso del settore ospedaliero L’

deve soddisfare requisiti di prestazione energetica ed acustica più stringenti rispetto a quelli richiesti in altri settori per due aspetti fondamentali. Da un lato, trattandosi di edifici pubblici, o ad uso pubblico, la legge richiede loro un comportamento “esemplare”; dall’altro, essendo tali strutture destinate ad ospitare individui particolarmente sensibili, quali gli ammalati, spesso bambini ed anziani, è necessario che offrano al edilizia nel settore ospedaliero

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#6

Esame dei requisiti termo-acustici minimi di alcune tipologie di pareti verticali comunemente utilizzate nel settore ospedaliero, presenti nell’appendice B della norma UNI 11175, e verifica della loro rispondenza alle nuove normative sul risparmio energetico e sul contenimento acustico di F.R. d’Ambrosio* e E. Ianniello*


DIPARTIMENTO DI CHIRURGIA. Ospedale di Hradec Králové (Repubblica Ceca)

Valori limite in vigore per la trasmittanza termica U (W/m²K) delle pareti opache e trasparenti per edifici pubblici o ad uso pubblico

Tabella 1

loro interno condizioni ambientali più confortevoli e sicure rispetto a quelle sufficienti per altri tipi di spazi. Questo momento storico è particolare, in quanto la normativa sia nel settore del risparmio energetico e della certificazione energetica, sia in quello dell’acustica è in evoluzione e spesso si osserva una certa confusione tra tecnici ed imprenditori coinvolti. La normativa sull’efficienza energetica nel corso degli ultimi anni è cambiata profondamente, a ritmi davvero incalzanti. Tale cambiamento ha comportato qualche problema per i progettisti e gli imprenditori, in quanto si è passati dalla Legge 10 del ’91, spesso non applicata o addirittura non considerata, ad una situazione in cui il mercato offre una jungla di software più o meno validi, di materiali miracolosi che promettono prestazioni energetiche degne di una classe A+, di impianti a volte troppo complessi rispetto alle esigenze degli edifici cui sono proposti. Anche nel settore dell’isolamento acustico degli edifici si osserva un notevole cambiamento. L’approvazione della recente Legge 4 giugno 2010, n.96 [1] ha stabilito, tra l’altro, che, in attesa dell’emanazione di un nuovo Decreto sui requisiti acustici passivi degli edifici per ottemperare alle richieste della Comunità Europea, il DPCM 5/12/1997 [2] non trova applicazione nei rapporti tra privati. Ovviamente, ciò non implica che si debba costruire senza seguire le prescrizioni in esso riportate, come qualcuno ha ritenuto creando equivoci tra tecnici e costruttori. Quasi contemporaneamente, a luglio 2010, l’UNI ha pubblicato la

Zona climatica

pareti verticali

Pareti orizzontali piane o inclinate

Pavimenti verso ambienti non riscaldati

Infissi

Vetri

A

0,59

0,34

0,58

4,1

3,3

B

0,43

0,34

0,44

2,7

2,4

C

0,36

0,34

0,38

2,3

1,9

D

0,32

0,29

0,32

2,2

1,7

E

0,31

0,27

0,30

1,9

1,5

F

0,30

0,26

0,29

1,8

1,2

norma 11367 [3] che, sebbene molto ben conosciuta dagli addetti ai lavori, non è richiamata in alcuna Legge per cui ad oggi non è molto diffusa e non ha carattere di obbligatorietà. In questo articolo sono descritti i requisiti termo-acustici minimi che le pareti opache verticali di un edificio adibito ad ospedale, casa di cura od assimilabile, devono soddisfare e sono riportati e discussi alcuni esempi di tipologie costruttive di uso corrente nell’edilizia italiana.

Temperature, humidity and acoustic performances of opaque walls of the building: the case of hospital division

Building trade in the hospital must meet more stringent requirements for energy efficiency and sound than those required in other fields for two key aspects. This article describes the minimum requirements that the thermoacoustic vertical opaque walls of a building for hospital, nursing home or similars, must meet. Then, it includes some examples of building types commonly used in italian building trade. Keywords: acoustic insulation, hospital, opaque walls, thermal insulation

Requisiti di isolamento termico delle pareti nelle strutture ospedaliere Il DPR 59/09 [4] e il DM 26 giugno 2009 [5] hanno definito le procedure per la verifica delle prestazioni energetiche degli edifici, pur lasciando ancora irrisolti alcuni punti. In particolare, il DPR ha ribadito che uno degli indicatori prestazionali è la trasmittanza termica, imponendo che nel caso di ristrutturazioni dell’involucro edilizio e/o di ampliamenti di edifici esistenti e di progettazione di nuovi edifici (qualora il rapporto tra la superficie trasparente e la superficie utile dell’edificio sia inferiore a 0,18), le pareti devono soddisfare i requisiti di trasmittanza termica indicati in funzione della zona climatica. Ancora, il DPR ha stabilito che gli edifici pubblici o comunque ad uso pubblico, quali le strutture sanitarie, devono garantire prestazioni superiori rispetto a quelle richieste ad altre categorie di edifici. In particolare, i valori della trasmittanza termica devono essere inferiori del 10%. In Tabella 1 sono riportati i valori limite di trasmittanza attualmente in vigore.

#6

55


Requisiti di isolamento acustico delle pareti nelle strutture ospedaliere Il DPCM 5 dicembre 1997 [2] definisce i requisiti minimi di isolamento acustico per un edificio nuovo o esistente in ristrutturazione e fissa i limiti massimi di rumorosità degli impianti installati al suo interno. I parametri che rappresentano i requisiti di isolamento per le partizioni sono i seguenti: • indice del potere fonoisolante apparente delle partizioni verticali ed orizzontali, R’w in dB, per la valutazione dell’isolamento dai rumori aerei provenienti da unità immobiliari diverse; • indice di isolamento acustico standardizzato di facciata, D2m,nT,w in dB, per la valutazione dell’isolamento dai rumori aerei provenienti

Requisiti acustici forniti dalla UNI 11367:2010 e dal DPCM 5/12/97 per ospedali e case di cura Norma UNI 11367 Prestazione Prestazione di base superiore

Tabella 2

Per quanto riguarda la trasmittanza termica periodica, grandezza introdotta dal DPR 59/09, non c’è differenza tra edifici pubblici e non: per tutti, nelle località in cui l’irradianza sul piano orizzontale nel mese di massima insolazione, Ims, risulta essere maggiore o uguale a 290 W/m², per le pareti opache verticali (ad eccezione di quelle esposte a Nord-Ovest, Nord e Nord-Est) occorre verificare in alternativa uno dei due seguenti requisiti: • la massa superficiale della parete (esclusi gli intonaci ed incluse le malte) deve risultare maggiore di 230 kg/m²; • il modulo della trasmittanza termica periodica deve risultare minore di 0,12 W/m²K. La verifica termica di una parete opaca non può prescindere da quella igrometrica. Lo stesso Decreto 59/09 prescrive la verifica di assenza di condensa superficiale sulle pareti e, in merito alla condensa interstiziale, richiede che l’eventuale condensato sia limitato alla quantità evaporabile durante la stagione estiva, secondo quanto prescritto dalla Norma UNI EN ISO 13788 [6].

56

#6

Descrittore dell’isolamento acustico normalizzato di facciata, D2m,nT,w (dB)

38

43

45

Descrittore del potere fonoisolante apparente di partizioni fra ambienti di unità immobiliari differenti, R’w (dB)

50

56

55

Descrittore del livello di pressione sonora di calpestio normalizzato tra ambienti di differenti unità immobiliari, L’nw (dB)

63

53

58

Descrittore dell’isolamento acustico normalizzato di partizioni fra ambienti sovrapposti della stessa unità immobiliare DnT,w (dB)

50

55

-

Descrittore dell’isolamento acustico normalizzato di partizioni fra ambienti adiacenti della stessa unità immobiliare DnT,w (dB)

45

50

-

Descrittore del livello di pressione sonora di calpestio normalizzato tra ambienti sovrapposti della stessa unità immobiliare, L’nw (dB)

63

53

-

dall’esterno. Dipende dal potere fonoisolante degli elementi che compongono la facciata; • indice del livello di rumore di calpestio di solai, normalizzato (Ln,w) in dB, per la valutazione dell’isolamento dai rumori di calpestio provenienti da unità immobiliari diverse. I valori limite sono fissati in base alla categoria edilizia. In particolare, per gli edifici adibiti ad ospedali, cliniche, case di cura ed assimilabili il Decreto fissa i valori minimi degli indici del potere fonoisolante apparente e dell’isolamento acustico standardizzato di facciata in 55 dB e 45 dB rispettivamente ed il valore massimo dell’indice del livello di rumore di calpestio in 58 dB. Rispetto a quanto previsto dal DPCM [2], la recente norma

Solna Karolinska University Hospital (Stoccolma)

DPCM 5/12/97

UNI 11367 [3] sulla classificazione acustica delle unità immobiliari introduce ulteriori requisiti di isolamento acustico, relativi alle prestazioni delle partizioni verticali ed orizzontali che separano ambienti appartenenti alla medesima unità immobiliare, quando questa abbia destinazione d’uso di tipo ricettivo, quindi anche nel caso di ospedali e case di cura. La norma prevede che la classificazione acustica, intesa come attribuzione dell’ambiente ad una classe di qualità, non sia applicabile a ospedali, case di


Descrizione delle pareti sulle quali è stata effettuata la verifica delle prestazioni termiche ed acustiche. Da [8]

Tabella 3

N.

Descrizione

Schema

1

Stratigrafia (dall’interno verso l’esterno): Intonaco in malta cementizia (15 mm); parete di tramezze ad incastro in laterizio alleggerito in pasta, 12x45x25 cm, spessore 12 cm (foratura 45%), in opera con asse dei fori verticale e legate con giunti orizzontali continui in malta cementizia. Giunti verticali ad incastro; intonaco in malta cementizia (15 mm); pannelli autoportanti in lana di roccia (spessore 80 mm, Mv = 40 kg/m³); laterizio alleggerito in pasta, 17x50x22,5 cm, spessore 17 cm, foratura al 45%, in opera con asse dei fori verticale e legate con giunti orizzontali continui in malta cementizia. Giunti verticali ad incastro; intonaco in malta cementizia (15 mm). Massa sup. tot. 360 kg/m².

2

Stratigrafia (dall’interno verso l’esterno): intonaco in malta cementizia (15 mm); blocchi di laterizio (8x25x50 cm), spessore 8 cm; intonaco in malta cementizia (15 mm); intercapedine (50 mm): due strati di pannelli di fibra di legno di abete mineralizzati con cemento Portland in aderenza sia verticalmente che orizzontalmente; blocchi di laterizio (12x5x50 cm) spessore 12 cm; intonaco in malta cementizia (15 mm). Massa sup. tot. 242 kg/m².

3

Stratigrafia (dall’interno verso l’esterno): intonaco in malta cementizia (15 mm); laterizio (8x25x25 cm) (foratura costituita da 10 fori passanti disposti su 5 file longitudinali, posati con asse dei fori orizzontali e legati con giunti orizzontali e verticali in malta cementizia). La parete poggia, per la sua intera lunghezza e larghezza, (compreso l’intonaco), su 1 strato di materiale antivibrante in fibra di vetro; intonaco in malta cementizia (15 mm); pannelli autoportanti di lana di vetro, spessore 60 mm, mv 35 kg/m³; laterizio (12x25x25 cm) spessore 12 cm costituita da 15 fori passanti disposti su 5 file longitudinali, posati con asse dei fori orizzontali e legati con giunti orizzontali e verticali in malta cementizia. La parete poggia, per la sua intera lunghezza e larghezza, (compreso l’intonaco), su 2 strati sovrapposti di materiale antivibrante in fibra di vetro; intonaco in malta cementizia (15 mm). Massa sup. tot. 214 kg/m².

4

Stratigrafia (dall’interno verso l’esterno): intonaco in malta cementizia (15 mm); blocchi forati di laterizio (8x25x25 cm); intonaco in malta cementizia (15 mm); pannelli (spessore tot. 42 mm), costituiti da gomma vulcanizzata in trucioli (6 mm), pannelli di EPS elasticizzato (30 mm), mv 35 kg/m³, gomma vulcanizzata in trucioli (6 mm); blocchi forati di laterizio (8x25x25 cm); intonaco in malta cementizia (15 mm). Massa sup. tot. 247 kg/m².

5

Stratigrafia (dall’interno verso l’esterno): intonaco in malta cementizia (15 mm); laterizio (8x25x25 cm), foratura costituita da 10 fori disposti su 5 file longitudinali, posa con asse dei fori orizzontali, giunti orizzontali e verticali in malta cementizia. La parete intonacata poggia, per la sua intera lunghezza e larghezza, su 1 strato di materiale antivibrante in fibra di vetro; intonaco in malta cementizia (15 mm); pannelli di lana di vetro, spessore tot. 80 mm, mv 35 kg/m³; laterizio (8x25x25 cm), spessore 8 cm costituito da 10 fori passanti disposti su 5 file longitudinali, posa con asse dei fori orizzontali, giunti orizzontali e verticali in malta cementizia. La parete intonacata poggia, per la sua intera lunghezza e larghezza, su 2 strati sovrapposti di materiale antivibrante in fibra di vetro; intonaco in malta cementizia (15 mm). Ms tot. 190 kg/m².

6

Stratigrafia (dall’interno verso l’esterno): intonaco in malta cementizia (15 mm); laterizio (12 cm x 25 cm x 12 cm) di spessore 12 cm; pannello sandwich (due strati di 5 mm ciascuno, in fibre di abete mineralizzate e rivestite con cemento Portland legate ad uno strato di polistirene espanso, spessore 50 mm e ms 8,5 kg/m²), disposti orizzontalmente e fissati mediante tasselli ad espansione in plastica; placcatura della superficie mediante lastre di cartongesso da 15 mm e ms 13 kg/m², applicate con colla per punti lungo il bordo delle lastre. Ms 166 kg/m².

7

Stratigrafia (dall’interno verso l’esterno): intonaco in malta cementizia (15 mm); blocchi semipieni di laterizio alleggerito in pasta (25 cm x 30 cm x 19 cm) spessore 25 cm; pannello di lana di roccia (spessore 4,0 cm ms 85 kg/ m²), lastra di cartongesso, spessore 13 mm, ms 11,8 kg/m². Fissaggio dei pannelli alla muratura realizzato con 10 mucchietti al metro quadrato di malta adesiva; giunti sigillati con stucco di gesso. Ms 290 kg/m².

8

Stratigrafia (dall’esterno verso l’interno): cartongesso da 7 mm; blocchi di calcestruzzo cellulare da 30 cm; lastra in cartongesso da 13 mm; cavità da 17 mm formata da profili metallici, pannello sandwich composto da 2 cm di schiuma a base poliuretanica con celle aperte e lastra in cartongesso da 12,5 mm. Ms 190 kg/m².

cura e cliniche, che vengono invece suddivisi in base alle prestazioni attese, che possono essere “di base” o “superiore”. In Tabella 2 sono riportati i valori dei descrittori di interesse per le strutture ospedaliere: è evidente che i valori di riferimento per l’indice del potere fonoisolante apparente delle partizioni fra ambienti differenti è più stringente nel caso della UNI 11367, mentre per l’isolamento acustico normalizzato di facciata la Norma, per il livello di prestazione di base, tollera valori più bassi rispetto a quelli richiesti dal DPCM 5/12/1997. Una considerazione analoga a quella

fatta per l’isolamento acustico normalizzato di facciata vale anche nel caso dell’isolamento dai rumori di calpestio, infatti, il valore di L’nw massimo ammissibile prescritto dal DPCM 5/12/1997 è intermedio tra il livello di prestazione base e superiore definiti dalla UNI 11367. Per quanto riguarda le prestazioni acustiche, va tenuto presente che gli ospedali rappresentato un caso che può essere definito atipico, nel senso che alcuni studi hanno fatto rilevare che, contrariamente all’opinione comune, il rumore, in particolare quello proveniente dall’esterno dell’edificio, non costituisce una causa di particolare disturbo per i degenti degli ospedali, che in realtà potrebbero anche apprezzarlo in quanto probabilmente elemento di connessione con la realtà del “mondo esterno” [7].

Valutazione delle prestazioni termoacustiche delle pareti opache nelle strutture ospedaliere Nel seguito vengono esaminate, sia dal punto di vista acustico che da quello termico, alcune tipologie di pareti verticali comunemente utilizzate, al fine di dimostrare che una corretta progettazione, che tenga conto dei Decreti e delle normative illustrate ai punti precedenti, può porre dei problemi. Le pareti, la cui descrizione è riportata in Tabella 3, sono state scelte tra quelle presenti nell’appendice B della norma UNI 11175 [7]. Per ciascuna tipologia di parete sono state valutate le prestazioni termiche ed acustiche, con riferimento ai valori limite per ospedali e case di cura, ed è stata effettuata una verifica igrometrica; per la valutazione delle prestazioni acustiche sono stati considerati i valori limite riportati sia

#6

57


Valutazioni termoigrometriche ed acustiche

Per la verifica delle prestazioni termiche sono stati applicati i limiti relativi ad edifici pubblici o ad uso pubblico. Per la verifica delle prestazioni acustiche sono stati applicati i valori di riferimento contenuti nella UNI 11367 e nel DPCM 5/12/97

parete

1

Prestazioni termiche Trasmittanza termica periodica [W/m²K]

Trasmittanza U [W/m²K] Valore di Conformità calcolo zona climatica 0,32

A, B, C, D

Massa superficiale [kg/m²]

Valore di calcolo

Verifica sul valore limite (0,12 W/m²K)

Valore di calcolo (all. A del D.Lgs. 192/05)

Verifica sul valore limite (230 kg/m²)

0,05

Si

265

Si

Tabella 4

Prestazioni igrometriche Zona A

Zona B

Zona C

Zona D

Zona E

Zona F

Condensato a fine periodo riscaldamento [kg/m²]

-

-

-

0,024

n.a.

n.a.

Verifica Interstiziale

Si

Si

Si

Si

n.a.

n.a.

Verifica superficiale

Si

Si

Si

Si

n.a.

n.a.

Prestazione acustica RW (C, Ctr) [dB]

K’ [dB]

Livello prestazione attesa (UNI 11367, Allegato A)

Verifica DPCM 5/12/1997

55 (0 ; -3)

1,6

Base

Si

parete

2

Prestazioni termiche Trasmittanza termica periodica [W/m²K]

Trasmittanza U [W/m²K] Valore di Conformità calcolo zona climatica 0,49

A

Massa superficiale [kg/m²]

Valore di calcolo

Verifica sul valore limite (0,12 W/m²K)

Valore di calcolo (all. A del D.Lgs. 192/05)

Verifica sul valore limite (230 kg/m²)

0,21

No

162

No

Tabella 5

Prestazioni igrometriche Zona A

Zona B

Zona C

Zona D

Zona E

Zona F

Condensato a fine periodo riscaldamento [kg/m²]

-

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica Interstiziale

Si

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica superficiale

Si

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Prestazione acustica RW (C, Ctr) [dB]

K’ [dB]

Livello prestazione attesa (UNI 11367, Allegato A)

Verifica DPCM 5/12/1997

55 (1 ; -5)

1

Base

Si

parete

3

Prestazioni termiche Trasmittanza termica periodica [W/m²K]

Trasmittanza U [W/m²K] Valore di Conformità calcolo zona climatica 0,39

A,B,C

Massa superficiale [kg/m²]

Valore di calcolo

Verifica sul valore limite (0,12 W/m²K)

Valore di calcolo (all. A del D.Lgs. 192/05)

Verifica sul valore limite (230 kg/m²)

0,14

No

156

No

Tabella 6

Prestazioni igrometriche

58

Zona A

Zona B

Zona C

Zona D

Zona E

Zona F

Condensato a fine periodo riscaldamento [kg/m²]

-

-

-

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica Interstiziale

Si

Si

SI

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica superficiale

Si

Si

SI

n.a.

n.a.

n.a.

Prestazione acustica RW (C, Ctr) [dB]

K’ [dB]

Livello prestazione attesa (UNI 11367, Allegato A)

Verifica DPCM 5/12/1997

57 (-1 ; -4)

0,5

Superiore

Si

#6

nel DPCM 5/12/97 che nella norma UNI 11367. I risultati di tali valutazioni sono riportati nelle Tabelle da 4 a 11 nelle quali: • per le prestazioni termiche sono riportati il valore di trasmittanza termica, U, calcolato utilizzando i valori di conduttività o di conduttanza forniti rispettivamente dalle norme UNI 10351 e UNI 10355, il valore della trasmittanza termica periodica, Y, e quello della massa superficiale, Ms; • per le prestazioni igrometriche sono riportati i risultati delle verifiche della condensa superficiale e di quella interstiziale; • per le prestazioni acustiche sono riportati i valori di indice del potere fonoisolante apparente, ricavati dalla UNI/TR 11175 [9] e quelli del coefficiente di trasmissione laterale calcolato, K. Le strutture in esame sono state considerate omogenee e giuntate rigidamente alle strutture congiunte (giunti a croce). Inoltre è stato ipotizzato che le strutture congiunte siano molto più pesanti rispetto a quella in esame, in modo da avere il minimo contributo della trasmissione laterale. Le Tabelle sono strutturate in modo da poter essere utilizzate come check list. Infatti, in corrispondenza di ciascun parametro, sono indicati i risultati della verifica sui corrispondenti valori limite o, comunque, sui riferimenti da adottare. In particolare, per quanto riguarda la trasmittanza termica, sono riportate le zone climatiche in cui la tipologia di parete considerata può essere adottata perché il suo valore è minore di quello limite per quella zona. Ancora, la verifica igrometrica è stata effettuata in


Valutazioni termoigrometriche ed acustiche

Per la verifica delle prestazioni termiche sono stati applicati i limiti relativi ad edifici pubblici o ad uso pubblico. Per la verifica delle prestazioni acustiche sono stati applicati i valori di riferimento contenuti nella UNI 11367

parete

4

Prestazioni termiche Trasmittanza termica periodica [W/m²K]

Trasmittanza U [W/m²K] Valore di Conformità calcolo zona climatica 0,52

A

Massa superficiale [kg/m²]

Valore di calcolo

Verifica sul valore limite (0,12 W/m²K)

Valore di calcolo (all. A del D.Lgs. 192/05)

Verifica sul valore limite (230 kg/m²)

0,22

No

191

No

Tabella 7

Prestazioni igrometriche Zona A

Zona B

Zona C

Zona D

Zona E

Zona F

Condensato a fine periodo riscaldamento [kg/m²]

-

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica Interstiziale

Si

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica superficiale

Si

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Prestazione acustica RW (C, Ctr) [dB]

K’ [dB]

Livello prestazione attesa (UNI 11367, Allegato A)

Verifica DPCM 5/12/1997

59 (-1 ; -4)

1

Superiore

Si

parete

5

Prestazioni termiche Trasmittanza termica periodica [W/m²K]

Trasmittanza U [W/m²K] Valore di Conformità calcolo zona climatica 0,35

A,B,C

Massa superficiale [kg/m²]

Valore di calcolo

Verifica sul valore limite (0,12 W/m²K)

Valore di calcolo (all. A del D.Lgs. 192/05)

Verifica sul valore limite (230 kg/m²)

0,16

No

128

No

Tabella 8

Prestazioni igrometriche Zona A

Zona B

Zona C

Zona D

Zona E

Zona F

Condensato a fine periodo riscaldamento [kg/m²]

-

-

-

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica Interstiziale

Si

Si

SI

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica superficiale

Si

Si

SI

n.a.

n.a.

n.a.

Prestazione acustica RW (C, Ctr) [dB]

K’ [dB]

Livello prestazione attesa (UNI 11367, Allegato A)

Verifica DPCM 5/12/1997

59 (-2 ; -5)

0,5

Superiore

Si

parete

6

Prestazioni termiche Trasmittanza termica periodica [W/m²K]

Trasmittanza U [W/m²K] Valore di Conformità calcolo zona climatica 0,62

Nessuna

Massa superficiale [kg/m²]

Valore di calcolo

Verifica sul valore limite (0,12 W/m²K)

Valore di calcolo (all. A del D.Lgs. 192/05)

Verifica sul valore limite (230 kg/m²)

0,29

No

153

No

Prestazioni igrometriche

Tabella 9

riferimento a condizioni climatiche tipiche delle varie zone climatiche (dati climatici esterni riferiti al Comune di Lampedusa per la zona climatica A, a quello di Palermo per la zona climatica B, a quello di Napoli per la zona climatica C, a quello di Siena per la zona climatica D, a quello di Bolzano per la zona climatica E e a quello di Cuneo per la zona climatica F). Qualora la struttura non verifichi i limiti di trasmittanza per una data zona climatica, non si è proceduto ad effettuare la verifica igrometrica. Per quanto riguarda la verifica alla condensa, la check list distingue ovviamente i due casi di condensa superficiale ed interstiziale. Per quest’ultima, va riportato il valore dell’eventuale quantità di condensato per unità di superficie presente alla fine del periodo di riscaldamento in quanto, secondo norma, la struttura non è verificata se tale quantità risulta superiore ai limiti imposti dalla normativa oppure se, pur risultando inferiore ai limiti suddetti, non è evaporabile completamente durante la stagione estiva. Dall’esame delle tabelle risulta evidente innanzitutto che, come era facilmente immaginabile, alcune tipologie edilizie possono essere adottate solo in alcune zone climatiche. Si prenda ad esempio la struttura 2, in Tabella 5 che verifica il DPCM 5/12/1997 ma che, dal punto di vista delle prestazioni termiche, può essere impiegata come tamponamento esterno di strutture ospedaliere solo in zona climatica A, il che equivale a dire in soli due comuni d’Italia, Porto Empedocle e Lampedusa! Una situazione analoga si riscontra anche per le strutture 4 e 7, in Tabella rispettivamente 7 e 10. Caso

Zona A

Zona B

Zona C

Zona D

Zona E

Zona F

Condensato a fine periodo riscaldamento [kg/m²]

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica Interstiziale

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica superficiale

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Prestazione acustica RW (C, Ctr) [dB]

K’ [dB]

Livello prestazione attesa (UNI 11367, Allegato A)

Verifica DPCM 5/12/1997

55 (-2 ; -8)

0,5

Base

No

#6

59


Valutazioni termoigrometriche ed acustiche

Per la verifica delle prestazioni termiche sono stati applicati i limiti relativi ad edifici pubblici o ad uso pubblico. Per la verifica delle prestazioni acustiche sono stati applicati i valori di riferimento contenuti nella UNI 11367

parete

7

Prestazioni termiche Trasmittanza termica periodica [W/m²K]

Trasmittanza U [W/m²K] Valore di Conformità calcolo zona climatica 0,53

A

Massa superficiale [kg/m²]

Valore di calcolo

Verifica sul valore limite (0,12 W/m²K)

Valore di calcolo (all. A del D.Lgs. 192/05)

Verifica sul valore limite (230 kg/m²)

0,10

Si

252

Si

Tabella 10

Prestazioni igrometriche Zona A

Zona B

Zona C

Zona D

Zona E

Zona F

Condensato a fine periodo riscaldamento [kg/m²]

-

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica Interstiziale

Si

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica superficiale

Si

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Prestazione acustica RW (C, Ctr) [dB]

K’ [dB]

Livello prestazione attesa (UNI 11367, Allegato A)

Verifica DPCM 5/12/1997

58 (-2 ; -6)

1

Superiore

Si

parete

8

Prestazioni termiche Trasmittanza termica periodica [W/m²K]

Trasmittanza U [W/m²K] Valore di Conformità calcolo zona climatica 0,39

A, B

Massa superficiale [kg/m²]

Valore di calcolo

Verifica sul valore limite (0,12 W/m²K)

Valore di calcolo (all. A del D.Lgs. 192/05)

Verifica sul valore limite (230 kg/m²)

0,04

Si

193

No

Tabella 11

Prestazioni igrometriche Zona A

Zona B

Zona C

Zona D

Zona E

Zona F

Condensato a fine periodo riscaldamento [kg/m²]

-

-

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica Interstiziale

Si

Si

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Verifica superficiale

Si

Si

n.a.

n.a.

n.a.

n.a.

Prestazione acustica RW (C, Ctr) [dB]

K’ [dB]

Livello prestazione attesa (UNI 11367, Allegato A)

Verifica DPCM 5/12/1997

59 (-3 ; -9)

0,5

Superiore

Si

Banner Estrella Medical Center (Phoenix, Arizona – USA)

60

#6

particolare è costituito dalla parete 6 che, non verifica le prescrizioni di legge né di tipo acustico né di tipo termico. Si sottolinea infine che la struttura più utilizzabile su scala nazionale risulta la 1, in Tabella 3, mentre nessuna delle strutture analizzate potrebbe essere impiegata come paramento esterno di edifici ospedalieri collocati nelle zone climatiche E ed F, a causa della mancata rispondenza ai requisiti di isolamento termico per le strutture pubbliche. È chiaro che il rapporto tecnico UNI/TR 11175 [8], che rappresenta la guida all’applicazione alle tipologie nazionali delle norme per la previsione delle prestazioni acustiche degli edifici, andrebbe rivisto in funzione della legislazione vigente sul risparmio energetico in edilizia. Indubbiamente, l’analisi termoigrometrica condotta ha preso in esame solo alcuni casi tra i molti riportati dal rapporto ed ha riguardato solo l’involucro esterno di edifici pubblici per i quali, come detto, i requisiti sono più stringenti, ma è anche vero che sarebbe opportuno aggiornare le tipologie edilizie tenendo conto, per esempio, dei maggiori livelli di isolamento termico oggi in generale richiesti. Va poi sottolineato che la parete 6, in Tabella 9, soddisfa il livello di prestazione attesa di base, ma non rispetta il DPCM 5/12/1997, il che è abbastanza grave soprattutto se si tiene conto che la UNI 11367 è stata pubblicata successivamente al Decreto.


Il calcolo dell’indice del potere fonoisolante apparente di partizioni verticali secondo il metodo approssimato proposto dal Rapporto Tecnico UNI/TR 11175. Il potere fonoisolante di un divisorio in opera viene detto “apparente” per differenziarlo da quello misurato in laboratorio dove i sistemi di misura minimizzano i contributi della trasmissione laterale (si veda la Figura 1). Il valore dell’indice del potere fonoisolante apparente (R’w) è sempre inferiore a quello dell’indice del potere fonoisolante corrispondente, Rw, misurabile in laboratorio o calcolabile per mezzo dei modelli semplici disponibili. Il calcolo più preciso dell’indice del potere fonoisolante apparente non è agevole, sia perché nel rapporto tecnico UNI non sono riportati modelli davvero affidabili per il calcolo di Rw, sia perché la valutazione del contributo della trasmissione laterale prevede calcoli piuttosto laboriosi basati sulla conoscenza di parametri non sempre disponibili. Il rapporto UNI/ TR 11175 riporta diverse metodologie di valutazione del contributo della trasmissione laterale. Qui è descritto il metodo approssimato riportato nell’appendice A, applicabile a strutture omogenee e giuntate rigidamente tra loro, che è stato adottato per la valutazione delle prestazioni acustiche attese delle pareti considerate come esempi utili in questo articolo.

La (2) è applicabile per pareti singole o a cassa vuota con intercapedine inferiore a 5 cm ed m’ > 80 kg/m², e per pareti doppie aventi intercapedine riempita con materiale fonoassorbente di spessore superiore a 5 cm (in questo caso risulta cautelativa). Per pareti con m’>150 kg/m² il rapporto tecnico suggerisce la relazione: Rw = 37,5 log m’ - 42 (3) K’ rappresenta il contributo globale alla trasmissione laterale e dipende sostanzialmente dal valore della massa per unità di area delle partizioni congiunte a quella in esame (solai, altre partizioni) e dal tipo di giunzione (a T o a croce). Viene valutato con l’ausilio di tabelle contenute nel rapporto tecnico. In tabella I è riportato il riferimento considerato per le valutazioni degli esempi contenuti nell’articolo. Tabella I – Contributo globale alla trasmissione laterale K’ per giunti rigidi a croce e masse per unità di area nel rapporto 1:2, 3. (Dal TR/UNI 11175.) Massa per unità di area della partizione (kg/m²)

Massa media per unità di area delle strutture laterali (kg/m²) 100 150 200 250 300 350 400 450 500

Secondo il metodo semplice citato il calcolo di R’w può essere effettuato applicando la relazione: R’w = Rw - K’ (1) Rw è l’indice del potere fonoisolante della partizione in esame e può essere valutato facendo riferimento a valori provenienti da misure di laboratorio o, in alternativa, utilizzando le formule semplificate riportate qui di seguito: Rw = 20 log m’ (2) dove m’ è la massa per unità di area della struttura.

Conclusione La valutazione delle prestazioni termoacustiche dell’involucro opaco dovrebbe essere effettuata in fase di progetto ed in maniera congiunta, in modo da ottenere in opera strutture dalle caratteristiche soddisfacenti sia dal punto di vista termoigrometrico, sia da quello dell’isolamento dal rumore aereo. Questo è ancora più importante se si tratta di strutture ospedaliere, per le quali, oltre a dover rispettare la legislazione vigente, è necessario tener conto delle particolari condizioni delle persone che le occupano. n * F.R. d’Ambrosio, E. Ianniello – Dipartimento di Ingegneria Industriale, Università degli Studi di Salerno

100

2,5 1,5

150

4,0 2,5 1,5 1,0 1,0 0,5 0,5 0,5 0,5

200

5,0 3,5 2,5 2,0 1,5 1,0 1,0 0,5 0,5

250

6,0 4,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 1,0 1,0

300

7,0 5,0 4,0 3,0 2,5 2,0 1,5 1,5 1,0

350

7,5 6,0 4,5 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,5

400

8,0 6,5 5,0 4,0 3,5 3,0 2,5 2,0 2,0

450

8,5 7,0 5,5 4,5 4,0 3,5 3,0 2,5 2,0

500

9,0 7,5 6,0 5,0 4,5 3,5 3,0 3,0 2,5

1

0,5 0,5 0,0 0,0 0,0 0,0

Bibliografia

[1] Parlamento Italiano. 2010. Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2009. Legge del 4 giugno 2010 n. 96. Gazzetta Ufficiale n. 146 del 25 giugno 2010. [2] Presidenza del Consiglio dei Ministri. 1997. Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici. DPCM 5 dicembre 1997. Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 297 del 22 dicembre 1997. [3] UNI. 2010. Acustica in edilizia - Classificazione acustica delle unità immobiliari - Procedura di valutazione e verifica in opera. Norma UNI 11367. Milano, Ente Unificazione Italiano. [4] Presidente della Repubblica. 2009. Regolamento di attuazione dell’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del Decreto Legislativo 19 agosto 2005, n. 192, concernente attuazione della Direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia. DPR 2 aprile 2009 n. 59. Gazzetta Ufficiale n. 132 del 10 giugno 2009. [5] Ministero dello Sviluppo Economico. 2009.Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici. DM 26 giugno 2009. Gazzetta Ufficiale n. 158 del 10 luglio 2009 - Serie generale. [6] UNI. 2003. Prestazione igrotermica dei componenti e degli elementi per edilizia - Temperatura superficiale interna per evitare l’umidità superficiale critica e condensazione interstiziale - Metodo di calcolo. Norma UNI EN ISO 13788. Milano: Ente Nazionale Italiano di Unificazione. [7] Angrisani M.R., Ianniello C. 1980. Un’indagine sul rumore notturno in camere di degenza di tre ospedali napoletani. Rivista Italiana di Acustica, vol.IV, n. 4. [8] UNI. 2005. Acustica in edilizia. Guida alle norme serie UNI EN 12354 per la previsione delle prestazioni acustiche degli edifici. Applicazione alla tipologia costruttiva nazionale. Rapporto tecnico UNI/TR 11175. Milano: Ente Nazionale Italiano di Unificazione.

#6

61


CASE History

Sale operatorie di Cardiochirurgia ISO 5

Dalle esigenze ai collaudi operational L’aria, oltre a poter contenere inquinanti, è spesso veicolo di trasmissione di malattie infettive. Nei casi limite delle sale operatorie si rendono necessari impianti di ventilazione con flussi controllabili e la verifica sull’efficacia del contenimento della contaminazione effettuata dai sistemi di filtrazione

62

#6

di Oscar Di Marino1, Aldo Maria Capra2 e Christian Rossi3

C

onsiderata da sempre un ambiente “a rischio”, sia per i pazienti che per gli operatori sanitari, la sala operatoria necessita di alti standard di sicurezza e di idonee condizioni microclimatiche. Uno dei fattori fondamentali da tenere sotto controllo è rappresentato dall’aria che, oltre a poter contenere inquinanti, è spesso veicolo di trasmissione di malattie infettive. Proprio per garantire il corretto controllo della climatizzazione, il primo passo che i progettisti devono compiere consiste nel valutare tutte le criticità del caso. Nel caso in esame la necessità di riqualificare un intero blocco operativo adibito ad interventi di cardiochirurgia dell’Azienda Ospedaliera San

Gerardo di Monza ha spinto i progettisti dell’impianto di condizionamento ad utilizzare un impianto di ventilazione composto da unità di trattamento dell’aria a parziale ricircolo, flusso unidirezionale e filtrazione terminale assoluta. Per verificare, inoltre, l’efficacia e il corretto controllo della contaminazione effettuato dal soffitto filtrante si è ritenuto necessario effettuare dei test in condizioni Operational, simulate secondo l’attuale normativa vigente in europa.


CASE History L’azienda ospedaliera

L’Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza ha alle spalle otto secoli di tradizione di cura e assistenza. Oggi conta circa 3.000 dipendenti (fra medici, infermieri, personale tecnico e amministrativo) e ha un bilancio di circa 400 milioni di euro. È il quarto ospedale pubblico, per dimensioni, della Lombardia. L’ospedale vive in simbiosi con la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Milano Bicocca, con un corso di laurea specialistica a ciclo unico in Medicina e Chirurgia e, fra l’altro, due corsi analoghi in Biotecnologie Mediche e Scienze Infermieristiche e Ostetriche. L’Azienda, con i suoi ospedali, è impegnata sempre più a diventare un punto di riferimento di specializzazione avanzata in Italia e in Europa e a moltiplicare le sue eccellenze (fra le altre, ematologia pediatrica, lo studio e la cura per l’ipertensione e lo scompenso cardiaco, l’attività di trapianto delle cornee e di midollo osseo, la chirurgia dell’intestino e vitro-retinica, il trattamento dei tumori ginecologici, la medicina radiodiagnostica). La sua organizzazione è articolata in 12 dipartimenti sanitari, a cui fanno capo 60 unità operative, diverse decine di strutture ambulatoriali, di laboratorio analisi, unità diagnostiche e riabilitative.

Dalle esigenze sanitarie ai requisiti di processo L’attivazione del nuovo blocco operatorio (blocco B), costituito da 3 sale operatorie, rappresenta più un ampliamento del P.O. San Gerardo di Monza che non una vera riqualificazione. Questo perché il dipartimento che dovrà occupare il nuovo

blocco, ossia quello di Cardio-Toraco-Vascolare, si trova attualmente ad operare in ambienti che non rispettano a pieno i requisiti necessari ad interventi di tale specialità. L’attività chirurgica è limitata all’impiego di una singola sala struttura, ormai datata e già a suo tempo aggiornata (anno 2000 circa) per consentire un servizio “temporaneo” fino al completamento del nuovo reparto. Il trasferimento in toto delle attività nel blocco B permetterà al dipartimento in oggetto

ISO 5 Cardiac Surgery operating rooms. From operational requirements to testing

All along considered as an environment “at risk” for both patients and health professionals, the operating room, since the time of its design, requires high safety standards and suitable microclimatic conditions. One of the key factors to watch out for, is the air which, besides being able to contain pollutants, is often the transmission vehicle of infectious diseases. In order to ensure the proper climate control, the first step for designers to make is to assess all critical aspects of the case. In this case, the need to redevelop an entire block of the Ospedale San Gerardo di Monza, used for cardiac surgery operations, forced designers to use one of the air conditioning system consisting of air handling units to partially circulation, one-way flow and filtration absolute end. To further test the effectiveness and contamination control carried out by the filtering ceiling, it was considered necessary conducting tests under operational conditions, simulated under the current regulations in Europe. Keywords: air-conditioning system, contamination control, hospital, VCCC, ventilation system

• Complesso di 150.000 m2 • 20 Sale Operatorie • 2840 Dipendenti • 1121 Posti letto

una completa soddisfazione dei carichi di lavoro. Oltre a tali aspetti, prettamente dedicati alla tipologia d’intervento, le sale consentiranno di aumentare gli slot disponibili per interventi di altre specialità o d’urgenza.

Intervenire sull’edificio: le caratteristiche del nuovo blocco operatorio Il nuovo blocco operatorio copre una superficie utile totale di circa 750 m² ed è localizzato presso il primo piano del corpo posteriore. Inserito tra il blocco operatorio di oculistica e i tre blocchi di chirurgia generale (C/D/E), il reparto, oltre che dalla tre sale operatorie, è composto dai seguenti locali di supporto (DPR 14/1/1997, decreto Bindi), presenti nella planimetria della figura 1: filtro di accettazione pazienti, locale di preparazione pazienti con tre postazioni, locale di risveglio con tre postazioni, sala risveglio, ufficio caposala, studio perfusionisti, deposito attrezzature e farmaci, locale per le pulizie e locale vuotatoio. Nella realizzazione dell’intero blocco è stata posta particolare cura nella scelta dei materiali e nei criteri di finitura, al fine di garantire l’igiene

#6

63


CASE History degli ambienti, la loro agevole pulizia e disinfezione. Per le sale operatorie sono state previste delle strutture modulari prefabbricate autoportanti in estruso di alluminio anodizzato e con pannelli in metacrilato PRAL. Ogni sala è dotata di tutti gli impianti e di tutte le apparecchiature per lo svolgimento dell’attività cardiochirurgica, tra cui tre pensili destinati rispettivamente al chirurgo, all’anestesista e al perfusionista. Per evitare di gravare sulla soletta del soffitto, i pensili sono stati fissati ad una intelaiatura metallica che funge anche da gabbia per l’intera sala. Tale struttura metallica, che poggia sulla soletta del pavimento, è stata indispensabile per non caricare la soletta del soffitto, che, oltre a non prevedere la possibilità di essere sollecitato, è il piano di copertura esterno non coperto occupato interamente delle macchine STRUTTURA ATTUALE DELLA S.O. Singola sala operatoria a flusso turbolento

64

#6

FIGURA 1 – Pianta del blocco operatorio B


CASE History

Come intervenire…sul paziente

Gli interventi di cardiochirurgia più frequenti consistono essenzialmente in riparazione delle valvole cardiache, sostituzione delle valvole cardiache con protesi, biologiche o meccaniche, sostituzione protesica dell’aorta ascendente e dell’arco aortico, bypass coronarici con utilizzo di condotti arteriosi e venosi etc. Interventi che richiedono l’impiego di tecniche di chirurgia altamente sofisticata e la necessità di poter operare con il paziente in ipotermia. Se nel passato era necessario che la temperatura media del paziente arrivasse fino a 27°C, le attuali tecniche richiedono oggigiorno un minor raffreddamento e temperature prossime a 3233°C. Le operazioni di raffreddamento e successivo riscaldamento del paziente dipendono da diversi fattori (massa e tipologia dei tessuti) e per uniformare la temperatura si utilizzano dispositivi quali: la macchina cuore polmone, necessaria in prima battuta soprattutto per consentire il by-pass cardiopolmonare, materassini ad aria calda/fredda e l’aria condizionata della sala operatoria. Quest’ultima deve essere regolata per seguire le diverse fasi dell’intervento per facilitare il raffreddamento uniforme e il riscaldamento del paziente (solitamente l’intervallo di regolazione richiesto è compreso tra i 17°C e i 23°C). La durata media di un intervento è di circa 5 h di cui le fasi di raffreddamento e riscaldamento possono raggiungere anche le 2 ore. In questo lasso di tempo vi è un continuo avvicendarsi

di trattamento aria. Per ampliare il campo di utilizzo del blocco operatorio è stato previsto che una delle tre sale possa essere dotata di un sistema radiologico cardiovascolare per l’esecuzione di interventi avanzati mediante angiografo a pavimento. Per questo motivo

di persone nella sala, tanto che si deve considerare un affollamento medio che può superare le 10-11 persone, compreso il malato, quali: • Nº 3-4 chirurghi; • Nº 1 strumentista; • Nº 2 infermieri; • Nº 1 perfusionista; • Nº 2 anestesisti; • + visitatori, tecnici e studenti. Oltre la presenza umana si deve aggiungere la strumentazione specifica, il che comporta un notevole affollamento della sala, rendendo i 47 m² di superficie poco più che sufficienti. Tra le apparecchiature si possono elencare pensili dotati di lampada scialitica, 2 bracci porta monitor, pensile anestesista, pensili di servizio, macchina cuore polmone, colonna endoscopica, colonna laparoscopica, ecografi, elettrobisturi, aspiratori, diafanoscopio a parete e monitor a parete. Ad aggravare la situazione, nell’arco delle 5 ore medie d’intervento, sono da prendere in considerazione anche le continue uscite ed ingressi sia per motivi operativi, come l’invio di campioni per le analisi, sia per avvicendamento del personale necessario e non all’intervento.

sono stati previsti diversi accorgimenti tra i quali la presenza di una sala controllo dotata di visiva e direttamente collegata alla sala tramite porta automatica; la presenza di un locale tecnico per l’inserimento delle apparecchiature accessorie e, infine, la radioprotezione del pavimento e delle superfici verticali, eseguita mediante l’interposizione di lastre di piombo.

Impianto di ventilazione e controllo della contaminazione (VCCC) L’impianto di ventilazione e di climatizzazione delle sale è stato progettato e realizzato per poter garantire l’esecuzione di interventi di tipo invasivo che richiedono un’elevatissima protezione dell’area a rischio. A tal fine è stato deciso di dotare le sale di soffitti filtranti delle dimensioni

FIGURA 2A – Schema funzionale impianto di condizionamento del blocco operatorio B

#6

65


CASE History

FIGURA 2B – Schema funzionale impianto di condizionamento del blocco operatorio B

utili di 2,8 x 2,8 m, i quali coprono tutta l’area di intervento, con il prerequisito che in condizioni operative “AT REST” si debba ottenere una classe ambientale ISO 5 secondo la norma UNI EN ISOoperatorie 14644-1. Dalla figura si osserva che ogni Sale di 2cardiochirurgia sala operatoria è dotata della propria unità di trattamento a ricircolo. I locali puliti (zona sterile, sala risveglio, preanestesia, etc.) sono serviti da una singola unità a tutta aria esterna, così come i locali sporchi. La necessità di controllare la temperatura in ogni condizione climatica ha richiesto l’impiego di un gruppo frigorifero dedicato al blocco operatorio. Gli altri fluidi

d’aria per ogniaiunità di trattamento d’aria ISOPortate 5 Dalle esigenze collaudi operational

Tabella 1

Soluzione adottata Impianto VCCC Locale

Aria mandata Aria esterna

Aria ripresa

Aria ricircolo

UTA SO B1, B2 e B3

7800 m³/h

2400 m³/h

7600 m³/h

5400 m³/h

UTA LP

7700 m³/h

7700 m³/h

6700 m³/h

-

FIGURA 3 – SOLUZIONE ADOTTATA – Schema funzionale UTA sala operatoria B1 e B2

UTA x S.O. B1 e B2 A.Ex.

A.E. 2400 m3/h A.R. 7600 m3/h

A.Ric. 5400 m3/h A.M. 7800 m3/h

66

#6


CASE History

tecnici sono invece presi dalla rete di distribuzione centralizzata. In figura 3, invece è rappresentato

lo schema tipo delle UTA delle sale operatorie. Esse sono composte da una presa d’aria esterna dotata di silenziatore, una prima sezione di

Bibliografia

• • • • • •

VDI 2167 Building services in hospitals, Heating, ventilation and air-conditioning ISO 14644 Cleanrooms and associated controlled environments – Part 1: Classification of air cleanliness ISO 14644 Cleanrooms and associated controlled environments – Part 3: Test methods SWKI (Schweizerischer Verein von Wärme und Klima Ingenieuren) 99-3E (2003) NF S 90 351 (juin 2003) Établissement de santé – Salles propres et environments maîtrisés apparentés DIN 1946-4 Ventilation and air conditioning – Part 4: Ventilation in hospitals (2008)

NOMENCLATURA CRef

Concentrazione di riferimento

[p/m³]

ARef

Aria di riferimento coperta dal flusso unidirezionale

[m²]

VRef

Velocità di riferimento dell’aria in uscita dal flusso unidirezionale

[m/s]

QRef

Intensità della sorgente di contaminante – Flusso di contaminante

[p/h]

CAer

Concentrazione di particolato nell’aerosol immesso

[p/m³]

VAer

Portata volumetrica di aerosol

[m³/h]

SGX

Classe di protezione nel punto di misura X

[p/m³]

CX

Concentrazione nel punto di misura X

filtrazione e scambio termico (recuperatore), una successiva sezione di miscelazione con l’aria ripresa dalla sala, filtrazione F7 raffreddamento e deumidificazione, riscaldamento e umidificazione; in ultimo il ventilatore e a valle il silenziatore. La sezione finale di filtrazione è effettuata nei diffusori filtranti (H14). Tale soluzione è adottata anche nei terminali d’ambiente posizionati nella zona pulita e in quella sporca. La batterie di scambio termico sono state dimensionate al fine di poter regolare la temperatura dell’aria in mandata da 17 a 23°C in ogni periodo dell’anno, questo con un carico interno stimato di circa 12 kW. L’umidità relativa deve in ogni caso rimanere nell’intervallo 50% ± 5. n Oscar Di Marino – Direttore Sanitario Ospedale San Gerardo di Monza 2 Aldo Maria Capra – Direttore Tecnico Ospedale San Gerardo di Monza 3 Christian Rossi – Sagicofim spa, Cernusco S/ Naviglio MI 1

[m²]

VERIFICA DEL GRADO DI PROTEZIONE DEL SOFFITTO FILTRANTE DIF. OT* IN CONDIZIONI “OPERATIVE SIMULATE” * Prodotto brevettato Sagicofim S.p.a.



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



FILTRI. Profilo delle velocità in uscita dai filtri

Ingresso aria nel plenum

 

  

#6

67


CASE History

Scopo del test

I test in oggetto hanno lo scopo di verificare le prestazioni del soffitto filtrante nelle condizioni che simulano quelle operative durante un intervento chirurgico. Il metodo di prova utilizzato e descritto in seguito prende spunto dalla normativa di riferimento SWKI 99-3 (2004), VDI 2167 (2004) e DIN 1946 (2008). Diffusore d’aerosol

Metodo di prova e classe di protezione

Il test consiste nella verifica del grado di protezione così come definito nelle norme VDI 2167 (2004) e DIN 1946 (2008). All’interno della sala operatoria sono stati posizionati dei manichini riscaldati al fine di simulare la presenza del personale medico (figura 4). I quattro manichini con altezza di 180 cm e potenza di 100 W rappresentano i chirurghi e gli assistenti, il singolo manichino ad altezza 120 cm e potenza di 100 W rappresenta invece l’anestesista, mentre l’ultimo rappresenta la strumentazione con altezza 150 cm e potenza di 300 W. Per verificare l’influenza dello stato operativo simulato sul livello di contaminazione sopra il lettino operatorio, devono essere inserite delle fonti di contaminazione artificiali in prossimità del pavimento della S.O. Le posizioni dei manichini, delle fonti di contaminazione e dei punti di misura sono definite dalla normativa citata. Il livello di contaminazione deve essere misurato nei tre punti caratteristici del lettino operatorio: testa, torace e piedi e in due configurazioni di generazione del contaminate. Viene definito grado di protezione interno quando le fonti sono disposte come nelle figura 5 e 6, mentre se sono disposte come in figura 4 si parlerà di grado di protezione esterno. Prima di ogni misurazione è necessario calcolare la concentrazione di riferimento “CRef” che serve per il calcolo del coefficiente

FIGURA 4 – Vista della SO allestita per i test

di pulizia. La CRef rappresenta la concentrazione che si otterrebbe se all’interno del volume della sala operatoria, delimitato superiormente dal diffusore filtrante, vi fosse la miscelazione perfetta tra aerosol e flusso d’aria in uscita dal diffusore. La CRef si calcola indirettamente attraverso la formula seguente: QRef CRef = ARef · VRef · 3600

La VDI 2167 valuta 3 classi di protezione: SGX ≥ 5,0 eccellente 1,0 ≤ SGX < 5,0 moderato SGX < 1,0 molto basso

QRef = CRef · VRef

Caratteristiche dell’installazione sottoposta a test

Il grado di protezione è proporzionale al rapporto tra la concentrazione misurata nel punto in esame e la concentrazione di base e si calcola secondo la seguente: SGX = -log(CX /CRef)

FIGURA 5 – Esempio di configurazione della sala operatoria per verificare il livello di protezione da fonti di contaminazione esterna

68

#6

Manichini

Per la classificazione si deve prende il valore minimo misurato nei tre punti sopra il lettino operatorio.

Il soffitto filtrante, il DIF.OT di Sagicofim nella versione 5/555, garantisce un andamento del profilo di velocità dell’aria decrescente dalla zona

FIGURA 6 – Esempio di configurazione della sala operatoria per verificare il livello di protezione da fonti di contaminazione interna


CASE History

Concentrazione media di particelle Portata d’aria

Tipo contaminazione

Posizione

[m³/h]

Tabella 2

7800

7800

Concentrazione di particelle [p/m³] [d ≥ 0,3 μm] [d ≥ 0,5 μm]

ESTERNA

INTERNA

[d ≥ 1 μm]

TESTA

26

0

0

TORACE

9

0

0

PIEDI

486

79

18

TESTA

265

97

26

TORACE

53

18

0

PIEDI

1421

380

9

Grado di protezione in condizioni operative simulate d ≥ 0,3 μm Portata d’aria

Tipo contaminazione

Posizione

[m³/h]

Tabella 3

7800

7800

Grado di protezione [d ≥ 0,3 μm]

ESTERNA

INTERNA

TESTA

6,9

TORACE

7,4

PIEDI

5,6

TESTA

5,9

TORACE

6,5

PIEDI

5,7

[d ≥ 0,3 μm] 5,6

5,9

Grado di protezione in condizioni operative simulate d ≥ 0,5 μm Portata d’aria

Tipo contaminazione

Posizione

[m³/h]

Tabella 4

7800

7800

Grado di protezione [d ≥ 0,5 μm]

ESTERNA

INTERNA

TESTA

TORACE

PIEDI

TESTA

5,8

TORACE

6,5

PIEDI

5,2

[d ≥ 0,5 μm] –

Tipo contaminazione

Posizione

[m³/h]

Tabella 5

7800

7800

ESTERNA

INTERNA

TESTA

TORACE

PIEDI

TESTA

5,4

TORACE

PIEDI

I risultati dei test sono riassunti nelle tabelle 3, 4 e 5. I valori calcolati del fattore di protezione sono rappresentati in funzione della portata d’aria, del tipo di contaminazione e dal punto di campionamento (colonna 1, 2 e 3). Come descritto nel paragrafo precedente, la classe di protezione è pari al minimo delle misurazioni eseguite nei tre diversi punti per cui è possibile osservare come, per tutte le classi dimensionali i valori ottenuti con la portata di 7800 m³/h, il grado di protezione rimane sempre maggiore a 5 per tutti i punti e le classi dimensionali. Il carattere “-” identifica quei punti in cui non è stato possibile determinare il grado di protezione in quanto il numero di particelle misurato è pari a 0. In questo caso la presenza o meno della fonte di generazione non influisce sulla pulizia dell’aria in prossimità del tavolo operatorio. Per completezza è stato inserito anche il valore del grado di protezione medio, il quale conferma quanto osservato in precedenza.

Conclusioni

Grado di protezione [d ≥ 0,5 μm]

Risultati dei test per la determinazione della classe di protezione

5,2

Grado di protezione in condizioni operative simulate d ≥ 1 μm Portata d’aria

centrale fino al bordo del diffusore. Per consentire l’installazione dei supporti delle lampade scialitiche sono stati eliminati i passaggi di due filtri nell’anello più esterno, come rappresentato in figura 5. Le riprese sono disposte ai quattro angoli della sala, inferiormente vi sono delle griglie 600 x 304 mm e superiormente delle 305 x 305 mm. Purtroppo alla data dei test i lavori di allestimento non erano completati, per cui l’interno della sala si presentava spoglio di tutti gli arredi, dei pensili e delle lampade scialitiche.

[d ≥ 0,5 μm] –

5,4

I risultati delle misure per la determinazione del fattore di protezione, ottenuti alla portata di 7800 m³/h, sono sostanzialmente quelli prevedibili in assenza di lampade scialitiche e pensili. In queste condizioni nella zona critica, che comprende l’area che sovrasta il lettino operatorio e l’equipe chirurgica, si instaura un flusso unidirezionale con velocità compresa tra 0,4 m/s e 0,30 m/s, anche in condizioni simulate. Tali condizioni sono ottimali per la corretta pulizia della zona d’intervento. Si osserva che per validare il metodo sarà necessario ripetere tali misure con la sala operatoria allestita di tutte le strumentazioni.

#6

69


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L’evoluzione tecnologica del generatore di calore di Renato Lazzarin*

A

’50 in Italia vi è stata una rapidissima crescita degli impianti di riscaldamento a servizio dell’intero appartamento o edificio. Se però inizialmente il combustibile maggiormente diffuso era il gasolio (quando non l’olio combustibile o il carbone, come testimoniano gli annerimenti delle facciate di tanti edifici delle nostre città), in seguito, grazie alla rapida metanizzazione, il gas naturale ha cominciato a guadagnare terreno. Nei primi 20 anni di questa crescita gli impianti erano in prevalenza centralizzati, ma, a partire dagli anni ’70, è avvenuto un cambiamento di rotta e la preferenza del pubblico si è rivolta agli impianti autonomi, rivelatisi elemento di pregio dell’appartamento anche negli annunci delle agenzie immobiliari. partire dagli anni

Criticità degli impianti autonomi Sul versante dell’efficienza, della sicurezza e dell’ecologia, la diffusione di questo tipo di impianti ha però fatto aumentare gli aspetti critici dei generatori di calore. Dal punto di vista dell’efficienza l’aumento di potenza installata a parità di cubatura comportava un funzionamento normale a potenza molto ridotta, tipicamente inefficiente. In un classico condominio da 12 appartamenti, orientativamente, si passava da una potenza installata di meno di 100 kW per l’impianto centralizzato, ad oltre 300 kW come somma delle potenze dei singoli impianti autonomi. Per quanto riguarda la sicurezza venivano moltiplicati i punti di fiamma (nell’esempio di prima

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Scarsa efficienza, elevata temperatura dei fumi ed elevato eccesso d’aria sono probemi che non affliggono più i generatori di calore oggi in commercio, ormai lontani parenti delle vecchie caldaiette

Caldaia stagna a condensazione con bruciatore premiscelato per installazioni anche in esterno © Ferroli

Focus tecnologico


Focus tecnologico per 12) con un controllo labile o inesistente sulla manutenzione degli apparecchi. Infine, dal punto di vista ecologico la bassa efficienza implicava sia un maggiore consumo di combustibile a parità di servizio, ma anche rilevanti emissioni di incombusti (ossido di carbonio, particolato, idrocarburi volatili). Inoltre, ben poca attenzione era rivolta alla formazione di ossidi di azoto. L’aumento del prezzo dei combustibili, una maggiore attenzione all’ambiente, corroborata, come è giusto, da normative via via più restrittive, e, quindi, l’interesse per sistemi di combustione efficienti, sicuri e affidabili, hanno spinto i costruttori ad introdurre progressivamente miglioramenti tecnologici. Questi sono diventati tali e tanti che si può dire che il moderno generatore di calore è un apparecchio che spartisce con la vecchia caldaia solo la funzione, ma che ha per il resto ben poche somiglianze. Ma a questo punto conviene andare per ordine, considerando quale sia stata l’evoluzione del generatore di calore sui versanti dell’efficienza, della sicurezza e dell’ecologia.

Cause della scarsa efficienza Una recente indagine condotta dal Dipartimento di Fisica tecnica dell’Università di Padova relativamente alla Provincia di Padova ha identificato un rendimento medio stagionale dei generatori di calore lì installati del 73% che, combinato con un rendimento di distribuzione e di emissione di appena il 77%, produce un rendimento di sistema del 56%, valore così mediocre che non merita

FIG.1 – Esempi di superfici di scambi intensificate dal lato dei fumi

ulteriori commenti. Benché il suo impatto sul bilancio energetico nazionale sia fortissimo, il riscaldamento degli ambienti è una delle attività di minore efficienza energetica. Anche se lo sviluppo tecnologico permette ormai rendimenti stagionali assai vicini al 100%, è davvero sorprendente che la prevalenza delle sostituzioni, quando non anche nel nuovo, si rivolga ad apparecchi di tecnologia obsoleta che hanno l’unico pregio del costo iniziale più basso. I timidi requisiti richiesti dalla normativa non sono certo di aiuto per svecchiare questo parco tecnologico di milioni di generatori di calore inefficienti e spesso poco sicuri. La ridotta efficienza delle apparecchiature di combustione si manifesta in due aspetti: elevata temperatura dei fumi allo scarico al camino e elevato eccesso d’aria. La combinazione di queste due condizioni di funzionamento provoca elevate perdite di energia al camino e quindi la strada obbligata per il recupero di efficienza è nella riduzione di entrambi i valori. Il fatto è che sono condizioni dettate da esigenze reali. Problema 1

Elevata temperatura dei fumi Una temperatura adeguata dei fumi al camino impedisce le condensazioni di vapore d’acqua sia in caldaia che nella canna fumaria. La condensa è acida per il contenuto in acido

The technological evolution of the heat generator

Since the ’50s in Italy there was a rapid growth of the heating system in the service of the entire building. If, however, initially the most prevalent fuel was oil, thanks to rapid growth of methane, natural gas began to gain ground. During the first 20 years of this growth. the plants were mostly centralized, then, since the ’70s, there was a change of direction and the public’s preference was focused on the autonomous systems. In terms of efficiency, safety and ecology, the spread of such facilities has increased the critical aspects of heat generators, that with the old boiler shares only function, because apart from that they don’t look similar. Keywords: Heat generator, condensing, boiler, premix, plate exchanger

carbonico e quindi le superfici a contatto non devono temere la corrosione. Soluzione Ecco una prima innovazione: il ricorso a materiali diversi dal consueto, dall’acciaio inossidabile alle leghe di alluminio. Inoltre, il raffreddamento dei fumi richiede, pena dimensioni inaccettabili del generatore di calore, buone se non ottime capacità di scambio termico, in particolare se si tratti di caldaia da appartamento. La seconda innovazione è il ricorso a superfici di scambio incentivate in grado di realizzare elevati coefficienti di scambio termico (Fig. 1). Va ricordato poi che la temperatura adeguata dei fumi è indispensabile per indurre un sufficiente tiraggio alle canne fumarie. L’ulteriore innovazione è stata quindi il passaggio progressivo dei generatori moderni dalle caldaie cosiddette atmosferiche a quelle ad aria soffiata con prevalenza nei fumi indotta da un ventilatore. Problema 2

Elevato eccesso d’aria

L’elevato eccesso d’aria è invece finalizzato a ridurre la quota di incombusti. Come si sa, l’eccesso d’aria è la frazione di aria di combustione che supera i valori suggeriti dalle quantità strettamente necessarie alla combustione completa, la cosiddetta aria stechiometrica. La questione è illustrata molto bene dalla fig. 2, dove si vede per un ben definito generatore di calore quale sia l’influenza dell’eccesso d’aria sugli incombusti (la CO) e sull’efficienza. Per un eccesso d’aria ridotto, la quantità di incombusti è così inaccettabile da influenzare addirittura il rendimento di combustione. Per un eccesso d’aria attorno al 15% (valore valido solo per quel particolare generatore considerato) si ha una brusca riduzione della CO che prosegue poi più lentamente, mentre l’efficienza del generatore arriva al valore massimo. Da quel punto in avanti la riduzione di CO che già si è portata a livelli molto bassi è modesta, mentre il calo di rendimento si fa via

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FIG.2 – Rendimento di un generatore di calore, concentrazione di ossido di carbonio nei fumi (ppm) e tenore di O2 nei fumi

FIG.3 – Schema di un bruciatore premiscelato con iniezione di gas a monte del ventilatore (doc. Ecoflam)

via più significativo. Il problema da risolvere era come limitare gli incombusti a valori molto bassi, mantenendo un ridotto eccesso d’aria. Soluzione La soluzione è stata il bruciatore premiscelato (Fig. 3). In questo la miscela “tonante” non si forma a livello dell’ugello del bruciatore, lasciando poco tempo per l’intimo incontro fra le molecole di ossigeno e di metano, ma prima del ventilatore di alimentazione del bruciatore che provvede ad una miscelazione efficacissima di combustibile e comburente, consentendo di arrivare ad una combustione completa con limitato eccesso d’aria. Questo risultato è stato consentito dal ricorso ad adeguati materiali per il ventilatore che non producono nel funzionamento scintille per accumulo di elettricità statica. Problema 3

Efficienza stagionale e emissioni inquinanti

Se gli accorgimenti descritti consentivano un incremento rilevante dell’efficienza nominale

del generatore, restava insoluta la problematica relativa alla sua efficienza stagionale, soprattutto nelle condizioni dei generatori autonomi da appartamento. Questi sono caratterizzati da una potenza nominale esuberante rispetto alle necessità del riscaldamento ambiente e finalizzata alla produzione istantanea dell’acqua calda sanitaria. Di qui deriva un funzionamento normale fortemente parzializzato ed ottenuto nel passato con la tecnica dell’attacca-stacca (ON-OFF) che alterna accensioni e spegnimenti del bruciatore. Il raffreddamento della caldaia dopo ogni spegnimento, sia per circolazione naturale dell’aria per i generatori “atmosferici” che per i cicli di lavaggio per i generatori ad aria soffiata, implica ingenti perdite di efficienza tanto più marcata quanto più basso il fattore di carico, ossia il rapporto fra la potenza termica richiesta dall’impianto e la potenza nominale del generatore. A questo fenomeno negativo si aggiungono anche maggiori emissioni inquinanti che si manifestano nella fasi iniziali subito successive alla riaccensione.

FIG.4 – Rendimento di generatori di calore con diverso sistema di parzializzazione in funzione del fattore di carico. Si nota facilmente il rapido decadimento delle prestazioni al diminuire del fattore di carico, a cui inizialmente si è ovviato con il ricorso a bruciatori a più stadi (sono rappresentate le situazioni di due e di quattro stadi). Il beneficio ottenibile è che quando la potenza richiesta si riduce di un numero intero di stadi rispetto alla nominale, è sufficiente spegnere questi stadi per lavorare a potenza nominale e quindi con il rendimento a fattore di carico unitario

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Soluzione La soluzione di questo problema è il ricorso a sistemi di combustione modulanti, il cui requisito stringente è il mantenimento per qualsiasi potenza prodotta del corretto eccesso d’aria. Questo può essere ottenuto solo con un adeguato effetto di retroazione, per cui si riteneva necessario, in un primo tempo, il ricorso ad un sensore dell’eccesso d’aria che indicasse al ventilatore la corretta velocità in funzione della portata di gas di alimentazione, stabilita questa dalle richieste dell’ambiente. Un possibile sensore è una cella ad ossido di zirconio, il cui costo è peraltro proibitivo per generatori di taglia medio piccola. Brillante soluzione è stata quella di far variare la portata d’aria di combustione in funzione del carico. Questo induce una variazione di pressione in camera di combustione con cui regolare la portata di combustibile in modo sufficientemente accurato. Il manometro differenziale, il sensore necessario per la retroazione, ha un costo più modesto. Il risultato che si riesce ad ottenere è davvero straordinario ed è ben illustrato dalla Fig. 4 che riporta il rendimento di combustione in funzione del fattore di carico nel caso di un bruciatore monostadio ON-OFF, dove si può osservare che per un sistema modulante in continua, il rendimento non solo non diminuisce al diminuire del fattore di carico, ma addirittura aumenta. Il motivo va ricercato nel raffreddamento più efficace dei fumi a carico parziale, dato che scambiano calore con superfici dimensionate per una portata più elevata di fumi. L’ultima curva del grafico proposto è relativa ad una caldaia a condensazione con bruciatore modulante. È questo il risultato più brillante che si può raggiungere attualmente con i generatori di calore. Infatti la condensazione del vapore acqueo contenuto in tutti i prodotti della combustione che contengano idrogeno nel combustibile permette un ulteriore recupero termico che in passato era del tutto escluso (la condensazione era un fenomeno che si voleva evitare) e che fa sì che tuttora


il rendimento di combustione sia espresso con riferimento al Potere Calorifico Inferiore (quindi senza tenere conto del calore latente dei fumi). Da quest’ultima scelta deriva il risultato paradossale che la caldaia a condensazione può presentare rendimenti superiori al 100%, come si desume anche dal grafico proposto.

Le potenzialità della caldaia a condensazione con impianti ad alta temperatura La caldaia a condensazione meriterebbe una trattazione dedicata. Qui basti dire che è un’apparecchiatura in grado di raffreddare i fumi sotto il punto di rugiada, in grado così di recuperare una quota del calore latente, incrementando al tempo stesso, per il forte abbassamento dei fumi, anche la quota di calore sensibile. Per far questo non basta un apparecchio correttamente dimensionato, ma è necessario progettare l’impianto per un ritorno a bassa temperatura. Si ritiene erroneamente che l’uso corretto della caldaia a condensazione sia quindi solo con sistemi di riscaldamento a bassa temperatura, tipicamente pavimenti o soffitti radianti. Viceversa una corretta impostazione di impianti tradizionali a radiatori consente egualmente buone prestazioni, a patto di variare la portata d’acqua con il carico, scegliendo la stessa in modo da lavorare anche in condizioni nominali con un forte differenziale di temperatura fra mandata e ritorno. Per fissare le idee, anziché la classica differenza di 20°C, si potrebbe scegliere una differenza di 40°C. Questa ed altre considerazioni sull’impianto, dallo scarico delle condense alle esigenze di protezione del camino e al tiraggio esulano dal tema di questo articolo.

di sostanze nocive, in particolare di ossido di carbonio. Per quanto riguarda il controllo di fiamma, esso veniva un tempo garantito dalla fiamma pilota, fiammella perpetuamente accesa e la cui assenza imponeva la chiusura del gas, per la rapida caduta di temperatura rivelata da una termocoppia. L’eliminazione della fiamma pilota consentiva un recupero non trascurabile di efficienza del generatore e, al tempo stesso, richiedeva dei sistemi affidabili e rapidi per il controllo della presenza di fiamma. Questo è oramai quasi universalmente garantito dal sensore di fiamma a ionizzazione. Si tratta di un circuito elettrico che si chiude sulla fiamma: in assenza di questa il circuito è aperto e non può passare corrente. La ionizzazione indotta dalle elevate temperature della fiamma permette invece la chiusura del circuito. L’assenza di fiamma è in tal modo rilevata con grande tempestività. La termocoppia avrebbe avuto viceversa dei tempi di risposta non compatibili per motivi di sicurezza con il rilevante deflusso di gas di caldaie per il riscaldamento ambiente. Il possibile ristagno di gas naturale nella camera di combustione che potrebbe produrre un’esplosione all’accensione del bruciatore è evitato dal ciclo di lavaggio: nei generatori ad aria soffiata viene inviata per alcuni secondi solo aria nella camera di combustione e viene eliminata ogni presenza di gas combustibile. Per quanto riguarda la protezione degli interni riscaldati da emissioni nocive, alcuni aspetti verranno

esaminati nel successivo paragrafo. L’adozione di sistemi di combustione stagni rispetto all’ambiente riscaldato (tipo C) garantisce comunque che le eventuali sostanze nocive verranno indirizzate all’esterno. Inoltre l’aria di combustione verrà presa dall’esterno e quindi la “respirazione” del generatore di calore non entrerà in competizione con quella della persone. Quest’ultimo problema viene ovviato spesso con i fori di ventilazione, con l’avvertenza che molto spesso vengono intenzionalmente ostruiti per il flusso di aria fredda che ne deriva.

Emissioni inquinanti Le emissioni inquinanti prodotte da una combustione di gas naturale sono essenzialmente due: ossido di carbonio (CO) e ossidi di azoto (NOx). Si potrebbe anche considerare l’emissione di anidride carbonica (CO2) che, come noto, è un gas serra inevitabile che si può ridurre solo con un aumento dell’efficienza del generatore e con una riduzione dei fabbisogni termici. IL Problema dell’ossido

di carbonio (CO)

Per quanto riguarda l’ossido di carbonio si tratta certo dell’inquinante più temibile. Si osservi, dal grafico di Fig. 5, come si possa arrivare a conseguenze letali per le persone, non solo con un tenore elevato di CO nell’aria, ma anche con una presenza di pochi punti percentuali, qualora l’esposizione si prolunghi per parecchie ore, cosa che può avvenire tipicamente nel corso di una notte.

FIG.5 – Valutazione di diverse combinazioni di concentrazione di CO nell’aria e di periodo di respirazione ai fini del rischio di avvelenamento

Sicurezza La sicurezza nella conduzione di un generatore di calore presenta aspetti relativi al pericolo di scoppio per ristagno di gas per assenza di fiamma, dovuta a spegnimento accidentale e relativi all’emissione nell’ambiente riscaldato

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Soluzione La riduzione del tenore di CO si è realizzata con una migliore progettazione della camera di combustione, ma soprattutto con una scelta corretta dell’eccesso d’aria che, come si ricorderà, non è necessariamente elevato, se si ricorre a bruciatori premiscelati. Un ulteriore elemento di riduzione è l’impiego di generatori a modulazione continua, dal momento che la fase di accensione produce CO in misura molto più alta che nel funzionamento a regime. Si è ormai scesi sotto le 40 ppm, quando i valori fino a pochi anni fa erano anche 5-6 volte più elevati. IL Problema dell’ossido

di azoto (NOx)

Gli NOx erano stati inizialmente sottovalutati come inquinanti. Successivamente ci si è resi conto che sono i maggiori responsabili delle piogge acide e che, interagendo con la radiazione UV del sole, producono ossidanti fotochimici, molto irritanti per le mucose. Normative via via più severe sui limiti di emissione per installare i

FIG.7 – Barrette di materiale refrattario poste al di sopra del bruciatore per un rapido raffreddametno della fiamma FIG.8 – Sviluppo tipico di una fiamma da una testa di combustione nella forma di un dardo

FIG.6 – Andamento relativo nella produzione di ossidi di azoto in funzione della temperatura di fiamma

FIG.9 – Dettaglio di fibra metallica impiegata per le teste dei bruciatori

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FIG.10 – Immagine di una testa di un bruciatore in fibra ceramica: sono ben visibili le microfiamme


generatori in certi ambienti urbani (vedi città di Amburgo e Zurigo) e marchi di qualità come der blaue Engel (Angelo azzurro) hanno spinto i costruttori ad un impegno sempre più attento alla limitazione di tali emissioni. Ci si è presto resi conto che nella combustione di metano uno dei maggiori responsabili della formazione di NOx è l’alta temperatura della fiamma, come si può apprezzare dalla Fig. 6 che mostra come in corrispondenza a 2000°C si abbia la massima produzione di tale inquinante, che si porta invece a valori molto ridotti sotto i 1200°C. Soluzione Si trattava quindi di raffreddare rapidamente la fiamma subito dopo che si era prodotta. A questo scopo la soluzione non poteva essere un aumento dell’eccesso d’aria che, ovviamente, riduce la temperatura di fiamma, sia perché avrebbe ridotto l’efficienza di combustione sia perché la presenza di aria in forte eccesso è una causa di produzione di NOx. In un primo tempo si è provveduto a raffreddare la fiamma subito a valle del bruciatore tramite l’inserimento di barrette di materiale refrattario al di sopra del bruciatore (Fig. 7). Il provvedimento davvero decisivo per una drastica riduzione è stato la modifica radicale del bruciatore. Il bruciatore tradizionale produce una tipica fiamma a dardo (Fig. 8): solo la zona periferica del dardo trova un raffreddamento per radiazione e convezione con le pareti della camera di combustione. Nella parte centrale il nucleo della fiamma si mantiene a temperature vicine a quelle adiabatiche di fiamma per un periodo sufficientemente lungo per produrre una quantità di NOx. Bruciatori completamente diversi, prima in fibra ceramica e poi in fibra metallica (Fig. 9), hanno consentito di realizzare la combustione a tappeto di fiamma. La fiamma è in realtà costituita da milioni di microfiamme, fiamme dell’altezza media di 2 mm, che derivano dalla fuoriuscita di aria e gas premiscelati dalle porosità prodotte dalle fibre (Fig. 10). La fiamma presenta in

tal modo una grande superficie di scambio termico con le pareti della camera di combustione che viene disegnata tutto attorno alla testata del bruciatore, spesso di forma cilindrica. La temperatura della fiamma è generalmente al di sotto di 1000°C e la produzione di NOx si può portare a livelli ormai trascurabili (anche meno di 15 ppm, vale a dire 10 volte al di sotto rispetto ai limiti, ad esempio, della normativa dell’Angelo azzurro). n * Renato Lazzarin, Dipartimento di Tecnica e Gestione dei Sistemi Industriali – DTG Università di Padova

Conclusioni

Il moderno generatore di calore ha pochi punti in comune con la tradizionale caldaia, che pure è tuttora l’apparecchio con maggiori quote di mercato. Un generatore di calore premiscelato ad aria soffiata modulante a condensazione e di tipo C è un apparecchio che garantisce un funzionamento sicuro con ridottissime emissioni inquinanti e un rendimento ormai prossimo ai limiti dettati dal primo principio della termodinamica. Attorno ad esso il progettista deve progettare un sistema di riscaldamento adeguato: nessuna eccellenza nel generatore di calore può assicurare un funzionamento efficiente e sicuro se non collegato ad un impianto adeguato. L’unica possibilità per fare meglio, dal punto di vista termodinamico, nel riscaldamento degli ambienti è il ricorso alla pompa di calore.

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AiCARR informa Riflettori puntati sul 48º Convegno Internazionale AICARR

Dopo la conclusione delle prestigiose Conferenze Internazionali AICARR-IIR di Padova, è giunto il momento di concentrare l’attenzione sull’altro appuntamento internazionale AICARR per il 2011: il 48º Convegno Internazionale dal titolo “Il recupero energetico degli edifici esistenti: quali soluzioni per un sistema integrato. L’involucro, gli impianti e la regolazione”, che avrà luogo a Baveno, sul Lago Maggiore, il 22 e 23 settembre 2011. La Sessione plenaria, animata da illustri relatori internazionali, sarà seguita da un ricco programma di sessioni tecniche in cui professionisti ed aziende avranno l’opportunità di presentare impianti, macchine e componenti innovativi a un pubblico di operatori qualificati. Tutte le informazioni utili sono pubblicate sul sito, nella sezione dedicata all’evento.

Gli appuntamenti con la Scuola AICARR di Milano

Call for Papers per il 29º Convegno AICARR di Bologna

Secondo una sinergia ormai consolidata nel tempo, il 29º Convegno AICARR di Bologna si terrà il 6 ottobre prossimo nel corso di SAIE (Salone Internazionale dell’Edilizia) e Saienergia. Il tema scelto quest’anno dal Comitato Scientifico è “Verso gli edifici a energia “quasi-zero“: le tecnologie disponibili”. Un argomento particolarmente attuale, dato che il termine energia “quasi-zero” è stato introdotto dalla recente Direttiva Europea 2010/31/ UE per definire edifici a prestazioni energetiche elevatissime. Con questo Convegno, AICARR fornisce un supporto concreto alle scelte progettuali tanto per la realizzazione di nuovi edifici – che entro il 2020 dovranno rispettare appunto il requisito energia “quasi zero“ – quanto per la riqualificazione di edifici esistenti. Chi desidera partecipare al Convegno in qualità di relatore, illustrando esperienze applicative già operanti sul territorio relative a questo tema, è invitato a inviare l’abstract entro il prossimo 30 aprile attraverso il sito, sezione Convegni/Call for Papers/Invio abstract.

I molti aspetti del 28º Convegno AICARR di Padova

“Innovazione tecnologica nella climatizzazione degli edifici nuovi e ristrutturati” è il tema portante del 28º Convegno nazionale di Padova, in programma il prossimo 16 giugno, nella bella sede congressuale di Villa Ottoboni. Si tratta di un discorso articolato e di attualità, che coinvolge molteplici aspetti relativi alle caldaie a condensazione nella ristrutturazione di edifici ed impianti, la climatizzazione centralizzata con pompe di calore, i moderni sistemi di contabilizzazione dei consumi per la climatizzazione e l’acqua sanitaria. Inoltre, al convegno si parlerà anche dell’impiego di energie rinnovabili negli impianti di climatizzazione e di produzione dell’acqua calda sanitaria, di impiantistica per la climatizzazione negli edifici a basso consumo energetico e di sistemi di climatizzazione VRV con particolare riferimento alle ristrutturazioni edilizie. Particolare attenzione sarà rivolta agli aspetti normativi e alle prestazioni energetiche degli edifici relativamente alla recente norma UNI TS 11300-3 e al progetto di norma prUNI TS 11300-4.

Le informazioni e i moduli per le iscrizioni a tutti gli eventi AICARR sono pubblicati sul sito www.aicarr.org

• Progettazione di impianti di climatizzazione particolari Il tema cardine dei corsi della Scuola AICARR – la progettazione di impianti di climatizzazione – viene approfondito in quattro giornate che prendono in esame impianti di climatizzazione dalle caratteristiche peculiari. 2 maggio Impianti a soffitto radiante e a travi fredde (PR11) 3 maggio Impianti a pavimento radiante e attivazione termica della massa (PR10) 11 maggio Impianti WHLP (anello d’acqua) (PR13) 12 maggio Impianti VMC a recupero di calore (PR14) • Le centrali per la produzione di energia Le Centrali per la produzione di energia possono essere considerate come il cuore di un impianto, tanto che la conoscenza approfondita dei singoli componenti e delle regole di base per il loro corretto collegamento sono fondamentali per la riuscita di un progetto. La Scuola AICARR dedica sette giornate a questo tema. 17 maggio 18 maggio 19 maggio 25 maggio 26 maggio 8 giugno 9 giugno

Centrali termiche (CE01) Centrali e impianti idrici – Acque reflue (CE02) Trattamento acqua – Controllo legionella (CE03) Macchine e fluidi frigorigeni: fondamenti (CE04) Pompe di calore (CE05) Macchine frigorifere: applicazioni (CE06) Centrali frigorifere (CE07)

Il rinnovo della quota associativa

È scaduto il 31 marzo scorso il termine per il rinnovo dell’iscrizione ad AICARR. Affrettatevi al pagamento della quota associativa per non perdere i privilegi di Socio!


La Scuola in Pillole: scopriamo l’acqua calda!

Dal 1º marzo 2011 è in vigore l’edizione 2009 della Raccolta R che costituisce la regolamentazione tecnica sugli impianti di riscaldamento ad acqua calda. Gli impianti di riscaldamento che utilizzano acqua calda sotto pressione con temperatura non superiore a 110°C e potenza nominale massima complessiva dei focolari superiore a 35 kW rientrano, infatti, nella disciplina dettata dal D.M. 1.12.75 e devono essere progettati e messi in esercizio rispettando le specificazioni tecniche e le procedure richiamate nel decreto. Le specificazioni tecniche sono contenute appunto nella Raccolta R, aggiornata per recepire i contenuti della successiva Direttiva 97/23/CE – PED e tener conto sia di ulteriori fonti energetiche sia delle diverse tipologie di impianto di riscaldamento che si sono sviluppate dal 1975 ad oggi, nonché dell’evoluzione normativa e del progresso tecnologico in materia. La Scuola AiCARR propone sull’argomento due corsi – introduttivo e avanzato – della Scuola in pillole, indirizzati a progettisti e installatori, con lo scopo di illustrare nel dettaglio la normativa di riferimento, le novità introdotte e i nuovi modelli da utilizzare. • Corso introduttivo La Raccolta R, la modulistica, le peculiarità dei vari tipi di impianti, le procedure INAIL per l’esame progetto e il collaudo, gli errori da evitare; • Corso avanzato La prevenzione degli incidenti, gli impianti “atipici”, il confronto con la norma UNI 10412, il raccordo con le direttive Gas 2009/142/CE e PED e con il Testo unico per la sicurezza sul lavoro D. Lgs 81/2008. Gli appuntamenti con i corsi introduttivo e avanzato sono, rispettivamente al mattino e al pomeriggio, a: • Bari, 19 aprile • Milano, 7 maggio – I due corsi si terranno eccezionalmente di sabato per permettere una più agevole partecipazione • Palmanova (UD), 20 maggio • Milano, 10 giugno La Scuola AICARR è Operatore accreditato ai Servizi per la Formazione e l’Orientamento al Lavoro presso Regione Lombardia.

Strutture ricettive e progettazione sostenibile: “tutto esaurito” a Matera

Ha fatto registrare il “tutto esaurito” l’incontro tecnico sul tema “Progettazione di strutture ricettive secondo i principi della sostenibilità”, organizzato il 4 marzo scorso a Matera. L’evento, a cura della Commissione Attività Territoriali della Basilicata, ha riunito professionisti di settori diversi, ma sempre più affini perché tutti legati al sistema edificio-impianto e chiamati a contribuire alla sostenibilità del progettare e del costruire. I progettisti edili, gli ingegneri e gli architetti presenti a Matera hanno assistito alla relazione del Magnifico Rettore dello IUAV di Venezia, Prof. Arch. Amerigo Restucci, che ha aperto l’incontro focalizzando l’attenzione sul modo di costruire sostenibile nella storia dell’Architettura. Daniela Petrone, architetto libera professionista di Bari, ha quindi posto a confronto i tre protocolli della sostenibilità utilizzati nelle diverse regioni italiane – Itaca, Leed e Casaclima Nature – analizzandone affinità e differenze. L’incontro è proseguito con gli interventi di Michele Carlini, ingegnere libero professionista a Bolzano, che ha presentato i principi della progettazione sostenibile secondo il protocollo ClimaHotel e ha illustrato la concezione impiantistica del tutto innovativa applicata a una struttura alberghiera sul Lago di Garda. La giornata si è quindi conclusa con le relazioni tecnico/applicative dell’ing. Elena Busnardo di Climaveneta Spa, focalizzate sulle soluzioni ad alta efficienza per il condizionamento di strutture ricettive ad alto valore, e dell’Ing. Mauro Braga di Viessmann, incentrate sui generatori di calore ad alta efficienza per la sostenibilità degli edifici. Le relazioni presentate nel corso dell’incontro possono essere richieste dai Soci AICARR all’indirizzo nicolettabancale@aicarr.org.

Gli incontri tecnici, da Riccione a Matera

Sempre affollati e particolarmente apprezzati, gli incontri tecnici AICARR sono organizzati con il prezioso supporto dei Delegati territoriali e in collaborazione con importanti aziende del settore. I prossimi appuntamenti in programma sono: • “Climatizzazione radiante e zero energy building” Riccione, 15 aprile Visto l’indirizzo dato dalla Direttiva Europea EPBD-recast del 2010 alla progettazione di edifici a “energia quasi zero”, le possibili integrazioni dei sistemi radianti con impianti di ventilazione meccanica e con sistemi multi-energia a servizio dell’edificio sono oggi di particolare interesse. In particolare, i sistemi radianti che impiegano un fluido termovettore a temperatura moderata sono al centro di interessanti integrazioni con soluzioni impiantistiche anche alimentate da fonti rinnovabili di energia. Da queste premesse si sviluppano gli argomenti trattati nel corso dell’incontro; mantenendo salda la centralità dei sistemi radianti, gli approfondimenti proposti aprono la riflessione sui temi riguardanti l’accoppiamento di questi con sistemi impiantistici che sempre più integrano tecnologie diverse e che necessitano, quindi, di adeguate logiche di controllo. • “Sistemi e componenti per il controllo e l’evacuazione di fumo e calore in caso di incendio. Aggiornamenti normativi e tecnologici” Matera, 4 maggio Il controllo del fumo e del calore in caso di incendio è indispensabile per la salvaguardia di persone e cose. In particolare, sono ampiamente utilizzati i Sistemi di Evacuazione Fumo e Calore (SEFC) per creare zone libere da fumo al di sotto di uno strato di fumo in sospensione. È infatti dimostrato che questi sistemi, oltre ad agevolare l’evacuazione delle persone da edifici e da altri fabbricati, limitano i danni e le perdite finanziarie provocati dall’incendio, prevenendo danni da fumo e facilitando l’accesso all’edificio per gli interventi antincendio grazie al miglioramento della visibilità, riducono le temperature delle strutture portanti e del tetto e, infine, moderano il diffondersi laterale degli effluenti gassosi. L’incontro tecnico analizzerà le evoluzioni, sia normative che tecnologiche, che riguardano i SEFC, con particolare attenzione ai Sistemi per l’Evacuazione Forzata SEFFC. L’evento è realizzato con il contributo del Comitato Tecnico Sicurezza e Prevenzione Incendi. Sono in fase di realizzazione altri incontri in programma ad aprile e maggio: la locandina e il form per l’iscrizione saranno a breve disponibili sul sito.

La formazione finanziata, un’opportunità da non perdere

La formazione e l’aggiornamento professionale sono strumenti indispensabili per il successo dell’azienda e per la soddisfazione dei professionisti. In quest’ottica, un’opportunità da non perdere è rappresentata dalla formazione finanziata, che permette alle aziende, anche di piccolissime dimensioni, di formare il personale a costo zero, senza alcun onere aggiuntivo per l’azienda a parte il costo orario del lavoratore nelle ore di formazione. Ogni impresa fino al 2003 ha versato obbligatoriamente lo 0,30% dello stipendio di ciascun dipendente all’INPS per attività di formazione che solo in modo saltuario hanno trovato un concreta realizzazione. Dal 2003, attraverso una semplice iscrizione, buona parte di questa somma può essere invece indirizzata a uno dei 18 Fondi interprofessionali per la formazione continua oggi esistenti, i quali rendono effettiva la possibilità di usufruire di formazione finanziata mirata. Alle aziende che intendono fruire di finanziamenti a fondo perduto, AICARR è in grado di proporsi come ente erogatore di corsi di formazione finanziata, in quanto certificata UNI EN ISO 9001:2000, settore EA 39-37 “Organizzazione di eventi ed erogazione di corsi di formazione” inerenti il proprio settore di attività. Per tutte le informazioni su questa opportunità, vi invitiamo a consultare il nostro sito nella sezione Scuola/ Formazione finanziata.


AiCARR informa Stiamo lavorando per voi…

Il Comitato Tecnico Sanità Convegni, seminari, corsi, nuove norme. Le numerose attività di AICARR nascono da quello che può essere a tutti gli effetti considerato il “cuore” dell’Associazione: indispensabile, vitale e… non visibile dall’esterno. Si tratta delle Commissioni, aperte al contributo di tutti i Soci, ciascuna con specifici obiettivi che vanno dalla ideazione di convegni e seminari, alla programmazione e gestione delle attività di formazione, al supporto per lo sviluppo della normativa, alla produzione di letteratura tecnica, alla gestione delle relazioni nazionali e internazionali. In particolare, la Commissione Comitati Tecnici, presieduta da Matteo Bo, ha il compito di coordinare le attività dei Comitati Tecnici, focalizzati su tematiche specifiche: Efficienza e Certificazione energetica, Sicurezza e Prevenzione incendi, Qualità ambientale, Refrigerazione, Sanità. In questo numero, il Comitato Tecnico Sanità (CTS) ci viene illustrato dal suo coordinatore Sergio La Mura. «Il CTS – chiarisce La Mura – è attualmente composto da una trentina di membri, fra effettivi e corrispondenti. Al suo interno ci sono quattro gruppi di lavoro: Seminario Sanità, coordinato da me, Efficienza energetica per gli edifici ospedalieri, coordinato da Livio Mazzarella, unitamente al Comitato Efficienza e Certificazione energetica, Formazione, affidato a Livio Bongiovanni, e Impianti a contaminazione controllata per degenze speciali, coordinato da Roberto Merici». Quali sono i principali obiettivi e attività del CTS? La Mura Il Comitato Tecnico Sanità studia e discute temi di importanza scientifica e applicativa nel campo della sanità, in particolare in relazione ai sistemi HVAC&R in ambito ospedaliero, sia a livello teorico sia nelle applicazioni progettuali, ponendosi a servizio degli utenti sanitari: uffici tecnici – progettisti istallatori – gestori – costruttori. Sono dunque numerose le attività in ambito normativo e culturale che ci vedono impegnati su diversi fronti. Il CTS ha il compito di seguire a livello europeo la normativa in tema di impianti di ventilazione a contamiSergio La Mura, coordinatore del CTS, Comitato Tecnico Sanità nazione controllata, di occuparsi della redazione di una norma per il blocco operatorio che attualmente ha concluso l’iter di inchiesta pubblica UNI, di predisporre una Linea guida per la certificazione energetica in ambito ospedaliero in collaborazione con il Comitato Tecnico Efficienza e Certificazione Energetica e di delineare una linea Guida sugli impianti a contaminazione controllata per le degenze speciali. Il Comitato è inoltre sempre impegnato nell’organizzazione di corsi di formazione disegnati su misura per i tecnici del settore e nella programmazione e sviluppo di attività seminariali focalizzate su tematiche relative al settore sanitario nell’ambito HVAC. Si è da poco concluso il triennio di Presidenza 2008-2010: quali sono state le attività di maggiore rilievo realizzate in questo periodo? La Mura Siamo molto soddisfatti dell’attività seminariale che si è concretizzata nella realizzazione di ben quattro giornate seminariali di incontro e dibattito su tematiche di grande attualità, in grado di far registrare una buona affluenza di pubblico e di presentare AICARR anche agli altri professionisti del settore sanitario. Nel 2010 si sono svolti il Seminario relativo alla “Riqualificazione Impiantistica degli ospedali” e l’incontro straordinario sul tema “Impianti di ventilazione e condizionamento a contaminazione controllata per il blocco operatorio” realizzato al termine dei lavori del Gruppo sulle Norma UNI/CTI degli impianti a Contaminazione Controllata, coordinato dal Past President Cesare Taddia. Nel 2009 abbiamo organizzato

il Seminario “Energia negli ospedali: problematiche e soluzioni di ottimizzazione delle risorse” e nel 2008 la giornata seminariale di approfondimento del tema “La continuità del servizio negli impianti ospedalieri”. Sempre nel triennio 2008-2010 è proseguito all’interno del CTS il lavoro del gruppo che pubblicherà a breve le Nuove Linee Guida REHVA (Federation of European HVAC Associations) sulla prevenzione della Legionella. Che dire dei programmi del Comitato per il prossimo futuro? La Mura I Gruppi di Lavoro Efficienza energetica per gli edifici ospedalieri e Impianti a contaminazione controllata per degenze speciali produrranno entro il 2011 documenti, protocolli e guide AICARR che saranno resi disponibili per i nostri Soci. Un Gruppo di lavoro congiunto CTS/Commissione Formazione attiverà il corso per manutentori Cat. A & B come da Linee Guida sulla Manutenzione Preventiva degli Impianti. Inoltre, anche per il 2011 sono in programma il Seminario sulla sanità, che si terrà in autunno, e l’apprezzatissimo corso di base teorico-pratico “Impianti termici di climatizzazione per le strutture sanitarie”, giunto alla quinta edizione. Abbiamo infine intenzione di coordinarci con altre organizzazioni, con le quali condividiamo tematiche simili e notiamo spesso contemporaneità nelle iniziative, e prevediamo di intensificare i rapporti con le Istituzioni per offrire loro un concreto supporto tecnico/normativo, affermando nel contempo in modo più incisivo la presenza di AICARR a livello nazionale.

IMPIANTI TERMICI E DI CLIMATIZZAZIONE PER LE STRUTTURE SANITARIE Corso base teorico-pratico

Anche nel 2011 si terrà il corso base teorico-pratico “Impianti termici e di climatizzazione per le strutture sanitarie”, a cura del Comitato Tecnico Sanità AICARR. Giunto alla sua quinta edizione, il corso è dedicato agli operatori degli Uffici Tecnici delle strutture sanitarie, al personale di ASL e altre istituzioni con compiti di vigilanza e controllo e a chi si occupa di gestione e manutenzione degli impianti tecnologici in strutture ospedaliere. Il corso ha un’impostazione teorico-pratica e fornisce gli elementi essenziali di teoria e i fondamenti dei sistemi di climatizzazione e degli impianti termici e di preparazione di acqua calda sanitaria in ambiente ospedaliero. Strutturato in due moduli di due giornate ciascuno per complessive 32 ore di lezione, offre nozioni di base utili per la valutazione delle varie tipologie impiantistiche, di cui analizza caratteristiche e peculiarità, e per l’individuazione delle soluzioni più opportune in relazione alle specifiche esigenze. Oltre alla teoria delle caratteristiche dei sistemi di climatizzazione, vengono affrontati argomenti legati al collaudo, alla manutenzione, alla scelta e alla gestione dei sistemi. Il percorso formativo affronta gli aspetti essenziali de: i fondamenti della climatizzazione – i requisiti igienico-sanitari – le caratteristiche dei componenti degli impianti – le necessità e l’importanza dell’igiene nei sistemi aeraulici – schemi e procedure per ridurre i rischi connessi al funzionamento degli impianti – le centrali di produzione di energia – le procedure per la verifica e il collaudo delle prestazioni le procedure di manutenzione e di controllo – criteri per il risparmio energetico. Vengono inoltre illustrati casi tipici e di studio. Le date del corso saranno comunicate a breve sul sito AICARR.


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AiCARR JOURNAL # 6 – 2011 – RISPARMIO ENERGETICO NELLE STRUTTURE SANITARIE

Organo Ufficiale AiCARR

AnnO 2 marzo 2011


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