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l’età dei mutaforma . giorgio giorgetti
l’età dei mutaforma
Nessuno vuole cambiare, ma la vita ci cambia. A volte lo fa con uno tsunami, altre con pioggerelline leggere leggere, quasi ad avvertire che da una stagione dell’esistenza si transita in un’altra. Opporsi al cambio di clima, di cielo, d’atmosfera non è mai una grande idea. In natura, chi rifiuta di adattarsi muore.
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Io sono nato nel 1961, ai tempi in cui esisteva un solo canale Rai e la tivù vociava la sua realtà in uno sgranato bianco e nero. C’era Carosello, c’erano le infinite mosche nelle case dei contadini che frequentavo quando stavo dai nonni, c’erano i giochi in mezzo a strade semideserte. Eravamo i padroni del mondo, io e le mosche campagnole. Chi non avrebbe mai voluto che tutto restasse così per sempre? Ci penso ancora, sai? A quei tempi che desideravo immutabili, tanto è forte anche in me la resistenza a cambiare, ad aggrapparmi a qualcosa di piacevole, sicuro e noto.
Sono trascorsi 60 anni e a 50 ho fatto una grande scoperta: io non sono ciò che faccio. La nostalgia la provavo per il paesaggio intorno, che avrei voluto immutabile. Ma io ero già mutato. Non avevo fatto altro che mutare, giorno dopo giorno, come quei serpenti che fanno la muta e perdono la vecchia pelle. Avevo fatto per una vita l’unica cosa in cui mi specchiavo: il giornalista. L’avevo immaginato ai tempi delle mosche e delle campagne, delle voraci letture dai nonni, alla fine della scuola; non avevo sognato altro. Non avevo fatto altro. Credo di essere ciò che facevo ma, come ho scritto, alla fine mi sono accorto dell’errore.
La gente fa ipotesi ordinarie, sul mio cambio di rotta: da giornalista professionista a chef a domicilio. Avevi questo grande sogno nel cassetto, ipotizzano, e alla fine l’hai colto! Hai atteso il momento giusto per vivere davvero ciò che desideravi? Non riesco mai a rispondere, a queste domande. Temo sempre di creare disillusioni, di spezzare - negli altri - la fede in una vita in cui si deve lottare per un personale coming out: la casalinga che diventa scrittrice, l’avvocato che si trasforma in viticoltore. Il giornalista che finalmente molla la penna per una padella. Il mondo, si sa, ha bisogno di eroi.
La verità è che sono diventato personal chef perché io ero cambiato. Perché non volevo più fare il giornalista come ero costretto a farlo e, soprattutto, perché avevo disimparato a farlo bene, dopo anni in cui dovevo farlo troppo male. Quindi, ormai già dieci anni fa, durante un ultimo tsunami professionale, presi un pezzo di carta e una biro, per annotare ciò che sapevo fare per guadagnarmi da vivere. Sapevo cucinare. Avrei potuto imparare a farlo meglio. Avrei potuto vivere di quello. Avrei potuto riversare la mia esperienza nelle interviste, nelle indagini, nelle ricerche per capire quali fossero i veri desideri e i gusti autentici dei miei clienti. Sarei potuto diventare il loro cuoco personale, ciò che nessun ristorante poteva loro offrire.
Oggi ripenso ai tempi in cui mi guadagnavo la vita scrivendo. Ci ripenso come alle strade semideserte, alla tivù in bianco e nero, alle mosche che tormentavano le case dei contadini… Credevo di essere quel che facevo. Ho scoperto che anche il fare, durante il vivere, non è che un contorno, un paesaggio. E che ogni istante è l’età giusta per mutare forma. Che non significa mutare essenza. Ma, se anche lo fosse, che male ci sarebbe? Io sono io e sono ancora vivo, in barba alle mosche che, a differenza di me, non dominano più il mondo come prima.
Giorgio Giorgetti
A vent’anni, a Milano, il mio grande sogno era di vivere in un’isola greca con una giapponese. Trent’anni dopo la vita ha scelto per me la Sardegna, e ha scelto bene.
Giovanni Bernuzzi
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Il viaggio di una vita alla ricerca di verità e bellezza, narrato con amore in uno stile semplice e trasparente, libero.
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