Agli amati genitori dell’autrice di questo volume e alla loro adorata nipote Elisa, la mia “bambina” Enrica Mariateresa
In copertina: Girotondo, 1941 Quarta di copertina: Facciata del preventorio Opai di Olgiate Olona,1920
Comune di Olgiate Olona
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Stampa: Punto Marte Progetto grafico: Davide Niglia
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ENR I C A MA R IATE R ESA F E R R AZZI
La Casa dei bambini in Villa Gonzaga a Olgiate Olona Storia del primo preventorio antitubercolare infantile italiano
ARCHIV IO FOTOGRAFICO ITALIANO
PRESENTAZIONE Olgiate Olona - sita geomorfologicamente nella parte terminale del Medio Olona, nell’Altomilanese dell’area metropolitana lombarda - è strutturata in tre rioni. Il nucleo originario di origine romana posto sul crinale della valle, denominato Centro, sede della Pieve ecclesiastica sino al 1583 e della Pieve civile sino al 1785, ha quali elementi cardine la Prepositurale antica Collegiata Santi Stefano e Lorenzo e il complesso monumentale di Villa Gonzaga, divenuto nel Novecento il primo preventorio antitubercolare infantile d’Italia con l’Opera di prevenzione antitubercolare infantile (Opai), che ora accoglie uffici comunali, scuole primarie e altri servizi in un grande parco. Gli altri due rioni sono nati con lo sviluppo industriale del ‘900: il Buon Gesù, configuratosi nel periodo tra le due guerre; il Gerbone, delineato nel secondo dopoguerra. La pubblicazione di questo volume avvicina la più recente contemporaneità a un percorso di ricerca storica e indirizzo intellettuale in continuità con altri numerosi libri sulla Storia di Olgiate Olona realizzati negli ultimi anni. Mi riferisco in particolare a: - “Olgiate Olona e la sua Pieve” di Eugenio Cazzani, del 1985, che parte dall’età preromana sino alla costituzione della Parrocchia San Giuseppe del “Buon Gesù” e quella di San Giovanni Bosco al “Gerbone”; - “Il Medio Olona” di Vittorio Introini e Pierluigi Zibetti, del 1998, che ha dato identità intellettuale al Medio Olona e lo ha inserito nell’evoluzione storica europea evocando i punti cruciali: dalla presenza del fiume alla centuriazione romana, Milano capitale imperiale, il cristianesimo con i segni di fede e di potere lasciati sul territorio, la Pieve, il mondo contadino, il ruolo di San Carlo principe e vescovo che ha delineato buona parte delle scelte strategiche di sviluppo nel nord Italia per centinaia di anni, il feudalesimo, i possidenti terrieri ed i nobili concentrati a Milano, ma in Lombardia disseminati nelle loro dimore adibite sia a villeggiatura, sia a centro nevralgico di interessi e fortune economiche; - “Storia della prepositurale Santi Stefano e Lorenzo martiri di Olgiate Olona e storie inedite del populus olgiatensis”, di Alberto Colombo, del 2012, che amplia e aggiorna pubblicazioni precedenti sino ad affrontare in maniera inedita anche l’Ottocento e il primo Novecento con la trasformazione dal mondo agricolo a quello industriale, i mezzadri, i contadini, i fattori che in alcuni casi divengono anche sindaci rappresentando sia la comunità che i proprietari latifondisti, i primi segni dell’industrializzazione, la nuova borghesia prima a fianco dei nobili, poi l’affrancamento dagli stessi con il primato della produzione industriale. Questo volume, attraverso un’analisi meticolosa sulla presenza dell’Opai in Villa Gonzaga, fornisce la base storica per lo sviluppo futuro della comunità come “Città dei bambini”, il cui centro identificativo non può che essere il complesso monumentale di “Villa Gonzaga”. Olgiate Olona con la sua storia ha tutti i titoli per realizzare tale progetto che deve essere fondato tenendo conto delle scelte che gli olgiatesi hanno compiuto nel corso di decenni delineando la propria identità. La presenza sul territorio dell’Opai - nata a Milano nel 1914, sicché questo volume vede la luce anche in occasione del centenario della genesi di tale Opera - è un tassello storico consistente della società, della politica, dell’economia e del costume del nostro Paese. Trattando la storia dell’Opai, il libro guarda la Storia che non può essere divisa tra locale e generale, allargando gli orizzonti a tutta l’Italia. Villa Gonzaga - che dal 1918 al 1976 accolse, curò ed educò contemporaneamente fino a seicento bambini in età compresa tra zero e sedici anni - è il luogo simbolo su cui fondare il progetto “Città dei bambini”. Un luogo rappresentativo dei mutamenti economici e sociali: nel passato dimora per pochi privilegiati, nel secolo scorso ambiente di cure sanitarie ed educative per bambini, oggi casa -5-
di tutti i cittadini (municipio) e per l’offerta di servizi per la collettività a livello educativo (scuole), culturale (biblioteca e teatrino), tempo libero e sport (parco e pista di atletica). La pubblicazione è rigorosa nell’esporre vicende, fatti, aneddoti, collegando la storia generale con la microstoria, oltre a contenere contribuiti raccolti con precisione filologica e storica dalla dottoressa Enrica Ferrazzi. L’autrice ha proceduto con pazienza, affidandoci i risultati delle sue ricerche e ogni pagina è una scoperta, una memoria che ci presenta l’immagine di una rete solidaristica che deve essere d’esempio, rappresentando il procedere verso un futuro sempre più aperto all’idea di partecipazione. Queste pagine alimentano in noi una certezza: nulla va perduto né della Storia dei singoli né della Storia di una comunità se vi è chi la studia e la propone agli altri, unica strada percorribile per rendere l’uomo in grado di vivere consapevolmente il proprio tempo. Concludo con un invito a guardare, conoscere e apprezzare la Storia delle comunità locali: come nel caso dell’Opai, è anche un pezzo della Storia d’Italia. E a guardare al futuro positivamente sulla scia dei pensieri della poetessa Ada Negri che nel 1922, dopo una visita in Villa Gonzaga, così scriveva: «Dove prima viveva in mollezza di fausto gaudioso la famiglia di secolare nobiltà, entra ora a fiotti la piccola umanità dal sangue povero, venuta dal vicolo, dalla soffitta, dal retro bottega. Bimbi nati da genitori che la cattiva nutrizione, l’aria viziata degli opifici e delle case-alveari resero tubercolotici, troveranno nel campestre libero soggiorno la necessaria resistenza fisica per affrontare la vita. [...] Per l’Opera, in denaro, in roba, in lavoro, molto da molti fu dato. [...] Quando io vidi Villa Gonzaga per la prima volta, il tardo autunno la circondava dì un’aurea ma desolata magnificenza di foglie morte. Ora la precoce primavera chiama al sole primule e mammole, gonfia le gemme e rinnova nei frutteti il miracoloso biancoroseo della fioritura. Penso alle primavere che verranno». Guardando con gli occhi dei bambini e dei ragazzi Olgiate Olona e Villa Gonzaga, pensiamo positivamente alle primavere che verranno. Dott. arch. Giorgio Volpi Sindaco del Comune di Olgiate Olona
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L’eloquenza della fotografia, la soggettività della realtà
Quando ho avuto tra le mani le immagini ritrovate, come nei più bei racconti, che documentano una fase storica legata al territorio, ma di universale valore, mi sono chiesto quanto sia eloquente la fotografia nel riportare alla memoria scorci di storia, ma anche quanto lo sguardo e la sensibilità del fotografo incida e condizioni le scelte finali della narrazione, in apparenza semplice, ma nel contempo frutto di una elaborazione personale dettata dall’esperienza, che pone dei quesiti circa la veridicità della fotografia e la soggettività del fotografo che l’ha scattata, che l’ha composta, che ha scelto come rappresentare quella scena. Pensando al fondo fotografico OPAI, ritengo che il patrimonio rinvenuto possa contribuire alla ricostruzione di un periodo storico in cui la sensibilità e l’impegno di alcuni, restituivano valore all’esistenza di infanti colti da malattie e orfani lasciati all’oblio, offrendo loro una opportunità di riscatto, o perlomeno una sorta di responsabilità etica nell’affrontare le strade della vita con maggiore consapevolezza e dignità. Facendo scorrere le immagini, oltre ai momenti celebrativi, che consentono di intuire le pratiche e le usanze dell’epoca, vi è una serie di ritratti singoli che mi hanno particolarmente colpito. Mi sono più volte soffermato ad osservare le espressioni di ogni singolo individuo, le ho accostate per cercare un probabile dialogo, le ho girate più volte pensando di poter vedere anche sul retro le loro vicende, rassegnandomi infine alla bidimensionalità, trovando tuttavia dei nessi che si fanno relazioni. Tristezze, malinconie, afflizioni, gioie, sono alcune delle sensazioni che le immagini rappresentano, perché nello sguardo sta la nostra condizione sociale, e nel porsi la nostra reale volontà di mostrarsi, scegliendo cosa far affiorare, pur nella semplicità e genuinità dell’infanzia. Emozioni che imprigionano stati d’animo, che coinvolgono la sfera percettiva di chi vuole andare oltre l’usuale semplicità di un pezzetto di carta stampata, per addentrarsi in una più complessa profondità psicologica, superando quell’approccio superficiale dettato dall’immaginario collettivo, perché probabili correlazioni si tramutino in esplorazioni, favorendo la ricerca di nuovi scenari conoscitivi, da cui partire per una riflessione sul valore della fotografia e di quello che rappresenta, oltre la storia. Una dimensione evocativa finalizzata a stabilire attraverso la fotografia un rapporto tra passato e presente, per rinvenire punti di convergenza e di comparazione. L’ordinario, che diventa straordinario, mette al centro gli inganni della percezione, che mutano a seconda della nostra conoscenza, dentro i labirinti della visione. Non vi sono immagini più importanti delle altre, ma uomini più sensibili di altri, così avviene anche nell’arte, quando sa stimolare stimola reazioni, offrendoci l’opportunità di entrare nella mente dell’artista attraverso il gesto e l’idea, e non solo la tecnica. Così è la fotografia, concede a tutti di addentrarsi nel mondo attraverso il meccanismo dello sguardo, come riflesso delle vicende personali, con una forte valenza simbolica quando è la qualità pensosa ad emergere. L’Archivio, dunque, diventa quaderno di esperienze e conoscenze, segno tangibile di storie di vita e di esistenze nella sfera privata e in quella pubblica, valore intimo e racconto fluido, che -9-
da tacita testimonianza indaga schegge di storia con diverse modalità interpretative, lasciando al lettore la facoltà di uscire da una cornice imposta per cogliere i mutamenti incessanti della società. Il processo cognitivo impegna così gli addetti del settore, ma anche i cultori e gli studiosi, che devono rapportarsi con le nuove tecnologie adeguando i sistemi tradizionali all’innovazione tecnica, preservando un’ identità autentica capace però di dialogare con le nuove generazioni. Ma un Archivio è anche custodia ed esercizio di cultura, elementi non circoscrivibili al mero salvataggio delle immagini, ma finalizzati a favorire un dialogo tra la fotografia e le altre discipline intellettuali e artistiche, tra la comunicazione didattica e lo studio, la critica e le idee, l’informazione e le devianze strumentali della comunicazione visiva della nostra storia, recente e passata. Un concetto che si riassume nell’idea di cultura fotografica, che fa della informazione visuale una esperienza rilevante per la collettività, in cui rientra l’identità e la sfera affettiva, ma anche la testimonianza documentale e interpretativa della società odierna, con tutte le contraddizioni che la identifica. Resteremo incantati tra decenni rivedendo le immagini scattate oggi? Una domanda difficile che è posta anche in altri ambiti, come l’architettura e l’arte. Dobbiamo solo aspettare, forse non saremo noi a gustarne gli sviluppi, divenendo impronte del tempo, ma dobbiamo impegnarci per lasciare un bagaglio di conoscenze affinché, chi verrà dopo di noi, potrà farsi un’idea del nostro transito, trovando degli spunti di riflessione sul nostro operato, lasciando che la bellezza delle cose sia un dono prezioso da conservare, come quelle che abbiamo avuto la fortuna di trovare noi, entusiasmandoci guardando un pezzo di carta in attesa da cent’anni. Samarate, 23 agosto 2013 Claudio Argentiero Presidente Archivio Fotografico Italiano
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Introduzione Alcuni anni fa, in una delle soffitte di Villa Gonzaga, attuale sede del Comune di Olgiate Olona, è fortuitamente venuto alla luce materiale prezioso: indubbiamente, il suo valore non è da quantificarsi da un punto di vista economico, ma piuttosto umano e sociale. Si trattava di libri, vecchi registri, veline scolorite dal tempo, cartelle cliniche ingiallite appartenenti all’Opera di prevenzione antitubercolare infantile (Opai), una struttura assistenziale che per gran parte del Novecento ha avuto sede proprio nella villa olgiatese già dimora dei principi Gonzaga. Le ricerche condotte in questi anni, ci hanno consentito di appurare che il materiale rinvenuto in quella soffitta era quanto rimaneva dell’archivio dell’Opera, in gran parte andato distrutto nel 1943 durante uno dei bombardamenti che colpì la città di Milano, in parte danneggiato durante gli anni Settanta del Novecento a causa di un allagamento dei locali in cui tale materiale era conservato a Olgiate Olona. Era come se un destino avverso si fosse opposto a che la storia dell’Opai potesse essere tramandata: da qui il desiderio di provare a riportare alla luce quel passato, a scoprire chi si celasse dietro quel cumulo informe di documenti dimenticati dalla Storia e dagli uomini. Il recupero e l’interpretazione di tale materiale è stato lento e laborioso, vuoi per lo stato di conservazione in cui versava, vuoi per la difficoltà di raccogliere e far combaciare le informazioni che a mano a mano andavano emergendo. Ancor più arduo è stato trovare altrove notizie su quella che era stata la vita del preventorio di Olgiate Olona, così come raccogliere testimonianze, sia per il trascorrere degli anni che inevitabilmente offusca la memoria, sia perché l’esigenza di tutelare la precaria salute dei bambini ricoverati da qualsiasi possibilità di trasmissione di virus o infezioni aveva fatto sì che l’Opai di Olgiate Olona si presentasse come una sorta di “cittadella fortificata” all’interno del paese, pur non totalmente avulsa dalla comunità locale, anzi volano di positive ricadute economiche e lavorative a vantaggio di questa ultima. Alle migliaia di bambini accolti, Villa Gonzaga - resa dall’Opai “Casa dei bambini” e primo preventorio antitubercolare infantile d’Italia - garantì quattro mura domestiche, migliori e più vivaci di quelle natie, e non solo una quotidianità animata da personale dotato di tanta professionalità e di altrettanta abnegazione, ma anche crescita umana accompagnata da cure sanitarie e da un’offerta educativa moderna, certamente più avanzata di quella reperibile oltre i confini della struttura, a cominciare da Olgiate Olona. Baliatico, asilo, progetto pedagogico, scuola all’aperto, elioterapia, idroterapia, reparti degenza, attività culturali e ricreative, significativa presenza religiosa, scuola di agraria e podere, formazione propedeutica all’attività lavorativa... : tutto ciò e molto altro ancora è stato e ha significato l’Opai a Olgiate Olona per quasi sei decenni del Novecento. Attraverso un lungo lavoro di ricerca di documenti e testimonianze, di ricostruzione, di interviste ai testimoni, è stato possibile dare alle stampe questo lavoro, sicuramente non esaustivo di tutto ciò che l’Opai ha rappresentato per la storia della medicina, per la vita di migliaia di giovani, per Milano e soprattutto per Olgiate Olona. Un percorso della memoria, dunque, intrapreso nel tentativo di consentire agli Olgiatesi di riappropriarsi di una parte importante della propria Storia, e agli Italiani di riscoprire il valore di uomini e donne che, animati da un grande ideale umanitario, in tempi di grandi difficoltà economiche e sociali, riuscirono a dare vita ai loro sogni, salvando la vita di migliaia di bambini. Dare conto della nascita e dello sviluppo dell’Opera di prevenzione antitubercolare infantile significa ripercorrere quasi un secolo di storia, incontrarsi con figure autorevoli, ma anche con personaggi considerati marginali e trascurati dalla storiografia ufficiale, con l’attività di tanti uomini e donne animati “dall’idea incrollabile di far del bene” e che dovettero lottare non poco per imporre concetti nuovi, vincere apatie, abitudini, indifferenza, soffocando talora anche qualche palese malevolenza. Questo volume racconta i tentativi, le aspirazioni, le speranze, - 13 -
le delusioni provate e i successi conseguiti da uno sparuto gruppetto di volontari, medici e non, che tentarono di sconfiggere la tubercolosi e, soprattutto, di creare una coscienza antitubercolare attraverso un’intensa opera di propaganda sociale, non limitando la loro opera a una prestazione occasionale dovuta a senso di altruismo, ma, piuttosto, offrendo una collaborazione costante, spesso misconosciuta, tra l’indifferenza e l’apatia generale. È la storia di alcuni uomini e donne della Milano di inizio Novecento, accomunati dalla convinzione che l’unico modo per salvare migliaia di bambini dal rischio di contrarre la tubercolosi fosse allontanarli dalle famiglie a rischio. “Prevenire per non morire”: questo, in sintesi, il loro motto. Si tratta di personaggi che oggi sono solo ombre, ma che con il loro operato testimoniano come il progresso dell’umanità sia sempre il risultato di contributi infiniti, tutti validi e necessari, seppur in vario grado, in quanto concorrono a trasmettere una scintilla di bontà e di sapere. A guidare questa piccola pattuglia di persone piene di entusiasmo e di buona volontà fu una donna, Clotilde Perelli Minetti, coniugata Cavalli, che, facendo tesoro della sua esperienza di crocerossina, aveva iniziato a prestare assistenza nel primo tubercolosario milanese sorto in via Bergamini. Capace di costruire strategie a vantaggio del proprio progetto assistenziale, coraggiosa per istinto e sensibile per natura, attenta a tutto quanto di nuovo andava maturando e pronta a registrarne gli sviluppi e a coglierne le possibilità, Clotilde Cavalli riuscì a coinvolgere nella sua battaglia non solo amici e familiari, ma anche autorevoli medici come Luigi Mangiagalli (luminare della medicina, senatore, sindaco di Milano: impartì il crisma della scienza al progetto); esponenti della filantropia milanese laica e illuminata, come l’industriale Piero Preda (donò all’Opai l’ex villa dei principi Gonzaga); esponenti dell’aristocrazia e della borghesia imprenditoriale ambrosiana, in primis i duchi Uberto e Marianna Visconti di Modrone; rappresentanti del mondo politico; esponenti di spicco della cultura nazionale quali Gabriele D’Annunzio, Ada Negri, Margherita Sarfatti; giornalisti e intellettuali come Renato Simoni, Innocenzo Cappa, Mario Sanvito; per non tralasciare artisti di fama internazionale: il pittore Antonio Alciati, considerato dall’alta borghesia milanese fra i migliori ritrattisti del suo tempo, l’orafo-scultore e gioielliere Alfredo Ravasco, l’artista del ferro battuto Liberty Alessandro Mazzucotelli, lo scultore Giannino Castiglioni, il pittore e scenografo del Teatro alla Scala di Milano Antonio Rovescalli, Luigi Sapelli (il “Caramba della Scala”), l’illustratore del Corriere dei Piccoli Antonio Rubino, e così via. La stessa famiglia Savoia e Benito Mussolini ebbero ripetute occasioni di dimostrare il loro appoggio alla causa dell’Opai e persino la loro presenza a qualche cerimonia. L’intuito e la capacità di Clotilde Cavalli di progettare un intervento assistenziale a largo raggio e di coagulare intorno a tale progetto forze e interesse, inserendolo in un più vasto tessuto culturale e politico, le consentirono di raggiungere risultati che ancora oggi, a distanza di cento anni, sembrano rasentare l’impossibile. Si iniziò raccogliendo pochi bambini - provenienti da famiglie dove erano presenti malati di tubercolosi - dati a balia a sane nutrici di campagna. Col tempo si decise di aprire un asilo dove raccogliere questi fanciulli, per poter esercitare maggiori controlli sulla loro salute: nacque così l’Asilo Gigino a Biassono, che, però, ben presto si rivelò inadeguato per soddisfare tutte le richieste di assistenza. Ed ecco che si compì il miracolo: un industriale milanese, Piero Preda, donò all’Opai la grandiosa Villa di Olgiate Olona che era stata la casa di villeggiatura di molti nobili, tra cui le famiglie Greppi e Gonzaga. Nacque così la “Casa dei bambini di Olgiate Olona”, nota anche come “Istituto Lombardo dell’Opera di Prevenzione Antitubercolare Infantile”, che nel 1920 Gabriele D’Annunzio, con il suo fantasioso stile, definì “la vecchia villa lombarda dei Gonzaga che s’è candidata alla salute”: la prima istituzione a livello internazionale destinata alla prevenzione della tubercolosi in età infantile.
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Nel corso della presente ricerca, mi sono trovata a utilizzare fonti e materiali documentari importanti, senza ombra di dubbio spesso inediti: da qui la scelta di riprodurli talora in forma quasi integrale, nel tentativo di fornire un quadro esaustivo di avvenimenti su cui nulla è mai stato scritto prima. Al contrario alcuni periodi della storia analizzata sono lacunosi, ma in assenza di documenti ufficiali, ho preferito evitare supposizioni o congetture che non potessero essere verificate. Al momento di prendere congedo da questo volume, desidero esprimere la mia profonda gratitudine a tutti coloro che, con il loro aiuto, hanno reso meno faticose le mie ricerche e il mio lavoro: nell’impossibilità di ricordare tutti, non posso trascurare di nominare Paola Negrelli, Lucia Barbarotta, Laura Testa, Debora Introcaso, Enrico Sassi per l’aiuto prestatomi nella ricerca e catalogazione di dati e materiali; Giordano Castiglioni per aver voluto condividere preziosi documenti fotografici raccolti in anni di appassionata ricerca; i funzionari e il personale degli Archivi di Stato di Varese, Como, Milano, nonché degli archivi e biblioteche del Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera, della Fondazione Fiera Milano e della Biblioteca civica “Pietro Ceretti” di Verbania, la cui cordiale e competente disponibilità ha contribuito non poco al felice esito delle mie ricerche. Ringrazio sentitamente tutti coloro che si sono resi disponibili ad arricchire questo volume con le loro testimonianze su tempi, luoghi, comportamenti, relazioni, odori, sapori, proponendo spaccati di una vita vissuta, alcune volte nascosta in un angolo della memoria ma mai dimenticata: spesso il loro racconto è stato interrotto dalle lacrime, nel ricordare quel passato che talora era stato interpretato come un “abbandono” da parte delle famiglie di appartenenza, ma che il trascorrere del tempo ha aiutato a metabolizzare e comprendere. Un grazie di cuore al dottor Alberto Colombo, autore di cinque interessanti volumi sulla Storia di Olgiate Olona, per l’aiuto nelle ricerche condotte nell’Archivio della Prepositurale antica Collegiata Santi Stefano e Lorenzo di Olgiate Olona, nonché per i suggerimenti pratici che mi sono stati preziosi per portare a termine questo volume; alla dottoressa Alfiuccia Musumeci dell’Archivio Fotografico Italiano per le tante parole di incoraggiamento; a Davide Niglia per la pazienza dimostrata in fase di elaborazione grafica. Dedico un pensiero speciale a Clara Brusasca, nipote di Clotilde e Carlo Cavalli, per il fondamentale contributo fornito nella ricostruzione delle vicende dell’Opai, resa possibile grazie all’apertura delle porte della sua casa e del suo cuore, alla riscoperta di preziosi ricordi. Un significativo ringraziamento al cavalier Vittorio Lazzarotto, benefattore di questo volume, che ancora un volta, con la sua generosità, ha dimostrato esemplare affezione e interessamento verso la città e la comunità di Olgiate Olona. Il “grazie” più affettuoso va alla mia famiglia, senza la cui disponibilità questo lavoro non avrebbe visto la luce, sia per la pazienza mostrata nel sopportare i piccoli disagi che il mio impegno ha talora imposto, sia per l’aiuto prezioso nel lavoro di ricerca, recupero e catalogazione del materiale fotografico e documentale. Olgiate Olona, 22 luglio 2013
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Enrica Mariateresa Ferrazzi
Capitolo Primo
LA TUBERCOLOSI NELL’ITALIA DI INIZIO NOVECENTO: PRIME INIZIATIVE DI CURA E PROFILASSI
TUBERCOLOSI: UNA VECCHIA MALATTIA ANCORA NUOVA La tubercolosi (d’ora in avanti anche Tbc) ha rappresentato per molto tempo la principale causa di morte in Italia, soprattutto sul finire del 1800, allorché i lavoratori dei campi si trasferivano per cercare lavoro nelle città, concentrandosi spesso nelle periferie sovraffollate, mancanti delle più elementari misure igieniche, in condizioni di alimentazione scarsa o inadeguata, nell’assenza quasi totale di principi di sanità pubblica1. Queste situazioni agevolavano infatti il contagio attraverso le goccioline di saliva emesse con starnuti, colpi di tosse e fonazione. Solo nel ventesimo secolo il progressivo miglioramento delle condizioni socio- economiche e nutrizionali, la diminuzione dell’indice di sovraffollamento abitativo, la maggior attenzione alle malattie professionali e alla salubrità dei posti di lavoro, nonché un rapido progresso dei mezzi di prevenzione e profilassi, portarono a una sensibile riduzione della mortalità per Tbc, tanto che nel 1964 Selman Abraham Waksman2, scopritore del primo farmaco antitubercolare (la streptomicina), così scriveva: «La vecchia nemica dell’umanità, conosciuta come tisi, la grande peste bianca, tubercolosi, o qualsivoglia altro nome, sta per essere ridotta ad un problema irrilevante per l’uomo. Il futuro è invero brillante, e la completa eradicazione di questa malattia è ormai all’orizzonte»3. Purtroppo, a dispetto di quanto affermato da Waksman, a distanza di cinquant’anni, la tubercolosi non è affatto debellata e continua a essere una delle più importanti cause di mortalità al mondo, tanto che nel 1993 la tubercolosi è stata dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità “emergenza globale” per l’enorme carico sanitario, economico e sociale che comporta4. Non sembrerà dunque anacronistico parlare oggi di Tbc, dando conto di uno dei primi e più longevi tentativi di intervento profilattico contro la tubercolosi, rivolto precipuamente al mondo dell’infanzia: l’Opai, il primo preventorio antitubercolare infantile italiano. Illustrare la sua genesi ci permetterà di evidenziare il reticolo sociale che ne fu organizzatore e instancabile promotore: un viaggio virtuale che consentirà di riscoprire un mondo in gran parte scomparso, per lo più sconosciuto, anche se la malinconia per luoghi e realtà che non esistono più lascia posto all’ammirazione per gli slanci di generosità, per l’azione corale di bene di cui allora si fu capaci. MILANO, PARADIGMA DELLA LOTTA ALLA TUBERCOLOSI AGLI INIZI DEL NOVECENTO Nel periodo a cavallo tra fine Ottocento e inizi Novecento, Milano si presentava come il prototipo del centro urbano di quei tempi, in cui si assisteva a una «assidua interferenza fra i fattori benefici (progresso tecnico, culturale, igienico) ed i malefici, raggruppati sotto la nota formula dell’Urbanesimo-industrialismo [...]. Una vera lotta fra i due principi del bene e del 1 Si veda: BATES Joseph, STEAD William, The History of Tuberculosis as a Global Epidemic, Medical Clinics of North America, 1993, Vol. 77. 2 Nel 1943 Selman Abraham Waksman, biochimico e microbiologo russo naturalizzato americano, premio Nobel per la medicina nel 1952, scoprì che l’antibiotico streptomicina era efficace contro il Mycobacterium tuberculosis, agente eziologico della tubercolosi, fornendo così le basi per la farmacologia della tubercolosi. 3 Cfr.: WAKSMAN Selman, The conquest of tuberculosis, University of California Press, Berkeley and Los Angeles, 1964. 4 Annualmente vengono segnalati nel mondo più di 8 milioni di nuovi casi di Tbc, con 1,4 milioni di decessi, per lo più nei Paesi in via di sviluppo (Africa e Asia sud-orientale). Cfr.: Global tuberculosis report 2012 in www.who.int/tb/publications/ global_report/en/index.html.
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male: la città cerca di difendersi contro la malattia che ha le proprie radici e le proprie ragioni di vita della città medesima»5. Questa osservazione del dottor Guido Salvini6, rappresenta perfettamente la dicotomia entro cui si muoveva il capoluogo lombardo. Da un lato l’aumento lento ma costante della popolazione, abbinato al peggioramento delle condizioni di vita nelle campagne, aveva contribuito ad acuire i problemi igienico-sanitari di Milano, portandoli sempre più frequentemente all’attenzione del Comune e dell’opinione pubblica: accanto ai quartieri borghesi e aristocratici, erano presenti, infatti, zone più degradate in cui le strade sporche, le case fatiscenti e sovraffollate, la mancanza di luce e di aria pulita, la falda acquifera spesso inquinata, mettevano in serio pericolo la salute della popolazione. Nel contempo iniziavano a moltiplicarsi gli sforzi per migliorare la situazione igienicosanitaria della città. Il Comune aprì nel 1884 il primo laboratorio chimico municipale e nel 1893 un laboratorio batteriologico. Nel 1896, con l’arrivo all’Ufficio d’Igiene di Milano del nuovo medico-capo, Guido Bordoni Uffreduzzi, venne approntato il Regolamento d’igiene, che entrò in vigore il 1° gennaio 1902. In seguito all’approvazione nel 1888-1889 del grande piano regolatore generale dell’ingegner Cesare Beruto, anche le opere di risanamento urbano registrarono una notevole accelerazione e nei primi anni del Novecento si conclusero i lavori di realizzazione di una moderna rete fognaria e la costruzione dell’acquedotto comunale. Molti elementi facevano di Milano una città all’avanguardia nel panorama sanitario italiano: prima fra tutti una solida rete assistenziale cui faceva riferimento non solo quella parte degli abitanti della città sempre in bilico tra povertà e miseria, ma anche un numero consistente di indigenti che proveniva dalle campagne, anch’essi in balìa delle congiunture economiche e delle crisi annonarie. In molti casi i protagonisti di questa rete erano medici che, con il loro operato, contribuirono in modo determinante a sviluppare politiche sanitarie sia a livello locale che nazionale; medici “sociali” che si dedicarono alla cura ma anche all’impegno civico affinché trattamenti sanitari adeguati potessero essere garantiti a tutti, indipendentemente dal ceto sociale di appartenenza. Convinti che la malattia nascesse spesso da ingiustizia sociale (povertà, disuguaglianza, diversa classe d’appartenenza, differenze economiche) contro cui occorreva lottare per estirpare le cause esterne del male, i medici iniziarono a interessarsi dell’aspetto sociale della malattia e non solo della dimensione corporea della patologia. Solidali con il malato, fornivano un aiuto non solo medico, ma anche politico: la solidarietà umana verso il malato divenne così frequentemente impegno civile a favore della collettività. Lo sviluppo stesso delle scienze mediche tra Otto e Novecento dava la sensazione che si aprissero nuove e infinite possibilità nella prevenzione e nella cura delle malattie, suscitava speranze ed entusiasmi, conferiva ai medici un nuovo potere e una nuova credibilità agli occhi dei pazienti. Uno dei più appassionati interpreti di queste istanze sociali in intima connessione con i progressi della scienza medica fu Luigi Mangiagalli, deputato radicale e medico politico (laddove per medicina politica si debba intendere la sintesi tra Clinica e Igiene) con la stoffa dell’imprenditore. Proprio a Luigi Mangiagalli, deus ex machina dello sviluppo medicoscientifico di Milano, si rivolsero i protagonisti della nostra storia, un gruppo di «signore e uomini di carità»7, consapevoli delle conseguenze legate alla diffusione della tisi e della mancanza di una coscienza profilattica della tubercolosi, che tentarono con ogni mezzo allora 5 SALVINI Guido, La città dolorosa nella grande città, in «Milano Rivista mensile del Comune», n. 12, 31 dicembre, p. 488. 6 Guido Salvini (1874-1946) medico specialista in tisiologia. Operava sul campo attraversando la provincia milanese a bordo di un calesse e visitando gratuitamente: gli abitanti delle cascine lo accoglievano chiamandolo il “sciur [signor] tubercolosi”. Si veda l’articolo di Emanuele Torregiani: Storia di un uomo. Il medico Guido Salvini, in «SalvinInforma», novembre 2005. A Milano fu impegnato nell’apertura del primo dispensario antitubercolare della città. 7 Si veda: NEGRI Lina, Opera di prevenzione antitubercolare infantile: eretta in Ente morale con Decreto prefettizio 13 maggio 1916, Milano, Officine Tipo-Litogr. Impresa generale d’affissioni e pubblicità, 1920.
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a disposizione di portare avanti la loro battaglia sociale, iniziando con scarsi mezzi, poche adesioni, nell’indifferenza non solo della cittadinanza, ma spesso anche della classe medica e politica che avrebbe dovuto occuparsi della difesa della salute della popolazione; uomini e donne il cui contributo alla lotta antitubercolare non fu limitato a una prestazione occasionale, ma esteso «alla collaborazione diuturna, oscura e misconosciuta, per vincere insieme innumerevoli difficoltà, nel momento in cui l’agire per questo ideale rappresentava un atto di temerarietà tra l’indifferenza e l’apatia generale. Fu opera di precursori, di agitatori, di umanitari idealisti che scesero in lotta contro il pericoloso flagello con tutte le forze del loro animo e con tutta la loro fede per convincere gli avversari, ottenere la fiducia, dagli stessi assistiti, i quali li consideravano come intrusi nelle loro case»8. LA NASCITA DELL’ASSOCIAZIONE MILANESE CONTRO LA TUBERCOLOSI E IL DISPENSARIO DI VIA BERGAMINI A fine Ottocento non esistevano ancora gli antibiotici e la lotta contro la tisi poteva essere combattuta solo con le armi della lunga degenza in località climaticamente ottimali, associata a una dieta idonea ad aumentare le resistenze dell’organismo; sorsero così i primi sanatori, per lo più di luoghi d’élite, che richiedevano soggiorni lunghi e costosi. Quando, però, la Tbc assunse le dimensioni di un allarme sociale, si avvertì l’esigenza di sanatori popolari, accessibili alle classi sociali meno abbienti. Così nel 1897 il tisiologo Francesco Gatti9 riuscì a indurre il fior fiore della nobiltà e della borghesia milanese a sostenere la sua iniziativa di creare sanatori che offrissero anche ai malati poveri la possibilità di essere curati dalla tubercolosi: nacque l’Opera Pia Sanatori Popolari di Milano e Provincia, di cui Gatti fu nominato presidente. Trascorsero alcuni anni e nel 1901 un gruppo di medici e industriali lombardi, riuniti intorno al professor Annibale Bertazzoli, primario dell’Istituto ginecologico all’Ospedale Maggiore, fondò l’Associazione Milanese contro la Tubercolosi che traeva la sua origine dal lavoro di un medico israelita, il dottor Raffaele Jona il quale già dal 1896 aveva tentato a Milano di affrontare il tema della tubercolosi offrendo la sua assistenza senza però avere mezzi adeguati, con poche adesioni, fra l’indifferenza dei più. Il dott. Jona iniziò col suo Ambulatorio, primo in Italia, la lotta contro la tubercolosi ritenendo che un’opera di tale importanza sociale sarebbe stata sorretta per lo meno da quanti avevano il dovere di tutelare la pubblica salute; ma purtroppo non fu così; la cittadinanza assistette con indifferenza alla iniziativa [...]. La stessa classe sanitaria gli si mostrò avversa e non approvò le direttive terapeutiche adottate, la conseguenza fu che dopo pochi anni di vita il Dispensario si trovò nella condizione di dover chiudere i battenti, non sorretto dagli enti cittadini proposti alla tutela della pubblica salute, osteggiato dalla classe sanitaria, in condizioni finanziarie disastrose, sfrattato dalla sua sede per mancato pagamento d’affitto, aveva finito di vivere10.
Bertazzoli, quale presidente della neonata associazione, comprese che per lanciare e sorreggere l’iniziativa occorreva il patrocinio non solo dei medici, ma anche degli industriali e dei commercianti poiché la classe medica, divisa com’era sui concetti da seguire per raggiungere il fine, non avrebbe mai rappresentato una forza decisiva per l’affermazione del programma 8 AA.VV., L’inizio della lotta antitubercolare e della profilassi infantile in Milano. Trent’anni di opere benefiche compiute per la lotta contro la tubercolosi per la tutela dell’infanzia, Milano, Bertieri, 1935, p. 13. 9 Francesco Gatti (1845,1936), laureatosi in Medicina e Chirurgia, nel 1874 iniziò l’attività ospedaliera a Milano, manifestando crescente interesse per la tubercolosi, nella cui lotta fu vero pioniere: realizzò nel 1910 il sanatorio di montagna “Umberto I°” a Prasomaso, in Valtellina. Fu consigliere dell’Ospedale Maggiore, presidente dell’Associazione medica lombarda, presidente della Regia Società italiana di igiene e della Società dei sanatori popolari per tubercolotici, membro del Regio Istituto lombardo di scienze e lettere. Consigliere comunale di Milano nel 1891, dal 1892 al 1898 fu assessore all’Igiene; fu anche membro della Commissione municipale straordinaria di sanità. 10 AA.VV., L’inizio della lotta antitubercolare e della profilassi infantile in Milano, op. cit., p. 21.
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che ci si proponeva. Era sua convinzione che i rappresentanti dell’industria e del commercio dovessero avere un ruolo di responsabilità nell’affrontare i problemi sociali connessi con l’industrializzazione. Si giunse così, con un organismo esistente di nome ma non di fatto, al 1903, anno in cui la presidenza fu affidata all’industriale milanese Edoardo Banfi11 già noto per la sua attività filantropica come fondatore nel 1898 della “Società del Pane Quotidiano”, il quale permise l’affermazione dell’associazione quasi esclusivamente attraverso il suo nome e il suo aiuto. L’Associazione Milanese contro la Tubercolosi aprì un dispensario in via Bergamini che fu, in ordine cronologico, il primo in Italia e il terzo in Europa dopo quelli creati da Sir Robert Philipp a Edimburgo e da Albert Calmette a Liegi. Ecco l’interessante e curiosa descrizione fatta nel 1906 da Leone Emilio Rossi12, a proposito di questa innovativa istituzione. «La tubercolosi è contagiosa; la tubercolosi è evitabile; la tubercolosi è prevenibile; la tubercolosi è guaribile»: fu la prima buona novella che col suo sorgere l’Associazione divulgò. La duplice espressione: prevenibile e guaribile [...] cominciò finalmente a scuotere l’apatia italiana, a penetrare nella coscienza popolare [...]. La società può e deve provvedere alla redenzione di coloro che non hanno mezzi. Li collochi sui monti coi sanatori, li invii al mare colle colonie, li alimenti e li curi in città coi dispensari, li educhi con la parola e con la stampa ai dettami dell’igiene e si vedrà che molti infelici, candidati alla tomba, torneranno invece pieni di fiducia e di salute alla propria famiglia e alla propria professione. A Milano non esisteva ancora il noto divieto di non sputare in terra. Fu questa Associazione, a cui ne spetta il grande merito, che per la prima diffuse gratuitamente migliaia di cartelli con questo divieto nelle scuole, opifici, stabilimenti, ecc., ed insistette che si ponesse anche nei tram questa prescrizione di pulizia e d’igiene. Fu pure questa Associazione che ottenne dalla Società Edison13 che sui tram non si staccassero più dal personale i biglietti colle dita umettate di saliva e così si venne all’odierno sistema della spugnetta bagnata. Una quantità di stampati inerenti alla profilassi della tubercolosi furono gratuitamente distribuiti e diffusi anche nelle altre città italiane a cura dell’Associazione [...]. L’opera della Associazione può considerarsi divisa nelle seguenti sezioni principali: 1. Cura; 2. Soccorso; 3. Profilassi. Alla prima sezione l’Associazione provvede coll’apertura del Dispensario; alla seconda si sta provvedendo coll’organizzazione di squadre di pisteur [operai, Nda] informatori dei bisogni della classe operaia per rapporto all’igiene della casa, dello stabilimento, dell’alimentazione; coll’organizzazione di un Comitato di Patronesse col preciso incarico di raccogliere fondi pei malati poveri; alla terza sezione si è provveduto colla pubblicazione di migliaia e migliaia di pubblicazioni d’ogni qualità, tutte gratuite, tutte intese a diffondere le norme igieniche fondamentali per rapporto alla tubercolosi.
Nel 1906 il Consiglio comunale di Milano riconobbe ufficialmente l’Associazione Milanese contro la Tubercolosi premiandone i risultati attraverso il conferimento della Medaglia d’oro. Lo stesso re Vittorio Emanuele III elargì un contributo, accompagnandolo con parole di riconoscimento e incitamento. Si tentò di creare un’azione federativa tra i diversi enti di assistenza, perché collaborassero tutti nella lotta alla Tbc, ma non si raggiunse l’accordo. Anzi, in questo periodo le diatribe 11 Edoardo Banfi, industriale milanese che nel 1898 diede vita alla “Società del Pane Quotidiano” fondazione laica ispirata all’idea che il pane, alimento base, non dovesse mancare sulla tavola di nessuno. Per questo motivo l’associazione distribuiva 250 grammi di pane, da consumarsi sul posto, a chiunque si fosse presentato. Nel 1908 la Società del Pane Quotidiano divenne Opera Pia ed esiste ancora oggi. 12 ROSSI Leone Emilio, Milano benefica e previdente, Tip. F. Marcolli, 1906, pp. 190-195. Lo stesso Rossi si autodefiniva «giovane di cuore che, desiderando dimostrare la sua riconoscenza ad un noto filantropo milanese [Achille Brioschi, Nda] pensò di offrirgli, attestazione di buona volontà e d’affetto, un’opera manoscritta, che narrasse le vicende delle istituzioni benefiche cittadine; l’insigne benefattore, [...] stimando utile mettere a portata di tutti le notizie a lui offerte, decise la pubblicazione dell’opera» edita in occasione del IV Congresso Internazionale dell’Assistenza pubblica e privata. 13 La società Edison venne formalmente costituita a Milano il 6 gennaio 1884 come Società Generale Italiana di Elettricità Sistema Edison per la produzione e la distribuzione dell’energia elettrica, e Giuseppe Colombo, suo presidente, aveva già costruito nel centro di Milano, nell’ex teatro Santa Radegonda, la prima centrale elettrica europea, che entrò in funzione il 18 giugno 1883. Nel 1893 la Edison impiantò a Milano la prima tranvia elettrica sperimentale, primo tassello di una vasta rete che la Edison gestì fino al 1916. Già poco prima della Grande guerra la Edison rientrava tra le grandi imprese produttrici di energia elettrica e il suo sviluppo crebbe ancora più negli anni Venti e Trenta, tanto che dopo la Seconda Guerra Mondiale Edison era uno dei maggiori gruppi elettrici a livello europeo.
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in campo medico si intensificarono, e nel 1907, dopo pochi anni di vita, il dispensario di via Bergamini si trovò nella condizione di dover chiudere i battenti per sei mesi, non sorretto dagli enti milanesi preposti alla tutela della salute pubblica, osteggiato dalla classe sanitaria, nell’indifferenza della cittadinanza. Edoardo Banfi si dimise da presidente. Alcuni consiglieri e il dottor Jona non si arresero però alle enormi difficoltà e alle esagerate ostilità create dai tecnici: anziché darsi per vinti, si misero alla ricerca di una persona che potesse essere ben vista dalla classe medica. Si ottenne l’adesione del professor Francesco Denti14, primario oculista dell’Ospedale Maggiore di Milano, il quale, «per non lasciare cadere un’idea che ritiene buona, accetta la presidenza solo per sei mesi»15, esprimendo il desiderio di verificare col tempo la sua capacità di offrire un aiuto concreto a questa iniziativa, di cui apprezzava comunque l’alto valore sociale. Ecco come lo stesso professor Denti ricordava la proposta fattagli da Jona nel 1908. Pur conoscendone le condizioni morali ed economiche disastrose, e pur essendo l’indirizzo mio professionale, e dei miei studi medici, ben differenti di quanto si sarebbe richiesto per un presidente di un Dispensario Antitubercolare, ero però convinto che l’iniziativa di Jona era di somma importanza e che non doveva essere lasciata cadere perché, ben organizzata e ben indirizzata, avrebbe pur dovuto svolgere un’azione socialmente assai benefica; per tale convincimento accettai la carica che mi veniva offerta; però temendo di non poter corrispondere alla speranza che dalla mia opera si attendeva, accettai l’incarico per un periodo di tempo limitato [...]. Prima mia opera fu di associarmi nel grande lavoro di riorganizzazione persone che mi potessero efficacemente aiutare nei primi e più importanti lavori. Incominciammo col prospettarci come doveva essere organizzato un Dispensario Antitubercolare modello, ne formammo lo statuto ed i regolamenti, dei quali non esisteva traccia, per stabilire le norme di funzionamento del Dispensario16.
Venne così nominato un collegio di consulenza composto da insigni esponenti delle diverse specialità, per lo più valenti giovani all’inizio della loro carriera professionale: tra questi ricordiamo i dottori Gaetano Ronzoni17 (docente di Patologia medica dimostrativa all’Università di Pavia e pioniere della lotta antitubercolare), Oreste Bellotti (docente di Otorinolaringoiatria presso l’Università di Pavia dal 1912 al 1924), Garibaldo Arcellaschi (oltre a dirigere la sezione chirurgica del dispensario milanese di via Bergamini, era anche consigliere comunale di Milano e presidente della società volontaria di soccorso Croce Verde18), Mario Redaelli (docente di Istologia patologica e di Patologia speciale delle malattie 14 Francesco Denti (1856-1963), professore e direttore dell’Ospedale militare delle Orsoline a Milano, durante la Prima guerra mondiale curò i soldati mutilati provenienti dal Fronte, manifestando particolare interesse per coloro che avevano perso la vista. Nacque così in lui l’idea di una Casa in cui i ciechi di guerra potessero trovare ospitalità e opportunità d’impiego: nel 1920 sorse la Casa di Lavoro e Patronato per Ciechi di Guerra della Lombardia. Membro della Commissione comunale milanese per il coordinamento degli Istituti superiori, era consulente di numerosi enti assistenziali e mutualistici della città. Insieme a Ferri e Luigi Mangiagalli, nel 1912, fu tra i fondatori della Società lombarda di scienze mediche e biologiche. 15 AA.VV., L’inizio della lotta antitubercolare e della profilassi infantile in Milano, op. cit., p. 37. 16 Ibidem. 17 Gaetano Ronzoni (1878-1940), laureatosi nel 1902, si dedicò alla prevenzione e alla cura della tubercolosi. Docente di Patologia medica dimostrativa all’Università di Pavia dal 1907 al 1924, fu tra i più attivi collaboratori della Poliambulanza delle specialità medicochirurgiche, associazione di ambulatori specializzati fondata a Milano nel 1882 da un gruppo di medici filantropi per offrire assistenza gratuita ai pazienti poveri. Durante la Prima guerra mondiale organizzò e diresse il primo reparto militare di accertamento diagnostico per la tubercolosi. Di lui scrive l’illustre collega, Ambrogio Cecchini: «Ronzoni fu tra i primi ad intuire la caratteristica di malattia sociale della tubercolosi. Fu proprio lui nel 1908 a Pavia, a fondare il primo giornale di tisiologia dal titolo “La tubercolosi: giornale italiano di studi e di lotta sociale contro la tubercolosi”. [...] Nel 1910 con l’incarico di Segretario Generale, Ronzoni iniziò insieme al Senatore Foà e a Poli, la Federazione Italiana delle Opere Antitubercolari (F.I.O.A.) [...]. Finita la guerra la F.I.O.A. si fuse con la Federazione nazionale per la lotta contro la tubercolosi e Ronzoni divenne all’interno uno dei consiglieri più attivi. [...] La grande attività di Ronzoni nel campo sociale e scientifico ebbe grandi riconoscimenti anche all’estero». Cfr.: La morte del professor Ronzoni pioniere della lotta antitubercolare, in Corriere della Sera, 8 febbraio 1940, p. 4. 18 La Società volontaria di soccorso Croce Verde nacque a Milano nel 1905 a opera di un gruppo di immigrati toscani: composta da elementi di ogni ceto sociale, prestava soccorso gratuitamente ad ammalati e infortunati bisognosi. «La Società non ha carattere né politico né religioso; è puramente umanitaria. Pian piano la Società Volontaria di Soccorso Croce Verde entrò nelle simpatie della cittadinanza, i milanesi vedevano con affetto e riconoscenza l’opera dei militi e li
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dell’apparato respiratorio all’Università di Pavia, diverrà nel 1933 direttore del Sanatorio Regina Elena19 a Legnano), e il direttore generale della Sanità Militare Ezio Piceni. Tutti i medici attivi presso il dispensario offrivano gratuitamente le proprie prestazioni. Al contempo, iniziò l’attività assistenziale domiciliare a mezzo di una ispettrice-visitatrice, la cui opera fu integrata con quella di un Comitato patronesse che si occupava di reperire i mezzi per fornire agli assistiti indumenti personali, suppellettili, farmaci e quant’altro potesse occorrere. La visitatrice aveva il compito essenziale di mettere in pratica, presso il malato, la sua famiglia e gli ambienti da essi occupati, tutti i precetti di igiene, tutte le norme difensive possibili, svolgendo anche un’efficace opera di educazione antitubercolare. Col passare degli anni crebbe il numero di visitatrici che indagavano, specialmente presso famiglie di ceti operai, e avviavano poi le persone trovate affette dal male al dispensario. Medici, assistenti, patronesse rappresentavano uno sparuto gruppetto di uomini e donne, precursori, agitatori, umanitari idealisti che scesero in lotta contro il pericoloso flagello della tubercolosi con tutte le loro forze, con tutta la fede necessaria per convincere gli oppositori del loro progetto, ma anche gli stessi assistiti, che spesso li consideravano come intrusi nelle loro case. Si raccolsero le somme necessarie per la sistemazioni di alcuni locali sempre in via Bergamini dove spostare il dispensario, che venne inaugurato nel maggio 1909, alla presenza del re Vittorio Emanuele, dell’arcivescovo Andrea Carlo Ferrari20, di tutte le autorità cittadine e dei rappresentanti delle istituzioni scientifiche e di beneficenza della città. 1910: IL DISPENSARIO INIZIA LA COLLABORAZIONE COL COMUNE DI MILANO Nel 1910, il dispensario dell’Associazione milanese contro la tubercolosi iniziò a esplicare fattivamente la sua attività al servizio dell’intera città, grazie a un accordo con il Comune che s’impegnava, tra l’altro, a segnalare al dispensario tutti i casi di Tbc polmonare aperta ricoverati per conto del Comune o segnalati dai medici scolastici e inviare al dispensario i cronici tubercolosi che chiedevano un sussidio comunale. La collaborazione col Comune di Milano fu facilitata dall’appoggio del citato dottor Garibaldo Arcellaschi, consigliere comunale, e dell’assessore Luigi Veratti21 che comprese l’importanza del progetto sviluppato dall’Associazione milanese per la lotta contro la tubercolosi, tanto da assumerne la presidenza nel periodo 1921-1922. Il dispensario provvide da solo al servizio per l’intera città fino al 15 giugno 1912 quando entrò in funzione il primo dispensario profilattico comunale di via Statuto diretto dal professor Guido Bordoni-Uffreduzzi22, con cui iniziò subito una stretta sinergia. Nonostante le prime provvidenze iniziassero ad affluire, il bilancio non poteva contare aiutavano con oblazioni o entrando a far parte dell’organico dei volontari». 19 Nel dicembre 1918 si aprì una pubblica sottoscrizione per raccogliere fondi destinati alla costruzione di un tubercolosario a Legnano che fu edificato su un terreno di circa 75.000 metri quadrati situato tra l’ospedale e la collina dei Ronchi. Il progetto prevedeva una costruzione centrale a due piani e due corpi laterali a un solo piano, il tutto secondo le eleganti forme proprie dell’architettura Liberty. L’inaugurazione del sanatorio, che era in grado di ospitare oltre 120 malati e fu dedicato alla regina Elena di Savoia, ebbe luogo il 9 giugno 1924 alla presenza della regina Margherita. Cfr.: D’ILARIO Giorgio (a cura), 1903-2003 Ospedale di Legnano. Un secolo di storia, Milano, Azienda Ospedaliera Ospedale Civile di Legnano, 2003. 20 Andrea Carlo Ferrari (1850-1921) fu il primo arcivescovo milanese di famiglia non aristocratica. Giunse a Milano preceduto da una fama di intransigenza che nei primi tempi rese diffidenti i cittadini, ma dopo qualche insuccesso seppe rendersi benvoluto dalla popolazione. Rimase a Milano per oltre venticinque anni. Fu definito il “Cardinale dei giovani”. Incrementò gli oratori parrocchiali e i collegi arcivescovili, auspicò l’Azione cattolica e favorì l’Università cattolica del Sacro Cuore. Si veda: MAJO Angelo, Andrea Carlo Ferrari uomo di Dio uomo di tutti, Milano, Ned, 1994. 21 Luigi Veratti (1867-?), medico chirurgo dermosifiloiatra nonché assessore comunale all’Igiene, fu vicesindaco di Milano (sotto la giunta del socialista Emilio Caldara) dal 1914 al 1920 e medico personale di Benito Mussolini. 22 Per un approfondimento si veda: SALVINI Guido, Il Dispensario Antitubercolare Municipale di Milano, estratto dal periodico “L’attualità medica”, Milano 1913.
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il professor Cesare Cattaneo31. Dal 1920 al 1924 alla guida dell’associazione fu il dottor Luigi Veratti, poi l’avvocato Enea Vigevani e il dottor Enrico Villa32. Dopo di loro alcuni commissari prefettizi, tra cui l’ingegner Agostino Perego al quale si dovette il trasferimento del dispensario nella nuova sede di via Ramazzini. Sin dall’apertura, l’afflusso di pazienti al dispensario dell’Opera Pia Associazione Milanese per la difesa contro la tubercolosi fu notevole e in continuo e progressivo aumento, come confermano i dati desunti dai registri dell’Associazione: dal 1° maggio 1910 (inizio del servizio) alla fine dello stesso anno, vennero visitati 467 individui. Nel 1913 il numero delle visite fu di 5069, che divennero 7045 nel 1914. L’IDEA INNOVATIVA DI ALCUNE PATRONESSE: PROTEGGERE I FANCIULLI DAL RISCHIO DI CONTAGIO Il Consiglio di presidenza dell’Opera Pia non dimenticò di affrontare la questione relativa alla tutela di bambini appartenenti a famiglie tubercolotiche, e pertanto più predisposti a contrarre la malattia. Tale fase assistenziale fu inizialmente affidata a un gruppo di quattro patronesse: Eugenia Maccia Lombardi33 (presidentessa e delegata a visite domiciliari e guardaroba), Elvira Redaelli Grisetti (guardaroba), Irene Gadda Monti34, Clotilde Perelli Minetti Cavalli35, a cui si aggiunsero in seguito Amalia De Benedetti Jona (moglie del dottor Raffaele Jona) e Ninina Facchi (attiva presso la sezione profilattica). Queste buone signore costituirono delle vere e proprie “squadre di soccorso”36: salivano nelle più squallide soffitte pur di scovare i poveri ammalati, gelosi e quasi vergognosi del loro dolore, portavano generi alimentari, svincolavano polizze di pegno al Monte di Pietà, prestando soccorso materiale e tentando al contempo di indurre gli ammalati a curarsi pur di salvare i loro bambini. Occorreva infatti vincere il fatalismo così profondamente radicato nelle masse, convinte che la tubercolosi fosse malattia ereditaria e inguaribile. Prima di affrontare de visu la malattia, era necessario superare tanti falsi pregiudizi saldamente radicati nel popolo, incline più a nascondere che a denunciare il male, costringendo così, in un cerchio sempre più micidiale, gli effetti nefasti del contagio tubercolare. La dolorosa constatazione dei diversi casi esposti da queste donne caritatevoli che riferivano situazioni pietose di bambini esposti al contagio in una frequente promiscuità familiare, fece ipotizzare di attivare subito e comunque una forma di difesa. Si decise di inviare qualche bambino in casa di contadini, applicando così i concetti elaborati dal medico francese Jacques-Joseph Grancher37, direttore dell’Hôpital des Enfants Malades 31 Cesare Cattaneo (1871-1930), laureatosi in Medicina nel 1894, lavorò alla Clinica Pediatrica dell’Università di Berlino e nel 1900 divenne libero docente e Primario nel comparto pediatrico dell’ospedale parmense. Dal 1911 fu direttore dell’Ospedale Pediatrico di Milano in via Castelvetro. Nel 1915, istituita la Clinica Pediatrica dell’Università di Milano, Cattaneo venne incaricato da Mangiagalli della direzione. Dedicò ricerche di rilievo all’alimentazione infantile e alla tubercolosi nel bambino. 32 Enrico Villa, ispettore medico delle Ferrovie dello Stato; presidente dell’Associazione Milanese per la lotta contro la tubercolosi nel 1924; direttore del giornale l’Avvenire Sanitario. 33 Eugenia Maccia Lombardi diede vita a un laboratorio per confezionare capi che andassero a rifornire il guardaroba del Dispensario. Anche lei aveva perso il suo unico figlio a causa della tubercolosi e questo dolore personale, che accomuna molte protagoniste delle vicende che narreremo, venne trasfigurato nella volontà di farsi dono per gli altri. 34 Irene Monti Gadda sarà presidentessa dell’Asilo Gigino di Biassono (di cui si dirà più ampiamente nel secondo capitolo), il primo asilo campestre attivato dall’Opai (Opera di prevenzione antitubercolare infantile), derivazione diretta dell’Opera Pia Associazione milanese per la lotta contro la tubercolosi. 35 Fu Elvira Redaelli a portare nel dispensario milanese di via Bergamini l’amica Clotilde Perelli Minetti: era l’anno 1911 e la donna iniziò col marito Carlo Cavalli la sua opera assistenziale a favore dei bambini che si concretizzò nella nascita e nel successivo sviluppo del primo preventorio antitubercolare infantile italiano. 36 Cfr.: ASSOCIAZIONE MILANESE PER LA DIFESA CONTRO LA TUBERCOLOSI, Rendiconto morale e finanziario dell’Associazione milanese per la lotta contro la tubercolosi al 31 dicembre 1911. Relazioni tecniche sul funzionamento del dispensario antitubercolare milanese per l’anno 1911. Statuto Organico. Milano, 1912, p. 7. 37 Jacques-Joseph Grancher Felletin (1843-1907), ricercatore nel campo della patologia polmonare, studiò a fondo la tubercolosi e la contagiosità di questa e di altre malattie, tanto da proporre per primo l’introduzione dei box per contagiosi negli ospedali pediatrici oltre che la disinfezione di oggetti e indumenti di malati e addetti alla loro cura. Si adoperò perché
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di Parigi e pioniere della lotta antitubercolare, che sosteneva la necessità di isolamento dei fanciulli come strumento di prevenzione nei confronti della tubercolosi. Venne anche disposta una visita all’asilo campestre che il professor Camillo Poli38 e l’Associazione genovese contro la tubercolosi39 avevano organizzato a Genova nella frazione di San Martino D’Albaro. L’impressione che ne derivò fu talmente positiva che si pensò di seguirne le orme, ma l’attuazione di tale programma non era semplice. I verbali delle prime sedute, a cui intervennero le più insigni personalità scientifiche, attestano la gravità del problema che si voleva affrontare e le difficoltà che si frapponevano. Alcune patronesse avrebbero voluto dar subito inizio all’azione, altre sostenevano la necessità di perfezionare prima l’attività del dispensario di via Bergamini attraverso una sua riorganizzazione in ambienti più adatti, come organo centrale di lotta. Clotilde Cavalli e Irene Gadda decisero che non si poteva più differire: furono le pioniere alla testa del movimento. Sostenute da una ferma volontà, le due donne decisero di lasciare l’Opera Pia per dedicarsi esclusivamente alla protezione dell’infanzia minacciata dall’incubo della tubercolosi. Incoraggiata dal marito Carlo Cavalli, dal 1913 nel Consiglio d’amministrazione dell’Opera Pia, Clotilde parlò dei suoi progetti con i professori Luigi Mangiagalli e Gaetano Ronzoni, che già conosceva per l’appoggio dato all’Opera Pia, offrendo la sua collaborazione qualora essi avessero considerato opportuno dare vita a qualche iniziativa per allontanare i bambini dalle case infette e dai genitori ammalati. L’idea di affidare i bambini figli di madri tubercolotiche a sane nutrici di campagna fu accolta con entusiasmo e grandi consensi. PREVENIRE PER NON MORIRE: IL PARERE DEL MONDO SCIENTIFICO Le indagini statistiche e le osservazioni mediche condotte in quegli anni avevano portato alla constatazione che, benché la Tbc aveva diffusione enorme nell’infanzia, il bambino non nasceva ammalato ma lo diventava convivendo con genitori malati. Occorreva quindi allontanarlo fin dalla nascita, o dal momento in cui era conclamata la malattia dei genitori. Medici e specialisti italiani e stranieri furono interpellati sull’utilità e praticità delle cure preventive. Ecco come si espresse il senatore Augusto Murri, rettore dell’Università di Bologna: nulla è così potente contro i pericoli della tubercolosi quanto il togliere i bambini dalle case nelle quali le persone vivono accumulate le une sulle altre, senza spazio, senz’aria, senza luce, senza sufficiente alimento, minacciate di continuo dai più stolidi pregiudizi dell’igiene e dai germi di quegli svariati contagi, che nelle povere case trovano le condizioni più feconde per la prosperità loro. Sottrarre questi bambini al danno sicuro di una vita tale e metterli dove non sia più negato loro ciò che la natura offrirebbe ugualmente a tutti con larghezza inesauribile, cioè l’aria e la luce, liberamente vivificatrici degli organismi giovanili, è opera santa, sia che queste potentissime azioni benefiche vadano a cercarsi in cima ai monti, sia che si trovino nelle rive marittime, sia che provveda a farne godere senza misura i bambini in una qualsiasi delle nostre campagne salubri40.
Questo, invece, il pensiero del senatore Achille De Giovanni41, rettore dell’Università di i bambini di famiglie affette da tubercolosi fossero allontanati dalle loro abitazioni per essere trasferiti in aperta campagna sotto sorveglianza medica. 38 Camillo Poli (1865-1923), nel 1890 si laureò in Medicina e Chirurgia; a Genova svolse una luminosa carriera quale otorinolaringoiatra. Istituì i sanatori antitubercolari per i bambini poveri di Genova e della Riviera, dove migliaia di famiglie inviavano i figli per la cura del sole e del mare. 39 L’Associazione genovese contro la tubercolosi, istituita nel 1905, si proponeva di lottare contro la tubercolosi attraverso i seguenti mezzi: propaganda igienica; cura degli ammalati; istituzione di squadre di soccorso per aiutare il tubercoloso a domicilio. 40 AA.VV., 25 anni di vita dell’Opera di prevenzione antitubercolare infantile, Milano, Stem, 1940, p. 21. 41 Achille De Giovanni (1838-1916), laureatosi in Medicina nel 1862, divenne professore di Patologia generale all’Università di Pavia e mantenne questo incarico fino al 1878, quando fu chiamato alla cattedra di Clinica medica dell’Università di Padova, dove rimase fino alla morte. Rilevante il suo impegno sociale nella lotta alla tubercolosi che
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Capitolo Secondo
L’OPAI E LA SUA MULTIFORME ATTIVITÀ
LUGLIO 1914: NASCE A MILANO L’OPERA DI PREVENZIONE ANTITUBERCOLARE INFANTILE (OPAI) Clotilde Cavalli e la duchessa Marianna Visconti di Modrone si diedero subito da fare per tradurre concretamente il programma che avevano ormai definito nei capisaldi: fondare asili campestri per raccogliere i bambini gracili e convalescenti minacciati dalla tubercolosi, nonché i figli di soggetti tisici; creare colonie campestri dove i bambini già rinvigoriti, dopo le cure prestate negli Asili dell’Istituzione, potessero completare il loro risanamento in un ambiente adatto alle loro speciali condizioni fisiche; raccogliere neonati figli di genitori tubercolotici e affidarli a sane nutrici foresi, sorvegliandone l’allevamento per mezzo di propri medici; più in generale occuparsi di tutto quanto potesse avere attinenza con la prevenzione antitubercolare infantile. Il Comitato promotore della costituenda Opera di Prevenzione Antitubercolare Infantile e degli Asili Campestri (Opai), si preoccupò anche di definire i rapporti di collaborazione che avrebbero dovuto legare il nuovo ente con l’Opera Pia Associazione Milanese per la Difesa contro la Tubercolosi, da cui prendeva le mosse. Il 31 maggio 1914 si incontrarono a Milano i delegati delle due associazioni e vennero definiti alcuni capisaldi: l’Opai avrebbe portato come sottotitolo la dizione “promossa dall’Associazione Milanese per la difesa contro la tubercolosi”; il presidente dell’Associazione per la difesa contro la tubercolosi sarebbe stato, di diritto, consigliere del nuovo Ente e viceversa; il medico che dirigeva la sezione profilattica dell’Associazione per la difesa contro la tubercolosi, avrebbe fatto parte di diritto della Commissione Medica dell’Opai; le Patronesse della costituenda Opera di Prevenzione Antitubercolare Infantile e degli Asili Campestri sarebbero state anche socie dell’Associazione per la difesa contro la tubercolosi; le cifre fino ad allora raccolte dall’Opera Pia a favore della costituzione di un asilo campestre sarebbero state versate al consiglio direttivo del nuovo ente, non appena costituito. L’Associazione per la difesa contro la tubercolosi avrebbe erogato ogni anno al nuovo ente un contributo, nei limiti dei mezzi finanziari a disposizione. L’atto ufficiale di nascita dell’Opai risale al 14 luglio 1914, durante un ricevimento che la duchessa Marianna Visconti di Modrone Gropallo offrì a Macherio nella sua splendida Villa Belvedere56, alla presenza del cardinale Andrea Carlo Ferrari. La festa fu allietata da un concerto del famoso pianista Mieczyslaw Horszowski57, che successivamente offrì spesso la sua arte a sostegno dell’Opera. Quello stesso giorno venne inviato un telegramma al Presidente del Consiglio dei ministri, Antonio Salandra58, per comunicare la nascita dell’Opai e chiedere la sua adesione. Tale 56 Villa Belvedere nel 1563 era definita “casa de gentiluomo con columbara”. Nel 1852 Guido Visconti di Modrone, futuro suocero di Marianna Gropallo, acquistò la proprietà di Belvedere. La casa da rustica divenne una villa con ogni più moderno comfort; ai boschi si aggiunsero splendidi giardini all’italiana ricchi di statue, balaustre e vasi artisticamente distribuiti tra le varie aiuole. Cfr.: CORDANI Roberta (a cura), Milano. Le grandi famiglie, nobiltà e borghesia: le radici del carattere milanese e lombardo, Milano, Edizioni Celip, 2008, pp. 202-203. 57 Mieczyslaw Horszowski nacque nel 1892 in Polonia da una famiglia di provetti musicisti. Sua madre, allieva di Chopin, iniziò prestissimo a impartirgli lezioni di pianoforte e a tre anni Mieczyslaw (detto Miecio) tenne il suo primo concerto. A cinque anni fece pubblicare la sua prima composizione e iniziò a dare concerti in molte città italiane. Sua grande ammiratrice fu una ricca signora milanese, Adelina De Marchi, che - alla morte della madre di Miecio - ne seguì gli studi e favorì la carriera. Durante la Seconda guerra mondiale si trasferì a New York e trascorse negli Stati Uniti il resto della sua vita, dedicandosi alla musica da camera. 58 Antonio Salandra (1853-1931), avvocato, professore universitario, presidente del Consiglio dei ministri dal 21 marzo 1914 al 18 giugno 1916, ricoprì varie volte l’incarico di Ministro delle Finanze. Nel 1925 si ritirò dalla vita pubblica. Nel 1928 fu nominato senatore.
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dispaccio portava, fra le altre, le firme del senatore Luigi Mangiagalli e di tre deputati: l’avvocato Luigi Gasparotto59, Arnaldo Agnelli60, e il marchese Giuseppe De Capitani d’Arzago61, che negli anni successivi sarebbe diventato Ministro di Stato, vicepresidente del Senato e presidente della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde. Fondamentale sarà il ruolo di questi personaggi nello sviluppo futuro dell’Opai. Il giorno successivo il presidente Salandra rispose manifestando il suo appoggio alla nuova iniziativa. Accetto ben volentieri di far parte del Comitato promotore per istituire l’Opera Pia per curare in asili campestri i bambini minacciati dalla tubercolosi, sicuro che gli illustri cittadini che già hanno firmato adesione porteranno il loro contributo fattivo affinché la geniale e generosa idea possa trovare feconda attuazione.
Questo telegramma venne letto durante una riunione tenutasi nel pomeriggio del 15 luglio, in una sala della Villa Reale di Monza62 per decidere in merito alla costituzione formale del nuovo ente che si sarebbe occupato della prevenzione antitubercolare infantile. Illustra i contenuti dell’incontro un articolo apparso il 16 luglio 1914 su La Lombardia, Cronaca di Milano intitolato “La difesa contro la tubercolosi, il lavoro dell’associazione milanese”. Nel pomeriggio di ieri, con l’intervento del Prefetto, senatore Panizzardi63, in una sala della Palazzina reale, si è radunato il Comitato promotore dell’opera di prevenzione antitubercolare infantile, [...] per addivenire alla costituzione definitiva del nuovo Ente benefico. L’assemblea, numerosissima, acclamò Presidente il senatore prof. Luigi Mangiagalli, il quale disse di accettare l’incarico soltanto come rappresentante della duchessa Marianna Visconti di Modrone Gropallo, che gli siedeva accanto, presidente ideale del convegno [...]. L’oratore illustrò poi rapidamente e con viva efficacia gli scopi del nuovo Ente. Il senatore Panizzardi [...] dichiarò che alla generosa impresa egli darà sempre ogni suo fervido appoggio e la sua costante e vigile simpatia [...]. Venne infine nominato il Consiglio direttivo.
L’Opai era pronta per iniziare la sua attività: fu il primo istituto ad occuparsi di prevenzione antitubercolare infantile in Europa, e venne usato come modello per quanti sorsero in Italia e all’estero. L’unico esempio precedente di istituzione rivolta alla prevenzione della Tbc in Europa era infatti sorto a Parigi nel 1903 per opera del citato Joseph Grancher, ma si prendeva cura unicamente di bambini con età superiore ai tre mesi. I fondatori dell’Opera di 59 Luigi Gasparotto (1873-1954), avvocato, fu eletto deputato nel 1913. Al termine della Prima guerra mondiale fu tra i fondatori dell’Associazione nazionale combattenti. Il 13 giugno 1921 venne eletto vicepresidente della Camera e nel 1926 si ritirò dalla vita politica. Deputato alla Costituente, fu ministro in diversi governi Bonomi e De Gasperi. Fu anche presidente della Fiera di Milano. È stato uno dei fondatori del Partito Democratico del Lavoro. 60 Arnaldo Agnelli (1875-1921), avvocato, professore universitario ed economista, dopo Caporetto costituì un primo embrione di quella che poi divenne l’Opera nazionale dei combattenti, cui diede il nome di “La Patria riconoscente”. Insieme con Luigi Gasparotto nel 1921 fu nominato presidente della Fiera di Milano. Insegnò presso la Scuola Cavalli e Conti fondata e diretta da Carlo Cavalli. Offrì la sua competenza di materia di assicurazione sociale al Museo sociale e alle Scuole di cooperazione e legislazione sociale annesse alla Società Umanitaria di Milano. 61 Giuseppe De Capitani D’Arzago (1870-1945), marchese, laureato in Giurisprudenza, acquisì abbastanza presto un peso significativo nella vita pubblica milanese, dedicandosi, tra l’altro, all’amministrazione di istituti di beneficenza (Presidente dell’Orfanotrofio e Pio Albergo Trivulzio, membro del Consiglio superiore di assistenza e beneficenza pubblica, presidente della Fondazione Cesare Beccaria, fondatore dell’Istituto di Arese per la prevenzione dei minorenni, presidente della Casa del cieco di guerra). Ministro dell’Agricoltura del governo Mussolini, restò nell’esecutivo del Duce fino al luglio 1923. Fu podestà di Milano dal giugno 1928 al novembre 1929, quando si dimise per accettare la nomina a senatore del Regno. 62 Nella seconda metà del 1700 Maria Teresa d’Austria decise di inviare a Milano, come governatore austriaco della Lombardia, il figlio Ferdinando II. L’architetto Giuseppe Piermarini venne incaricato della costruzione di una nuova residenza a Monza, che l’arciduca Ferdinando usò come residenza di campagna fino all’arrivo delle armate napoleoniche, nel 1796. Nel 1805 Eugenio di Beauharnais, viceré del nuovo Regno d’Italia, fissò la sua residenza principale nella villa che assunse il nome di Villa Reale. Nel 1859 la Villa Reale diventò patrimonio di Casa Savoia: fu specialmente cara al re Umberto I, che vi soggiornava stabilmente, facendo diventare virtualmente Monza la capitale del Regno d’Italia: la villa era infatti circondata da nobili dimore dove soggiornava la sua corte. Dopo che il 29 luglio 1900 il re venne assassinato proprio a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci, il suo successore, Vittorio Emanuele III non volle più utilizzare Villa Reale: la fece chiudere e trasferì a Palazzo del Quirinale gran parte degli arredi. 63 Carlo Panizzardi, nominato senatore il 4 aprile 1909, fu prefetto di Livorno, poi prefetto di Milano dal 1908 al 1915, quando venne collocato in aspettativa per ragioni di servizio.
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prevenzione antitubercolare erano invece convinti che per svolgere un’efficacemente azione di prevenzione occorresse separare immediatamente dopo la nascita il bambino dalla madre, per evitare la possibilità di contagio da parte di questa o comunque dell’ambiente. LUIGI MANGIAGALLI ALLA PRESIDENZA DELL’OPAI: SCELTA STRATEGICA L’Opai ebbe dunque come primo presidente effettivo Luigi Mangiagalli, mentre la presidenza onoraria venne inizialmente offerta al giurista Vittorio Emanuele Orlando64, fino al 18 giugno 1916 ministro di Grazia, Giustizia e Culti nel governo Salandra. Nei primi anni Venti del Novecento presidente onorario fu lo stesso re Vittorio Emanuele III65. Ciò si tradurrà per l’Opai nella sicurezza di un appoggio governativo, in un periodo critico come quello della Prima guerra mondiale e degli anni seguenti. Ecco come veniva ricordata la decisione di offrire a Luigi Mangiagalli la presidenza dell’Opera. Fu unanime il parere di eletti scienziati, di illuminati filantropi che, per iniziare un’azione così vasta e importante, occorreva mettere alla direzione del movimento un uomo di tempra eccezionale, uno di quegli apostoli del bene che sanno, con l’autorità del nome, con la facondia della parola, con l’efficacia dell’esempio, trascinare gli altri. Questo uomo trovammo, per concorde designazione, nel Senatore Luigi Mangiagalli che, con l’acuta visione del Suo altissimo intelletto di scienziato, aveva già da tempo predicata la necessità di una vasta e ben organizzata difesa sociale contro il dilagare della tubercolosi66.
In effetti, la scelta di porre Mangiagalli alla testa della nuova associazione si rivelò strategica, visti i suoi profondi legami col mondo politico, economico e sanitario dell’epoca: attorno a Mangiagalli ruotavano gli intenti di uomini d’azienda e della finanza (che pagavano le ricerche), dei politici e della cultura in genere, umanistica compresa. Lui stesso riassumeva nella sua persona molteplici ruoli e funzioni, che ne facevano il deus ex machina dello sviluppo medico-scientifico di Milano. Presidente dell’Associazione medica lombarda, nel dicembre 1899 venne eletto consigliere comunale nella lista dell’Unione dei partiti popolari (socialisti, radicali e repubblicani) e nel 1902 fu nominato deputato al Parlamento. L’anno successivo divenne direttore della Maternità di Santa Caterina alla ruota67 a Milano e cominciò a ideare il suo grande progetto di fondazione degli Istituti clinici di perfezionamento, quale primo nucleo di un imponente complesso di istituzioni scientifico-sanitarie e di istruzione superiore collegate tra loro. In effetti gli Icp, che videro la luce con legge 9 luglio 1905, rappresentarono un’istituzione d’avanguardia, che non solo modificò il panorama sanitario della Milano della Belle Époque, ma costrinse la città a ripensare e riorganizzare il sistema di istruzione superiore. La citata normativa approvava in particolare la creazione di “alcuni” istituti clinici di perfezionamento o cliniche: quella ostetrico-ginecologica, diretta dallo stesso Mangiagalli, quella delle malattie professionali, diretta dal ligure Luigi Devoto68, e 64 Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952), giurista, deputato dal 1897, più volte ministro, divenne presidente del Consiglio dopo la ritirata di Caporetto. 65 Si veda: Corriere della Sera, 14 aprile 1923. 66 Humanitas, n. 5, aprile 1923, p. 7. 67 La Pia Casa di Santa Caterina alla ruota era stata fondata dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria nel 1780 come emanazione dell’Ospedale Maggiore, per soccorrere i bambini abbandonati, ricoverare e assistere le partorienti in difficoltà. A tal fine Maria Teresa fece ristrutturare il monastero di Santa Caterina alla ruota, che sorgeva nei pressi dell’Ospedale Maggiore. La Pia casa assunse, dunque, un nome che si rifaceva alla precedente destinazione dell’edificio: la “ruota”, presente nella denominazione del soppresso monastero, era un riferimento allo strumento di martirio di Santa Caterina d’Alessandria e non alla ruota per gli esposti, che, peraltro, fu immediatamente attivata. 68 Luigi Devoto (1864-1936), laureatosi in Medicina nel 1888, anche grazie all’aiuto dei coniugi Luigi ed Ersilia Majno ottenne la cattedra di Patologia medica a Pavia. Tra il 1904 e il 1908 svolse un’intensissima attività scientifica in favore della medicina del lavoro che si concretizzò anche in impegno politico. Nel 1908 si trasferì agli Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano come professore di Clinica delle malattie professionali. Nella nuova Università degli Studi di Milano fondata nel 1924 e frutto dei lunghi sforzi del Mangiagalli, Luigi Devoto fu professore di ruolo di Clinica delle malattie professionali. Nel 1934 fu nominato senatore del Regno.
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dei soldati che per avere la madre tubercolotica mancano d’assistenza e sono predestinati in mancanza di cure, a rimanere vittime del morbo fatale. Ritenuto che l’Opera altamente umanitaria, come consta dalla relazione unita alla domanda, possiede già un notevole patrimonio che potrà venire accresciuto da ulteriori legati, donazioni ed oblazioni fra le quali figurano fin d’ora quelle dei coniugi Signori Gustavo e Lucia Noël Winderling di L. 35.000 e quella degli eredi101 del Comm. Otto Joel102 di L. 10.000 da versarsi all’Istituto non appena sarà eretto in ente Morale: Decreta I) All’opera di prevenzione antitubercolare infantile avente la propria sede in questa città Via Cappuccio N. 21, è riconosciuta per tutta la durata della guerra la capacità di compiere tutti i negozi giuridici necessari pel raggiungimento del proprio fine e di stare in giudizio per le azioni che ne conseguono.
Come si legge nel decreto, grazie al riconoscimento giuridico l’Opai poteva accettare, tra le altre, la donazione di 35mila lire dei coniugi Winderling grazie a cui, come vedremo tra breve, sarà attivato il primo asilo campestre dell’Opera. Pochi giorni dopo, il 1° giugno 1916, si riunì a Milano l’Assemblea generale dell’Opera per deliberare su vari punti, tra cui la nomina delle cariche sociali. All’unanimità furono eletti: il professor Luigi Mangiagalli come presidente, Carlo Cavalli e Gustavo Winderling come vicepresidenti, il capitano della Croce Rossa alle scuole milanesi di via Arena, Giovanni Camera, come segretario. Vennero nominati anche i membri del Consiglio: tra questi annoveriamo il conte Febo Borromeo d’Adda, Giuseppe De Capitani d’Arzago, Carlo Cavalli, Carlo De Capitani da Vimercate, Francesco Denti, Irene Monti Gadda, gli avvocati Enrico Gonzales e Arturo Levi, Luigi Mangiagalli, il conte Emilio Morlacchi Gritti103, Gustavo Winderling. Un piccolo aneddoto, indicativo dei tempi, riguarda la nomina a membro del Consiglio di Irene Monti Gadda, che insieme con Clotilde Cavalli era stata una delle fondatrici dell’Opera. Perché fosse valida la nomina, il marito di Irene Monti, il farmacista Clemente Gadda, dovette recarsi dal notaio Federico Guasti104 di Milano per rilasciare l’atto di autorizzazione maritale105: si trattava di una restrizione imposta dal codice ottocentesco sabaudo, in voga fino alla Grande guerra, per cui era richiesto il consenso scritto del consorte per ogni azione politica o sociale sostenuta in pubblico da una donna. Per molti anni Irene Gadda gestì l’ufficio milanese che si occupava dell’accettazione dei bambini. L’ASILO GIGINO DI BIASSONO: PRIMO ASILO CAMPESTRE DELL’OPAI Un altro punto importante deliberato dal Consiglio dell’Opai il 1° giugno 1916 si riferiva all’acquisto di uno stabile destinato a divenire il primo “asilo campestre” dell’Opera: 101 La moglie di Otto Joel, Elisabeth Kitt (più familiarmente Bettina), e il figlio Rudolf davano così attuazione ad un desiderio espresso poco prima di morire, il 25 aprile 1916, da Otto, massone ebreo tedesco a capo della Banca Commerciale; sin da giovane Otto Joel era stato affetto da una debolezza polmonare che lo aveva costretto a lasciare la Germania per il più mite clima italiano. 102 Otto Joel, «nasce a Danzica il 13 maggio 1856 da agiata famiglia tedesca di origine ebraica. Mandato quattordicenne in Italia per motivi di salute, vi rimane tutta la vita ad eccezione di tre anni trascorsi a Francoforte per completare la propria formazione bancaria. Nel 1910 ottiene la cittadinanza del paese scelto quale patria adottiva. Nel 1887 entra alla Banca Generale ove rimane sino alla liquidazione (1894). Con Weil è il principale catalizzatore degli interessi, soprattutto tedeschi, che danno vita alla Banca Commerciale». Da: TONIOLO Gianni, Cent’anni, 1894-1994, La Banca Commerciale e l’economia italiana, Fiesole, Nardini Editore, 1994, p. 30. 103 Emilio Morlacchi Gritti, conte, fu il primo e unico podestà a Pianengo (Cremona). 104 Il notaio Federico Guasti, insieme ad altri protagonisti della storia dell’Opai come Senatore Borletti, fu tra i fondatori del Rotary Club Milano, di cui Mangiagalli fu presidente nel 1925-1926. 105 L’istituto dell’autorizzazione maritale, entrò a far parte ufficialmente dell’ordinamento giuridico con l’entrata in vigore del Code Napoléon, il 21 marzo 1804. Dopo la caduta di Napoleone a Waterloo, fu ripreso dal legislatore italiano e inserito tra le norme del Codice Civile del 1865. L’abrogazione dell’autorizzazione maritale avvenne per opera della L. 17 luglio 1919 n. 1176. La norma prevedeva che la donna demandasse al capofamiglia l’autorizzazione per comparire in giudizio e per compiere atti di disposizione patrimoniale quindi donare, ipotecare o alienare beni immobili, contrarre mutui, ecc.
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Il consiglio, udita la relazione del presidente, considerato che per l’adempimento del fine proprio dell’Istituzione è necessario provvedere al funzionamento del primo asilo campestre, ad unanimità, delibera di acquistare dal sig. Dionigi Mario Valagussa, fu Felice una villa in Biassono, viale Parco n. 16 con annesso fabbricato rustico e terreno al mappale n. 153 per il prezzo di lire 34.000. Delega all’uopo il proprio presidente Mangiagalli, o il vice presidente prof. Carlo Cavalli, ad intervenire anche disgiuntamente l’uno dall’altro all’istrumento d’acquisto, munendoli dei più ampi poteri al riguardo.
La villetta di Biassono, sita tra via Pietro Verri e viale Parco, con annesso fabbricato rustico e terreno, fu venduta all’Opera di prevenzione antitubercolare infantile per una cifra complessiva di lire 35.000 (leggermente superiore rispetto a quella prevista nella delibera di autorizzazione all’acquisto); ad acquistarne la proprietà, in ragione di un terzo ciascuno, furono Luigi Mangiagalli, Carlo Cavalli e Giuseppe De Capitani d’Arzago, come si evince dall’atto di vendita106. Il 25 giugno 1916 il prefetto di Milano, senatore Giovanni Cassis107, inviò a Luigi Mangiagalli una nota108 con cui prendeva atto della nomina del Consiglio d’amministrazione dell’Opai, autorizzava l’acquisto della villetta di Biassono e l’accettazione di un legato del valore di 10mila lire disposto dal banchiere Otto Joel. Pochi mesi dopo, il 25 ottobre, con la benedizione del cardinale Andrea Carlo Ferrari, l’Opai apriva il proprio asilo campestre a Biassono, accogliendo i primi fanciulli. La nuova struttura era denominata Asilo Gigino109 in memoria del defunto figlio dei coniugi Winderling, grazie alla cui generosa donazione era stato possibile acquistare e ristrutturare la villa. Nel ritrovato Archivio Opai è presente copia del documento con cui Lucia Fornasini e il marito Gustavo Nöel Winderling110 si impegnano formalmente a dar corso all’offerta fatta 106 «Il sottoscritto sig. Valagussa Dionigi Mario fu Felice dichiara di cedere e vendere come cede e vende ai signori sen. Prof. Luigi Mangiagalli, prof. rag. Carlo Cavalli e avv. Giuseppe De Capitani d’Arzago che accettano ed acquistano in ragione di un terzo ciascuno per sé o per persona da dichiarare, nominativamente la villa di sua proprietà in Biassono, via Pietro Verri N.19 con annessovi fabbricato rustico e terreno, il tutto già ai mappali N.139-140-153-239 e 305 di catasto rustico di detto Comune, fra le coerenze: a nord Meregalli Tomaso, ad est Viale del Parco, a sud strada comunale per S. Giorgio, ad ovest Sormani Foà di Bruno, salvo errore e come in fatto e salvo più esatte indicazioni catastali, con tutte le inerenti ragioni, azioni, servitù, pertinenze ed accessioni. Per il prezzo di £. 35.000 in conto del quale ed anche a titolo di caparra il venditore sig. Valagussa Dionigi Mario dichiara di avere ricevuto dagli acquirenti la somma di £.6000 della quale rilascia quietanza. In ulteriore acconto del prezzo della vendita il venditore delega agli acquirenti che accettano il pagamento del mutuo passivo di £. 18.000, verso la sig.ra Spreafico Carolina fu Luigi portato dal rogito Lavizzari D. Ercole di Monza 29 ottobre 1910 N.5069 di rep. Il residuo prezzo di £.11.000 verrà dagli acquirenti soddisfatto all’atto della rogazione dell’istromento definitivo di vendita da stipularsi entro due mesi dalla conclusione della pace da parte del governo Italiano. Il venditore presta la garanzia di evizione a sensi di legge dichiarando e garantendo che lo stabile venduto è di sua piena e assoluta proprietà per essere il fabbricato stato costruito sul terreno da lui acquistato con rogito Lavizzari del 2 novembre 1909 N. 4521 di rep. e garantisce che lo stesso è libero da livelli, vincoli e da ipoteche all’infuori dell’ipoteca esistente a garanzia del mutuo di £. 18.000 ed accessori come sopra accollato in conto prezzo. Il godimento dello stabile in contratto si intenderà incominciato a favore degli acquirenti da oggi e da oggi in avanti saranno a rispettivo loro carico e favore i pesi e le rendite relativi». 107 Giovanni Cassis, marchese, senatore, consigliere di Stato, il 1° giugno 1915 fu nominato commissario civile per la provincia di Milano e prefetto reggente fino al 15 agosto 1916. 108 Questo il testo della nota: «Nell’accusare ricevuta alla S.V. On. del verbale I° andante mese di nomina dei componenti il Consiglio D’Amministrazione di codesta “Opera di Prevenzione antitubercolare infantile” ne prendo atto, restituendo l’originale dell’autorizzazione maritale rilasciata dal signor Gadda Clemente a favore della signora Irene Gadda Monti. Prendo poi atto della domanda presentatami per essere codesta “Opera” autorizzata ad acquistare uno stabile in Biassono per primo ricovero di bambini ammalati e ad accettare un legato di lire 10mila, disposto dal fu comm. Otto Joel e restituisco i documenti pei relativi provvedimenti ai quali può essere dato corso». 109 Gigino Nöel Winderling morì di tubercolosi a trentadue anni il 16 aprile 1915. 110 Gustavo Nöel Winderling, figlio di Luigi Giuseppe e Eugenia Barthelemey, era nato a Metz, nella Lorena francese, nel 1852. Aveva lasciato la sua terra natale ancor giovanissimo per stabilirsi con la famiglia a Milano, ove assunse la cittadinanza italiana. Durante il primo conflitto mondiale, pur addolorato dalla perdita di due figli sul fronte italiano, svolse un ruolo attivo prodigandosi nelle opere di assistenza civile. La sua casa milanese di via Castelmorrone 8 ospitava uno dei salotti dove si riunivano «le più elette e significative personalità delle lettere, della musica, delle arti e della scienza». Fu uno dei più attivi pionieri per l’affermazione, su basi scientifiche, degli studi e della professione stomatoiatica in Italia. Il ministro Ruggero Bonghi lo inviò in America a studiare le scuole specialistiche di settore, riferendo al Governo il risultato delle sue osservazioni: egli stese una relazione ricca di suggerimenti pratici, scientifici e tecnici, dalla quale trasse origine quel movimento (ripreso da Carlo Platschick e dai discepoli) che doveva condurre nel 1908 alla fondazione dell’Istituto Stomatologico Italiano (Isi), a cui egli generosamente concorse. In quest’opera fu affiancato anche da altri personaggi importanti per la storia dell’Opai e della medicina italiana, tra cui il professor Luigi Mangiagalli (primo presidente del Consiglio di amministrazione dell’Isi), Achille Brioschi, fondatore della “Achille Brioschi & C.” che produceva e vendeva articoli chimici, liquori, detergenti, prodotti per l’igiene (ricordiamo a titolo di esempio il Lisoform) e il professor Ambrogio
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all’amico Luigi Mangiagalli mettendo a disposizione dell’Opera di prevenzione antitubercolare infantile la somma necessaria per acquistare la villetta di Biassono che sarebbe diventata la prima sede operativa della neonata associazione. Onorevole Consiglio Direttivo dell’Opera di prevenzione Antitubercolare Infantile, ci pregiamo rinnovare in forma legalmente impegnativa l’offerta da noi fatta all’illustrissimo signor senatore Luigi Mangiagalli. Mettiamo sin d’ora a disposizione dell’Opera di Prevenzione Antitubercolare Infantile, eretta ad Ente Morale, la somma necessaria all’acquisto e alla completa liberazione d’ipoteca della villa Mario Valagussa a Biassono onde farne il primo Asilo che porterà il nome del nostro adorato figlio Gigino mancato ai vivi un anno fa e nel quale verrà collocata una lapide con epigrafe111 da noi dettata per eternare la memoria del caro scomparso. Questo impegno si estende ai nostri eredi nel caso che venissimo a mancare prima della celebrazione dell’istromento d’acquisto.
I coniugi Winderling coinvolsero nel progetto altri membri della famiglia, tanto che nei primi bilanci dell’Opera risultano tra i sostenitori anche i dottori Luciano Nöel Winderling, fratello di Gustavo, e Aldo Maggioni, genero (per averne sposato il 18 settembre 1904 la figlia Luciana Luigia): entrambi i medici contribuirono anche alla nascita dell’Istituto stomatologico italiano. Tra i sostenitori dell’Opera anche l’architetto Emil Nöel Winderling. La struttura di Biassono si presentava come «un villino in posizione salubre e ridente, in faccia al semicerchio delle nostre Prealpi, in località elevata e lontana dall’abitato, confinante col vastissimo Parco della Villa Reale di Monza [...]. Luogo di rifugio, di ricovero, di assistenza. Bello, accogliente, attrezzato, con la capienza iniziale di 30 bambini dai 3 ai 6 anni. Nell’Asilo, vita semplice e sana: aria, luce, sole, alimentazione abbondante, occupazione intellettuale adatta ai teneri organismi e alle piccole menti»112. Ubicato poco distante da Milano, l’Asilo Gigino era dotato di impianto d’acqua potabile e riscaldamento a termosifone. La previsione di spesa per arredi, impianti igienici e biancheria era di circa 15.000 lire, mentre il funzionamento dell’asilo al completo, e cioè con trenta bambini, avrebbe comportato un fabbisogno annuo di 16.000 lire, cifra che includeva il mantenimento delle suore preposte alla cura dei bimbi. Gustavo Winderling fornì l’asilo di tutto l’arredamento e del materiale didattico, esigendo in cambio che fosse gestito secondo il metodo Montessori113. A tal scopo incaricò lui stesso tale signorina Fedeli, perché insegnasse quel metodo alle suore dell’asilo. Il 25 ottobre 1916, malgrado il cattivo tempo, oltre cinquecento persone erano presenti all’inaugurazione: molti erano partiti da Milano con un treno speciale messo a disposizione dalla direzione delle tramvie interprovinciali Milano-Monza-Carate. La lettura dei giornali dell’epoca ci dà conto di come si svolse la cerimonia. Dopo che il cardinale Ferrari ebbe benedetto la bandiera dell’Asilo e le sale, il senatore Mangiagalli ha portato agli intervenuti il saluto e il ringraziamento del Comitato Promotore [...]. Nei particolari della costruzione e dell’arredamento l’asilo è conforme a tutte le norme dell’igiene e tuttavia il suo aspetto all’esterno e all’interno è gaio ed aprico. Uno dei locali è organizzato da aula scolastica: grazie specialmente all’interessamento del comm. Winderling, l’Asilo è stato dotato di tutto il materiale didattico secondo il sistema Montessori, sicché i bambini ricoverati Bertarelli, primario dermosifilografo dell’Ospedale Maggiore di Milano, discendente da una famiglia milanese dedita al commercio di medicinali e coloniali presso la quale anche Achille Brioschi aveva lavorato fino al compimento del ventesimo anno d’età. 111 Questo il testo inciso sulla lapide: “Il giorno XVI Aprile MCMXV/Gigino Nöel Winderling/rapito a 32 anni/da fulmineo morbo/lasciava i genitori sgomenti straziati”. 112 NEGRI Lina, Opera di prevenzione antitubercolare infantile: eretta in Ente morale, op. cit. 113 Maria Montessori (1870-1952), nel 1896 la prima donna medico dopo l’Unità d’Italia, si dedicò al recupero dei bambini con problemi psichici ed estese poi il proprio piano pedagogico all’educazione di tutti i bambini. Nel 1907 aprì a Roma, San Lorenzo, la prima “Casa dei bambini” dove si applicava una nuova concezione di scuola d’infanzia. L’esperienza si dimostrò un successo e nacque il movimento montessoriano dal quale, nel 1924, avrà origine l’Opera nazionale Montessori. A causa degli insanabili contrasti con il fascismo, l’opera venne chiusa nel 1936 e funzionò liberamente nel dopoguerra. Secondo la Montessori la scuola doveva essere in grado coinvolgere i bambini nelle attività individuali e di gruppo, accrescendo in loro il senso di appartenenza alla collettività e nello stesso tempo dando loro piena libertà di movimento e azione.
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Dopo l’attivazione della Crèche alla Clinica De Marchi, l’Opai esplicava dunque la sua attività assistenziale a favore dei bambini in quattro forme: baliatico, post-baliatico, crèche, asilo. I fanciulli potevano restare all’Asilo Gigino fino al compimento del sesto anno di vita, dopodiché venivano indirizzati verso scuole all’aperto, in quanto si riteneva che per la loro gracilità non potessero essere in condizioni di frequentare una scuola di stampo tradizionale. All’attività di assistenza si aggiungeva un’intensa opera di propaganda ed educazione antitubercolare, in stretta connessione con i dispensari antitubercolari (che segnalavano i casi degni di attenzione), ma anche con la Clinica ostetrico-ginecologica, che assisteva le gestanti tubercolose e consegnava all’Opai i loro neonati. LA RICERCA DI UNA CASA PIù GRANDE Così ricordava il professor Carlo Cavalli: «Era bastato iniziare le prime previdenze per constatare gli immensi bisogni. I dispensari ci segnalavano, ogni giorno, casi strazianti di madri supplicanti che almeno le loro creature fossero salvate. Come provvedere? Luigi Mangiagalli, per il quale ogni conquista non è mai un fine raggiunto, ma sprone a meta più alta, non poteva rimanere insensibile a tanti gridi di dolore. L’opera da lui intrapresa si rivela sempre più grandiosa, di una vastità tale i cui confini si perdevano nell’infinito e allora Egli disse che bisognava cercare un nuovo ambiente atto a ospitare molti, molti bambini; ma come trovare poi i mezzi grandiosi per aiutare questo nuovo progetto? Occorreva un miracolo e questo si è compiuto»139. La guerra era appena finita e non era certo un’impresa semplice. Uno dei primi sostenitori dell’Opai, Senatore Borletti140, aveva ipotizzato di donare all’Opera una grandiosa villa da lui acquistata ad Arosio nel 1918, ma come ricordò il professor Carlo Cavalli nella commemorazione funebre del Borletti «circostanze varie hanno portato in allora a decisioni diverse, ma Egli aveva compreso tra i primi che nella battaglia contro la tubercolosi l’azione preventiva si sarebbe potuta esercitare meglio nel mezzo di campagne salubri, dove le energie dei bimbi insidiati potessero rinfrancarsi e ricostituirsi [...]. Un giorno il caso ci [si intende Carlo Cavalli e Luigi Mangiagalli, Nda] portò innanzi ad un antico palazzo, maestoso e tranquillo, in fondo ad un parco stupendo. Stavamo ammirati in contemplazione come di cosa incantata, tanto ci appariva lontano dalla possibilità dei nostri poveri mezzi. Ma Egli [Mangiagalli, Nda] con l’abituale sua serenità, spinse il cancello ed entrammo a visitare, per la prima volta, la villa dei principi Gonzaga. Sembrava costruita apposta per lo scopo nostro, con la possibilità di raccogliervi migliaia di bambini»141. Si trattava di una villa seicentesca142 ubicata nel territorio di Olgiate Olona, circondata da uno splendido parco con alberi secolari, rustici facilmente restaurabili e un podere con ventimila metri quadrati di terreno, che era stata proprietà del principe Emanuele Gonzaga di Vescovato (su alcuni documenti Vescovado) e prima ancora della famiglia Greppi, con cui i Gonzaga erano imparentati. Ma l’origine della villa è più remota.
139 Humanitas, n. 5, aprile 1923, p. 8. 140 Senatore Borletti, fondatore e presidente de “La Rinascente-Upim”, fondatore delle “Officine Borletti”, presidente della “Snia Viscosa”, fondatore e presidente della “Società anonima linificio e cotonificio nazionale”, presidente della “Società anonima A. Mondadori”, presidente della “Italrayon”, vicepresidente della Banca nazionale di credito, proprietario del quotidiano Il secolo, tra i soci fondatori del Rotary Club Milano. 141 Humanitas, n. 5, aprile 1923, p. 8. 142 Cfr.: CAZZOLA Ovidio, GASPAROLI Paolo, e altri, Villa Gonzaga. Progetto per il recupero e il riuso del complesso della Villa, Gavirate, Nicolini Editore, 1989, p. 12.
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Capitolo Terzo
L’OPAI E LA “CASA DEI BAMBINI” IN VILLA GONZAGA A OLGIATE OLONA
IL “GRAN PALAZZO CON DELIZIOSO GIARDINO” DI OLGIATE OLONA Il complesso di Olgiate Olona oggi ai più noto come “Villa Gonzaga” appariva nel Catasto teresiano143 con il numero di mappa 757: la partita catastale era intestata al marchese Giovanni Paolo Molo144 (in alcuni documenti il cognome è indicato come Mollo, Molli, Molla) fu Carlo, sotto il nome di “casa di propria abitazione”. Possiamo dedurre che il Molo avesse acquistato la proprietà di Olgiate Olona prima del 1741, in quanto in quell’anno ottenne licenza di rinnovo della soglia145 di un mulino doppio (mulino del Sasso) di cui era proprietario in territorio olgiatese, come documenta Luigi Carnelli nel volume Il fiume Olona. Le acque, la storia, i mulini146. Con Francesco Venino e Antonio Visconti, il Molo era tra i principali appaltatori della regalia147 del sale, vale a dire uno dei personaggi della finanza privata di metà Settecento che finanziava l’Erario assicurandosi in cambio una quota degli utili sulle provviste. Come gli altri fermieri, si tutelava dai rischi di anticipare somme ingenti assicurandosi un doppio guadagno: quello proveniente dagli interessi del denaro prestato e quello derivante dalla vendita delle merci, senza contare la prelazione sul gettito delle regalie da lui amministrate. Il 15 marzo 1751 il Molo, che era stato segretario del Senato milanese148, Impresaro della Mercanzia (cioè dei dazi di confine del milanese)149 e del Rimplazzo150 (vale a dire dell’appalto 143 Il Catasto teresiano riguarda il territorio dello Stato di Milano che divenne parte integrante del Regno LombardoVeneto alla fine del ‘700. Concepito da Carlo VI nel 1718, fu completato successivamente, tra il 1749 e il 1760, durante il regno di Maria Teresa d’Austria. Il Catasto teresiano può essere definito “geometrico”, in quanto non si limita ad una generica descrizione del fondo o dell’immobile censito, ma ne determina esattamente superficie e contorni sulla base di una misurazione effettuata sul posto da esperti agrimensori. L’unità di misura allora in uso era la pertica, mentre il valore monetario veniva segnato in scudi e lire. 144 Giovanni Paolo Molo, marchese di Azzate, sposato a Bergamo con Teresa Terzi di Giambattista della Ferrarezza. Ebbero cinque figli: Giuseppa, sposata col conte Giovio di Como, Marianna sposata con Giuseppe Boggiari, Giuseppe Antonio, sposato con Marianna Grassi del conte Francesco, Paolo Antonio (canonico della Scala, deceduto nel 1765), e Luigia, maritata Cremona. Cfr.: MANARESI Cesare, Alberi genealogici delle case nobili di Milano, Milano, Orsini De Marzo, 2008. 145 «Le Soglie delle bocche d’irrigazione dovevano disporsi in altezza sul fondo del fiume di 2/3 del braccio di legname, ossia a once 8=0,40 colla luce non maggiore di braccia2 once 6 ossia di 1,50 m.». Cfr: CARNELLI Luigi, Il fiume Olona. Le acque, la storia, i mulini, Comune di Gorla Maggiore, 2006, p. 137. 146 CARNELLI Luigi, Il fiume Olona, op. cit., p. 387. 147 La regalia era il diritto regio ad applicare imposte dirette. 148 Il Senato milanese, Senatus Excellentissimus Mediolani, fu per quasi trecento anni il supremo organo giudiziario dello Stato di Milano. Creato con l’editto di Vigevano dell’11 novembre 1499 per volere di Luigi XII d’Orleans, era depositario di molti poteri: accanto al diritto d’interinazione, cioè di confermare e far eseguire gli atti del sovrano, il Senatus si occupava dell’amministrazione della giustizia, intesa più che come gestione diretta delle singole cause, soprattutto come sistema di controllo delle magistrature inferiori presenti nel ducato. Inoltre era chiamato a fornire interpretazioni e a emanare, modificare o disattendere le norme laddove ritenesse opportuno colmare lacune o incongruenze a livello di fonti giuridiche. I suoi membri erano scelti sia tra i membri di spicco della città, sia tra gli uomini di fiducia del re. Con il passaggio di Milano sotto il controllo degli Asburgo d’Austria agli inizi del XVIII secolo, il Senato venne fatto oggetto di radicali ristrutturazioni. Già nominalmente abolito dall’imperatrice Maria Teresa nel 1740, fu effettivamente soppresso solo nel 1786 a opera di Giuseppe II. Sul Senato e le sue attribuzioni cfr.: PETRONIO Ugo, Il Senato di Milano. Istituzioni giuridiche ed esercizio del potere nel Ducato di Milano da Carlo V a Giuseppe II, Milano, Giuffrè, 1972; VERGA Ettore, La Congregazione del Ducato e l’amministrazione dell’antica provincia di Milano (1561-1759), Milano, Tip. F.lli Rivara, 1895. 149 Per “Mercanzia” deve intendersi l’insieme delle somme pattuite tra la Camera dei mercanti di Milano (detta anche Consilium mercatorum) e gli appaltatori della riscossione dei dazi applicati alle merci in entrata e in uscita dalle città lombarde, alle porte delle quali erano poste le dogane. 150 Il termine “Rimplazzo” era usato per indicare un «alloggiamento militare sotto la direzione di un provveditore generale, il quale forniva d’alloggio l’esercito in tempo di pace ad un determinato prezzo per ciascuna razione da pagarsi in via d’imposta sopra tutto lo Stato, secondo la fatta ripartizione. Così furono procurati opportuni e comodi alloggiamenti alle truppe, liberati i pubblici e i cittadini dalle vessazioni, e assicurata l’uguaglianza del carico». Venne introdotto per la prima volta nel 1662 dal governatore Guzman Ponze De Leon. Cfr.: CUSANI Francesco, Storia di Milano del conte Pietro Verri, colla continuazione del barone Custodi, tomo IV, Tipografia Elvetica, 1837, p. 232.
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per la manutenzione e approvvigionamento dell’esercito), ottenne dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria il titolo di marchese di Azzate e di Dobbiate151, feudo vacante da cinque anni per la morte di Giulio Antonio Biancani152. Il Biancani e il Molo avevano per alcuni anni gestito insieme la Ferma del sale153 per il Ducato di Milano; quando nel 1746 il Biancani era caduto in disgrazia a causa delle sue attività antiaustriache, Giovanni Paolo Molo aveva continuato la sua attività di fermiere, tentando nel frattempo di ottenere dall’imperatrice austriaca Maria Teresa il pagamento dei molti crediti che vantava nei confronti dell’ex-socio, ma senza successo: la concessione del titolo nobiliare fu quindi un modo per risarcire il Molo, al quale nel frattempo era stata sottratta la Ferma secondo un progetto elaborato dal nuovo governatore di Milano, Gian Luca Pallavicini154, per rimediare alla situazione disastrosa in cui versava l’erario. In pratica si voleva dar vita a una Ferma generale, cioè a un unico appalto per tutte le regalie - «sale, tabacco, salnitro, polveri, dazj, gabelle, macine, pesce, acquevite, neve e ghiaccio, macello, vino, pane»155 - della durata di nove anni. Nel 1750 l’imperatrice Maria Teresa d’Austria aveva posto il Molo e i suoi nuovi soci, Pietro Venini e Antonio Visconti, nella condizione di decidere in quindici giorni se assumere la Ferma generale: qualora i tre fermieri non fossero stati in grado di accollarsi l’onere, avrebbero dovuto rinunciare agli appalti parziali assunti e non ancora scaduti. Molo, Visconti e Venini rinunciarono e congiuntamente richiesero il rimborso dei sei milioni e ottocentomila lire di cui erano ancora creditori (un credito verso l’Erario per prestiti e forniture effettuate durante la guerra per un valore complessivo di 3 milioni di lire su cui erano maturati gravosi interessi): la somma venne liquidata - una parte subito, il resto in sei anni a rate - da una compagnia di cinque faccendieri: Giacomo Mellerio156, Francesco Antonio Bettinelli157, Antonio Greppi158, 151 Nel 1657 Azzate entrò nel feudo degli Alfieri e due anni dopo uno di essi, Giacomo Maria, venne investito del titolo di conte dall’imperatore Filippo IV d’Asburgo. Nel 1712 Francesco Alfieri, conte di Azzate e Dobbiate, morì senza lasciare discendenti maschi e il 14 giugno dello stesso anno l’imperatore investì del feudo Nicolò Aurelio Torriani. Anche costui, però, non ebbe discendenti maschi e nominò quale suo successore il conte Ansperto Confalonieri dal quale Giulio Antonio Biancani acquistò il feudo nel 1737 per mezzo milione di lire. 152 Nel 1742 Giulio Antonio Biancani fu nominato questore del Magistrato Ordinario di Milano dall’imperatrice Maria Teresa: in questo ruolo vigilava sulla regolarità delle leggi di bilancio proposte dal governatore o dal consiglio supremo, si occupava della riscossione delle imposte, della vigilanza sull’emissione di monete, dell’organizzazione del servizio postale e del controllo della distribuzione di beni voluttuari quali il tabacco e gli alcolici. Nel novembre 1746, a causa delle sue attività antiaustriache, venne però condannato dall’imperatrice austriaca a decapitazione e alla confisca dei beni come “disertore e fellone”. Per un approfondimento sulle vicende che portarono alla morte del Biancani, cfr.: DI RENZO VILLATA Gigliola, Storie d’ordinaria e straordinaria delinquenza nella Lombardia settecentesca, in «Acta Histriae» 15.2007.2, pp. 521-564. ISSN 1318-0185. Si veda anche: BARBARISI Gennaro (a cura), Verri Pietro: Opere. Vol. V. Scritti di argomento familiare e autobiografico, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2003; e CUSANI Francesco, Storia di Milano dall’origine ai nostri giorni, vol. III, Libreria Pirotta, 1864. 153 La ferma del sale era un affare molto redditizio: si trattava di acquistare sale a Trapani, Barletta o in Spagna e di trasportarlo in Lombardia passando da Genova o lungo il Po, «vendendosi poi nelle singole gabelle a prezzi diversi, a tenore dei privilegi delle città e corporazioni, cosicché l’amministrazione di Sali complicatissima offriva cento modi di frodare l’erario». Cfr.: CUSANI Francesco, Storia di Milano dalle origini ai nostri giorni, vol. III, op. cit., p. 73. 154 Gian Luca Pallavicini, inviato nel 1750 a Milano dall’imperatrice Maria Teresa come governatore, pose immediatamente la sua attenzione sull’attività dei cosiddetti “fermieri”, appaltatori per la riscossione delle imposte indirette, che grazie a contratti più o meno addomesticati riducevano la quota spettante allo Stato a una misura non proporzionata al gettito reale. 155 CUSANI Francesco, Storia di Milano dall’origine a’ nostri giorni, vol. III, op. cit., p. 262. 156 Giacomo Mellerio (1711- 1782) figlio di un medico originario di Malesco in Val Vigezzo, venne affidato sin da giovinetto agli zii Cioja, negozianti e banchieri di Milano. Divenne straordinariamente ricco grazie agli «appalti dei viveri pei militari durante le guerre di Maria Teresa, e poi vieppiù, nella Ferma Generale [...] per la Lombardia e pel Mantovano»; terminata la Ferma «fu fatto Regio Consigliere del Ducale Magistrato di Milano [1771]» e nel 1776 ottenne il titolo di «Conte e abilitato all’acquisto del Feudo vacante del luogo di Albiate, Pieve di Agliate». Fu sepolto a Milano nella chiesa di S. Nazzario Maggiore, nella cui parrocchia risiedeva. Cfr: POLLINI Giacomo, Notizie storiche, statuti antichi, documenti e antichità romane di Malesco, comune della valle Vigezzo nell’Ossola, studi e ricerche del dottore Giacomo Pollini, C. Clausen, Torino, 1896, pp. 577-593. 157 Francesco Antonio Bettinelli, ricco mercante cremonese, acquistò la casa milanese del Biancani, dopo che questi venne condannato, cfr.: CUSANI Francesco, Storia di Milano dall’origine a’ nostri giorni, vol. III, op. cit., p. 262. 158 Antonio Greppi (1722-1799) nato a Cazzano di S. Andrea in Val Gandino (Bergamo) da una famiglia di mercanti, nel 1743 si sposò con Laura Cotta dalla quale ebbe sei figli maschi (Giuseppe, Marco, Giacomo, Alessandro, Paolo e Pietro). Nel corso degli anni Antonio affiancò alla tradizione mercantile di famiglia nuove attività, tutte ugualmente importanti: quella di imprenditore (sia industriale che agricolo), di banchiere (commerciale e d’affari), di finanziere (nella finanza pubblica e in quella privata), di diplomatico (negoziò trattati commerciali per conto dell’imperatrice Maria Teresa con tutti
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Il 4 novembre 1896, moriva a Milano Luigia Valentina, ultima discendente del ramo Greppi alla Cavalchina214, così detto dal nome della via milanese in cui sorgeva il Palazzo di famiglia, corrispondente alla zona ove attualmente sorge il palazzo dei Meli-Lupi di Soragna in via Daniele Manin. Nella Continuazione delle annotazioni in forma di cronaca che riguardano gl’anni dal 1884 in seguito, il parroco olgiatese don Francesco Basilico215 ricorda le doti umane della defunta contessa Greppi, che anche nel suo testamento volle nuovamente manifestarsi benefattrice216 della comunità olgiatese. Nel 1896 vi fu di notevole la morte avvenuta il 4 Novembre della Contessa D. [Donna] Luigia Valentina Greppi. Fu donna di gran virtù e caritatevole coi poverelli specialmente di Olgiate Ol.ª. Donò al Comune l’area per fabbricare il Municipio che fu innalzato nell’anno 1897. Lasciò eredi di tutta la sua sostanza i nipoti Luigi ed Emanuele Principi Gonzaga. Lasciò pure un legato di (£. 1.000) lire mille annue esenti di tasse all’Asilo Infantile. Queste mille lire presentemente si ricevono annualmente dai Sig.i Principi Gonzaga. Il giorno 6 Novembre Funerale ed Uff° [Ufficio] solenne coll’intervento di N.16 Sacerdoti nella Chiesa Prep.e [Prepositurale] di S. Francesco di Paola a Milano: fu trasportata il giorno seguente a Olgiate Ol.ª e qui Le si fecero nuovi funerali coll’intervento di N.18 Sacerdoti. Intervennero anche la Confraternita di S. Carlo, S. Luigi; Consorelle e Figlie di Maria. Fu seppellita nella Sua privata Cappella al cimitero e sulla sua tomba parlarono il Parr.° locale e il Sig. Prof. Sac. Giacomo Tovo ex Rettore di Merate e assessore del Comune nostro217.
Nelle disposizioni testamentarie218 Luigia Valentina lasciò le sue sostanze ai nipoti Gonzaga di Vescovato: chiamava infatti quali eredi universali per una metà parte il nipote principe Emanuele e per l’altra metà parte i pronipoti minorenni principi Antonio e Giuseppina nella proporzione però di due terzi il primo (Antonio) e di un terzo la seconda (Giuseppina), riservando l’usufrutto vitalizio di queste ultime parti a favore del loro padre principe Luigi Gonzaga di Vescovato. Il valore complessivo dell’attivo ereditario ammontava a lire 2.150.574,10. 1896: EMANUELE GONZAGA EREDITA I POSSEDIMENTI DI OLGIATE OLONA In linea generale, Luigia Valentina aveva disposto che nella divisione della sua sostanza venissero assegnate ai figli del nipote principe Luigi Gonzaga, le case di Milano in Via Manin e via Principe Umberto, nonché il palco nel Teatro alla Scala, mentre al principe Emanuele Gonzaga andò il “tenimento di Olgiate Olona e Uniti”, comprendente aratori con gelsi, prati, boschi, brughiere, caseggiati e corti per un totale di 8376 are. Tra questi possedimenti, la villa indicata nella denuncia di successione come «casa di villeggiatura sita in via Vittorio al civico n. 2 della consistenza di piani tre e vani settanta distinta 214 Il toponimo “Cavalchina” derivava dal nome della famiglia Boniforte Guidobono Cavalchini proprietaria di un ampio caseggiato lungo la via che, testi dell’epoca, definivano “angusta e melanconica”. 215 Don Francesco Basilico «classe 1861, nativo di Solaro, coadiutore da dieci anni, gli ultimi sette a Cantù-San Michele; giunse in paese il 13 settembre 1895, fece ingresso “trionfale” in parrocchia il 6 gennaio 1896; parroco a soli trentaquattro anni, fu fondatore di strutture necessarie alla comunità e guida spirituale dei fedeli per un lunghissimo arco di tempo, quasi trentasette anni. [...] A Olgiate Olona fu artefice di iniziative di forte valenza sociale: nel 1904 inaugurò la nuova sede dell’asilo “privato”, nel 1906 costruì e inaugurò l’oratorio maschile con casa del coadiutore che pagò di tasca propria; in frazione Buon Gesù costituì una cooperativa di consumo e un circolo di cultura; nel 1911 con la Fabbriceria avviò il primo ampliamento della chiesa Santo Stefano [...]; fondò nel 1901 la banda musicale, nel 1923 la “buona stampa”, nel 1930 la biblioteca parrocchiale con settecentocinquanta volumi. Impreziosì la chiesa Santo Stefano [...]. Morì il 7 luglio 1932 [...] a settantuno anni». Tratto da.: COLOMBO Alberto, Storia della prepositurale Santi Stefano e Lorenzo martiri di Olgiate Olona, op. cit., pp. 279-280. 216 Il 16 maggio 1938 il commissario prefettizio di Olgiate Olona scrisse in una missiva diretta alla Regia Soprintendenza all’Arte medioevale e moderna della Lombardia: «Il N.H. Paolo Greppi e sua sorella N.D. Luigia Greppi [...] furono dei benefattori di questo Comune. Era tradizione dei Nobili Greppi la distribuzione natalizia dei doni». 217 Continuazione delle annotazioni in forma di cronaca che riguardano gl’anni dal 1884 in seguito, in: Registro battesimi 1861-1865 Chiesa Santo Stefano Olgiate Olona, vol. X, p. 366; trascritta in: Liber Chronicus, vol. I, pp. 28-29. 218 Atti 7 Luglio 1888, 23 Aprile 1892, 18 Febbraio, 21 e 27 Luglio 1896, pubblicati dal notaio Leopoldo Cuttica in Milano il 5 e 10 Novembre 1896 con suoi rogiti ai numeri 4809, 4810, 4811, 4814 di repertorio.
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in mappa coi n. 171, 172, 173 di 842 sub 2 e gravata dall’imponibile annuo di L. 1875» che il principe Emanuele Gonzaga di Vescovato ribattezzò col suo nome: Villa Gonzaga. Anche il sepolcreto di famiglia a Olgiate Olona passò in proprietà esclusiva a Emanuele Gonzaga, al quale - con testamento 23 aprile 1892 rogato dal notaio Leopoldo Cuttica Luigia Valentina accollava anche l’erogazione perpetua di mille lire annue «da farsi allo scopo che l’infanzia della Parrocchia di Olgiate Olona continui ad essere raccolta in opportune ore della giornata in apposito asilo per ottenere l’educazione fisica, intellettuale e religiosa di cui sia capace coll’opera di quella persona che il parroco pro tempore di Olgiate Olona giudicherà opportuno di designare, possibilmente religioso». Questo legato fu garantito con ipoteca iscritta proprio sul «palazzo di villeggiatura in Olgiate Olona con giardino, vigneto e caseggiato colonico». Il principe Emanuele Gonzaga fu per alcuni anni attivo protagonista della vita politica e amministrativa di Olgiate Olona, come lo era stato prima di lui lo zio Paolo Greppi, tanto da divenire sindaco negli anni dal 1890 al 1896, nonché membro della Fabbriceria della Parrocchia di S. Stefano. Uno dei suoi figli, Giovanni Maria219, nacque proprio nella villa di Olgiate Olona. Nel 1901, in occasione della visita pastorale del cardinale Andrea Carlo Ferrari, il principe donò alla parrocchia un terreno220 adiacente la chiesa San Gregorio magno sul quale, nel 1904, iniziarono i lavori per la costruzione del nuovo oratorio festivo maschile, definito «vera provvidenza per la gioventù e per una parrocchia»221. Nel giro di pochi anni, però, Emanuele Gonzaga maturò la decisione di mettere in vendita le proprietà di Olgiate Olona: tra queste anche la casa di villeggiatura dei suoi avi. 1905: LE FIGLIE DELLA PRESENTAZIONE DI MARIA AL TEMPIO E IL COLLEGIO GONZAGA Quando nel 1904 la villa venne posta in vendita, il parroco di Olgiate Olona, don Francesco Basilico, pensò di proporre l’acquisto alla Congregazione delle Figlie della Presentazione di Maria Santissima al Tempio222 di Como, note anche come “Pie Signore”, che il sacerdote conosceva da quando era stato coadiutore a S. Michele in Cantù223. L’invito del sacerdote nascondeva un altro desiderio: quello di trovare personale adeguato cui affidare la gestione del nuovo asilo infantile224 “privato”, cioè di proprietà del parroco stesso, 219 Il parroco olgiatese don Pietro Colombo sul Registro battesimi 1892-1900 Chiesa Santo Stefano Olgiate Olona attesta: Giovanni Maria Luigi Francesco Giuseppe Agostino Gonzaga di Vescovato, figlio di Emanuele Gonzaga di Vescovato e di Gertrude Del Carretto, «sposati nella Parrª S. Ambrogio di Milano», nacque a Olgiate Olona il 28 agosto 1894; assistette al parto «Paolina Passoni levatrice app.ta [approvata] di Legnano»; fu battezzato «sotto condiz.e [condizione] il 29 seg.te [seguente]» dal citato parroco; madrina fu Luigia Valentina Greppi a mezzo della marchesa Elisa del Carretto vedova Lurani. Cfr.: COLOMBO Alberto, Storia della prepositurale Santi Stefano e Lorenzo martiri di Olgiate Olona, op. cit., p. 368. Giovanni Maria Gonzaga morirà il 6 febbraio 1960 a Bergamo dove nel dicembre 1921 aveva sposato la nobile Caterina, figlia del conte Gerolamo Medolago Albani. 220 Nei decreti della Visita pastorale del 12-13 maggio 1901, l’arcivescovo Andrea Carlo Ferrari scrisse al parroco: «Professiamo gratitudine alla generosità dell’Ill.mo Sig. Principe Gonzaga, il quale, oltre a quello che fece per l’Asilo e per l’Oratorio festivo per le ragazze, ha disposto vicino all’oratorio di S. Gregorio di un tratto di terreno per la costruzione dello Oratorio festivo per i figliuoli. Confidiamo perciò nello zelo del Rev. Parroco e nella corrispondenza e generosità dei parrocchiani che presto sorgerà il nuovo edificio, vera provvidenza per la gioventù e per una parrocchia». In: CAZZANI Eugenio, Olgiate Olona e la sua Pieve, op. cit., pag. 273. 221 CAZZANI Eugenio, Olgiate Olona e la sua Pieve, op. cit., pag. 273. 222 L’Istituto della Presentazione fu fondato nel 1833 da alcune «Signore e Zitelle associate per vivere in comunione sotto la direzione del Parroco [don Carlo Fraschina, NdA] e Coadiutori di Sant’Agata [don Giuseppe Cavadini e don Giuseppe Soldini, NdA]», come risulta al proemio dello Statuto approvato con R. Decreto 22 ottobre 1874. L’opera iniziò a Como nella zona del Borgo di San Martino, in parrocchia di S. Agata «allo scopo di incamminare le ragazze orfane ed abbandonate dai genitori nella via del buon costume e della religione cattolica». Si veda: Figlie della Presentazione di Maria SS. al Tempio, Quaderni di Casa, Rivista delle Figlie della Presentazione di Maria SS. al Tempio, Saronno, Tipografica Luigi Monti, 2008. 223 Le Figlie della Presentazione di Maria santissima al Tempio iniziarono la loro attività a Cantù nel novembre 1890 per occuparsi dell’oratorio e della dottrina cristiana nelle tre parrocchie. Si veda: FIGLIE DELLA PRESENTAZIONE DI MARIA SS. AL TEMPIO, Origine dell’Istituto e delle case della Congregazione delle Figlie della Presentazione di Maria SS. al Tempio sotto il nome di Pie Signore, Como, Scuola Tipografica Casa Divina Provvidenza, 1916. 224 Il parroco olgiatese don Pietro Colombo avviò nel 1886 la costruzione della nuova sede dell’asilo infantile negli
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inaugurato proprio nel 1904. A questa proposta le Pie Signore risposero inizialmente in maniera negativa adducendo come ragione quella della lontananza, ma il sacerdote non si diede per vinto e si adoperò per convincere le suore ad acquistare la villa dei principi Gonzaga a Olgiate Olona che pareva potersi adattare a collegio. Si considerò positiva la vicinanza del ben avviato Collegio Rotondi di Gorla Minore, e lo stesso cardinale Andrea Carlo Ferrari consigliò e incoraggiò le Pie Signore all’acquisto. Così si ricorda in un verbale di Consiglio della Congregazione delle Figlie della Presentazione, anno 1905: «Per invito dell’Eminentissimo Cardinal Ferrari, si fece acquisto della Casa di Villeggiatura del Principe Emanuele Gonzaga sita in Olgiate Olona, per mettervi Educandato femminile. Durante le pratiche per l’acquisto, il Rev. Parroco del luogo, ci invitò ad assumere la conduzione dell’Asilo privato del paese, proprietà del Parroco stesso. Col consenso di S.E. il Cardinal Ferrari si accettò in via di esperimento alle condizioni proposte. Coll’istromento 19 gennaio 1905 si prese possesso della casa suddetta e vi si intestarono le sorelle Sterlocchi Rosa225, Marchesoli Maria226 e Robbiani Francesca227». Così nei primi mesi del 1905, sguarnita di ogni opera d’arte e spogliata degli arredi, la villa dei Gonzaga venne venduta alla Congregazione delle Figlie della Presentazione di Maria SS. al Tempio di Como, le quali entrarono in Olgiate Olona ove assunsero la direzione del citato asilo infantile, dell’oratorio femminile e aprirono un Collegio femminile. Nel 1905 i Gonzaga lasciarono definitivamente Olgiate Olona e il loro ultimo atto pubblico fu la donazione al Comune dell’area necessaria per la costruzione di un nuovo cimitero228 e del relativo viale d’accesso229: l’atto notarile venne siglato l’11 dicembre 1907, come attestano i documenti presenti in Archivio del Comune di Olgiate Olona e come ricorda anche il Liber Chronicus custodito in Archivio della Prepositurale. «Il nuovo Collegio continuò ad intitolarsi ai Gonzaga, sia a ricordo della principesca famiglia, sia per assicurare la cristiana educazione della gioventù sotto la tutela del Santo di Castiglione, e nel 1905 si cominciò ad abitarlo. La bella Chiesina interna230 era già ufficiata, quindi si poté stabili del primo oratorio maschile, ubicato nell’attuale via Landriani-Ortigara. Alla struttura, inaugurata nel 1904, era annessa l’abitazione per le suore e un cortile per la ricreazione delle ragazze nei giorni festivi. Per un approfondimento cfr.: COLOMBO Alberto, Storia della prepositurale Santi Stefano e Lorenzo martiri di Olgiate Olona, op. cit., pp. 253-262. 225 Rosa Sterlocchi, «maestra di studio e di lavoro», originaria di Gallivaggio, entrò nella Casa di S. Martino delle Pie Signore nell’ottobre 1874. Era nipote di don Luigi Guanella, allora impegnato nel servizio pastorale a Savogno in Valchiavenna, fondatore della congregazione delle Figlie di S. Maria della Provvidenza (il 23 ottobre 2011 fu proclamato santo da papa Benedetto XVI). Si veda: TAMBORINI Alessandro, PREATONI Giuseppe, Il Servo della Carità Beato Luigi Guanella, Milano, San Paolo, 1964, p. 245. Dal 1895 suor Rosa era direttrice della Casa Sacra Famiglia di Como, di proprietà delle Pie Signore. 226 Maria Marchesoli, sorella di Francesca che fu a lungo Superiora generale, giunse all’Istituto della Presentazione in borgo S. Martino di Como nel 1858, «per terminare gli studi magistrali; nel 1861, dopo il conseguimento della patente in magistero, decise di rimanere nell’Istituto come insegnante e sorella». Si veda: Figlie della Presentazione di Maria SS. al Tempio, Quaderni di Casa, op. cit., p. 140. 227 Francesca Robbiani, dopo essere stata responsabile del settore educativo nella Casa Sacra Famiglia di Como, nel 1911 ottenne l’abilitazione calligrafica e si dedicò allo studio della lingua francese, che iniziò all’Università di Grenoble e concluse a Pavia nel 1913. 228 Il nuovo cimitero di Olgiate Olona, ancor oggi in uso, fu aperto nel 1908 durante l’amministrazione del sindaco Francesco Bianchi e benedetto da monsignor Angelo Nasoni, avvocato generale della Curia di Milano: il primo sepolto è del 3 gennaio 1909. Per un approfondimento si veda COLOMBO Alberto, Storia della prepositurale Santi Stefano e Lorenzo martiri di Olgiate Olona, op. cit., pp. 215-219. La soppressione del vecchio cimitero fu deliberata dal Comune di Olgiate Olona il 7 ottobre 1933, ma la decisione non fu subito operativa, in quanto occorreva, tra l’altro, decidere la sorte del cimitero privato della famiglia Greppi e della cappella in esso ubicata. Il 22 aprile 1938, con deliberazione del commissario prefettizio Sante Cappellani, si decise «di procedere alle opere di soppressione del vecchio Cimitero; di costruire nel cimitero nuovo un Ossario-Cripta (sul quale sorgerà in seguito la Cappella centrale) nel quale saranno depositati i resti degli avi della famiglia dei Principi Gonzaga, la quale rinuncia a costruire la cappella gentilizia». I dettagli del progetto sono illustrati nella relazione allegata alla delibera: «Scavo del terreno fino a ml. 2,00 di profondità, ricupero delle ossa, demolizione di parte della cinta esistente da sostituirsi con siepe di ligustro difesa da paletti. Trasporto del cancello sostenuto da pilastri. Sistemazione del piano con viali ed aiuole a prato con posa di alberi». Si trattava di «lavoro di modesta entità in calcestruzzo di cemento coi loculi di dimensioni eguali a quelli esistenti e che saranno chiusi colle stesse lapidi trasportate dalla vecchia Cappella». 229 Riproduzione della lettera del Comune di Olgiate Olona alla Soprintendenza in: SPAGNOLI Natale, Olgiate Olona 1895-1943: mezzo secolo della nostra vita. Una storia vera raccontata dai protagonisti, Olgiate Olona, 1986, pp. 29-30. 230 Si tratta della cappella nobiliare in stile gotico, situata nell’estremità orientale della villa, che era stata restaurata
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celebrare subito la Santa Messa più volte la settimana e tenere il SS. Sacramento»231. Tutto sembrava assicurare alle Pie Signore «la possibilità di aprire la scuola e di accogliere educande. Tutto si prestava a meraviglia per una comunità»232. La Casa di Olgiate, però, aveva bisogno di una mente esperta e pratica che dirigesse l’attivazione del collegio. Fu la stessa Superiora generale della Congregazione, suor Francesca Marchesoli233, a lasciare - dopo quarantotto anni - l’Istituto della Presentazione di Como e assumere l’incarico di direttrice del nuovo collegio: «sempre fidando nel buon Dio, incominciò da capo la sua giornata di lavoro per il bene della Congregazione». Insieme a suor Francesca Marchesoli giunse a Olgiate Olona suor Angela Villa234 cui furono affidati: il citato asilo fatto costruire da don Basilico, «l’Oratorio festivo [...], la spiegazione della Dottrina Cristiana e la sorveglianza all’adolescenza durante le funzioni in Parrocchia»235. Gli inizi non furono facili: «A Olgiate si dovette ricominciare da capo: la nuova abitazione, infatti, altro non aveva che la magnificenza della villa principesca, ma era completamente spoglia; neppure una sedia. Le Consorelle, che si trovarono sul posto a cominciare un Collegio, si adeguarono alle mortificazioni e alle privazioni che la situazione imponeva loro e così pure l’anziana Madre [...]. Era tanta la povertà che il 17 gennaio 1905 due consorelle si recarono ad Olgiate Olona, per portare un pentolino e qualcos’altro di simile, affinché suor Melinda Colombo236 e suor Rosa Fagetti potessero farsi un brodo! In quei giorni la neve era alta 40 centimetri e continuava ad accumularsi, tanto che a Saronno dovettero aspettare un paio d’ore per gli inconvenienti del treno e restare, per ripararsi, in una cabina dei ferrovieri»237. L’attività didattica iniziò con l’anno scolastico 1905-1906, e ci si poté avvalere della collaborazione del rettore del collegio Rotondi di Gorla Minore, anche per le esigenze spirituali delle religiose. A pianterreno, una fuga di bellissime sale da poco ammodernate, fu adibita a scuole. Per lo svago delle fanciulle era libero un parco secolare, magnifico, estesissimo. La messe prometteva moltiplicarsi, grazie anche alla simpatia e alla benevolenza delle Autorità, delle persone più influenti del paese e specialmente di Mons. Rossi, Rettore del Collegio Rotondi. Egli si prese tanto a cuore il neo-Collegio poco discosto dal suo. Per la S. Messa, per la spiegazione del Catechismo, per tutto quanto riguardava l’assistenza spirituale della Comunità, quel buon Padre, mandava il meglio de’ suoi RR. Sigg. Professori238.
Il 7 aprile 1907 il cardinale Andrea Carlo Ferrari venne in Visita pastorale a Olgiate Olona, e volle visitare la nuova casa delle Suore della Presentazione da lui conosciute e seguite nel loro affermarsi durante il suo episcopato239 a Como: «L’uomo di Dio, che conosceva tutte le dolorose dopo la morte della duchessa Gabrielle Isaure de Saulx. 231 Origine dell’Istituto e delle Case, op. cit., pp. 9-10. 232 ROBBIANI Francesca, Memorie Biografiche della Madre Francesca Marchesoli e Cenni storici dell’Istituto delle Figlie della Presentazione di Maria SS. al Tempio in Como, Como, Scuola Tip. Casa Divina Provvidenza, 1933, pp. 134-135. 233 Francesca Marchesoli (1837-1915), originaria di Busto Arsizio, dopo una breve esperienza d’insegnamento nella scuola Pattarini di Milano, nel 1857 giunse all’Istituto della Presentazione in borgo S. Martino di Como, prima come “maestra stabilita di studio”, poi ininterrottamente dal 1874 al 1915 fu Superiora generale delle Figlie della Presentazione di Maria SS. al Tempio. «Donna di intensa preghiera, non si caricava di molte divozioni e molto meno le suggeriva alle Figlie sue. La sua orazione nasceva spontanea e fiduciosa. Non si limitava all’angusta cerchia del tempio; non aveva limite d’ora; il suo cuore era un altare su cui, ad ogni istante, offriva all’Eterno, il devoto e figliale omaggio dell’adorazione. Come la fiamma che tende per sua natura all’alto, sentiva continuamente il bisogno di elevarsi a Dio. Così, senza avvedersi, viveva di Dio, diveniva forte della fortezza di Dio, sapiente della sapienza sua, santa della santità di Dio [...]. Bontà e prudenza furono il binomio del suo governo». Si veda: Figlie della Presentazione di Maria SS. al Tempio, Quaderni di Casa, op. cit. 234 Si veda: Cenni biografici delle sorelle defunte, in Archivio della Casa Madre della Congregazione delle Figlie della Presentazione di Maria SS. al Tempio, Como, p. 43. 235 ROBBIANI Francesca, Memorie Biografiche della Madre Francesca Marchesoli, op. cit. p. 135. 236 Melinda Colombo (1841-?), infermiera e cucitrice. Cfr: Figlie della Presentazione di Maria SS. al Tempio, Quaderni di Casa, op. cit., p. 57. 237 Si veda: Figlie della Presentazione di Maria SS. al Tempio, Quaderni di Casa, op. cit., pp. 94-96. 238 Origine dell’Istituto e delle Case, op. cit., p. 10. 239 Andrea Carlo Ferrari fu vescovo di Como dal 1891 al 1894.
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L’acquisto riguardava una “casa di villeggiatura” di piani 3, vani 99, con reddito imponibile di lire 2202, così delimitata: a levante prima dal vicolo delle Immagini, indi per salto rientrante dalla proprietà già Gonzaga e per salto rientrante dal vicolo Greppi e dalla proprietà Bianchi, indi in linea tortuosa dalla strada comunale per Marnate e San Genesio; a mezzodì dalla strada comunale per Marnate; a ponente prima della via Vittorio Emanuele, indi per salto rientrante dalla proprietà già Gonzaga, in seguito pure per salto rientrante dalla proprietà Bianchi e dalla strada; a tramontana dalla proprietà Colombo, in seguito per salto rientrante dal vicolo delle Immagini, poi dalla proprietà già Gonzaga a salti rientranti e sporgenti e da ultimo strada comunale per la valle.
Nell’atto di compravendita erano inserite altre proprietà, che le Figlie della Presentazione cedevano all’Opai, vale a dire «casa al civico n. 1 di piani 2, vani 4, con reddito imponibile di lire 45, [...] numero [di mappa] 921»; «casa di affittuari al civico n.1 di piani 3, vani 27, col reddito imponibile di lire 300 [...] numero [di mappa] 922» e alcune proprietà in “catasto rustico” di cui ai mappali 147-165-166-167-168-169-170-180-1781-932-933, per un totale di 5.51.80 ettari. Il pagamento del prezzo complessivo di lire 230mila, veniva così concordato: un acconto già versato di lire 110.000, e il saldo al rogito. Nell’atto di vendita venivano specificate dettagliatamente le condizioni in cui gli stabili erano ceduti. E questa vendita, intendesi fatta a corpo e non a misura, nello stato di fatto e di diritto in cui il tenimento Gonzaga trovavasi il 2 agosto u.s., alle seguenti condizioni: 1. gli stabili intendonsi ceduti con tutti i fissi e gli infissi, le attinenze e le pertinenze, le piante in vaso, con la cucina economica, l’impianto elettrico fisso, l’impianto di acqua potabile, la cappella con l’altare in marmo, nonché la cappelletta di Lourdes nel parco. Restano però escluse dalla vendita almeno duecento piantine che saranno estratte dal vivaio in modo da non danneggiare le rimanenti, e la metà circa delle patate, dell’uva, dei pomodori e delle verdure, 2. restano comprese nella vendita una scansia in noce attorno ai lati maggiori della cucina e due lettiere di noce e pure valutate nel prezzo come sopra determinato, 3. il possesso e godimento delle cose si intendono trasferiti all’Opera acquirente fino dal 2 agosto u.s., dal qual giorno saranno a vantaggio dell’Opera di prevenzione antitubercolare infantile tutti i frutti [...], 4. l’opera acquirente si obbliga a rispettare gli affitti in corso in quanto siano regolarmente contratti, 5. le alienanti garantiscono la proprietà e la disponibilità sulla cosa ceduta, [...] 6. l’opera di prevenzione antitubercolare per opera del suo vicepresidente Cavalli dichiara di aver ricevuto prima di ora la consegna degli stabili e di rinunciare a qualunque eccezione in rapporto, 7. saranno consegnati all’opera acquirente tutti i documenti ipotecari e catastali che provino la legittimità delle venditrici sulle proprietà vendute e la immunità da pesi ipotecari [...].
Le Pie Signore, quindi, lasciavano all’interno della villa solo pochi arredi, mentre - cosa curiosa - portarono via un centinaio di piantine del vivaio e parte dei prodotti agricoli dell’orto. Clotilde Cavalli e Luigi Mangiagalli ebbero una sede adatta per lo sviluppo dell’Opera di Prevenzione, e a loro si unì un nuovo grande apostolo del Vangelo di bene, Piero Preda. LA “CASA DEI BAMBINI” DI OLGIATE OLONA Grazie alla bontà degli uomini, Villa Gonzaga, che era stata costruita per la gioia e l’orgoglio di pochi privilegiati, divenne nel giro di pochi anni la “Casa dei bambini di Olgiate” senza perdere alcunché del suo antico splendore. La villa Gonzaga [...] ora [...] è dei bambini, di bambini che ci devono essere cari più degli altri perché con i loro piccoli passi costeggiano l’ombra che li vorrebbe ingoiare. Ma l’ombra non prevarrà contro la luce. Tutta nella serenità e nel sole è la grande villa, di quasi cento stanze con saloni superbi, giardini, cortili e un parco vastissimo di grandi alberi maestosi, di viali - 70 -
insinuantisi sotto lunghi archi di fogliame, di prati leggiadrissimi, di ampie scalinate marmoree che conducono al promettente frutteto250.
Perché la nuova Casa di Olgiate Olona potesse accogliere i bimbi dell’Opai (chiamati talora con l’appellativo “opaini”) occorreva un’ampia ristrutturazione degli edifici, così come era necessario acquistare arredi, letti, biancheria, stoviglie, vestiario, medicine. Nel dicembre 1918, così si esprimeva la scrittrice Rachele Ferrari del Latte251, attiva protagonista del Comitato di propaganda dell’Opai, per manifestare l’urgenza di raccogliere nuovi fondi al fine di completare l’adeguamento e l’arredamento dell’ex Villa Gonzaga: Generosi cuori d’Italia, ancora una volta si invoca la grandezza del vostro amore, la potenza della vostra pietà. L’opera nostra, creata or sono quattro anni, sbocciata alla vita fra il fervore e la sofferenza della guerra, sta per fiorire in rigogliosa realtà, se voi le donerete il vostro aiuto. Un munifico benefattore ci ha messo nella fortunata condizione di poter acquistare per i nostri piccoli protetti un nido ben più grandioso del provvido, ma modesto asilo Gigino; abbiamo potuto far nostra la magnifica Villa di Olgiate Olona, già appartenente al principe di Gonzaga, ampia quasi cento locali, cinta da un parco meraviglioso. L’ora è dunque venuta in cui il nostro sogno ha incontrato un ben degno ausilio per tradursi in vita: ma perché ciò avvenga veramente, conviene senz’indugio arredare le nude stanze in modo che tutto corrisponda ai voleri dell’igiene e alle necessità delle gracili infanzie che vi devono rifiorire. Conviene rianimare il nuovo asilo, dargli vita, funzione, potenza di continuità. Ciò verrà fatto con pronto ardore non appena avremo raccolto i fondi necessari, poiché il solo arredamento non potrà costare meno di 200.000 lire: si impone dunque urgente, imperioso, gioioso, il dovere di dare [...]. O madri fortunate, di bimbi sani e felici, che pur vi chinate ansiose e sgomente su ogni lor subitaneo pallore, su ogni lieve malessere: ciò che voi donate oggi per prevenire dal male insidioso i bimbi che ne sono minacciati, è pur previdente opera di difesa per i vostri figli: col vostro materno gesto d’offerta voi arrestate il dilagare di un’insidia che potrebbe domani, nei frequenti contatti della complessa vita sociale, colpire anche i vostri giovinetti adorati, rigorosamente cresciuti in vigile assiduità di cure. Donate dunque largamente e prontamente:[...] fissate un momento i vostri consapevoli occhi materni nei profondi occhi soavi di queste gracili infanzie minacciate: quello sguardo infantile, pur già pensoso di non so quale oscuro sgomento vi dirà nella sua muta, ma appassionata eloquenza: «Oh aiutateci, Mamme d’Italia, poiché la nostra Mamma non ci può più aiutare! Noi vogliamo crescere sani, forti e buoni come i vostri figli: noi vogliamo camminare serenamente con loro per le libere vie della Patria che l’amore benedice e il lavoro feconda!»252.
Molti furono gli amici vecchi e nuovi dell’Opera che, come ricordava la poetessa Ada Negri, amica e sostenitrice di Mangiagalli253, «si son serrati a sostenere con le proprie forze unite l’opera bella [...]. Tanti han dato in denaro, tanti in roba, tanti in fatica umile e ininterrotta, e questi ultimi non sono tra i meno benemeriti»254. In effetti lo sviluppo fu immediato ed esplosivo, anche grazie all’appoggio di Casa Savoia, nonché di illustri rappresentanti della borghesia e del mondo imprenditoriale milanese, primi tra tutti gli industriali Senatore Borletti, Biagio Gabardi255, Giuseppe De Capitani D’Arzago, 250 Humanitas, n. 1, marzo 1922, pp. 1-4. 251 Rachele Ferrari lavorò come insegnante dal 1907 al 1930. Rimasta vedova di Guido del Latte, uno dei primi sostenitori del fascismo, si impegnò a lungo nei Fasci femminili; dopo l’attivismo patriottico durante la Prima guerra mondiale e l’esperienza da legionaria di Fiume, nel novembre aderì 1923 al Partito nazionale fascista. Nei primi anni Venti lavorò presso l’agenzia di stampa Stefani e nel 1934 poteva dirsi scrittrice affermata. Cfr.: WILLSON Perry, Peasant women and politics in Fascist Italy: the Massaie rurali, New York, Routledge, 2002, pp. 66-68. 252 AA.VV., Bimbi d’Italia, numero unico a favore dell’Opera di prevenzione antitubercolare infantile, Milano, Istituto Marchiondi, 1918, p. 3. 253 Ada Negri assisteva alle conferenze che Luigi Mangiagalli teneva all’Unione femminile, appoggiando entusiasticamente tutti i suoi progetti di tutela della donna e della maternità; ricordiamo per inciso che la stessa Negri aveva perso la figlia secondogenita Vittorina quando aveva solo un mese di vita. Si veda il capitolo sesto. 254 AA.VV., Il grande Istituto dell’Opera di Prevenzione antitubercolare infantile, senza data, p. 6. 255 Biagio Gabardi (1881-1941), entrato giovanissimo nel “Cotonificio Enrico Candiani” di Busto, passò poi alla direzione commerciale del “Cotonificio di Spoleto” e in seguito nell’amministrazione del “Cotonificio di Solbiate”, di cui divenne presidente nel 1939. Rotariano, «Biagio Gabardi, figura poliedrica, va ricordato per le sue opere di assistenza e beneficenza [...]. L’amministrazione Provinciale e Comunale di Milano lo ebbero Consigliere apprezzatissimo. Alla Cassa di Risparmio delle Province Lombarde e alla veneranda Fabbrica del Duomo egli diede una lunga cordiale fervida attività
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le famiglie Tosi256, Pomini257, Cantoni258, Ottolini259, Dell’Acqua260. All’arredamento della grande casa provvide in gran misura Carlo De Capitani261. Quando visiterete il nostro Istituto, vi sarà dato di rilevare in alcune sale un arredamento sfarzoso e di una signorilità tale da fare quasi pensare ad una eccessiva cura dell’arte e del bello. Leggete il nome scritto nel salone del Consiglio ed apprenderete che il munifico donatore di tutto il mobilio è quel Carlo De Capitani da Vimercate, così noto nel campo della beneficenza e dell’industria262.
I De Capitani da Vimercate, di antiche origini nobiliari, erano proprietari di un’azienda che si occupava di lavorazione del legno e avevano creato l’industria del compensato. Lo stesso Carlo De Capitani viene annoverato tra i soci fondatori dell’Opai già nel 1915, poi tra i primi consiglieri dell’Opera: in funzione della sua attività imprenditoriale decise dunque di contribuire in larga misura all’arredamento263 della Casa dei bambini di Olgiate Olona, che iniziò ad accogliere i primi ospiti. Per essi la villa venne nell’interno trasformata; è tutta, ora, bianca, gaia, con dormitori gentili, ove i lettini sono così candidi e piccoli che pare che la vita se ne debba servire per giocare: con bei refettori, salette, bagni, un ospedale minuscolo dove la malattia non farà paura. Care e brave signore, suore sorridenti, s’aggirano per quelle stanze, seguite dai piccini, che fioriscono presto in quella calma festosa, in quel tepore di cure, in quella bellezza dei luoghi. Giochi, studi, ginnastica, aria libera, allegria. La salute dei bambini è, là dentro, adorata come un ideale264. ed oggi entrambe lo onorano nel nome e nel ricordo». Da: ROSSI Peppino, Dall’Olona al Ticino, centocinquant’anni di vita cotoniera, Varese, La Tipografica Varese, 1954. Per un approfondimento: CASSA DI RISPARMIO DELLE PROVINCIE LOMBARDE, In memoria del N.H. Cav. di Gr. Cr. Biagio Gabardi, Milano, Industrie grafiche italiane Stucchi, 1941. 256 Fu Roberto Tosi ad avviare l’attività di tessitura a Busto Arsizio, in un modesto opificio nell’attuale via San Michele; nel 1888, rilevati gli stabilimenti dell’antichissima Ditta Turati a Busto Arsizio e a Castellanza, la ragione sociale si trasformò e sorse la “Manifattura Tosi & C.”, la cui sede venne fissata in via XX Settembre. Nel 1913 la Manifattura Tosi occupava stabilmente duemila operai, interessando un’area di circa 225.000 mq. 257 L’azienda Pomini nacque nel 1886 a Castellanza per iniziativa del giovane imprenditore Luigi Pomini: inizialmente l’attività era rivolta alla riparazione di motrici a vapore, telai e macchine utensili destinate alla lavorazione del cotone, per estendersi poi alla costruzione di organi di trasmissione che erano indispensabili negli impianti industriali. Agli inizi del 1900 i figli entrarono in azienda, imprimendo una forte spinta allo sviluppo. Quando nel 1916 morì Luigi, subentrò il figlio Egidio che impose una strategia basata sul continuo confronto tecnico-scientifico con le realtà aziendali più avanzate, soprattutto tedesche, aiutato dal fratello Ottorino, illustre matematico. Nei primi decenni del Ventesimo secolo l’azienda registrò notevoli sviluppi commerciali anche all’estero. Il figlio Carlo, subentrato nel 1936, riuscì a imprimere un’ulteriore spinta allo sviluppo dell’azienda, riuscendo a variare la produzione in relazione alle esigenze dei mercati. 258 Costanzo Cantoni (1861-1937), figlio dell’industriale cotoniero Eugenio e della baronessa Amalia Genotte von Merkenfeld, fu presidente dell’Associazione cotoniera italiana, amministratore del “Cotonificio veneziano”, promotore della “Cucirini Cantoni Coats”; nel 1910 si dimise dal Consiglio della “S.A. Cotonificio Cantoni”, l’azienda cotoniera fondata nel 1820 a Gallarate dal trisavolo Benedetto. 259 Ernesto Ottolini (1862-1958), era figlio dell’industriale tessile Carlo, da cui negli ultimi anni dell’Ottocento ereditò l’azienda di famiglia, il “Cotonificio Bustese”, di cui mantenne il controllo fino al 1915 quando la proprietà passò a due ex dipendenti, Antonio Tognella (già direttore tecnico) e Carlo Schapira (direttore commerciale). Si veda: PACCIAROTTI Giuseppe, Un volto, una storia. La Quadreria dei benefattori dell’Ospedale di Busto Arsizio, Busto Arsizio, 2007. 260 Carlo Dell’Acqua (1848-1918), di umili origini, nel 1871 entrò nell’azienda dei cugini Francesco e Faustino, la “F.lli Dell’Acqua e C.”; nel 1894 aprì a Legnano uno proprio stabilimento tessile, la “Carlo Dell’Acqua e C.”, che nel 1907 si fuse con la ditta “Lissoni-Castiglioni & C.” dando vita al “Cotonificio Dell’Acqua-Lissoni-Castiglioni” di cui il Dell’Acqua divenne presidente. Fu consigliere della Camera di commercio di Milano e presidente o consigliere di amministrazione di numerose società, tra cui la “Manifattura Rotondi”, la “Società italiana d’esportazione E. Dertly”, il “Cotonificio bresciano Ottolini”, il “Credito varesino”, la “Banca di Legnano”, il “Lanificio nazionale Targetti”, la “Società commissionaria d’esportazione”. Pà Carleou (così era chiamato familiarmente dai lavoratori) dimostrò notevole interesse per le tematiche sociali; è ricordato per numerosi interventi nel corso dei dibattiti parlamentari volti al miglioramento delle condizioni di vita delle classi operaie, quale l’abolizione del lavoro notturno nelle fabbriche. Sovvenzionò la costruzione degli ospedali di Legnano, Busto Arsizio e Saronno. 261 Nel 1907, su iniziativa di Carlo De Capitani, era stata fondata la “Società italolettone Luterna”, prima fabbrica italiana per la produzione del compensato, materiale apprezzato per le sue caratteristiche (resistenza, leggerezza, economicità), impiegato nella produzione di mobili, nell’industria automobilistica e aeronautica. La Società aveva ricevuto durante la Prima guerra mondiale diverse commesse belliche. Nel 1920 la società fondata da De Capitani verrà assorbita, insieme agli stabilimenti della “Carlo De Capitani e Comi” e della ditta “Sapeli”, nella più grande fabbrica italiana di tranciati e compensati, l’Industria Nazionale Compensati ed Affini (Incisa) con sede a Lissone: essa contava 1000 dipendenti e una produzione di 70 metri cubi di compensato al giorno, lavorando 1.750 quintali di tronchi. 262 Humanitas, n. 5, aprile 1923, p. 10. 263 Alcuni degli arredi donati all’Opai arricchiscono oggi la sala Giunta, l’Ufficio del Sindaco e altri uffici del Comune di Olgiate Olona. 264 Humanitas, n. 1, marzo 1922, p. 4.
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Una descrizione degli ambienti ci è offerta anche dalla citata poetessa Ada Negri, che così scriveva nell’estate 1922. Dove prima viveva in mollezza di fausto gaudioso la famiglia di secolare nobiltà, entra ora a fiotti la piccola umanità dal sangue povero, venuta dal vicolo, dalla soffitta, dal retro bottega. Bimbi nati da genitori che la cattiva nutrizione, l’aria viziata degli opifici e delle case-alveari resero tubercolotici, troveranno nel campestre libero soggiorno la necessaria resistenza fisica per affrontare la vita. Le sale magnifiche, spoglie di arazzi, accolgono ora, in serenità francescana, banchi d’ultimo modello per scolaretti, cartelloni geografici e di nomenclatura, e le lunghe panche del refettorio sulle quali nelle gaie ore dei pasti fumano scodelle di casalinga minestra. Le ariose camere del primo piano, aperte su terrazzi dominanti, oltre il parco e i frutteti, l’infinita pianura lombarda così dolce nei suoi contorni, mostrano, in luogo dei letti monumentali e degli inginocchiatoi scolpiti nella quercia a figure di angeli, file di lettini in ferro bianco, tutti uguali, tutti santamente uguali con materassi bianchi, con coperte bianche. E bianche di calce, in un ritorno di purità, le pareti; sola nota verde i rametti d’ulivo sovrapposti alle spalliere dei lettini. L’ulivo: la pace [...]. Quando io vidi Villa Gonzaga per la prima volta, il tardo autunno la circondava di un’aurea ma desolata magnificenza di foglie morte. Ora la precoce primavera chiama al sole primule e mammole, gonfia le gemme e rinnova nei frutteti il miracoloso biancoroseo della fioritura. Penso alle primavere che verranno265.
Molte furono le primavere che sbocciarono nel parco di Villa Gonzaga, sotto gli occhi di tanti bambini salvati dalla tisi.
265 Humanitas, n. 2, giugno 1922, pp. 5-7.
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particolare Pomini aveva progettato di realizzare un album per raccogliere offerte a beneficio dell’Opera di Prevenzione Antitubercolare Infantile. Tale album avrebbe dovuto contenere, secondo i promotori, una pagina scritta da Gabriele D’Annunzio, poiché «molti egoismi non reggeranno dinanzi al suo nome e alla sua parola, e almeno per una volta qualcuno compirà il suo dovere». Arturo Pomini non venne ricevuto dal Comandante: lo si deduce da analoga istanza riproposta l’anno successivo. Si può supporre che tale pagina non sia mai stata scritta da D’Annunzio, anche se in una lettera datata 27 gennaio 1923 il Vate si scusava per il ritardo e annunciava che avrebbe provveduto entro il 25 del mese successivo. L’attività di Clotilde Cavalli a Fiume si concretizzò nell’invio di medicinali, indumenti, materiale scolastico, fondazione di patronati scolastici, attivazione di laboratori di ricamo e cucito per produrre capi che poi venivano posti in vendita a Milano, in locali messi a disposizione della Banca Commerciale, per raccogliere nuovi fondi. «E non contenta ancora ritornò [...] in quei paesi, e nelle ore più dure raccolse quanto più potè di bimbi poveri e se li portò ad Olgiate, ospiti nell’Istituto dei suoi sogni e della sua fatica, dove trovarono fraterna accoglienza e gratuita ospitalità»286. Questa sua attività trova conferma nel Registro delle Cresime 1913-1925 della parrocchia di S. Stefano in Olgiate Olona: il 2 luglio 1920 monsignor Mauri, vescovo ausiliario, amministrò la cresima a sei maschietti e dieci femminucce provenienti da Fiume e ricoverati nella Casa dei bambini di Olgiate Olona. Molti di questi fanciulli erano orfani. Alla fine della guerra Clotilde Cavalli riprese, intensificandolo, il suo lavoro tra i piccoli: il preventorio di Olgiate Olona diventò da quel giorno il campo preferito delle sue benefiche attività. Non si sgomentò per le agitazioni e la disorganizzazione del dopoguerra. Lavorare e ricostruire, fare il bene: ecco il suo programma. Un giorno, in un giro di raccolta per il preventorio, transitava in auto pubblica per le vie del centro. Era una giornata di sciopero ed un gruppo di donne fermò minacciosamente la macchina. Clotilde sola ed inerme affrontò quelle donne e disse loro ove era diretta, spiegando rapidamente l’opera che ella con pochi fedeli stava svolgendo a favore dei più tribolati figli del popolo. Qualche occhio si riempì di lacrime e da quella labbra prima piene di odio esplosero parole di consenso e di plauso. Ella riprese serena la sua via di lavoro. Con la fine della guerra l’Opera si insediò a Olgiate Olona nella magnifica Villa Gonzaga, [...] dove furono raggruppate le varie iniziative; i piccoli ospiti salirono subito ad un centinaio. I bimbi da cento salirono poi, ed in qualche anno superarono, i quattrocento presenti, e ospitarli, assisterli, curarli, educarli, istruirli, seguirli anche dopo dimessi, fu la sua ansia ed il suo giusto orgoglio287.
Prima di ogni cosa mirò a far conoscere l’Istituto e il suo innovatore programma di assistenza. «Si dovranno in gran parte a lei le visite di Sovrani, di Capi di Governo, di Cardinali, di autorità Civili e militari. Tutti senza distinzione di idee o di partiti ella seppe avvicinare a Olgiate: dalle dame dell’aristocrazia, all’industre borghesia, alle masse operaie che guidate dal buon [Arturo] Pomini, dagli stabilimenti di Legnano e di Busto, si riunivano una volta all’anno in primavera per rimanere tutta una giornata di festa vicini ai piccoli figli del popolo nati o conviventi in famiglie di tubercolotici»288. Occorreva poi trovare il denaro per il mantenimento e l’assistenza ai bambini, in quanto molti erano accolti a titolo gratuito, e anche per quelli a carico di enti pubblici (Comuni, Opera nazionale maternità e infanzia, Ministero della Sanità, Consorzi provinciali antitubercolari, ecc.) non sempre si riusciva a garantire la copertura totale delle spese. Anche in questo campo Clotilde Cavalli manifestò la sua genialità, dando vita non tanto a iniziative sporadiche di raccolta fondi, quanto piuttosto definendo strategie in grado di catalizzare contemporaneamente risorse e consenso. parlare dell’Istituto e dei “noster car picinitt” come egli diceva, senza che i suoi occhi si imperlassero di lacrime». 286 CAVAZZONI Stefano, Commemorazione funebre di Clotilde Cavalli, op. cit., p. 15. 287 Ibidem. 288 Ivi, pp. 15-16.
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E su questo terreno Clotilde fu inesauribile di fantasia, di trovate, di iniziative. Organizzò col maestro [Enrico] Bertini289, per molti anni, riviste gioiose date nei teatri di Milano, Kermesse, spettacoli vari, mercatini alimentari, raccolte di doni in riso e carbone, apposite manifestazioni al padiglione dell’Opera presso le varie fiere campionarie, calendari artistici, manine fraterne, ecc. ecc. Legò all’Opera un gran numero di industriali aiutata in questo compito fin dalla prima ora dalla compianta duchessa Marianna Visconti di Modrone, da Jean de Fernex, [Senatore] Borletti, [Biagio] Gabardi, [Giuseppe] De Capitani e dal fedelissimo Ettore Lualdi290.
Diceva di non essere mai soddisfatta, ma solo perché in questo modo poteva essere di esempio e sprone per fare sempre meglio. Io ricordo la Cavalli in visita quasi “pastorale” agli stabilimenti tessili della zona, con un camion, o una sgangherata carrozzella; la rivedo bussare a tutte le porte delle nostre industrie cittadine o dei nostri grossi borghi industriali. Spesso accompagnata da Maria Benamati (la seconda Clotilde, che se pur tanto diversa è altrettanto benemerita), la Cavalli accattonava per i suoi piccoli protetti. Partivano all’alba, carrozzino, cavalluccio, cocchiere stile ottocento. Quanti «non ho tempo oggi» - «vedremo più avanti» - «sono già schiacciato da tante richieste». Non importava a lei, avanti, avanti. I bocconi amari erano offerti per i bambini e li ingoiava ricacciando spesso un’espressione di sconforto, per rianimare chi la seguiva nel suo faticoso andare. Lei non era certo impastata di umiltà, eppure sapeva farsi piccina, accettare umiliazioni pur di aiutare i suoi protetti. Cedeva solo quando la raccolta era se non abbondante almeno sufficiente ai bisogni più immediati. E non si dava requie. Finita un’iniziativa sotto con un’altra. Una ne faceva e cento ne progettava. E telefonava e scriveva e faceva telefonare e scrivere a tutte le ore. Non poche volte di notte ancora sveglia tardando a prendere sonno, ripensando ad Olgiate le venivano idee, formulava programmi e per non scordarsene e perdere tempo telefonava a Maria Benamati: svegliatala le comunicava i nuovi progetti. Non penso che questo fosse il metodo più accetto, ma come arrabbiarsi con quella buona e brava, anche se eccessiva, grande amica? Né quando partiva, né quando andava in montagna o a Roma o a Premeno, le alacri ed instancabili collaboratrici dell’ufficio propaganda e di segreteria potevano presumere di starsene tranquille al loro modesto e prezioso lavoro perché Clotilde o col telefono o col telegrafo o con la posta era sempre presente. Dell’Istituto non era mai soddisfatta, o almeno così diceva, per spingere sempre più tutti a fare del loro meglio, dal medico al cappellano, dalle suore all’economo, dalle infermiere alle maestre, dalle guardarobiere alle cuciniere291.
Per questo suo “cipiglio” l’amica Maria Benamati era solita chiamare affettuosamente Clotilde “la mia capitana”. CARLO CAVALLI: PER TRENT’ANNI PADRE E VICEPRESIDENTE DELL’OPAI Strettamente legata all’operato benefico di Clotilde Perelli Minetti fu l’attività del marito Carlo Cavalli, nato a Salerno il 5 ottobre 1871. Trasferitosi con la famiglia a Milano, nel 1885 conobbe colei che sarebbe diventata sua moglie. Quattro anni dopo rimase orfano di entrambi i genitori, ma, grazie al sostegno di Clotilde, riuscì a superare il difficile periodo; si diplomò in ragioneria e nel 1894, anno in cui si sposò, ottenne anche l’abilitazione all’insegnamento della Ragioneria. Per alcuni anni insegnò gratuitamente all’associazione degli impiegati civili, all’associazione dei commessi di studio e nelle scuole serali del Circolo di Pubblico insegnamento, dove si raccoglievano per studiare «uomini stanchi dalle quotidiane fatiche, giovani e non più giovani, in gran parte di altre province e di altre regioni e che magari per necessità avevano interrotti gli studi regolari per venire a Milano, nella grande Milano, per guadagnarsi un pane e conquistarsi un posto al sole»292, finché nel 1897 fondò con il professor 289 Enrico Bertini aveva musicato l’inno-marcia del Battaglione Sursum Corda-Negrotto, nelle cui file il marito Carlo aveva militato durante la Prima guerra mondiale. Si veda nota n. 297. 290 CAVAZZONI Stefano, Commemorazione funebre di Clotilde Cavalli, op. cit., p. 16. 291 Ivi, pp. 16-17. 292 CAVAZZONI Stefano, Commemorazione funebre di Carlo Cavalli, 20 aprile 1944, Milano, Castello Sforzesco, p. 2.
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Emilio Conti la Scuola Cavalli e Conti. Carlo Cavalli fu l’educatore, il maestro, il buon papà di quelle generazioni di umili “studenti lavoratori”. Egli non solo insegnava, ma animava, correggeva, stimolava, sorreggeva, spronava [...]. Fu proprio in quegli anni che Egli si tormentò e lavorò per attivare [...] una scuola [...] che fosse in grado di accogliere tutti quei giovani che per diverse ragioni non potevano frequentare o continuare a frequentare le scuole governative [...]. Contemporaneamente identico disegno concepiva [...] il giovane professore Emilio Conti [...]. I due si incontrarono e si intesero subito; ebbe così inizio la “Cavalli e Conti 1897”. Furono subito istituiti i vari corsi diurni e cioè la Scuola Tecnica, il corso di ragioneria e la scuola di commercio [...]. Carlo Cavalli, il fervente animatore della scuola per i lavoratori volle che subito, oltre ai corsi diurni, vi fosse il corso serale [...]. Molti giovani Egli ammetteva gratuitamente alla Sua scuola; altri aiutava in mille modi e, se necessario, non solo gli allievi ma anche le loro famiglie. E dove non arrivava con la carità materiale giungeva con l’interessamento, con l’opera personale per evitare i guai di un licenziamento, per spianare la via ad un incarico, ad una occupazione che avrebbe dato o ridato ad una famiglia il pane quotidiano293.
Tra i giovani ammessi a frequentare gratuitamente la sua scuola, in cui insegnò fino al 1926, molti ragazzi provenienti dal preventorio di Olgiate Olona. Dal 1895 fu iscritto nell’albo dei curatori fallimentari e degli amministratori giudiziari; «il suo valore e la sua rettitudine gli valsero delicati ed importanti incarichi professionali, arbitrati, curatele di minori, amministrazioni patrimoniali, sindacati, consulenze [da] colleghi, Enti pubblici e privati»294. Scoppiata la Grande guerra, raccolse sottoscrizioni al Prestito Nazionale295 per circa tre milioni di lire. Dopo Caporetto si iscrisse nel battaglione dei volontari bersaglieri di Pericle Negrotto296- Sursum Corda297, del quale fece parte fino allo scioglimento e per tutto il 1918 organizzò numerose visite al fronte. È di questi anni l’amicizia di Carlo Cavalli con Gabriele D’Annunzio da cui venne nominato Legionario di Fiume per il sostegno alla causa fiumana298. La casa milanese dei coniugi Cavalli fu convegno dei propugnatori dell’idea fiumana e dalmata, alcuni dei quali ebbero parte attiva nella storia dell’Opai: tra essi il professor Arnaldo De Mohr (che fu anche docente nella Scuola di ragioneria Cavalli e Conti), Senatore Borletti, Luigi Mangiagalli, la professoressa Rachele del Latte Ferrari. I legionari reduci da Fiume vennero ospitati e aiutati da Carlo e Clotilde a trovare lavoro e sistemazione, mentre i profughi fiumani, dalmati e montenegrini che desideravano continuare gli studi interrotti 293 Ivi, pp. 3-4. 294 Ivi, p. 5. 295 Alla fine del 1914, con Legge n. 1354 del 16 dicembre, il Governo italiano veniva autorizzato a «provvedere i mezzi occorrenti a fronteggiare gli oneri derivanti dall’eccezionale aumento di spese straordinarie e da diminuzioni di entrate nell’esercizio 1914-1915». È con una tale motivazione - priva di qualsiasi riferimento al conflitto imminente - che prese avvio, tra gennaio 1915 e marzo 1920, il lancio del primo di sei prestiti nazionali che finanzieranno la partecipazione italiana alla Prima guerra mondiale. 296 Il Battaglione Pericle Negrotto era sorto a Milano agli inizi del Novecento con lo scopo di formare e istruire legioni studentesche a carattere paramilitare sotto la guida del maggiore Michele Pericle Negrotto (che morirà in guerra nel 1915); agevolava l’adesione di studenti (tra cui gli universitari del sodalizio Sursum Corda) e volontari delle terre irredente (Istria, Dalmazia, Trento, ecc). Tra i volontari anche numerosi intellettuali quali i pittori Achille Funi, Mario Sironi e Umberto Boccioni, il poeta e scrittore Filippo Tommaso Marinetti, il geologo ed esploratore friulano Ardito Desio. 297 La Sursum Corda, sotto l’alto patronato del re Vittorio Emanuele III, aveva il proprio inno: «Su, d’Italia al santo grido/ sciolta al vento la bandiera/rinnoviamo in balda schiera/de’ nostri avi i grandi ardir./ Su, compagni, per la Gloria!/ Su, fratelli, per l’Onore!/ Innalziam la mente e il core/ della Patria al Sacro Amor./ Se ci chiama del dolore/ pien di fede un cor fratello/ per noi fia sereno e bello/ nel suo nome anche il morir./All’oppresso darem fiori/ darem morte all’oppressore/ sarà l’Inno del Valore/ l’Inno sacro al nostro cor [...]/ Per Te, cara, sacra Terra,/ di tua stella pel fulgore/ noi vogliamo dare il fiore/ della nostra gioventù», parole di Giacomo Monico, musica di Enrico Bertini, Milano, Ricordi, 1910. 298 Dopo la Conferenza di Pace di Parigi, inaugurata il 18 gennaio 1919, Gabriele D’Annunzio si pose alla testa di un movimento di opinione che contestava l’eccessiva arrendevolezza del governo italiano ai tavoli della pace: Fiume, città a maggioranza italiana ma circondata da una periferia slava, non sarebbe stata annessa all’Italia. Nella notte tra l’11 e il 12 settembre 1919 il Vate partì da Ronchi per Fiume con un migliaio di uomini, tra cui i volontari del battaglione Sursum Corda - Negrotto, per dare vita a quella che la storia ricorda come l’impresa di Fiume; all’alba del 12 settembre D’Annunzio si trovò a pochi chilometri dallo sbarramento di Cantrida dove il generale Pittaluga, comandante del presidio interalleato di Fiume, tentò di farlo desistere dall’azione, ma il poeta-soldato decise di continuare la marcia e arrivò a Fiume verso le 12.30, accolto da una festosa folla.
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vennero accolti gratuitamente nella sua Scuola di ragioneria e commercio Cavalli-Conti: per quest’opera fu conferita a Carlo Cavalli la commenda di Danilo I° dal Governo del Montenegro. Così lo definì Stefano Cavazzoni: «Statura media, barba patriarcale, occhio sereno, parola calma e dolce, tratto aristocratico [...], schivo di onori, e portato più all’operoso nascondimento che alle luci della ribalta299». Esperto contabile, apprezzato insegnante, filantropo: in nessuna di queste attività amava apparire. Preferiva essere uomo di sostanza, come lo descrisse il giurista Antonio Raimondi. Non si sapeva se più ammirare in Lui il professionista valente ed esperto, a cui ricorrevano Enti pubblici e privati e la stessa autorità giudiziaria per averne guida e lume a districare ingarbugliate matasse di interessi e far luce su tenebrosi affari, o l’insegnante che con l’intelletto d’amore iniziava alla scienza di cui era maestro i giovani volonterosi e meno abbienti, aprendo e dirigendo per loro una scuola che fa onore alla nostra Milano e ha dato modo a un folto stuolo di studenti di conquistare un diploma e con esso un onesto e dignitoso posto al sole, senza grave dispendio e senza perdita delle operose ore diurne, o il filantropo che, con saggezza pari alla profonda generosa bontà, ha dato vita, e fatto prosperare un’opera di prevenzione e profilassi sociale che è divenuta ancor essa per Milano una ragione di legittimo orgoglio300.
Fu proprio Carlo Cavalli che «nel 1918 parlò dell’opera a Piero Preda che generosamente acquistò e donò la magnifica villa Gonzaga ad Olgiate Olona dove si riunirono le varie istituzioni. Tutta la vita amministrativa dell’Opera era nelle Sue mani: animatore e consigliere, anche se Egli rifuggendo dalle cariche e dagli onori, rimaneva spesso in seconda linea quando cerimonie ufficiali richiamavano ad Olgiate autorità e folle. [In mezzo ai bambini di Olgiate Olona egli era] il meno noto dei capi, certo il meno appariscente, ma il più solerte, il più fedele benefattore, il vero papà di quella grande famiglia»301. MARIANNA VISCONTI DI MODRONE: LA GARANZIA DI UN NOME Come già accennato nel primo capitolo, Clotilde Cavalli era consapevole che per determinare il successo dei suoi progetti di assistenza a favore dei figli di tubercolotici occorresse trovare l’appoggio di un nome altisonante: sul finire del 1913, tentò così di coinvolgere la duchessa Marianna Visconti di Modrone, che insieme al marito, duca Uberto, aveva già manifestato il suo appoggio a un’iniziativa di diffusione della profilassi antitubercolare infantile. La nobildonna accettò l’invito e la Presidenza del Comitato Patronesse dell’Opera Antitubercolare, ancora prima che quest’ultima fosse ufficialmente costituita, proprio in occasione di un ricevimento da lei dato nel mese di luglio 1914 nella sua Villa Belvedere a Macherio. Col suo nome [...] tutte le porte ci furono spalancate e in quei primi anni ella fu sempre presente a tutte le manifestazioni benefiche dell’Opera: balli, recite, fiere, concerti, non mancando mai ai raduni operai ad Olgiate organizzati dall’indimenticabile Pomini, e alle sedute delle assemblee. Furono anni duri, ma la sua presenza e il suo autorevole consiglio ci consentirono la forza morale, che è base di ogni successo [...]. Era disciplinata come la più modesta delle collaboratrici, pur essendo autorevole come una Regina. Bella, cara, buona, quando maggiormente restava nell’ombra più sentivamo di doverle i buoni risultati del nostro lavoro. Nel 1916, allorché fu inaugurata la villetta di Biassono che i coniugi Winderling offrirono alla nascente Opera in memoria del figlio Gigino, la Duchessa Visconti aprì le porte della sua villa e la folla degli invitati, fra cui moltissimi venuti da Milano, comprese la bellezza del nostro Apostolato. Per tutto il tempo in cui rimase aperto l’Asilo Gigino a Biassono la Duchessa che villeggiava a Macherio visitava ogni giorno i piccoli ricoverati prodigandosi in tenerezza materna. Nel 1923 299 CAVAZZONI Stefano, Commemorazione funebre di Carlo Cavalli, op. cit., introduzione. 300 Ivi, p. 5. 301 Ivi, p. 6.
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la Maestà del Re Imperatore accompagnato dal Duce andò ad Olgiate ad iniziare i due padiglioni Regina Elena e Edda Mussolini e nel 1925 entrambi ritornarono ad Olgiate per la inaugurazione delle opere ultimate e nelle due circostanze la Duchessa Marianna fu incomparabile di tatto e inesauribile di bontà, dando sé stessa persino per le più lievi difficoltà di preparazione che simili cerimonie portano con sé. E poi chiedeva scusa di fare troppo poco!302.
Nel periodo in cui il figlio Marcello fu podestà di Milano (20 novembre 1929-19 novembre 1935), crebbe ulteriormente l’appoggio della famiglia Visconti di Modrone alla causa dell’Opai. Allorché l’Ufficio di propaganda dell’Opera era in via Signora molto di sovente verso il mezzogiorno dopo la Messa quotidiana, la si vedeva entrare nella sede col suo passo giovanile, tutta cordialità ed amicizia. In una delle sue moltissime visite ad Olgiate i bimbi e le suore le offersero una merenda con le fragole dell’orto ed ella si commosse a quella affettuosa attenzione e parve gustare quelle poche fragole come il nutrimento più squisito di tutte le sue giornate di gioia. Un giorno nella lezione di giardinaggio i bambini si industriarono a scrivere in una aiuola coi sassolini “Viva la nostra Duchessa”, ed ella volle salire sul balcone del primo piano per vedere se la scritta si leggeva fin di lassù: la sua contentezza rendeva felici i fanciulli. Era una mistica gaia, ricca d’arguzia, ma inesorabile nel compimento dei propri doveri. Amava i fiori e il suo palazzo di Milano manifestava sin dal primo entrarvi l’armonia superiore del suo spirito. Quando andava a Roma ci sentivamo perduti e la tormentavamo di lettere e lei rispondeva a tutto sempre. Dopo la morte di Piero Preda lutto più grave non poteva colpirci303.
Il riferimento ai frequenti trasferimenti a Roma della duchessa, si spiega col fatto che fosse dama di Palazzo della regina Elena: proprio grazie a questo suo ruolo fu possibile per l’Opera di prevenzione antitubercolare infantile ottenere l’appoggio di Casa Savoia. Prima presidente delle nostre benemerite patronesse, dalla fondazione, seguì, si può dire giorno per giorno, la vita della nostra Opera di Prevenzione Antitubercolare Infantile. Voleva essere informata sempre e di tutto. Mai rifiutò il suo prezioso patrocinio, soprattutto con le Autorità, presso le quali, a Milano a Roma e persino alla Reggia, presentava, caldeggiava le nostre proposte, le nostre iniziative. E riusciva sempre nell’intento, procurandoci adesioni, consensi, aiuti, collaborazione. Tutto questo faceva con semplicità, come si trattasse di ordinaria amministrazione; così come generosamente dava di suo per sopperire ai crescenti bisogni del nostro preventorio. Come Presidentessa delle Patronesse della Opera di Prevenzione Antitubercolare, Presidenza tenuta per ventotto anni e mezzo e sino alla sua ultima ora della sua vita, ella fu una collaboratrice, anzi una guida ideale, pur quando di persona non poteva partecipare a tutti i lavori. Dava molto senza mai nulla ostentare in nessuna occasione, il che avviene per coloro che sono veramente generosi e non si preoccupano di suscitare encomi, ma di rendersi utili304.
Anche quando, a causa dell’età, non riuscì più a presenziare a tutte le manifestazioni mondane organizzate per sostenere l’Opai, volle sempre essere informata sull’esito delle iniziative «e per ogni episodio della nostra attività il suo signorile giudizio ci faceva comprendere quanto sentisse la responsabilità del suo compito»305. LUIGI MANGIAGALLI: POETA DELLA MATERNITà TRA POLITICA E SCIENZA La validazione scientifica del progetto di assistenza preventoriale sviluppato da Clotilde Cavalli è, come abbiamo visto, da ricondursi sostanzialmente alla figura del famoso ginecologo Luigi Mangiagalli. 302 Commemorazione funebre della duchessa Marianna Visconti di Modrone Gropallo, 1941, Sala d’Oro della Società del Giardino, Milano. 303 Ibidem. 304 Lettera di Stefano Cavazzoni datata 6 marzo 1941. 305 Commemorazione funebre della duchessa Marianna Visconti di Modrone Gropallo, op. cit.
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Nato a Mortara nel luglio del 1850 da una famiglia di modeste condizioni, il 25 luglio 1873 si laureò in Medicina a Pavia e iniziò la sua carriera a Milano come assistente di Domenico Chiara all’Ospedale Maggiore e alla Maternità di Santa Caterina alla ruota. I primi anni non furono facili. Ecco come lo stesso Mangiagalli racconta gli inizi della sua carriera. Ero povero, ero venuto a Milano con una di quelle sacche di lana a fiorami, che usavano allora, ripiena di poca biancheria: cento lire al mese dovevano bastarmi per vitto ed alloggio. Presi dimora fuori di Porta Nuova e due volte al giorno coll’acqua, colla neve, col solleone facevo la strada di andata e ritorno dall’Ospedale. Ciò era bene per la mia salute, che, provata a tutti i disagi, divenne di ferro, non per le suole delle scarpe; ma un ciabattino, al cui figlio davo lezioni di latino, le risuolava gratis. Fu appunto a quell’epoca che presi un grande amore per Orazio306.
Anche dopo essere divenuto un affermato professionista, non si dimenticò di quegli anni difficili, continuando a dimostrare particolare attenzione dei confronti degli indigenti. [Non] sapeva concepire come il compito del Medico potesse essere subordinato a qualsiasi finalità di lucro. Non conosceva tariffe, non aveva note di clienti e di visite, gli era ignota qualunque forma di contabilità professionale. E sopratutto gli era cara e lo toccava a fondo la prorompente commossa riconoscenza degli umili da Lui beneficati e salvati. Una volta il suo fido e devoto Annibale [domestico, Nda], poco dopo la colazione, gli recava la posta. Fra la molta corrispondenza era un vaglia postale di L. 2, su cui una povera campagnola, ch’Egli aveva visitato rifiutando ogni compenso, pittorescamente scriveva ringraziando e dicendo che voleva fare il suo dovere, e che, siccome al suo dottore del paese soleva dare una lira per visita, le pareva giusto di mandare 2 lire al Professor Mangiagalli! Non può dirsi l’espressione di gioconda commozione che si palesò sul suo volto nel mostrare e commentare il documento. Ed è certissimo che Egli subito scrisse per accusare ricevuta e per ringraziare la donnicciola del contado, ignara certo del valore di quell’autografo!307
Nel 1882, a 32 anni, ottenne la cattedra a Sassari; si trasferì successivamente in altre sedi, finché nei primi anni Novanta dell’Ottocento tornò a Milano per dirigere la sezione ostetricoginecologica dell’Ospedale Maggiore e la Guardia Ostetrica. Nel frattempo, ascritto politicamente alla democrazia radicale e massonica che faceva capo al giornale Il Secolo308, Mangiagalli venne eletto consigliere comunale nella lista dei partiti popolari vincitori delle elezioni del 1899. Nel programma elaborato per quell’occasione, Luigi Mangiagalli era riuscito a introdurre un esplicito cenno a un tema che gli era molto caro: l’opportunità di dotare la città «di nuovi istituti di studio, non insidianti, ma completanti quelli universitari». Già alcuni anni prima, quale presidente dell’Associazione medica lombarda, Mangiagalli, aveva operato un primo tentativo per utilizzare in simile prospettiva il lascito fatto al Comune dall’industriale Siro Valerio, in vista della fondazione o del trasferimento in città «di una università per lo studio delle scienze o per lo meno di qualche sezione di esse, e, prima d’altro, preferibilmente, della Facoltà medico-chirurgica». Quel tentativo non aveva avuto successo: eletto alla Camera nel 1902 come esponente dell’Associazione democratica milanese nelle elezioni suppletive della XXI legislatura per il IV° collegio di Milano, divenuto senatore nel marzo 1905, Mangiagalli si trovava ora nelle migliori condizioni per riprenderlo e portarlo a buon esito. Cultura della scienza e della politica si fondevano e si integravano in questo uomo che sollecitò profonde riforme politiche e sociali, facendo leva su valori quali la nazione, il popolo, l’onestà, la società, la cultura e la scienza. Mentre nell’esercizio delle sue funzioni appariva riservato, serio, chiuso, poco espansivo, fuori dal ruolo istituzionale si trasformava completamente e la 306 CLIVIO Innocente, Luigi Mangiagalli, op. cit., pp. 5-6. 307 Ernesto Locatelli, nipote acquisito di Mangiagalli per averne sposato la nipote Maria Sormani (figlia di Carolina, sorella della moglie di Mangiagalli), così ricordò lo zio durante l’Assemblea generale dei soci Opai, il 19 dicembre 1928. 308 Cfr.: CATTINI Marco, DECLEVA Enrico, DE MADDALENA Aldo, ROMANI Achille, (a cura), Milano città Universitaria, in: «Storia di una libera università. L’Università Commerciale Luigi Bocconi dal 1915 al 1845», Milano, Egea, 1997.
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Capitolo Quinto
I PRIMI PASSI DEL PREVENTORIO DI OLGIATE OLONA
L’OPAI NEL PRIMO DOPOGUERRA: UN’ASCESA NON FACILE Come precedentemente ricordato, l’ex villa Gonzaga di Olgiate Olona entrò nella piena disponibilità dell’Opai dal settembre 1918, e quindi nel bel mezzo della Prima guerra mondiale. Certamente il conflitto fu foriero di difficoltà anche per l’Opera di prevenzione antitubercolare infantile, tanto che in alcuni momenti si fu costretti a ridurre il numero di ammissioni, ricorrendo a sovvenzioni bancarie sui titoli nei quali era investito il patrimonio dell’Opai. Le difficoltà non scoraggiarono, anzi furono di stimolo a un sempre maggior impegno. La vita della nostra Istituzione non si arresta e non si arresterà mai qualunque siano le difficoltà che si incontrano. Esse anzi ravvivano ogni ardore, temprano le forze e rinsaldano ogni più vigorosa tenacia di lotta e di vita … Una simile circostanza non può e non deve essere motivo di dubbiosa fiducia, ma bensì di sprone a procurare i mezzi perché la linea ascendente fino ad ora dall’Opera percorsa non venga interrotta358.
La fine dei combattimenti ripresentò acuendolo il dramma della tubercolosi, soprattutto col ritorno dal fronte di migliaia di soldati che durante la guerra avevano contratto la malattia: proprio i figli di questi combattenti vennero accolti nel preventorio di Olgiate Olona con diritto di preferenza. Nel 1919 il numero dei bambini assistiti salì a centocinquantuno; centosessantacinque i bambini presenti nel 1920, ben duecentoquarantaquattro nel 1921. All’interno del preventorio l’attività era strutturata in tre sezioni: il nido per i fanciulli da 12 mesi a tre anni, accolti dopo l’anno di allattamento alla créche o in campagna; l’asilo campestre per i bambini da tre a sei anni; la colonia campestre con scuola elementare all’aperto e scuola popolare con indirizzo eminentemente agricolo. Terminato il ciclo di studi, i maschi venivano avviati alla colonia agricola annessa all’Istituto, mentre le femmine frequentavano laboratori di maglieria, ricamo, sartoria. In particolare, per ciò che riguardava i maschi si cercò di favorire attività lavorative che consentissero il contatto con la natura «poiché l’ambiente riconosciuto più preziosamente adatto alla conservazione ed al rigoglio fisico è quello della natura, dei campi, del sole, della vita semplice e sana, lungi dalla congestionante e sempre minacciosa esistenza dei centri moderni, in cui troppo grande è il sacrificio dell’igiene e troppo densa di miasmi l’atmosfera»359. Come vedremo in maniera più dettagliata nei capitoli nono e undicesimo, l’assistenza generale era di competenze delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret360, che si occupavano anche dell’insegnamento religioso, mentre l’istruzione era affidata sia a religiose che a maestre laiche. 358 Ibidem. 359 Humanitas, n. 18, giugno 1926, p. 5. 360 Giovanna Antida Thouret nacque a Sancey-le-Long in Francia il 27 novembre 1765. Di famiglia povera, a sedici anni rimase orfana della mamma. Fin da giovane dimostrò una forte devozione alla Vergine e, malgrado la contrarietà del padre, riuscì a entrare nel convento delle Figlie della Carità di san Vincenzo De Paoli a Parigi dove imparò a servire i malati poveri. In seguito allo scoppio della Rivoluzione francese, l’ordine venne sciolto con la forza. Giovanna trovò rifugio a Besançon, dove successivamente fondò la Congregazione delle suore della Carità. La sua opera si allargò arrivando fino a Napoli, città in cui assunse la direzione di un grande ospedale. In Francia invece fu ostacolata dall’arcivescovo di Besançon che si rifiutò di approvare l’ordine da lei fondato, nonostante il riconoscimento pontificio. Giovanna non si abbattè e continuò nel suo impegno di carità, formazione e lavoro apostolico. Colpita da emorragia cerebrale, morì la sera del 24 agosto 1826. Fu proclamata Santa da Pio XI nel 1934. Per un approfondimento si veda: SANI Roberto, AROSIO Paola, Sulle orme di Vincenzo de Paoli. Jeanne-Antide Thouret e le Suore della Carità dalla Francia rivoluzionaria alla Napoli della Restaurazione, Milano, Vita e Pensiero Edizioni, 2001.
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1921: CHIUDONO BALIATICO, ASILO GIGINO E CRÈCHE Il 1921 segnò l’inaugurazione di un nuovo fabbricato dotato di palestra-teatro e appartamento per il direttore, che venne inaugurato con una festa campestre organizzata dagli Ufficiali dell’11° Bersaglieri, il reggimento di Sciara-Sciat361, cui apparteneva anche il direttore amministrativo dell’Istituto, colonnello Gino Graziani362. In quell’occasione gli ufficiali costituirono un letto di patronato363 intestato al loro reggimento, destinandolo a una bimba orfana di un bersagliere caduto eroicamente nella Conca di Plezzo364. Nello stesso anno, per motivi di semplificazione organizzativa e di necessaria economia, fu eliminata l’assistenza post-baliatica, riducendola ai minimi termini e i bambini che ancora necessitavano di tale assistenza furono concentrati a Olgiate Olona. Non era infatti semplice, e neppure economico, verificare che i bambini dati a nutrice presso famiglie contadine, soprattutto nella zona di Vimercate, della Brianza e del Varesotto, fossero ben assistiti, adeguatamente nutriti, controllati da un punto di vista sanitario. Allo stesso modo si decise di trasportare a Villa Gonzaga sia i bimbi della créche, attivata dal 1918 presso la clinica De Marchi di Milano, sia quelli ricoverati all’Asilo Gigino di Biassono. Questi ultimi vennero trasferiti nel Padiglione Winderling, appositamente costituito a Olgiate Olona per la cura elioterapica. Per quanto fosse a tutti doloroso abbandonare la Villa di Biassono, prima carissima culla del nostro Istituto, noi fummo confortati, nel sacrificio che si imponeva, dalla piena, generosa, illuminata adesione dei nobilissimi coniugi Winderling [...]. L’assistenza post-baliatica si è andata fortemente riducendo nel 1921 e si sta del tutto eliminando. Essa imponeva purtroppo sacrifici anche pecuniari non adeguati ai risultati che si ottenevano, e l’esperienza rivelava pure difficilissima in pratica una responsabilità ed una sorveglianza estremamente gravosa365.
Per ricordare il gesto generoso dei coniugi Winderling, grazie ai quali era stato possibile attivare a Biassono il primo asilo campestre dell’Opai, nel corridoio centrale dell’antica Villa Greppi-Gonzaga venne posta una lapide (ancor oggi visibile), recante un’epigrafe dettata dal poeta chiavennasco Giovanni Bertacchi: Scienza et charitas omnia vincunt./Ai coniugi Gustavo e Lucia Noel Winderling/ che il loro perduto Gigino/vollero rivivesse ogni dì in un’impresa di bene/ denominata da Lui largendo/munifici i mezzi a creare in Biassono/ il primitivo asilo dove/sottratti al contagio del morbo/che ne spegne le madri/ i figli avesser colla salvezza/la santa certezza del domani/i promotori dell’Opera/ offrono la gratitudine della anime beneficate/sola degna di un atto che è premio a se stesso.
I nuovi locali destinati ai bambini si presentavano ben aerati, pieni di sole, tranquilli, dotati di un’ampia terrazza ove le piccole culle potevano essere allineate per usufruire il più possibile del bel tempo. Nonostante gli sforzi e gli indubbi successi, la crisi del dopoguerra manifestò le conseguenze anche sul preventorio olgiatese e nel 1922, per la prima volta, si dovette chiudere il bilancio con un deficit. Malgrado [...] provvedimenti di inderogabile economia, malgrado ogni più cauta vigilanza amministrativa, ed ogni più vivo incitamento in ogni campo - il bilancio del 1922 non ha potuto 361 Il reggimento dell’11° Bersaglieri aveva combattuto all’inizio della guerra di Libia, nell’ottobre 1911, presso l’oasi di Sciara Sciat. In un scontro con l’esercito regolare turco e i ribelli arabi, i bersaglieri ebbero la peggio: morirono in quattrocento. 362 Gino Graziani (1893-1976), fu ufficiale di complemento nei Bersaglieri durante la Prima guerra mondiale meritandosi due medaglie d’Argento e una Croce al merito per atti di valore in azioni di combattimento. 363 Per la descrizione della cerimonia di attribuzione del lettino si rimanda al capitolo quindicesimo. 364 Plezzo è un piccolo paese dell’alta Valle Isonzo. Prima legato a Gorizia, oggi è territorio sloveno. Fu teatro bellico nella Prima guerra mondiale. 365 Humanitas, n. 4, dicembre 1922, p. 12.
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non risentire delle mutate condizioni generali economiche, che così acutamente si riflettono, per invincibile forza di cose - sulle opere benefiche che tanto e tanto devono chiedere e avere dall’ambiente in mezzo a cui vivono. Quando si pensi che i contributi dei Soci fondatori scesero da L. 452.000 (usiamo cifre tonde) nel 1921 a sole L. 117.000 nel 1922 - e quando si pensi agli oneri immensi e pressoché irriducibili, che l’Opera deve affrontare - non farà meraviglia che il nostro bilancio presenti per la prima volta, nell’esercizio di cui trattiamo, un deficit di circa L. 58.000366.
LA “CASA DEI BAMBINI” DI OLGIATE OLONA: UN ESEMPIO DA IMITARE Il nome dell’Opera cominciava a essere conosciuto anche all’estero, tanto che una speciale commissione venne inviata dalla Francia nel settembre 1922 per studiare i metodi di cura applicati a Olgiate Olona, riportandone una favorevole impressione. La Commissione viaggiante s’è poi recata a mezzogiorno all’Istituto Lombardo di Olgiate Olona [...]. I visitatori [...] apparivano incantati di fronte alla profusione di bellezze estetiche e di comodità pratiche che si offriva al loro sguardo: lavatoi, bagni, cucine, dispense, dormitori, scuole, teatrino, palestra, stalle, tutto chiaro e pulito, tutto in ordine, entro locali luminosi, con la mobilia nuova e la biancheria abbagliante di candore. L’Istituto che a tutt’oggi ha assistito, con la esperta guida dei dirigenti e l’amorevole assiduità delle suore, 628 bambini, ne accoglie attualmente 143 dei due sessi e d’età che varia da pochi mesi a sedici anni [...]. C’è tanta terra attorno alla villa e il roseo sogno dei dirigenti sarebbe di vedervi sorger tanti altri padiglioni, uno per ciascuna della provincie di Lombardia367.
In breve tempo la colonia di Olgiate Olona si trasformò in un grande istituto per la cura e l’assistenza dei fanciulli dalla nascita all’adolescenza, un esempio da imitare, tanto che anche durante il Congresso pediatrico tenutosi a Milano nell’ottobre 1924, l’Istituto di Olgiate Olona fu oggetto di particolare attenzione da parte degli studiosi dell’assistenza infantile e dell’igiene sociale. In tale occasione fu attentamente visitato e ammirato da vari gruppi di scienziati, allora tra i più noti nel campo della pediatria. Così il direttore sanitario, dottor Chiriatti ricordava l’interesse espresso dai congressisti, ribadendo il primato dell’Opai come preventorio antitubercolare destinato a neonati: In varie città nostre, specie per interessamento di Pediatri illustri, sorgono, accanto ai dispensari, case di cura e sanatori per tubercolotici, opere che si interessano alla profilassi ed alla prevenzione antitubercolare. Ma, per quanto è a mia conoscenza, solo a Roma nel Preventorio Maraini, nell’Asilo Nido presso l’Ospedale di S. Giovanni, e in un reparto della Scuola di Puericultura, si attua quello che l’O.P.A.I. ha il vanto di aver stabilito fin dal suo nascere nel 1914; l’assistenza dei neonati fin dalla nascita, allontanandoli subito dall’ambiente infetto. Questo concetto è ora stato adottato dall’Opera di Grancher in Francia, che prima si rivolgeva solo ai bambini dopo il 3° anno di vita, poi si estese a quelli dopo il 3° mese di vita e, solo da pochi anni, nell’Ospedale di Laënnec a Parigi, che isola i bambini appena nati in reparto organizzato [...]. L’Opera di Bruxelles, O.P.E., solo dal 1919 ha un reparto per lattanti presso la scuola Edith Cavell. In Germania, sorti durante la guerra, funzionano ora diversi Asili per lattanti nati da madri tubercolose. Sarebbe perciò assai utile che in ogni città sorgano reparti simili, affidati però a Pediatri ed Infermiere specializzate sicché si abbiano le garanzie migliori per un buon allattamento [...]. E i risultati saranno certo soddisfacenti anche nel caso di un allattamento artificiale; la mortalità è certo minore di quella che si avrebbe ove i bambini restassero nell’ambiente infetto, nel periodo di vita in cui è maggiore il contatto dei genitori e dei parenti col neonato per carezze, baci, permanenza nello stesso letto, per l’essere più vicino alla mamma, per le poppate, ecc.368.
Anche il professor Annibale Bertazzoli, assessore per l’Igiene del Comune di Milano, in una 366 Humanitas, n. 8, dicembre 1923, p. 22. 367 Corriere della Sera, 24 settembre 1922. 368 Humanitas, n. 12, dicembre 1924, pp. 3-4.
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sua relazione del 1924 riconoscerà grandi meriti all’attività svolta dall’Opai per assicurare la tutela della maternità e dell’infanzia: «La grandiosa istituzione di Olgiate Olona per l’assistenza dei bambini, Opera di prevenzione antitubercolare infantile per la difesa contro la tubercolosi, ha per la prima via realizzato [il] concetto profilattico [di allontanare i bambini dalle loro madri ammalate per essere allattati in modo artificiale] con mezzi che, fortunatamente per generosità di moltissimi vanno sempre più allargandosi, ad onore e gloria di coloro che la istituirono e a vantaggio sicuro dei beneficati»369.
369 BERTAZZOLI Annibale, Com’è organizzata l’assistenza igienica per la maternità e la prima infanzia nel Comune di Milano, in: «Bollettino municipale mensile del Comune di Milano», novembre 1924.
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visitare ammalati e poveri, interessandosi delle piccole miserie personali, passando giorni e notti al letto degli ammalati. Non fu ricca che per esser buona... I beni che la fortuna le largì furono soprattutto lo strumento del quale essa si servì per lenire dolori, confortare sofferenti, aiutare i bisognosi. Scoppiata la guerra, la sezione di Legnano della Croce Rossa Italiana, alla quale Essa apparteneva come Presidente del Comitato delle Dame nella nobile gara di assistenza ai feriti, allestì un ospedale di duecento letti nelle scuole “Carducci”: Camilla Bernocchi fu tra le prime Signore che seguirono il corso di infermiera e che accorsero accanto agli eroici nostri soldati per porgere loro assistenza e conforto379.
I Bernocchi non avevano avuto figli, e soprattutto la signora Camilla aveva risentito di questa mancanza: «Quante volte l’abbiamo vista in questo nostro Istituto, circondata dai bambini che le facevano corona festanti, prodigare ad essi i suoi baci e le sue carezze col volto trasfigurato e con gli occhi lucenti che rivelavano tutta la somma di quell’amore che in quel momento provava il suo cuore. Così, Camilla Bernocchi, i nostri bimbi furono i Tuoi; essi ebbero immensi benefici dal Tuo amore che ricambieranno»380. L’appoggio dei coniugi Bernocchi all’Opai non venne mai a mancare, tanto che il senatore Bernocchi nel suo testamento (atti del notaio di Milano dottor Angelo Moretti 18 dicembre 1930, n. 20735-10946) Bernocchi dispose a favore dell’Opera di Prevenzione Infantile un legato di 100.000 lire; la moglie lasciò pure un legato a favore dell’Opai di 50.000 lire. Anche in considerazione dei loro importanti contributi, una delle ali del nuovo Istituto fu dedicata al loro nome. LA COMMISSIONE PRO ERIGENDO PADIGLIONE EDDA MUSSOLINI Nei primi mesi del 1921, sotto la presidenza di Luigi Mangiagalli, si diede vita a una Commissione di sorveglianza “Pro erigendo padiglione nazionale Edda Mussolini”, fissandone la sede in piazza del Duomo alla Casa Editrice Italiana di A. Dolcetti & C. Il carattere di nazionalità del progetto stava a indicare che nella nuova struttura avrebbero potuto essere accolti bambini provenienti da ogni regione d’Italia. Tra i membri di tale commissione possiamo annoverare il neoeletto membro del Consiglio direttivo dell’Opai, Antonio Bernocchi, Carlo Cavalli, Jean de Fernex, Federico Jarach381, il direttore d’orchestra Fernando Limenta382 (amico e testimone di nozze di Benito Mussolini), Piero Preda, l’industriale milanese Ettore Rusconi383, il duca Marcello Visconti di Modrone384. 379 Humanitas, n. 35, marzo 1931, p.17. 380 Ibidem. 381 Federico Jarach (1874-1951), erede di una delle più prestigiose famiglie ebree della Comunità ambrosiana, nel 1907 aprì a Milano un’industria metalmeccanica, le “Rubinetterie Riunite”, le cui sorti saranno poi drammaticamente segnate dall’emanazione delle leggi razziali del 1938. Membro della giunta esecutiva di Confindustria e presidente di quella che diverrà Federmeccanica, negli anni Venti fu anche assessore alle Finanze del Comune di Milano, con Luigi Mangiagalli come sindaco. Guidò la Comunità ebraica milanese dal 1931 e affrontò le leggi razziali in qualità di presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, carica che mantenne nel biennio 1937-1939. Nel settembre 1943 sfuggì miracolosamente alla strage nazista di Meina, trovando rifugio a Roma sino alla Liberazione. 382 Fernando Limenta era nato nel 1877 in provincia di Cremona, da una famiglia di musicisti da cui ricevette i primi insegnamenti di musica. Suo padre lo avviò allo studio dell’organo, che Fernando cominciò a suonare ancora ragazzo nella cattedrale di Crema. Completata la sua educazione musicale al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, nel 1900 cominciò la sua vita errabonda di direttore d’orchestra, che lo portò dinanzi alle platee di Danimarca, Germania, Svizzera, Belgio, Olanda. Volontario di fanteria nella Prima guerra mondiale, fu ferito e ricoverato nel dicembre 1915 all’ospedale Collegio degli Angeli di Treviglio, dove conobbe Benito Mussolini (lì ricoverato perché al fronte si era ammalato di paratifo). La comune passione per la musica (Mussolini si dilettava a suonare il violino) favorì l’amicizia tra i due. Durante quella convalescenza, il futuro Duce si fece raggiungere da Rachele Guidi, dalla quale aveva già avuto la figlia Edda, e la sposò. Testimone di nozze fu proprio il maestro Limenta. Nel 1925, Ferdinando Limenta venne chiamato a far parte dell’EIAR Milano, dove diede vita al “Quintetto Limenta”; nel 1930 fu nominato alla direzione artistica della Stazione Radio di Bolzano. Si veda: FIORENTINO Wladimiro, L’orchestra EIAR di Bolzano. Ferdinando Limenta e … Benito Mussolini, Bolzano, Edizioni Catinaccio, 1997. 383 Ettore Rusconi (1852-1928), imprenditore e presidente di numerose istituzioni di assistenza, dal 1905 al 1910 assessore del Comune di Milano. 384 Marcello Visconti di Modrone (1898-1964), proprietario e fondatore dello “Stabilimento Duca Visconti di Modrone di Marcello Visconti di Modrone”, cotonificio posto a Vaprio d’Adda, fu podestà di Milano dal 1929 al 1935. Lentamente si allontanò dal movimento fascista e dopo l’8 settembre 1943 decise di appoggiare in maniera diretta la resistenza partigiana, mettendo a disposizione le proprietà di famiglia.
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Il Comitato pro erigendo padiglione Edda Mussolini diede avvio a numerose iniziative volte alla raccolta fondi: una di queste riguardava la vendita di un quadro del pittore e caricaturista Mario Bettinelli raffigurante l’incontro385 avvenuto a Roma il 30 ottobre 1922 tra il Duce e il re Vittorio Emanuele III, evento simbolo che sancì l’ascesa al potere del Partito nazionale fascista (PNF). Il quadro venne riprodotto e posto in vendita in due formati da lire 10 e da lire 25, realizzandone anche delle cartoline formato 9x14, in photogravure386 e in eliotipia387: l’obiettivo era renderlo oggetto di propaganda patriottica e insieme benefica. Tutte le copie erano numerate progressivamente e portavano il timbro dell’Opai. Nel dicembre 1922 l’elezione di Luigi Mangiagalli a sindaco di Milano388, sostenuta dal PNF, facilitò ulteriormente il progetto di sviluppo dell’Opera di prevenzione antitubercolare infantile. La Commissione di sorveglianza Pro erigendo padiglione nazionale Edda Mussolini, in collaborazione con l’Edizione di propaganda: gli italiani a Benito Mussolini stese una “Relazione-progetto di propaganda patriottica e benefica” che il 21 marzo 1923 fu inviata a Luigi Mangiagalli in qualità di presidente dell’Opai per l’approvazione: come si può evincere da tale relazione, all’Opera di prevenzione antitubercolare infantile sarebbe stato devoluto il trenta per cento del ricavato delle vendite389. Il programma era estremamente dettagliato, e come vedremo in seguito troverà realizzazione quasi nella sua totalità. La divulgazione delle copie, in Italia ed all’Estero [...], oltre lo scopo di propaganda patriottica mira anche a quello benefico di raccogliere fondi per arricchire di un nuovo padiglione che dovrà, però, essere nazionale - l’Opera di Prevenzione Antitubercolare Infantile, con il programma che, almeno uno - in tempo il più breve possibile - debba essere eretto in ogni singola regione d’Italia, ciascuno facente capo al Grande Istituto di Olgiate Olona, quale Sede Centrale. E noi, sicuri di fare cosa grata a S.E. il Presidente del Consiglio ed alla Sua Famiglia abbiamo manifestato il desiderio di intestare il primo erigendo padiglione a Edda Mussolini, ottenendone la più incondizionata approvazione e la promessa di tutto il Suo appoggio. La posa della prima pietra dovrà essere fatta da S.M. il Re d’Italia, presente S.E. Benito Mussolini, verso la metà dell’entrante aprile, nella occasione della Loro venuta per la inaugurazione della Fiera Campionaria. Praticamente impostati i preparativi per la posa della prima pietra (la solenne cerimonia faremo di tutto perché sia illustrata dal Beltrame nella prima facciata della “Domenica del Corriere”) e praticamente reclamizzando l’avvenimento attraverso la stampa cittadina con la enunciazione del programma, noi avremo fatta la più seria reclame all’immenso lavoro di lavoro di propaganda, che appunto in quei giorni comincerà a muovere i primi passi [...]. Noi siamo pronti per cominciare. Abbiamo i mezzi finanziari occorrenti a fronteggiare l’impresa, poiché a 385 L’episodio è strettamente legato alla marcia su Roma del 28 ottobre 1922. Quel giorno squadre di fascisti, circa 25mila uomini, cominciarono a confluire su Roma. In tutta Italia le autorità civili cedettero i poteri a quelle militari, e queste a loro volta li passarono ai fascisti. Il presidente del Consiglio Luigi Facta propose al re di instaurare lo stato d’assedio, ma Vittorio Emanuele III rifiutò di firmare il decreto e invitò a Roma Benito Mussolini per trattare. Il 29 ottobre Mussolini, dopo l’incarico ufficiale ricevuto telegraficamente dal re di formare il nuovo governo, partì da Milano dove si trovava e raggiunse Roma in vagone letto. L’arrivo a Roma fu trionfale. Il giorno successivo, nel palazzo del Quirinale, Mussolini si inchinò e strinse la mano al re dicendo: «Porto a Vostra Maestà l’Italia di Vittorio Veneto, riconsacrata dalle nuove vittorie. Vostra Maestà voglia perdonarmi se mi presento indossando ancora la camicia nera della battaglia che fortunatamente non c’è stata. Io sono un suddito fedele di Vostra Maestà». Quello stesso pomeriggio Mussolini formò il suo governo e portò al re l’elenco dei ministri: tra questi, occorre ricordare due nomi che furono molto importanti per la storia dell’Opera di prevenzione Antitubercolare Infantile: Stefano Cavazzoni (popolare) nominato ministro del Lavoro e della Previdenza sociale, e Giuseppe De Capitani d’Arzago (liberale) destinato al Ministero dell’Agricoltura. 386 La photogravure è un antico e complesso procedimento per stampare a intaglio un’immagine fotografica mediante una lastra di rame incisa con la tecnica dell’acquaforte. 387 L’eliotipia è un tipo di procedimento usato in passato per ottenere più copie da un negativo fotografico mediante la luce solare. 388 Luigi Mangiagalli fu eletto sindaco nel “blocco cittadino di azione e di difesa sociale” (promosso fin dall’autunno 1920 dai liberali in funzione antisocialista), costituito da liberali, popolari, democratici moderati e fascisti; guidò la città dapprima a capo di una giunta di coalizione, poi, dal 1925, di soli appartenenti al Partito nazionale fascista, attuando una politica volta al risanamento del bilancio e alla realizzazione di importanti opere pubbliche. 389 «All’Opera di Prevenzione Antitubercolare Infantile verrà devoluto il 30%. Il restante viene assorbito nella misura del 20% dal costo della edizione; del 20% dalle spese generali (stampanti, spedizioni, consegne, diritti di riproduzione, viaggi, ecc.) e spese di organizzazione; del 20% dalla provvigione agli incaricati della diffusione, anche quale rimborso di ogni e qualsiasi spesa all’uopo da loro incontrata; del 10% quale interesse al capitale circolante e quale modesto compenso, se pur vi resterà, al personale occorrente per la migliore riuscita della non minuscola impresa».
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nostra disposizione abbiamo £. 500.000. E però, prima, bisogna pensare alla formazione di due Commissioni: COMMISSIONE D’ONORE: sarà composta dal prof. dott. Luigi Mangiagalli [...], sindaco di Milano, presidente, e dai Sindaci [...] delle Città di Provincia e Circondario [...]. COMMISSIONE ESECUTIVA: prof. dott. Luigi Mangiagalli, Presidente; comm. Ettore Rusconi; comm. Pietro Preda; comm. Jean de Fernex; prof. rag. Comm. Carlo Cavalli; avv. Gaetano Federico Fedrigo; rag. Cav. Gerolamo Villa; avv. Michele Saviano; rag. Ugo Virtuani; Fernando Limenta [...]. Alla cerimonia della inaugurazione si spera possano assistere ambedue i Sovrani d’Italia e S.E. Benito Mussolini. Edda Mussolini dovrebbe esserne la Madrina [...]. Alla cerimonia della posa della prima pietra sperasi intervenga S.E. il Cardinale Arcivescovo di Milano [...]. Inoltre avremmo bisogno che alla prossima Fiera Campionaria ci fosse riservato un locale e vogliamo sperare che ciò venga accordato.
13 APRILE 1923: LA PRIMA PIETRA DEI NUOVI PADIGLIONI La posa della prima pietra dei nuovi padiglioni ebbe effettivamente luogo venerdì 13 aprile, alla presenza dell’arcivescovo di Milano Eugenio Tosi390, del re Vittorio Emanuele III di Savoia, e del presidente del Consiglio, Benito Mussolini, accompagnato dalla figlia Edda, dal fratello minore Arnaldo, direttore del quotidiano fascista Il Popolo d’Italia, e dai suoi segretari. Oltre alle autorità, erano presenti molti giornalisti nonché, come programmato, Achille Beltrame che illustrò la scena per la copertina della Domenica del Corriere. Tutto era stato organizzato nei minimi dettagli, come si evince da una velina dell’epoca predisposta dal Comitato di Propaganda dell’Opera di prevenzione antitubercolare infantile. Cortile d’onore: per l’arrivo di S.M. vi si troveranno: musica - bambini, con la bandiera dell’Istituto - Senatore Mangiagalli - Gr. Uff. Piero Preda - Comm. Jean De Fernex - Superiora - Vescovo - Duca Visconti di Modrone Marcello - Comm. Carlo Cavalli - Marchesa Corti - Sig. Bernocchi - Sig.ra De Fernex - Sig. De Capitani Carlo - [Senatore] Borletti - Bossi - [Alessandro] Maino - Sig.ra Preda - [Aristide] Basilico. L’auto reale si fermerà davanti all’ingresso del Salone, sull’asse dell’androne che porta al secondo cortile. Sceso dall’auto S.M. vedrà i bambini e dopo entrerà nel salone. Nel salone vi si troveranno i membri del Consiglio dell’Opera, i principali benefattori - i Presidenti e le Presidentesse dei Sottocomitati - Comitato C. di Armata - Prefetto di Milano. Ai benefattori sarà fatto un invito speciale. Le altre patronesse saranno riunite e faranno ala al Sovrano nel Salone della Statua391 [ci si riferisce al salone di ingresso dell’ex villa dei principi Gonzaga, in cui era posta una statua dello scultore Giulio Monteverde raffigurante una madre che sostiene il suo bambino, Nda]. Presentazioni a S.M. Visita all’Istituto. Nella visita da iniziare subito dopo le presentazioni, S.M. sarà seguito dalle persone che lo hanno ricevuto nel Cortile d’Onore. Ultimate le presentazioni, le persone che non debbono seguire S.M. nella visita si recheranno alla tribuna presso il posto della prima pietra. La musica del Cortile d’Onore passa nel parco. Ultimata la visita, nel riattraversare il Salone, S.M. firmerà l’Album dei visitatori. Nel parco, le autorità, associazioni, pubblico occuperanno il posto indicato sullo schizzo. All’uscita di S.M. nel parco, la banda suonerà la marcia reale. S.M. attraverso il vialone si recherà alla tribuna Reale dove sarà ossequiata dalle Autorità già nel parco. Discorso del Senatore Mangiagalli. Benedizione posa della prima pietra. Al calare della pietra marcia Reale - Giovinezza - Inno al Piave. Ultimata la cerimonia, S.M. seguendo il percorso precedente tornerà nel cortile d’onore dove sarà pronta la sua Auto e partirà ossequiato dalle persone che lo hanno ricevuto. 390 Eugenio Tosi (1864-1929), nativo di Busto Arsizio, da una famiglia della borghesia locale (era imparentato col celebre industriale Franco Tosi), dal 1889 al 1909 insegnò al collegio degli Oblati a Rho - a cui apparteneva - e dal 1909 al 1911 fu vicario generale in diocesi di Rimini. Nel 1922 divenne arcivescovo di Milano e cardinale. Evitò di alimentare la tensione col fascismo e ribadì che la Chiesa doveva essere libera da ogni regime: difese gli spazi educativi, sostenne gli oratori, l’Azione cattolica e le attività ecclesiali. Fu definito “arcivescovo della carità e dei giovani” e “cardinale della bontà”. Visitò l’Opai di Olgiate Olona in due occasioni: il 13 aprile 1923 per la posa della prima pietra dei padiglioni intitolati alla regina Elena di Savoia e a Edda Mussolini; il 27 novembre 1924 tornò al preventorio olgiatese e firmò l’Albo dei visitatori (oggi conservato in municipio). Morì nel 1929. 391 Nel 1919 il cavalier Vittorio Ganna donò all’Opai una statua in marmo bianco raffigurante “La Maternità”, opera dello scultore Giulio Monteverde. Tale statua, che negli anni Venti aveva un valore commerciale intorno alle 20mila lire, era precedentemente appartenuta al commendator Bino Cesana, rinomato antiquario veneziano molto apprezzato anche da D’Annunzio.
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Nonostante la spesa complessiva delle nuove costruzioni fosse ben superiore a quanto preventivato (si aggirò infatti intorno ai due milioni di lire), nel volgere di due anni i nuovi edifici furono pronti e vennero inaugurati l’uno il 27 aprile 1925 alla presenza di Vittorio Emanuele III, l’altro il 27 ottobre dello stesso anno con l’intervento di Benito Mussolini. 27 APRILE 1925: INAUGURAZIONE DEL PADIGLIONE “REGINA ELENA” L’inaugurazione del padiglione dedicato alla regina Elena fu compiuta in occasione della visita del re alla sesta Fiera Campionaria che si tenne a Milano dal 12 al 27 aprile 1925. Avrebbe dovuto presenziare anche la regina, ma, come ricordato nel numero 13 di Humanitas, «per le ragioni note a suo tempo comunicate dai giornali, la graziosa e nobile Sovrana fu trattenuta altrove»: in quel mese di aprile, Elena di Savoia si trovava infatti a Pinerolo presso la figlia Jolanda, che aveva da poco perso il figlio Giorgio, nato il 1° marzo di quell’anno e deceduto nel giro di pochi giorni per una broncopolmonite. «Dolorosa rinuncia per i nostri fanciulli e per noi [...]. Ma l’Eletta Sovrana, ci fu egualmente vicina con lo spirito e con il cuore». Come consuetudine, anche quel 27 aprile 1925 il re, prima di giungere a Olgiate Olona, visitò altre strutture: il Sanatorio Regina Elena di Legnano e la Casa militare Umberto Primo di Turate422. La Cronaca Prealpina del 26 aprile 1925 preannunciava l’evento. S.M. Vittorio Emanuele III [...] sarà ad Olgiate Olona domani mattina, lunedì, per inaugurare un nuovo padiglione intitolato alla Regina Elena, dell’Istituto Antitubercolare e del quale, due anni or sono, egli stesso pose la prima pietra. Prima di giungere ad Olgiate il Re farà una breve sosta a Legnano per visitare il Sanatorio Elena di Savoia, inaugurato lo scorso anno da S.M. la Regina Madre. L’arrivo a Legnano è previsto per le ore 8 e per le 8,35 è stabilita la cerimonia inaugurale di Olgiate, cerimonia che sarà pure brevissima in quanto per le 9,30 il Re dovrà trovarsi a Turate per visitare quella Casa di Umberto I.
Già nelle prime ore della mattinata il preventorio, e tutto il paese di Olgiate Olona, si preparavano all’arrivo del sovrano. Ore fervide e febbrili di attesa, le prime della mattinata e non solo entro l’Istituto che si prepara per la visita Sovrana, ma in tutto il paese, in tutta la zona per cui passerà il Sovrano, poiché tutti sono ansiosi di acclamarlo, di ripetere, con l’entusiasmo di una devozione profondamente radicata, l’accoglienza delirante che già accolse S. M. il Re durante la visita di due anni or sono. La cerimonia è stata fissata per le otto: ma già da qualche ora, già dal primo mattino il paese, l’Istituto, tutto, insomma, hanno assunto l’aspetto ed emanano il fervore che caratterizzano le più solenni occasioni. Solo il cielo che vuol rimanere ostinatamente chiuso, nebbioso, piovigginoso, rivela un … caratteraccio indisponente. Ma l’asilo di Olgiate nulla ha perso per ciò della sua bellezza serena, varia, nitida: non è neppur necessario, quindi, che splenda il placido sole lombardo, che il cielo sia tutto azzurro e luminoso se già tanta luce d’intima festosità e di lieto fervore inonda il maestoso edificio e si comunica agli uomini ed alle cose423.
La pioggia che quel lunedì mattina cadeva copiosa non bastò a distogliere gli abitanti dall’accorrere sulle piazze e lungo le strade per assistere al passaggio del re. Bandiere, festoni e drappi tricolori adornavano le facciate delle case: l’entusiasmo traboccava. Mentre nella piazzetta antistante il preventorio aveva luogo una breve cerimonia per l’inaugurazione del monumento ai Caduti, dentro l’Istituto si facevano gli ultimi preparativi per accogliere degnamente il sovrano. I benefattori e gli amici dell’Opai giunsero da Milano e dai paesi limitrofi in gran numero. 422 La Casa Militare Umberto I° di Turate era ubicata in una villa settecentesca trasformata poi, nel corso degli anni, in struttura di accoglienza per i reduci di tutte le battaglie e le guerre combattute in nome dell’Italia; oggi è una Fondazione privata sotto la giurisdizione del Ministero della Difesa. 423 Humanitas, n. 13, marzo-aprile 1925, p. 6.
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Sono le nostre conoscenze più care dei giorni di maggior fervore benefico. Son tutti quelli che da anni e con ogni forma di attività, caldeggiano, lavorano, offrono del proprio per vedere in atto questa che è una delle più illuminate opere di prevenzione e assistenza sociale. I duecento bambini ricoverati hanno gli occhi raggianti di una felicità insolita, e non riescono a contenere la loro irrequietezza: sembrano consci della solennità del momento anche i più piccini, paffuti bamboccetti biancovestiti, accolti nell’Istituto quando erano ancora in fasce, che trotterellano vispi e sorridenti a fianco delle suore, prodighe di raccomandazioni e ammonimenti … in extremis. Le personalità e gli invitati giungono anch’essi molto presto; e vanno a disporsi nelle sale di ricevimento e lungo i corridoi424.
Tra di essi possiamo annoverare: la duchessa Marianna Visconti di Modrone, presidente del Comitato patronesse; Camilla Bernocchi Nava, vicepresidente del Comitato patronesse; i vicepresidenti del Consiglio Carlo Cavalli e Piero Preda con le rispettive consorti; i consiglieri Antonio Bernocchi, Jean de Fernex, Carlo De Capitani da Vimercate e Biagio Gabardi; il dottor Leonardo Chiriatti, medico dell’Istituto; il professor Benedetti, rappresentante la direzione delle Opere Antitubercolari in Roma; gli onorevoli Stefano Cavazzoni e Luigi Gasparotto; l’ingegner Alfonso Morganti, che aveva curato la realizzazione dei nuovi padiglioni, nonché i progettisti, ingegneri Francesco e Ugo Arcelli; la poetessa Ada Negri, oltre ai rappresentanti dei comitati Opai di Milano, Busto Arsizio, Legnano, Olgiate Olona, Gallarate, Castellanza, Fagnano Olona. E ancora una volta gli “amici” dell’Opai non si esentarono dal dimostrare il loro sostegno economico alla causa: sia Jean de Fernex che Antonio Bernocchi elargirono un contributo di 200 mila lire. Nella cronaca ricavata dai carteggi trovati negli archivi di Brescia e Vercelli delle Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret, che come già anticipato, prestavano la loro opera educativo-assistenziale al preventorio olgiatese, si legge una estrema sintesi della giornata. Lunedì 27 aprile 1925 i bimbi più grandi si fanno alzare alle 6, alle 6.30 i più piccoli. Si vestono tutti in divisa marrone, sandali e calze nuove. I piccoli della crèche tutti in bianco. Le tre nutrici presenziano al passaggio di sua maestà coi loro bimbi in braccio. Dato il brutto tempo e la pioggia continua, si prepara per il passaggio dal salone al nuovo padiglione attraverso le scuole ove sono delineati nella prima tutti i bimbi dell’istituto, nella seconda e terza aula quelli di Olgiate, nella quarta i collegiali di Gorla Minore, ginnasio e liceo. A piedi sua maestà e seguito attraversano il primo padiglione per giungere nel padiglione Regina Elena per l’inaugurazione. Qui l’attendono autorità, patronesse ed una folla di popolo. Terminata la funzione, passa a visitare il padiglione anche al piano superiore, accompagnato dal suo seguito. Esprime con tanta compiacenza la sua soddisfazione e salutato con entusiasmo risale in auto e ci lascia. Parecchi signori e signore visitano l’istituto e i nuovi padiglioni. Gli si offrì un caffè e se ne partirono soddisfatti.
Per una più dettagliata descrizione della cerimonia possiamo rifarci a quanto pubblicato sulla rivista Humanitas: preannunciato da un triplice squillo di tromba, il sovrano entrò nella sala di ricevimento dell’Istituto accompagnato dal senatore Mangiagalli e dal ministro degli Interni, Luigi Federzoni425. Ad accoglierlo le personalità e gli invitati, che ascoltarono le parole di saluto e ringraziamento che Luigi Mangiagalli rivolse al sovrano. Ricevuto un omaggio floreale da una piccola orfana di guerra, Elisa Befana, il sovrano appose la firma sull’albo dei visitatori. La duchessa Marianna Visconti di Modrone offrì quindi al re, perché lo trasmettesse alla consorte, un cofanetto in ferro battuto ricoperto da una targa in bronzo, opere rispettivamente di Alessandro Mazzucotelli426 e dello scultore Giannino Castiglioni 424 Ivi, p. 7. 425 Luigi Federzoni (1878-1967), laureato in Lettere e in Giurisprudenza, giornalista e autore di romanzi, novelle e saggi letterari, dopo aver contribuito nel 1923 alla fusione del movimento nazionalista con il Partito nazionale fascista, fu ministro del governo Mussolini dal 1923 al 1928, senatore dal 1928, presidente del Senato dal 1929 al 1939. 426 Alessandro Mazzucotelli (1865-1938), celebre artigiano lombardo, noto per le decorazioni in ferro battuto dei maggiori esponenti del Liberty non solo in Lombardia ma anche all’estero, fu richiesto collaboratore dei maggiori architetti
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presenti alla cerimonia - nel quale erano contenute parecchie fotografie dell’Istituto eseguite ancora una volta dal fotografo milanese Arturo Comerio. Il mirabile cofano del cav. Mazzucotelli [...] porta sul coperchio la bellissima targa dello scultore Giannino Castiglioni espressamente modellata a distintivo dell’O.P.A.I. e reca inciso, a torno a torno, un distico di Ovidio “Principiis obsta; sero medicina paratur, cum mala per longas convaluere moras” [Traduzione: “Opponiti sin dal principio; si prepara tardi la medicina quando ormai i mali si sono irrobustiti con lunghi indugi”].
Sul cofanetto era riportata anche una targhetta con incisa una dedica dettata dal senatore Innocenzo Cappa: “Alla Maestà Pietosa di Elena di Savoia i fanciulli redenti dal male, sotto gli auspici del suo Nome”. La duchessa Visconti di Modrone offrì poi al Re il distintivo d’oro delle patronesse dell’Opera perché ne facesse dono alla regina Elena. Il sovrano iniziò quindi la visita all’Istituto, trovando schierati al suo passaggio «i bimbi ricoverati e gli scolaretti di Olgiate, che lo acclamano a lungo, festosamente, con le fresche voci argentine, intonando poi un inno in suo onore. Il re si ferma un istante, accarezza amabilmente qualche piccino e osserva al Sen. Mangiagalli che lo accompagna e gli fornisce spiegazioni». Gli invitati erano raccolti sotto il porticato del nuovo padiglione: la cerimonia dell’inaugurazione avrebbe dovuto svolgersi in una grande tribuna riccamente addobbata di vessilli e di drappi, ma la pioggia fitta costrinse ad abbreviare la cerimonia e a renderla più semplice. Vengono presentate a S. M. le forbici, finissima opera di gioielleria in argento e oro, cesellate e incrostate da lapislazzuli, dono magnifico della Ditta Brenni e Berretta, perché recida il nastro tricolore teso alla porta principale del padiglione. Quando il nastro cade, i presenti applaudono calorosamente, mentre la fanfara intona l’Inno del Piave. E mentre viene celebrata la benedizione da S. E. Cattaneo, Vicario Apostolico dell’Eritrea, il Re mura nello zoccolo di una colonna un’artistica pergamena, opera del prof. Adolfo Merenda, con la data della cerimonia e l’Augusta firma. Il rito, semplice e solenne, è compiuto. La folla, che stipa il breve cortile e s’accalca, malgrado la pioggia, sulla tribuna pavesata in rosso, acclama lungamente427.
Anche in questa occasione, fu il senatore Innocenzo Cappa a suggerire le parole scritte sulla pergamena poi firmata da Vittorio Emanuele III e murata in una colonna: In Olgiate Olona/nel giorno 27 dell’aprile del 1925/inaugurandosi il padiglione Regina Elena/dell’Opera Pia Antitubercolare Infantile. Alla cerimonia presenziava/Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III per concedere alla nuova iniziativa/di amore e di prevenzione l’auspicio del suo nome augusto/nel ventesimo quinto anno del suo Regno
Dopo aver visitato i piani superiori del padiglione appena inaugurato, il Re salì in automobile e ripartì con il suo seguito. «Al passaggio in paese la stessa folla di prima rinnova al Re una calorosa dimostrazione»428. La rivista Humanitas concludeva il resoconto della giornata ringraziando coloro che avevano contribuito al successo dell’iniziativa, in particolar modo la «Presidenza del Consorzio per le Autostrade per le numerose e continue concessioni di transito gratuito429 offerteci in occasione di manifestazioni e di visite ad Olgiate, e [...] l’ing. Pietro Puricelli430 che con signorile ed eletta dell’epoca. Docente all’Umanitaria, era amico di Gabriele D’Annunzio che ospitò più volte nella sua casa in contrada Carosso a Rota d’Imagna, dove fu podestà. 427 Humanitas, n. 13, marzo-aprile 1925, p. 9. 428 Ivi, p. 10. 429 Nel 1925 il pedaggio della tratta Milano-Varese era 9 lire per le moto, 12 lire per veicoli fino a 17 CV fiscali, 17 lire per veicoli tra 17 e 26 CV fiscali, di 20 lire per veicoli oltre 26 CV fiscali e da 40 a 60 lire per gli autobus a secondo della lunghezza. Uno sconto del 20% veniva praticato per il biglietto di andata e ritorno. 430 Piero Puricelli (1883-1951), laureatosi in ingegneria nel 1906, succedette al padre nell’azienda di famiglia diventando
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Giannino Antona Traversi468. Verso le 15 i Principi hanno lasciato la bella dimora Viscontea ed hanno raggiunto Olgiate Olona in automobile [...]. Olgiate Olona ha espresso tutta la propria letizia fra fiori e bandiere. La villa Gonzaga ha preparato i suoi 250 frugoli disposti lungo i giardini, freschi come sonagliere469.
I principi di Piemonte arrivarono a Olgiate Olona intorno alle ore 16; ad attenderli tanta gente comune, schierata lungo la strada che portava all’Istituto, oltre a rappresentanti delle associazioni locale, ai bambini delle scuole e dell’asilo olgiatese, a indicare sicuramente la curiosità di poter vedere da vicino personaggi di spicco, ma anche a simboleggiare un sentimento di partecipazione corale verso questa struttura che dava prestigio al paese. La gente di Olgiate Olona [...] è orgogliosa e felice di avere entro le sue mura un’aristocratica villa che riguarda gli splendori antichi anche dopo la sua trasformazione in grandioso cinguettante nido di teneri bimbi fiorenti. La popolazione, [...] che segue le vicende del Preventorio con fraterno affetto, ha dato più volte vibranti prove di esultanza intorno all’istituto [che è] la più fulgida gemma di questo borgo [e] che dall’alba al tramonto, dalle bianche camerate e dai prati solati, diffonde un lirico inno alla vita, inno che si compone di garrule voci e di risate argentine, di lieti gridi e di canti melodici.
All’ingresso del Preventorio, Umberto e Maria José di Savoia vennero ricevuti dal senatore Cavazzoni, dal prefetto di Varese, dal podestà di Olgiate Olona Mario Guidi470 e da Clotilde Cavalli. I principi erano accompagnati dalla duchessa Marianna Visconti di Modrone, dal generale Ambrogio Clerici (primo aiutante di campo del principe Umberto), dai marchesi Annibale a Marianna Brivio471, rispettivamente gentiluomo e dama di Corte della principessa Maria Josè, dal comandante Giuseppe Cordero di Montezemolo, ufficiale d’ordinanza del principe, e infine dal podestà di Milano, Marcello Visconti di Modrone. Maria Josè e Umberto si fermarono nei pressi del cancello di ingresso, salutati da tre squilli di tromba e dall’inno reale, al termine del quale i piccoli opaini esplosero in grida di saluto. «Così appena giunti i Principi vedono, si può dire, l’opera nella sua realtà viva e commovente, in quei fiori che, tolti ancora tenerissimi dalla gelida rugiada del morbo che li avrebbe avvelenati, tornano alla vita fra le carezze e le cure di altre mani, di altri cuori non materni ma altrettanto affettuosi»472. Due mazzi di fiori vennero offerti ai principi che poi percorsero il viale San Luigi (cioè il viale che dal cancello di ingresso portava alla zona dove ora sorge la chiesa Santi Innocenti) lungo il quale erano state schierate le scolaresche, ricevendo l’omaggio delle autorità. A seguire la comitiva si spostò nell’androne d’ingresso, dove la principessa tagliò il nastro inaugurale, mentre il cappellano di corte, monsignor Francesco Soldini, benediceva il nuovo padiglione progettato dall’ingegner Silvio Polenghi473. cumulava in sé tutte le funzioni precedentemente attribuite al sindaco, alla giunta municipale e al consiglio comunale, attuando così, nell’amministrazione del più importante fra gli enti locali territoriali, il principio di concentrazione dell’autorità cui era ispirata la concezione fascista dello Stato. Poteva essere coadiuvato da uno o due vice-podestà e da una consulta. L’istituto fu abolito con il d.l. 111 del 1944, che riportò il sindaco elettivo a capo dell’amministrazione comunale. 468 Giannino Antona Traversi Grismondi (1860-1939), laureato in Giurisprudenza, compose commedie per canzonare l’aristocrazia. Nel 1895 fondò il giornale mondano Capitan cortese. Nel 1929 fu nominato senatore del Regno. Dettò quasi tutte le epigrafi in versi e moltissime in prosa per il Sacrario di Redipuglia e per altri cimiteri di guerra. 469 Corriere della Sera, 11 settembre 1932. 470 Mario Ernesto Guidi fu podestà di Olgiate Olona dal 1928 al 1937. Nacque il 1° ottobre 1896 e il 30 giugno 1932 sposò Angelina Vampa. Il parroco don Ferdinando Zappa ricordò la morte di Guidi sul Bollettino parrocchiale di Olgiate Olona a gennaio 1942: «Improvvisamente è venuto a mancare il Cav. Mario Guidi mentre era ancora nel fiore della vita. Olgiate tutta in occasione dei suoi funerali dimostrò di quanta stima e riconoscenza circondasse questo suo autentico figlio. Fu Segretario politico, Commissario prefettizio e poi per parecchi anni Podestà del nostro Comune. Sensibile ai dolori altrui, fu largo di soccorsi ai poveri, pronto ad aiutare quanti fossero ricorsi a Lui per bisogno. Da Lui furono curati e diretti i lavori di ampliamento della nostra bella Chiesa parrocchiale». 471 Si tratta di Marianna Giulia Guendalina Trivulzio (1895-1979) e del marito Annibale Brivio Sforza (1892-1988), dodicesimo marchese di Santa Maria in Prato e patrizio milanese. 472 La Stampa, 11 settembre 1932. 473 Così si ricordava nel numero 4 di Humanitas, settembre-dicembre 1932: «Un grande amico nostro ci ha lasciati: l’Ing. Silvio Polenghi, cui l’Opera deve lo sventramento del padiglione centrale dell’Istituto di Olgiate, la costruzione della sala Bertini e quello del nuovo Padiglione di accettazione Principi di Piemonte. [...] Era un mite: uno di quelli che amano
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Il nuovo padiglione, sorto rapidamente, servirà quale primo ricovero dei bimbi. Infatti esso colmerà una lacuna nel campo sanitario. Il reparto costituirà l’anticamera dei nuovi piccoli ospiti prima dell’ammissione nella grande famiglia. Isolato completamente da tutti gli altri edifici, nelle sue sale luminose accoglierà per venti giorni i bimbi che l’opera di prevenzione di tante nobili patronesse strapperà dai luoghi dannosi alla loro salute, e si eviterà così il pericolo di possibili diffusioni di infezioni474.
Dopo una rapida visita al preventorio, i principi assistettero a un saggio ginnico di alcuni bimbi ricoverati all’Opai e poi si spostarono nel parco, per procedere a un’altra inaugurazione: quella del monumento-fontana dedicato al senatore Mangiagalli, opera e dono dello scultore Giannino Castiglioni «che ha fuso di bronzo e d’anima questo plastico prodigio»475. Con l’inaugurazione del nuovo edificio, le attività del preventorio olgiatese risultavano suddivise in quattro padiglioni contornati da un parco di 24.000 metri quadrati, con campo da gioco, palestra all’aperto, aiuole di sabbia per l’elioterapia, docce per idroterapia, refettorio e scuole all’aperto. Completava il tutto un ampio podere che serviva alle esercitazioni di agraria e giardinaggio, nonché per l’allevamento di animali da cortile. Il preventorio contiene 400 letti ed è suddiviso in 4 sezioni: nido per i bambini dalla nascita ai tre anni e mezzo, asilo dai 4 ai 6 anni, scuole elementari dai sette ai 12, scuole di avviamento al lavoro dai 13 ai 16. Queste sezioni sono sistemate in quattro padiglioni che occupano una superficie di circa 8.000 metri quadrati. Nei padiglioni Preda, Mangiagalli, Antonio e Camilla Bernocchi [corrispondenti alla ex Villa dei principi Gonzaga, Nda] trovasi il nido, l’Asilo, l’impianto radiologico, il gabinetto antropometrico, la Biblioteca medica e scolastica, la cucina, il refettorio, la lavanderia, la dispensa, il parlatorio, il reparto bagni, docce e piscina, la palestra, il cinema teatro, il Museo d’agraria, l’Ufficio di Direzione ed il Reparto Isolamento. Nel padiglione Regina Elena [oggi occupato dalla Direzione Didattica e dalla scuola primaria Beato Contardo Ferrini, Nda], adibito ai maschi dai 7 ai 16 anni, si trovano le Scuole di avviamento, il laboratorio di falegnameria, di legatoria e di calzoleria. I laboratori e le aule scolastiche erano al piano terra, mentre al primo piano si trovavano i dormitori. Nel padiglione Principi di Piemonte [attuale sede di alcuni uffici comunali, Nda], vi è il Reparto Accettazione, l’Infermeria, l’Ambulatorio, il Gabinetto odontoiatrico, oculistico, l’Osservatorio meteorologico e chimico e l’impianto raggi ultravioletti e infrarossi. Nel padiglione Edda Mussolini [che oggi ospita la biblioteca comunale e alcune aule della Scuola Ferrini, Nda] vi è la Scuola dell’Asilo, la Scuola Elementare e di Canto, i laboratori di economia domestica, sartoria, rammendo476.
Al piano terra, nei locali oggi sede della biblioteca comunale, si trovavano i laboratori, mentre il restante spazio era occupato da aule. I dormitori erano ubicati al primo piano. IL MONUMENTO FONTANA DEDICATO A LUIGI MANGIAGALLI La visita dei principi aveva offerto al comitato promotore dell’Opai la possibilità di raccogliere oblazioni in memoria del compianto presidente Luigi Mangiagalli, di cui si voleva eternare la memoria edificando nel meraviglioso parco del preventorio un monumento a lui dedicato. La duchessa Marianna Visconti di Modrone, presidente del Comitato di propaganda, inviò a tal fine numerose richieste, con la promessa che le schede coi nomi dei benefattori sarebbero state trasmesse ai principi il giorno dell’inaugurazione, dopo essere state raccolte in un album. Anche il podestà di Olgiate Olona, Mario Guidi, raccolse con tali schede la somma di lire 730, cui si aggiunse una sottoscrizione di lire 500 fatta a nome del Comune, con questa motivazione: «Tanto Olgiate offre con riverente pensiero alla memoria del Grande Benefattore ed Illustre Scienziato Luigi Mangiagalli, nella fausta occasione dell’inaugurazione del suo monumento operare in raccoglimento [...]. È sepolto a Varenna». 474 Il Popolo d’Italia, 11 settembre 1932. 475 Humanitas, n. 40, settembre-dicembre 1932, p. 10. 476 Humanitas, n. 52, settembre 1937, p. 9-10.
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modo con cui l’arcivescovo rifiutò il rinfresco a base di panettone e caffelatte che era stato preparato per gli ospiti al termine della cerimonia, chiedendo che tutte le vettovaglie gli fossero consegnate perché potesse distribuirle ai poveri di Milano: tutti gli invitati, che già pregustavano quel dolce intermezzo, rimasero a bocca asciutta! Il cardinal Schuster fissò i Decreti di quella Visita nella lettera autografa (il cui originale è dal 2010 in Archivio della Prepositurale Santi Stefano e Lorenzo martiri di Olgiate Olona) che recita: Arcivescovado di Milano. Milano 21 dic. [dicembre] 1936 M. Rev. Sac. Don Lorenzo Cazzani Parroco di Olg. Ol. [Olgiate Olona] Sac. Prof. Guido Mapelli Cappellano Prev. Antit. [Preventorio antitubercolare] di Olg. Ol. [Olgiate Olona]. Nella S. Visita Past. [Pastorale] ivi compiuta nei giorni 20-21 dic. [dicembre] 36 [1936] in occasione della consacr. [consacrazione] della nuova Chiesa, abbiamo deciso quanto segue. 1) L’Istituto, pur avendo uno speciale Cappellano, fa parte della Parrocchia di Olgiate, a tutti gli effetti canonici. 2) Si apponga il conopeo sul tabernacolo; si incida la lapide che attesti la consacraz. [consacrazione]. 3) Nel compimento della Chiesa si attenda che vengano osservate le leggi liturgiche. 4) Ogni anno, a norma delle rubriche, si celebrino le due feste della Consacr. [consacrazione] della Ch. [Chiesa] e dei titolari, i SS. Innocenti. Perché la prima festa non ricorra entro la sett. de Exceptato [la settimana de Exceptato, “dell’accolto”, nel rito ambrosiano sono le ferie prenatalizie dal 17 al 24 dicembre, Nda], la si stabilisce in perpetuo il giorno 15 dicembre. La festa poi dei SS. Innocenti viene celebrata con quel medesimo rito che si descrive nel calendario per la Metropolitana [il Duomo di Milano, Nda]. 5) Si raccomanda al Rev.mo Cappellano l’istruz. [istruzione] catechistica e l’opera sua perché i SS. Sacramenti vengano frequentati. Si ricordi il Cappellano che in un luogo così delicato e difficile, egli deve essere come il sale. Potrà far molto, se avrà molta prudenza e tatto. Ildefonso Card. Arciv. [cardinale arcivescovo].
L’altare appariva arricchito da una pala opera della citata pittrice Lucia Bassani Penati, in cui erano ritratti i bimbi dell’Opai «in estatica adorazione di Gesù Bambino»491 ora non più presente all’interno della chiesa, ma la cui esistenza è confermata da una foto d’epoca. Durante il suo apostolato, il cardinale Schuster giunse diverse volte in visita pastorale a Olgiate Olona492, l’ultima delle quali il 20 giugno 1954 per amministrare la Cresima. In quella circostanza si recò al preventorio per visitare la chiesa Santi Innocenti, da lui inaugurata quasi vent’anni prima. 1936-1939: LA SALA ALBA E LE PITTURE DI ANTONIO RUBINO Il 20 dicembre 1936, in occasione della consacrazione della chiesa del preventorio, il cardinale Schuster benedisse una lapide in memoria di Alba Brusasca Cavalli, figlia di Carlo e Clotilde, deceduta il 17 ottobre 1934 per le complicanze seguite al parto della figlia secondogenita Clara. Proprio sotto la lastra di marmo, nei mesi successivi, il pittore Antonio Rubino493 raffigurò una cappelletta dedicata a una Madonnina con Bambino, alla quale due bimbe 491 Giornale d’Italia, 21 dicembre 1936. 492 Il cardinale Schuster venne in visita Pastorale a Olgiate Olona cinque volte: 5 e 6 ottobre 1933, 24 e 25 ottobre 1939, 22 e 23 ottobre 1944, 18 e 19 settembre 1949, 20 giugno 1954, mentre il 17 e 18 aprile 1936 consacrò la prepositurale di Olgiate Olona. Fu all’Opai per amministrare la Cresima il 4 dicembre 1929, il 5 ottobre 1933, il 24 ottobre 1939, il 22 ottobre 1944, il 18 settembre 1949 e il 22 maggio 1953. 493 Antonio Rubino (1880-1964), laureatosi in Giurisprudenza, nel 1902 iniziò a dedicarsi al disegno e nel 1907 cominciò la collaborazione col Giornalino della Domenica. Alla fine dell’anno successivo fondò con Renato Simoni e Silvio Spaventa il Corriere dei Piccoli, supplemento illustrato del Corriere della Sera, per il quale creò numerosi personaggi: da Quadratino a Viperetta, da Pino e Pina a Lola e Lalla. Durante la Prima guerra mondiale il sottotenente Antonio Rubino collaborò come redattore e illustratore alla rivista settimanale illustrata La Tradotta, giornale della Terza Armata, di cui era direttore l’amico Renato Simoni, che fu anche uno dei più grandi sostenitori dell’Opai e membro del comitato di propaganda. Probabilmente fu proprio attraverso il Simoni che Rubino conobbe l’Opera di prevenzione antitubercolare cui offrì sovente il suo contributo. Nel 1927 Rubino passò al Balilla, ma dopo breve tempo dovette abbandonarlo per le censure politiche mosse alle sue storielle maliziose. Due anni dopo fondò e diresse Mondo Bambino per i grandi magazzini La Rinascente di Milano. Nel 1931 iniziò una lunga collaborazione con la Mondadori, assumendo la direzione di Topolino e di Paperino dal 1935 al 1940.
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dai capelli corvini portano in dono alcuni fiori di campo: è la rappresentazione di Clotilde e Clara, le due figlie di Alba e dell’avvocato Giuseppe Brusasca494, che omaggiano la madre con un piccolo pensiero floreale. Un chiaro tributo alla famiglia Cavalli, a cui Rubino fu legato da profondi rapporti di amicizia che lo portarono spesso a collaborare con il Comitato di propaganda dell’Opera nell’organizzazione di balli, spettacoli, trattenimenti di varia natura, così come fece l’altro fondatore del Corriere dei Piccoli, Renato Simoni, che con lui aveva combattuto durante la Prima guerra mondiale. Ho definito Rubino pittore: ma fu molto di più. Fondò e diresse periodici, diede vita a “commenti visivi” per fiabe, commedie e musiche, fu disegnatore, grafico, poeta, regista e compositore, dimostrandosi sempre attento esploratore del mondo infantile. Lui stesso diceva di sé: «Tutti insistono nel dire che sono un pittore, un disegnatore, mentre, in coscienza, devo riconoscere che non sono né l’uno né l’altro: in realtà io non sono che un semplice scrittore. E mi spiego. Invece di raccontare ciò che vedo, che sento e che penso, ricorrendo come tutti al solito mezzo della scrittura ... io faccio come gli antichi egizi ... Quelli che voi chiamate disegni, non sono altro che ideogrammi, ossia geroglifici molto perfezionati secondo il mio stile e con più il colore ... Questa mia scrittura insomma, l’ho inventata apposta per far leggere le mie cose agli analfabeti, e dicendo analfabeti intendo soprattutto alludere alle creature più semplici pure, ai bambini insomma, ancora non vanno a scuola e che perciò non sanno ancora leggere». Chi, quindi, meglio di lui, avrebbe potuto rallegrare le pareti del locale che vedeva riuniti, nei momenti di svago, i piccoli opaini? La lapide benedetta dal cardinale Schuster era infatti posizionata in una delle sale al piano terra dell’ex Villa Gonzaga che veniva utilizzata per lo più come refettorio e spazio di ricreazione per i bambini della scuola materna. Il “Mago Rubino” nel settembre 1939 terminò il ciclo di tempere nella Sala Alba, che così veniva descritta. Una festa di colori, una sinfonia di umoristici disegni che il Mago Rubino ha pennellato su tutte le pareti, un senso confortante di nitore, l’illusione fisica d’un profumo acre di giovinezza che ti riempie le nari e ti sale al cervello, stordendolo, inebriandolo di gioia serena, facendoti desiderare d’esser serrato fra cento pupi dal visetto interrogativo, che ti si aggrappino, ti molestino con le loro manine irrequiete, ti costringano a giocare con loro, a ridivenire per loro giovane, assurdamente giovane: ecco la massa di sensazioni che subito t’afferra varcando la soglia della Sala Alba. Ma poi il tuo occhio è attratto da un più grande disegno spiccante nel centro d’una parete: una Madonnina cui due bimbe recano poveri fiori di campo. Un quadro religioso e gioioso dietro al quale sta muta una tragedia che sconvolge e che per un attimo ti rende imprecante, cattivo. Ma poi la figura d’una giovane donna appare alla tua mente: è la figura di Alba, è la figura della bontà senza confini, che sembra voler mormorare con rassegnata dolcezza la sentenza di Plauto: «Colui che Dio ama, muore giovine»495. E il velo plumbeo ch’era calato su tutta quell’orgia di colori si risolleva a poco a poco per virtù di quella figura di donna, per virtù tua, Alba, che in vita hai saputo farti amare amando, che in vita non hai ricevuto che segni di bontà dispensando gesti di bontà. Tu lasciasti scritto che consideravi la vita come una grazia sublime, perché ti concedeva di fare del bene. Questa tua meditazione è divenuta per noi tutti un comandamento. Vivere per dispensare conforto a chi n’è bisognoso, onorando così la tua memoria di giovane496. 494 Giuseppe Brusasca (1900-1994), laureatosi in Giurisprudenza nel 1923 e in Scienze politiche nel 1926, durante gli anni universitari si era iscritto alla Federazione universitaria cattolica italiana e alla Gioventù di azione cattolica. Negli stessi anni si impegnò nel Partito popolare italiano. Abilitatosi all’avvocatura, nel 1926 si trasferì a Milano dove frequentò gli ambienti dell’antifascismo cattolico. Nel 1932 si sposò con Alba Cavalli, dalla quale ebbe due figlie ma restò presto vedovo (si risposerà in seconde nozze con Anna Lemma nel 1966). Dopo l’8 settembre s’impegnò nella Resistenza. Con l’aiuto di sacerdoti amici, salvò in prima persona tre famiglie ebree (i Foa di Casale Monferrato, i Sacerdote di Milano, e i Donati di Modena), aiutandole a nascondersi e quindi a espatriare in Svizzera. Per questo l’8 luglio 1969 venne riconosciuto come giusto tra le nazioni dall’Istituto Yad Vashem. Membro del consiglio nazionale della Democrazia Cristiana dal 1945 al 1947, nel 1946 venne eletto alla Costituente. Ricoprì diversi incarichi ministeriali nei vari governi diretti da Alcide De Gasperi, alla cui figura fu sempre fortemente legato, tanto che dopo la sua scomparsa si sentì estraneo al nuovo clima instauratosi nel partito. Tornò al governo solo nel 1955 come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con la delega per i servizi dello Spettacolo nel primo governo di Antonio Segni. Nel 1983 fondò il Movimento anziani. 495 È la traduzione del latino “Quem di diligunt adulescens moritur” di Plauto, Bacchides, a. IV. 496 AA.VV., 25 anni di vita dell’Opera di prevenzione antitubercolare infantile, op. cit., p. 30.
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Nel periodo in cui Rubino realizzò i suoi coloratissimi disegni, il locale misurava 18,6 metri di lunghezza per 6 di larghezza. Era dotato di sei finestre lungo il lato sud, due porte sul lato nord e due armadi a muro sui lati minori. Il salone fu poi diviso utilizzando due tavolati per ricavarne tre piccole aule scolastiche da 6x6 metri, usate fino agli anni Ottanta del secolo scorso prima dall’Opai, poi dall’Istituto comprensivo “Beato Contardo Ferrini”. Questi interventi determinarono un’inevitabile rottura della continuità pittorica, impedendone la visione d’insieme, e causando al contempo la perdita definitiva di alcune parti del dipinto. Battista Arioli, così descrive il ciclo di tempere in un volume monografico dedicato a queste opere: L’opera è strutturata come una grande striscia di colore, alta un metro, che corre per tutto il perimetro del salone [...] ad un metro e mezzo dal piano del pavimento. Quattro grandi scene, che per comodità definiremo corali, occupano le pareti minori ad Est e ad Ovest e gli estremi della grande parete Nord, al centro della quale campeggia, completamente avulsa dal contesto dell’opera, la mappa dell’impero fascista del 1939 [e del Mare Nostrum circondati da tre Balilla e tre Giovani italiane]. Tale composizione spicca anacronisticamente per la scialba monocromia e per la rapidità con la quale l’argomento viene esaurito, in netto contrasto con la spumeggiante poetica delle altre scene, dove ricchezza cromatica e ricercatezza grafica danno un ritmo elevato, quasi frenetico, allo svilupparsi del discorso poetico [...] Sopra l’architrave di ogni armadio e delle porte, esclusa quella centrale, aperta nel dopoguerra, vi sono quattro figure singole, quasi a rompere il ritmo della striscia, così come singole scenette sono raffigurate nell’intercalare delle finestre della parete Sud. I limiti architettonici del locale - porte, finestre e armadi - e gli obblighi politici - l’apologia dell’impero - sicuramente hanno condizionato le scelte di Rubino nella progettazione dell’opera, tanto da farlo optare, a nostro giudizio, per una trama narrativa molto simile a quella dei suoi fumetti, o meglio, delle sue strisce, in quanto mancanti della caratteristica nuvoletta. Ogni scena è una striscia del Comics, una vignetta a sé stante che esaurisce l’argomento espresso dall’autore. Così facendo, il vuoto delle porte e delle finestre non è più un elemento di disturbo, bensì solo un voltar pagina a questo grande ed originale album illustrato497.
Fantasia, ironia, poesia contraddistinguono dunque i disegni della Sala Alba, in cui la genialità di Rubino riuscì a coniugare gli obblighi di apologia del regime, con la volontà di divertire i bimbi dell’Opai perché, come ebbe a dire lui stesso, «quelli che voi chiamate disegni, non sono altro che ideogrammi, ossia geroglifici molto perfezionati secondo il mio stile e con più il colore... Questa mia scrittura insomma, l’ho inventata apposta per fare leggere le mie cose agli analfabeti, e dicendo analfabeti intendo soprattutto alludere alle creature più semplici e pure, ai bambini insomma, che ancora non vanno a scuola e che perciò non sanno ancora leggere». 1915-1940: BILANCIO DEI PRIMI VENTICINQUE ANNI DI ATTIVITÀ Il 21 novembre 1940 fu pubblicato un bilancio dell’attività dell’Opai, dal 1915 allorché era in funzione solo l’Asilo Gigino di Biassono, al 1940 con l’apertura dei nuovi padiglioni. Ecco, in sintesi, i progressi. Da una villa di dieci locali e 1000 mq. di superficie nelle vicinanze del Parco di Monza, si era passati a una struttura composta da 173 locali e una superficie complessiva di 60mila metri quadrati, così suddivisi: 16.000 per fabbricati, 17.500 il parco, 5.000 il campo sportivo e 21.500 il podere. In luogo di una cappella c’era una chiesa in grado di accogliere qualche centinaio di persone. I posti letto erano passati da venti a quattrocentocinquanta. Il personale per accudire e istruire i bambini, inizialmente composto da undici tra suore, inservienti e insegnanti, poteva nel 1940 contare su ventuno suore, quarantatre inservienti, quattordici insegnanti. La struttura di Olgiate Olona era dotata di una piscina all’aperto di metri 10x30, quattro ambulatori medici, una sala per sedute collettive di nebulizzazioni salsoiodiche, sei postazioni per i raggi ultravioletti, un gabinetto radiologico, 497 ARIOLI Battista, Rubino: cinquanta metri di fantasia, Busto Arsizio, GMC Editore, 2003, p. 43.
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