Behind the glass eye Š
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1. Who’s the artist?
Behind the glass eye Con uno spunto tratto da Behind the white curtain, il libro d’artista in forma di archivio digitale creato dal lituano Darius Misksys, Serena Arato e Martina Cenna propongono un progetto concettuale che vede confrontarsi le loro poetiche, rimanendo però arginato all’ambito dell’idea. L’opera è infatti tautologica nell’essere programma di se stessa, indice, schema, proposta virtuale senza necessità di realizzazione: è in questo aspetto, anche, che emerge la sua contemporaneità. La struttura si presenta come un tradizionale catalogo con immagini, testimonianze, documentazioni, ed è composta da sei capitoli: il cui primo è un’intervista introduttiva, nella quale le due pittrici fanno emergere i punti d’incontro e di lontananza tra la loro tecnica e il loro punto di vista sul mondo dell’arte soffermandosi sul ruolo dell’artista rispetto a quello del fruitore. Clara Rosenberg: “Se siamo pronte allora, partirei dall’aspetto tecnico e tematico delle vostre opere. Serena, a chi ti rifai nei tuoi dipinti con soggetti architettonici nella natura?” Serena Arato: “ Sono molto attratta dal lavoro di Peter Doig: le sue pennellate sono pensate e sapienti, l’elemento estremamente curato; lui propone l’interpretazione del mondo reale che lo circonda, filtrato dal un punto di vista molto personale.” CR: “Dunque, chi è il protagonista dei vostri quadri?” SA: “La composizione: che è data dall’equilibrio tra l’uomo, la sua produzione e la natura, cioè il creato. Si tratta di un rapporto, uno scambio continuo e latente.” CR: “Martina, rispetto a questo, in cosa i tuoi lavori sono chiamati in causa? “ Martina Cenna: “Beh, io mi occupo di forma, di strutture, di rapporti tra spazi e linee. Non importa se il soggetto è animato o inanimato: si tratta comunque di architetture.” SA “Infatti io prima dipingevo ritratti. Poi ho integrato l’uomo nella natura, ma anche i volti che indagavo sono paesaggi.” CR: “E come mai hai iniziato la tua ricerca studiando la figura umana?”
SA: “Nella mia arte c’è sempre una ricerca spirituale, religiosa. Dunque ho iniziato con una ricerca sull’essere umano che rappresenta la massima incarnazione di Dio.” CR: “E in che modo riesci a raccontare la spiritualità tramite il ritratto?” SA: “Beh, ricorro alla sospensione del soggetto nel quadro ponendolo in un contesto non ordinario, molto pulito e semplice; il rapporto tra l’uomo e la natura poi, misterioso e spirituale, è dato anche dalla superficie che seleziono, per esempio il legno grezzo, come una sorta di medium tra creatore e creato.” CR: “Potete fare un parallelismo tra le vostre modalità operative?” MC: “Sì. La mia tecnica somiglia un po’ a quella dell’incisione: io agisco in negativo, sottraendo e scavando. Prendo spunto dalla prospettiva e dal prospetto architettonico sfocandolo e sfaldandolo per poi trasformarlo in qualcos’altro. Creo dei vuoti, che devono poi essere nuovamente riempiti, proprio come nella grafica, dove si rivernicia per cancellare quello che diventerà il segno. Invece, credo che in Serena si vedano coincidere il punto d’inizio e il punto d’arrivo: non c’è una fase di sottrazione e dove io cerco l’incompleto, lei trova il completo.” SA: “E’ vero, nei miei dipinti i contorni si delimitano rafforzandosi e l’immagine si fa sempre più netta e materica. L’opera è finita quando appare totalizzata, e non è diversa da come l’avevo progettata. In Martina, invece è il contrario: lei toglie per procedere, cancella per ricostruire.” MC: “Sì, sto cercando qualcosa. Questa è una fase, ovviamente. Faccio degli studi del soggetto e del segno; non so dove questo mi porterà.” CR: “Mi sembra di poter affermare che un solido terreno comune tra le vostre ricerche sia quello dell’architettura. La casa e l’impalcatura edile paragonata alle rughe di espressione di un vecchio; in entrambi i casi parliamo di stabilità, di storia, di testimonianza.” MC: “Esatto. Ma, dove io mi concentro sul particolare e lo destrutturo, Serena si concentra sull’universale e lo cinge, lo contempla.” SA: “Legata alla questione dell’osservare, in questo progetto è molto importante per noi quella dello spiare. Io spio grandi spazi per coglierli nella loro interezza, mentre Martina è come se spiasse da una serratura.”
MC: “Sì, e qui sorge il tema della privacy nella società contemporanea (parliamo di Grande Fratello, di Social Network, di satelliti..). Anche il titolo di questo archivio virtuale prende spunto da questo: dietro all’occhio di vetro: l’occhio osserva, spia, mentre il vetro separa ma non nasconde.” CR: “E quindi anche voi rubate la privacy ai vostri soggetti?” SA: “Io mi interesso alla questione dei satelliti, sempre in luce religiosa: Dio osserva e spia il mondo dall’alto, mentre l’uomo cerca di avvicinarsi a lui mandando telecamere in orbita. Ed ecco emergere il concetto di privacy…!” CR: “I satelliti sono come una torre di babele del terzo millennio!” MC: “Già..! Io invece osservo con discrezione. Guardo dentro le cose, colgo i particolari, e nessuno se ne accorge. L’inquadratura è ripresa da lontano e la distanza è data da quella barriera invisibile che separa tutti i soggetti tra loro. L’esigenza è quella di indagare; e forse anche di buttare giù questo muro..” CR: “Allora, forse, i tuoi quadri si completeranno e i vuoti saranno pieni. Niente più offuscato.” MC: “Chissà.. niente più offuscato!” CR: “Ma più precisamente, come crei questi offuscamenti?” MC: “Io lavoro con la mina sulla carta, poi cancello con la gomma, passando successivamente le matite clorate o i pastelli; utilizzo molto il blu, che dà un tono nostalgico e di spiritualità, di incognita e allo stesso tempo placa la frenesia della ricerca. Ma la cosa più importante del mi lavoro è il punto di partenza: il rapporto con il mezzo fotografico, lo sfocato dell’obiettivo, il filtro fisico -come un tulle, una tenda, una superficie curva di un vetro: questo come esigenza di distacco e rifugio da una parte e di estroversione dall’altra”. CR: “Serena, tu che materiali usi?” SA: “Tradizionalmente olio su tela.” CR: “E come ti relazioni rispetto alla storia dell’arte, soprattutto alle opere concettuali?”
SA: “Io credo che la pittura possieda sempre una propria forza espressiva, che è custodita in se stessa. Per cui non forzo il mio metodo per rispondere obbligatoriamente ai richiami dell’arte contemporanea: il rapporto con la storia dell’arte è implicito.” MC: “Io invece sono molto interessata alla contemporaneità, sia in ambito artistico, sia in ambito sociale; stiamo andando verso un mondo digitalizzato: tutto deve essere rapido e immediato, non può annoiare. La trovo una sfida interessante: l’opera nell’era della tecnologia e del social network deve essere come un insieme di pixel, quasi come un tasto da schiacciare...non si ha tempo per approfondire quello che sta dietro.” CR: “Molto attuale. Sono due punti di vista opposti: uno strettamente legato alle contingenze, l’altro, per così dire, a-storico, senza tempo. Ma quale messaggio volete che il pubblico scorga nei vostri lavori?” SA: “Vorrei trasmettere l’equilibrio e la positività che ho acquisito tramite un’indagine personale e che mi ha permesso di sviluppare una visione del mondo secondo la tradizione cristiana: assume un ruolo cruciale nella mia ricerca, infatti, la questione della trascendenza.” MC: “Io voglio comunicare la sintesi di questa epoca. Costruire una struttura essenziale trasformando il particolare barocco nell’elemento più semplice possibile; voglio trovare un’unità di misura per il superamento del negativo.” CR: “Mentre Serena contempla il positivo.” MC: “Già.” CR: “Concludendo, che cosa può emergere, artisticamente parlando, da questa collaborazione?” SA: “Io sono stata molto influenzata dal lavoro di Martina. Ho assunto un aspetto più grafico, sia in riferimento alle architetture che sto affrontando, sia alla pennellata, che sempre di più si avvicina a una sorta di scrittura libera…dunque il confronto è sicuramente molto costruttivo.” MC: “Penso la stessa cosa. I nostri lavori possono essere letti nella loro complementarietà: non abbiamo che da imparare a vicenda, come a riempire delle caselle vuote. Io, da parte mia mi sono messa molto in discussione e da Serena ho rubato un po’ di colore e di stabilità dell’immagine.”
CR: “Camminate parallele per questa strada che avete intrapreso: credo che il percorso sia solo agli inizi e che le scoperte saranno tante e positive. Adesso chiudiamo ragazze, grazie di tutto!” SA e MC: “Grazie a te!”
Clara Rosenberg
Martina Cenna
Serena Arato Brainstorming di idee, Riflessioni sulla poetica.
2. Artisti influenti nello sviluppo della nostra poetica. Intervista a JULIE MEHRETU Nata in Etiopia nel 1970, la prima figlia di un professore etiope e di un’insegnante americana. Mehretu si è guadagnata un Master in Belle Arti nel 1997. E’ sempre stata interessata all’arte e a dipingere sovrapponendo diversi strati di colore. “I was interested in how the mark-making really breaks down the fortifications, a house of cards effect.” J.M. Martina Cenna: Parlaci dei tuoi ‘Perfect’ Pictures. Julie Mehretu: Chiamo questi miei lavori anche con il nome di Ghost images (immagini fantasma). I miei lavori riflettono le complessità di un’esistenza globalizzata. Vedo la perfezione come una completezza. Voglio includere textures, le più varie architetture, piazze di città, aeroporti, autostrade, metropolitane, schermi di computer colmi di informazioni e dati, mappe, schemi, comete, stadi, anfiteatri, esplosioni, implosioni, graffiti, fumo, fotografie di scontri e rivolte, colonne, facciate di palazzi, prospettive, disegni di costruzione.. C’è una dinamica dialettica nei dipinti: ascesa/discesa, distruzione/rigenerazione.. La realtà e la storia di oggi sono sovrastate, ultra stimolate e incapaci di mantenere salde le nostre vite. Nei mie lavori traggo spunto dal futurismo e dal cubismo. Il disegno ha molta più forza del dipinto: è attivo; ‘costruisce’; ‘si comporta’; cresce. I dipinti e i disegni entrambi suscitano insieme passività e turbamento nello spettatore, che si trova impotente di fronte a questa rappresentazione. M.C.: Come inizi un tuo dipinto? J.M.: Solitamente inizio con un certo tipo di disegno astratto con strutture geometriche in modo tale che ci sia un’evoluzione e un’indagine nel mio lavoro. Raramente inizio con uno sfondo completamente bianco quindi solitamente c’è una relazione attraverso diversi tipi di disegni che vengono poi tradotti in un momento astratto, punto di partenza per un dipinto. Utilizzo diversi materiali: carta, tela, matita, inchiostro, penne, colore materico. Arrivo a produrre dipinti e disegni in larga scala utilizzando la tecnica delle stratificazioni. M.C.: Come si evolve il tuo lavoro?
J.M.: Colleziono informazioni sull’architettura, immagini e cerco ciò che mi interessa per intuire un disegno. Iniziando col disegno creo una forma astratto-geometrica. A volte decido se compiere delle cancellature o aggiungere informazioni per portare avanti il lavoro e approfondirlo. Si evolve con strati e semplificazioni. Alle volte ci impiego molto tempo a trovare una soluzione per portar avanti il lavoro. Penso al mio costruire in modo astratto come una sorta di grammatica visiva, un significante, o linguaggio di personaggi che hanno un’identità e socializzano. I personaggi nella mia mappa mentale sono posizionati, hanno da raccontare un qualcosa, sono evoluti e hanno costruito popolazioni di altri individui. Io ho immaginato, schematizzato, analizzato e mappato le loro esperienze e sviluppato le loro città, i loro quartieri, i loro conflitti e le loro guerre. I dipinti delineano un non luogo intangibile: uno spazio bianco, una mappa astratta dello spazio. A mano a mano che ho portato avanti il lavoro ho avuto bisogno di contestualizzare i segni e i personaggi. Attraverso la combinazione di molti tipi di piani architettonici e disegni ho creato una visuale metaforica, tettonica e strutturale della storia. Ho voluto trasportare il disegno nel tempo e nello spazio. M.C.: Quando pensi che un lavoro possa essere completato? J.M.: Alle volte percepisco che il lavoro potrà risolversi in un mese o in pochi anni. Certe volte l’idea è semplice e quando comincio a lavorare sull’immagine sembra divenirmi chiara quella che sarà la soluzione. Per esempio per il disegno architettonico in Berliner Platz ho portato avanti un lavoro su un dipinto che è durato tra i dodici e i quattordici mesi; ho sviluppato un’idea specifica sul lavoro. Passo molto tempo a guardare e a cercar di lavorare con l’intuizione e non tanto intellettualmente. Lavoro su più disegni allo stesso momento. A Berlino vivi, entri contatto e lavori su quello che rimane della Berlino storica; lavoro sull’aspetto delle cancellature e aggiunte di particolari/dettagli come un lavoro di ricostruzione dell’immagine e ricostruzione, se vogliamo, di uno spazio in senso astratto geometrico e figurativo. M.C.: Ora vivi a New York. Come ti trovi? Come la vivi rispetto a Berlino? J.M.: Vivo a NY dal 1992. E’ casa ormai. Ho la mia famiglia, abbiamo una casa lì. E’ una città che mi influenza sempre, è inflessibile e movimentata, ma io amo Berlino e adoro vivere in questa città e penso che mi piacerebbe trovare un modo per poter vivere in entrambe le città alle stesso tempo. Mentre a Berlino si lavora molto in libertà e in dialogo con altri artisti, a NY non capita così di frequente e in modo naturale. NY è una città più caotica. M.C.: Nei tuoi lavori è molto presente l’aspetto architettonico; è un elemento fondamentale
nel tuo lavoro? J.M.: Lavoro con attenzione ai diversi tipi di linguaggio. Non mi ha mai interessato l’architettura, non l’ho mai studiata. Alla fine sono molto interessata al disegno e alla pittura e soprattutto al disegno per la costruzione di un’immagine. M.C.: Qual è la tua aspirazione più prossima? Su cosa lavorerai prossimamente? J.M.: Trovare un nuovo studio e lavoro su un progetto nuovo diverso dai precedenti. Lavorerò sulla progettazione di un libro e su una nuova edizione di stampe e disegni in Los Angeles.
Martina Cenna è critica d’arte e artista. Vive e lavora a Torino.
Martina Cenna - Project. 1
Silenziosa contemplazione di un Maestro: Peter Doig
Peter Doig è un artista eccezionale. Le sue pennellate sono corpose, vive e precise. Ogni angolo del quadro è dipinto. Emerge un profondo amore per la pittura che è benessere come dice Klein Per un pittore la ricerca tecnica che riesca a rendere bene l’idea che si vuole esprimere è fondamentale. I soggetti, come dice Marco Cingolani, ci pensa il mondo a fornirteli.
Serena Arato - artworks
3. Brainstorming sul progetto: punti di incontro fra le nostre poetiche.
4. Dentro al progetto: fasi progettuali
Spaccato stanza 1
Spaccato stanza 2
5. Esperienze di curatela, esposizione ed allestimento alternativi di uno spazio. Due esempi: Paratissima e Artissima Lido.
Siamo di fronte ad una crisi del modello espositivo tradizionale ovvero un cambiamento della concezione dello spazio espositivo, di cui parla, a proposito, lo scrittore e artista Brian O’Doherty nel suo saggio Inside the White Cube. Lo spazio da contenuto delle opere rinascimentali e delle scenografie barocche e roccocò, si è dilatato nell’arte contemporanea fino a coincidere con il luogo inteso come spazio fisico (studio d’artista, galleria, museo, installazione). I tempi sono sempre più stretti, siamo sempre più proiettati in una dimensione superficiale e sintetica del reale, appunto il white cube di Ives Klein, uno spazio bianco, immateriale e ideale, svuotato, assimilabile e iper tecnologico dove i legami effimeri di temporalità e socialità vengono aboliti a favore di un’idea platonica di assolutezza che “estrae” ed astrae noi dalla vita e ci fa vivere in un’atmosfera eterna. Nel contempo, si crea una costruzione dello spazio duchampiana che allontana il visitatore; sedici miglia di corda formavano una ragnatela continua e ostacolante che creava un distacco e un’ostilità nei confronti del visitatore. Si dà importanza all’azzeramento di ogni elemento di connessione percettiva o funzionale con l’esterno, sottolineando l’idea della galleria come luogo di culto, un luogo sacro, un affascinante laboratorio sperimentale. All’interno di questa camera o contenitore vuoto, ma aperto all’affluire di continue nuove informazioni e punti di vista, l’oggetto diventa spesso il mezzo attraverso il quale le idee sull’arte si manifestano e alimentano nuovi dibattiti; le idee e i concetti diventano il vero protagonista di una mostra. L’abilità di un artista e di un curatore sta nel riuscire a giungere ad un patto sociale nell’arte contemporanea collegando, la tradizione con l’innovazione, l’estetica di un lavoro alla cultura mediatica attuale, la realtà dipinta entro una cornice di un quadro e le nuove modalità espositive del fuori cornice. Paratissima e Artissima Lido, sono due eventi e progetti paralleli che ci hanno offerto spazi, dove vivente e contemporaneo entrano in stretta connessione; il vivente inteso come un soggetto, artista e pubblico che si trova a partecipare attivamente facendo esperienza e il contemporaneo come un soggetto che si trova in un dato contesto e non necessariamente partecipa attivamente. Paratissima nasce come associazione culturale alla quale ci si può iscrivere: una opportunità che si evolve sia come progetto di ricerca o come un’operazione di “talent-scouting” per i giovani più talentati, sia come finestra e opportunità di esposizione alternativa per noi giovani artisti. Artissima Lido è stato un progetto che si è proposto di sviluppare il potenziale curatoriale e artisti-
co internazionale dislocandolo in cinque lidi, spazi no-profit provenienti da Occidente e Oriente. L’esperienza di Paratissima 2012 nell’area degli Ex mercati generali di Torino, in un contesto diverso dal tradizionale spazio espositivo di una galleria, è stata per noi giovani artisti non soltanto una palestra mentale per un confronto, un momento di condivisione dello spazio e un’esperienza di allestimento, ma anche una situazione in cui si prende coscienza di quanto importante sia la capacità di adeguamento ai locali che vengono offerti, contenitori vuoti, scheletri di edifici pressoché dimenticati da rimettere in funzione conferendogli una nuova funzione. Noi siamo parte dell’evento, partecipiamo con i nostri lavori, siamo insieme artisti e pubblico. L’esperienza di Artissima Lido è stata un’esperienza di mediazione culturale e curatoriale; eravamo coordinatori, collaboratori, rappresentanti e in parte anche spettatori dei progetti che trovavano sede nelle principali istituzioni museali del Quadrilatero di Torino. Si spaziava da una partecipazione attiva ad un coinvolgimento passivo, da un tempo pieno ad un tempo vuoto dell’evento, da un rapporto formale a un rapporto informale con gli artisti, i progetti e il pubblico.
Martina Cenna
6. Conclusioni In conclusione a questo breve libro d’artista in forma di diario d’appunti vorrei porre l’attenzione, ancora una volta, sull’aspetto tautologico di questo scritto, che rappresenta la fase creativa\progettuale in sè. Il contenuto del progetto assume un’importanza minore in questo tipo di lavoro, poichè deve semplicemente essere funzionale alla comprensione del più ampio pensiero che accompagna l’opera. Behind the glass eye vuole essere metafora e al tempo stesso proposta di un percorso che l’artista mette in atto nella fase di elaborazione creativa di un progetto. Egli passa attraverso la conoscenza di sè, filtrata da ciò che altri pensano e scrivono su di lui; il mettere in comune idee con altri artisti; conoscersi, trovare punti in comune che portino a nuove soluzioni formali e concettuali e la fase creativa di realizzazione vera e propria di un progetto. Behind the glass eye è quindi un progetto nel progetto, massima espressione del processo creativo. Una sorta di taccuino metafora della mente e del suo procedere creativo. L’obiettivo è proprio quello di sottolineare come il processo creativo sia opera in sè.
Serena Arato