WinArt 1 Copyright Š 2013 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Direttore responsabile Alessandro Boscolo Art Director Albert Leka Redazione Andrea Pirlo Claudio Marchisio Gianluigi Buffon Fabio Quagliarella Progetto Grafico Albert Leka Fotografia Federico Rosa Illustrazioni Matthias Bonayiri Ufficio Stampa Grafiche S.Marco www.issm.it Š 2088 Production
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pag. 2 COLOPHON pag. 5 PRESENTAZIONE pag. 6 NEOCLASSICISMO pag. 14 LA PITTURA NEOCLASSICA pag. 16 LA SCULTURA NEOCLASSICA
pag.18 ANTONIO CANOVA
pag. 24 GIUSEPPE PIERMARINI pag. 26 IL ROMANTICISMO pag. 28 UOMO E NATURA
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Presentazione Adit aut la nitionsequi ant ut et omnisitiusam quasperibus, quiste ped quia deles et voluptisi si simustionet labor rection sequam, cus aceped qui omniam ratur magnimus aligent at etur se nihil eum lisi restiae nis dolores accum intibus minvel ipsuntium, nemodis is utat quidele stotate mquamusam faceatia sinciminum fugiae dolorerio culliqu istium doluptum quam ipsam, ipietur? Ur? Qui omniant am dis et faccum evelibus quis reserum esequo eaqui unt. Inctatus ex et omniet aut que dolectem et re experio illaccae. Mincimagnis esto int porro qui nusam restin nus. Estibus aborepratem. Neque quis sum fugia veles debitio. Ex essimolupta volorep eressunt odit aspicia sumquam et aut quodis am reperae offictiusam in estem nimus etus nulpa provide rrovite aut autecto volorisquiam fuga. At imilique nos aut aut quatibus. Lautatusae. Alit quia vel endam Vereperspel moditatem et, utem. Ovitas in perum num, quati ilitium haritam inimi, coritat quaepuditam re porrum vernam, occae illupti antions erciment vendis eveliquas cusam, totatet, iducipi cidelen dipsam sunt fuga. Ciat haris dolorehendam nonsectores dere sit fugit, sinvel id ero est quo velest alicaecest rernate nemolorum dolupta as venitatus praturibus poritat estiae con exceaqui repeliq uibusam faccum il endaepelit, occum, offic temperferro imodiae nonsequi dolorumque veruptati deniate is dolorepro volupta tatibus exped mil erovidunto dolest, simi, occus as seque iur minullias nonsequas et reperfernam et, simus eum qui od enetur sinimusdam, offici inctur, sinihil idi dipietu reribus. Delitiumqui occulpa quo beariatur maios res nihicabore experfe rspidus non et, occum vere aliquia spicillor adicia dendestia cum ra quaera aliquis doluptus. Tionet, consequ idemque in porro blaccat umquiscium fuga. Nam sintiunt volorpore dipsuntibus. Dir. Alessandro Boscolo
Ritorno all’antico Nella seconda meta del Settecento gli artisti si ispirarono all’arte greca e romana
Con il termine «Neoclassicismo» si usa indicare il periodo compreso, approssimativamente, fra la metà del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento, nel corso del quale si è convinti di poter raggiungere un «nuovo classicismo», operando il recupero, in età moderna, della civiltà antica. Il Neoclassicismo trova giustificazione storica nel nel razionalismo illuminista, che, nel l’opposizione agli eccessi, alle stravaganze, alle complicazioni prospettiche del barocco cerca quella chiarezza, quella oggettività che sembra di poter riconoscere solo nella cultura classica. Già prima che abbia inizio la teorizzazione classica abbiamo riscontrato la tendenza schiarire i colori, ad evitare i contrasti chiaroscurali, a dare forma geometrica alle strutture: alcuni edifici della prima metà del Settecento mostrano caratteristiche indubbiamente classiche giungendo all’imitazione palese dell’antico. 6
L’Illuminismo porta anche a formulare teorie che, pur non trovando eco nell’età neoclassica, rivelano ugualmente il razionalismo rigoroso dell’epoca ed anticipano, incredibilmente, quelle funzionaliste dell’architettura del ‘900. Il veneziano Carlo Lodoli (Venezia, 1690 — Padova, 1761), sacerdote e studioso di matematica sostenitore del metodo scientifico galileiano, afferma che soltanto la funzione giustifica la forma, o, per usare un’espressione contemporanea (egli non ha scritto niente, ma sue idee sono state raccolte da altri), la bellezza dell’edificio consiste nella «rappresentazione della funzione»; per la stessa ragione il Lodoli propone un nuovo arredamento domestico studiando mobili adatti alla forma del corpo umano (anticipando i moderni criteri dell’ergonomia) e ritiene, infatti, perfetta la gondola perché assolutamente funzionale, per lunghezza, sottigliezza, manovrabilità, traffico cittadino entro gli stretti canali veneziani, come, anche oggi, possiamo constatare. Se le sue idee
non hanno un séguito apparente nel Neoclassicismo è solo perché egli ripudia il mito della superiorità degli antichi e dell’insegnamento di Vitruvio e perchè per lui l’edificio classico (in particolare il tempio grecoromano) ha il grave inconveniente di non «rappresentare» all’esterno la «funzione» interna. Il vero e indiscusso teorico neoclassico è invece il tedesco Johann Joachin Winckelmann (Stendal, Germania, 1717 — Trieste, 1768), autore, fra l’altro, di un Storia dell’Arte nell’Antichità (1764), in cui, per la prima volta, invece che collezionare un serie di biografie di artisti, si tenta di dare un ordine sistematico alla molteplicità opere antiche, studiandole in sé, indipendentemente dagli aneddoti tramandati attraverso le fonti, e cercando di comprenderne lo stile. Da questo punto di vista è la prima storia dell’arte intesa in senso moderno, anche se limitata dall’interesse principale portato all’evoluzione delle forme.
Il Winckelmann ritiene che l’opera d’arte sia espressione del bello ideale, raggiungibile non imitando la natura, ma emendandola dai suoi difetti, o, meglio, scegliendo da essa le parti più belle e fondendole insieme:
La bellezza ideale Questa sublime bellezza è in Dio e il concetto dell’umana bellezza diventa perfetto quanto più esso può essere pensato in modo conforme e armonico con l’essere supremo, che noi distinguiamo dalla materia grazie al concetto dell’unità e della indivisibilità che gli è proprio. Questo concetto della bellezza è come uno spirito che, tratto fuori dalla materia e purificato attraverso il fuoco, cerca di plasmare una creatura secondo il modello della prima creatura dotata di ragione concepita dalla mente divina [..].
La raffigurazione della bellezza può essere o individuale, ossia riferita a un singolo soggetto, oppure una scelta di bei particolari, presi da molti individui e riuniti in uno solo, e allora la chiamiamo idea/e [...]. La natura e la struttura dei corpi più belli raramente sono prive di difetti, anzi hanno forme e particolari che potremmo scoprire o concepire più perfetti in altri corpi, e in base a questa esperienza ogni ogni artista sapiente si comportava come un abile giardiniere che innesta su un fusto diversi margotti delle migliori qualità; e come l’ape sugge da molti molti fiori, cosi i concetti del bello non rimasero circoscritti alla singola bellezza individuale, come lo sono talvolta i concetti dei poeti antichi e moderni e della maggior parte degli
1. La Toilette di Giunone
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artisti contemporanei; bensì gli antichi cercarono di operare una sintesi di tutto ciò che vi era di bello in molti bei corpi. Essi purificarono le loro immagini da ogni gusto personale, che distoglie il nostro spirito dalla vera bellezza. J.J. WINCKELMANN È una vecchia teoria che risale ai romani e che, dal Rinascimento in poi, è stata costantemente ripresa: è appena il caso di ricordare che parole analoghe sono state usate dall’Alberti e da Raffaello. La differenza fra il Winckelmann e i suoi predecessori è solo nel maggior rigore con cui la teoria è accettata e rielaborata da lui. Quelli cercano il bello ideale senza staccarsi dai problemi dell’età in cui vivono, senza rinunciare al linguaggio contemporaneo, il Winckelmann invece, ritenendo che soltanto i greci abbiano raggiunto il bello ideale, assume l’opera greca come modello da imitare. Il ragionamento è astorico, pretendendo che il bello ideale dei greci sia non espressione di un particolare momento storico unico e irripetibile, come, in maniera assai diversa, quello di Raffaello o di altri, ma eterno e valido per ogni periodo, anche quello contemporaneo a lui. Perciò il Neoclassicismo è una corrente culturale ben definita e molto diversa da quel classicismo che, ora più palese ora più nascosto, è presente in tutto il corso della storia dell’arte europea, soprattutto italiana, anche quando, come nel medioevo, sembra scomparso. L’opera d’arte, come visualizzazione del bello ideale, dovrà superare — secondo il Winckelmann — l’agitarsi delle passioni umane, il movimento, il dramma: il generale e principale carattere dei capolavori greci è una nobile semplicità ed una quieta grandezza tanto nell’atteggiamento quanto nell’espressione.
La bellezza della serenità La quiete è lo stato che più si addice alla bellezza, come al mare, e l’esperienza insegna che le più belle 8
creature sono quelle dal carattere quieto e ben educato. Inoltre, l’idea di una nobile bellezza non può nascere che da uno stato contemplativo dell’anima, sereno e distaccato da tutte le singole rappresentazioni. Poiché padrone dei propri sentimenti è l’uomo, la più alta forma d’arte è la scultura che imita il corpo umano; attraverso la scultura sarà possibile, come hanno fatto i greci, esprimere una serena compostezza anche nel dolore: come la profondità del mare, per quanto agitata ne sia la superficie resta sempre immobile, cosi l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’anima grande e posata… Come la profondità del mare che resta sempre in quiete, per quanto la superficie infuri, l’espressione nelle figure dei greci manifesta, in tutte le passioni, un’anima grande e composta. Quest’anima, nonostante le più atroci sofferenze, si palesa nel volto del Laocoonte, e non solo nel volto. Il dolore che traspare in tutti i muscoli e i tendini del corpo e che da solo, senza badare al viso e alle altre parti, quasi crediamo di sentire sentire noi stessi, al cospetto del ventre convulsamente contratto, questo dolore, dico, non si esprime affatto con segni di furore nel volto e nella posizione. Egli non leva nessun orribile grido come canta Virgilio del suo Laocoonte: l’apertura della bocca non lo consente; è piuttosto un sospiro angosciato e represso. Il dolore del corpo e la grandezza dell’anima sono distribuiti con eguale intensità, e quasi bilanciati, nell’intera struttura della statua. Laocoonte soffre, ma soffre come il Filottete di Sofocle: la sua miseria ci tocca l’anima; ma noi desidereremmo saperla sopportare come la sopporta questo grande. L’espressione di un’anima così grande va ben al di là delle creazioni della natura bella: l’artista doveva sentire nel proprio intimo la forza dello spirito che impresse nel suo marmo. La Grecia ebbe artisti e filosofi in una persona
sola…… La filosofia porgeva la mano all’arte, e infondeva nelle figure ben più che anime volgari. J. J. . WINCKELMANN Il Winckelmann, che dalla Germania si trasferisce a Roma, dove passa la maggior parte della sua vita trovandovi il più importante centro dell’antichità, non conosce però le opere greche: è costretto a immaginarle attraverso l’architettura romana (che, come vedemmo a suo tempo, è cosa ben diversa) e attraverso le copie delle sculture e delle pitture. Le teorie del Winckelmann, anche se non nuove, ebbero un gran seguito: giungevano nel momento giusto per interpretare una tendenza culturale, comune a tutta l’epoca, di reazione non soltanto al Barocco ma anche a ciò che di capriccioso vi era nel Rococò, ritrovando la misura classica, con un fervore di studi sull’antico cui avevano dato nuovo entusiasmo le recenti clamorose scoperte archeologiche di Ercolano (1719) e di Pompei (1748): le due città romane, scomparse repentinamente in seguito alla tragica eruzione del Vesuvio del 79 d.C. offrivano, soprattutto la seconda, per la maggior facilità di scavo, una straordinaria abbondanza di oggetti antichi, che divennero modello indiscusso di imitazione, dando luogo a quello che fu definito (stile pompeiano). Al Winckelmann si affiancano altri teorici. Il pittore tedesco Anton Raphael Mengs (Aussig, Boemia, 1728 — Roma, 1779), suo amico e ammiratore, esempla la propria teoria del bello ideale sul Bellori e aggiunge, accanto all’imitazione dei greci, quella di Raffaello e Correggio. In pittura, infatti, non essendo essendo sopravvissuti capolavori dell’antichità se non in poche copie artigianali, sembrava che soltanto questi artisti potessero costituire i modelli assoluti, essendo riusciti a ritrovare la grazia e l’equilibrio ellenici; anche gli altri neoclassici, del resto, sostengono la stessa teoria,
LO STILE IMPERO Una particolare corrente dell’arte neoclassica è il cosidetto “stile impero”, diffusosi in Europa dalla Francia, che ebbe maggior sviluppo durante l’impero di Napoleone e si espresse sopratutto nel settore dell’arredamento: letti a baldacchino adornati da corone d’alloro, statue di ninfee e di divinità o nella tipica forma a barca; poltrone, sedili, tavolini e consolle con ornamenti di quali sfingi alate, in ricordo della campagna d’Egitto di Napoleone.
facendo riferimento soprattutto a Raffaello, perché — come afferma, per esempio, Leopoldo Cicognara “quell’accuratezza di contorni e quella fina e nobile espressione che presentano ad ogni tratto le opere di Raffaello sono i magici portenti del bello ideale, che risultano non già da una servile imitazione, ma da una scelta studiata e felice di ciò che avvi di bello, sparso per tutto il creato”. Come si vede, il Cicognara, alle affermazioni già note della ricerca del bello ideale (scelta del meglio, nobiltà dell’espressione), aggiunge l’accuratezza dei contorni, ossia il disegno nitido che delinea l’immagine in tutta la sua purezza astraendola dalla realtà, non il tratteggio che la immerge, chiaroscurandola, nell’atmosfera Bello ideale non è, come male si avvisano alcuni, un bello esistente nelle semplici teorie, un bello che puramente esca dall’immaginazione dell’uomo, ed applicato ad idee intera mente astratte. Non è come, per esempio, un ostacolo ideale, una paura ideale, di cui non esiste per conseguenza l’oggetto, ed è una cosa chimerica; ma al contrario è l’unione di tutte le perfezioni portate a un grado di accordo e di proporzione tanto eminente, che non ne esiste forse il modello in un solo corpo formato dalla natura. E una imitazione felice di parti separate e riunite poi in un tutto armonico, tal quale potrebbe benissimo esistere in natura,……. L. CICOGNARA Ricordiamo ancora, fra gli altri teorici,
il tedesco Gotthold Ephraim Lessing che, in una sua opera, Il Laocoonte (1766) (il riferimento del titolo al celebre gruppo scultoreo ellenistico è significativo), sostiene la distinzione fra poesia e pittura, in quanto la prima può rappresentare anche l’invisibile e la seconda solo il visibile, giungendo, per conseguenza, a definire la pittura, la scultura e l’architettura “arti figurative”, cosi come si usa ancora oggi. Fin qui abbiamo esaminato il Neoclassicismo come un movimento culturale che persegue un fine estetico: il bello ideale. Sarebbe però limitativo considerarlo solo da questo punto di vista, perché il fine estetico non può essere disgiunto dall’ideale etico di un epoca che è conseguenza sia delle teorie illuministe, sia della situazione storica. Abbiamo già rilevato come, durante tutto il Settecento, il razionalismo illuminista conduca alla graduale presa di coscienza collettiva della libertà naturale dell’uomo: se tutti gli uomini sono dotati della ragione, se la ragione permette di «capire», facendo «luce» su tutto ciò che si è voluto lasciare in ombra per impedire l’autogestione e quindi favorire la sottomissione, ne consegue che tutti «gli uomini nascono e vivono liberi e uguali nei diritti», come sancisce solennemente la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata dall’Assemblea Nazionale francese pochi giorni dopo l’inizio della Rivoluzione. Per il raggiungimento della libertà,
per la salvaguardia della dignità, occorre combattere, e, se la massa non è ancora in grado di farlo, dovrà esserci qualcuno, anche uno solo, che assuma su se stesso l’onere, conducendo fino in fondo la battaglia, pronto a pagare ogni prezzo. Nasce nuovamente il mito dell’eroe, l’uomo leggendario che, da solo, salva l’umanità: «L’armi, qua l’armi: io solo combatterò, procomberò sol io, griderà, non senza una cena enfasi, Giacomo Leopardi (canzone All’Italia), qualche decennio dopo (1818). E’ l’eroe magnanimo delle tragedie alfieriane, è l’uomo beethoveniano, vincitore, solo per forza d’animo, di tutte le avversità. Questo eroe, che non è possibile riconoscere accanto a noi nella piattezza meschina della realtà quotidiana, appare, agli occhi degli intellettuali dell’epoca, essere esistito nell’antichità, così come ci è stato tramandato dagli storici classici: non a caso sono molti i lettori delle Vite parallele di Plutarco. Quanto più ci si avvicina alla Rivoluzione francese, ossia all’azione liberatoria dalla tirannia, tanto più sì vedrà il modello eroico nella leggenda della Roma repubblicana. Quando poi Napoleone, con l’impeto delle sue campagne militari, travolgerà le monarchie europee, sembrerà di veder in lui l’uomo destinato a portare ovunque le idee e le conquiste della Rivoluzione, stabilendo una seconda fase del Neoclassicismo, una fase imperiale, quasi una reincarnazione di Giulio Cesare. Per questo molti intellettuali 9
hanno creduto in Napoleone; per questo molti altri sono rimasti delusi dalla sua successiva conquista del potere assoluto. Se il mito napoleo nico viene meno, non cessa tuttavia il valore ideale che gli era stato dato. Ha questo significato l’atto di Beethoven, che, avuta notizia della proclamazione di Napoleone a imperatore, esclamando «Anche lui dunque è un uomo come tutti gli altri», strappa la copertina della Sinfonia n. 3, scritta in suo onore, intitolata «Eroica» e dedicata «al sovvenire di un grande uomo», in ricordo di un ideale che vive soltanto dentro di lui. Ideale estetico e ideale etico sono dunque i due poli entro i quali si muove il neoclassicismo, talora con risultati artistici di grande valore, soprattutto nel campo della poesia e della musica, talaltra invece con retorica e freddezza, soprattutto nel campo delle arti visive, perché, come è utopico e astorico rifugiarsi nel mondo antico credendo di trovarvi quei modelli di vita che non vediamo intorno a noi e ai quali aspiriamo, cosi è utopico e astorico pretendere di raggiungere la grandezza dell’arte classica imitandola. Altra cosa è rivivere intensamente con la fantasia i miti antichi, come Foscolo ne Le Grazie) altra cosa è copiare proporzioni, atteggiamenti, espressioni. Comunque, riprendendo la distinzione del Neoclassicismo in due fasi, quella prerivoluzionaria e rivoluzionaria da un lato e quella imperiale dall’altro, corrispondenti rispettivamente agli ultimi decenni del Settecento e ai primi dell’Ottocento, occorre sottoli neare che, almeno nelle arti visive, la fredda imitazione dell’antico, la magniloquenza, l’esteriorità sono caratteristiche, più che del primo, del secondo momento, il cosiddetto «stile impero». Questo tipo di classicismo, del resto, è particolarmente gradito a tutte le dittature (e perciò anche a quella napoleonica) perché sembra loro il simbolo di quell’ordine, di 10
quell’obbedienza alle norme, di quella grandezza che esse sostengono di portare ai popoli soggetti: non a caso, poco più di un secolo dopo, lo stesso Hitler terrà alcuni dei suoi nefasti discorsi dai Propiléi di una monumentale piazza neoclassica di Monaco di Baviera (la Konigsplatz). C’è un altro aspetto di quest’epoca, spesso trascurato, che deve essere invece messo in luce, perché, se anche non ha avuto riflessi immediati sulle arti visive, con il passare dei decenni finirà con l’essere determinante anche in questo campo, costringendo a trasformare la concezione tradizionale dell’arte e dell’artista: è la cosiddetta «prima rivoluzione industriale», con la nascita di una nuova concezione urbanistica. L’ampliamento dei mercati, la crescente richiesta di beni di consumo, il miglioramento delle vie di comunicazione generano la necessità di una diversa e più razionale organizzazione del lavoro produttivo e quindi la graduale sostituzione del sistema industriale a quello artigianale, con tutte le conseguenze, positive e negative, che questo comporta. Nel XVIII secolo il fenomeno dell’industrializzazione, più sensibile in Inghilterra che altrove, comincia a portare con sé quello dell’urbanesimo, ossia dell’afflusso delle famiglie operaie nei maggiori centri urbani, sedi delle industrie nascenti. Ma le città non sono adeguate a ricevere questi nuovi abitanti, costretti a vivere in alloggi periferici e squallidi, sovraffollati e antigienici. Il problema, che in massima parte non è stato risolto neppure oggi, venne affrontato da teorici che cercarono di studiare e progettare abitazioni destinate a creare una vita socialmente e qualitativamente migliore, per lo più in campagna (intesa come lavoro, non come svago). I più noti sono l’inglese Robert Owen (Newtown, 17711858) e il francese Charles Fourier (Besancon 1772,-Parigi 1837).
Carta A00612015 - Prog 612015
Intero 15 € Ingresso 3,50 € Guida 11,50 €
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ANTONIO CANOVA Biglietto 15 €
Museo Espositivo S. Marco Venezia
Museo Espositivo S. Marco - Venezia Antonio Canova 17/04/2013 - 17/06/2013 10.30 -17.30 POsto unico ingresso
Canova
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LA PITTURA NEOCLASSICA Uno stile che ricerca la semplicità, l’eleganza e la bellezza
In pittura l’estetica neoclassica si espresse in modo meno omogeneo che nelle altre arti. Sul piano formale le esigenze di razionalità portarono al predominio del disegno, operazione tipicamente intellettuale, rispetto al colore. Teorico del movimento, e pittore egli stesso, fu Anton Raphael Mengs, nato in Boemia nel 1728 e morto a Roma nel 1779. Il suo dipinto-manifesto più famoso fu il Parnaso, risalente al 1761, che ispirandosi all’omonima opera di Raffaello, risulta però piuttosto un tecnicismo privo di emozionalità. In generale comunque si attinsero piuttosto dall’antichità ellenica i modelli per esprimere le aspirazioni di rinnovamento etico, sociale e politico proprie di quel momento storico. Sicuramente il maggior interprete di questa visione fu J.L.David, seguito dal suo allievo Ingres, autore di opere quale “La grande Odalisca” del 1814: a differenza del suo maestro egli preferiva concentrarsi sulla perfezione formale ignorando i contenuti eroici. In Italia il pittore neoclassico più dotato fu Andrea 14
Appiani, particolarmente ispirato nei ritratti dalle caratterizzazioni psicologiche piuttosto che nelle opere di pura encomiastica verso Napoleone. Per quanto riguarda Goya invece, le caratteristiche tipiche della pittura neoclassica sono ravvisabili praticamente solo nella Maja desnuda, raffigurata come una Venere rinascimentale. 1
Jaques-Louis David Jaques-Louis David nasce a Parigi nel 1748 e muore a Bruxelles nel 1825. E’ il pittore francese più significativo del movimento neoclassico, ma assume nelle sue opere una programmatica finalità etica piuttosto che puramente estetica: esortazione, insegnamento, esaltazione di virtù e valori. Il suo lavoro segna il passaggio
dalla frivolezza del gusto Rococò all’austerità ispirata all’arte classica. Quando aveva soli 9 anni suo padre fu ucciso in un duello e sua madre lo affidò ad alcuni benestanti zii architetti: ebbe una eccellente istruzione sebbene non sia mai stato un buon studente, poichè un tumore facciale gli impediva di parlare correttamente, e anche perchè era costantemente impegnato a disegnare. Presto espresse il desiderio di diventare un pittore, ma zii e madre volevano per lui la carriera di architetto. Nonostante ciò, andò a studiare pittura presso François Boucher (1703–1770), un importante artista Rococo, e successivamente Joseph-Marie Vien (1716–1809). Si iscrisse alla Royal Academy. David partecitò al Prix de Rome cinque volte, e ad ogni fallimento aumentava la sua frustrazione verso le istituzioni accademiche: vinse però nel 1774, e potè recarsi all’Accademia Francese a Roma con Vien (nominato nuovo direttore) nel 1775. In Italia David studiò l’arte italiana e le rovine antiche romane, riempiendo 12 taccuini con disegni ai quali attinse per il resto della sua vita artistica. Conobbe Raphael Mengs (1728–1779), del quale condivise la predilezione per Raffaello e Poussin, e grazie a lui fu introdotto alle nuove teorie di Johann Joachim Winckelmann (1717–1768). Dopo cinque anni a Roma, David tornò a Parigi dove divenne membro della Royal Academy, la quale incluse nel 1781 due suoi dipinti al Salon, con grandi apprezzamenti dei pittori contemporanei: seguì l’inclusione di suoi lavori al Louvre, e un matrimonio che gli portò un patrimonio notevole in dote, grazie al quale si potè recare nuovamente a Roma per realizzare la commissione di “Orazio difeso da suo Padre” e “Il giuramento degli Orazi” del 1784. Del 1787 è invece “La morte di Socrate”, il quale è ritratto sereno dinnanzi alla sua fine, mentre discute dell’immortalità dell’anima circondato da Crito e altri amici e studenti addolorati, e Platone seduto
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sull’orlo del letto. La critica definì il dipinto perfetto in ogni aspetto, comparabile alla Cappella Sistina di Michelangelo. Il suo lavoro successivo fu I littori portano a Bruto i corpi dei suoi figli” nel 1789, che ebbe grandissimo successo, mentre la Rivoluzione francese cominciava: quando il dipinto fu infatti censurato dalla corte reale per possibile agitazione dell’opinione pubblica, vi fu una protesta generale che portò al ritiro della censura, rendendo l’opera un simbolo repubblicano. Dopo la Rivoluzione infatti, che David vedeva come qualcosa di estremamente positivo, egli divenne attivamente coinvolto nella politica, votando anche per l’esecuzione di Luigi XVI, e mise la sua arte al servizio della propaganda rivoluzionaria: realizzò una trilogia dei “Martiri della Rivoluzione” con La morte di Lepelletier del 1793 (andato distrutto), La morte di Marat del 1793, e La morte di Bara del ‘94, mai terminato. Dopo la caduta del suo amico Robespierre nel ‘94, David fu imprigionato per averlo supportato, e scampò per poco alla ghigliottina: fu rilasciato grazie all’intervento della sua ex-moglie, dalla
quale si era separato proprio a causa delle sue simpatie rivoluzionarie mentre lei era fedelissima alla monarchia. Si risposarono nel ‘96 e “L’intervento delle donne Sabine” fu dedicato proprio a lei, ispirandogli il tema dell’amore che prevale su ogni conflitto. Quest’opera ripristinò la fama di David, il quale strinse presto ottimi rapporti con Napoleone e il suo governo, ricevendo svariate onorificenze e divenendo nel 1804 il primo pittore di corte. Le commissioni sotto il governo Napoleonico spaziarono dai ritratti ufficiali alle celebrazioni pittoriche di gesta eroiche del Bonaparte. E’ da notare come alcune delle opere del periodo avessero intrapreso uno stile meno severo dei primi lavori, lasciando trasparire un ardore intellettuale che li lascia avvicinare alla corrente Romanticista, che fu pur grandemente influenzata dal lavoro del David, sebbene egli la disprezzasse.
1. L’ intervento delle donne Sabine 2. La morte di Marat 15
LA SCULTURA NEOCLASSICA Un’arte che imita la bellezza e l’armonia delle statue dell’antica grecia
Nella seconda metà del Settecento numerosi esemplari di statuaria greca vennero portati in Europa clandestinamente: il trafugamento continuò poi anche nell’Ottocento, quando per esempio, la maggior parte delle metope (le formelle decorate) dell’architrave e del fregio interno della cella del Partenone di Atene vennero trasportate in Inghilterra, fu un’emozione immensa per gli artisti europei, che si trovarono di fronte a reperti originali dell’arte classica per eccellenza, quella greca, e non a opere romane, che pur nel loro fascino spesso erano riproduzioni di soggetti greci. Per gli scultori queste opere d’arte divennero il modello di riferimento, di cui imitare la perfetta armonia delle proporzioni e l’eleganza delle forme. Spesso però riuscirono solo a produrre statue in cui non riviveva lo spirito reale dell’arte classica, ma che apparivano piuttosto fredde e accademiche, cioè imitazioni tecnicamente molto ben eseguite di un modello, ma prive di una vera ispirazione. Gli 16
artisti più rappresentativi della scultura neoclassica furono l’italiano Antonio Canova e il danese Bertel Thorvaldsen. Bertel Thorvaldsen Thorvaldsen affermava di essere nato il 19 novembre 1770 (ma la data non è mai stata realmente chiarita, secondo alcuni sarebbe nato
nel 1768, secondo altri nel 1771 o 1772) da Gotskalk Thorvaldsen, intagliatore di legno islandese che si era stabilito in Danimarca come commerciante, e da Karen Dagnes; quanto al luogo di nascita, alcune fonti citano la capitale danese, altre indicano una nave in viaggio tra l’Islanda e la Danimarca, e in Islanda alcuni ritengono che fosse nativo
dell’isola. Il giovane Thorvaldsen seguì le prime lezioni d’arte del padre, per poi entrare all’età di soli undici anni nella Libera Scuola della Reale Accademia di Belle Arti a Copenaghen, dove fu seguito principalmente da Nikolaj Abraham Abildgaard. Nel 1787 Thorvaldsen ottenne una piccola medaglia d’argento quale riconoscimento per le sue qualità nel modellare i materiali e due anni dopo fu premiato con la grande medaglia d’argento per il suo bassorilievo “Amore che riposa”. In seguito alla premiazione del bassorilievo “La cacciata di Eliodoro dal Tempio” (1791), il ministro conte Christian Frederik Reventlow prese Thorvaldsen sotto la sua ala protettrice e gli procurò i mezzi finanziari necessari per la prosecuzione dei suoi studi. Nel 1793 il bassorilievo Gli apostoli
Pietro e Giovanni guariscono uno storpio venne premiato con una grande medaglia d’oro e con una regia borsa di studio per un viaggio di studio a Roma, che Thorvaldsen non poté dapprima intraprendere a causa dei molteplici lavori che gli erano stati commissionati. Per altri tre anni lo scultore impartì lezioni private di disegno e soprattutto creò numerose statue per il palazzo del principe ereditario Federico nel Palazzo di Amalienborg. Dello stesso periodo sono anche i busti dei politici conte Andreas Peter von Bernstorff e Tyge Rothe. Fu soltanto il 29 agosto 1796 che Thorvaldsen poté finalmente iniziare il suo viaggio per Roma, dove giunse l’8 marzo dell’anno successivo a causa di soste a Malta e Napoli. Tale data venne in seguito festeggiata dall’artista come il suo “compleanno romano”; nell’Urbe Thorvaldsen si
fece chiamare “Scultore Alberto”. Poco tempo dopo il suo arrivo a Roma Thorvaldsen conobbe l’archeologo Jörgen Zoega, che lo aiutò nello studio dell’antichità classica e che col tempo divenne anche il suo mentore, nonché il pittore Asmus Jacob Carstens, che parimenti si prese cura di lui. Nel 1797 Thorvaldsen inaugurò il suo primo studio in via del Babuino 119, nell’atelier previamente utilizzato dallo scultore inglese John Flaxman. Quando poco prima della scadenza della borsa di studio Thorvaldsen inviò il suo Bacco e Arianna all’Accademia di Belle Arti di Copenaghen, quest’ultima gli estese il finanziamento del suo soggiorno romano per un altro biennio e nel 1802 per un ulteriore anno. In questo periodo l’artista danese patì tuttavia notevoli ristrettezze economiche e visse in una situazione di incertezza politica.
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Antonio Canova La forma della bellezza
Antonio Canova (1757-1822), è il maggior artista italiano ad aver partecipato alla vicenda del neoclassicismo ed è anche l’ultimo grande artista italiano di livello europeo. Dopo di lui, per tutto il corso del XIX secolo, l’Italia ha svolto un ruolo molto marginale e periferico nell’ambito della formulazione delle nuove teorie e pratiche artistiche. Formatosi in ambiente veneziano, le sue prime opere rivelano la influenza dello scultore barocco del Seicento Gian Lorenzo Bernini. Trasferitosi a Roma, partecipò al clima cosmopolita della capitale in cui si incontravano i maggiori protagonisti dell’arte neoclassica. A Roma svolse la maggior parte della sua attività, raggiungendo una fama immensa. Fu anche pittore, ma produsse opere di livello decisamente inferiore rispetto alle sue opere scultoree. Nelle sue sculture Canova, più di ogni altro, fece rivivere la bellezza delle antiche statue greche secondo i canoni che insegnava Winckelmann: «la nobile semplicità e la quieta grandezza». Le sculture di Canova sono realizzate in marmo bianco e con un modellato 18
armonioso ed estremamente levigato. Si presentano come oggetti puri ed incontaminati secondo i principi del classicismo più puro: oggetti di una bellezza ideale, universale ed eterna. I soggetti delle sue sculture si dividono in due tipologie principali: le allegorie mitologiche e i monumenti funebri. Al primo gruppo appartengono: «Teseo sul Minotauro», «Amore e Psiche», «Ercole e Lica», «Le tre Grazie»; al secondo gruppo appartengono i monumenti funebri a Clemente XIV, a Clemente XIII, a Maria Cristina d’Austria. Nei monumenti di soggetto mitologico i riferimenti alle sculture greche classiche è scoperto ed immediato: le anatomie sono perfette, i gesti misurati, le psicologie sono assenti o silenziose, le composizioni molto equilibrate e statiche. Il momento scelto per la rappresentazione è quello classico del «momento pregnante», evidente ad esempio nel gruppo di «Teseo sul Minotauro». Canova, invece di rappresentare la lotta tra Teseo e l’essere metà uomo e metà toro, sceglie di rappresentare
il momento in cui Teseo, dopo aver sconfitto il Minotauro, ha scaricato tutte le sue energie offensive per lasciar posto ad un vago senso di pietà per l’avversario ucciso. È un momento di quiete assoluta in cui il tempo si congela per sempre. È quello il momento in cui la storia diventa mito universale ed eterno. Nei monumenti funebri Canova parte dallo schema classico a tre piani sovrapposti. Nei monumenti dei due papa Clemente XIII e XIV al primo livello ci sono le immagini allegoriche che rappresentano il senso della morte; al secondo livello vi è il sarcofago; al terzo livello vi è la figura del papa. Questo schema, che dal Trecento aveva caratterizzato tutta la produzione di monumenti funebri, venne dal Canova variata con il monumento a Maria Cristina d’Austria – in esso un corteo funebre si accinge a varcare la soglia dell’oltretomba raffigurata come una piramide – e nei monumenti a stele in cui è evidente il ricordo delle tante stele funerarie provenienti dall’antica Roma.
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I monumenti funerari rappresentano un tema molto sentito dagli artisti neoclassici. Da ricordare che, negli stessi anni, l’importanza dei «sepolcri» veniva affermata anche dal poeta Ugo Foscolo. Per il Foscolo il sepolcro doveva conservarci la memoria dei grandi personaggi della storia esaltandone il valore quali esempi di virtù. La morte, che nella precedente stagione barocca veniva visto come qualcosa di orrido e di macabro, dall’arte neoclassica era vista come il «momento pregnante» per eccellenza. Il momento in cui si scaricano tutte le contingenze terrene per entrare nel silenzio assoluto ed eterno. Il Canova nel periodo napoleonico divenne il ritrattista ufficiale di Napoleone producendo per l’imperatore diversi ritratti, tra cui quello in bronzo, ora collocato a Brera, che fu rifiutato dall’imperatore
perché Canova lo aveva ritratto nudo. Tra i ritratti eseguiti per la famiglia imperiale famoso rimane quello di Paolina Borghese semidistesa su un triclino, seminuda e con una mela in mano, secondo una iconografia di chiara derivazione tizianesca, pur se caricata di significati mitologici. Oltre all’attività di scultore, Canova fu anche impegnato nella tutela e valorizzazione del patrimonio artistico. Nel 1802 ebbe l’incarico di Ispettore Generale delle Antichità e Belle Arti dello Stato della Chiesa. Nel 1815, dopo la caduta di Napoleone, ottenne di riportare in Italia le tante opere d’arte che l’imperatore aveva trasportato illegalmente in Francia. Morto nel 1822, il suo sepolcro è a Possagno, il paesino in provincia di Treviso dove era nato, e dove egli, a sue spese, fece erigere un tempio dove nel 1830 furono traslate le sue spoglie. 19
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1. Maddalena penitente 2. Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria 3. Paolina Borghese 4. Dedalo e Icaro 5. Orfeo ed Euridice 6. Dedalo ed Icaro 7. Le Tre Grazie 8. Teseo ed il Minotauro 9. Amore e Psiche 10. Ebe
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GIUSEPPE PIERMARINI NEOCLASSICISTA O ILLUMINISTA?
Nato nel1734, Giuseppe Piermarini fu un allievo di Vanvitelli, con cui lavorò a lungo sia a Roma sia a Caserta. Quando nel 1769 si trasferì a Milano, Piermarini divenne l’architetto ufficiale di Maria Teresa d’Austria E Giuseppe II: ebbe infatti numerosissimi incarichi ed eresse moltissimi edifici, o intervenne su costruzioni preesistenti a Milano. La villa Reale di Monza La villa è formata da un complesso di edifici, fatti costruire da Ferdinando d’Austria nel periodo che corre tra il 1777 e il 1780. Destinata a costruire una principesca dimora di campagna, divenne addirittura la residenza ufficiale di Eugenio Beauharnais, viceré d’Italia in epoca napoleonica, quando fu abbellita dallo splendido parco. La villa ha un’ampia facciata, con due ali laterali che chiudono a U il cortile d’accesso. La sua linea è sobria e severa, con pochi elementi ornamentali: unica concessione all’elemento scenografico, il vasto scalone d’accesso. La struttura richiama quella del palazzo Reale di
Caserta, con i vari corpi di fabbrica che si affacciano su cortili, in un ritmo equilibrato, rispettoso della simmetria e quasi geometrico. Collaborarono nella costruzione l’architetto neoclassico Giocondo Albertolli, direttore della Scuola di Ornato di Brera, e il pittore Andrea Appiani. Il teatro alla Scala di Milano Anche il teatro alla Scala rivela la predilezione di Piermarini per un’architettura rigorosa, della quale interessa più la funzionalità che l’aspetto decorativo o monumentale. L’incarico della costruzione gli venne dato dopo la distruzione, a causa di un incendio, dell’esistente teatro Ducale. Piermarini ne costruì prima uno provvisorio in legno, poi tra il 1776 e il 1778 venne inaugurato con l’opera Europa riconosciuta del musicista settecentesco Antonio Salieri, ideale per suscitare con le sue fantastiche scenografie, più di venti, e i suoi grandiosi sfondi paesistici l’entusiasmo del pubblico. Il teatro si chiamò “alla Scala” perché venne costruito sull’area dove esisteva
una chiesa, Santa Maria della Scala, voluta alla fine del 1300 da Beatrice Della Scala. Molto semplicemente all’esterno, presenta una facciata neoclassica suddivisa in tre fasce orizzontali; la fascia inferiore ha un rivestimento a bugnato, cioè di pietre sporgenti, sfaccettate con una particolare lavorazione, che creano un effetto decorativo raffinato; la parte centrale è preceduta da un atrio, sufficientemente largo da consentire il passaggio delle carrozze, ed è sormontata da un timpano triangolare, che ricorda quello dei templi greci, in cui è raffigurato il Carro di Apollo. L’eleganza contenuta dell’edificio rivela qual era la concezione dell’artista: facciata e muri perimetrali costituiscono solo un involucro; il vero cuore della costruzione è la sala interna, perfetta non solo dal punto di vista architettonico, ma anche da quello tecnico: l’acustica, elemento essenziale in un teatro, è infatti straordinaria. La scala ha la forma tipica a ferro di cavallo, con quattro file di palchi e due gallerie. Al centro pende un immenso lampadario. La 23
all’arrivo dei Francesi, al cui nuovo l’architetto cui si deve l’introduzione governo aveva aderito, fu soppiantato del Neoclassicismo in Italia, in realtà nel favore del pubblico da Luigi nelle sue opere non si riscontra Cagnola. quella fedelissima imitazione delle architetture greche e romane, come per esempio nella chiesa della Madeleine di Parigi o, sempre a Parigi, nell’Arco LA SCALA... IN MISURA di Trionfo,ma una tendenza alla La lunghezza del teatro alla Scala è di 100 m, la larghezza funzionalità e alla di 37,50 m. La sala interna, lunga 24 m, larga 21,50 m, razionalità che lo è alta 20 m (27,40 m fino al tetto). Il sottopalco misura rendono piuttosto il più di 6 m ed è diviso in due piani. I palchi sono 145. Può maggior esponente ospitare, nei 3 ordini di posti, 2800 spettatori. della cultura illuministica, che, in Italia, proprio a Milano ebbe le sue manifestazioni più interessanti. Piermarini, che era stato l’architetto più famoso durante il regno di Maria Teresa d’Austria e Giuseppe II,
decorazione è opera dell’artista neoclassico Giovanni Perego (1776-1817). Danneggiatissima dai bombardamenti del 1943, fu ricostruita identica all’originale, alla fine della seconda guerra mondiale, nel 1946. Piermarini eresse anche il teatro della Cannobiana (oggi distrutto), il teatro di Monza, anche questo distrutto, e il teatro Ducale di Mantova e quello di Crema, tuttora esistenti. Piermarini urbanista Professore di architettura all’accademia di Brescia, Giuseppe Piermarini mostrò un grandissimo interesse per l’urbanistica e a Milano realizzò una serie di interventi davvero interessanti: sua è la creazione dell’attuale corso Venezia, con la Porta Orientale come sfondo, e dei relativi giardini pubblici. Considerato 1
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1. La villa Reale di Monza 2. Il teatro alla Scala a Milano
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//l'Architettura è un abito al quale tutti tirano la giacca e ne escono termini sociali, problemi ecologici, urbanizzazioni e città \\ Paolo Baratta 29/09/2012 • 25/11/2012
LA REAZIONE RO Temi diversi soggetti diversi Temi caratteristici di quasi tutti i campi toccati dal movimento romantico sono: Negazione della ragione illuminista: gli autori romantici rifiutano l’idea illuministica della ragione, poiché questa non si è rivelata in grado di spiegare la totalità del mondo e di tutto ciò che è. Nell’era romantica si verifica pertanto un notevole progresso nell’esplorazione dell’irrazionale: i sentimenti, la follia, il sogno, le visioni assumono un ruolo di primaria importanza. Esotismo: è una fuga dalla realtà, che può essere sia temporale che spaziale (“Locus amoenus”) e perciò rivolge il proprio interesse verso mete esotiche o comunque lontane dai luoghi di appartenenza, oppure ad un’epoca diversa da quella attuale, come il Medioevo o l’età classica antica. Soggettivismo e individualismo: con l’abbandono della ragione illuministica, tutto ciò che circonda l’uomo, la natura, non ha più una sola e razionale chiave di lettura, ed è così che si arriva al concetto per cui ogni uomo riflette i propri problemi, o comunque il proprio io, nella natura, che ne diventa così il prodotto soggettivo. Concetto di popolo e nazione: una fonte di ispirazione dei poeti romantici è l’opera di Omero, che si prefigura come il risultato della tradizione orale e folcloristica dell’intero popolo greco antico; in questo periodo l’individualismo assume tra l’altro, su grandi dimensioni (quindi a livello di stato e/o nazione), l’aspetto del nazionalismo, sviluppando grande interesse per il popolare e le espressioni folcloristiche, spesso unito al desiderio di ricerca delle antiche origini da cui sono sorte le nazioni moderne: da qui il profondo interesse per il Medioevo, così disprezzato dall’Illuminismo, che viene considerato come periodo di nascita delle nazioni moderne e che perciò viene molto rivalutato. Ritorno alla religiosità ed alla spiritualità: oltrepassando i limiti della ragione stabiliti dagli illuministi, l’uomo romantico cerca stabili supporti nella fede e nella conseguente tensione verso l’infinito. Si determina così un ritorno all’utilizzo di pratiche magiche e occulte, a volte accidentale motivo di importanti scoperte scientifiche. Studio della Storia: mentre nel Settecento illuminista l’uomo veniva considerato quale essere razionale sempre dotato di dignità a prescindere dal suo particolare contesto storico, in età romantica si recupera una visione dell’uomo in fieri, cioè in costante cambiamento. Si sviluppano così nuove discipline come la numismatica, l’epigrafia, l’archeologia, la glottologia. Due importanti teorizzatori della lettura più scientifica e oggettiva della storia sono Mommsen e Niebhur. Parallelamente si sviluppa una forte critica allo spregiudicato uso del lume della ragione, che nel Settecento aveva condotto molti pensatori illuministi a stigmatizzare il popolo del Medioevo, ritenuto oppresso dal peso di una religione oscurantista: i romantici, predicando un ritorno alla religiosità e invitando al tuffo nella fede (oggetto d’indagine peraltro già affrontato da Pascal e successivamente da Kierkegaard), riabilitano i tempi “bui” del Medioevo, apprezzando quei caratteri che l’Illuminismo criticava (lo stesso Hegel finirà per rivalutare le religioni “positive”, condannate in età giovanile) 26
OMANTICA
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UOMO E NATURA La natura è dai tempi più antichi oggetto di indagine, d’ immaginazione e di contemplazione da parte di scrittori, poeti e artisti, che proiettano in essa le emozioni, gli stati d’animo e la propria concezione di vita. Nel Romanticismo la natura viene spesso scelta dagli artisti come il loro soggetto preferito, descrivendola con termini esaltanti: nessun periodo culturale-artistico ha mai visto il proliferare di così tante descrizioni sulla natura. Tra più grandi artisti rimasti affascinati dallo spettacolo naturale si riconosce John Constable, la cui sensibilità artistica sembra ricordare la concezione filosofica di Baruch Spinoza, Galilei, Goethe, Novalis e quella ancor più precedente di Seneca. Non si può inoltre dimenticare un altro eccellente interprete del rapporto Uomo-Natura, stavolta inteso sotto un’accezione negativa: Giacomo Leopardi.
John Constable
John Constable (1776-1837) era figlio di un mugnaio fin da piccolo trascorreva le sue giornate in mezzo al verde delle campagne inglesi, i cui paesaggi diventeranno i soggetti prediletti della sua pittura. Infatti, particolarmente attratto dalla natura e dalla sua riproduzione pittorica, l’artista inglese si interessa soprattutto al paesaggio che, essendo visto quale teatro dell’agire umano, assume per la prima volta la dignità di soggetto artistico autonomo. Barca in costruzione presso Flatford Il quadro rappresenta il punto di arrivo di un lungo periodo di studi che conduce l’artista alla consapevolezza che solo la conoscenza profonda e quotidiana della natura poteva ren28
dere possibile una pittura veramente capace di sestare emozioni. La scena rappresenta un rudimentale cantiere navale allestito presso il mulino di Flatford in cui il fulcro è il grande barcone in costruzione. L’attenzione quasi esasperata ad ogni minimo particolare è stata inaugurata dal vero, inaugurando la tecnica en plein air con cui l’artista testimonia un autentico e puro dialogo con la natura. Infatti, i veri soggetti della tela sono gli alberi in secondo piano, il fiume che scorre in lontananza e, al di là di esso, il dolce sfumare dei campi. Le figure umane vivono inseriti in questo ambiente ma non è loro il ruolo principale del dipinto bensì la natura e I suoi elementi, caratteristico di Constable ma anche di altri artisti del 19° secolo che cambiano il modo di dipingere paesaggi: da genere minore, poco diffuso, diviene una fra le maggiori forme artistiche di espressione. I pittori sono convinti che i paesaggi abbiano un significato intrinseco: lo stesso Constable afferma “painting is another name for feeling” ossia il paesaggio rappresentato non si riduce più ad una mera “riproduzione fotografica” ma il soggetto, ossia la natura, viene filtrato attraverso l’animo dell’artista che si proietta in essa riflettendo così le sue emozioni (l’equivalente pittorico del processo poetico di Wordsworth).
Anima Mundi
È nel periodo romantico che vengono riprese concezioni sulla natura che ritengano possegga un’anima, una forza come quelle platoniche e neoplatoniche che la intendevano in senso vitalistico, retta da un principio armonico e vivente (la cosiddetta “anima mundi”) e soprattutto quella spinoziana che,
nell’«Ethica more geometrico demonstrata» (1677) identificava Dio con la natura: da qui il panteismo romantico, che aveva le sue radici nel clima culturale dello Sturm und Drang e nella sua riscoperta di Spinoza. Dopo Galilei la natura era stata prevalentemente considerata come un ordine oggettivo e come un insieme di relazioni fattuali legate tra loro da cause efficienti. Ciò aveva indotto ad un rifiuto della concezione rinascimentale (quindi greca e medievale) e teleologica della natura. Reagendo alla disantropomorfizzazione e alla despiritualizzazione del cosmo effettuate dalla moderna scienza della natura, i romantici sono convinti che la natura e l’uomo condividano una legge spirituale ponendo così una legge spirituale ponendo così una stretta unità tra uomo e natura. Ciò è sentito particolarmente dai romantici tedeschi come in Goethe, profondamente convinto che la natura costituisca un tutto organico, di cui l’uomo è manifestazione, in qualità di forza creatrice (in un suo frammento lo scrittore tedesco scrive della natura: “artista incomparabile, senza apparenza di sforzo passa dalle opere più grandi alle minuzie più esatte”) e Novalis, che influenzato dalla filosofia idealistica, sviluppa una visione misticheggiante in cui ogni essere fisico della natura vive nello Spirito assoluto
Precedente dei Romantici
È interessante notare che un pensiero analogo si riscontra in Seneca: infatti come afferma il professor Luigi D’Amico nella sua relazione “La visione scientifica della natura nelle “Naturales Quaestiones””, Seneca dichiara
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di guardare l’universo meravigliato e stupito pervaso da un’estatica emozione che lo colpisce nell’animo facendogli rimembrare la grandezza di Dio, in quanto seguace della filosofia stoica. La necessità di comprendere i fenomeni naturali è, per Seneca, un mezzo per giungere alla salvezza e alla perfezione che avvicina l’uomo all’onnipotente. La scientificità di Seneca non può essere certo intesa in termini moderni, ma alcuni suoi atteggiamenti verso lo studio delle scienze naturali sono sicuramente ispirati da una curiosità ed un interesse che possono definirsi, sotto certi aspetti, scientifici. L’analisi scientifica è un modo per avvicinarsi a Dio cioè la comprensione dei fenomeni naturali è finalizzata a raggiungere la perfezione della conoscenza che a sua volta è uno strumento per perfezionare l’uomo.
Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi, nel “Saggio sopra gli errori degli antichi”, riporta il passo delle “Naturales quaestiones”, nel quale Seneca espone la teoria sulla natura e formazione delle comete, insieme alla sua incondizionata fiducia nel progresso inarrestabile delle conoscenze che porta all’elevazione dell’uomo. È curioso avvicinare il pensatore latino allo scrittore italiano in quanto vi è una dissonanza fra le loro concezioni di natura: infatti per Seneca la natura è essenzialmente vista in positivo in quanto è il mezzo che permette il processo di perfezionamento dell’uomo mentre la visione leopardiana è pervasa dall’idea della “natura matrigna”. Giacomo Leopardi, celeberrimo artista italiano dell’Ottocento, nelle sue “Operette morali” ha inserito anche il “Dialogo della Natura e di un Islandese” in cui la Natura viene personificata in una enorme donna dai capelli nerissimi e il “volto tra il bello e terribile” presentata come un’entità personale che persegue volutamente il male come elemento essenziale dell’ordine di natura. L’islandese, chiaramente identificabile come il portavoce di Leopardi, elenca i 30
mali che affliggono l’uomo: cataclismi, tempeste, le malattie, la decadenza fisica etc. Egli sostiene che il genere umano quindi sia destinato all’infelicità perché elemento essenziale dell’ordine naturale. Tuttavia in sua difesa la natura afferma che essa agisce inconsapevolmente e che “come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so”.
Ed oggi?
A differenza della natura leopardiana, l’uomo è consapevole che realizzando il suo dominio sulla natura ha causato e sta causando tutt’ora l’inquinamento e il degrado ambientale: già nel 1800 con l’avvenuta Rivoluzione industriale si riconoscevano le conseguenze dell’industrializzazione come il mutamento del paesaggio naturale con la costruzione di città e infrastrutture e la sua contaminazione. La Natura era considerata da tutta una tradizione, così come per i Romantici, come sacra e fonte dei valori più autentici. Allora è da chiedersi perché al giorno d’oggi non continuiamo più a difenderla e conservarla ma siamo diventati autori del suo deterioramento.
cosa state faccendo?
neoclassicismo
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