micropolis

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Progetto Alberto Bolzonetti Silvia Zaccaria – Docente Marco Tortoioli Ricci Corso Metodologia del progetto ISIA Urbino 2011 – In realizzazione con Scuola Primaria "G. Mazzini" Fabriano (AN) – Maestra Paola Cimarra Classe IV A Maggio/Luglio 2011


Indice 5

Introduzione

01 | Ispirazioni e teorie 9

Laboratorio per bambini

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Teorie per un laboratorio creativo

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Project Mourinho

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Laboratorio Zanzara

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La cittĂ dei bambini

02 | Oggetti in tasca 25

Tasche

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Primo incontro

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Giocare col bastone

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Secondo incontro

03 | (s)oggetti 43

Copertina

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Frontespizio

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Pagine interne

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Drillo il coccodrillo

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La storia di Navalleone

04 | Reportage 63

Fabriano, 17.05.2011

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Fabriano, 19.05.2011

05 | Conclusioni 89

Riflessioni finali

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Recensioni bibliografiche



Introduzione

L’idea di realizzare un laboratorio creativo per bambini nasce, nell'autunno del 2010, in occasione del corso di Metodologia del progetto tenuto dal docente Marco Tortoioli Ricci presso l'Isia di Urbino. In quell'occasione viene chiesto alla nostra classe di affrontare il tema della Micropolis, progettando e realizzando un evento pubblico che lo affronti liberamente attraverso i metodi della comunicazione visiva. Partendo dal presupposto che il micro è un’unita di misura infinitamente piccola, abbiamo subito deciso di concentrare la nostra attenzione sulle dimensioni ridotte e di rimpicciolire il nostro punto di vista affidandoci allo sguardo dei bambini. L'obiettivo è stato quello di stimolare la loro creatività e sensibilità, guidandoli nel raccontare ed analizzare il loro immaginario, con la consapevolezza che ogni singolo bambino possiede una sorprendente visione del mondo, un punto di vista che per noi rappresenta una vera e propria Micropolis. L'esperienza didattica proposta è stata avventura scolastica, un’indagine sotto forma di gioco che li ha visti protagonisti assoluti nello scoprire il loro micro-mondo. In questa piccola pubblicazione cercheremo in qualche modo di raccontarla attraverso testimonianze ed immagini.

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01 | Ispirazioni e teorie

Il bambino ha caro tutto ciò che entra nella piccola cerchia del suo mondo e che, per quanto poco, allarghi per lui questo mondo. La minima cosa è per lui una nuova scoperta. – Friederich Fröebel

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Laboratorio per bambini

Trovare il modo migliore per raccontare la Micropolis di un bambino è stato il nostro punto di partenza. Realizzare un laboratorio con una classe elementare ci è sembrata la strada giusta per entrare in contatto con questa straordinaria dimensione. Volevamo provare a capire innanzitutto come i bambini riescono a sviluppare un racconto in modo personale, attraverso gli strumenti che gli vengono offerti, e come si potesse "sfruttare" questa possibilità per sviluppare le nostre capacità di interpretazione della realtà da punti di vista differenti. Abbiamo così provato a progettare un laboratorio con l'intenzione di raggiungere un duplice scopo: raccogliere quanto più materiale possibile a testimonianza del loro immaginario, ed introdurre allo stesso tempo i bambini al mondo della grafica, facendoli lavorare con metodi simili a quelli che noi utilizziamo quotidianamente. Come punto di partenza ci siamo posti la consapevolezza che nessuno dei bambini, come tanti adulti, conosce la professione del grafico, gli ambiti in cui opera, la vastità del suo campo d’azione e l’importanza del suo agire. Senza entrare nei particolari di un sistema così complesso e di un discorso prolisso, abbiamo tentato di spiegare loro un semplice approccio alla grafica, un pensiero, un ragionamento: quello che deve esserci prima del raggiungimento di ogni risultato, in modo che questo sia ottimale. L’apprendimento deve stimolare i bambini a favorire l’attività, il confronto, la rielaborazione e riutilizzazione delle informazioni. L’esperienza progettuale proposta nel nostro caso ha voluto incoraggiare la loro creatività, aiutandoli a liberarsi dagli stereotipi e ad andare oltre il conosciuto e il vissuto quotidiano partendo dalla sua analisi. Ma perché un individuo che si è affacciato alla vita da pochi anni può essere in grado di insegnarci qualcosa? Nell’età

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01 | Ispirazioni e teorie

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in cui le mappe celebrali, le capacitĂ percettive e le strutture cognitive di base si formano e trasformano rapidamente, i bambini hanno bisogno di apprendere il piĂš possibile. Con il nostro laboratorio abbiamo cosĂŹ cercato di porre da un lato dei limiti, nel tentativo di educarli e tenerli lontani dai pericoli della completa autonomia, ma allo stesso tempo li abbiamo spinti a lasciare aperto il maggior numero possibile di spiragli di libertĂ , spazi di esplorazione incondizionati che sempre meno hanno occasione di incontrare nei loro micromondi quotidiani.


Teorie per un laboratorio creativo

Nella scuola dell’infanzia un laboratorio consente di fare esperienza diretta con le cose, di guardare con i propri occhi, di toccare con le proprie mani, di soddisfare la propria curiosità, di cercare delle ragioni, di ricevere ed accettare spiegazioni. Il bambino si basa su ciò che accade direttamente sotto i suoi occhi, si muove alla luce di ciò che direttamente lo coinvolge, le sue reazioni sono immediate e in presa diretta. Attraverso l’esperienza del laboratorio il bambino può cogliere l’occasione, mentre svolge la propria attività diretta, di appropriarsi di strumenti per fare ricerca: via via che svolge la propria attività, si interesserà sempre di più ed in modo più approfondito alla soluzione di problemi, al desiderio di trovare ragioni nascoste, all’esigenza di elaborare dei metodi personali e/o condivisi dagli altri. I laboratori per la scuola dell’infanzia rappresentano un’occasione di rinnovamento della scuola. L’organizzazione di spazi-laboratorio rappresenta forse oggi la soluzione didattica più ricca e produttiva, sia per ciò che riguarda i processi di apprendimento, che per quelli relativi alla socializzazione. Fare un laboratorio significa garantire la possibilità ai bambini di fare delle cose e, nel frattempo, di riflettere sulle cose che stanno facendo. Nel laboratorio è possibile curiosare, provare e riprovare, concentrarsi, esplorare, cercare delle soluzioni, agire con calma, senza l’assillo di un risultato ad ogni costo. L’attività di laboratorio favorisce l’esperienza immediata diretta, individualizzata o di gruppo, ed in particolare consente di accedere alle conoscenze ed alle esperienze intese come strumento attivo, ossia per acquisire conoscenze immediatamente utilizzabili e orientate a fini pratici: il loro scopo è quello di fornire abilità materiali e legate all’esperienza quotidiana. Un laboratorio permette inoltre ai bambi-

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ni di attivare gli apprendimenti secondari, ossia di cogliere l’occasione, mentre si impara, per imparare ad imparare, oltre a favorire le capacità inventive e la creatività. I materiali costituiscono la base necessaria per la realizzazione di qualsiasi prodotto; gli strumenti possono essere intesi come “oggetti-protesi” che servono per produrre altri oggetti; le tecniche sono caratterizzate dalla modalità dell’agire sulla materia. Le abilità costruttive e creative delle bambine e dei bambini che operano in un laboratorio espressivo sono traducibili in antinomie bipolari della riproduzione/imitazione e della invenzione/creatività: il primo binomio rimanda alla capacità di riprodurre la realtà effettuandone la “copia”; il secondo rimanda alla capacità di reinterpretare e trasfigurare la realtà. Il laboratorio non è solamente un “luogo” ma anche una situazione. L’idea di pensiero sociale sarebbe utile cominciasse a prender piede nelle nostre scuole. La scuola d’infanzia dovrebbe essere una palestra di sviluppo non solo per i contenuti e le esperienze che propone, ma anche per il contesto d’apprendimento che la caratterizza. Tuttavia perché l’azione sia efficace, occorre tener presenti alcune condizioni: occorre innanzitutto che il tema proposto sia motivante, d’interesse per i bambini e favorisca la produzione di idee. Questo accade quando essi s’immergono nella soluzione di un problema. Occorre che i bambini entrino in una discussione e non in una semplice conversazione. Solamente la prima è infatti orientata alla “soluzione di un problema”, è quindi diretta ad uno scopo, ha una direzione precisa. È necessario che i bambini abbiano un rapporto faccia a faccia, mantengano una situazione nella quale siano favoriti in misura massima gli scambi. Lo scambio con gli altri diventa “strumento psicologico” per imparare a pensare. Questo rimanda ad un problema di metodo. Ci fa pensare che


Teorie per un laboratorio creativo

l’apprendimento sia un processo sociale che richiede la presenza degli altri in una situazione dove sia possibile lo scambio, e non un fatto meramente individuale come più tradizionalmente molti pensano. Se questo è vero, occorre ripensare profondamente l’azione didattica, così come viene di consueto svolta nella scuola dell’infanzia. L’apprendimento appare come un fenomeno corale e non solitario, un’esperienza solidale e non individuale, si manifesta come un processo di condivisione fortemente influenzato dal contesto. Conseguentemente il lavoro per piccoli gruppi di bambini non rappresenta un’opportunità fra le tante, ma un preciso modo di promuovere efficacemente l’azione didattica. – Una premessa significativa per il nostro laboratorio la possiamo trovare nelle “cianfrusaglie” e nel museo didattico delle sorelle Agazzi. Rosa Agazzi, a partire dal contenuto delle tasche dei bambini, riconosce il bisogno e la capacità di esplorazione e di scoperta, il gusto di controllare costantemente che cosa accade nel mondo che li circonda. L’educazione deve tener conto dell’ambiente di vita, composto di materiali e di oggetti così come le persone, all’interno del quale la bambina ed il bambino crescono. Di conseguenza è utile che il bambino rimanga costantemente in contatto col mondo esterno e ad esso deve fare riferimento costantemente. Anche per Maria Montessori la scuola come ambiente deve essere adattata alla vita ed alle esigenze del bambino. Il compito principale dell’educazione è quello di fare del bambino il protagonista della propria educazione partendo dal metodo e dal materiale. La studiosa marchigiana tende a valorizzare il “bambino laborioso” che va alla ricerca di una propria autonoma capacità di apprendimento. Un rilievo particolare assume

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01 | Ispirazioni e teorie

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l’intelligenza delle mani e la pedagogia del fare: in questo modo il bambino prova se stesso e si mette alla prova, saggiando le proprie potenzialità. L’interesse rappresenta la tensione costruttiva dell’uomo a interagire con la realtà che lo circonda, a stabilire un confronto e un collegamento fra sé e gli altri. Esso deve essere la molla che attiva il bambino nel suo rapporto con il laboratorio. L’interesse è curiosità, apertura, desiderio di esplorazione, voglia di fare. È la tensione a superare ciò che è già noto e fa parte del proprio campo d’azione per andare oltre, per dirigersi verso ciò che non è ancora noto, per aprirsi alla scoperta, al dialogo, all’incontro. Affinchè un laboratorio favorisca l’interesse, deve essere accattivante nell’offerta che propone: è un luogo nel qualei bambini possono e devono buttarsi in prima persona.


Come se le cose per loro natura avessero la qualità di stabilire relazioni tra gli esseri umani, di rendere concrete queste relazioni. Le “cose”, gli “affari”, consentono di non restare distanti, permettono di avere una presa, di tenere la relazione con gli altri. – Franco La Cecla


01 | Ispirazioni e teorie

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Morrinho Project

Morrinho Project è un progetto sociale e culturale realizzato in Brasile nella favela Pereira da Silva, il cui obiettivo principale è quello di portare un cambiamento positivo alla comunità locale. Il progetto nasce con l’intenzione di migliorare la diffusa percezione delle favelas come baraccopoli dominate dalla violenza e dalla malavita. All’interno di Morrinho Project i ragazzi realizzano delle istallazioni che riproducono la favela con dei mattoni colorati e materiali riciclati. Il progetto riproduce in scala ridotta l’architettura della favela Pereira da Silva, che si trova nella zona sud di Rio de Janeiro. Iniziato come gioco tra bambini e per bambini nel 1997, si è evoluto fino a diventare progetto artistico e di recupero. Da un lato è un modo per tenere occupati i bambini, allontanandoli da altri richiami più pericolosi, dall’altro un modo per mostrare un’altra faccia della favela. Basta andare su You Tube per vedere come la spettacolarizzazione della povertà contenuta nelle loro opere d'arte non sia un fatto estetico ma la necessità di mostrare l'identità delle favelas come una delle componenti della vita quotidiana del Brasile contemporaneo. Morrinho Project attira l'attenzione per l’incredibile estetica e per l'ingegnosità dei ragazzi-progettisti che la realizzano. Non rappresenta solamente un lavoro artistico, ma l'aspirazione a un futuro cambiamento sociale. Sono quattro i progetti finora realizzati: TV Hill, Turismo a Hill, Expo Morrinho e Morrinho Sociale. Iniziative come questa svolgono un ruolo importante nella collettività e permettono di contribuire direttamente allo sviluppo sociale, culturale ed economico delle aree circostanti.

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01 | Ispirazioni e teorie

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Laboratorio Zanzara

Le motivazioni che animano lo spirito del Laboratorio Zanzara si basano su due principi elementari: creare un ambiente che rispetti i tempi creativi e lavorativi dei soggetti che vi partecipano e riconoscere le persone patrimonio attivo in ogni realizzazione del laboratorio. I prodotti realizzati dai ragazzi e dalle ragazze, rappresentano l’esempio tangibile di un’esperienza allargata e condivisa da tutti i partecipanti. Nella prima fase, quella della conoscenza, vengono recuperate e consolidate le esperienze individuali di ogni singolo, attraverso un lungo e complesso scambio di opinioni che ha come obiettivo la conoscenza reciproca. Il gruppo di lavoro permette di socializzare le esperienze, organizzare gli spazi necessari e definire gli obiettivi comuni. L’Associazione Zanzara è una associazione culturale nata con l’intento di diffondere l’esperienza e l’approccio maturato al Laboratorio Zanzara. In sintesi è un progetto di cittadinanza. La finalità dell’associazione è quella di divulgare i segni espressi (attraverso la grafica, l’arte applicata, la scrittura, il teatro, la musica e la fotografia) che vengono realizzati da persone che vivono, per ragioni differenti, situazioni di disagio e marginalità culturale. Oggi le principali attività creative del Laboratorio Zanzara si concentrano su due tecniche espressive: con la prima vengono realizzati oggetti decorativi come lampade, vasi e pannelli luminosi con la cartapesta; la seconda attività, di tipo grafico e testuale, contempla la produzione e l’uso dei segni grafici elaborati dai partecipanti al progetto su specifici temi concordati di volta in volta. I segni, ossia le immagini grafiche, le frasi o le singole parole composte per illustrare gli argomenti trattati, vengono successivamente composti in veste editoriale per confezionare annualmente l’agenda e il calendario.

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01 | Ispirazioni e teorie

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La città dei bambini

Il progetto La città dei bambini nasce a Fano nel maggio 1991. Rifiutando una interpretazione di tipo educativo o semplicemente di supporto ai bambini, il progetto si è dato fin dall’inizio una motivazione politica: operare per una nuova filosofia di governo della città assumendo i bambini come parametri e come garanti delle necessità di tutti i cittadini. Non quindi un maggior impegno per aumentare le risorse e i servizi a favore dell’infanzia, ma per una città diversa e migliore per tutti, in modo che anche i bambini possano vivere un’esperienza da cittadini, autonomi e partecipanti. Il progetto si fonda su diverse motivazioni, tra cui le più importanti e significative sono sintetizzate qui di seguito. Il potere del cittadino adulto lavoratore è dimostrato dall’importanza che l’automobile ha assunto nella nostra società, condizionando le scelte strutturali e funzionali della città e creando gravi difficoltà per la salute e la sicurezza di tutti i cittadini. I laboratori che nascono nelle varie città vengono costituiti solitamente dalle Amministrazioni comunali, che elaborano il progetto tenendo conto delle esigenze e delle risorse locali, programmandone le attività e curandone lo sviluppo. Essi tengono i rapporti fra il sindaco e i vari assessorati coinvolti e i bambini, oltre che con il coordinamento nazionale ed internazionale del progetto.

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02 | Oggetti in tasca

Gli oggetti personali detengono, oltre al proprio significato materiale di utilizzo, un valore di ricordo, trasmettitore di una memoria personale e collettiva. L’oggetto diviene metafora del vivere. – Franco La Cecla

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Tasche

In molti percorsi progettati da insegnanti nelle scuole dell’infanzia e nella scuola primaria, l’avvio di un progetto nasce sempre più spesso da una prima fase chiamata, da alcuni pedagogisti, "fase del fare spontaneo". Che cosa sono le tasche rigonfie dei bambini? Spazi in cui nulla sembra fuori luogo e all'interno dei quali ogni cosa trova una propria collocazione. Brandelli di mondo scelti, posseduti per conoscerlo meglio e imparare ad orientarsi al suo interno. Questo è stato il punto di partenza del nostro laboratorio, in cui i protagonisti sono stati gli oggetti e le cose di cui una persona si circonda, che in qualche modo ne identificano l'anima. Oggetti, trovati in terra, presi dallo zaino o dal sottobanco, portati da casa, che attraverso la fantasia e l'immaginazione divengono soggetti e materiale vivo con cui lavorare. La dinamica è quella di esplorare il mondo, cogliere un oggetto, rapirlo e posizionarlo in una tasca, per poi estrarlo e rivederlo in uno spazio nuovo, dove può essere buttato, ripreso, o infine conservato. Lo scopo, raccontare il mondo dei bambini.

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02 | Oggetti in tasca

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Primo incontro

Obiettivi e fasi di lavoro 1. Breve introduzione sugli oggetti: tutti abbiamo un oggetto a cui teniamo particolarmente e che portiamo spesso e volentieri con noi. In tasca mettiamo di tutto, e cosa succede se a un certo punto gli oggetti prendono vita? Un pupazzo, una figurina, un braccialetto possono diventare qualcos’altro se solo usiamo l’immaginazione. Partendo dalla suggestione propria dei bambini secondo la quale gli oggetti sono intrisi di un’energia vitale segreta all’uomo, cercheremo di costruire un racconto. Gli oggetti prendono vita, si rincorrono, danzano, camminano. Comincia così il viaggio dell’oggetto-personaggio a partire dalla tasca, alla ricerca di una storia fantastica. 2. Fase brainstorming: dopo aver letto una breve filastrocca di Gianni Rodari, attraverso la lavagna multimediale, proviamo insieme ai bambini ad immaginare cosa potrebbe diventare un semplice oggetto, usando fantasia ed immaginazione. 3. Introduzione al progetto di un piccolo libro: costruire una storia con l’oggetto scelto che, divenuto "soggetto", entrerà nelle tasche dei pantaloni per immegersi in un mondo immaginario. 4. Fase narrativa: i bambini iniziano a scrivere la loro storia (che completeranno a casa o in classe...). – Materiali Oggetti a disposizione, lavagna multimediale, proiettore, pennarelli. – Tempi di esecuzione 2/3 ore.

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02 | Oggetti in tasca

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studenti anni giorni oggetto a testa kit di matite = 20 storie illustrate La nostra esperienza laboratoriale inizia il 17 maggio presso la scuola primaria G. Mazzini di Fabriano (An). La classe che ci affidano per il progetto è una quarta elementare di 20 bambini, di cui la maggioranza maschi. Con grande curiosità ci accolgono e ci chiedono subito chi siamo. Ci presentiamo e spieghiamo immediatamente loro di aver bisogno di un aiuto, di una vera e propria collaborazione per realizzare una serie di racconti brevi, comprensivi di testo e illustrazioni. Cominciamo la nostra esperienza con la lettura di una filastrocca di Gianni Rodari, per la forte affinità riscontrabile con la prima parte del laboratorio. Attraverso questo breve racconto introduciamo così i bambini alla tematica del nostro progetto: guardare gli oggetti da un'altra prospettiva. Per fare ciò richiediamo loro di elaborare e "personificare" alcune immagini di oggetti da noi proiettate alla lavagna multimediale, con lo scopo di farli entrare a pieno


Primo incontro

nel meccanismo del “gioco”. Cominciano liste interminabili di esempi (oltre ogni nostra aspettativa). Come accennato nei capitoli precedenti, constatiamo immediatamente come questa fase diventa un vero e proprio momenti di sfogo. Appena compreso il processo, i bambini si lasciano andare ad un'infinità di esempi, essenziali per l’interiorizzazione del discorso: una cucitrice diventa un piranha con l'apparecchio, una pinza si trasforma in una farfalla, una chiave muta nella proboscide di un elefante. In questa prima parte dell’incontro i bambini sono invitati a collaborare tra loro, ad evitare di creare confusione senza sovrapporsi. A questo proposito Munari si esprime in questo senso: "La discussione collettiva […] verifica se il messaggio viene ricevuto o no, come viene ricevuto e perché viene ricevuto in quel modo. Le osservazioni sono utili a tutti, ognuno allarga le sue conoscenze, perfeziona i suoi mezzi di comunicazione visiva, chiarisce le sue decisioni. Il lavoro di gruppo è l’insieme di tutti questi valori, la somma delle personalità più diverse, dove ognuno dà il meglio di sé allo scopo di produrre qualcosa di veramente funzionante, di utile alla collettività, sia pure nel senso dell’allargamento della conoscenza". Nel corso del laboratorio abbiamo potuto constatare come sia necessario portare ai bambini esempi concreti, confrontabili con la loro esperienza diretta. Difficilmente, almeno che non guidati, riescono ad intraprendere un pensiero che esuli dal loro vissuto, ad astrarsi dalla consuetudine. Parlare appunto di cose astratte, ipotetiche, li destabilizza e riportano sempre il discorso a qualcosa che li riguarda strettamente, che gli appartiene. Non riconoscono problemi che non siano legati alla loro esperienza, che non abbiano vissuto in prima persona. Come far fronte a questo “ostacolo”?

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02 | Oggetti in tasca

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A giocare col bastone

Un giorno il piccolo Claudio giocava sotto il portone, e sulla strada passò un bel vecchio con gli occhiali d’oro, che camminava curvo, appoggiandosi a un bastone, e proprio davanti al portone il bastone gli cadde. Claudio fu pronto a raccoglierlo e lo porse al vecchio, che sorrise e gli disse: — Grazie, ma non mi serve. Posso camminare benissimo senza. Se ti piace, tienilo. E senza aspettare risposta si allontanò, e pareva meno curvo di prima. Claudio rimase li col bastone fra le mani e non sapeva che farne. Era un comune bastone di legno, col manico ricurvo e il puntale di ferro, e niente altro di speciale da notare. Claudio picchiò due o tre volte il puntale per terra, poi, quasi senza pensarci, inforcò il bastone ed ecco che non era più un bastone, ma un cavallo, un meraviglioso puledro nero con una stella bianca in fronte, che si slanciò al galoppo intorno al cortile, nitrendo e facendo sprizzare scintille dai ciottoli. Quando Claudio, meravigliato e un po’ spaventato, riuscì a rimettere il piede a terra, il bastone era di nuovo un bastone, e non aveva zoccoli ma un semplice puntale arrugginito, né criniera, ma il solito manico ricurvo. — Voglio riprovare, — decise Claudio, quando ebbe ripreso fiato. Inforcò di nuovo il bastone, e stavolta esso non fu un cavallo, ma un solenne cammello a due gobbe, e il cortile era un immenso deserto da attraversare, ma Claudio non aveva paura e scrutava in lontananza, per veder comparire l’oasi. — E’ certamente un bastone fatato” — , si disse Claudio, inforcandolo per la terza volta. Adesso era un’automobile da corsa, tutta rossa, col numero scritto in bianco sul cofano, e il cortile una pista rombante, e Claudio arrivava sempre

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primo al traguardo. Poi il bastone fu un motoscafo, e il cortile un lago dalle acque calme e verdi, e poi un’astronave che fendeva lo spazio, lasciandosi dietro una scia di stelle. Ogni volta che Claudio rimetteva il piede a terra il bastone riprendeva il suo pacifico aspetto, il manico lucido, il vecchio puntale. Il pomeriggio passò veloce tra quei giochi. Verso sera Claudio si riaffacciò per caso sulla strada, ed ecco di ritorno il vecchio dagli occhiali d’oro. Claudio lo osservò con curiosità, ma non poté vedere in lui niente di speciale: era un Vecchio signore qualunque, un po’ affaticato dalla passeggiata. — Ti piace il bastone? — egli domandò sorridendo a Claudio. Claudio credette che lo rivolesse indietro, e glielo tese, arrossendo. Ma il vecchio fece cenno di no. —Tienilo, tienilo, — disse. — Che cosa me ne faccio, ormai, di un bastone? Tu ci puoi volare, io potrei soltanto appoggiarmi. Mi appoggerò al muro e sarà lo stesso. E se ne andò sorridendo, perché non c'é persona più felice al mondo del vecchio che può regalare qualcosa ad un bambino.

– Gianni Rodari, Favole al telefono, Einaudi, Torino, 1962


Il bambino ha caro tutto ciò che entra nella piccola cerchia del suo mondo e che, per quanto poco, allarghi per lui questo mondo. La minima cosa è per lui una nuova scoperta. – Friederich Fröebel

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Secondo incontro

Obiettivi e fasi di lavoro 1. Raccolta contenuti: i bambini arrivano con la loro storia completata e con alcune frasi selezionate, che andranno a completare le illustrazioni del libro. 2. Spiegazione progetto editoriale: spieghiamo ai bambini il procedimento per realizzare un libro illustrato. Dopo aver guardato alcuni esempi assieme, i bambini apprendono prima come comporre la copertina ed il frontespizio, per poi proseguire con la struttura delle pagine interne. Cerchiamo di far capire loro come usare lo spazio delle pagine, tenendo conto di testo ed immagini. Anticipiamo che i colori a disposizione per la realizzazione del libro saranno solamente tre (blu, rosso e nero). 3. Copertina e frontespizio: con il nostro supporto i bambini realizzano la copertina del libro. Cosa va inserito? C’è un titolo in grande, un’immagine, il nome dell’autore. Successivamente ogni bambino impagina il proprio frontespizio con l'uso di immagini e tipografia. 4. Fase illustrativa delle pagine interne: ogni bambino realizza 3/4 tavole all’interno del libro, cercando di integrare le illustrazioni alle frasi selezionate in precedenza. 5. Discussione finale: esposizione collettiva degli elaborati. – Materiali Oggetti, libretti, pastelli ad olio rosso e blu, carte colorate (solo blu e rosso), penna nera. – Tempi di esecuzione 3 ore.

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Secondo incontro

Dopo solo tre giorni torniamo a Fabriano per completare il laboratorio con i bambini della IV A. Il programma del secondo incontro prevede la costruzione vera e propria del libro. Subito mettiamo in chiaro le varie fasi da rispettare per riuscire tutti a completare il lavoro nei limiti imposti dall'orario scolastico. Affrontiamo subito alcune delle costanti riferite al libro come oggetto. Com’è fatto un libro? Qual è la regola costruttiva? Quale formato? Che rilegatura? Come possiamo intervenire sulla pagina? Tante domande a cui i bambini cercano di dare una risposta. Un libro è un oggetto, con tanti fogli tenuti insieme dalla rilegatura. I fogli in questo modo non si disperdono e il libro si può sfogliare. La prima facciata è la copertina. Ci possiamo scrivere il nome, il titolo, mettere un’immagine: la lettura e l’osservazione del libro è più attenta e precisa. A ciascun bambino abbiamo distribuito tutto il materiale necessario per la realizzazione del libro: una copertina, il numero esatto di fogli necessari per le pagine interne, ed un kit, composto da due pastelli ad olio di colore blu e rosso, una matita colorata bicromatica e una penna nera. Alcuni pensano ancora che fornire delle regole sia un limite per la creatività, che il bambino non possa disegnare più quello che vuole e quindi si possa stancare presto, ripetendo quello che sa già fare. Ma non è solo una questione di pigrizia: il problema è molto più complesso. Il bambino è già portato di suo al disegno, mostrando immediatamente le sue doti e la personale disponibilità. Una buona educazione alla comunicazione visiva lo può tuttavia portare a scoprire tecniche e regole del linguaggio nuove, attraverso prove ed esperimenti. I materiali servono a dare campo ai messaggi, tutti diversi e originali: il laboratorio così si arricchisce e diventa sempre più attivo. Inizialmente i bambini, spiazzati da queste regole così limitative, chiedevano ripetutamente

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una spiegazione sul perchè non potessero utilizzare penne e pastelli che custodivano gelosamente nei loro astucci. Ma superato lo scoglio iniziale il gioco è diventato un divertimeno: hanno scoperto che un ape gialla e nera poteva essere disegnata anche con colori diversi, restando pur sempre un'ape; si sono scoperti interessanti illustratori e, spinti anche dai nostri consigli e incoraggiamenti, hanno disegnato fino al suono della campanella con curiosità ed entusiasmo. Una fase interessante della mattinata è stata la realizzazione dei vari frontespizi. Tra le incertezze dei bambini, che non si sentivano all'altezza di realizzare scritte "belle come quelli dei libri veri", abbiamo improvvisamente proposto alla classe di sperimentare una nuova tecnica: avevamo portato con noi una serie di vecchi Letraset trovati in cantina e li abbiamo tirati fuori, insegnando loro quale fosse in loro funzionamento. In pochi minuti tutti avevano un foglio di caratteri in Helvetica o Balloon sul proprio banco e i risultati sono stati veramente inaspettati. Al termine delle tre ore (forse un pò poche per la mole di lavoro proposta) ogni bambino ha terminato di illustrare la propria storia ed insieme, negli ultimi minuti, li abbiamo rilegati alle copertine con un semplice filo di lana rossa. Suonata la campanella abbiamo dovuto ritirare le 20 copie per preparare la documentazione in vista del Festival di Architettura di Perugia, dove i primi di giugno abbiamo presentato insieme alla classe i vari progetti di Micropolis. La soddisfazione più grande ci è arrivata l'ultimo giorno di scuola quando, alla riconsegna dei libri, abbiamo ricevuto i ringraziamenti della maestra Paola per averli riportati ai bambini, che ormai da due settimane chiedevano quotidianamente quando sarebbero tornati Alberto e Silvia.


03 | (s)oggetti

Dopo la ricreazione, ad esempio, il sottobanco diveniva, durante la spiegazione della maestra, il luogo in cui erano depositati gli oggetti raccolti in cortile, ordinati o accatastati, nel transito di un’ulteriore scelta tra ciò che si sarebbe trattenuto e portato a casa e quello che si sarebbe inevitabilmente abbandonato. – Vanna Iori


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Copertina


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Copertina

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Frontespizio

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Frontespizio

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Pagine interne

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Drillo il coccodrillo

Molto tempo fa, c’era un coccodrillo di nome Drillo. Viveva in un lago tranquillo e un giorno una strega lo colpì con la sua maledizione che ti faceva diventare piccolo piccolo. Così Drillo troppo piccolo per vivere nel lago, se ne andò. Vagò per il mondo e si fece molti amici. Un giorno un bambino di nome Simone lo prese: era un bambino molto crudele e collezionava teste di lucertole morte. Drillo venne intascato. Nella tasca trovò altri coccodrilli: Cocco, Drillococco, Allocco, Coccolina ed altri ancora. Bucò la tasca con la sua dentatura a molletta e liberò tutti i coccodrilli. Drillo diventò il loro capo per il suo coraggio.

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03 | (s)oggetti

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Drillo il coccodrillo

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La storia di Navalleone

Un giorno passeggiavo nel parco quando ad un tratto sentii qualcuno chiamarmi, ma feci finta di niente e continuai a camminare. Dopo un po’ sentii qualcosa entrare nella tasca destra ma continuai a camminare come se niente fosse. A un certo punto qualcuno mi chiamò, mi voltai di scatto ma niente: la voce proveniva dalla mia tasca. Una piccola navicella spaziale che si chiamava Navalleone. Cominciai a parlargli e dopo un po' prese confidenza con me. Cominciò a raccontarmi la sua storia ma non sapevo più come farlo smettere! Capii che avevo ricevuto una missione: dovevo accompagnarlo sul monte più alto della città. Andai e lo accompagnai più in alto che potevo, gli diedi una spinta e Navalleone volò fino in cielo e dal cielo fino allo spazio.

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La storia di Navalleone

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04 | Reportage

L'individuo creativo è in continua evoluzione e le sue possibilitĂ creative nascono dal continuo aggiornamento e dall'allargamento della conoscenza in ogni campo. – Bruno Munari

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04 | Reportage

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04 | Reportage

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04 | Reportage

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05 | Conclusioni

Formare una persona creativa prende e dà continuamente cultura alla comunità, cresce con la comunità. Per aiutare la crescita collettiva è necessario liberare i bambini da tutti i condizionamenti, sviluppare ogni personalità perchè vada ad incidere nella crescita collettiva. – Bruno Munari


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Riflessioni finali

Come afferma Bruno Munari: "La società del futuro è già tra noi, la possiamo vedere nei bambini. Da come crescono e si formano i bambini possiamo pensare a una società futura più o meno libera e creativa. Dobbiamo quindi liberare i bambini da tutti i condizionamenti e aiutarli a formarsi. Sviluppare ogni personalità perché questa possa aiutare la crescita collettiva". In questa citazione si racchiude la nostra speranza per i prossimi laboratori. Attribuire una dimensione etico-sociale a questo tipo di attività ci sembra il modo più interessante per produrre dei risultati utili e stimolanti per il bambino. Proporre una serie di laboratori sviluppati in questa direzione rappresenta il nostro futuro obiettivo: l’importante è rendere queste operazioni portatrici di contenuti legati all’esperienza e di stimoli in grado di sollecitare azione e interesse nei bambini. I bambini devono essere inseriti nel mondo e hanno il diritto di affrontare tutto quello che è esperienza dell’uomo, fatte le dovute mediazioni, ma senza riduzioni. Nei primi anni della sua vita, l’individuo si forma e resterà tale per tutta la sua vita. Dipende dagli educatori se questa persona sarà poi una persona creativa o se sarà un semplice ripetitore di regole. Dipende da questi primi anni, dall’esperienza e dalla memorizzazione dei dati, se l’individuo sarà libero o condizionato. Gli adulti dovrebbero rendersi conto di questa grandissima responsabilità, dalla quale dipende il futuro della società umana. Il nostro obiettivo futuro sarà quello di spingere i bambini ad affrontare argomenti connessi alla collettività e alla socialità, operazione utile per tratteggiare il profilo di un futuro cittadino. Prestare attenzione nei confronti delle problematiche attuali, attraverso le dinamiche di un laboratorio, permette ai bambini di analizzare e osservare la realtà che li circonda, il luogo in cui vivono.

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Del resto è più giusto occuparsi dei problemi sociali, più che dei problemi individuali. I problemi sociali riguardano la collettività, cosa che sempre è esistita e che esisterà sempre finché ci saranno individui. La crescita culturale della collettività dipende da noi come individui, dipende da quello che diamo alla collettività.


Recensioni bibliografiche

Bruner Jerome, The Culture of education, Harvard University, Press 1996

– Nel testo La cultura dell’educazione, Jerome Bruner afferma che alla base dell’azione formativa ci sono precisi modelli della mente e dell’apprendimento, dotati di conseguenze altrettanto riconoscibili sulle pratiche di insegnamento e sulle modalità di apprendimento degli alunni. Questi modelli sarebbero sostanzialmente quattro: i bambini apprendono per imitazione, i bambini apprendono per esposizione didattica, i bambini come pensatori, i bambini come soggetti intelligenti. Secondo Bruner ciascuno di questo modelli ha il proprio ambito di validità, per questo essi dovrebbero essere fusi in un’unità coerente, una teoria integrata del processo di insegnamento-apprendimento.

Bruner Jerome, On Knowing. Essays for the left hand, Cambridge, The Belknap Press of Harvard University, Press, 1964

– Nel 1964, Jerome Bruner ne Il Conoscere . Saggi per la mano sinistra evidenziava come i giochi offrono a bambini e adolescenti sistemi aperti di interazione, che consentono loro molteplici esperienze con se stessi e con gli altri, attivando processi sociali positivi. Si pensi ai giochi cooperativi che offrono modelli reversibili delle strutture sociali controllate della vita quotidiana, riducendo ansia e conflittualità; offrono, infatti, una riduzione selettiva della complessità, ridimensionando l’insicurezza e la paura, liberando energie interiori, riconoscimento, sicurezza, piacere e sentimenti.

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Jean Piaget, La rappresentazione del mondo del fanciullo, Torino, Universale Bollati Boringhieri, 1966

– La più importante teoria sullo sviluppo mentale del bambino, la prima ad averne analizzato sistematicamente, col metodo clinico di esplorazione delle idee, la percezione e la logica, è quella elaborata da Jean Piaget (18961980). Egli ha dimostrato sia che la differenza tra il pensiero del bambino e quello dell'adulto è di tipo qualitativo (il bambino non è un adulto in miniatura ma un individuo dotato di struttura propria) sia che il concetto di intelligenza (capacità cognitiva) è strettamente legato al concetto di "adattamento all'ambiente". L'intelligenza non è che un prolungamento del nostro adattamento biologico all'ambiente. L'uomo non eredita solo delle caratteristiche specifiche del suo sistema nervoso e sensoriale, ma anche una disposizione che gli permette di superare questi limiti biologici imposti dalla natura. Adriano Pagnin e Stefania Vergine, Il pensiero creativo, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1974

– Fu J.P.Guilford nel 1950 ad evidenziare le contraddizioni e l’inefficacia di un concetto ristretto di intelligenza che utilizzi soltanto quello che lui definì il “pensiero convergente” per spiegare i fenomeni e per fornire soluzioni. Il "pensiero convergente" consiste essenzialmente nel riconoscere e riprodurre una sola possibilità di soluzione giusta. Il “pensiero divergente”, al contrario, si muove in più direzioni e porta a molte soluzioni individuali, tra cui quella solita non rappresenta che una delle strade possibili. Adottare un pensiero divergente corrisponde quindi alla possibilità di generare idee nuove, indipendenti, originali e per nulla scontate. Alcuni studiosi hanno approfondito il legame sottile che unisce il pensiero divergente alla creatività umana. L’uso del pensiero divergente può aiutare l’individuo, e in particolar modo il bambino, ad ampliare e a promuovere la propria creatività. Parliamo di creatività quando i bambini manifestano ingegno, quando riconoscono nessi che normalmente passerebbero inosservati, quando propongono soluzioni insolite per i soliti problemi.


Recensioni bibliografiche

Birgit Fuchs, Fare gruppo, Molfetta (BA), Edizioni la Meridiana, 2006

– Si possono mettere d'accordo tutti i componenti di un gruppo dove ci sono i paurosi e i gradassi, quelli che si fanno sempre avanti e i timidi, gli eterni burloni e i riservati, senza che ci siano continue arrabbiature o addirittura drammatici scontri? Saper osservare, ascoltare e comunicare con sensibilità è essenziale per formare un'atmosfera di fiducia in un gruppo. Infatti, una comunità che sa riconoscere i bisogni dei singoli e li affronta in modo costruttivo, genera relazioni di fiducia. Questa raccolta di giochi costituisce una miniera di stimoli per imparare a conoscere meglio se stessi e gli altri e, divertendosi insieme, rafforzare relazioni interpersonali stabili e basate sul rispetto reciproco. Cristina Francucci e Paola Vassalli, Educare all’arte, Milano, Electa, 2005

– È rivolto alle librerie-bookshop dei musei, alle università, alle accademie e agli istituti di formazione, alle scuole dell'infanzia, elementari e medie inferiori; a operatori didattici, insegnanti e famiglie. Il volume si articola in due sezioni: la prima raccoglie scritti dei maggiori esperti italiani che compongono un efficace e aggiornato quadro della didattica dell'arte; la seconda presenta tematicamente esperienze effettive nei laboratori didattici. Utili casi di studio per ricostruire passo dopo passo, anche attraverso numerose immagini di lavori dei ragazzi, percorsi educativi diversificati. Il libro nasce per fornire sensibilità e competenze adeguate ad accompagnare i più giovani alla scoperta di materiali, linguaggi, ricerche dell'arte contemporanea. Un'educazione all'arte per osservare e esprimersi, leggere e elaborare la realtà. Educare attraverso l’arte non sembra essere un compito facile: se è vero che “i bambini non disegnano come Picasso” e viceversa, è proprio attraverso i grandi protagonisti del Novecento che si può tentare un moderno approccio metodologico alla lettura dell’opera, che diventa propositivo nella sezione dedicata ai Laboratori.

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Herbert Read, Educare con l’arte, Edizioni Comunità, 1954

– Il tema generale esaminato è ancora quello dell’educazione “attraverso” l’arte, che mantiene un legame strettissimo con il fondamentale saggio (Educational through art, 1943) dell’inglese Herbert Read. La tesi da cui parte lo studioso è che l’arte può essere alla base dell’educazione dell’uomo: sia in quanto contribuisce a favorire lo sviluppo delle facoltà innate di ogni individuo; sia al contrario in quanto lo aiuta a conformarsi a norme statuarie comunemente accettate. Tre grandi capitoli ne formano la sostanza: il capitolo dedicato alla ricerca; quello destinato a sviluppare il tema della formazione e il terzo che affronta l’analisi di alcuni casi di studio (Parigi, Centre Pompidou; Londra, Tate Britain e National Gallery). Gianno Rodari, Favole al telefono, Einaudi, 1972

– Le Favole al telefono, uno dei libri più apprezzati di Gianni Rodari, sono in buona parte avventure e scoperte nel campo della "logica della fantasia". Contengono storie per giocare, storie nate da errori di ortografia o di dattilografia, oppure dallo scontro occasionale di parole, giochi verbali e filastrocche. Un libro, insomma, che potrebbe addirittura essere considerato un "manuale per inventare storie" e usato per arricchire il dialogo con i bambini. In una inchiesta dello Specchio del libro per ragazzi, alla domanda: "Come vorrebbe che fosse letto il Suo libro?", Rodari rispondeva: "In famiglia, prima di tutto: tra genitori e figli vorrei arrivare come un compagno di giochi, come uno che accende un fuoco, che tiene vivo un dialogo, che aiuta a guardare il mondo, ad amare la vita. A scuola vorrei che il mio libro potesse essere un elemento del colloquio tra insegnante e scolari, come la prima pagina di una storia che dovrebbero poi scrivere loro".


Recensioni bibliografiche

Bruno Munari, Fantasia, Bologna, Laterza, 1998

– Bruno Munari autore del libro Fantasia prova a fare un viaggio sulla fantasia ponendosi delle domande: l’invenzione non è anche fantasia? E la fantasia non è anche invenzione? E come la mettiamo con l’immaginazione? E la creatività? L’autore prova a dare una serie di definizioni sulla fantasia, l’invenzione, la creatività e l’immaginazione, facoltà umane strettamente correlate tra di loro e che agiscono simultaneamente. Bruno Munari, Il laboratorio per bambini a Brera, Bologna, Zanichelli, 1981

– Tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, Bruno Munari progettò, con l’aiuto dei suoi numerosi collaboratori, laboratori per i bambini delle scuole materne, elementari e medie inferiori, sia in Italia sia all’estero, in musei, in biblioteche e in centri privati. Mise a punto un metodo che, attraverso il gioco basato su regole da conoscere, trasgredire, variare, e il caso, permettesse di far sperimentare e di far scoprire combinazioni impensabili con la comune logica. I laboratori furono pensati e realizzati per essere luoghi adatti ad “allenare e stimolare il pensiero progettuale creativo”. La storia dei laboratori inizia nel 1977 a Milano presso la Pinacoteca di Brera. Bruno Munari ricevette l’incarico di progettare uno spazio per i bambini all’interno di uno dei più importanti musei nazionali italiani. Il primo laboratorio si chiamò Giocare con l’Arte e fu un evento storico per la città. Fu la risposta concreta alla “provocatoria” richiesta di Franco Russoli, allora Soprintendente di Brera, che voleva “azioni” in grado di trasformare il museo da “torre eburnea e luogo sacro di pochi eletti” in un “organismo vivo”, capace di essere “strumento di comunicazione di massa” e “servizio sociale”.

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Alfabeto Studio, Come giocare con immagini e parole, Milano, Editrice Bibliografica, 1991

– In questo libro vengono presentati otto laboratori che sono stati utilizzati per promuovere attività per bambini in biblioteca. Uno di questi: Registrarstoriando, ha come obiettivo inventare una storia attraverso il gioco dei “formati diversi”, utilizzando fogli di carta extra-resistenti tagliati e strappati in maniera casuale, su cui i bambini andranno a disegnare; lo sforzo è riconoscere nei profili dei pezzi di carta le sagome di elementi che andranno a comporre la storia, raccontata dai bambini stessi e registrata segretamente. Altre due attività affini: Il libro tattile e La storia da mangiare. L’obiettivo di questi laboratori è di avvicinare i bambini al libro come storia da toccare, da manipolare e da conoscere sensorialmente. Il piacere di lavorare con le proprie mani aumenta il coinvolgimento.

Roberto Pittarello, Il mio primo laboratorio creativo, Castelfranco Veneto, La scuola del fare, 2005

– Per Roberto Pittarello (creatore, ideatore, animatore di straordinarie esperienze di invenzione creativa, artistica, per e con i bambini, collaboratore per tanti anni di Bruno Munari) sono creativi i laboratori che offrono strumenti, mezzi e tecniche, ma non suggeriscono soggetti o contenuti, lasciando che ognuno trovi la sua strada per esprimersi con quello che ha visto e che anche lui ha provato a fare: sapere come fare per sapere cosa fare. La proposta dei Laboratori Creativi di Roberto Pittarello è di far scoprire, attraverso una metodologia basata sull’operatività e la sperimentazione personale, quanto estese siano le possibilità di comunicare che il libro possiede, rispetto all’idea comune del libro ‘solo’ scritto.


Recensioni bibliografiche

Aldo Agazzi, Il metodo delle sorelle Agazzi, La Scuola Editrice, Brescia, 1967

– Ciò che si chiama metodo Agazzi, non è un sistema di procedimenti didattici fissati una volta per sempre, da osservare rigidamente nella pratica educativa. Secondo le sorelle Agazzi il bambino deve essere incoraggiato a "fare", e a fare da sé in tutti gli aspetti della vita. L'educatrice doveva limitare al minimo le lezioni, lasciando il maggior spazio possibile alla libera attività individuale facendo rispettare solo il criterio dell'ordine. Privilegiando il metodo intuitivo come il più idoneo per l'apprendimento, l’insegnante predisponeva e organizzava ambienti e situazioni che stimolassero in modo indiretto la spontaneità del bambino. La scuola agazziana non distingueva tra gioco e lavoro, poiché tutte le azioni della vita quotidiana erano valorizzate come veicoli educativi della massima importanza, perché qui i bambini trovavano l'occasione migliore per imparare, scoprendole da sé, le regole della vita e i principi del vivere civile e del rispetto reciproco.





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