Responsive Morphologies

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RESPONSIVE MORPHOLOGIE S ALBERTO GIACOPELLI ANTONIO LA MARCA



RESPONSIVE MORPHOLOGIES ALBERTO GIACOPELLI 7 78 3 1 7 ANTONIO LA MARCA 777895

RELATORE: PROF. ATTILIO NEBULONI CORELATORI: ROMERO M., VIGNATI G. POLITECNICO DI MILANO SCUOLA DI ARCHITETTURA E SOCIETA’ SCIENZE DELL’ARCHITETTURA 22 SETTEMBRE 2014


IN


DICE

Prefazione ................................. 7 PARTE PRIMA | ARGOMENTAZIONI ................................. 11 Architettura Responsiva: alla ricerca di una definizione Dalla cinetica all’interazione

Lo scenario contemporaneo I nuovi strumenti Esempi

PARTE SECONDA | GLOSSARIO

................................. 65

PARTE TERZA | ESERCITAZIONE

................................. 101

WORK IN PROGRESS Riferimenti bibliografici

................................. 109 ................................. 111

Agenti Componente Sensori - Attuatori Codice Algoritmo Emergenza Popolazione Copia - Famiglia Comportamento I.P.O. Arduino Grasshopper Firefly Physical Computing Hacking Prototipo FabLab

Geometria Elementi Costitutivi Applicazione


PREF


FA Z I O N PREFAZIONE

Q

uesta tesi è stata prodotta in seno ad una riflessione sul percorso accademico sviluppato negli ultimi due anni presso il Politecnico di Milano, iniziato con il corso di Progettazione Architettonica 2 tenuto dal professore Attilio Nebuloni ed in seguito approfondito nel workshop “Responsive Morphologies” tenuto dallo stesso professore con Maximiliano Romero e Giorgio Vignati. Oltre ad essere uno strumento di indagine didattica, vuole porre le basi per un successivo percorso di approfondimento per un tema che è centrale nella ricerca architettonica contemporanea e oggetto di nostro forte interesse. Dunque vuole porsi come finalità quella di comprendere e spiegare, in un forma consona alla disciplina, quali sono state le ragioni che hanno portato alla formulazione dell’Architettura Responsiva e quali sono quelle che oggi indirizzano molte delle ricerche disciplinari in ambiente accademico. 7


Per raggiungere tale proposito la tesi è strutturata in tre parti distinte, ognuna caratterizzata da una propria struttura ma tutte interconnesse attraverso approfondimenti incrociati. La prima parte consiste in un corpo teorico nel quale vengono presentati i principali obiettivi e strategie dell’architettura non lineare e dunque dell’Architettura Responsiva, le premesse teoriche che hanno portato alla loro concezione e gli ambienti in cui esse si sono sviluppate; infine sono illustrati i risultati di questi processi attraverso alcuni esempi chiave. I termine relativi a questo ambito d’indagine, tradotti dall’inglese - a denotare l’impronta internazionale della ricerca sul tema - sono inseriti in un glossario che ne sviscera i diversi significati attribuiti nella storia della disciplina, proponendo esempi e creando collegamenti tra i termini e dunque tra i temi stessi della tesi. L’ultimo capitolo mostra un’applicazione dei temi approfonditi durante le parti precedenti della tesi attraverso un’esercitazione, partendo dalle geometrie di base fino ai gradi di interazione tra i componenti.

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ALLA UNA


A LR I C E R DEFIN ARCHITETTURA RESPONSIVA:

ALLA RICERCA DI

UNA DEFINIZIONE

a definizione di Architettura Responsiva è di per sé piuttosto controversa in quanto ogni ricercatore che ha trattato il tema ne ha dato una o più possibili definizioni. Tutte queste, però, partono dal presupposto che il design responsivo derivi da una linea di ricerca altrettanto giovane, ossia la progettazione parametrica. Il termine ‘parametrico’ deriva dalla matematica, in particolare dall’equazioni parametriche, e si riferisce all’uso di determinate variabili che possono essere modificate per alterare il risultato finale di un’equazione o un sistema. La progettazione parametrica si basa appunto su un pensiero algoritmico che permette la codifica di regole che definiscono la nascita di geometrie e strutture complesse. L’architettura responsiva, quindi, nasce con l’obiettivo di creare spazi e oggetti in grado di soddisfare le mutevoli esigenze riguardo l’evoluzione individuale, sociale ed i requisiti ambientali. Tali sistemi introducono un nuovo approccio alla progettazione architettonica, dove gli oggetti sono solitamente statici e l’adattabilità reattiva è tipicamente ignota. 13


Interactive Architecture (iA) is NOT simpl is responsive or adaptive. On the contrar concept of bi-directional communication [ as the art of building relationships betwee and second, as building relations betwee components.

Interactive architecture can be defined as the total integration o design and architecture. […] If architecture is to continue to resp nological innovation that surround it as a profession, then we m building?’ or ‘How was it made?’, but rather, ‘What does that b

Responsive Architecture is the n computing power into built spa performing, mo


ly architecture that ry iA is based on the [...] it is first defined “L’Architettura Interattiva (iA) non è semplicemente en built components l'architettura che è reattiva o adattiva. Al contrario iA si en people built basa suland concetto di comunicazione bi-direzionale [...] in primo luogo è definita come l'arte di costruire relazioni tra componenti costruiti e, in seconda battuta, come la costruzione di relazioni tra persone e componenti costruiti”.

Oosterhuis K., Xia X. _ 2007

of the disciplines of interaction pond to the possibilities ofInterattiva tech“L’Architettura può essere definita come may no longer ask ‘What is that l’integrazione totale delle discipline di progettazione dell’interazione e architettura. [...] Se l’architettura building do?’ .

continua a rispondere alle possibilità di innovazione tecnologica che la circondano, allora non potremmo più chiedere ‘Cos’è quell’edificio?’ o ‘Com’è fatto?’, piuttosto, ‘Cosa fa quell’edificio?’ ”.

Fox M. _ 2010

natural product of the integration of aces and structures, and that better ore rational buildings are the result”.

“L’Architettura Responsiva è il prodotto naturale dell’integrazione di potenza di calcolo negli spazi costruiti e nelle strutture, così da ottenere edifici più performanti e più razionali”

Negroponte N. _ 1970


It is the architectural form that i is determined “È la forma architettonica non temporary più statica,state pronta ad activated process and accettare il cambiamento. Il suo stato temporaneo è in-built in determinato dalle circostanze deltecture momento, sulle basi di then, but a process-bas un processo attivato, un’intelligenza incorporata potenbehaviour ande changing dema zialità per il cambiamento. Viene creata un’architetarchitecture that itself has the c tura basata su un processo, la cui forma è definita da un therefore engages in a end comportamento dinamico dei suoiand utenti e dalle mutevoli esigenze e condizioni ambientali; un’architettura che ha le caratteristiche di un sistema ecologico, che emula la natura e, pertanto, si impegna in una fusione di natura e cultura”. Kolarevic B. _ 2009

Interact potentia decisions Oosterhuis K., Xia X. _ 2009 and then

“L’Architettura Interattiva riguarda il potenziale dei sistemi digitali di prendere decisioni riguardo l’ambiente di vita e quindi influenzarlo”.

“In primo luogo, l’interattività è l’elemento catalizzatore della ricerca architettonica e dell’attività di sviluppo. In secondo luogo, l’interattività pone al suo centro il soggetto (variabilità, riconfigurabilità, personalizzazione) piuttosto che la natura assoluta dell’oggetto (serializzazione, standardizzazione, duplicazione). Infine, l’interattività gioca, in termini strutturali, con il tempo e indica un’idea Firstly, interactivity is now di continua ‘riconfigurazione spaziale’ che cambia i confini Secondly, interactivity p di spazio e tempo che fino ad ora sono stati consolidati”.

instead of the Saggio A. _ 2005

absolute interactivity plays, in stru guration’ that changes


is no longer stable, that is ready to accept change. Its by the circumstances of the moment on the basis of an ntelligence and potential for change. Not product archised architecture whose form is defined by its users’ dynamic ands and by the changing external and internal conditions; an characteristics of an ecological system, that emulates nature during fusion of nature and culture.

tive Architecture is about the al for digital systems to make s about our living environment n influence that environment.

w the catalysing element of architectural research and development activity. places at its center the subject (variability, reconfigurability, personalization) e nature of the object (serialization, standardization, duplication). And lastly, uctural terms, with time, and indicates an idea of continuous ‘spatial reconfis the borders of both time and space that until now have been consolidated.


THE CURRENT LANDSCAPE OF INTERACTIVE SPACE IS BUILT U COMPUTATION (INTELLIGENCE) AND A PHYSICAL COUNTERPART WITHIN THE CONTEXTUAL FRAMEWORK OF HUMAN AND ENVIRO TO MAKE THESE SYSTEMS IS FOUND IN THE DESIRE TO CREATE CHANGING NEEDS WITH RESPECT TO EVOLVING INDIVIDUAL, SOC

Interactive Architecture signifies a field of archite which objects and space have the ability to meet ch needs with respect to evolving individual, social, an ronmental demands. It is also termed Responsive tecture. […] The convergence of embedded comp and kinetics in buildings and built spaces cap sustaining active dialogue with their users and enviro

INTERACTIVITY IN ARCHITECTURE IS ABOUT DESIGNING TOOLS TH MAY USE TO CONSTRUCT (IN THE WIDEST SENSE) THEIR ENVIRONM DEVELOPING WAYS TO MAKE PEOPLE THEMSELVES MORE ENGAGE THAT THEY INHABIT.


UPON THE CONVERGENCE OF EMBEDDED T (KINETICS) THAT SATISFIES ADAPTATION ONMENTAL INTERACTION. [...] MOTIVATION “Il panorama attuale di spazio interattivo si basa sulla E SPACES AND OBJECTS THAT CAN MEET convergenza di computazione integrata (intelligenza) CIAL, AND ENVIRONMENTAL DEMANDS. e una controparte fisica (cinetica) che soddisfa l’adattamento nel quadro contestuale dell’interazione umana e ambientale. [...] La motivazione per creare questi sistemi viene trovata nella volontà di creare spazi e oggetti che possano soddisfare le mutevoli esigenze rispetto alle evoluzioni individuali, sociali e ambientali”.

Fox M., Kemp M. _ 2009 ecture in hanging nd envie archiputation “L’Architettura Interattiva indica un campo dell’architetpable of tura in cui oggetti e spazio hanno la capacità di soddisfare onment. le mutevoli esigenze rispetto all’evoluzione individuale,

sociale e ambientale. È anche definita come Architettura Responsiva. […] L’incontro tra computazione integrata e cinetica in edifici e spazi costruiti in grado di sostenere un dialogo attivo con i propri utenti e l’ambiente”. Wikipedia/EN _ 2014

HAT PEOPLE THEMSELVES MENTS. IT IS ABOUT ED WITH THE SPACES “Interattività in architettura riguarda gli strumenti di progettazione che le persone possono utilizzare per costruire (in senso ampio) i loro ambienti. Quindi i modi di sviluppo per rendere le persone stesse più in dialogo con lo spazio che abitano”. Haque U. _ 2006


DA L L A L L’I


LA CIN S INTERA DALLA CINETICA

ALL’INTERAZIONE

econdo Antonio Musacchio1 la cinetica nell’architettura nasce con l’architettura stessa. Infatti l’esigenza da parte delle popolazioni nomadi di trasportabilità diede vita allo sviluppo di sistemi che si adattassero sia dal punto di vista funzionale sia rispetto alle situazioni climatiche: la mobilità dell’abitazione di queste popolazioni coincideva con la trasportabilità della copertura, un riparo essenziali per le intemperie. Le tecniche costruttive si sono tramandate fino a noi, principalmente dall’antica Roma, il cui apporto fu fondamentale nella costruzioni di complessi sistemi retrattili per ripararsi dal sole. Il velarium dell’anfiteatro romano, infatti, fu il primo esempio di meccanica applicata ai principi costruttivi. L’uso di una tela per coprire le aree teatrali fu rappresentato da Vitruvio attraverso sezioni di teatri coperti da tele retrattili, indicandole con il nome di velaria. Molti furono gli accorgimenti tecnici per rendere 21


possibile l’azione meccanica di questi sistemi: tecniche derivate dal settore navale per essere adattate alle nuove richieste architettoniche. Sempre secondo l’analisi storica del prof. Musacchio, la tipologia dei velaria romani e le sue modalità costruttive sono state tramandate fino ad oggi da Frei Otto in una ricerca2 sviluppata sino al 1972 e documentata dall’Institute of Lightweight-structures. La ricerca, però, parte nel 1954 tramite Peter Stromeyer3, grazie ad una copertura rinvenuta a Bad Hersfeld: attraverso il supporto del Massachussets Institute of Tecnology di Boston, si è potuto approfondire il tema dei sistemi a cavi per limitare gli attriti. L’intento di queste prime ricerche era quello di inventare, sviluppare e costruire architetture in grado di trasformarsi. Nella ricerca portata a termine da Frei Otto si evidenzia come, grazie ad una prima fase di esperimenti sul tema all’inizio del novecento, si capirono presto le potenzialità offerte da un’architettura in grado di trasformarsi tramite movimentazione nelle sue parti o nell’intero sistema. Negli anni Venti e negli anni Trenta seguirono progetti in cui si applicavano i risultati delle prime ricerche: in Italia Pier Luigi Nervi ed Angelo Invernizzi si dedicarono a questo tema. Viene ricordato tra gli altri il progetto di Villa Invernizzi (fig.1), capace di ruotare attorno all’asse del sistema dei collegamenti verticali con soluzioni che derivano ancora una volta da costruzioni navali.

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Nel 1964, il modello della casa italiana fu ripreso da Richard Foster per la propria abitazione negli Stati Uniti. Sviluppi tecnici e sistemi meccanici consentirono una riduzione degli attriti nelle parti a contatto. La ricerca in quegli anni si era infatti concentrata sullo sviluppo di materiali a basso fattore d’attrito che permisero, tra l’altro, di realizzare il Domespace di Patrick Marsili (fig. 2) e l’Heliotrop House di Rolf Disch (fig. 3). Così, dopo i tentativi dal sapore pionieristico degli anni Trenta in architettura, tra gli anni Cinquanta e Ottanta nacquero una serie di architetture in grado di trasformarsi, grazie a innovazioni fatte nel campo della meccanica e dei materiali. Negli anni Cinquanta, infatti, gli sviluppi dell’industria chimica applicata al settore tessile misero a disposizione soluzioni molto più performanti della tela di cotone tradizionale. Il Bandstand di Kassel, opera di Frei Otto in occasione della Federal Garden Exibition del 1955, diventa l’emblema delle nuove possibilità, sia tecniche che formali, frutto dei sistemi tensostrutturali in membrana tessile e acciaio. Da allora, fino agli anni Settanta, si è assistito alla nascita di numerose copertura trasformabili, progettate essenzialmente in ambito sportivo, sperimentando materiali sempre più leggeri e soluzioni meccaniche più rapide nei tempi richiesti dalla conversione. Negli stessi anni venivano sperimentate le prime coperture trasformabili ad elementi rigidi: ancora una volta fu l’ambito sportivo a favorirne lo sviluppo. Il concorso francese dal titolo

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“Mille piscine per Parigi”4 imponeva sistemi di copertura di tipo “copri-scopri”, creando così uno spazio in grado di adattarsi alle diverse condizioni climatiche; furono più di ottocento le piscine realizzate con questa tecnica. Nell’analisi proposta da Annalysa Meyboom5, era la metà del ventesimo secolo quando fu tentata per la prima volta con successo l’integrazione dell’elettronica con l’architettura. Il progetto di Le Corbusier del Padiglione Philips (fig. 4) per l’Expo di Bruxelles nel 1958 non solo ha fornito una sfida alla tradizione euclidea per l’innovativa struttura del tetto, ma ha anche esplorato nuovi modi di integrare la musica con la visualizzazione e l’architettura. Il risultato è stato il Poème Electronique, una esperienza multimediale che nelle terminologie attuali puo essere definita immersiva; il concetto combinava suono coordinato elettronicamente ad un sistema di proiezioni azionato dal movimento dei visitatori. Un decennio più tardi nasceva l’idea dell’architettura in movimento attaverso l’attività dei gruppi di avanguardia inglesi e giapponesi; il gruppo Archigram ha illustrato le potenzialità della tecnologia al fine di creare una nuova realtà, in quel momento espressa solo attraverso le immagini e speculazioni come, ad esempio, i progetti di Michael Webb che offrono la visione seducente dell’abitazione del futuro nell’era meccano-elettronica. Nel 1967 Peter Cook definisce l’architettura come una “serie intermittente e interconnessa di eventi”6. Le speculazioni degli anni sessanta e settanta erano

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l’emblema di una società desiderosa di libertà dai vecchi canoni formali e statici, pronta a vivere in ambienti che facilitassero l’interazione e il progresso. Nonostante la potenza delle suggestioni, tali progetti si scontrarono con le problematiche tecnologiche del loro tempo e furono scartate dalla società come futuri plausibili. Nel corso degli anni sono state usate varie terminologie, con lievi sfumature di significato, per chiamare quella che oggi intendiamo come Architettura Responsiva, tra cui ricordiamo “ambiente intelligente”, “ambiente responsivo”, “smart architecture”, e “soft space”, mentre il termine “Architettura Responsiva” nasce alla fine degli anni sessanta a opera di Nicholas Negroponte 7 e viene utilizzato per descrivere quel tipo di architettura che ha la capacità di riconfigurarsi se stimolata dall’ambiente e dagli utenti. A parte alcuni progetti costruttivisti, il movimento in architettura è rimasto ancora a lungo associato per lo più a tipologie edilizie industriali o ad edifici con funzioni particolari come mulini a vento o ruote panoramiche. In molti testi viene fatto notare come l’affermazione di Goethe “l’architettura è come musica congelata” sia stata definitivamente sgretolata con la pubblicazione di Kinetic Architecture nel 1970 ad opera di William Zuk. Il libro tratta di architettura adattabile, cinetica e reattiva, illustrata con numerosi precedenti e delineando le possibilità legate agli

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involucri edilizi cinetici, anticipando sistemi cinetici intelligenti sviluppati solo recentemente dalla convergenza di ingegneria meccanica, computazione ed architettura cinetica.

1. Musacchio A., Architetture cinetiche, Milano, Maggioli Editore, 2009 2. Otto F., ILEK/IL5, Stoccarda, ILEK press, 1972 3. Nel 1954 Frei Otto si aggiunge al gruppo di ricerca di Peter Stromeyer fondando l’ILEK di Stoccarda.

4. Questo programma è stato lanciato nel 1969 dal Segretario di Stato per la gioventù, sport e tempo libero, dopo lo scarso rendimento dei nuotatori francesi presso le Olimpiadi estive del 1968.

5. Meyboom A., Architectronics: Towards a Responsive Environment, in “International journal of architectural computing”, vol. 9, n. 1, 2011

6. Cook P., in “ARCHIGRAM”, vol. 8, 1968 7. Negroponte N., The Architecture Machine - Toward a More Human Environment, Cambridge, The MIT Press, 1970

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LO S C CONT


CENARI I TEMPOR LO SCENARIO

CONTEMPORANEO

sistemi trasformabili contemporanei si riferiscono prevalentemente ad una adattabilità climatica, caratterizzata dalla versatilità dei congegni elettronici e dalla leggerezza dei sistemi costruttivi al fine di avere un minore dispendio energetico e un minor tempo nella trasformazione. Le strutture estensibili rappresentano una tipologia di estremo interesse, in quanto permettono condizioni d’uso differenti e riconfigurazioni funzionali di diverso genere. I primi prototipi di coperture portabili sono stati elaborati da Buckminster Fuller con i suoi studenti1: erano caratterizzate da velocità di assemblaggio e dispiegamento garantite da raccordi a pantografo tra gli elementi strutturali. Uno degli allievi di Fuller, Chuck Hoberman1, porta avanti sperimentazioni in questo ambito; il suo campo di indagine si intreccia con le ricerche di Kas Oosterhuis2 su sistemi flessibili ed estensibili, condotte presso la 31


Tecnishe Universitaat di Delft. Mentre Hoberman pone la sua attenzione su sistemi cinematici composti da elementi rigidi incernierati, Oosterhuis si concentra sull’applicazione di materiali e componenti elastici. Negli anni novanta il design dell’interazione ha iniziato a infiltrarsi in molti progetti con il significato parziale di manipolazione di mezzi digitali non comprendendo componenti robotici. Solo nella seconda metà di quella decade vengono ricondotti al concetto di Architettura Responsiva quei campi della robotica applicata all’architettura prima considerati pure speculazioni; è infatti in quel periodo che, con l’introduzione di componenti più economici e l’uso di processori integrati, l’architettura interattiva diventa tecnologicamente ed economicamente sostenibile. Così la cinetica nell’architettura viene riesaminata con la premessa che le sue performance potessero essere ottimizzate adottando nuove strategie di controllo computazionale diffuso, permettendo di raggiungere un’interazione con l’ambiente ed i participanti. Nei primi anni Novanta, è stato il Kinetic Design Group, all’interno del Dipartimento di Architettura del MIT di Cambridge, sotto la guida di Michael Fox3, a porsi come obiettivo le interrelazioni tra architettura adattabile, cinematismi e intelligenza artificiale. Interessanti sono i progetti dell’Interactive Kinetic Facade (fig. 1-3), uno studio sperimentale sulle possibilità di interazione tra suono e movimento. Anche se non presentano risposte dal punto di vista funzionale,

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questi progetti costituiscono un tentativo di coniugare tecnologie informatiche e tecnologie costruttive. Uno studio analogo condotto dal gruppo dECOi4 - “Aegis Hypo-Surface”5- dimostra la possibilità di muovere una superficie di plastica e acciaio, controllandola punto per punto, implementando all’apparato elettronico un sistema di pistoni elettromagnetici. Applicazioni delle potenzialità tecniche derivanti da questa innovazione nel campo dell’architettura cinetica sono identificabili nell’Institut du Monde Arabe6 di Parigi così come nell’Allianz Arena di Monaco. Nel primo caso, opera di Jean Nouvel, un lato dell’edificio è composto da 27’000 diaframmi metallici che permettono di filtrare la luce in maniera proporzionale alla quantità di illuminazione presente. Sensori optometrici rilevano infatti la luce incidente sulla facciata in maniera da stabilire l’apertura o la chiusura dei diaframmi. Nel secondo caso, invece, vi è l’applicazione con materiali e tecnologie moderne del velarium romano presente al Colosseo. Riportando uno scritto di Gregory Turner “Construction Economies and Building design: A Historical Approach”, Kennet Frampton7 afferma che l’architettura contemporanea sta vivendo una forma di dematerializzazione, perdendo di solidità. Evidenzia, infatti, che nei nuovi edifici il costo della struttura riduce la sua incidenza dall’80% al 20%, le partizioni mobili salgono dal 3% al 20%, ma soprattutto gli impianti crescono fino

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al 35%. Lo sviluppo dei cosiddetti sistemi intelligenti e l’introduzione di tecnologie sostenibili determinano, dunque, un aumento delle spese in sistemi di rilevamento, controlli climatici e dispositivi tecnici in genere. Di vitale importanza nell’Architettura Responsiva è il sistema di rilevamento ed elaborazione dei dati. Un ruolo fondamentale è rappresentato dai sensori, vere e proprie terminazioni nervose di un edificio, i cui dati corrono attraverso fili di rame o via etere; questi inducono ad una reazione dell’edificio in quanto vengono elaborati da un vero e proprio computer – sistema nervoso centrale – capace di elaborare i dati percepiti e attivare in modo opportuno una reazione. Oggi il mercato offre una grande scelta di sensori, che possono esseri distinti in funzione del tipo e dell’utilizzo, ma più comunemente vengono classificati in base al tipo di grandezza fisica che misurano: sensori di luce, sensori di suono, sensori di temperatura, sono solo alcuni dei sensori maggiormente utilizzati. Le possibilità dunque offerte dai sensori realizzano la completa interazione architettura/ uomo e architettura/ambiente, rendendo così l’architettura sempre più dinamica e responsiva. Nello stesso periodo in cui l’informatica diventa parte integrante della ricerca architettonica, crescono e si diffondono due nuovi ecosistemi nei quali l’Architettura Responsiva ha trovato un ambiente favorevole e le competenze necessarie perché si sviluppasse: Internet e i FabLab, ossia piccoli laboratori di prototipazione rapida.

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Due ambienti che procedono in maniera parallela condizionandosi a vicenda, e caratterizzati da simili prerogative come la compartecipazione, la condivisione dei contenuti e la differenziazione delle competenze, concorrenti ad una multidisciplinarietà e multiprogettualità necessarie all’Architettura Responsiva. Alcune caratteristiche di queste comunità aperte come l’approccio copartecipativo e la tendenza alla condivisione hanno inoltre creato all’interno della realtà dell’architettura non lineare la tendenza ad una nuova forma di trasmissione delle informazioni legate al processo: di fatto nei forum o nei laboratori non vengono scambiati progetti o rappresentazioni di oggetti, ma algoritmi e procedure atte alla generazione dei progetti. Bisogna però riconoscere che, insieme a questi ecosistemi esterni al mondo accademico, si sono sviluppati in molte università laboratori di ricerca che portano avanti studi sulla generazione di componenti, la progettazione dei programmi di popolazione e la programmazione di comportamenti ispirati alla biologia. Gruppi di lavoro che operano in ambiente accademico sono presesenti in tutto il mondo: Hyperbody, laboratorio della Technische Universiteit Delft guidato da Kas Oosterhuis, che tramite il progetto Protospace (fig. 4,5) ha sviluppato da 10 anni a questa parte una vera e propria teoria di questa disciplina; i laboratori della University of British Columbia con ROBOstudio, un programma annuale di atelier interdisciplinare tra architetti e ingegneri meccatronici; l’University

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of Calgary, dove Branko Kolarevic ed i sui collaboratori tengono un master in interactive architecture dal 2007; il laboratorio variateLab del MIT in cui operano da anni Michael Fox e Miles Kempt con i loro collaboratori del Kinetic Design Group; il Lightweight Structures and Conceptual Design (ILEK) all’università di Stoccarda guidato dal prof. Chuck Hoberman, nel quale sono sviluppate tecnologie e materiali per l’integrazione dellelettronica nell’architettura. Negli anni sono stati questi nuovi ambienti di ricerca il vero motore dello sviluppo nel campo dell’interattività in architettura: l’incontro di differenti competenze, differenti visioni sul design e diverse interpretazioni del significato di interazione hanno, però, creato la necessità di un alfabeto comune e di supporti in grado di sostenere la sperimentazione e la comunicazione tra le diverse figure coinvolte. Da qui sono nate piattaforme per la progettazione parametrica (Grasshopper), microcontrollori in grado di processare input attraverso sensori (Arduino) e software capaci di far comunicare questi sistemi e di simulare il comportamento virtuale dei componenti di studio (Firefly).

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1. Dopo la carriera accademica, Chuck Hoberman si è dedicato al suo vero interesse,

ovvero l’arte cinetica, sviluppando una vera industria che opera nel settore dell’architettura cinetica. 2. Kas Oosterhuis è docente presso la facoltà di Architettura di Delft dove da anni tiene i Master of Science in Interaction, in Fabrication e in Advanced Non-Standard Architecture; direttore del laboratorio e gruppo di studio Hyperbody. 3. Michael A. Fox è stato assistente di Chuck Hoberman e, dal 2001, fondatore e direttore del Kinetic Design Group al MIT. Si segnalano inoltre collaborazioni con la NASA e altri enti spaziali per la progettazione di moduli abitativi evoluti. 4. Il gruppo dECOi, nato come uno studio professionale, sviluppa nel 2000 il primo simulatore interattivo chiamato Aegis Hypo-Surface. Prodotto di tale ricerca, è oggi venduto come dispositivo pubblicitario. 5. Vedi pagina 54 6. Vedi pagina 50 7. Frampton K., Studies in Tectonica Culture - The Poetic of Costruction in Nineteeth and Twentieth century Architecture, Cambridge, The MIT Press, 1995

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I NUO STRU


OVI MI E N T I I NUOVI

STRUMENTI

nuovi strumenti sviluppati dalla comunità hanno modificato l’approccio al percorso progettuale in architettura e trasformato la figura del progettista in qualcosa di nuovo e al contempo di precedente alla formazione della figura stessa dell’architetto. La necessità di relazionarsi con i prototipi, con i materiali e con i processi produttivi hanno riavvicinato la figura dell’architetto a quella dell’artigiano, rendendolo di nuovo responsabile di dare materialmente forma alle sue idee. Questo risultato è frutto di un processo che parte dal Rinascimento, con i primi studi e le prime regole dettate da Leon Battista Alberti nel suo trattato De re aedificatoria e con una figura contrapposta, Filippo Brunelleschi. Secondo Nelson Goodman1, tutte le arti nascono autografiche, fatte a mano dai loro autori; alcune di esse, poi, divennero allografiche, preparate dai loro autori per essere materialmente eseguite da altri. 41


Ma quando l’architettura si evolve dal suo incontaminato stato autografico come mestiere alla sua definizione allografica come arte per poi tornare ad uno stato autografico? Come Mario Carpo2 afferma:

La visione tradizionale, che attribuisce ai primi anni dell’ umanesimo l’invenzione dell’architetto moderno e del suo nuovo ruolo professionale, si basa su alcuni racconti famosi: la leggendaria lotta di Brunelleschi per il riconoscimento del suo ruolo come unico ideatore e padrone di un importante programma di costruzione; la radicale affermazione di Alberti che gli architetti diventassero progettisti e non costruttori, e la sua definizione di un moderno sistema di notazione dei disegni architettonici in scala, in pianta e in alzato, che erano i mezzi indispensabili a tal fine.

Le notazioni architettoniche di questo tipo sono sempre esistite: gli architetti egiziani utilizzavano disegni costruttivi architettonici abbastanza precisi; in grecia, invece, gli architetti non usavano disegni in scala, ma sistemi di notazione che implicavano la presenza del progettista sul sito di costruzione. L’uso dei disegni di progetto in scala sarebbe sorto nel periodo ellenistico, accanto alla crescente disaffezione tra progettisti e artigiani. Gli architetti rinascimentali si resero conto che il nuovo modo di costruire a partire da disegni in scala presentava un limite intrinseco: se non si può misurare un oggetto in

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un disegno, allora non potrà essere costruire. Ne consegue che nella maggior parte dei casi ciò che può essere costruito è determinato da ciò che può essere disegnato. Robin Evans3 ha dimostrato come alcuni architetti hanno cercato di evitare il problema. Parti della chiesa di Le Corbusier a Ronchamp, per esempio, dovevano avere un effetto molto plastico, come gli schizzi e i modelli da cui sono state ricavate. Il processo di ingegnerizzazione, però, ha fatto sì che anche le parti più scultoree dell’edificio potessero essere opportunamente disegnate e misurate; il tetto, in particolare, è stato ridisegnato come una normale, seppure sofisticata, superficie rigata. Nei casi più estremi, quando potrebbe risultare impossibile da annotare geometricamente, l’ultima alternativa del progettista può essere quella di tornare al tradizionale - pre-albertiano - approccio autografico. Questo è quello che fece Antoni Gaudì nella sua opera più famosa, la Sagrada Familia, nella quale costruì alcune delle parti della cattedrale così come Brunelleschi fece a Firenze: senza disegni costruttivi, ma istruendo pesonalmente la manovalanza, come un artigiano/autore che spiega a voce o realizza con le proprie mani ciò che ha in mente. Non per altro Gaudì è un famoso caso studio tra i progettisti digitali contemporanei. Per secoli, quindi, il mediatore tra le idee dell’architetto e la loro espressione nella costruzione è stato il disegno bidimensionale, usato per trasferire forme di oggetti tridimensionali. In anni più recenti, con la nascita del

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Computer-Aided Design (CAD), il tipo di mediatore è cambiato; sin dall’inizio della sua storia, gli architetti hanno cominciato a rendersi conto che tutte le forme visualizzate attraverso uno schermo esistono in uno spazio di calcolo tridimensionale. Indipendentemente dalle interfacce e le convenzioni scelte per rappresentarli, tutti i punti geometrici sono individuati da una terna di coordinate all’interno di uno spazio tridimensionale. La figura attuale dell’architetto si misura con queste nuove realtà sfruttando nuovi strumenti, sia nella progettazione che nella sperimentazione e creazione di prototipi. Tra questi nuovi strumenti a disposizione degli architetti, nati dalla traslazione dei processi di progettazione nell’ecosistema digitale, vi è un nuovo sistema di controllo della generazione delle forme: la progettazione parametrica generativa. L’idea è banale: sostituire alla mano di chi controlla la composizione di una forma un insieme di parametri di tipo ambientale che la generino in funzione di determinati requisiti energetici. Dunque il controllo lasciato al designer non è più sulla forma del prodotto ma sulle fasi del processo da cui il prodotto viene generato. Di fatto l’operazione progettuale passa da una forma diretta ad una mediata da un algoritmo procedurale attraverso il quale vengono stabilite le regole di generazione delle forme. L’Architettura Responsiva riprende i metodi propri di quella parametrica, utilizzando gli algoritmi generativi

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non per produrre forme della struttura ma delle parti che la compongono e dettare le regole che stabiliscono le relazioni tra esse. Tali elementi costitutivi, definiti componenti, a loro volta sono costituiti di tre parti fondamentali: un sensore, un processore ed un attuatore, secondo un modello identificato con la sigla Input-Process-Output (I.P.O.) , la forma basilare di intelligenza artificiale. I componenti sono l’oggetto dell’interesse della nuova figura del progettista che ne studia, oltre alla forma e alle capacità di modificazione, le modalità e i livelli di interazione con gli altri agenti e dunque il comportamento collettivo attraverso la proliferazione. Tale processo consiste nella moltiplicazione dei componenti – e dunque delle loro interazioni – fino ad ottenere una popolazione degli stessi. Così come avviene nei sistemi biologici, tale processo può generare un’emergenza, ovvero una complessità superiore alla somma delle parti. La produzione dei manufatti e dei componenti architettonici, attraverso la proliferazione, è diventata dunque un processo simile alla biologia, dove non esiste una copia identica ad un essere originale ma tutti gli appartenenti ad una famiglia condividono lo stesso patrimonio genetico – in questo caso lo stesso algoritmo generativo – ma espresso con un’illimitata variabilità. Mentre il processo di proliferazione è controllato soltanto a livello digitale, il componente è invece frutto di un processo di feedback continuo con il mondo reale attraverso una serie di prototipi realizzati dal progettista

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stesso, riavvicinandolo quasi alla figura dell’artigiano. È possibile dunque asserire che l’architettura, compiuto il percorso descritto da Goodman, ritorna allo stato autografico originario. La traslazione dalla possibilità di controllare il disegno con il movimento delle mani – che stringano una matita o un mouse è indifferente – alla concezione parametrica generativa, ha creato una nuova forma di trasmissione del progetto: non è più il progetto oggetto della trasmissione ma lo diviene il processo generativo, offrendo la possibilità di conoscere, oltre alla forma dell’oggetto, anche i processi che hanno portato ad essa; inoltre, in quell’ottica di condivisione che ha caratterizzato buona parte della ricerca nell’ambiente dell’architettura generativa, garantisce a chiunque la capacità di poter manipolare il processo di sviluppo del prodotto.

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1. Goodman N., Languages of art. An approach to a Theory of Symbols, Cambridge, Hackett Publishing, 1976

2. Carpo M., The alphabet and the algorithm, Cambridge, The MIT Press, 2011 3. Evans R.,Translations from Drawingto Building and Other Essays, Londra, AA Publications, 1997

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ESEM


MPI I

ESEMPI

n questo capitolo vengono introdotti una serie di esempi di applicazioni, non solo contemporanei, dei concetti di responsività nell’ambito dell’architettura. Vuole essere una dimostrazione del forte interesse e della sperimentazione che ha contraddistinto l’Architettura Responsiva nel corso degli anni. Nei progetti vengono trattati diversi aspetti del cinematismo e diversi livelli di interazione, mettendo in evidenza le possibili scale di applicazione. Insieme a figure poco conosciute al di fuori dell’ambiente dell’Architettura Responsiva, sono stati inseriti alcuni lavori di progettisti di livello internazionale a testimonianza del forte interesse che questa linea di ricerca suscita. 49



Situato sulla riva della Senna, l’Institut du Monde Arabe è stato progettato da Jean Nouvel a seguito di un concorso istituito dalla Lega Araba e dal governo francese. Uno dei motivi principali alla base della costruzione di questo istituto è quello di creare un luogo dedicato al rapporto della cultura araba con quella francese. Nouvel è stato in grado di sintetizzare elementi architettonici tradizionali arabi in un design moderno che evoca l’architettura del Medio Oriente. Caratteristica principale dell’edificio è, infatti, il sistema di pannelli metallici sulla facciata sud, ben accolto dalla committenza in quanto declina in chiave moderna un elemento fondamentale dell’architettura araba - il mashrabiya – e permette di mantenere costante la quantità di luce trasmessa all’interno. Un sensore posto su ogni pannello rileva la quantità di luce incidente su di esso e, mediante un microcontrollore, regola l’apertura delle lamelle metalliche. Il risultato finale, che ricorda il diaframma di un apparecchio fotografico, modula l’ingresso della luce negli ambienti.

INSTITUT DU MONDE ARABE

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Il nuovo Campus di Giustizia di Madrid è il più grande sito europero dedicato ai tribunali. Seguendo le indicazioni del masterplan, Foster ha progettato due edifici circolari collegati da una piazza coperta. Entrambi gli edifici sono stati progettati per minimizzare l’irraggiamento solare, consentendo nel contempo l’ingresso della luce naturale negli ambienti interni. Come elemento chiave di questa strategia, Hoberman è stato incaricato di sviluppare diversi sistemi di schermatura personalizzati. Avendo entramabi gli edifici una copertura vetrata formata da una maglia triangolare, la soluzione più idonea è stata quella di schermature esagonali composta da lamelle forate, a creare una membrana interna. Questi elementi, ognuno indipendente dall’altro, seguono il principio di funzionamento del sistema di oscuramento avvolgibile. Essendo ogni componente fornito di un sensore, ha la capacità di percepire la quantità di luce solare ed aprirsi, o chiudersi fino a scomparire nella stuttura della copertura, per favorire le migliori condizioni di comfort ambientali negli edifici.

CIUDAD DE JUSTICIA

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L’occasione per il gruppo dECOi di mettere a punto il primo simulatore interattivo, implementando modelli matematici di base su una superficie, si è presentata nel 2000 grazie ad un concorso per un oggetto interattivo. Il progetto comprende due componenti principali: un dispositivo fisico e un sistema di controllo. Il dispositivo fisico consiste in una struttura modulare composta da pistoni elettromagnetici e superfici metalliche. Il sistema di controllo comprende un potente dispositivo di calcolo che trasmette le informazioni ai pistoni. Inizialmente lo sviluppo del dispositivo fisico ha preceduto quello del sistema di controllo, ma i due aspetti sono stati essenzialmente sviluppati in maniera contemporanea. Come risultato finale, il gruppo presentò una superficie meccanica interattiva in grado di deformarsi in base ai diversi stimoli ambientali, tra cui suoni, movimenti di persone ed informazioni elettroniche.

AEGIS HYPO SURFACE

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“È una questione di arrendersi al legno invece di imporre una forma su una materia”.

HYGROSKIN Deleuze G., Guattari F.,1973

Progettato presso l’Istituto di Design Computazionale (ICD), laboratorio dell’Università di Stoccarda, il padiglione HygroSkin esplora una nuova forma dell’Architettura Responsiva. Mentre la maggior parte delle ricerche e delle applicazioni di interattività tra architettura/ambiente si basa sull’utilizzo di elettronica applicata ai materiali inerti, questo progetto utilizza la capacità di risposta del materiale stesso. Igroscopicità si riferisce alla capacità di oggetti di assorbire o cedere umidità all’ambiente circostante a seconda della necessità dell’oggetto stesso. Utilizzando questa caratteristica del legno – pannelli di abete rosso - è stato possibile costruire una membrana in grado di aprirsi e chiudersi in risposta ai cambiamenti del tempo, senza alcune necessità di energia elettrica né alcun tipo di controllo meccanico o elettronico. Quando l’umidità aumenta, le aperture si richiudono su se stesse, mentre durante le giornate di sole i fogli lignei si contraggono aumentando l’ampiezza delle aperture. Qui la struttura del materiale stesso è sensore, processore ed attuatore insieme.

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Dal principio degli origami e dalla volontà di sperimentare nuove forme architettoniche in grado di assecondare acustiche differenti, nasce dallo studio RVTR il progetto Resonant Chamber; è un soffitto concepito per poter cambiare forma adattandosi agli effetti desiderati da chi sta producendo musica in un determinato ambiente. Pannelli composti da tre strati (riflettente, assorbente, elettroacustico) hanno la capacità di modificare la loro forma per poter mostrare o nascondere le proprie superfici, così da alterare le condizioni del suono. Infatti il pannello elettrinico contiene sensori e attuatori in grado di ricevere input e adattarsi a quelli che sono stati i parametri elaborati dal processore. Ogni componente, inoltre, è fornito di un sistema di amplificazione che permette alla musica di non essere solo riflessa, ma anche di essere riprodotta dai pannelli stessi.

RESONANT CHAMBER

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Situate ad Abu Dhabi, le Al Bahar Towers progettate dal gruppo Aedas Architects hanno un’altezza di 145 metri. La caratteristica principale di questi grattacieli per uffici è sicuramente la facciata responsiva che prende spunti culturali dalla “mashrabiya”, un tradizionale reticolo islamico utilizzato per ombreggiare le zone interne degli edifici. Utilizzando software parametrici per la geometria dei pannelli di facciata, il team ha messo a punto un sistema in grado di rispondere all’esposizione solare e ai mutevoli angoli di incidenza durante i diversi giorni dell’anno. Lo schermo è posto su un telaio indipendente, distaccato di circa due metri dalla superficie vetrata, ed è composto da triangoli ricoperti da fibra di vetro. Ogni componente reagisce in maniera autonoma agli stimoli provenienti dal sole e il loro comportamento è stato studiato in maniera tale da ridurre la quantità di luce che penetra negli spazi interni. La sera, invece, tutti gli schermi si apriranno in maniera tale da mostare la superficie vetrata dell’edificio. È stato stimato che questo sistema è in grado di ridurre di oltre il 50% l’irraggiamento solare, con una conseguente riduzione di utilizzo di impianti di condizionamento dell’edificio.

AL BAHAR TOWERS

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Situato in un ex porto industriale, il Padiglione tematico è l’edificio principale dell’Expo 2012 tenutosi a Yeosu, nella Corea del Sud. L’intento principale del progetto era quello di incarnare il tema dell’Expo, “Consistenza dell’Oceano e dell’Umanità”: l’utilizzo responsabile delle risorse naturali è incorporato nell’edificio attraverso il design sostenibile o l’approccio – come viene definito dallo studio SOMA - biomimetico della facciata. L’innovativa facciata ha una lunghezza totale di 140 metri e un’altezza che varia dai 3 ai 13 metri. È composta da 108 lamelle in vetroresina sostenuta dai bordi superiori e inferiori, che sfruttano le proprietà di tale materiale per il loro movimento; più sono lunghe, maggiore è l’angolo di rotazione e di conseguenza la superficie di apertura. Il ruolo principale della facciata responsiva è quello di modulare l’accesso della luce naturale nel foyer. Oltre alla funzione di controllo della luce, il movimento individuale di ogni singolo componente permette, mediante l’apertura o la chiusura sfalzata, di creare pattern per tutta la lunghezza dell’edificio. Al fine di ridurre il consumo energetico dell’edifico, lo spazio è stato progettato per essere ventilato naturalmente. Con la stessa visione, le lamelle sono alimentate da pannelli solari posti sul tetto e saranno fondamentali per ridurre l’utilizzo di impianti di condizionamento.

ONE OCEAN

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I

n questo capitolo viene presentato un glossario dei vocaboli di uso più frequente e di significato più ambiguo o meno noto del lessico dell’Architettura Responsiva. Il loro ordine segue un ragionamento legato alle relazioni di significato e alla contiguità dei temi. La prima parte introduce le figure necessarie al fine di realizzare l’interattività tra le parti. La seconda evidenzia i metodi del processo di progettazione propri dell’Architettura Responsiva. Infine vengono proposti gli strumenti utilizzati in questo ambiente.



AGENTI

Per agenti si intendono tutti gli attori che concorrono ad influenzare il comportamento di un’Architettura Responsiva, per definizione una strada a doppio senso. Come sostiene Usman Haque, tali sistemi devono utilizzare una modalità di interazione “circolare”; diversamente possiamo considerarli come semplici sistemi reattivi. Infatti, un vero e proprio sistema interattivo è un sistema ciclico: un continuo e costruttivo scambio di informazioni; e se la cosa è scontata per gli esseri umani lo è meno per i componenti elettronici. Sebbene i fattori ambientali non abbiano la capacità di elaborazione necessaria a creare un ciclo di conversazione, essi sono comunque un attore influente sugli altri e sono comunemente inclusi in questa categoria. Sono dunque considerati agenti dell’Architettura Responsiva i fattori ambientali, gli utenti e i componenti dell’architettura stessa.

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C


COMPONENTE Composto da un sensore, un processore e un attuatore, rappresenta la più piccola parte di un sistema responsivo. Se paragoniamo il sistema ad un corpo, il componente è assimilabile ad una cellula, capace di svolgere il proprio ruolo indipendentemente dal resto del sistema ma partecipando al suo funzionamento complessivo. Durante il processo di progettazione proprio dell’Architettura Responsiva particolare attenzione viene dedicata ai cinematismi meccanici e alle relazione tra input e output di un singolo componente, cioè come dovrà essere percepito uno stimolo e quale sarà la reazione cinetica del componente. Quindi cambia totalmente l’approccio del progettista. La progettazione tradizionale parte dal macro per arrivare al micro, dunque come processo di sintesi di un insieme complesso di fattori. Ora l’architetto compie il processo inverso, cioè progettando le strutture meccaniche, equipaggiandole di sensori e attuatori a seconda del comportamento voluto; attraverso la proliferazione degli elementi progettati, aumenta la complessità del sistema fino ad ottenere un’architettura compiuta.

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SENSORI AT T U AT O R I Sono componenti elettronici che permettono ad un dispositivo di interagire con l’ambiente. Essendo il microcontrollore un computer molto semplice, è in grado di processare esclusivamente segnali elettrici. Percepire luce, temperatura, o altre quantità fisiche, sarebbe impossibile senza uno strumento in grado di convertire tali dati in elettricità. Nel nostro corpo, ad esempio, gli occhi convertono la luce in un segnale che viene inviato al cervello attraverso i nervi. In elettronica si usa un semplice dispositivo chiamato fotoresistore in grado di misurare la quantità di luce che lo colpisce trasformandola in un segnale che percepibile dal microcontrollore. Captati i dati, il dispositivo ha le informazioni necessarie per decidere come reagire. Il processo decisionale è gestito dal microcontrollore e la reazione viene eseguita dagli attuatori. Nel nostro corpo, ad esempio, i muscoli ricevono segnali elettrici dal cervello e li convertono in un movimento. Nel mondo dell’elettronica queste funzioni potrebbero essere eseguite da luci o motori elettrici. Nel processo di prototipazione rapida, distinguiamo sensori per la percezione di persone o per analizzare l’ambiente; nel primo caso, quelli maggiormente utilizzati, sono i sensori di prossimità e quelli di suono; nel secondo caso abbiamo quelli di luce, umidità e temperatura. Gli attuatori maggiormente utilizzati, invece, sono motori, pistoni, luci e altoparlanti.

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CODICE

Per codice si intende la formalizzazzione all’interno di una struttura razionale e condivisa di informazioni, con l’obbiettivo di comunicare, offuscare o chiarificare le stesse. Nell’ambito della programmazione il codice ha l’obbiettivo di comunicare alla macchina le istruzioni necessarie allo svolgimento di un compito in una forma non fraintendibile. Quando il codice viene condiviso da più utenti viene si considerano le necessità di comprensione e dunque un codice è tanto più efficace tanto più è comunicativo ed intutitivo ma al tempo stesso univoco. Nell’informatica il codice è la conversione dell’algoritmo in una sequenza di zeri e uno – per quanto mascherata dietro ad una forma di linguaggio più o meno simile alla sintassi umana - comunicati come impulsi elettrici alla macchina. Tra le varie forme di codifica che può assumere, nei programmi di progettazione parametrica è comunemente utilizzata la programmazione visuale, cioè la rappresentazione dei passaggi logici del codice in forma di grafo. Da qui nascono programmi come Grasshopper e Firefly che permettono di eseguire un codice senza conoscerne le regole sintattiche ma sfruttando unicamente le connessioni logiche delle azioni che si vogliono svolgere.

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ALGORITMO È la procedura matematica attraverso la quale viene risolto un problema in una serie finita di passaggi. Nel caso della programmazione l’algoritmo viene espresso in forma di codice per permettere la trascrizione e l’elaborazione di un problema da parte di una macchina. Nel caso ancora più specifico dell’architettura non lineare si adotta una famiglia di algoritmi definiti generativi, derivati dall’evoluzionistica computazionale; possono essere descritti come i processi logici grazie ai quali, impostati una serie di fattori di base e alcune parametri che regolano l’interazione di vettori, si può giungere a risultati non prevedibili. La forma, quale obiettivo finale di un algoritmo di calcolo, è la rappresentazione diretta di un fenomeno matematico. La vera spinta innovativa presente nell’utilizzo degli algoritmi generativi è il fenomeno dell’emergenza. Grazie alla scrittura di nuovi codici algoritmici, gli architetti che in passato si sono dedicati allo sviluppo di forme non euclidee possono trovare nuove possibilità per proseguire nella propria ricerca, potendo direttamente manipolare le regole dello spazio. Sempre più spesso i progettisti si sostituiscono agli sviluppatori con l’intento di realizzare codici sempre più specifici; così l’applicativo si sta contraendo sempre di più verso l’algoritmo specifico, il processo di sintesi formale più adatto alla risoluzione di un singolo problema progettuale.

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EMERGENZA È un concetto che appare nella letteratura di molte discipline, ed è fortemente correlato alla biologia evoluzionistica, l’intelligenza artificiale, la cibernetica e la teoria generale dei sistemi. È un termine che è sempre più comune nel discorso architettonico, dove troppo spesso viene usato per evocare la complessità. Nella più semplice definizione comunemente utilizzata, emergenza si dice essere la proprietà di un sistema di non poter essere il solo risultato dei singoli componenti, ma di essere più della somma delle sue parti. Si parla dunque di emergenza quando all’interno di una popolazione di elementi semplici compaiono dei fenomeni non prevedibili considerando le sole caratteristiche degli elementi. Nell’Architettura Responsiva, l’elemento di base è rappresentanto dal componente il quale, tipicamente, viene progettato per avere cinematismi semplici. L’interesse della ricerca consiste nello sviluppo di conformazioni spaziali e comportamentali emergenti, le quali presentano un grado di complessità non prevedibile a priori. Il ruolo dell’architetto, quindi, risiede nella capacità di progettare elementi in grado di produrre un fenomeno di emergenza, pur non conoscendone le caratteristiche finali.

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POPOLA ZIONE L’Architettura Responsiva basa la modulazione delle superfici sulla distribuzione di componenti; tale processo è detto proliferazione ed il suo risultato è indicato con il termine di popolazione. Così come per le strutture biologiche una popolazione è formata da individui, ognuno con le proprie caratteristiche, le sue interazioni con gli altri esemplari e la sua posizione nella comunità, ma tutti concorrenti ad un unico scopo. L’architettura non lineare ha adottato una serie di strategie per generare una popolazione partendo dai componenti che ne costituiscono le parti; l’ordine formale è stabilito solo da relazioni definite a livello locale tra gli elementi. Questa molteplicità di componenti e di relazioni locali sono la fonte del processo di morfogenesi. Bisogna tra l’altro ricordare che, senza l’esistenza di differenze intrinseche negli elementi, all’interno della popolazione non ci sarebbero comportamenti emergenti, poiché non si attiverebbero i processi di interazione innescati da tali differenze.

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COPIA FAMIGLIA

Lo spostamento da un tipo di progettazione tradizionale ad una generativa ha cambiato il modo con cui vengono concepiti i manufatti e trasmesse le informazioni ad essi legate. Il concetto di copia appartiene al mondo della produzione di massa standardizzata ed implica che ogni manufatto realizzato a partire da un progetto ne sia l’esatta copia. Nell’architettura non lineare, invece, viene adottato il sistema della customizzazione di massa, realizzato tramite l’utilizzo della fabbricazione digitale; questa permette una comunicazione diretta tra progetto virtuale e prodotto reale tramite macchine a controllo numerico computerizzato (CNC). Nell’ambito della dell’Architettura Responsiva, il concetto di famiglia nasce dal processo di proliferazione che ha come risultato una popolazione di componenti; pur condividendo le stesse caratteristiche, essi sviluppano specificità proprie legate alle influenze reciproche e quelle esercitate dal contesto.

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COMPORTAMENTO All’interno di uno spazio architettonico responsivo molti sono gli stimoli in grado di comunicare con la struttura. Tale struttura è costituita da singole parti, i componenti, in grado di avere un comportamento indipendente se non rispondono a logiche di algoritmi comportamentali oppure di poter interagire tra loro se, oltre alla loro reazione agli stimoli, nel loro patrimonio generativo è stata codificata una risposta collettiva. Come risultato si avrà, nel primo caso - proprio del mondo artificiale - un cinematismo dei singoli componenti dovuto agli input esterni; nel secondo caso - proprio del mondo biologico – un cinematismo risultato degli input e delle relazioni tra i singoli componenti. Infine, pur essendo le regole di comportamento delle singole parti molto semplici, così come le loro regole di interazione, la combinazione può dar vita a comportamenti che si rivelano emergenti.

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INPUT PROCESS OUTPUT

L’architettura responsiva è basata sul concetto della comunicazione bidirezionale, richiedendo così due parti attive. Naturalmente, la comunicazione tra due persone avviene in questo modo: entrambi sentono [input], pensano [process] e parlano [output]. In ambito architettonico, però, non avviene una comunicazione tra due persone, bensì tra le parti dell’architettura e le persone e/o fattori ambientali. Come sostiene Usman Haque, tali sistemi devono utilizzare una modalità di interazione “circolare”, diversamente possiamo considerarli come semplici sistemi reattivi. Infatti, un vero e proprio ambiente responsivo è un sistema multi-loop: un continuo e costruttivo scambio di informazioni. Così, quando le persone interagiscono con l’architettura, non dovrebbero essere pensati come ‘utenti’ bensì come ‘partecipanti’ di questo dialogo. Il risultato, quindi, sarà dato da nuove configurazioni in tempo reale, in tutti i momenti; qualche volta risultano essere particolarmente lente, altre così veloci da non poter essere percepite.

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ARDUINO

Sviluppato presso l’Interaction Design Institute di Ivrea come microprocessore per la divulgazione didattica dell’elettronica e per la creazione rapida di prototipi, Arduino è composto principalmente da due parti: la scheda Arduino, una piattafotma hardware sul quale si lavora quando si costruisce un oggetto, e Arduino IDE, il software che permette di scrivere il codice in grado di comunicare le istruzioni all’hardware e dunque agli attuatori. All’interno dell’Architettura Responsiva le potenzialità di Arduino si esprimono nella semplice struttura del modello definito “dispositivo interattivo”: questo è un insieme di circuiti elettrici capace di recepire degli input usando dei sensori ed elaborarle tramite il processore, secondo regole stabilite da un algoritmo codificato; gli attuatori – hardware in grado di convertire segnali elettrici in un output - renderanno il dispositivo in grado di interagire con l’ambiente esterno. Tale processo, se generalizzato, è identificato con la sigla inglese IPO. Dietro al progetto Arduino esiste una vasta comunità che ha creato un ecosistema che offre supporto per la risoluzione dei problemi e per il miglioramento del prodotto. La community rappresenta l’opportunità di avere un team di sviluppo orizzontale che l’azienda non potrebbe avere se non attraverso il mondo internet. Rappresenta, così, il primo esempio di successo di hardware open-source: tutte le informazioni riguardo l’hardware e i relativi progetti vengono distribuiti così da poter essere utilizzati o modificati da tutti.

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GRASS HOPPER

È un linguaggio di programmazione visuale sviluppato da David Rutten e Robert McNeel & Associates, eseguito all’interno del software Rhinoceros 3D. La potenza di tale strumento nasce dalla capacità di trasformare le operazioni di scripting di un codice in una serie di atti visuali - come il trascinamento di componenti su una tela e la creazione di una rete logica tra i componenti - mantenendo dunque una capacità di correzione o retracing attraverso tutto lo sviluppo del codice. Grasshopper è utilizzato principalmente per costruire algoritmi generativi e molti dei suoi componenti servono a creare geometrie 3D. La capacità di entrare nel mondo della programmazione senza però conoscere un linguaggio proprio dello scripting ma utilizzando semplicemente le capacità logiche proprie di qualsiasi individuo, hanno permesso di trovare un linguaggio comune, e facilmente comprensibile, a figure prima distanti come gli architetti, creando così quella profonda commistione di competenze possibile solo se vi è reale comprensione tra le parti. Oltre ad offrire un ponte tra più competenze, Grasshopper nasce in un contesto di totale condivisione e si avvale di una folta comunità di tecnici che collaborano al fine di migliorarne i contenuti e promulgarne la diffusione.

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D I G I TA L


F I R E F LY

Offre una serie di strumenti dedicati a colmare il divario tra Grasshopper e il microcontrollore Arduino. Permette un flusso di dati quasi in tempo reale tra il mondo digitale e quello fisico, consentendo la possibilità di esplorare prototipi virtuali e fisici con una fluidità senza precedenti. In qualità di strumento di modellazione generativa, Grasshopper offre un’interfaccia visiva fluida per la creazione di sofisticati modelli parametrici ma, per impostazione predefinita, manca la capacità di comunicare con i dispositivi hardware come microcontrollori programmabili o interfacce tattili. Combinando un insieme specializzato di componenti con un protocollo di comunicazione specifico, la comunicazione con i dispositivi hardware risulta essere possibile. Dunque i dati del mondo reale, acquisiti da vari tipi di sensori o altri dispositivi di input, possono essere utilizzati per definire in modo esplicito relazioni parametriche all’interno di un modello di Grasshopper e, allo stesso tempo, è consentita agli utenti la possibilità di inviare informazioni da Grasshopper al microcontrollore al fine di incitare attuazioni specifiche, generando un nuovo modo di creare prototipi interattivi.

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PHYSICAL COMPUTING Il Physical Computing, nel senso più ampio del termine, è la costruzione di sistemi e ambienti interattivi con l’uso di software e hardware. È una parte del processo di progettazione responsiva che riguarda la prototipazione con elettronica, sensori, attuatori e microcontrollori. La finalità è quella di progettare entità in grado di comunicare con l’ambiente circostante attraverso dei sensori controllati tramite l’utilizzo di un processore. Fino a qualche anno fa per progettare queste entità bisognava rivolgersi a ingegneri specializzati che, a partire da un disegno elettrico, riuscivano a creare dei circuiti stampati. In questo tipo di approccio esiste un grosso limite, ovvero quello di non poter fare delle sperimentazioni durante il processo di produzione. Negli ultimi anni si è assistito ad un abbassamento dei costi dei microcontrollori e il physical computing è oggi alla portata di tutti quelli che hanno interesse nel settore. Un contributo fondamentale alla diffusione di questo fenomeno è stato apportato da Arduino, una piattaforma sviluppata presso l’Interaction Design Institute di Ivrea, e dal mondo dei FabLab.

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HACKING

Per hacking, all’interno di un contesto come quello del design, si intende una nuova forma di appropriazione degli oggetti attraverso la loro modifica ed adattamento a nuove funzioni o a nuove richieste estetiche dell’utente. Si sta di fatto sviluppando una forma di sottocultura legata alla volontà di creare una relazione, una comunicazione con gli oggetti della quotidianità; tratto in comune con l’Architettura Responsiva, con la quali infatti condivide gli strumenti e gli ambienti di sviluppo. Le modifiche solitamente avvengono tramite la manipolazione dei materiali o l’inserimento di microprocessori per integrare sistemi di controllo; queste tecniche sono di fatto quelle adottate nei FabLab e le strategie adottate per realizzare queste modifiche possono essere assimilate ai processi di produzione di prototipi.

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PROTOTIPO È un termine usato in vari contesti, tra cui la semantica, la progettazione, l’elettronica e la programmazione software. Normalmente costruito in modo artigianale e in scala 1:1, sul prototipo verranno effettuati collaudi, modifiche e perfezionamenti, fino al prototipo definitivo, da avviare alla produzione in serie. Non esiste un accordo generale su ciò che costituisce un “prototipo” e la parola è spesso usata in modo intercambiabile con il termine “modello”. In generale, i “prototipi” possono essere suddivisi in: Proof-of-Principle Prototype _ usato per testare alcuni aspetti del progetto, senza tentare di simulare l’aspetto visivo, la scelta dei materiali o aspetti riguardanti il processo di fabbricazione. Form Study Prototype _ permette ai progettisti di esplorare le dimensioni di base e l’aspetto. In generale, i prototipi si differenziano dalla produzione finale per tre aspetti fondamentali: Materiali _ durante la fase della prototipazione si tenta di utilizzare materiali diversi da quelli finali ma che ne simulino le proprietà. Processi _ per la produzione finale sono richiesti costi e tempi di assemblaggio elevati; i prototipi utilizzano processi più variabili e tecnologie meno efficienti. Bassa fedeltà _ la progettazione della produzione finale spesso richiede ampio sforzo per avere un alto dettaglio; questo è generalmente ingiustificato per i prototipi.

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FABLAB

I FabLab sono intesi come un insieme di luoghi nei quali viene fornita assistenza per la prototipazione e nei quali un insieme di programmatori, architetti, designer, ingegneri ed entusiasti promuovono iniziative per incoraggiare l’autoproduzione. Tuttavia FabLab nasce come programma di ricerca universitario per esplorare le possibilità di una comunità non specializzata nell’indagare la produzione, se fornita di strumenti adeguati. Il programma è iniziato come una collaborazione tra il Grassroots Invention Group e il Bits and Atoms Center presso il media Lab del MIT nel 2001 e, dal Febbraio 2009, è nata la FabFoundation con lo scopo di agevolare e sostenere la crescita della rete del FabLab internazionale fornendo accesso agli strumenti, le conoscenze e i mezzi finanziari per educare, innovare e inventare, utilizzando la tecnologia e la fabbricazione digitale per consentire a chiunque di fare (quasi) tutto – come suggerisce il motto dell’associazione - nell’ottica di creare opportunità per migliorare la vita e i mezzi di sussistenza della popolazione umana in tutto il mondo.

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N

elle seguenti pagine viene presentata un’applicazione dei processi finora descritti. Questo progetto, sviluppato anche grazie all’appoggio del laboratorio di physical computing del Politecnico di Milano PhycoLab - nasce come indagine di un componente nei suoi aspetti formali, cinematici e spaziali. Quest’ultima sezione si articola dunque in tre parti: geometria, elementi e applicazioni.


GEOM


ME TRI GEOMETRIA

P

arallelamente allo sviluppo della ricerca sul tema dell’interattività in architettura, è stato scelto di portare avanti un’esercitazione che si articola nella proliferazione di un componente su una superficie. Partendo dalle riflessioni emerse durante la stesura della tesi, è sembrato opportuno cominciare questo lavoro da una geometria semplice, sviluppandone i possibili cinematismi e le possibili interazioni per poter giungere ad un comportamento emergente. Seguendo i metodi dell’Architettura Responsiva, ci siamo concentrati sulla progettazione di un componente e delle regole che ne avrebbero generato la popolazione. La fase successiva è stata quella di stabilire la modalità di interazione con gli altri agenti per sviluppare una serie di ragionamenti sul singolo componente: trovare una forma capace di rispondere alle richieste di interattività e allo stesso stempo di creare giochi di luce. 103


La ricerca si è dunque orientata verso gli origami, una famiglia di forme capace di generare cinematismi interni e di articolarsi in conformazioni spaziali tridimensionali. Indagando nella storia di tale tecnica, ci è sembrato subito evidente il parallelismo tra l’Architettura Responsiva e l’immagine di vita e trasformazione rappresentata dall’origami. Tenendo a mente l’obiettivo iniziale, abbiamo eseguito una ricerca di possibili pieghe che potessero generare i risultati auspicati. Modulo della nostra facciata è il quadrato e, partendo da tale figura, sono stati sviluppati una serie di tentativi prima di giungere ad una conformazione che ci soddisfacesse. Infatti, il modulo a origami è caratterizzato da una simmetria che rende possibile l’estensione e la contrazione in un piano attorno a un punto comune.

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ELEM CO S T


MENTI T ILT U T I V ELEMENTI

COSTITUTIVI

a scelta della forma, con i relativi cinematismi interni, ha permesso di limitare la quantità di attuatori necessari alla movimentazione del componente, di fatto riducendone il numero a uno. La progettazione dei componenti all’interno dell’Architettura Responsiva, infatti, punta ad ottimizzare ed alleggerire le componenti meccaniche in favore delle qualità estetiche del movimento. Per le capacità di interazione ambientali del componente era stato inizialmente pensato l’uso di un sensore di prossimità per legare il dinamismo della facciata alla presenza delle persone ma, dopo una riflessione sull’effettiva applicazione del progetto, si è optato per un fotoresistore – comunemente chiamato sensore di luce; la quantità di elettricità lasciata passare dalla resistenza variabile viene convertita in dati da elaborare dal processore. 107


Per quanto riguarda quest’ultimo, non avendo richieste di calcolo elevate né la necessità di realizzare un circuito complesso, è stata adottata la scheda Arduino UNO – la più basilare della famiglia di microprocessori italiani. Nella progettazione dei componenti infatti vanno considerati parametri come l’alimentazione, la gestione della corrente nel circuito e la quantità di calcoli al secondo che dovranno essere effettuati affinché l’algoritmo venga risolto in tempo reale; tali fattori influenzano le dimensioni, la complessità tecnologica ed il costo del componente. La forma scelta ha la proprietà di convertire un movimento lineare in una deformazione triassiale dell’elemento; questa operazione richiede l’applicazione di una forza uguale a tutti e quattro i nodi di piega centrali. L’attuatore usato è il motore servo diretto, un dispositivo che converte un segnale elettrico in un movimento angolare; per convertire questa rotazione in un movimento di traslazione sono state adottate quattro pulegge pplicate ad una ruota centrata sull’asse del motore - che trasferiscono la forza in maniera eguale ad altrettanti perni passanti per una doppia rotaia. Parte del processo di progettazione ha dunque riguardato gli aspetti puramente meccanici del prototipo e la loro ottimizzazione attraverso una serie di piccole migliorie. Nella pagina accanto vengono presentati gli elementi necessari per la costruzione di un prototipo del componente.

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In parallelo alla parte meccanica è stata sviluppata quella informatica con l’intento di realizzare l’algoritmo più semplice possibile nell’ottica di alleggerire il processo di comunicazione tra sensore e processore. L’algoritmo per il componente è il seguente: 1. leggere il valore del fotoresistore da 0 a 500;

2. rimappare il valore da 0 a 500 in gradi sessagesimali da 0 a 90;

3. comunicare il valore al motore servo; 4. ripetere.

Di seguito vengono spiegati i passaggi: nella riga 1 verrà identificate la quantità di corrente in mA lasciata passare dalla resistenza come segnale di input; nella riga 2 viene svolta un’equivalenza per convertire il segnale di input 0[mA]:0[gradi]=500[mA]:90[gradi]; nella riga 3 il segnale, ormai in gradi, viene comunicato al motore servo che compierà la rotazione; nella riga 4 si specifica la continuità con cui questo processo verrà effettuato. Per poter essere comunicato al processore, l’algoritmo necessita di essere codificato in un linguaggio comprensibile dalla macchina. L’algoritmo, una volta codificato in Arduino IDE, appare come nella pagina accanto.

110


#include <Servo.h> int sensorPin = A0; int servoPin = 9; int sensorValue = 0; int servoGrad = 45; int tolleranza = 50; Servo myservo; void setup() { pinMode( sensorPin, INPUT); myservo.attach( servoPin ); myservo.write( servoGrad ); } void loop() { sensorValue = analogRead(sensorPin); if ( sensorValue < (200-tolleranza) ) { if (servoGrad < 90) servoGrad++; } if ( sensorValue > (80+tolleranza) ) { if (servoGrad > 0) servoGrad--; } myservo.write( servoGrad ); }

delay(100);

111


APPL


ICAZIO APPLICAZIONI

G

li esempi presentati nelle prossime pagine si riferiscono a delle possibili conformazioni spaziali che una popolazione di componenti può assumere in seguito al processo di proliferazione. Vengono proposte delle superficie che ospiteranno un numero sempre crescente di elementi per mostrare il comportamento che una popolazione può avere; in particolare sono state adottate diverse strategie di proliferazione, sia con algoritmi che prevedono un’interazione componente/ambiente, sia con algoritmi che comprendono regole d’interazione componente/componente e responsività ambientale. Infine, viene messo in evidenza come un numero sempre maggiore di componenti può dar vita a comportamenti emergenti. 113






WORK IN PROG


K RN E S S

el più ampio contesto della progettazione dell’interazione, questa tesi è nata come strumento di indagine ed accrescimento delle competenze base sul tema dell’interattività nell’architettura, dai suoi aspetti banalmente linguistici alle forme e procedure della programmazione. Con uno specifico obiettivo didattico nell’ambito dei workshop sulle responsive morphologies organizzati dal laboratorio di physical computing del Politecnico di Milano - la tesi ha l’obiettivo di comunicare i risultati della ricerca in una forma chiara e con una terminologia specifica ma comprensibile, e senza addentrarsi nei dettagli dell’architettura dei codici, ai nuovi gruppo di lavoro che si affacceranno alla ricerca in questa direzione.



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