Edizione n4 2014

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no Gianni r a c s O rdani e uno Da r B a d Diretto 2014 | e r b m ice n.4 - d

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aliana t i a i c n provi

rucco t l o c tary volun ag l i e r u m e ell ione d g a t s la calisse o p ’a l l lieri de a v a c i4

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indice

n. 4 - dicembre 2014

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speciale venezia

targato londra

06 dove sono?

30

08 EDITORIALE

targato londra 30 - Targato LO 38 - Interbviste da Londra 46 - La cucina è multietnica

09 speciale venezia

10 - Non avrai altra Venezia 16 - Desero Adriatico 20 - Un’idea non contorta 22 - Verso quota 24 milioni 24 - Un assaggio a Rialto

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48

INTERVISTA CHEF RUBIO

48 food

48 - Loving street food 50 - Intervista allo chef Rubio

52 frecce del deserto 55 NELLA FABBRICA DEL TEMPO

Il diadema savonese

rubriche 128 - Books 130 - On the road 134 - Diamo i numeri 136 - Nord ovest e sud est 140 - Appuntamenti Italia 141 - Forrest 142- Appuntamenti mondo 143 - Back to the past

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indice

130 on the road

128 books

134 numbers

143 history


71 - Giannino intervista Giannino La patrimoniale non verrà. C’è già.

60 ITALIA-SVIZZERA 60 ITALIA-SVIZZERA

60 - Più bastone che carota 66 - Benestanti e benvenuti 68 - Nella fascia 77 - La carta che pensa

77 un metro sotto il cielo 78 primo: non fare

84 ecologia

120 i 4 cavalieri

84 ecologia

108 decolla alithiad 84 - A casa di Enrico Moretti Polegato 112 africa in scia 90 - Tra sogno e natura 92 - Alla scoperta della bioedilizia 114 the wall 96 - Idee per una casa green 99 - Bellezza sicura 120 sono tornati 103 il mondo dei single 103 - Receipe for single 106 bis-orient express

gallery&news 21 - Venezia: design gallery 42 - Londra: design gallery 43 - La stanza del lusso 98 - Ecologia: beauty gallery 100 - Sperimentazioni green 102 - Ecologia: fashion gallery 104 - Single: gallery 132 - News sport

21 design

42 design

98 beauty

102 fashion indice

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dove sono? L’editoriale

N.4 - dicembre 2014

Ma dove sono? Dove sono le femministe dell’ultima ora che protestano contro i governi che non consentono la fecondazione eterologa o che si battono contro gli stalker di Stato? Dove sono quelli dell’arci-gay che denunciano l’omofobia? Dove sono i pacifisti che una volta all’anno vanno in gita scolastica sulle strade di Assisi con le loro bandiere multicolore? Dove sono i gruppi sociali che bruciano le bandiere di Israele perché opprime il popolo palestinese? Dove sono i difensori dei diritti umani che denunciano l’atrocità della pena di morte negli Stati Uniti? Dove sono i portavoce delle comunità islamiche in occidente, quelli di viale Jenner, i musulmani moderati? Dove sono gli ideologhi della società multietnica, così bella se si tutelano gli usi e i costumi di tutti e si viola la legge dello Stato? Dove cazzo sono finiti tutti questi difensori degli oppressi, questi portabandiera della libertà, questi professionisti del corteo, questi che dicono no senza se e senza ma? In vacanza dove il telefono non funziona, l’Ipad è guasto, non si ricevono canali tv, non si distribuiscono giornali… perchè altrimenti c’è da chiedersi perché non sono in piazza contro il califfato islamico. Passi per quegli occidentali che se la sono andata a cercare e sono stati decapitati. Sotto sotto i nostri difensori degli oppressi pensano che se la siano meritata. Ma le donne ridotte in schiavitù a migliaia, gli stupri di massa, i ragazzi uccisi dopo averli costretti a una corsa nel deserto, i bambini con la testa mozzata, le attiviste quelle vere che rischiano la pelle per difendere le altre donne, torturate per giorni e massacrate. Dove sono? Dove sono? Dove sono i professionisti dell’oppressione a senso unico? Tranquilli. Lasciate passare qualche settimana e li rivedremo in piazza a bruciare le bandiere di Israele o degli Stati Uniti, per denunciare le vittime civili degli sconsiderati bombardamenti sulla Siria. Torneranno fuori con i vignettisti d’assalto , con gli editorialisti che, seguendo la tesi iraniana sposeranno i nuovi liberatori, forse gli hezbollah perché sono sciiti e quindi possono portare oggi la bandiera della libertà. Quella dell’Islam della porta accanto, ma dimenticavo: vanno a ruba le bandiere a stelle e strisce da bruciare in massa. L’autodafè del congresso e di Obama sulla Cia ha rinfuocato il vecchio odio. E persino Cina, Corea, Afganistan e Francia denunciano la tortura made in USA.

DIRETTO DA Bruno Dardani e Oscar Giannino Pubblicità info@chlifestyle.ch Tel. +41 (0) 815110132 Con la collaborazione di Le Cromiche di De Andreis P. e A. S.n.c. STAMPA MediaPoint Sa

AMMINISTRATORE Giovanni Parisi MEMbro dell’associazione axis

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editoriale


R elai s - Gou r m et - W e l l n e s s - M e e t i n g - C e r i m o n i e - Eventi Immersa nel verde di un magnifico castagneto secolare, sulle colline che circondano il lago di Como e si innalzano verso il confine svizzero, a 493 metri s.l.m., TENUTA de l’ANNUNZIATA è un country hotel di charme circondato da 13 ettari di bosco, dove potrete concederVi un momento di relax nella splendida Beauty Farm, scegliendo il percorso ideale per risvegliare e rigenerare corpo e spirito. TENUTA de l’ANNUNZIATA è la location ideale per ogni tipo di evento: meeting di lavoro, workshop, matrimoni, cerimonie e feste speciali. Una calda atmosfera accoglie gli ospiti nelle sue 22 camere, viziandoli con ogni moderno confort.

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Addio sposalizio con il mare L’editoriale

Nimby: “Not in my back yard”. E se si evolvesse in Nimbh: “Not in my back harbour”? Il pericolo che la sindrome che ormai da anni condiziona le scelte dell’Italia, facendole rinviare nel tempo, dilatando i costi come i conflitti, si estenda ai porti e quindi alle attività marittime è concreto come non mai. E ha anche un suo cavallo di Troia: Venezia. Forse le grandi navi da crociera – come gli intellettuali di moda stile Muccino sostengono con forza e talora con arroganza – non sono esteticamente compatibili con Venezia. Certo questi palazzi di 14 piani, che transitano davanti al campanile di San Marco oscurandolo, sono “mostri”. Ma quella di diventare una città museo popolata di turisti che violano incontrollati e incontrollabili le sue calli e i suoi monumenti, di essere un formicaio di motoscafi che trasportano nelle loro magioni abitate in esclusiva una ristretta cerchia di non veneziani per i quali fa molto “in” avere un appartamento-seconda casa sul Canal Grande, è una prospettiva migliore? Ed è questo il destino di Venezia? É questa la sua ragione d’essere? Una volta all’anno il bucintoro che fu dei dogi celebra lo sposalizio con il mare, perché le navi, il porto, l’emporio delle genti e delle merci sono inscindibili da Venezia. Sono la ragione stessa della città. Il motivo per cui i suoi padri l’hanno costruita. La chiave che ne ha determinato il successo negli anni d’oro della Repubblica marinara. Tutt’oggi l’unica speranza per restare viva e sfuggire a una prospettiva di decadimento che è già realtà. Se il fronte cede a Venezia, le conseguenze saranno drammatiche in tutto l’Adriatico, dove i grandi armatori di navi da crociera perderanno la principale motivazione che oggi li spinge a far risalire ai loro “mostri” un mare che sarebbe destinato a inaridirsi, mietendo ricchezza, occupazione e opportunità. Se il fronte cede, le proteste che si levano da città portuali che hanno perso l’identità

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di Bruno Dardani di comunità portuali prenderanno vigore, si consolideranno e diventeranno pensiero dominante. Quelli che protestano per il rumore prodotto dai porti che lavorano riusciranno a trasformare prima o poi le banchine in bocciofile. Quelli che infieriscono contro i fumi prodotti dalle navi da crociera, otterranno lo splendido risultato di azzerare l’unica filiera turistica che anche in Italia non ha conosciuto crisi. Ma è forse venuto il momento di porsi alcuni seri interrogativi. Il Paese si puó permettere il lusso di azzerare occupazione e ricchezza? Se Nimby sfiora il luddismo, il paese si sgretola. Se le infrastrutture non si realizzano – come ha sottolineato il rapporto sui costi del non fare di cui diamo notizia – il Paese perde 800 miliardi contro i 120 che dovrebbe investire. Se si fanno le infrastrutture e si sfrutta la natura, si favorisce il dissesto idrogeologico e si distrugge il Paese: è il nuovo slogan vincente. Ma non sarà forse vero il contrario?

Se si cementifica abusivamente il Paese, se non si pianifica la gestione del territorio, se si trasforma in oasi protetta ció che è produttivo, se si considerano i porti alla stregua di riserve marine rinunciando invece a recuperare 8000 chilometri di costa in erosione e degrado: Cosí si fa il male del Paese. A Le Havre, di fronte al porto container, prospera una riserva protetta, frutto di una pianificazione territoriale che non ha mai neppure preso in considerazione l’eventualità di ospitare foche e delfini laddove banchine costate milioni sono state progettate per ospitare navi portacontainer. Venezia, diranno in molti, è un caso a se stante. No. Se passa il concetto che neppure itinerari alternativi (meno invasivi e meno invadenti) saranno bocciati a priori per impedire ai mostri navali di entrare in laguna, suoneranno le campane a morto anche sulla storia. E allora facciamo spazio, rottamiamo il vecchio bucintoro: arrivano quelli che, a prescindere-, sono sempre dalla parte del giusto.



di Marcello Dax

Non avrai altra Venezia


Esiste un equilibrio possibile fra Venezia e le crociere? Secondo Confcommercio, Assoporti e Federagenti la risposta è “si”. Per la prima volta sotto i riflettori le verità tecniche su sicurezza, inquinamento e moto ondoso. I giganti del mare non sono forse esteticamente compatibili con la Serenissima, ma una soluzione va trovata, perché con Venezia collasserebbe anche l’Adriatico


s

e non esistessero le massime condizioni di sicurezza, non ci prenderemmo né la briga né la responsabilità di fare entrare le navi a Venezia. Nella frase pronunciata dall’ammiraglio Felicio Angrisano, numero uno del Corpo delle Capitanerie di porto, in occasione del recente confronto su “Venezia-crociere, l’equilibrio possibile”, è scritta per la prima volta una posizione netta e incontestabile sul caso delle grandi navi da crociera che transitano davanti a San Marco e quindi sulla compatibilità fra la salvaguardia del patrimonio Venezia e la difesa di un ruolo di città porto che rappresenta, piaccia o non piaccia, l’unica vera eredità della Serenissima. Non esistono problemi di sicurezza perché i canali sabbiosi e fangosi entro i quali, come binari sul fondo, le navi da crociera scorrono in Laguna non consentono fisicamente né inchini né deviazioni di rotta; le grandi navi non sono quindi pronte a entrare con le loro prue bianche dentro a San Marco; non esiste un problema di moto ondoso, perché dieci motoscafi provocano piú onde di questi colossi del mare; non esiste un problema di inquinamento perchè tutti gli studi dimostrano il contrario di quanto

sostenuto a supporto della battaglia contro le grandi navi. Confcommercio, Assoporti (l’associazione dei porti italiani) e Federagenti (la Federazione che rappresenta agenti marittimi e broker e che si è fatta promotricedel primo tentativo di ripristinare la verità dei fatti) sono scesi in campo, anche in questo caso per la prima volta, per creare una prima crepa nel fronte del politically correct, di una sindrome Nimby che dalla terra si sta spostando sui porti e sul mare, alimentata dai Comitato del “No alle grandi navi”, ma specialmente da quel fronte di intellettuali o, talora, pseudo-tali, per i quali la compatibilità fra economia e salvaguardia del patrimonio artistico o ambientale è sempre e comunque una chimera. Nessun dubbio: il contrasto fra i giganti del mare che attraversano il Canale della Giudecca a pochi metri da piazza San Marco, e la fragilità della città lagunare, balza agli occhi. L’obiettivo – e su questo il mondo del commercio alleato con quello della portualità e dello shipping non è lontano dall’opinione dominante – è di evitare che questo incontro quasi “cacofonico” fra Venezia e le gigantesche navi da crociera cessi al più presto. Ma Progetto Contorta - Sant’Angelo

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è altrettanto necessario, da un lato, ripristinare un quadro di verità; dall’altro evitare due danni irreparabili, sia ovvero il taglio definitivo del cordone ombelicale con il mare e gli scambi che ha rappresentato per secoli la ragione di esistere di Venezia e al tempo stesso l’azzeramento di una filiera economica destinata (con la chiusura di Venezia) a inaridire le due sponde dell’Adriatico, con conseguenze nefaste in termini economici e occupazionali. Il patto siglato da Confcommercio, Assoporti e Federagenti rappresenta una svolta anche culturale nel rapporto fra mondo reale e ideologia, fra economia/ occupazione e politically correct. Dietro al mercato crocieristico si cela una lunga filiera di attività indotte e un patrimonio – hanno sottolineato le tre organizzazioni firmatarie del patto – che il Paese non si puó permettere il lusso né di ignorare né di azzerare. Di qui una sollecitazione precisa al governo: i tempi dell’economia e quelli del mercato sono ormai incompatibili con quelli della politica e dei dibattiti eterni, siano essi da salotto o da talk show. Su Venezia bisogna decidere subito, e le possibilità di far convivere l’esigenza primaria di salvaguardia della città con le crociere ci sono tutte. Sul tappeto ci sono addirittura tre progetti, di cui uno plug & play a minimo impatto che consentirebbe di non buttare al vento gli oltre 200 milioni investiti in quella che a livello internazionali è considerata una delle più efficienti e razionali stazioni marittime, o terminal passeggeri che dir si voglia, del mondo. Si tratta del progetto del cosiddetto canale del Contorta, uno dei tanti canali sul fondo della laguna che storicamente era utilizzato per il traffico commerciale per essere poi abbandonato all’incuria e all’interramento. Scavare cinque chilometri di questo canale sul fondo della Laguna consentirebbe alle navi da crociera di arrivare alla Marittima, ovvero al terminal passeggeri, senza transitare davanti al nucleo storico della città, utilizzando le bocche della laguna e il canale percorso dalle navi che raggiungono Marghera e quindi deviando sulla Marittima. Una soluzione tanto semplice e lineare da apparire quasi ovvia. Se ora i “no” non si fossero spostati dall’impatto fatale



delle navi con piazza San Marco alla difesa dei fondali di una laguna che, è il caso di ricordarlo, è antropomorfica da secoli visto che la Serenissima Repubblica Marinara l’ha scavata in lungo e in largo, per incidere sulle maree, per renderla meglio navigabile, sino a deviare il corso di un fiume che ogni anno minacciava di interrarla. Il Contorta è in corsa per un sì nella valutazione di impatto ambientale, ma anche su questo canale è in atto la crociata del “no navi”. Esistono poi altre due opzioni: la prima prevede l’abbandono della Marittima e la prosecuzione delle navi sino a Marghera dove, per ora, esiste un problema non marginale di convivenza fra traffico passeggeri e navi cargo, nonché traffico petrolifero; la seconda, sostenuta dall’ex sottosegretario De Piccoli e dal gruppo siderurgico Duferco, punta invece sulla realizzazione di una sorta di stazione marittima offshore collegata con navi shuttle alla Marittima. Una soluzione avvenieristica, forse troppo, che ha lo svantaggio di mettere in discussione il ruolo di Venezia quale home port delle crociere, ovvero di base in cui i passeggeri

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imbarcano a inizio crociera e sbarcano a viaggio ultimato. Un ruolo, questo, che rappresenta uno dei punti di forza della linea di difesa lanciata da Confcommercio, Assoporti e Federagenti. Un home port garantisce ricadute accentuate rispetto a un porto crocieristico di transito e, nel caso specifico di Venezia, un’altissima percentuale di turisti che scelgono di soggiornare almeno una notte nella città lagunare prima di imbarcarsi o dopo aver concluso la loro crociera. Per altro Il «Comitatone» di ministri, Parlamento e autorità, il ContortaSant’Angelo lo ha già approvato e scelto. Manca ancora la valutazione ambientale e proprio per questo il progetto che avrebbe le caratteristiche per essere completato entro il primo gennaio 2015 naviga ancora a vista, con una ipotesi operativa per il 2016. Secondo l’Autorità portuale di Venezia è questo il solo progetto capace di allontanare le navi da San Marco mantenendo l’eccellenza crocieristica veneziana. Il progetto prevede una durata dei lavori di 19 mesi, con un piano economico che fissa i costi dell’opera in

42 milioni per escavo e ricalibratura, 71 milioni per il recupero morfologico e 33 per i sottoservizi. Ma sino ad allora, cosa accadrà? Commentando la decisione del Comitatone, il ministro Lupi aveva affermato che nel 2014 e nel 2015 nessuna grande nave al di sopra delle 96.000 tonnellate potrà passare nel bacino di San Marco e nel canale della Giudecca. Indicazioni che rinviano a un domani neppure troppo vicino le scelte strategiche per Venezia. Bandire le navi sopra le 100.000 tonnellate significa probabilmente decretare una inevitabile cancellazione di Venezia, e probabilmente di tutto l’Adriatico, dagli itinerari di tre anni dei gruppi crocieristici che, ad esempio, per le crociere nel Levante, potrebbero radicarsi al Pireo. E allora, farli tornare indietro risulterebbe davvero difficile, trasformando un’ipotesi, quella di una Venezia diventata una città museo senza un porto, in una scelta obbligata e subita. Subita specie da quei veneziani che, a più riprese, al contrario dei Comitati del no, si sono espressi a favore della difesa di una forte presenza delle crociere nella loro città.


Pe r Ve n ez ia in quanto patrimonio salvaguardare Venezia di ti tut a ne mu co e • Condiviso l’interess lle il dialogo sul futuro de à nit dell’uma lemiche e ricondurre po n le ga re slo ca su pla n di no e tà tecniche • Evidenziata la necessi sata su considerazioni ba le, 10 rea o ne en sio alm en de dim a compren crociere in Laguna a un filiera economica che essione di una estesa rec di o il proprio business i ess ch ris i rom i mp iat co nz • Evide re for temente de ve a si ’es ch an ti na sti na alle grandi navi porti nell’Adriatico, de iusura totale” della Lagu “ch a un di so ca l ne o tic crocieris verno a individuare in ragenti sollecitano il Go de Fe e i o rci me om nfc Co , do definitivo alle grand I Presidenti di Assoporti e, anche vietando in mo ch sa di ivi ta nd en co ns e co , ion rco luz Ma tempi brevissimi una so transito davanti a San lla Giudecca e quindi il de le e di sopravvivenza na ell ca il qu n ra co cie , zia cro navi da guardia di Vene va sal di e ela tut di e nz ne della conferma del compenetrare le esige ansione nell’ottica comu esp te for rto. in ica ist tur e o di essere una città-po di un’attività economica tabile di Venezia: quell tes a on nic inc e tec kit lta nti sce ide a o mente un ruolo storico e dell’unic rno di compiere rapida ve Go di al o rto on po ied di ch ro ni ve zio ov Le scriventi tre Associa il ruolo di home port, conservare a Venezia di a di transito rende nz o ige ell ’es qu all di a za nd en po che ris esto, che a differ qu , li olo Ru re. cie cro Venezia, e garantisce rea partenza e arrivo delle ssi turistici nel centro di flu i Le de o. e tic on ria sti Ad ge e o ter ne possibile una regolazio ezza per la Laguna e l’in le zione, economia e ricch pa cu oc di ni ente di confronto con mi ter in ricadute ersi a un tavolo perman sed a o ili ffic nib tra l po de e dis ion no r una selez tre Associazioni si rendo o expertise specifica pe lor la i e on nir izi for nd di co e e fin zar al liz , per rea autorità competenti; ciò progetti di green ships rni de to mo en più i tam de en se ng ba nti co crocieristico anche sulla che eventuali forme di ingenti, per studiare an str ra. più cie ra co cro an st po zza e ure di sic isti in città pre un radicamento dei tur turistico e per favorire ssario, non è facile, ma nece un equilibrio possibile di bbe vo rre tti du bie pro l’o e rto ch n il po Nella consapevolezza del legame storico co ne zio va una pri di la uro zia fut ne il Ve r anche pe e che comunque per lo per l’economia ma so n ter no po e da tiv ga do ne mo te in preciso conseguenze for temen rno di fissare un timing ve Go al o on i. ied tic ch ris a, crocie città che deve essere viv con i grandi operatori struttivo e collaborativo co o log dia un are cci rialla Roma, 9 dicembre 2014 ASSOPORTI

. CONFCOMMERCIO

FEDERAGENTI

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Deserto adriatico

v

enezia è tra le capitali mondiali della crocieristica: così esordisce uno studio di Risposte Turismo sull’incidenza di Venezia, quale fattore determinante di attrattiva, sul traffico globale delle crociere che oggi gravita in Adriatico. Un corretto ed oggettivo esame del ruolo di Venezia all’interno di quest’ambito – quello del turismo e della produzione crocieristica – va compiuto non limitando il focus ad un confronto costo-benefici relativo al territorio comunale o provinciale, ma estendendolo invece ad una più ampia area che ha in Venezia un vero e proprio driver di spinta. Tale contesto è quello Adriatico che, senza Venezia, potrebbe veder venire meno tutta, o quantomeno gran parte, di queste attività. É dunque opportuno impostare una riflessione e una ricognizione qualiquantitativa capace di esplorare la“virtuosa dipendenza” dell’intera area adriatica dalla forza attrattiva e produttiva di Venezia, home port di riferimento dell’Adriatico ma anche di tutto il Mediterraneo. L’ultimo decennio è stato caratterizzato da un generale aumento del traffico nel Mar Mediterraneo. Sempre maggiore è stato il peso dell’Adriatico nel panorama dell’intera area, sia per quanto riguarda il numero di passeggeri (passato in dieci anni dal 16% al 19,4%) che per quanto riguarda le toccate navi, con una crescita ancor più marcata che ha portato nel 2012 la quota a raggiungere il 23.7%, di 7.3 punti più alta rispetto al 2003. Sono quasi 5 milioni i passeggeri

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Ammontano a oltre 500 milioni di euro le spese dirette in Adriatico, di cui circa 346 nei porti crocieristici italiani. Più del 90% deriva da navi superiori alle 40.000 tonnellate. Inferiore a 40.000 Grt: 47 mln di euro (9,4%). Più di 200 i milioni investiti in infrastrutture. Con l’indotto oltre quota, 700 milioni il fatturato complessivo e 15.000 i posti di lavoro ora a rischio

movimentati nei porti dell’Adriatico, per oltre 3000 cruise calls. Dubrovnik, Corfù, Bari e Kotor, assieme a Venezia, valgono quasi il 86% del traffico passeggeri, mentre poco più del 66% delle toccate. Il peso di Venezia sul totale del traffico in Adriatico si è leggermente ridotto, passando dal 40 al 35%. Questo è avvenuto grazie alla presenza e allo sviluppo di altri scali, che hanno permesso alle compagnie di crociera di sviluppare itinerari con diverse toccate (e dunque

traffico passeggeri) nello spazio Adriatico. Il traffico crocieristico è cresciuto in modo così rilevante nell’area adriatica anche grazie agli investimenti infrastrutturali messi in campo da Venezia e dagli altri scali adriatici. Questo ha permesso di ospitare in sicurezza le navi e di offrire ai passeggeri elevati standard di servizio nelle operazioni di imbarco, sbarco e transito. Il processo di investimento non si è arrestato, e sono diversi i porti che proseguono nella progettazione e costruzione di nuove banchine, nuovi terminal, così come migliorando l’accessibilità all’area e i servizi alle navi e ai passeggeri. Gli oltre 230 milioni di euro di investimento effettuato o programmato nei porti adriatici a supporto della crocieristica si possono dividere in: • 132 milioni di euro circa volti a migliorare le infrastrutture portuali per la crocieristica, in maggior parte destinati alla costruzione di nuovi moli o all’allungamento di moli già esistenti, come ad Ancona, Bari, Corfù, Dubrovnik o Sibenik. In questo modo gli scali adriatici vogliono essere in grado di ospitare navi di dimensioni sempre più grandi. seguendo quanto viene proposto dalle compagnie di crociera in termini di grandezza di nuove imbarcazioni immesse nel mercato. • 59 milioni di euro circa destinati a lavori sui terminal, come a Brindisi, Bari, Igoumenitsa, Ravenna, Rijeka, Trieste o Venezia, sia per la costruzione di nuove strutture che per l’ammodernamento


delle stesse. L’investimento di parte del budget in questa direzione è indice di come le previsioni dei gestori degli scali vedano necessario il miglioramento dell’accoglienza dei passeggeri, che sempre più arrivano in scali adriatici. • 39 milioni di euro circa per altri tipi di investimenti, per far fronte a tutta quella serie di necessità che emergono nello svolgimento dell’attività crocieristica. Il 92,5% della spesa di passeggeri e crew in Adriatico è attribuibile alle navi superiori alla soglia delle 40.000 tonnellate. Fra le navi sopra le 40.000 tonnellate che sono entrate in Adriatico nel 2012, l’89% ha fatto scalo anche a Venezia. Sono solo l’11% degli itinerari che toccano porti adriatici quelli che non hanno lungo il loro percorso la città lagunare. Sono oltre il 60% gli itinerari che coinvolgono altri 2 o 3 scali e circa il 10% sia quelli che toccano solamente un altro porto in Adriatico che quelli che invece

scalano in altri 4. É quindi a Venezia che hanno guardato tutti gli altri porti dell’Adriatico nell’effettuare consistenti investimenti nel settore crociere. • Ad Ancona, nel piano di lavoro triennale 2012-2014, è previsto l’ampliamento del molo XXIX Settembre, che verrebbe dunque adattato per poter ospitare navi da crociera con un investimento di circa 2 milioni di euro, oltre a costruire un waterfront per “aprire il porto” alla città. La lunghezza totale delle banchine ad oggi è di 200 metri. • A Bari è previsto l’aumento della capacità di ospitare contemporaneamente navi da crociera investendo sul nuovo terminal crociere e sull’allungamento delle banchine esistenti per poter ormeggiare due navi da 350 metri, riservando dunque gli accosti presenti per le navi più piccole. Verranno predisposte poi passerelle sopraelevate per collegare le banchine

al terminal. Attualmente il porto dispone di 3 banchine con lunghezza massima ormeggiabile di 300 metri. • Importante è il piano degli investimenti per quanto riguarda il porto di Brindisi. Per il settore cruise si investiranno circa 1.5 milioni di euro per realizzare infrastrutture per i crocieristi come il nuovo terminal presso la banchina di Costa Morena testata nord. Allo stato attuale sono 3 le banchine per un totale di 720 metri di lunghezza. • A Corfù, il settore crocieristico interessa gran parte degli investimenti programmati dal 2007 al 2013. Più di 18 milioni di euro sono stati destinati infatti all’ingrandimento del molo, portandolo a 430 metri di lunghezza e alla capacità di ormeggiare fino a 3 navi. Altri 10 milioni sono stati investiti nello spostamento all’interno del molo sottovento, per separare le funzioni del traffico ferry e cruise per servire entrambi in modo più efficiente. Inoltre, il porto di Corfu punta al

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riconoscimento della certificazione EMAS per diventare “green port” e ad attrarre altre navi da crociera per poter diventare home port delle compagnie che vi scalano. Attualmente è di più di 2 chilometri la lunghezza totale delle banchine. • A Dubrovnik sono state recentemente completati i principali lavori per le infrastrutture dedicate alla crocieristica, con la ricostruzione di un totale di più di un chilometro di banchine per un investimento di circa 34 milioni di euro. Sono pianificati poi per il 2013 altri 400 metri nel biennio 2013-2014. La lunghezza totale delle banchine è attualmente di 1.455 metri. • Il porto di Igoumenitsa sta investendo sul rifacimento delle proprie infrastrutture sia per il comparto cargo che per quello cruise. Per questo secondo settore è prevista la costruzione di uno specifico terminal di oltre 2300 metri quadrati, di un molo di quasi 200 metri e una piattaforma di collegamento di 371 metri, oltre allo

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scavo di un canale lungo 1.700 metri, largo 170 e profondo 10.5. • Sono 14.5 i milioni di euro che l’Autorità Portuale di Koper ha dedicato al settore marittimo. Per quanto riguarda il comparto cruise sono stati completati i lavori di dragaggio per aumentare la profondità dei fondali e dunque ospitare navi più grandi. • Ad Opatija i progetti di lavori portuali prevedono la ricostruzione del porto stesso per poter ospitare contemporaneamente due navi lunghe 200 metri. • L’Autorità Portuale di Ravenna ha investito 25 milioni di euro per il nuovo terminal di Porto Corsini, che ha così dotato lo scalo di due moli per navi da crociera e della possibilità di fungere, seppur per volumi di passeggeri non eccessivi, da home port. Inoltre è stata operata una scelta ecologica, dotando il porto di un impianto eolico per compensare in parte il proprio fabbisogno energetico. Per ora le banchine sono 2 con lunghezza massima di ormeggio a 320 metri.

• A Rijeka è stato sviluppato un programma definito “Rijeka Gateway Project”, che mira alla ridefinizione dell’interfaccia del porto e delle sue connessioni logistiche con la città e con il territorio. Tra i vari interventi previsti ci sono la costruzione del watefront e quella del terminal passeggeri. • A Sibenik la prima parte del progetto sul terminal passeggeri prevede la riconfigurazione del Molo Vrulje per un investimento complessivo di 12 milioni di euro per garantire maggior efficienza nella gestione della movimentazione passeggeri e poter ormeggiare più navi da crociera, in particolare una da 260 metri e un’altra da 200 metri. Al momento sono 500 i metri di banchina in questo porto. • A Split il progetto di ristrutturazione delle infrastrutture dovrebbe essere concluso a fine 2015, con un investimento totale di oltre 22 milioni di euro al fine di poter ospitare contemporaneamente due navi. Gli interventi sui moli verranno dunque riconfigurati ed estesi per gestire meglio e aumentare il traffico passeggeri del porto croato. Un altro progetto è quello riguardante l’ottenimento della certificazione, che porterebbe il porto di Split ad essere il primo porto dell’area adriatica aderente al circuito degli EcoPort. Un chilometro di banchine è al giorno d’oggi disponibile. • A Trieste gli ultimi lavori hanno essenzialmente riguardato il Magazzino 42, che è stato trasformato nel terminal passeggeri. I prossimi investimenti riguarderanno l’estensione dei moli esistenti per poter ospitare navi di dimensioni maggiori per una spesa complessiva di circa 20 milioni di euro. Ad oggi, la dimensione massima di ormeggio è di 350 metri e vi sono 4 banchine per un totale di 1.110 metri. • La costruzione del nuovo terminal per i ferry a Zadar, con un maxi investimento di 236 milioni di euro, è questione di massima importanza per il Governo della Croazia e permetterà di ospitare navi da crociera tra le più grandi, grazie ai lavori sulle 2 banchine che potranno ospitare fino a 5 navi contemporaneamente e ai lavori di dragaggio che porteranno a 13 metri la profondità dei fondali. La fine dei lavori è prevista per l’estate 2014. Ad oggi vi sono 2 banchine per un totale di 200 metri.



Un’idea non-Contorta L’Autorità portuale di Venezia punta con forza all’escavo del canale Sant’Angelo per consentire il collegamento fra la rotta per Marghera e la Marittima. Un canale che secondo i vertici dell’AP sarebbe anche lo strumento per una “rinaturalizzazione” della laguna

i

l Contorta Sant’Angelo non è solo un canale, è innanzitutto un progetto di rinaturalizzazione della laguna sud, proprio di quella parte di laguna che negli ultimi decenni più ha sofferto degli effetti (artificiali e naturali) di marinizzazione e depauperamento dei sedimenti. Lo sostiene l’Autorità portuale di Venezia impegnata in prima linea sul tema della convivenza fra attività crocieristica e salvaguardia della citztà. Il progetto consiste nell’adeguamento della via acquea di accesso alla Stazione Marittima di Venezia e nella riqualificazione delle aree limitrofe al Canale Contorta Sant’Angelo. La nuova via di accesso collegherà il canale Malamocco Marghera al Canale Vittorio Emanuele, in corrispondenza del bacino di Marittima, tramite il raccordo Contorta-S. Angelo che avrà una lunghezza pari a circa 5 Km, una cunetta navigabile di larghezza di 100 m, scarpate 1:3 e una profondità di m -10.50 s.l.m.m. Tale infrastruttura prevede, come accennato all’inizio, anche la realizzazione di strutture morfologiche (velme e barene) che, secondo i principi guida di salvaguardia del Piano Morfologico e del PALAV, possono contribuire ad arrestare il degrado dei fondi lagunari del bacino centrale e alla ricostruzione di habitat di interesse comunitario. Un progetto di recupero morfologico

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Venezia-crociere

e ambientale che si adegua ai migliori standard scientifici, che fa tesoro degli errori del passato (dal ‘500 fino al Canale dei Petroli), capace di restituire a Venezia una laguna finalmente viva e di garantire un canale utile a mantenere l’eccellenza crocieristica veneziana: unico progetto oggi capace di rispondere ai dettami del decreto Clini Passera in un’ottica di breve periodo (è infatti realizzabile in 19 mesi). Il Canale S.Angelo dà una risposta fattiva all’urgenza dettata all’imperativo “Via le navi da San Marco” ma si inserisce, in maniera lungimirante, nella prospettiva di raggiungere l’obiettivo finale di recupero della laguna centrale che Venezia attende da oltre 30 anni. La strategia approvata dal Comitatone dell’8 agosto 2014 si articola in due inscindibili fasi. Primo, restrizioni al passaggio delle navi davanti S.Marco e adeguamento del canale Contorta S.Angelo con interventi – velme e barene, ma non solo – volti al recupero morfologico ed alla rinaturalizzazione della laguna; secondo (in un’ottica di lungo periodo) la rilocalizzazione (al Lido, a Malamocco o a Marghera) del terminal crociere. Una strategia credibile e di lungo periodo per le imprescindibili tempistiche della revisione degli strumenti pianificatori delle autorità competenti: PRP per il porto e PRG per i Comuni di Venezia e Cavallino Treporti.

Questi sono infatti i “luoghi” e le “occasioni” dove una valutazione tecnica, funzionale, organizzativa e di sicurezza da parte delle autorità competenti, (oltre che ambientale in sede VIA) rispettosa degli standard necessari a garantire una operatività uguale o superiore a quella attuale consentirà di aprire a tutti i suggerimenti proattivi e migliorativi del progetto stesso o di altri progetti che sono stati presentati in questi ultimi mesi. Altri progetti, quindi – sottolinea l’Autorità portuale di Venezia -, al momento non ci sono. Due idee progettuali sono state sottoposte allo “scoping” ambientale preventivo (una che ipotizza lo spostamento della stazione marittima passeggeri alla Bocca di Lido e una dentro Porto Marghera) ma nessuna delle due ha superato un esame funzionale: allo stato non costituiscono alternative reali capaci di liberare San Marco salvando l’eccellenza crocieristica veneziana dalla quale dipende quella italiana. Entrambe lo potrebbero acquisire ma a fronte di una rivoluzione portuale od urbanistica che va affrontata su un orizzonte di 15-20 anni. Il progetto del canale Contorta-S.Angelo, dal 16 settembre 2014, è depositato alla Commissione di Valutazione di Impatto Ambientale, il cui procedimento, stando alla normativa, dovrebbe concludersi entro fine mese.


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Venezia: design

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Verso quota 24 milioni Il mercato delle crociere cavalca anche la recessione e continua a macinare record. Nel 2014 una crescita del 3%, con un’offerta crescuita grazie alle nuove navi passeggeri di oltre 17.000 posti. I turisti del mare spendono nei porti piÚ di 18 miliardi di dollari l’anno

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Venezia-crociere


e

ecco gli highlights del 2014: • Il mercato delle crociere in tutto il mondo è stimato in 37.1 miliardi dollari, in crescita del 2.3% dal 2013. • I passeggeri trasportati in tutto il mondo da navi da crociera nel 2014 è previsto in 21.6 milioni, con un incremento del 3% rispetto al 2013. • Le prime tre compagnie di crociera Carnival Corporation (NYSE: CCL), Royal Caribbean Cruises Ltd. Co (NYSE: RCL) e Norwegian Cruise Line Holdings Ltd (NASDAQ: NCLH) - rappresentano il 79.4% della quota mondiale di passeggeri trasportati e il 71.8% della quota mondiale di ricavi. • La spesa diretta dai passeggeri e dall’equipaggio in tutti i porti di crociera nel mondo è stimata in 18.9 miliardi dollari. • I due porti leader sono Miami, per imbarchi, e Nassau Bahamas come meta. • La capacità totale della flotta di navi da crociera in tutto il mondo alla fine del 2014 ammonterà a 453211 passeggeri, (con un incremento del 3.2% rispetto al 2013) e 292 navi. • La media di spesa giornaliera per passeggero ammonta a $ 214.44, $ 162,69 sul prezzo del biglietto e 51.74 dollari sulla spesa a bordo (con una durata media della crociera di 7 giorni). Sei nuove navi sono entrate in servizio nel 2014, con un incremento della capacità pari a 17410 passeggeri (compresi i 4000 passeggeri della Norwegian Getaway, i 3600 passeggeri della Regal Princess, i 2500 di Mein Schiff 3 Tui Cruises, i 3000 della Costa Diadema e i 4100 della Quantum of the Seas ). Cosa riserva il futuro? 17 nuove navi da crociera con ulteriori 41162 passeggeri di capacità e una crescita complessiva dell’offerta pari al 9.1% entreranno in servizio entro la fine del 2016, generando ulteriori 3.4 miliardi dollari in più di fatturato annuo per il settore delle crociere e per l’indotto. Entro il 2018, il numero dei crocieristi balzerà a 24.1 milioni, il 58.8% dei quali proverrà dal Nord America e il 27.2% dall’Europa.

Le nuove navi dal 2014 al 2016 2014 Compagnia

nave

Data

Passeggeri

NCL

Norwegian Getaway

Jan-14

4000

Princess

Regal Princess

May-14

3600

Tui Cruises

Mein Schiff 3

Jun-14

2500

Pearl Seas Cruises

Pearl Mist

Jun-14

210

Costa Cruises

Costa Diadema

Oct-14

3000

Royal Caribbean

Quantum of the Seas

Nov-14

4100

Totale

17410

2015 P&O Cruises

P&O Britannia

Feb-15

3611

AIDA Cruises

AIDAprima

Mar-15

3250

Viking Ocean Cruises

Viking Star

May-15

928

Tui Cruises

Mein Schiff 4

May-15

2500

Royal Caribbean

Anthem of the Seas

Jun-15

4100

Compagnie du Ponant

Unnamed

Jun-15

264

NCL

Norwegian Escape

Oct-15

4200

Totale

18853

2016 Holland America

Unnamed

Feb-16

2660

AIDA Cruises

Unnamed

Mar-16

3250

Viking Ocean Cruises

Unnamed

Mar-16

928

Royal Caribbean

Unnamed

Aug-16

4180

Royal Caribbean

Oasis III

Aug-16

5400

Regent Seven Seas

Explorer

Aug-16

738

Viking Ocean Cruises

Unnamed

Oct-16

928

Seabourn Cruise Line

Unnamed

Oct-16

225

Carnival

Vista

Oct-16

4000

Clive Palmer

Titanic II

Nov-16

1680

Totale

22309

Venezia-crociere

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a cura di Venezia Travel

Un assaggio di storia, gastronomia e cultura a Rialto Il team di Venezia Travel, blog di successo sulla vita e il turismo in Laguna, ha preparato per i lettori di CH un itinerario all’insegna del gusto, tra piatti tipici e pietanze imperdibili

v

enezia è una città meravigliosa dove, oltre a essere conquistati dall’arte e dalle bellezze storiche, si è anche sedotti dalla bontà delle sue tradizioni culinarie e gastronomiche. Se si vuole visitare e vivere la città nel modo migliore, ci si deve immergere nella “venezianità” e gustare la gastronomia locale nei bàcari, le tipiche osterie veneziane, o nelle trattorie di buona tradizione, che permettono di respirare quell’aria retrò che tanto piace. Andare alla ricerca di questi locali vuol dire tornare verso un passato fatto di La terrazza panoramica dell’Hotel Rialto si affaccia sul Canal Grande, proprio davanti al Ponte di Rialto

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Venezia


cose semplici e gustose. Vuol dire scoprire una Venezia genuina, sconosciuta a quel turismo che quotidianamente, da tutto il mondo, si riversa in Piazza San Marco, e che raramente esce dai percorsi obbligati di Palazzo Ducale, Ponte dei Sospiri, Basilica di San Marco e giro delle isole. Divina, stuzzicante, creativa: la cucina veneziana si declina in una varietà di sapori in grado di soddisfare tutti i palati. L’Oriente ci ha messo le spezie, e la regione ha fatto il resto. Le specialità tipicamente veneziane trovano la giusta celebrazione e fanno bella mostra di sé sui banchi dello storico e pittoresco mercato di Rialto: una festa per gli occhi e il palato. Per vederlo in piena attività è consigliabile arrivare di buon mattino: in un tripudio di colori e in un’atmosfera decisamente mediterranea, potete camminare tra le numerose bancarelle che espongono in bell’ordine frutta, ortaggi, pesce e crostacei di ogni tipo. È veramente uno spettacolo: colori, profumi, tutta la frutta e la verdura di stagione; fiori; venditori che gridano illustrando la loro merce, pesci che saltellano sui banchi, pescivendoli che con mano rapida ed esperta tagliano e puliscono; carretti che passano, la gente che compra carica di borse per la spesa, turisti incantati che fotografano e fermano il traffico. Conquistati dall’animazione, bisognerà sforzare l’immaginazione per estraniarsi dal rumoroso viavai e ascoltare la storia antica ed essenziale per Venezia, che solo Rialto può raccontare: una storia che passa su un ponte e tra bancarelle, botteghe e bàcari. Gli orari giusti per provare un bàcaro sono le ore prima del mezzogiorno, e se a questo punto vi è venuta l’acquolina in bocca, vi suggerisco un piccolo percorso “divino” e vi segnalo che la sponda del Canal Grande prende il nome di Riva del Vin, un nome che è tutto un programma per assaggiare e degustare la “bontà” della città lagunare. Numerose le autentiche osterie veneziane che circondano Rialto, dove è possibile ancora oggi cogliere la calda e accogliente atmosfera di un tempo. Luoghi che vi permetteranno di fare un piccolo tour enogastronomico alla maniera dei veneziani, deliziando il palato con una cucina eccellente o con gustosi cichetti accompagnati da un’ombra de vin o

Cichetti

dal tipico aperitivo veneziano, lo spritz, bevanda a base di vino bianco secco allungato con selz e colorato con Aperol o Campari. Davvero irrinunciabile, quindi, una sosta lungo un cammino a ritroso nella storia. E irrinunciabile è anche intrattenersi tra chiacchiere e assaggi, mangiando eccellenti stuzzichini come sarde in saor, trippa, uova sode, baccalà fritto o mantecato, acciughette, folpetti, sepe roste, musetto, il tipico cotechino, mozzarelle in carrozza, polpettine di carne e per finire verdure cucinate in vari modi e i fiori de suca, fiori di zucchino, tipico piatto primaverile fritto in pastella. Per godersi un vero pasto completo, dalle cucine esce una strepitosa varietà di antipasti, primi piatti e secondi con contorni: ostriche di Chioggia, cappelunghe, cappesante saltate, caparòsoli a scotta déo, bìgoi in salsa, Risi e bisi, pasta e fasioi, risotto coi bruscandoli, fegato alla veneziana, fritto misto, il soaso

(il rombo della Laguna) e poi il bisato (cioè l’anguilla) e, ancora, le sepe co’l tocio nerissimo e poenta bianca. Tra i contorni, da segnalare le castraure, i carciofini di Sant’Erasmo, gli articiochi alla venessiana e poi i fasioi in salsa, le patate alla veneziana, i fondi di carciofi o il radicchio alla trevigiana… Il tutto, ovviamente, innaffiato dal del buon vino! La Cantina Do Mori è il bàcaro per antonomasia, l’osteria di Rialto. Non ci sono tavoli cui sedere, ma una visita è assolutamente obbligatoria. È bellissimo sia per l’arredamento sia per la gestione, sia per la frequentazione. Ottimi vini e assaggini eccellenti. L’ Antica Osteria Ruga Rialto, a due passi dal ponte di Rialto, è una bella, grande, accogliente osteria, di gran moda. Potete fare degli incontri suggestivi: pittori, poeti, scrittori, informatici e quant’altro di interessante può fornire la creatività di oggi. Veramente ottimi sono i primi piatti e buona anche la scelta dei vini.

Venezia

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Bìgoi in salsa

Baccalà mantecato con polenta

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venezia travel Venezia Travel è un portale che racchiude tutte le possibilità turistiche legate alla città di Venezia e al suo territorio luganare. Una guida utile e unica nel suon genere, con informazioni sulla città e la sua provincia, perfetto per trovare la sistemazione adatta ad ogni esigenza di viaggio e per prenotare le vostre vacanze e i vostri weekend a Venezia. Un’area a sé è dedicata agli eventi culturali e artistici, con informazioni su appuntamenti, mostre, convegni, concerti e spettacoli per turisti e residenti www.venezia.travel

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L’ Osteria Bancogiro è un’osteria nuova e al tempo stesso antica, poiché occupa locali che, nella seconda metà del Cinquecento, erano il cuore economico della città: il Bancogiro al mercato di Rialto. Buon vino selezionato, cichetti e portate raffinate e gustose da mangiare in piedi al pianterreno, guardando il Canal Grande da una parte e il mercato dall’altra, oppure seduti al primo piano sotto i soffitti a volta dell’antico magazzino. Il bel restauro conservativo e l’atmosfera simpatica l’hanno fatta subito diventare un punto di ritrovo per i veneziani giovani e meno giovani. Da Pinto è l’osteria della Pescheria e del mercato di Rialto. Piccola ma molto simpatica e accogliente, con ottimi vini e stuzzichini. È piacevolissimo d’estate sedersi ai tavolini all’aperto e osservare il via vai della pescheria, uno spaccato di venezianità unico. Merita una sosta anche la Cantina Do Spade: il bancone ricco di piattoni di curiosi stuzzichini invita ad entrare, l’atmosfera accattivante facilita la conversazione, artisti e intellettuali di passaggio ne elevano il tono. Vino veneto e prosecco accompagnano ottimi piatti cucinati nel rispetto delle tradizioni veneziane. Piccola ma estremamente accogliente è l’ Osteria Al Sacro e profano, che regala sapori tipici della cucina veneziana e originali pietanze accompagnate da vini ricercati. La sua ora di punta è il rito dell’aperitivo: bruschette al pomodoro, crostini, verdure, baccalà e tonno con l’ottimo vino della casa. A fine pasto, il sottile piacere di un caramel, di una fetta di tiramisù o di un biscotto accompagnato da pregiati vini orientali come il vino di Cipro, i passiti e la malvasia, farà conoscere e gustare anche la Venezia più golosa. Di biscotti ce ne sono davvero di molti tipi e sulla tavola non mancano mai i bussolai, i baiocoli, i zaleti, i golosessi . Un peccato di gola al quale è difficile resistere, come del resto non si può rinunciare ad assaggiare il pan dei dogi, il moro e i croccanti con le mandorle e la frutta. Il caffè e il bicchierino di grappa sono quasi d’obbligo. E adesso… Buon Appetito!


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Inaugurato dall’ultima ammiraglia, Costa tiene a battesimo il Palacrociere 2 nel momento in cui Savona si conferma in piena salute e in crescita

è

toccato alla Costa Diadema il compito di tenere a battesimo il secondo terminal del Palacrociere di Savona. Terminal nel quale il gruppo crocieristico italiano, parte integrante del colosso Carnival, ha investito 9 milioni di euro. Costa Diadema - 132.500 tonnellate di stazza, 306 metri di lunghezza e 1.862 cabine passeggeri - sarà ospite fissa di Savona tutte le settimane, per un totale di 60 scali, offrendo crociere di 7 giorni nel Mediterraneo occidentale, con toccate nei porti di Marsiglia, Barcellona, Palma di Maiorca, Napoli e La Spezia. Grazie alla presenza di Costa Diadema e all’apertura del secondo terminal, Costa Crociere rafforzerà ulteriormente la sua presenza a Savona, dove nel 2015 la compagnia prevede di effettuare 236 scali, per un totale di oltre 1 milione di passeggeri movimentati, con un incremento del 3% rispetto al 2014. Il secondo terminal ha un’area complessiva

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interna di 3.500 mq. È un terminal “satellite”, funzionalmente collegato alla stazione marittima esistente, con la possibilità sia di utilizzare i servizi già presenti nel Palacrociere, sia di operare come un terminal autonomo, con aree di attesa, aree di transito e area bagagli indipendenti. Autonomo è anche il servizio di controllo, con una postazione per Polizia, Guardia di Finanza e Agenzia delle Dogane. Con l’aggiunta del nuovo terminal, le aree interne del Palacrociere raggiungono una superficie interna di 11.000 mq e una superficie totale (aree interne + esterne) di 45.500 mq. I lavori per la sua realizzazione erano iniziati nel luglio 2012. La nuova struttura ha due piani ed è collegata al Palacrociere con un percorso e un ponte scoperto di 21 metri al piano di imbarco; l’interno è diviso tra sala di attesa e sala bagagli, le superfici esterne sono i terrazzi e la passerella di imbarco. Inoltre, 2 scale mobili, 2 ascensori panoramici,

500 posti a sedere e il finger coperto di collegamento. Per il porto di Savona l’entrata in funzione del nuovo impianto coincide con un momento particolarmente positivo: in controtendenza rispetto a un anno che ha segnato in altri scali consistenti flessioni, Savona si avvia a chiudere l’anno 2014 con un progresso del 4,4% relativo al movimento passeggeri. Rispetto all’anno precedente, infatti, lo scalo savonese è accreditato del quarto posto a livello nazionale con 980 mila passeggeri movimentati (40 mila in più rispetto al 2013) e 292 attracchi di navi (51 in più rispetto al 2013, +21,2% in termini percentuali). Per il numero dei passeggeri movimentati in tutti i porti italiani nel 2014, Savona si colloca dietro a Civitavecchia (2,19 milioni di croceristi e 837 toccate nave), Venezia (1,74 milioni di passeggeri e 489 toccate nave) e Napoli (poco oltre il milione di croceristi movimentati e 425 toccate nave).



di Bruno Dardani

Targati LO‌

La colonia tricolore a Londra sfiora quota 600.000. Italiani i maggiori compratori di abitazioni di lusso nel West End. Quasi 20.000 gli imprenditori che generano start up. Ma il governo inglese incomincia ad avere paura di essere colonizzato



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fra la quinta e la sesta città italiana per abitanti. 500.000 secondo i dati ufficiali, oltre 600.000 secondo le stime più attendibili. E questa colonia cresce al ritmo di 2000 nuovi arrivi al mese. Non stiamo parlando di una città nella penisola; questa colonia italiana si chiama Londra. Un recente rapporto della fondazione Migrantes ha evidenziato come la Gran Bretagna sia la meta preferita dagli italiani in fuga, con un +71% di iscritte all’AIRE nel 2013 rispetto all’anno precedente. Si tratta di quasi 13mila italiani in più registrati all’anagrafe. Moltissimi fra loro sono aspiranti imprenditori, ed è cosi che Londra si popola anche di Start Up italiane e che qui spuntano eventi dedicati a celebrare l’imprenditoria italiana. Difficile è reperire un dato affidabile riguardo al numero di italiani che hanno fondato Start Up nella capitale britannica, ma nella Tech City l’accento italiano sta diventando sempre più popolare. Londra è la città in cui ci vogliono 24 ore per fondare un’azienda, 13 giorni di media per renderla già operativa

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Londra

e la tassazione per le imprese è al 21% e dal 2015 sarà al 20%. Secondo i dati forniti dal più grande sito di job hunting inglese, reed.co.uk, gli italiani che vengono a cercare lavoro a Londra sono aumentati di più del 300% in 4 anni. Un aumento del 238% nello stesso periodo per chi cerca lavoro nel marketing, +216% nel digital e +160% nell’IT. E secondo uno studio del CFE (Centre For Entrepeneurs), fra gli italiani in Gran Bretagna ci sono ad oggi la bellezza di oltre 20.000 imprenditori. Una recente ricerca di Kaplan International, che organizza corsi di inglese all’estero, rivela come gli italiani stiano migliorando il loro livello di inglese. Tra tutti quelli che partono per migliorare il loro livello di lingua anglofona, oltre il 60% si colloca tra il livello “Intermediate” e “Upper Intermediate”, solitamente considerati come il requisito minimo linguistico per entrare a lavorare in ufficio inglese. Secondo un altro studio sviluppato dal CReAM, un centro di ricerca all’interno della UCL di Londra, emerge un

risultato sconvolgente: la maggior parte dell’immigrazione europea in Inghilterra ha un’educazione superiore agli inglesi stessi e, nonostante la percezione diffusa, è meno incline a fare utilizzo del welfare che lo stato inglese offre. Inoltre, gli immigrati producono più introiti per le casse dello stato rispetto a quanto ne consumino. Si tratta quindi di una risorsa più che di una perdita per il Paese, contrariamente a quello che i partiti conservatori e xenofobi vorrebbero far credere. Infine, per concludere la panoramica delle ricerche, uno studio del Boston Consulting Group, pubblicato da Business Insider, evidenzia come Londra sia la città più ambita al mondo in cui lavorare, davanti a New York, Parigi e Sidney. Roma è al decimo posto, scelta dal 3,5% degli intervistati: una minoranza romantica innamorata dell’Italia, evidentemente. Come evidenzia l’articolo, molti inglesi hanno abbandonato la città, ormai troppo costosa e competitiva, mentre gli immigrati hanno guidato dal 2001 al 2014 la crescita della popolazione cittadina. Quello in Gran Bretagna, e in particolare a Londra, è uno dei flussi migratori più altamente specializzato e col più alto livello di educazione mai registrato, secondo i dati del CFE, e sta mettendo alle strette gli inglesi, polarizzando le posizioni politiche riguardo all’immigrazione. Da una parte una risorsa enorme che porta ingenti risorse alle casse dello stato, ma dall’altra un vero pericolo per i lavoratori inglesi le cui posizioni politiche si assestano sempre più verso correnti xenofobe e conservatrici. Londra è quindi diventata la città più competitiva al mondo. Non basta più venir qui con un buon livello di inglese per sperare di trovare un lavoro che permetta uno stile di vita molto migliore di quello che si ha in Italia. Londra non rientra nemmeno tra le prime 10 città più vivibili al mondo. Lo diventa per chi ha le carte, professionali o imprenditoriali, da giocarsi. Specie ora che il primo ministro Cameron sembra essersi reso conto del rischio colonizzazione che, specie ad opera di italiani e francesi, il Paese, e in primis la capitale, rischia di subire passivamente, con una progressiva estromissione degli inglesi, spesso meno qualificati, dalle postazioni lavorative più importanti. Di qui una scelta “di protezione” che non


Si chiama Italian Community ed è un po’ un blog, un po’ pagine gialle, un po’ una bacheca e un’agenzia di lavoro. É il sito creato da un’imprenditrice italiana a Londra; sito che, in prima battuta, mette in contatto quartiere per quartiere gli italiani che vivono nella capitale britannica, generando un percorso virtuoso di mutuo aiuto e comprensione. Inoltre, genera anche un punto di incontro fra offerta e domanda di lavoro e crea tutti i presupposti per lo sviluppo di una vera e propria comunità. Nel sito puoi trovare il negozio (ovviamente italiano) che vende pesce nel quartiere di Paddington, oppure l’idraulico (italiano) che ti serve con urgenza. Ma anche le

notizie, le occasioni di contatto, e il modo più pratico per soddisfare anche la domanda di servizi, partnership o collaborazione dell’azienda (italiana) presente sul mercato londinese. L’hanno già soprannominato “le Pagine Gialle online del business italiano”, ma sembra essere qualcosa di più: un passaparola in rete che serve per rinsaldare i legami, trovare opportunità ed essere visibili. Solo agli italiani presenti su piazza? Certo, prioritariamente a loro, ma anche alla comunità di inglesi e di altre nazionalità che sono attratti dal made in Italy, così come dalla capacià unica degli italiani all’estero di creare la piazza degli incontri,

riprodurre il “bar sport” di casa, senza cadere nell’abitudine di tante altre comunità di chiudersi a riccio. L’iscrizione gratuita al business directory permette di far conoscere i propri prodotti o servizi ad altri italiani e non, ed è utile in particolare per start up, piccole imprese e liberi professionisti. Tramite il sito si possono anche inviare e ricevere richieste di aiuto o di collaborazione e avere informazioni su come operare al meglio in Gran Bretagna. Italian Community ha il sostegno della Camera di Commercio Italiana per il Regno Unito e dell’Istituto Italiano di Cultura, nonchè il patrocinio del Consolato Italiano a Londra.

Londra

viewpoint

the Italian community

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mancherà di sollevare perplessità e dubbi. Londra si appresta a introdurre misure che le permetteranno di non garantire il welfare ai cittadini di altri Paesi europei per i primi 4 anni di residenza e di rimpatriare chi è disoccupato da oltre sei mesi. “Questa è una questione che interessa il popolo britannico e il nostro futuro nella UE. Il popolo britannico – ha affermato il premier Cameron- non comprenderebbe, e francamente neanche io comprenderei, se non si potesse trovare un modo adeguato per risolvere la questione, cosa che aiuterebbe a fissare un posto per il nostro paese nella UE una volta per tutte”. Cameron ha poi aggiunto di essere consapevole del fatto che, perché le sue proposte vengano recepite da tutta l’Unione, sarebbero necessari dei cambiamenti degli attuali trattati, sottolineando però che “non esclude nulla” nel caso le sue richieste non vengano accolte: un modo per suggerire l’ipotesi dell’uscita dalla UE. Cameron ha comunque assicurato che, se Bruxelles rimarrà “sorda” alle richieste, sarà pronto a far adottare le misure solo alla Gran Bretagna una volta che - ha ricordato nel suo discorso - il governo Tories sarà stato confermato dalle elezioni del prossimo maggio. Cameron, nel suo discorso, ha iniziato ricordando quanto la Gran Bretagna abbia beneficiato di un’immigrazione che l’ha resa “multirazziale”, ma ha affermato che il numero di ingressi dagli altri Paesi della UE, il più alto mai registrato in periodi di pace, sta diventando insostenibile per l’amministrazione dei servizi pubblici. La preoccupazione dei britannici per il numero di cittadini europei immigrati nell’ultimo decennio non è “irragionevole e strana”, ha detto ancora il premier conservatore, affermando che le sue proposte sono tese a “un sistema più severo di welfare” per gli immigrati dai Paesi UE. Il pacchetto di misure presentato prevede che i cittadini europei che lavorano in Gran Bretagna non possano godere degli sgravi fiscali previsti dal sistema di welfare né fare domanda per l’edilizia popolare nei primi quattro anni di residenza. Inoltre, sarà impedito chiedere sgravi fiscali o assegni familiari per figli che non risiedono nel Paese, misura accompagnata da restrizioni delle norme sui ricongiungimenti familiari. Il giro di vite, che trova motivazioni e radici

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Londra

in un quadro politico diventato complesso per la maggioranza di governo impegnata in una rincorsa dell’Ukip di Nigel Farage, potrebbe generare reazioni a catena difficilmente controllabili. Per intanto gli italiani si radicano: con imprese, attività, ma anche con il vecchio e mai vituperato mattone. Nei primi sette mesi del 2014, è stato italiano il gruppo più numeroso di stranieri ad aver acquistato abitazioni nei migliori quartieri della City. Gli italiani hanno acquistato il 6,7% di tutte le case vendute nei 13 quartieri classificati da Knight Frank, la principale società mondiale di consulenza immobiliare, come «prime central London». Secondi i francesi con il 4,1%. In tutto, gli acquirenti europei hanno comperato il 14,5% degli alloggi. Nel 2013, il Paese più attivo sul fronte immobiliare londinese è stata la Russia, scesa al terzo

posto, seguita dagli Emirati Arabi Uniti. I compratori italiani hanno speso in media 4,4 milioni di sterline (più di 5,5 milioni di euro), privilegiando i quartieri di Knightsbridge, Chelsea e South Kensington. Il valore degli appartamenti è aumentato dell’8,l% nell’ultimo anno, mentre i prezzi sono cresciuti del 26% nel secondo trimestre del 2014 rispetto allo stesso periodo del 2013, l’aumento più rilevante in 27 anni. Sempre secondo Knight Frank, le attenzioni degli italiani si stanno ora spostando sui quartieri di Bayswater, Queensway e Paddington, compresi nel codice postale W2, considerati le zone con il maggiore potenziale di crescita della capitale. Case affacciate sul verde o a meno di 50 metri di distanza dal parco hanno un sovrapprezzo solo del 38 per cento.


Ecco i benefici per immigrati comunitari che il governo di Londra vuole ridimensionare Come funziona il welfare per gli immigrati Ue - Welfare, sussidi, benefici: ognuno dei 28 Paesi dell’Unione Europea prevede per gli immigrati Ue che si trovano sul proprio territorio una serie di regole che permettono loro di accedere ai servizi a sfondo sociale. Variano da Stato a Stato, ma ci sono regole che sono stabilite dal diritto comunitario e valgono per tutti. - Permanenza in un Paese Ue. I cittadini Ue possono rimanere in uno Stato per tre mesi; se vogliono stare più a lungo devono avere un lavoro o essere attivamente impegnati nella ricerca di un lavoro e avere una concreta possibilità di essere assunti. Oppure dimostrare di avere abbastanza soldi per non pesare sul servizio pubblico. Se viene provato un abuso delle norme o una frode, la persona viene espulsa. - Test di residenza in un Paese Ue. Anche con un permesso di soggiorno, i benefici non sono automatici. Il cittadino di un Paese Ue deve superare il cosiddetto ‘test di residenza abituale’ ai sensi del diritto comunitario, che comprende la durata del soggiorno, l’eventuale attività svolta, una fonte di reddito, se si tratta di studenti, lo stato di famiglia e la situazione abitativa. - Sussidio per disoccupati nel Regno Unito. Nel Regno Unito, quando un disoccupato ‘supera’ il test di residenza, può chiedere un sussidio fino a 90 euro a settimana per persona

(143 euro per una coppia). - Indennità di alloggio nel Regno Unito. Un cittadino Ue che lavora nel Regno Unito, o anche un lavoratore autonomo, che supera il test può richiedere l’indennità di alloggio e alcuni benefici fiscali. Gli importi variano a seconda dell’autorità locale. Il Regno Unito richiede inoltre un test aggiuntivo per il ‘diritto di soggiorno’ come prova ulteriore da aggiungere a quello dell’Ue. Per la Commissione Europea, però, i lavoratori migranti Ue che hanno pagato le tasse in Gran Bretagna non dovrebbero essere sottoposti alla prova ulteriore. Per questo il Regno Unito è stato portato davanti alla Corte di Giustizia Europea. - Prestazioni per i lavoratori in Ue. I cittadini Ue che lavorano o che sono lavoratori autonomi in uno Stato dell’Unione hanno diritto alle stesse prestazioni dei cittadini del Paese che li ospitano. I diritti si estendono anche ai loro familiari. Tuttavia, l’accesso a determinate prestazioni può dipendere dal tempo nel quale il lavoratore ha pagato i contributi previdenziali per coprire malattia, disoccupazione, maternità o paternità, invalidità o infortuni sul lavoro. - Prestazioni per i disoccupati in Ue. I cittadini Ue che si trovano in un Paese diverso dal proprio e sono senza lavoro non hanno diritto alla stessa varietà di vantaggi se ricevono già sussidi. - Spesa per il welfare nel Regno Unito. La spesa sociale per abitante del Regno Unito, secondo i dati Eurostat 2010, era quasi 8.000 euro; in Francia e in Germania quasi 9.000;

in Danimarca e nei Paesi Bassi sopra i 10.000. All’estremità opposta si colloca la spesa di Bulgaria e Romania, sotto ai 2.000 euro per ogni migrante Ue. - Spesa per il welfare in Germania. In Germania, c’è un sistema di welfare a due livelli: in parte su base contributiva, in parte non contributiva. Un migrante Ue senza lavoro in Germania otterrebbe fino al 70% dello stipendio corrente nel primo anno di disoccupazione.

viewpoint

Immigrati in serie B

- Spesa per il welfare in Ue. In Gran Bretagna gran parte della spesa per il welfare è finanziata dallo Stato, più di quanto avviene in Polonia, Francia, Germania e Paesi Bassi, dove è finanziata più da contributi individuali e dal datore di lavoro. In altri Paesi, tra cui Irlanda, Svezia e Danimarca, la quota di finanziamento statale è superiore a quella del Regno Unito. - La sanità in Ue. In base al diritto comunitario, un cittadino Ue che si trova per un periodo breve in un Paese può ricevere assistenza di base e di emergenza, garantita dall’European Health Insurance Card (EHIC). Lo Stato che lo ha curato ha poi la responsabilità di ottenere il rimborso dei costi di trattamento dal servizio sanitario dello Stato del paziente. - La sanità nel Regno Unito. Nel Regno Unito c’è un servizio sanitario gratuito, finanziato dai contribuenti. Non è l’unico Stato membro dell’Ue ad averlo, anche i Paesi scandinavi hanno modelli simili. La maggior parte dei Paesi dell’Ue finanzia l’assistenza sanitaria con un’assicurazione medica.

Londra

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Dove ci sarà lavoro Eurostat ha recentemente pubblicato le previsioni su occupazione e disoccupazione in Europa. Ecco gli indicatori del mercato del lavoro.

Ed ecco le previsioni Eurostat relative alla crescita della remunerazione pro capite per il 2015.

Nazione

Tasso Disoc- Tasso cupazione 2014 Disoccupazione 2015

Tendenza

Nazione

Crescita Remunerazione pro capite 2015

Germania

5.1%

5.1%

Uguale

Estonia

5.2%

Austria

5.3%

5.4%

Peggioramento

Lituania

4.9%

Regno Unito

6.2%

5.7%

Miglioramento

Romania

4.9%

Malta

6.1%

6.1%

Uguale

Lettonia

4.6%

Lussemburgo

6.1%

6.2%

Peggioramento

Ungheria

3.9%

Repubblica Ceca 6.3%

6.2%

Miglioramento

Polonia

3.8%

Danimarca

6.7%

6.6%

Miglioramento

Repubblica Ceca

3.3%

Paesi Bassi

6.9%

6.8%

Miglioramento

Germania

3.3%

Romania

7.0%

6.9%

Miglioramento

Lussemburgo

3.0%

Estonia

7.8%

7.1%

Miglioramento

Svezia

2.8%

Svezia

7.9%

7.8%

Miglioramento

Malta

2.5%

Ungheria

8.0%

7.8%

Miglioramento

Regno Unito

2.3%

Belgio

8.2%

8.4%

Peggioramento

Slovacchia

2.2%

Finlandia

8.6%

8.5%

Miglioramento

Austria

2.1%

Slovenia

9.8%

9.2%

Miglioramento

Danimarca

2.0%

Polonia

9.5%

9.3%

Miglioramento

Bulgaria

1.6%

Irlanda

11.1%

9.6%

Miglioramento

Finlandia

1.5%

Lettonia

11.0%

10.2%

Miglioramento

Croazia

1.4%

Francia

10.4%

10.4%

Uguale

Slovenia

1.3%

Lituania

11.2%

10.4%

Miglioramento

Portogallo

0.9%

Bulgaria

12.0%

11.4%

Miglioramento

Spagna

0.9%

Italia

12.6%

12.6%

Uguale

Francia

0.9%

Slovacchia

13.4%

12.8%

Miglioramento

Irlanda

0.8%

Portogallo

14.5%

13.6%

Miglioramento

Paesi Bassi

0.6%

Cipro

16.2%

15.8%

Miglioramento

Italia

0.6%

Croazia

17.7%

17.7%

Uguale

Belgio

0.5%

Spagna

24.8%

23.5%

Miglioramento

Cipro

0.2%

Grecia

26.8%

25.0%

Miglioramento

Grecia

0.1%

L’entità del miglioramento è maggiore in Irlanda, dove viene previsto un miglioramento dall’11,1% al 9,6%, in Estonia (dal 7,8% al 7,1%) e nel Regno Unito (dal 6,2% al 5,7%). In tre nazioni invece il tasso di disoccupazione è previsto in peggioramento: Belgio (dall’8,2% all’8,4%), Austria (dal 5,3% al 5,4%) e Lussemburgo (dal 6,1% al 6,2%).

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Londra



di Laura Alberti

interviste da londra

Storie di successo di italiani emigrati nella capitale britannica Età: 33 anni

www.cvandcoffee.com

TERESA PASTENA

FONDATRICE DI CV&COFFEE Di cosa mi occupo: gestisco una società di consulenza per il lavoro, CV&Coffee, per i professionisti che cercano opportunità d’impiego nel Regno Unito. Incontriamo i clienti nelle caffetterie indipendenti della capitale e il nostro team è composto da consulenti esperti del settore, inglesi e italiani. Organizziamo anche seminari formativi a Londra e in Italia, con scuole e università. Ho scelto Londra perché: ho trascorso la prima vacanza studio a Londra quando avevo 16 anni e me ne sono innamorata. Sono poi tornata per periodi estivi, brevi vacanze, pause universitarie. Nel 2008, dopo un’esperienza in Lussemburgo, ho scelto l’Inghilterra perchè le opportunità di carriera lì erano decisamente maggiori, soprattutto nel settore del non profit, dove ho lavorato prima di fondare CV&Coffee. Dell’Italia mi manca: quasi nulla. Ogni giorno riceviamo mail di persone che ci chiedono aiuto per fuggire da un Paese che non offre più nulla, e questo mi fa molta tristezza. L’Italia è stupenda, quando sei in vacanza per 7 giorni. Ho nostalgia solo dei ritmi più rilassati, del caldo, del sole e dei miei genitori, che vorrei vivessero nella campagna inglese (non nella mia stessa città!). Pregi e difetti della vita british: molto stress ma più potere di acquisto. Vedere gli amici poche volte per mancanza di tempo o per le distanze lunghe. Qui c’è la possibilità di fare tantissime cose, ma ci vorrebbero giornate di 48 ore. Tra vent’anni mi vedo: a gestire un B&B. Lo farei anche nella campagna inglese, ma credo che tra 20 anni avrò voglia di indossare solo sandali, 12 mesi su 12.

www.mantovaniarchitects.com

Età: 53 anni

Alessandra Mantovani

Titolare di Mantovani Architects London Di cosa mi occupo: sono un architetto, iscritto al RIBA (Royal Institute of British Architects) e all’Albo degli Architetti di Genova, titolare dello studio Mantovani Architects London, con cui mi dedico soprattutto alla ristrutturazione di immobili residenziali. Ho scelto Londra perché: per la sua energia positiva e la libertà di espressione che si respira. Io e mio marito abbiamo deciso di venire a Londra 16 anni fa, e le ansie e le esitazioni sono scomparse in soli 6 mesi. Qui la professionalità si afferma senza bisogno di spinte, amicizie o traffici strani e, grazie anche al mix di razze e stili di vita che genera le opportunità più disparate, l’accoglienza, sia pure con un certo distacco, è la migliore possibile. Io ho avuto l’opportunità di ricominciare la mia attività di architetto partendo da zero, e oggi ho uno studio attivo da 15 anni. Non credo che mi sarebbe successa la stessa cosa in Italia, se vi fossi arrivata da un Paese straniero e senza conoscere nessuno. Dell’Italia mi manca: il mare. Sono ligure e torno in Riviera quando posso. E poi gli umori, l’allegria, la cucina, il gusto della vita. Peccato che da soli non bastino! Pregi e difetti della vita british: tra i pregi sicuramente la serietà, l’affidabilità, la snellezza della burocrazia, il senso civico, il rispetto per regole e persone. Tra i difetti, la poca elasticità mentale e la scarsa capacità di improvvisazione. Diciamo che qui l’approccio alla vita è forse un po’ troppo pragmatico. Tra vent’anni mi vedo: da cittadina del mondo, non so dove sarò. Amo molto Londra, e finché eserciterò la mia professione sarò qui.

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italiani a Londra


www.dentista-italiano-a-londra.co.uk

Età: 32 e 30 anni

ANTONIO BARBIERA e MARINA DETTORI

Medico odontoiatra & general dentist

Di cosa mi occupo: di odontoiatria e chirurgia orale, in particolare di implantoprotesi (Antonio). Lavoro come general dentist per cliniche private in centro a Londra (Marina). Ho scelto Londra perché: Londra mi permette di dare il meglio nella mia professione e, con la sua natura cosmopolita, mi arricchisce culturalmente e umanamente (Antonio). Ho lavorato diversi anni in Sardegna, in un mercato ormai saturo, fino a decidere ti trasferirmi in UK lo scorso anno. Londra era la scelta più logica per la dimensione di mercato, gli amici e i conoscenti che già ci vivevano e la relativa difficoltà a inserirsi professionalmente rispetto ad altre regioni della Gran Bretagna (Marina). Dell’Italia mi manca: l’atmosfera solare della Sicilia, con i suoi colori e la sua cultura (Antonio). La famiglia e gli amici, anche se la distanza non è incolmabile. E, ovviamente, il mare (Marina). Pregi e difetti della vita British: Qui non ci si annoia mai, anche se si lavora talmente tanto da avere poco tempo per godersi la città (Antonio). Non è semplice adattarsi a uno stile di vita diverso, né fare nuove amicizie, in una cultura come quella britannica. Londra però è un po’ un’eccezione. Uno dei suoi pregi è la semplicità dell’accesso al lavoro e l’efficienza del sistema governativo e burocratico. E poi, è una città dinamica e dispersiva: è difficile trovare dei punti fissi, ed è necessario quindi essere determinati e non perdere di vista i propri obiettivi (Marina). Tra vent’anni mi vedo: credo che l’odontoiatria farà un enorme balzo in avanti, con soluzioni ipertecnologiche e una sempre maggiore attenzione al paziente e alla prevenzione delle patologie del cavo orale; io mi vedo protagonista di questa realtà (Antonio). Al momento mi sto ancora abituando all’idea di vivere all’estero; è ancora troppo presto per capire se è sostenibile nel lungo termine. Istintivamente direi che mi vedo in Italia, sempre che ci siano i presupposti per un futuro stabile (Marina).

www.nifeislife.com

Età: 40 anni

Pasquale (Paco) Nicodemo

Co-fondatore e CEO di www.nifeislife.com Di cosa mi occupo: sono co-fondatore e CEO, insieme al mio amico Raul, di Nifeislife.com, il più grande e-commerce di prodotti enogastronomici italiani a Londra e in tutto il Regno Unito. Distribuiamo a domicilio e con prezzi accessibili una vasta gamma di prodotti, dalle mozzarelle fresche che facciamo arrivare via aerea due volte alla settimana, fino alle merendine e i biscotti più comuni, ma anche pesce, frutta, verdura, vini e birra. Inoltre, stiamo per lanciare una nuova linea di piatti pronti, per continuare quella che è la nostra mission: educare tutti al “N.ice I.talian F.ood E.veryday”. Diciamo che vendiamo ricordi dell’Italia, e che mangiamo merendine proprio come i nostri clienti! Ho scelto Londra perché: per imparare l’inglese, e per caso! Abbiamo venduto le nostre prime mozzarelle fresche dall’Italia e ci è andata bene. Così siamo cresciuti. Dell’Italia mi manca: il mare. E potrei dire il cibo, ma ora non ho più questo problema! Pregi e difetti della vita British: sono a Londra da più di dieci anni, e qui ogni giorno è una sorpresa. Tutto si muove, tutto è efficiente, persino noi! Per quanto riguarda i difetti, una volta bastava dire: a Londra si mangia male. Con Nifeislife abbiamo risolto anche questa pecca. Quindi direi che non ci sono difetti! Tra vent’anni mi vedo: tra vent’anni ci vediamo e ci facciamo una bella cena, preparata dagli chef di Nifeislife!

italiani a Londra

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Età: 31 anni

www.thefleetstreetpress.com

Davide Pastorino

IMPRENDITORE

Di cosa mi occupo: sono il titolare di uno speciality coffee shop in Fleet Street, Central London (un secondo punto lo aprirò la prossima primavera) e della London Leaf, una compagnia di vendita di tè al dettaglio. Ho scelto Londra perché: era il 2009 e lavoravo in Italia nel mondo delle radio da qualche anno. Fin da ragazzino, però, avevo il sogno di trasferirmi a Londra. Quando mi è capitata l’occasione di partecipare a un corso di aggiornamento in questa città l’ho colta al volo. Pregi e difetti della vita British: i pregi sono sicuramente legati al lavoro. Se qui si hanno le idee giuste c’è la possibilità di metterle in pratica, seppure con le ovvie difficoltà. La burocrazia non ti ostacola in nessun modo e il fatto che Londra sia una grande vetrina sul mondo aiuto molto. Dello stile inglese adoro poi la concretezza nel realizzare i progetti e la capacità di osare, di provare ad essere sempre un passo avanti. Sul fronte dei difetti, posso sicuramente inserire lo stile di vita, frenetico e stressante: non esistono tempi morti e anche quando non lavori sono davvero pochi i luoghi in cui puoi rilassarti. Dell’Italia mi manca: la qualità della vita, molto più rilassata e a misura d’uomo, almeno per me che vengo da un piccolo paese sul mare. Mi manca svegliarmi e respirare quell’aria, mi manca ovviamente il clima e, sarà una banalità, ma ho nostalgia della cucina italiana. Tra vent’anni mi vedo: se tutto proseguirà per il verso giusto, tra vent’anni mi vedo proprietario di almeno un’altra decina di negozi qui in Inghilterra. Il mio sogno sarebbe quello di mantenere e far crescere le mie compagnie qui, potendo però vivere in Italia. Diciamo che vorrei potermi permettere di venire a Londra quattro o cinque giorni ogni due settimane.

http://openthegate.org.uk

Età:33 anni

Enrico Pomarico

ORGANIZZATORE DI EVENTI CULTURALI Di cosa mi occupo: gestisco un’organizzazione culturale dedicata alla musica, l’arte e le culture Africane e del Mondo, che si chiama Open The Gate e che si traduce nell’organizzazione di concerti, mercati e festival, ma anche in un’agenzia di bookings, sound-system, moda etica ed etnica, e in progetti di cooperazione e sviluppo. Sono quindi il direttore dell’organizzazione ma anche un event manager, un booking agent, un disk jockey e molto altro! Oltre ad offrire al pubblico eventi gratuiti o per lo meno a prezzi abbordabili, Open The Gate offre anche l’opportunità a giovani di tutto il mondo di fare le loro prime esperienze lavorative attraverso programmi di volontariato, internship, stage ed erasmus. Ho scelto Londra perché: veramente direi più che Londra ha scelto me! Prima, durante e dopo l’università ho fatto una serie di viaggi nei posti più disparati, e Londra è stata l’unica città che è riuscita a trattenermi. Dell’Italia mi manca: per quanto riguarda la politica e la società non mi manca niente. Anzi, sono contento di essere all’oscuro di tutti gli “avvenimenti” quotidiani. Di Napoli, invece, mi manca tutto: famiglia, amici, cultura, tradizione, luoghi, cibo. Tutto, anche l’aria e l’acqua. Pregi e difetti della vita British: Londra offre delle opportunità che in altri Paesi in questo periodo storico sono difficili da incontrare. Allo stesso tempo, però, ti constringe a stabilirti in maniera più o meno definitiva. Bisogna essere preparati a una nuova vita, in un contesto differente che a molti risulta poi difficile da affrontare. Spesso devo dire: “attenti che Londra è una trappola” ai nuovi arrivati, o a quelli che mi contattano con l’intenzione di avventurarsi. Tra vent’anni mi vedo: Open The Gate è in costante crescita, e in vent’anni dovremmo esserci ormai solidamente stabiliti nel circuito della musica, dell’arte e della moda etnica. Questo ovviamente God willing, oppure Inshallah, come si dice a Londra!

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italiani a Londra


Età: 35 anni

http://www.italiansupperclub.co.uk

Toto Dell’Aringa e Silvio Pezzana

ORGANIZZATORI DI EVENTI GASTRONOMICI

Di cosa ci occupiamo: in gergo, di “bespoke catering & events”: organizziamo eventi gastronomici in ogni angolo della città. Più che la cucina italiana, ci piace diffondere la maniera unica in cui noi italiani vediamo il cibo e l’atto del mangiare. Lo consideriamo un momento di aggregazione, capace di portare persone tra le più diverse attorno a un tavolo, per condividere sensazioni ed emozioni. Abbiamo scelto Londra perché: non crediamo ci sia un motivo preciso, ma ci piace pensare che esista una “città gemella” per ognuno di noi, da qualche parte nel mondo. Una città che in qualche modo sembra plasmata su misura per noi, che ci segue nei nostri sogni e accompagna le nostre scelte. Se una città del genere esiste, per noi è sicuramente Londra: mai ferma, mai sazia, instancabile e vorace di tutto quanto è nuovo. Dell’Italia ci manca: tutto quello che i nostri amici in Italia detestano! Quell’immobilità gattoporadiana di chi, in fondo, vuole che tutto rimanga così com’è: insostenibile a tratti, ma ideale per ricaricare le batterie durante un lungo week-end. Pregi e difetti della vita british: ci affascina la mentalità aperta e la capacità che qui le persone hanno di lanciarsi, in modo più o meno azzardato, in nuove attività, mettendosi sempre in gioco in ruoli nuovi nati quasi per gioco. E, nel caso un progetto vada storto, la filosofia è “live and learn”: il prossimo andrà senz’altro meglio. Difetti della vita British? Non avere la possibilità di fare, con al massimo un paio d’ore di macchina, una bella nuotata nello spendido mare che bacia le coste Italiane. Tra vent’anni ci vediamo: se guardiamo indietro a dov’eravamo solo due anni fa è difficile immaginarlo. Da che organizzavamo cene per perfetti sconosciuti nella nostra sgangherata casa vicino a Victoria Park, Hackney, ora serviamo cene in gallerie d’arte e rinfreschi per istituti di cultura. Londra ci ha seguiti e ci ha fatto crescere. Tra vent’anni vorremmo avere lo stesso entusiasmo e, sopratutto, le stesse energie.

http://thewhiteelephantstudio.co.uk

Età: 35 anni

Ottorino D’ambra

ARTISTA E TATUATORE

Di che cosa mi occupo: ho fatto molte cose nella mia vita, seppure sempre legate al mondo dell’arte e della creatività. Ho lavorato come grafico pubblicitario, mi sono occupato del disegno e della realizzazione di allestimenti di feste per bambini, ho lavorato come illustratore e come scenografo per eventi. Circa nove anni fa ho iniziato a tatuare e da poco più di due mi sono avvicinato al mondo dell’incisione. Dal 2010 vivo a Londra, dove ho aperto il laboratorio artistico “The White Elephant studio”, uno spazio multifunzionale in cui convergono diverse forme d’arte: incisione, fotografia, tatuaggio, video-art. Al momento, posso dire che mi divido tra tatuaggio artistico e incisione; viaggio spesso per convention ed espongono in gallerie e fiere d’arte. Ho scelto Londra perché: avevo bisogno di nuovi stimoli e obiettivi. Sentivo il bisogno di ricominciare, di scoprire altri punti di vista creativi, artistici e tecnici. Londra è una città estremamente dinamica, aperta e piena di opportunità. E poi, sinceramente, volevo imparare un po’ di inglese... Dell’italia mi manca: chiaramente la distanza porta alla mancanza quotidiana dei familiari, degli amici più cari e di tutte quelle piccole abitudini italiane che rendono l’Italia uno dei Paesi più belli e “buoni” al mondo. Pregi e difetti della vita British: tra i pregi, sicuramente la poca burocrazia, e il fatto che Londra sia una città giovane e dinamica, con tanti parchi e gente socievole da tutto il mondo e, soprattutto, senza i politici italiani! Tra i difetti, invece, diciamo il cibo, il tempo, la sanità e... il caffè, che lascia decisamente a desiderare! Tra vent’anni dove ti vedi? Non ne ho proprio idea: è difficile creare un’immagine di me stesso così lontana nel tempo. Sono sempre alla ricerca di nuovi stimoli e avventure artistiche, come ho già detto in precedenza ho incominciato come grafico pubblicitario, poi scenografo, interior designer, tatuatore e ora mi riscopro incisore. Chissà la mia curiosità dove mi porterà tra vent’anni...

italiani a Londra

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LONDON DESIGN Simboli e colori di terra inglese si fanno arredi

GIFT COMPANY La bandiera Union Jack è la protagonista dello zerbino in fibra di cocco (dimensioni: 74x44 cm). In vendita a 29.90 euro su shop.giftcompany.it TEO JASMIN Misura 40x40 cm il cuscino (qui nella variante rossa) Téo Stardust, che fa del bulldog inglese una stilosa rockstar. Euro 38 (Euro 67 la versione 60x60 cm) www.teojasmin.com

dalani Il set di 4 bauli English Mood in canvas & mdf ha un delicato linguaggio retrò che unisce passato e presente con classe ed eleganza www.dalani.it

SMEG Il frigorifero ventilato monoporta FAB28RUJ1, dalla linea anni ’50, è in classe A++ e ha una capacità netta di 222 lt www.smeg.it

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Londra: design

SELETTI Della collezione The World Dinnerware, il piatto in porcellana Londra è decorato con la mappa della città, ed è perfetto anche come decorazione www.seletti.it

CATELIN La cabina telefonica, smontabile e realizzata in legno, è qui trasformata in una porta da interni su misura, ma è anche proposta nelle varianti: frigorifero, portabottiglie refrigerato, guardaroba, vetrinetta, spogliatoio, divano ed espositore da negozio www.catelin.it


luxury room

di Laura Alberti

la stanza delle notizie pi첫 lussuose

Uno shopping tour alla scoperta della Londra pi첫 esclusiva, quella delle boutique vintage e dei negozi che fanno del su misura un preziosissimo must

news lusso

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David Fielden

ROMANTICO CONTEMPORANEO Noto in tutto il mondo per i suoi innovativi abiti da sposa e da sera, David Fielden ha un passato da costumista per il teatro, ballerino e coreografo di successo. Quando ereditò un’enorme collezione di abiti vintage, l’arte dalla danza lasciò spazio a quella della moda: dapprima gli abiti da sposa, trionfi di pizzi e merletti, successivamente i vestiti per la sera. Le stesse creazioni di cuoi si sono innamorate celebrity come Julia Roberts, Bianca Jagger e Kate Moss. Da David Fielden il sogno che ogni donna ha di sentirsi un po’ principessa diventa realtà, grazie ai suoi meravigliosi abiti contemporanei, arricchiti da un tocco romantico. Nelle foto, la collezione Sposa 2015. 241 Fulham Road, www.davidfielden.co.uk

Rellik

Vintage style Vicino a Portobello Road, dal 1999 sorge quella che i londinesi considerano “la mecca del vintage”. A fondarlo tre amici che, al mercato di Portobello, avevano la loro “bancarella”: Fiona, Claire e Steven. Tra vestiti e accessori da donna, qui è possibile scovare pezzi unici di Vivienne Westwood, Alaia, Comme des Garçons e Pierre Cardin. Ma, a fare la differenza, è l’amore dei proprietari, che così si raccontano: “Avere stile significa crearsi una propria identità” (Claire); “Gli abiti vintage sono speciali, diversi, affascinanti. E le loro texture trascendono tempo e tendenze” (Fiona); “Sono sempre stato affascinato da personalità glamour e androgine, come Bowie e Bolan. Nasce da loro la mia passione per la moda” (Steven). 8 Globorne Road, www.relliklondon.co.uk

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Thresher & Glenny

Tra su misura e “improvvisazione” L’abito da gentiluomo per eccellenza, a Londra ha un solo indirizzo: Thresher & Glenny. Fondato nel 1683 e con decine di clienti famosi, in questo storico negozio vivono due diversi approcci. Quello di Mr Thresher, per cui il “black tie” era un invito all’improvvisazione, e quello di Mr Glenny, rigoroso e convenzionale. Che si ami uno stile o l’altro, qui si trova sempre l’abito perfetto, dal prezzo adeguato alla qualità offerta. Punti di forza? Abilità nella personalizzazione, sense of humor, velocità nelle consegne e un servizio su misura che non ha eguali. Ci sono poi gli abiti pronti da indossare, proseguo della tradizione iniziata oltre un secolo fa da Mr Clemdan. Abiti che, ai loro “cugini” su misura, non hanno nulla da invidiare. 1 Middle Temple Lane, www.thresherandglenny.com

Ivana Basilotta

Alta moda etica Di nazionalità italiana, cresciuta tra la Germania e l’Inghilterra, la designer Ivana Basilotta ha in sé le diverse influenze e culture che hanno arricchito la sua adolescenza. Di sé dice: “Adoro creare. Vorrei che la mia vita fosse un percorso di crescita e di continui cambiamenti”. Il suo è un brand di vestiti e accessori da donna che vuole portare l’eco-sostenibilità nel settore dell’alta moda. Capi ecologici, bio, realizzati con tessuti di riciclo o lavorati eticamente. La seta impiegata, ad esempio, è quella nota come “Vegetarian Silk”. Una seta prodotta senza uccidere i bachi, a beneficio degli animali ma anche dell’uomo, grazie alle sue proprietà terapeutiche e al calore che trasmette. Londra, Notting Hill www.ivanabasilotta.co.uk

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di L.A.

A Londra la cucina è multietnica

A Londra si mangia male? Un luogo comune ormai superato. Perché la capitale britannica, campionessa di cosmopolitismo, è multietnica anche a tavola. Lo dimostra il tour messo a punto per voi da CH & LIFESTYLE. Un viaggio alla scoperta dei migliori ristoranti che, a Londra, offrono piatti tipici locali e specialità lontanissime; il tutto, rigorosamente interpretato da chef artisti e servito in location straordinarie.

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Prima tappa, la cucina britannica di The Five Fields, nel cuore di Chelsea (8-9 Blacklands Terrace, www.fivefieldsrestaurant.com). Guidato dallo chef e patron Taylor Bonnyman - forte di una lunga esperienza in alcuni tra i migliori ristoranti di Londra, New York e Parigi -, offre un’interpretazione insieme elegante e divertente dalla cucina britannica, con un largo utilizzo di materie prime locali. Semplicità, stagionalità e freschezza si incontrano nel suo menu, che annovera prelibatezze a base di pesce come la Native Lobster (aragosta servita con rape, aglio nero e curry rosso) o di carne, come l’Old Spot Pig, con ceci, melanzane e manzo. I piatti vengono serviti in una sala da pranzo dall’atmosfera intima, ispirata alla flora locale. Uno spazio caldo e luminoso, fatti di grandi specchi e di una palette naturale che va dal verdino all’ocra, fino all’avorio. Fiore all’occhiello del The Five Fields, l’orto nell’East Sussex che, curato dalla “Kitchen Gardener” Heather Young, porta ogni giorno in cucina oltre 100 erbe (alcune molto rare) e freschissimi vegetali di stagione. Rimaniamo in Europa con Gola, il ristorante che, a Fulham, regala un tocco di italianità con la sua cucina pugliese (787 Fulham Road, www.golalondon.com). Una cucina che il team stesso definisce familiare e innovativa, guidata da persone che amano cucinare tanto quanto amano gustare e parlare di cibo. Una cucina che incontra anche l’arte: il patron del Gola, Mr. Aaaron, ha un passato nel campo delle belle arti e un forte interesse per la pittura. Dalle tele, le stesse che ha dipinto per oltre vent’anni, quella dote naturale e quel talento creativo li ha voluti trasferire alla tavola. I piatti sono quelli tipici della cucina italiana, con la Puglia a farla da padrone: capocollo di Martinafranca con Burrata di Andria, parmigiana di melanzane, “troccoli” cacio e pepe e, ovviamente, l’immancabile pizza. Gli ingredienti? Direttamente dal Sud Italia! C’è poi la Francia, con la cucina raffinata del Club Gascon (57 West Smithfield, www.clubgascon.com) che, dal 1998, sorprende e delizia i palati tra la chiesa di San Bartlomeo e lo Smithfield Meat Market. Insignito di una stella Michelin nel 2002, il ristorante guidato dallo chef Pascal Aussignac offre il meglio dei sapori della Francia sudoccidentale, patria del foie gras, dell’anatra, dei salumi e del buon vino. Tra pareti in marmo, pavimenti in legno, enormi specchi dalle cornici antiche e panche color verde oliva, quella del Club Gascon è una cucina che invita a provare sapori e combinazioni inediti. Si può optare per Le Marché, cinque portate all’insegna della stagionalità, oppure scegliere 3 o 4 piatti dalle cinque sezioni del menu: La Route du Sel - dal nome dall’antica Via del Sale che, dalla costa mediterranea, raggiungeva Rouergue, a nord di Tolosa – prevede piatti preparati con ingredienti salati o stagionati, come marinature e pesci affumicati; Le Potager propone piatti vegetali; Les Foies Gras, specialità della casa, celebra questo alimento come in nessun altro posto in Gran Bretagna; L’Oceane è la patria dei pesci pescati al largo della costa atlantica francese; Les Paturages è un trionfo di carne e selvaggina. Il tutto, da “innaffiare” con uno dei pregiati vini francesi di cui la cantina è custode.

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Ristoranti a Londra

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C’è l’Italia, e c’è la Francia. C’è il Giappone moderno, e c’è la Turchia d’epoca ottomana. Quella che Londra regala è un’esperienza culinaria dall’effetto sorpresa. Tra interni sofisticati e sperimentazioni di gusto, un viaggio a cinque stelle tra le cucine del mondo

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Continuiamo con la Spagna, quella dell’Ametsa with Arzak Instruction, il lussuoso ristorante dell’hotel The Halkin by COMO (Halkin Street, www.comohotels.com/ thehalkin), nel distretto di Belgravia. Insignito di una stella Michelin, l’Ametsa nasce dalla collaborazione tra Elena Arzak – nominata miglior Chef donna al mondo da Veuve Clicquot nel 2012 – e il papà Juan Mari, insieme a Mikel Sorazu, Igor Zalakain e Xabier Gutierrez. I sapori della tradizione basca e le sue tecniche di cottura acquisiscono modernità e originalità nell’incontro con i prodotti dei mari e delle terre inglesi. Nascono così piatti come il Cochinillo sobre Migas de Algarroba (maialino su briciole di carruba), il Bacalao con Pil Pil de Setas y Algas (merluzzo con funghi e alghe marine) o il Perdiz Escocesa con Mousse de Orejones y Uchavas (gallo cedrone con mousse di albicocche disidratate e uva spina). Gli interni, curati da Ab Rogers Design, sono dominati dagli oltre 7000 portaspezie che danno forma al soffitto. Abbandonata l’Europa, ecco l’Asia. A Knightsbridge, Zuma (5 Raphael Street, www.zumarestaurant.com) regala un’interpretazione tutta nuova della cucina giapponese. Anche il design è firmato Giappone: lo studio Super Potato di Tokyo, guidato da Noriyoshi Muramatsu, ha dato vita ad ambienti moderni e caldi insieme. La sala principale, con cucina open, segna l’incontro tra la cultura contemporanea e le antiche tradizioni culinarie; in un’area a sé, il Tosho Table accoglie fino a 10 persone in un’atmosfera semi-privata, seppure il sake bar e il Robata grill siano a portata di sguardo. Per cene private, la Kotatsu Room regala privacy ai suoi ospiti grazie alle pareti in legno forato. I piatti dello Zuma, dal canto loro, raccontano il meglio della tradizione Izakaya: dal sushi al sashimi, fino alle specialità del Robata Grill. Il California maki è a base di granchio fresco, avocado e Tobaki (uova di pesce volante); il teri no tebasaki segna l’incontro tra ali di pollo marinate nel sake, sale marino e lime; il karei no karaage è a base di sogliola fritta al limone con salsa Ponzu piccante e cipolle verdi. Non mancano, ovviamente, i sake: 40 diverse varietà, insieme a cocktail a base di frutta fresca e ai liquori giapponesi trovano posto nel sake bar & lounge. Concludiamo il nostro “food tour” con Kazan, il ristorante turco di Wilton Road (9394 Wilton Road, www.kazan-restaurant.com). In un ambiente dal decor opulento e sofisticato, esperti e appassionati chef turchi preparano piatti d’epoca ottomana. Storia e gusto si incontrano, e il risultato è una cucina “Ottoman Fusion” che rende omaggio ai sultani dell’epoca. Ci sono gli “sharing platters”, perfetti da condividere, come il Mixed Mezze Platters con tabulè, Hummus Kavurma, Hellimi, börek (torta salata con formaggio e carne macinata), kisir (insalata di bulgur con prezzemolo e pasta di pomodoro), falafel, Baba ganoush (anche noto come “caviale di melanzane”), sucuk (salsiccia piccante secca) e barbabietola rossa. Ci sono piatti tradizionali come la Lentil Soup, zuppa di lenticchie rosse piccanti, o l’Adana Kofte, pietanza tipica del sud della Turchia, a base di peperoncini rossi piccanti e macinato d’agnello alla brace. E ancora, piatti a base di pesce o vegetariani. Per solleticare il palato con sapori da mille e una notte.

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loving street food Quando il cibo di strada non ha nulla da invidiare ai piatti gourmande www.dallalella.com www.facebook.com/DallaLellaPiadineriaRimini

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Rimini

Viale Rimembranze 74/A e via Covignano 96

Se Rimini è il regno della piadina, la Lella ne è la regina. Era il 1986 quando, dal suo nuovo negozio in via delle Rimembranze, regalava ai bimbi le piade che non le riuscivano perfettamente tonde. Piade fatte con ingredienti della più elevata qualità, esaltati da abbinamenti originali e dal sapore inconfondibile. Quasi 30 anni dopo, la Lella (che ha aperto un secondo negozio) propone 13 diverse tipologie di piadine, dalla piada classica a quella al farro, dalla piada ai cereali a quella con olio extravergine di oliva. Senza contare i cassoni, i cassoncini e i triangolini. Da non perdere gli audaci e deliziosi abbinamenti della piada al pecorino di Pienza e salame o del cassoncino con patate e zucca. www.miglioriolive.it

MIGLIORI

Ascoli Piceno Piazza Arringo

Un cartoccio fumante pieno zeppo di olive all’ascolana, rigorosamente DOP e selezionate: è la specialità di Nazzareno (Zè) Migliori. Gli inizi della sua attività risalgono agli anni ’50, quando aprì in centro città un negozio di pollame. Da lì arrivarono poi le olive, che Zè in persona andava a cercare nelle campagne, prima, e nel suo uliveto, poi. Oggi, aiutato dalla moglie Marinella e dal figlio Augusto, Migliori propone anche un insuperabile fritto misto, dove alle olive classiche abbina quelle al Montasio, ai cereali e al baccalà. E, ancora, olive ripiene di pesce o di carne aromatizzata al tartufo, bocconcini di farro e salsiccia, palle di cacio e specialità vegetariane come i carciofi impanati. Chi preferisce il dolce non può perdersi i cremini, gemme di crema pasticceria avvolte in una panatura dorata.

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www.laporchettadigrutti.it

NATALIZI PORCHETTA DI GRUTTI

Perugia

Piazza Umberto I 5, Grutti / Gualdo Cattaneo

Insignita anche del Premio Street Food 2013 dal Gambero Rosso, la Natalizi produce porchetta fin dal 1970, selezionando i migliori suini d’Italia e condendoli poi con un mix di aromi naturali freschi e privi di conservanti: pepe, aglio, rosmarino, sale e finocchio fresco. Il tutto, amalgamato con fegato, cuore, milza e frattaglie varie lessate. Per assaggiarla bisogna andare a Grutti, provincia di Perugia, dove l’azienda ha sede, oppure in diversi mercati dei dintorni. E per chi volesse provare altro? C’è il Cicotto, piatto a base di zampe di maiale, orecchie, trippa, stinchi e cuore, cotti nella vasca posta sotto la porchetta. Troppo estremo? Allora puntate sul Bocconcello, simile alla torta pasqualina ma realizzato con pecorino e romanesco. www.luini.it

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Milano Via Santa Radegonda 16

C’era una volta un Forno, che la signora Giuseppina Luini, appena arrivata dalla Puglia con la famiglia, rilevò nel 1949. Se all’inizio ad essere sfornato era soprattutto il pane, ben presto Luini fece conoscere ai milanesi i panzerotti, cucinati secondo la ricetta tramandata dal nonno. Caldi, fumanti e prodotti al momento, i panzerotti fritti (classici, con pomodoro e mozzarella, oppure più “alternativi”, come quello con fagiolini e scamorza affumicata) sono il marchio di fabbrica di Luini, ma si può scegliere anche la versione al forno o quella dolce (dal panzerotto ricotta e cioccolato a quello con pesche, mandorle e amaretti). Tutto, specialità stagionali incluse (come la zeppola di San Giuseppe e le chiacchiere), da gustare passeggiando tra le vie di Milano.

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di Laura Alberti

Chef Rubio il riscatto dello street food I tre giudici di “I Re della Griglia�: Paolo Parisi, Chef Rubio e Cristiano Tomei

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Da “Unti e Bisunti” a “I Re della Griglia”, Chef Rubio è ormai un volto noto del piccolo schermo. Una persona, prima di un personaggio, che lavora per creare un precedente e per dimostrare che fare tv bene è possibile

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on “Unti e Bisunti” lo Chef Rubio è entrato negli schermi e nei cuori di milioni di italiani. Ma Gabriele Rubini non è solo un personaggio televisivo. È un giovane uomo con l’arte della comunicazione, sebbene ai sorrisi non ci abbia abituati. È un curioso, nell’accezione più positiva del termine. Uno che mangia con la stessa attitudine in un ristorante stellato come al baracchino in strada, “perché è dal cibo di strada che nascono i piatti più pregiati”. L’intervista inizia con una domanda d’obbligo: cosa ci fa un rugbista nelle vesti di uno chef? “Sono un essere umano, e come tutti gli esseri umani sono interessato a tante cose. C’è lo sport, in cui mi diletto, e c’è il lavoro, che per me è comunque divertente. Sono una persona eclettica, che si adatta a tutto ciò che la vita le presenta. Amo la musica, amo la lettura, amo disegnare, anche se magari per dieci anni non prendo in mano una matita. Non mi piacciono le etichette, soprattutto quella di Chef. Al massimo posso essere lo Chef di me stesso”. Prima di stabilirsi a Roma, varie vicissitudini l’hanno portata in Nuova Zelanda, prima, e in Canada, poi. Qual è la cultura culinaria, soprattutto a livello di street food, in questi due Paesi? “Diciamo che questi sono solo due dei Paesi che ho avuto modo di visitare. Sono stato anche in Argentina, nel Regno Unito, in Croazia, in Jugoslavia, in Sudafrica, in Libano, in Israele, in Palestina, in Australia, alle Fiji. Ma sono i Paesi dove la povertà è più estrema – coma la Cina, l’India, la tra Cina e India – ad essere i più ricchi in materia di street food. Lì la gente si riversa in strada a cucinare i piatti della tradizione, siano questi insetti, preparazioni a base di farina di ceci, peperoncini con lo yogurt (in India) o tofu marcio (in Cina). La stranezza

è ovunque, persino dietro casa nostra. Del resto non so quanti a Roma abbiano mai assaggiato le palle del toro…”. Cosa ti ha insegnato Unti e Bisunti (la serie, trasmessa da DMAX - canale 52 dtfree che ha portato Gabriele Rubini n.d.r.)? “Innanzitutto mi sono divertito lavorando, e questo è importante. Poi ho imparato che non bisogna giudicare una cosa se prima non la si è conosciuta. Dietro trasmissioni come Unti e Bisunti ci sono giornate di lavoro massacranti, che il piccolo schermo non lascia immaginare. Ho conosciuto culture e mondi nuovi, ho stretto amicizie, ho vissuto da vicino le vite di quelle persone, di quegli ambulanti, che mettono ogni giorno cuore e passione in ciò che fanno. Non sono stati i piatti a stupirmi, è stata la gente a darmi la forza di non stancarmi mai, di non annoiarmi. Proprio io, che sono così volubile! Ho conosciuto anche persone straordinarie come Giulio Tiberi, l’ideatore dei due promo del programma, e il regista Giulio Magnolia, una delle persone più geniali con cui abbia mai avuto a che fare. Spesso ci siamo trovati a bere, mangiare e discutere su un filmato che dura 30 secondi, ma che proprio per questo deve essere il più impattante possibile. La troupe ha fatto un lavoro meraviglioso, ha preparato il palato degli spettatori, è stata la prima fondamentale pietra di Unti e Bisunti”. Qual è il complimento più bello che ti è stato fatto? “Non tanto le parole, quanto gli sguardi della gente, la dicono lunga

su come io sia arrivato e su come chi ha lavorato al progetto abbia fatto un ottimo lavoro. C’è chi mi ha confessato che suo figlio ha ricominciato a mangiare guardando Unti e Bisunti, chi grazie a una puntata ha riportato in vita il ricordo di un nonno”. Se ora fosse “costretto” ad aprire un chiosco di cibo da strada, su quale specialità punterebbe? “Punterei su me stesso. Sceglierei un chiosco senza menu, senza tematiche. Strutturerei l’offerta in base al mio umore, e agli ingredienti che troverei quel giorno”. Tracciamo un bilancio della nuova trasmissione I Re della Griglia, che l’ha vista protagonista di recente. É stata un’esperienza costruttiva sia per me e spero anche per i miei colleghi e per chi ha partecipato e guardato. Per esigenze televisive avremo sicuramente tralasciato qualcosa del vasto mondo del barbecue: era impossibile parlarne in maniera esaustiva nei 50 minuti della puntata, ma qualche curiosità l’abbiamo probabilmente trasmessa. Io mi sono misurato per la prima volta con un talent show culinario, format sul quale ho sempre avuto perplessità; ho apprezzato l’opportunità di poterne capire le dinamiche dall’interno e di poter dare un mio apporto costruttivo per la conoscenza e la diffusione delle nozioni gastronomiche. Per mia natura, però, lo studio televisivo mi sta un po’ stretto: sono sicuramente più street.

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Frecce del deserto Imbarcato su una nave del gruppo Ignazio Messina il primo di 36 treni ad alta velocità che collegheranno le due città sante dell’Islam, Medina e La Mecca coprendo i 450 chilometri del sentiero degli Haji a 300 km/h

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alle navi del deserto alle frecce del deserto. Per navi del deserto si intende ovviamente i cammelli che da secoli accompagnano le carovane degli haji, i pellegrini che compiono il viaggio sacro a La Mecca, ai treni superveloci che la spagnola Talgo sta fabbricando e che correranno fra Medina e La Mecca alla velocità di 300 chilometri orari. Il via all’operazione che porterà l’Arabia Saudita a dotarsi entro dicembre 2016 di una flotta di 36 convogli high speed con caratteristiche tecnologiche di assoluta avanguardia anche per evitare che la sabbia possa rappresentare un intoppo alla loro corsa, è stato dato dall’imbarco del primo convoglio a bordo della nave ro-ro portacontainer “Jolly Quarzo” del gruppo armatoriale italiano Ignazio Messina & C. Gruppo che curerà il trasporto di tutti e 36 i convogli da Barcelona a Jeddah in Arabia Saudita con la frequenza di quasi un treno al mese, utilizzando navi portacontainer, appena costruite dai cantieri coreani e ad oggi le più grandi del loro tipo esistenti sul mercato marittimo mondiale. Nella stiva di una Jolly viaggerà anche il “Talgo Real” il treno speciale ad alta velocità che sarà a uso riservato della famiglia reale saudita e che ospiterà sino a un massimo di 60 passeggeri contro i 417 che si imbarcheranno a bordo degli altri convogli prodotti dall’azienda spagnola. Tutti copriranno a tempo di record i 450 chilometri che separano le due città sante dell’Islam, Medina e La Mecca, rivoluzionando tempi e abitudini della traccia nel deserto che da secoli rappresenta la più alta ambizione per i fedeli musulmani: arrivareal cospetto della pietra nera. aLa commessa che il gruppo Talgo, alla guida di un consorzio di imprese iberiche, si è impegnato a completare in 24 mesi, ha un valore che si aggira sui 6,7 miliardi di euro e rappresenta in assoluto uno defgli sforzi industriali piu’ ingenti per l’industria spagnola, anche in termini di progettazione. Ma è anche curioso come questa operazione, negoziata dalla società di logistica e spedizioni Jas forwarding worldwide (multinazionale che fa capo all’imprenditore italiano Biagio Bruni) sia resa possibile dalla collaborazione di due tipiche imprese familiari, da un lato la Talgo, dall’altro la Ignazio Messina protagonista in questi ultimi due anni di un massiccio piano di investimento in nuove navi (8 tutte costruite in Corea di cui cinque già operative sulle rotte dell’oltre Suez) ; navi le cui caratteristiche hanno reso possibile l’acquisizione della commessa per il trasporto dei 36 convogli dalla Spagna all’Arabia Saudita. (nella foto in alto l’imbarco del primo treno sulla Jolly Quarzo”.

alta velocità

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Nella fabbrica del tempo

I 1400 della maufacture, persi nella Vallée de Joux, ogni giorno lavorano alla creazione delle Grand Complication, orologi per collezionisti che celano i segreti e le magie di quasi due secoli di un’arte antica e di un mestiere che sopravvive

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orse non poteva accadere diversamente: che il tempo nascesse e iniziasse a vivere in questa valle del Giura svizzero, dove l’inverno sembra rubare ogni giorno il posto che spetterebbe ad altre stagioni e dove, tra i muri di neve e i ghiacci del lago, proprio il tempo si ferma per mesi infiniti, trasformando in cristalli persino le eco lontane di ritmi di vita che qui non esistono. Forse non poteva accadere diversamente: che proprio nella Vallée de Joux, a metà strada fra Ginevra e Losanna,

ma infinitamente lontana anche dalle città vicine, si creasse quella magia fredda di centinaia di persone chine al loro tavolo, la luce elettrica perennemente accesa, intente otto ore al giorno, ogni giorno, a realizzare creature quasi viventi, piccoli gioielli o mostri di un’arte che non é più tecnologia, di una professione che tende a trasformarsi in venerazione. 1400 persone, in gran parte giovani, che mentre la natura e l’inverno cristallizzano tutto nel silenzio, realizzano

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Lavoro di precisione nel corpo dell’organismo-orologio

le “complications”, quegli orologi unici frutto della progettazione di orologiai che, allattati con il latte di una tradizione antica, rinnovano ogni giorno la follia di creature articolate, veri e propri universi in miniatura all’interno dei quali i pianeti si muovono, inseguendo il mito del tempo perfetto o del moto perpetuo. L’universo in cui queste creature del tempo, frutto di un puzzle talora composto da più di 700 micro-tessere (viti infinitesimali, gocce di lubrificante invisibili a occhio nudo, bilanceri prodotti oggi da macchine a controllo numerico, ma oggetto comunque di un costante intervento umano, ancore, scappamenti, rubini sintetici), nascono è la Manufacture. Quella di una delle più note Maison del mondo dell’orologeria: Jager LeCoultre, maitre horologier dal 1833, che continua a crescere e a svilupparsi nella valle de Joux

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con le stesse magie antiche dei contadini che, nei lunghi mesi invernali in cui animali e terra erano obbligati a scegliere il sonno e il riposo, si dedicavano a questo mestiere. É lo stesso luogo in cui la fuga degli Ugonotti scappati dalla Francia cattolica contribuiva a migliorare costantemente la qualità della mano d’opera. La visita, organizzata da Bps Suisse e dal gruppo di alta gioielleria e altrettanto alta orologeria Les Ambassadeurs di Lugano, è un viaggio ai confini della realtà. Atelier dopo atelier, nella manufacture le stanze in cui ognuno, ripetitivamente, affina sino al parossismo perfezionista la produzione di ogni singolo micro pezzo dell’orologio, si susseguono senza soluzione di continuità componenti infinitesimali di un pianeta lillipuziano, che qui non casualmente chiamano “organi”.

Perché gli uomini e le donne della Jaeger Le Coultre appaiono come team medici (in ogni atelier con compiti diversi) preposti alla cura specializzata di un organismo vivente, l’orologio. In ogni atelier troviamo un controller/ sorvegliante, addetti alla produzione e verificatori della qualità, poiché ogni organo, prima di entrare in contatto ed essere assemblato con gli altri all’interno della cassa dell’orologio, deve essere perfetto. E mentre le mucche al di là delle vetrate si godono le ultime rare giornate di un clima mite e il treno a vapore della valle esce per pochi minuti dalla cartolina naturale in cui dovrebbe trovare posto, per fare capolino a fianco all’edificio della Manufacture, si ripete il miracolo della Grande Complication, degli orologi che, dal 2007, sono anche dotati di un “giro-


Il Reverso, il primato della produzione Jaeger

turbillon” che consente di compensare i movimenti del polso e di un pianeta minuterizzato che compie la sua orbita. In questo modo, l’orologio di abbatte a meno di un secondo all’anno la sua infedeltà rispetto al tempo reale. Sono trascorsi quattro secoli da quando la famiglia LeCoultre, in fuga dalle persecuzioni in Francia, trovò riparo sicuro in una valle che il gelo isolava dal resto del mondo. E sono passati 180 anni da quando l’orologiaio autodidatta Antoine LeCoultre fondò il suo primo atelier nel villaggio di Sentier, e 107 dal “matrimonio” fra i LeCoultre e l’orologiaio Parigino Jaeger. Tanto parigino da spingere ancora oggi lavoratori e manager della manufacture a difendere la pronuncia parigina (Jejèr) di quel cognome cosí poco francese. Sembra paradossale, parlando di orologi,

affermare che nella Vallée de Joux il tempo si è fermato. Ma tra chi crea il tempo e il non tempo il confine sembra essere terribilmente labile, quasi fragile. Questa impressione è rafforzata dalla pendola Atmos, uno dei fiori all’occhiello della maison. La sua caratteristica? Quella di sfiorare il sogno del moto perpetuo attraverso un meccanismo che riproduce il funzionamento di un polmone e che fa vivere di aria la pendola. Basta un cambio di temperatura, anche di mezzo grado, nell’ambiente in cui la pendola è collocata per fare contrarre o decontrarre una membrana che aziona i meccanismi e ricarica la pendola. Ogni Atmos ha la sua “cartella clinica” che ne attesta il moto perenne, e che la accompagna anche nelle revisioni periodiche. A distanza, la fabbrica di Jaeger LeCoultre

persa nella valle appare come un gigantesco convento cresciuto negli anni, affiancando nuove parti al corpo originale che ospita anche il museo. Qui, il frutto di 1413 brevetti (un orologio Gran Complication può anche celare al suo interno 6 o 7 brevetti diversi) e dei 1249 movimenti inventati dal 1833 a oggi, annullano una volta di più i confini del tempo trascorso. Il Calibro 101, che ancora oggi conserva il primato del più piccolo movimento meccanico mai creato in orologeria, affianca il Reverso 1931 (nato per soddisfare le esigenze dei giocatori di Polo), il Duometre del 200, l’ultrapiatto Calibro 145, il mitico Calibro 978 (premiato come miglior turbillon nel 2009) e le riproduzioni degli orologi storici. La “setta” dei 1400 adepti che ogni giorno (lavorando anche tre mesi per la costruzione di un singolo orologio) perpetua il miracolo di

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Sopra la pendola “Atmos” che ha inventato il moto perpetuo. A destra Antoine LeCoultre

questo laboratorio magico non conosce soste. Le macchine non si spengono mai, perché per riattivarle e ritararne la precisione sarebbero necessari giorni, forse settimane, che invece sono dedicati a produrre “organismi” sempre più sofisticati, destinati a 22 filiali della casa madre e a 65 boutique nel mondo. O, meglio, destinati a chi si può permettere, nel caso delle Grand Complications più sofisticate, il lusso di spendere 280.000 franchi per assicurarsi un pezzo unico. Sono i collezionisti di un mondo che ha le sue regole tutte particolari, e i suoi tempi. Ma sono anche i nuovi ricchi, specie provenienti dall’Asia, che, dopo aver investito migliaia di franchi in orologi eccessivi tempestati di diamanti, nel secondo o nel terzo acquisto puntano a una Grande Complication, schiudendo la porta su un mondo antico e misterioso i cui tempi nella Vallée de Joux sono scanditi dal ticchettio di centinaia di piccoli esseri, chiamati orologi.

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Piú bastone che carota

a

pensare male... Le norme sulla voluntary disclosure una volta di più sembrano prestarsi al rischio di un arbitrio interpretativo non certo rassicurante, anche per chi ha intenzione di regolarizzare la sua posizione e autodenunciare i capitali detenuti all’estero. La norma approvata dal governo ha certo due eccezionali propellenti che la rendono pericolosamente obbligatoria e davvero poco voluntary. Da un lato, la norma sull’autoriciclaggio che inasprisce le pene per chi non aderisce all’invito amicale all’autodenuncia. Dall’altro, le voci ormai ricorrenti su un’imminente accordo italo-svizzero che prevedrebbe tre anni di retroattività sulla consegna delle informazioni bancarie da parte degli istituti esteri (svizzeri in primis) all’Italia e, specialmente, sulla conferma al 2018, al piú tardi, di una totale trasparenza in tema di scambio di informazioni da parte di una Svizzera che ha ormai abdicato gran parte della sua sovranità anche sul tema, delicatissimo e strategico per il Paese, del segreto bancario. Ma la pubblicazione del modulo per aderire alla VD (Voluntary Disclosure) ha già fatto rizzare le antenne a più di un professionista. Sono in molti a chiedersi perchè chi aderisce alla VD debba dichiarare preventivamente di aver utilizzato già lo scudo fiscale, quando l’amministrazione giudiziaria e quella fiscale sono già in possesso dei dati relativi ai nominativi di chi ha scudato… Cosa c’è sotto? Altri dubbi non sono certo totalmente dissipati per quanto riguarda l’effetto penale della VD, non sul singolo che aderisce ma sullo stesso cittadino nella veste di amministratore di una società che gli ha consentito di accumulare all’estero frutti fraudolenti della sua evasione fiscale, ad esempio attraverso i meccanismi della triangolazione delle fatture o di prestazioni di servizi non resi. Come ormai arcinoto, le leggi in Italia sono una cosa; tutt’altra cosa i regolamenti applicativi che troppo spesso, in passato, hanno rovesciato il senso della norma, generando una grande zona d’ombra in cui l’arbitrio interpretativo e l’infedeltà dello Stato rispetto agli impegni assunti con il cittadino sono letteralmente fioriti. Un ulteriore interrogativo riguarda il “prezzo” della VD. La complessità dei calcoli allarga la forchetta fra il 10% e il 40%, e oltre. Il che renderebbe la VD una sorta di suicidio per chi aderisce.

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b

astone e carota. A dire il vero, certezza del bastone e incertezza (scudo docet), come sempre, della carota. La voluntary disclosure per il rientro dei capitali italiani dall’estero, per l’emersione del nero “domestico” e per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale è legge. Lo è senza modifiche dell’ultima ora e con le contraddizioni e i dubbi di costituzionalità che ad esempio la norma sull’autoriciclaggio si trascinerà dietro come incomodo strascico per mesi. Ma se l’efficacia della norma sembra essere condizionata alla chiarezza e alla trasparenza di regolamenti applicativi che i soliti noti dei vertici ministeriali si impegneranno a mettere a punto; se il libero arbitrio delle procure sarà confinato nei limiti della nuova legge; se, ancora una volta, i cittadini italiani riusciranno a farsi violenza e a fidarsi di uno Stato e di una amministrazione che li ha puntualmente e ripetutamente traditi, allora lo stato italiano potrà fare davvero conto su un consistente afflusso di capitali derivanti dal pagamento delle tasse arretrate sui soldi detenuti all’estero e dalla applicazione di sanzioni, apparentemente ridotte. L’approccio per raggiungere questo risultato è ancora una volta uno di quelli che agli italiani non piacciono proprio. Il bastone, nel caso della voluntary disclosure,

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Approvata definitivamente la voluntary disclosure con annesso il reato di autoriciclaggio. Ma voci insistenti danno per probabile la firma a gennaio dell’accordo fra Italia-Svizzera con la trasmissione automatica delle informazioni bancarie... E la retroattività di tre anni

è piú che altro una mazza, o meglio, due mazze. Il primo bastone è rappresentato dalla norma sull’autoriclaggio che va interpretata come segue: o ti autodenunci oppure fra un paio d’anni ti scoviamo e allora buttiamo via la chiave. Della tua cella, di tutti i professionisti e persino dei fornitori di beni che ti hanno dato una mano ad autoriciclare i soldi che hai sottratto al Fisco. Con un raggio di arbitrarietà nel giudizio che oggettivamente non puó non allarmare. Con un distinguo: l’autoriciclaggio non puó

essere retroattivo e quindi diventerà reato dal momento dell’entrata in vigore della legge, sanzionando solo da allora qualsiasi movimentazione di denaro sui conti. Il secondo segnale è ancora piú allarmante. Svizzera e Italia si preparerebbero, forse già a gennaio, a siglare un accordo che prevede a partire da fine 2017/inizio 2018 la trasparenza sui dati e le informazioni bancarie, quindi il libero scambio delle stesse. Piccolo particolare non trascurabile, il governo svizzero si starebbe orientando ad accettare la richiesta italiana di retroattività: ovvero sia a fornire dati sensibili relativi ai clienti delle banche anche per quanto riguarda gli anni 2014, 2013 e 2012. Non solo un azzeramento del segreto bancario, dunque, ma una definitiva rottura del rapporto di fiducia tra clienti e banche in un Paese come la Svizzera che, piaccia o non piaccia, su questo rapporto fiduciario ha costruito una buona fetta della sua struttura economica e finanziaria. Anche su questa ipotesi di resa incondizionata alle richieste italiane potrebbe peré pendere l’incognita di un referendum. Come già hanno sbugiardato il loro governo sull’ipotesi di eliminare la tassazione forfettaria sui super ricchi, i cittadini svizzeri potrebbero (e forse i tempi sono davvero maturi) insorgere contro la remissività di Berna in materia bancaria.


Anche perché, a fronte dell’impegno ad aprire tutti i suoi caveaux allo sguardo dei vicini di frontiera, la Svizzera non otterrebbe praticamente nulla: né l’automatica uscita dalla black list, né una rinegoziazione sui frontalieri o sulla doppia imposizione. Ma è tutto nel regno delle supposizioni e delle interpretazioni. Di certo c’è il fatto che dopo un passaggio al legislativo dei ministeri per la stesura definitiva del testo – passaggio che si preannuncia comunque rapido - e dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, il provvedimento entrerà definitivamente in vigore, rimediando alla falsa partenza del decreto legge 4/14 sulla voluntary disclosure (governo Letta) che decadde a fine marzo e non venne convertito dal nuovo gabinetto. Nella nuova normativa rimangono aperti alcuni aspetti nodali sia in relazione ai profili penalistici dovuti all’introduzione del reato di autoriciclaggio, di cui all’articolo 648-ter1 del codice penale, sia in relazione ai profili prettamente tributari, in ordine alla reale convenienza economica della procedura per i contribuenti che decideranno di accedervi. Per effetto della nuova norma saranno sanabili tutte le violazioni per mancata dichiarazione delle disponibilità finanziarie non solo detenute all’estero, ma anche ma anche detenute in Italia (ad esempio cassette

di sicurezza) e mai dichiarate al Fisco. Come indicato dall’articolo 5-quater del D.L. n. 167/1990, potranno accedere alla procedura per regolarizzare la propria posizione fiscale con riferimento agli asset illecitamente detenuti all’estero, tutti i soggetti destinatari degli obblighi di monitoraggio fiscale come indicati dall’articolo 4 del D.L. n. 167/1990, ovvero sia persone fisiche, enti non commerciali e società semplici ed equiparate ai sensi dell’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi. Tali soggetti dovranno ricostruire e presentare al Fisco la storia dei propri asset detenuti all’estero relativa a 4 periodi di imposta (o 5, nel caso di omessa dichiarazione e, comunque, ai fini della regolarizzazione della propria posizione con riferimento al quadro RW). Detto termine può raddoppiare (8 o 10 anni) nel caso di patrimoni detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata, a meno che detti Paesi, entro 60 giorni dall’entrata in vigore della norma, non stipulino con l’Italia un accordo bilaterale che consenta l’effettivo scambio di informazioni. Di qui la voce insistente di una procedura accelerata per la definizione di un accordo Italia-Svizzera, che consentirebbe di circoscrivere agli ultimi 4-5 anni la mazzata sui conti esteri. La procedura di regolarizzazione si

concluderà con il pagamento (imposte, sanzioni ed interessi) di quanto dovuto in un’unica rata o, al massimo, in tre rate mensili. I vantaggi? Una consistente riduzione delle sanzioni amministrative e, soprattutto, all’esclusione della punibilità per alcuni reati tributari previsti agli artt. 2, 3, 4, 5, 10bis e 10-ter del D.L. 74/2000. Restano aperti i problemi relativi a una semplificazione della documentazione da produrre, alla previsione di una prima fase di contradditorio, anonima, con l’UCIFI: quelli sul dimezzamento dei termini di accertamento per quei contribuenti che detengono i propri patrimoni in Paesi black list che abbiano sottoscritto accordi OCSE sullo scambio di informazioni; quelli sulla concessione dei crediti per le imposte già pagate all’estero all’inclusione, tra le violazioni sanabili, delle imposte di donazione e successione. La voluntary, a differenza dei tre scudi fiscali dello scorso decennio, non è un condono a tariffa forfettaria. Assomiglia, ma non lo è: il governo e il Parlamento non si stancano di ribadire che i capitali non ancora prescritti fiscalmente saranno assoggettati a tassazione integrale (generalmente il 43%, visti gli importi a 5, a 6 o più zeri in questione), con il riconoscimento di forti sconti solo sulle sanzioni per mancata

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dichiarazione fiscale (quasi sempre sotto la soglia del 3%). In aggiunta, si pagheranno comunque le tasse anche sui rendimenti annuali del capitale depositato all’estero. Chi aderirà, questa volta, dovrà farlo svelando il proprio nome ed esibendo tutti i documenti bancari e degli intermediari utili a ricostruire la storia, e i rendimenti dell’investimento. L’adesione alla voluntary disclosure – che dovrà essere fatta entro il 30 settembre dell’anno prossimo per violazioni commesse prima del 31 dicembre 2013 –, oltre a non rispondere dei reati fiscali (a parte ipotesi di gravi condotte fraudolente, per le quali comunque la pena è diminuita), sarà immune anche dal nuovo illecito di autoriciclaggio, che può comportare un aumento di pena fino a 8 anni (4 se il reato all’origine del lavaggio non è particolarmente grave). A tentare di fare chiarezza ci ha provato il Sole: tanti sarebbero i potenziali soggetti interessati dalle nuove regole sul rientro dei capitali. In particolare, tre categorie fondamentali: 1) soggetti che, pur essendo tenuti, hanno violato le norme sul monitoraggio (omessa o carente compilazione del quadro RW); 2) soggetti che hanno correttamente adempiuto a tali obblighi;

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3) soggetti che non sono interessati dalla disciplina del monitoraggio. Nel primo caso si adotterà la disclosure vera e propria, che riguarderà anche le sanzioni per omessa compilazione del quadro RW e per la mancata dichiarazione dei redditi di fonte estera. Nel secondo e nel terzo caso, invece, si potranno adottare le nuove regole che consistono nella sanatoria delle infedeli dichiarazioni dei redditi o degli imponibili Iva e Irap. Dovranno applicare le regole sul monitoraggio dei capitali all’estero le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici. Soggetti ai quali vanno aggiunti i titolari effettivi dell’investimento all’estero, anche se non sono possessori diretti degli investimenti e delle attività all’estero prese in esame. Alla sanatoria dei redditi evasi, sono attesi i contribuenti di qualunque natura e forma giuridica: lavoratori autonomi, imprese, società di persone, società di capitali, enti commerciali, titolari di altri redditi. Le somme da pagare sono calcolate allo stesso modo per tutti. I periodi d’imposta per i quali si possono sanare i capitali illecitamente detenuti all’estero sono quelli per i quali non è scaduto il termine per l’accertamento, a partire

dalla data di presentazione della richiesta per la sanatoria. Arrivano fino al quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Ciò significa che il 31 dicembre 2014 va in prescrizione il 2009, anno per il quale bisognava presentare la dichiarazione a settembre 2010. I termini di scadenza raddoppiano in caso di reati tributari e di capitali detenuti in Paesi che sono sulla “black list” perché “paradisi fiscali”. Ovvero sia, se la violazione fa scattare l’obbligo di denuncia penale (cioè se riguarda uno dei reati previsti dal decreto legislativo 74 del 2000). La legge appena approvata concede una chance in più a chi ha capitali nei Paesi “black list”, cioè nei paradisi fiscali: 1) l’autore della violazione deve rilasciare all’intermediario estero l’autorizzazione a trasmettere tutte le informazioni relative l’investimento stesso, in caso di richiesta da parte delle autorità fiscali italiane. Copia della autorizzazione controfirmata dall’intermediario deve essere allegata alla richiesta di disclosure; 2) analoga autorizzazione (sempre controfirmata e poi trasmessa all’Amministrazione) deve essere rilasciata in caso di successivo trasferimento delle somme a un intermediario estero diverso; 3) lo Stato estero nel quale erano o rimangono detenute le attività finanziarie deve stipulare con l’Italia un accordo per lo scambio di informazioni entro 60 giorni dall’entrata in vigore della norma sulla disclosure. Secondo un calcolo svolto per il Corriere della sera dallo studio legale Bonelli Erede Pappalardo, il costo di un passato ripulito ammonta a quanto segue, sulla base di un’ipotesi di un milione accantonato all’estero. Se i redditi non sono recenti e sono stati trasferiti in Svizzera ad esempio nel 2003, ipotizzando un rendimento del capitale del 3% annuo, la voluntary disclosure costa circa il 13%, per un costo di poco più di 45 mila euro, a cui sono da aggiungere oltre 129 mila euro di sanzioni. La norma poi prevede anche la possibilità di optare per il calcolo forfettario del rendimento del capitale. Ipotizzandone uno del 3%, il costo della regolarizzazione volontaria sale a circa il 22%: il prelievo è di oltre 145 mila euro e le sanzioni sono di quasi 152 mila euro. Se, al contrario, i redditi sono recenti e trasferiti in Svizzera, ad esempio, nel 2010, il costo sale:


Emersione e non rientro É sempre complesso effettuare paragoni tra normative spesso non omogenee in materia fiscale, adottate da Paesi con tradizioni e anche con iter implementativi della legge molto differenti. Di certo si puó affermare che la voluntary disclosure non è un’invenzione italiana. Negli Usa, la normativa del 2009 (entrata a pieno regime nel 2012) ha attuato un programma di “Voluntary Disclosure” molto rigido e senza sconti. L’Internal Revenue Service (Irs, l’equivalente del nostro Fisco) ha utilizzato questo meccanismo per incentivare gli evasori alla regolarizzazione e alla dichiarazione dei capitali occultati all’estero. L’autodenuncia dell’evasore non ha previsto sconti né sulle sanzioni né sulle tasse, che andavano comunque versate per intero alle casse dello Stato. L’autodenuncia perdeva valore se sulla testa dell’evasore pendeva già un’indagine da parte dell’Irs. Punto fondamentale è stata

ipotizzando sempre un rendimento del 3% annuo, il costo cresce circa al 75%: oltre 646 mila euro di imposte e oltre 178 mila euro di sanzioni. I debiti di imposta si trasmettono agli eredi ma non le sanzioni, mentre restano le sanzioni per violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale. Anche in questo caso il costo della regolarizzazione cambia a seconda che si tratti di redditi recenti o più indietro nel tempo. Nel secondo caso, ipotizzando che una persona fisica abbia ricevuto in eredità un milione di euro a fine 2010, detenuto in Svizzera, derivante da attività di lavoro autonomo svolto nel nostro Peese nel 2003 e con un rendimento del 3% annuo, il costo della voluntary è di circa l’8% degli oltre 1,3 milioni ereditati.

l’assenza dell’anonimato: senza di esso, gli Usa hanno tentato di acquisire informazioni utili per studiare il sistema ed evitare eventuali evasioni future. Già perché all’Irs non importava il rientro dei capitali, come per l’Italia; l’importante era sapere dove fossero collocati e quale fosse la precisa natura di questo fenomeno. Il meccanismo americano comunque ha permesso un buon recupero di capitali, anche se la cifra totale, a detta dell’Irs, è stata molto lontana dai 5 miliardi di dollari preventivati. In Gran Bretagna, la “New Disclosure Opportunity” permette agli evasori di pagare le tasse non versate sui redditi percepiti all’estero e di regolarizzare la propria posizione verso il Fisco britannico (Hmrc) fin dal 2009. Obiettivo dell’amministrazione finanziaria, farsi pagare le imposte sul reddito mai versate. In Gran Bretagna é infatti consentito non dichiarare investimenti all’estero o

attività finanziarie estere. La sanzione fissa sulle tasse da pagare (nessuna sanzione se il totale dovuto era inferiore alle 1000 sterline) era del 10%. In Germania il “Tax Amnesty Disclosure Act”, nel periodo 1 gennaio 2004 - 1 gennaio 2005, ha puntato al recupero dei capitali esteri e dei redditi (in totale circa 60 miliardi di euro), applicando un’imposta del 25% con un ulteriore 10% per chi dichiarasse in ritardo. Risultati in termini di gettito deludenti rispetto alle aspettative. In Francia, la “Régularisation des avoirs à l’etranger”, che aveva come obiettivo l’emersione di tutte le attività estere non dichiarate, non prevedeva riduzione delle tasse o delle imposte dovute, ma un salvacondotto penale. Sanzioni amministrative pari al 15-20% delle tasse evase. Come per gli Usa, una volta effettuata l’autodichiarazione non era necessario riportare i capitali in Francia, poiché schedati e localizzati.

In tutto, fra imposte e sanzioni il costo è di oltre 101 mila euro: oltre 45 mila euro di imposte e oltre 56 mila euro di sanzioni. Se, invece, la cifra ereditata deriva da attività svolte nel 2006, ipotizzando ancora un rendimento del 3%, il costo della regolarizzazione di oltre 1,22 milioni ricevuto è di circa il 58%, che significano oltre 715 mila euro fra imposte (664 mila euro) e sanzioni (oltre 51 mila euro). L’ultimo caso ipotizzato dallo studio legale Bonelli Erede Pappalardo è quello di redditi portati all’estero da un imprenditore e realizzati con la propria società. In questa fattispecie, la voluntary disclosure si applica anche all’azienda, ma il costo maggiore è sostenuto dal titolare. L’esempio è quello di una società di capitali residente in Italia,

viewpoint

Voluntary altrove

che ha dedotto costi fittizi per un milione di euro nel 2010 a fronte di operazioni inesistenti con una società estera terza, che ha trattenuto a titolo di compenso per l’attività svolta una percentuale pari al 5% delle operazioni fittizie. Il caso di scuola prevede che il restante 95% sia stato trasferito su un conto corrente svizzero del socio unico della società italiana. Ipotizzando un rendimento del capitale del 3%, il costo della voluntary disclosure delle attività estere di oltre un milione di euro, calcolato dallo studio Bonelli Erede Pappalardo, è di circa il 66%: imposte a carico del socio pari a quasi 230 mila e della società oltre 45, sanzioni a carico del socio oltre 97 mila euro; della società oltre 39 mila euro.

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Benestanti e benvenuti

e

va già bene che c’è il referendum… Sì perché, se così non fosse, la Svizzera potrebbe battersela con l’Italia in materia di scelte autolesioniste. Dopo la rinuncia alla sovranità nazionale, conseguente la vicenda Ubs sfociata nella dolorosa rinuncia ai diritti del suo sistema finanziario e culminata con il Fatca americano, e la conseguente “devastazione” del suo sistema bancario, la Svizzera ci aveva riprovato con la proposta di abolire la tassazione forfettaria. Ovvero sia, quella forma di tassazione non commisurata ai redditi o alle proprietà che viene applicata da numerosi stati, Svizzera in primis, a una ristretta cerchia di superricchi, dai milionari ai piloti di Formula Uno, dai tennisti famosi alle star dello spettacolo. Tutte persone che ottengono la residenza in un determinato Paese in cambio della garanzia a pagare una quota prestabilita di tasse, per l’appunto un forfait. All’afflato moralista delle forze politiche ha risposto il Paese, con grande pragmatismo, attraverso lo strumento del referendum: a chiara maggioranza (59,20%) il popolo svizzero ha bocciato l’iniziativa popolare

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I cittadini svizzeri dicono no all’abolizione della tassazione forfettaria sui super-ricchi. Grande pragmatismo anche dietro la bocciatura delle norme sulla limitazione dell’immigrazione e sull’obbligatorietà delle riserve in oro

promossa in questo senso dalla Sinistra. La partecipazione al voto è stata del 49,27% degli aventi diritto. Fra i cantoni, solo Sciaffusa si è schierato a favore (50,81% di sì), come già aveva fatto nel 2011 abolendo questa pratica a livello cantonale. Opposizione ampiamente sopra la media nazionale invece in Ticino (68,02%) e nei

Grigioni (71,24%). Alte percentuali di “no” sono state registrate anche in Vallese – che, con un tasso del 78,29%, guida il fronte dei contrari - Nidvaldo (69,14%), Vaud (68,62%), Ginevra (68,28%) e Zugo (67,38%). Nettamente meno marcato il rifiuto a Zurigo (50,92%), che a livello cantonale ha abolito i forfait nel 2009, ma anche ad Appenzello Esterno (52,02%), che lo ha fatto nel 2012, Soletta (53,84% di no), Basilea Campagna (54,03%) e in misura minore a Berna (56,08%). L’iniziativa - denominata “Basta ai privilegi fiscali dei milionari” - era sostenuta dal partito socialista, dai Verdi, dall’Unione Sindacale Svizzera (USS) e dal sindacato UNIA. Sia il Consiglio Federale che le due Camere del Parlamento ne raccomandavano invece la bocciatura. Basti pensare che in cantoni importanti come Ginevra quote superiori al 70% del gettito arrivano nelle casse proprio grazie alla tassazione forfettaria. Tassazione forse non equa, forse immorale, ma comunque tale da consentire addirittura in questi cantoni a larghe fasce della popolazione di non pagare tasse, perché a pagare sono


solo i super-ricchi. Il secondo grande autogol, dopo quello del segreto bancario, e della totale resa non solo agli Stati Uniti ma anche a qualsiasi altro paese vicino che ne faccia richiesta, sulla trasmissione dei dati bancari, è stato sventato. Bocciata anche l’’Iniziativa“Salvate l’oro della Svizzera (Iniziativa sull’oro)” è stata bocciata da tutti i cantoni e da una schiacciante maggioranza dei cittadini. Secondo i dati definitivi i “sì” hanno raggiunto solamente il 22,74% (580’815 votanti), mentre i “no” si sono attestati al 77,26% (1’973’558). La partecipazione è stata del 49,20%. I cantoni con i cittadini che si sono recati di più alle urne sono stati Sciaffusa (67,50%), Zugo (55,79%) e Zurigo (53,53%). Poca affluenza invece nel Giura (40,74%), a Glarona (40,80%) e nel canton Uri (41%). In Ticino il testo è stato respinto dal 66,68% dei votanti, contro il 33,32% di favorevoli. La partecipazione ha raggiunto il 45,85%. In Argovia i contrari hanno prevalso con il 76,02% di voti, contro il 23,98% di favorevoli. Simile la situazione a Glarona, dove i “no” hanno ottenuto il 75,38% contro il 24,62%.

Ancora più drastico il dato dei Grigioni (partecipazione al 46,11%), con i favorevoli che arrivano solamente al 20,35% (79,65% i “no”), e di Basilea Campagna (21,68% contro 78,32%) . Persino disastrose le cifre nel canton Vaud, con l’83,01% di contrari e il 16,99% di favorevoli. L’iniziativa sugli attivi della Banca nazionale prevedeva che almeno il 20% delle riserve della Bns dovesse essere in oro, che tale oro non fosse più vendibile e che fosse interamente depositato in Svizzera. Con una vittoria del sì, la Bns sarebbe stata costretta dunque a investire risorse ingenti per aumentare le riserve in lingotti. Il prezzo dell’oro avrebbe avuto probabilmente una spinta al rialzo. A quel punto inoltre la Bns probabilmente non avrebbe più avuto risorse sufficienti per difendere la soglia di cambio fissata per l’euro-franco (1,20 franchi per 1 euro) e la moneta svizzera avrebbe potuto apprezzarsi in modo eccessivo. A sostenere l’iniziativa “Salvate l’oro della Svizzera” erano alcuni esponenti dell’Udc, partito della destra populista. Il vertice dello stesso partito non era peraltro d’accordo. Tutti i principali partiti elvetici

erano contrari. E no anche la limitazione dell’immigrazione, grazie ancora una volta al grande pragmatismo di una popolazione che al di là delle campagne piú o meno xenofobe, si rende perfettamente conto che una immigrazione di qualità e gestita consente al paese di crescere. Sull’iniziativa Ecopop (“Stop alla sovrappopolazione”), i sostenitori hanno dichiarato di ispirarsi a posizioni verdi e di puntare a limitare il saldo migratorio in Svizzera, richiamando appunto la sostenibilità ambientale e le dimensioni ridotte del Paese. Secondo i sostenitori, tra il 2007 e il 2013 ogni anno sono emigrate dalla Svizzera 93 mila persone, mentre l’immigrazione annuale è stata di 166 mila persone, con un saldo migratorio pari a 73 mila. Ecopop proponeva di ridurre il saldo migratorio a 16 mila. Una riduzione consistente, alla quale quasi tutti i partiti elvetici (anche alcune formazioni verdi) e le associazioni economiche si sono opposti, sottolineando anche le necessità delle imprese svizzere per quel che riguarda la manodopera.

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di Giavanni Parisi

Nella fascia

Lavoratore dipendente in Svizzera residente in Italia fuori e dentro la fascia di confine - Modalità di tassazione del reddito dei frontalieri - Tanti quesiti, una risposta chiara dipendente dal comune di residenza

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e

cco alcuni quesiti sul lavoro frontaliero che meritano in questo momento qualche chiarimento: lavoro in Svizzera. E’ vero che il vantaggio è doppio: stipendi più alti e tasse sullo stipendio più basse? Dipende! In parte può essere anche vero, soprattutto per gli stipendi alti; per le tasse più basse occorre approfondire. Le fattispecie sono due. Dietro il rilascio del medesimo permesso di lavoro da parte dell’ufficio stranieri (permesso g) occorre verificare il luogo di residenza del lavoratore; esiste una zona a fiscalità “differenziata” che comprende i comuni che distano meno di venti chilometri dal confine Svizzero.

La differenza e’ dettata dalla residenza “entro o fuori” tale “fascia di confine”. a) Nel caso in cui un soggetto presti attività di lavoro dipendente in Svizzera e sia residente in Italia in un comune al di fuori della fascia di confine è tenuto a dichiarare in Italia il reddito da lavoro maturato in Svizzera. Questo soggetto è interamente assoggettato alla disciplina del Testo Unico al pari di un lavoratore dipendente in Italia. Il reddito estero concorre a formare il reddito complessivo della persona per l’importo eccedente 6.700,00 euro; trattasi di fatto di una NO TAX AREA reddituale che costituisce l’unico beneficio di effettuare attività lavorativa all’estero (in passato


l’importo era di 8.000,00 euro, come precedentemente previsto dall’art. 2 co. 11 della L. 289/2002). Quindi il reddito di lavoro dipendente prodotto in Svizzera da un residente italiano è tassato, sia in Italia che in Svizzera. è da precisare che non si subisce una doppia tassazione ma il lavoratore nel corso dell’anno lavorativo percepirà stipendi al netto di una ritenuta alla fonte Svizzera e riceverà dal proprio datore di lavoro una certificazione salari (del tutto simile ad un modello CUD italiano) che dovrà essere inserita nel modello unico PF. Le imposte subite in Svizzera “alla fonte” sono riconosciute a titolo di credito di imposta e quindi a diminuzione del debito erariale IRPEF generato dal modello Unico PF; si tratta quindi di un conguaglio di imposta (essendo le aliquote Svizzere effettivamente piu’ basse delle aliquote IRPEF). Si precisa che la deduzione per il credito di imposta estera non puo’ eccedere la quota di imposta IRPEF attribuibile al reddito (le eventuali maggiori imposte pagate in Svizzera non sono riconosciute quale credito in Italia). Il contribuente e’ anche assoggettato a tutte le norme relative al c.d. monitoraggio fiscale e compilazione del quadro RW (in quanto è probabile che lo stipendio svizzero trovi accredito su un conto corrente “locale” e quindi rientrante quale attività finanziaria detenuta all’estero).

attività è svolta. Per capirci questi soggetti non effettuano alcun conguaglio di imposta IRPEF in quanto sulla base di tali accordi internazionali è il Cantone a ristornare le imposte all’erario nazionale. Attenzione sempre in considerazione delle attuali normative sul monitoraggio fiscale non è da escludere che tali soggetti siano comunque tenuti a presentare una dichiarazione dei redditi in Italia, sicuramente non a fini di “tassazione” ma a fini “dichiarativi” è l’aspetto da valutare per

la compilazione del modello RW. Quindi alla domanda tipica: Ho trovato lavoro in Svizzera! Mi dicono che guadagno due volte perché gli stipendi sono più alti e le tasse sul mio stipendio sono più basse! E’ vero!? La risposta è doppia. Come spesso accade. In questo caso dipende dipende innanzitutto dal luogo di residenza entro o oltre i venti chilometri dal confine. Mappa alla mano…

b) Per i lavoratori residenti entro la c.d. fascia di confine (che comunque in Svizzera sono lavoratori dipendenti titolari del medesimo PERMESSO G), la Svizzera effettua il prelievo fiscale preventivo dal salario (imposta alla fonte) sulla base delle aliquote svizzere; per questi soggetti esiste una ulteriore agevolazione consistente dalla applicazione della convenzione del 3 ottobre 1974 di cui all’articolo 1 che prevede che i salari, gli stipendi e gli altri elementi facenti parte della remunerazione che un lavoratore frontaliero riceve in corrispettivo di una attività dipendente sono imponibili solo nello stato in cui tale

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La patrimoniale non verrà. C’è già

GIANNINO INTERVISTA GIANNINO

Mentre il costo finale a carico di chi confessa capitali all’estero arriva a sfiorare il 100%, la morsa fiscale annienta l’economia. Il caso del mercato immobiliare è emblematico di uno Stato che sull’altare del gettito fiscale spolpa chi questo gettito dovrà garantire. Nelle tasse sulla casa tante patrimoniali mascherate

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La patrimoniale non verrà. C’è già I lettori di CH sanno che, per un anno e mezzo, abbiamo seguito passo dopo passo il travagliato corso della voluntary disclosure in Italia. E che per tempo vi abbiamo informato e avvisato della piega sempre meno promettente che assumeva il provvedimento. Primo perché il ritardo accumulato ha determinato un’incertezza tale che, bisogna ovviamente presumerlo, non pochi potenziali interessati detentori italiani di patrimoni non dichiarati in Svizzera abbiano, su sollecitazione degli stessi intermediari elvetici nel mentre che il tempo scorreva e le pressioni internazionali salivano, magari deciso di trasferirli altrove, non essendo in condizione di valutare se e come accedere alla misura italiana. Secondo, perché il tira e molla realizzatosi sulla determinazione e applicabilità del nuovo reato di autoriciclaggio - sembrava a un certo punto che fosse il grimaldello attraverso il quale tutto tornava penale, anche ciò che si depenalizzava per infedele dichiarazione senza alcune frode - ha rivelato ancora una volta che in Italia le sanzioni penali alla materia tributaria possono variare pendolarmente entro pochi mesi, al primo stormir di fronde per una qualunque vicenda di cronaca giudiziaria ad alto impatto emotivo. Terzo, perché in realtà il combinato disposto delle imposte da pagare sugli anni di mancata dichiarazione - compresi nei termini ordinari e straordinari di accertamento ancora aperti - più la somma determinata

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dal variare dell’attenuazione delle sanzioni tributarie (a seconda degli anni di omessa dichiarazione e obbligo RW, e a seconda di paesi black list) portano, per figure come gli imprenditori, in caso di emersione volontaria di patrimoni costituiti nel periodo storico superiore a pochissimi anni fa, a doversi sobbarcare un costo di regolarizzazione che sfiora il 100% della somma stessa. Non è un caso che al testo finale approvato il Tesoro e il governo non abbiano ritenuto opportuno affiancare alcuna stima dei possibili incassi per lo Stato. In realtà, tranne che per tagli piccoli e recenti di patrimoni all’estero non dichiarati, è molto difficile che questa norma possa avere un successo di massa. I dottori commercialisti italiani hanno avvisato la politica: ma la politica è solo preoccupata di non apparire “amica degli evasori”. Mai che questo si declini con norme chiare, autoapplicative, e aliquote ragionevoli. Macché: la relazione tra semplicità e ragionevolezza fiscale da una parte, e spontaneità elevata della compliance dall’altra, al legislatore italiano continua a sfuggire. Basta vedere che cosa succede in Italia sull’imposizione immobiliare. A metà dicembre i cittadini italiani sono chiamati a pagare il saldo dell’Imu e della Tasi. Per molti, abitanti negli oltre 5.220 comuni nei quali era saltato l’appuntamento di giugno per il ritardo dei rispettivi Comuni nell’approvazione di aliquote e detrazioni, la prima rata Tasi è stata pagata solo a

ottobre. Nei poco meno di 3 mila Comuni che invece avevano deliberato per tempo, il 16 dicembre si è pagato esattamente quanto versato con l’acconto. Ma tutti hanno dovuto ricorrere al professionista tributario, visto che ogni Comune italiano ha avuto facoltà di prevedere detrazioni per la Tasi sulla prima casa che possono variare in base alla rendita catastale, al reddito Isee dei proprietari, al numero dei figli, o in riferimento a qualunque altro parametro che sia stato scelto, avendo la legge lasciato gli enti locali liberi di decidere in materia. Una vera follia, avere 8mila aliquote differenti, compresa la quota dovuta dall’inquilino che può variare dal 10 al 30% del tributo dovuto dal proprietario. Da anni, l’informazione ha tentato di spiegare a tutti i cittadini la complicata evoluzione politica che ci ha bizantinamente portati dall’Ici all’Imu allo Iuc, alla Tasi, alla Tari e alla Tares. Ora andiamo invece al nocciolo della questione delle imposte sul mattone. Riepiloghiamo come e perché sono cambiate negli ultimi anni concentrandoci su un solo punto, quello che interessa sopra ogni altra cosa noi tutti: cioè quanto abbiamo pagato e pagheremo. Quanto abbiamo pagato: lo Stato ha incassato 44 miliardi in più dal 2011. I dati della tabella elaborata da Confedilizia parlano da soli. Siamo passati da un gettito ICI di 9 miliardi e rotti nel 2011 - quando ancora era vigente la piena abrogazione del tributo sulla prima casa


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La patrimoniale non verrà. C’è già voluta dal governo Berlusconi dopo la vittoria elettorale del 2008 - a un gettito dell’IMU nel 2012 di 23,7 miliardi. Allora, con il governo Monti, alla marcia indietro rispetto alla decisione del centrodestra sulla prima casa si sommarono i nuovi moltiplicatori sulla rendita catastale. In un solo anno, un aumento di gettito pari a pochissimo meno di un punto di PIL. Nel 2013, le ulteriori correzioni sulla prima casa, questa volta in senso meno sfavorevole rispetto a Monti con il governo Letta, hanno determinato un arretramento del gettito Imu rispetto al 2012, facendo fermare l’incasso dello Stato alla pur sempre rispettabile quota di 20 miliardi di euro, cioè più del doppio di quanto aveva incassato nel 2011. Del 2014, terzo anno di vigenza del moltiplicatore delle rendite catastali introdotto da Monti, faremo i conti finali solo a 2015 inoltrato, perché la giostra delle 8mila aliquote e il ritardo delle delibere comunali rende a tutti gli effetti molto difficile sapere sin d’ora quanto lo Stato avrà incassato nell’anno che va a chiudersi. In tutti i casi, però, il gettito dello Stato torna a salire sia sul 2013, sia sul 2012, e stellarmente rispetto al 2011. La versione ufficiale di governo è ferma a un incasso complessivo dalla somma di Imu e Tasi – la nuova arrivata – pari a poco meno di 25 miliardi di euro. In realtà, è estremamente verosimile pensare che il gettito finale di Stato e Comuni sarà intorno ai 28 miliardi: a pesare è la situazione di estrema difficoltà di moltissimi Comuni,

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alle prese con il nodo scorsoio del patto di stabilità interno e sottoposti spesso a piani di rientro che obbligano al massimo delle aliquote addizionali, come nei caso di Torino e Roma, o comunque alle prese con estreme difficoltà di bilancio come nel caso di Napoli, Reggio Calabria o Palermo. In ogni caso, con 28 miliardi o poco meno all’incasso nel 2014, il conto è presto fatto: il gettito dello Stato sul mattone annuo rispetto al 2011 è triplicato. E qui ci riferiamo solo all’imposta principale, perché non bisogna dimenticare che sul mattone gravano un’altra raffica di balzelli: l’imposta di registro sull’acquisto e sulla locazione, l’imposta di bollo sui contratti e ricevute di affitto, l’imposta sui diritti catastali, la tassa sui passi carrai, quella per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, e via continuando. Effetti: patrimonio degli italiani -1000mld, -50% compravendite, 57 mila imprese di costruzioni e 340 mila occupati in meno. L’aumento verticale dell’imposizione sul mattone italiano ha determinato una serie di effetti negativi a catena. Oggi, per molti la casa è un bene da vendere a prezzo di realizzo, per evitare di pagarci sopra tasse triplicate che non sono più sostenibili, a fronte di redditi calati in termini reali del 16% in media per le famiglie italiane in questi anni di crisi. I numeri lo testimoniano con dovizia di particolari. Le vendite di unità abitative nell’edilizia residenziale mostrano in questo 2014 i primi timidi segni di ripresa rispetto al 2013 e dopo anni di caduta

(lo stesso vale per i mutui concessi alle famiglie), ma siamo a poco più di 200 mila vendite annue in questo 2014, rispetto a oltre 300mila nel solo 2011 e dunque con una diminuzione del 33%. Se spostiamo lo sguardo a ritroso, la perdita è addirittura del 53% rispetto al 2006-2007, gli anni di picco quando le vendite ammontavano a oltre 400 mila unità l’anno. Naturalmente i prezzi sono scesi, dopo decenni nei quali gli italiani avevano creduto che l’investimento nel mattone avesse rendimento sempre positivo, e che dunque valesse la pena impegnarvi anche quote molto elevate dei propri redditi annuali, per pagare a rate mutui anche trentennali. Siamo a un meno 20% medio di prezzo immobiliare residenziale rispetto al 2008, e meno 16% dalla sola fine del 2011 quando inizia la galoppata fiscale (naturalmente la caduta non riguarda in queste proporzioni l’“alto residenziale” di lusso, e i cali variano di città in città e di quartiere in quartiere. A esser più colpiti sono gli italiani proprietari a basso reddito e le periferie, e via continuando). Se tenete conto che il patrimonio immobiliare delle famiglie italiane tre anni fa era valutato da Bankitalia e dal Notariato intorno ai 5800-6000 miliardi di euro, per incassare 44 miliardi di euro in più in tre anni (invece dei meno di 10 che ricavava nel 2011 dal mattone) lo Stato, o meglio la politica tassatrice, ha determinato un abbattimento del valore patrimoniale immobiliare delle famiglie italiane nell’ordine dei mille miliardi, a


tenersi bassi e con tutte le approssimazioni dovute alle medie. Ed è anche per questo che i consumi sono piantati e non riprendono: l’effettomiseria, determinato dalla perdita di valore di ciò in cui le famiglie italiane avevano investito sopra ogni altro asset, le spinge a sentirsi assai meno sicure di spendere. In più, si è concorso ad accentuare la rovinosa crisi dell’edilizia. Le cifre ufficiali dell’ANCE parlano di circa 57 mila imprese di costruzioni scomparse nella crisi al netto tra cessazioni e aperture, con 340 mila occupati che non hanno più lavoro in questo solo comparto, che tradizionalmente viene considerato anticiclico, cioè “il” settore per definizione su cui spingere per affrontare crisi pesanti. Siamo riusciti nel capolavoro di ottenere l’esatto opposto, per dissetare lo Stato beone. Ci vuole una patrimoniale? Ma se ne paghiamo già 12, nel 2015 per oltre 50 miliardi di euro! Non è solo la triplicazione degli incassi statali dal mattone in 3 anni, la sberla fiscale patrimoniale che lo Stato ci riserva. Uno dei luoghi comuni della politica italiana in questi anni di crisi è che non bisogna tagliare spese e tasse, bisogna invece ricorrere a una bella tassa patrimoniale, che si paga “su quel che si ha” e non su quel che un cespite rende. I casi sono due: a dirlo è o chi ignora la realtà delle patrimoniali che già paghiamo, e che sono salite alle stesse in questi ultimi anni, oppure chi finge di ignorarlo. In entrambi i casi, si tratta di

un argomento pericoloso. Oltre a IMUTasi, le imposte patrimoniali oggi vigenti sono l’imposta di registro, le imposte di bollo, l’imposta ipotecaria, quella sui diritti catastali, il bollo auto, il canone RAI, l’imposta sulle transazioni finanziarie, quella su successioni e donazioni, quella sui cosiddetti beni di lusso. In pagina vi proponiamo l’andamento del loro gettito negli ultimi anni. Siamo passati dall’1% di Pil annuo fino al 1991, al 2% con Amato e la sua stangata notturna sui conti correnti nel 1992, a quasi il 3% nel 2012, con incassi complessivi statali passati da quasi 30 a 44 miliardi nel decennio. Nel 2014, le 12 patrimoniali hanno fruttato 41.5 miliardi, dunque un lieve arretramento. Ma, nel 2014, con l’ascesa di Imu-Tasi fino a quota 28 miliardi si toccherà il record, con circa 47.48 miliardi. E tenetevi forte. Perché Imu-Tasi appartengono già al passato. Nel frattempo, la fervida fantasia tassatrice dei politici ha già pronta una nuova sorpresa: la local tax, promessa dal governo all’ANCI per il 2015 in sostituzione di Imu-Tasi. Il punto è che, per ammissione della stessa ANCI, la local tax dovrebbe determinare incassi non inferiori ai 31-32 miliardi annui rispetto ai 28 a cui forse arriveranno Imutasi in questo 2014. Ed ecco che dunque, nel 2015, con la local tax le patrimoniali frutteranno allo Stato per la prima volta oltre 50 miliardi di euro. Agli italiani è stato detto in sede di approvazione di legge stabilità che il governo ha sospeso la possibilità che scattava dal primo

gennaio 2015 di far passare l’aliquota TASI massima dal 3,3 per mille attuale nel 2014 (se in presenza di detrazioni fissate discrezionalmente dai Comuni) fino al 6 per mille: ma questa manovrata serve solo a scoprire agli italiani che, a metà anno (quando il governo, d’accordo con l’ANCI, varerà la local tax) l’aliquota salirà e a quel punto sarà colpa dei Comuni. Il solito giochetto. Una mazzata di cui non hanno colpa né l’euro né la Merkel, ma solo la politica di spesa a tasse dilapidatrici seguita in questi anni per non dar retta ai Cottarelli che di tagli buoni ne avevano pronti un bel po’, per abbassare le tasse a chi le paga. Ps. Disclaimer finale: chi scrive non ha nulla in contrario in linea di principio a una certa quota di imposte patrimoniali, soprattutto laddove si tratti di smobilizzare ingenti patrimoni per incentivarli a produrre più flussi cioè più redditi, in un Paese iper-patrimonializzato e a forte perdita pluriennale di Pil e reddito come l’Italia. Altra cosa è alzare insieme le imposte patrimoniali, le imposte dirette e le imposte indirette come ha fatto la politica italiana in questi anni. Così si uccide il cavallo e basta. E non sono gli 80 euro di bonus discrezionalmente dato a chi la politica decide a cambiare il quadro: il punto è una generale discesa per tutti delle aliquote medie, mediane e marginali sul reddito di impresa e lavoro, a fronte di aumenti MENO CHE PROPORZIONALI di imposta su altro, con un saldo che pareggia con energici TAGLI DI SPESA.

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La carta che pensa

La Banca Passadore progetta e lancia la carta di credito che ha l’operatività di un conto corrente: anche una batteria al litio fra gli elementi vincenti

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banche

l’

hanno già battezzata “la carta di credito intelligente”: si tratta di un prodotto a oggi unico nel mondo bancario italiano, interamente progettato e sviluppato dal settore della Information Technology della Banca Passadore di Genova. Protagonista di una forte fase espansiva, in controtendenza per risultati nei confronti di gran parte del mondo bancario italiano, l’Istituto genovese che ha anche ampliato in modo decisivo il numero e la collocazione geografica dei suoi sportelli, rivolti in particolare al mondo dell’impresa e delle professioni - ha introdotto sul mercato italiano dei sistemi di pagamento la prima carta prepagata con il dispositivo di generazione della “one-time password” integrato sullo stesso supporto. La “CARTA CONTO Banca Passadore” è una carta prepagata ricaricabile con codice IBAN, abbinata al circuito internazionale MasterCard, che ha un’operatività simile al conto corrente a costi estremamente contenuti. Il titolare può usufruire delle funzionalità dispositive e informative del “Servizio IB – Internet Banking Banca Passadore” collegato, e dei servizi disponibili presso gli sportelli ATM abilitati. La caratteristica che pone tale strumento all’avanguardia

tecnologica nel mercato delle carte, anche a livello europeo, è la presenza all’interno della carta stessa di una batteria al litio e di un display lcd che consente, mediante la pressione di un punto della carta, la generazione della “one-time password” (OTP) per l’accesso ai servizi di Internet e mobile banking collegati. La “one-time password” generata dalla carta è inquadrata nel nuovo sistema di “autenticazione forte” multipiattaforma denominato “Passadore Key®”, introdotto dalla Banca lo scorso anno, il quale, unitamente all’impiego di microchip di ultima generazione, garantisce alla carta i più elevati standard di sicurezza tesi a ridurre i fenomeni di frode, clonazione e sottrazione delle credenziali. La CARTAConto, che per le sue caratteristiche è principalmente destinata alla clientela più giovane (per la quale sono infatti previste condizioni di utilizzo ulteriormente agevolate), consente un’operatività completa, gestibile esclusivamente on-line. In particolare: prelevamenti da sportelli ATM in Italia e all’estero, pagamenti POS, acquisti on-line, effettuazione bonifici e pagamento bollettini postali, ricezione bonifici e accredito stipendi, pagamento bollo auto e moto, ricarica telefoni cellulari, domiciliazione delle utenze, ecc.


Un metro sotto il cielo Roma e Milano gemellati nei destini delle due linee metropolitane. Nella capitale, la Linea C costerà tre volte il previsto ed è ancora “monca” della tratta Colosseo-San Pietro. In Lombardia, la Linea Blu viaggia ancora dalle parti di Linate

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I lavori del metro c si avvicinano ai fori imperiali

s

orpresa: scavando la nuova linea del metrò, non lontano dal Colosseo, sono stati trovati reperti archeologici. Chi l’avrebbe mai immaginato che sotto il tessuto urbano di Roma ci fosse Roma antica? Ma in fondo, la Linea C di Roma, progettata negli anni ’90 e oggi con 15 stazioni aperte sulle 30 previste e con il tratto ColosseoSan Pietro che, nella migliore delle ipotesi, richiederà decenni per essere ultimata, può assurgere a simbolo di un’attività italiana che - nella progettazione, nella costruzione e nella spesa per nuove metropolitane - rasenta sempre e comunque, spesso superandoli, i confini tra realtà e farsa. Non è solo Roma a fare scuola. Milano, che ha rinunciato alla costruzione della linea presentata come essenziale al Bureau des Expositions per Expo 2015, segue a ruota.

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infrastrutture

E che dire del metrò di Genova, progettato per una città che avrebbe risolto in maniera molto più semplice e meno costosa i suoi problemi di mobilità se in ballo non ci fosse stata la difesa dell’Azienda municipalizzata trasporti, e, perché no, quella di Ansaldo? Oppure del metrò di Napoli, che sarà anche il più bello d’Europa… Se funzionasse e fornisse ai cittadini partenopei un servizio adeguato! Ma torniamo alla Linea C di Roma, che avrebbe dovuto entrare in funzione in tempo per il Giubileo del 2000. I primi cantieri furono aperti solo nel 2007, i finanziamenti ovviamente arrivarono molto prima e, nel 2014, sono state aperte le prime 15 stazioni sulle 30 previste. Non senza problemi, visto che tre giorni prima dell’inaugurazione la metro C si è completamente allagata per via delle piogge e che il giorno

dell’inaugurazione c’è stato un guasto sulla linea. La Linea C viaggia con un ritardo di 3 anni e mezzo sulla tabella di marcia, e altre nove stazioni dovrebbero essere aperte solo entro il 2020. Delle altre sei non si parla… meglio così. Di costi si parla, eccome. L’intero metrò sarebbe dovuto costare 3 miliardi e 47 milioni e invece, quando ancora manca un tratto facile facile come quello fra il Colosseo e San Pietro, i costi sono già balzati a 3 miliardi e 739 milioni. Quando sarà completata, se sarà completata, la linea conquisterà gloriosamente il primato di linea più cara e più lenta del mondo, superando anche la già citata metropolitana genovese, costruita in vecchie gallerie esistenti e nonostante ciò con un costo chilometrico imbarazzante. Il suo record ha


trovato conferma in un dossier dell’Autorità Anticorruzione. A nulla è valso progettarla in un Anno Santo come il 1990. Oggi la nuova metropolitana fa zig-zag tra reperti archeologici, giganteschi bacini idrici di terme romane, inchieste della Corte dei Conti per danno erariale e inchieste della procura. L’opera, ultimata, potrebbe raggiungere non solo San Pietro, ma anche i 6 miliardi di costi per 25 km di percorso: 240 milioni a chilometro a fronte di costi medi in Europa che non superano i 120 milioni a chilometro. Anche sui tempi ci sarebbe qualcosa da obiettare: la nuova linea della metro di Madrid, chiamata MetroSur e lunga 40 km per 28 stazioni, è stata realizzata in soli 36 mesi. Si potrebbe dire che nulla è filato per il verso giusto, come testimoniano le 45 varianti: 33 delle quali, ha accertato l’authority, hanno dato un contributo alla lievitazione dei costi pari a quasi 316 milioni di euro. Per non parlare del contenzioso tra l’amministrazione comunale e Roma Metropolitane, società controllata al 100 per cento dal Comune. Come detto, anche Milano può dire la sua: negli anni ’90, realizzare un km di metropolitana a Milano costava 192 miliardi di lire, mentre ad Amburgo costava 45 miliardi, quattro volte di meno. Sono trascorsi cinquant’anni da quando, alle

Talpa scava nelle viscere di Roma

La linea blu milanese in ritardo

10.41 dell’1 novembre 1964, due convogli della linea 1 della metropolitana di Milano hanno fatto il loro viaggio inaugurale. La città festeggia i cinquant’anni di vita di quella che tutti i milanesi chiamano con affetto ‘la rossa’.

Ma l’occasione dell’Expo sarà solo nostalgia. I cinquant’anni della vecchia rossa, ma una M4 che avrebbe dovuto essere terminata per l’apertura dell’Esposizione, e che invece lo sarà, nella migliore delle ipotesi, nel 2022. Per realizzare 21 stazioni da Linate a San Cristoforo non sono stati sufficienti 15 anni. Il project finance da 1,7 miliardi – secondo molti – non sta più in piedi e i privati dovrebbero trovare rapidamente 500 milioni. M4 è la nuova linea metropolitana in costruzione, e dovrebbe attraversare Milano per circa 15 km da ovest ad est. Avrà 21 stazioni: San Cristoforo FS, Segneri, Gelsomini, Frattini, Tolstoi, WashingtonBolivar, Foppa, Parco Solari, S. Ambrogio, De Amicis, Vetra, S.Sofia, Sforza-Policlinico, San Babila, Tricolore, Dateo, Susa, Argonne, Forlanini FS, Quartiere Forlanini, Linate aeroporto. In fase di valutazione vi sono i prolungamenti verso Buccinasco e Pioltello, con un’ulteriore diramazione a est verso il nuovo quartiere Rogoredo-Santa Giulia e, successivamente, verso San Giuliano Milanese lungo la via Emilia. La chiusura dei cantieri dell’M4 era prevista per il 2018 ma domani è un altro giorno… Si vedrà.

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Primo: non fare Il nono Rapporto sui Costi del Non Fare rivela che, in carenza di un investimento in nuove opere che da quest’anno al 2030 dovrebbe ammontare a 185 miliardi, il Paese si troverà ad affrontare costi e oneri per oltre 800 miliardi di euro



Una delle tante linee ferroviarie “go-no-where” che costellano un’Italia delle grandi incompiute

p

er realizzarle saranno necessari 185 miliardi. Se non si faranno, la spesa a carico del sistema paese sarà di 808 miliardi. Il tutto nel periodo 2014-2030. Se lo Stato non imprimerà una netta accelerazione nella realizzazione di alcune necessarie infrastrutture, i cosiddetti “costi del non fare” - generati da mancati investimenti in opere come ponti, autostrade, ferrovie ma anche termovalorizzatori, depuratori e reti di telecomunicazione - il Paese pagherà un conto salato. La stima dei “costi del non fare” è contenuta nella nona edizione del rapporto elaborato ogni anno dall’omonimo Osservatorio, che sarà presentata questa mattina a Roma. L’anno scorso, la stima era stata superiore, pari a 893,4 miliardi di euro, e nel solo biennio 2012-2013 il conto che gli italiani hanno effettivamente dovuto pagare per i

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infrastrutture

ritardi infrastrutturali degli anni precedenti è stato pari a 82 miliardi di euro. Se si vogliono evitare in futuro conti così salati, servono importanti investimenti, pubblici o privati che siano, crisi o non crisi. Dalle analisi pubblicate nel Rapporto 2014, gli 808 miliardi di euro di costi del “non fare” sono la risultante di singoli settori considerati: per il settore energia è stato calcolato un costo di circa 70 miliardi, per quello dei rifiuti di oltre 4 miliardi. Per il settore autostradale i costi del non fare sono stimati in circa 75 miliardi, mentre per quello ferroviario in circa 114 miliardi. I costi del non fare per il settore della logistica sono stimati in circa 72 miliardi, per il settore idrico in 49 miliardi. Quello delle telecomunicazioni è il costo del non fare più alto, con i suoi 425 miliardi di euro. Secondo l’analisi dell’Osservatorio, al fine di evitare costi del non fare così alti è necessario


Fabbisogni infrastrutturali e costi del non fare (2014-2030)

alle infrastrutture. Magari favorendoli con agevolazioni fiscali degli investimenti nelle infrastrutture e con la detassazione dei fondi stessi.

Ed ecco il 9° Rapporto in pillole:

che gli investimenti siano concentrati in opere e interventi davvero prioritari, come quelli indispensabili per una maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili, il potenziamento della rete di trasmissione, una adeguata capacità di rigassificazione, termovalorizzazione, smaltimento rifiuti, sviluppo di infrastrutture logistiche e di trasporto di persone e merci, qualità e modernizzazione di reti idriche e impianti di depurazione, diffusione delle reti a banda ultra-larga e miglioramento dei servizi connessi. A fianco degli investimenti dovranno però essere attuate le norme per la riforma del Codice sugli Appalti, razionalizzando processi autorizzativi e realizzativi e definendo così iter standardizzati e chiaramente strutturati. Ma nessuna opera infrastrutturale può essere realizzata se non aumentandone il consenso delle

popolazioni, e sviluppando strumenti di maggior coinvolgimento come il dibattito pubblico. È indispensabile supportare politicamente e finanziariamente la partecipazione a progetti internazionali delle piccole e medie imprese, ma anche creare un mercato stabile e continuativo, anche dal punto di vista regolatorio, per favorire l’afflusso di capitali privati, anche internazionali. Per coprire il fabbisogno infrastrutturale sino al 2030, spiega il Rapporto 2014, saranno necessari investimenti per 185 miliardi di euro: in uno scenario come quello attuale di riduzione della spesa pubblica e dell’esposizione bancaria, sarà importante riuscire ad attirare le disponibilità finanziarie di nuovi soggetti investitori come fondi pensione e assicurazioni. Investitori che, in Italia, al contrario di altri Paesi, sono più propensi a titoli di Stato piuttosto che

- La mancata realizzazione delle opere prioritarie in Italia, nel periodo 2014-2030, potrebbe generare oltre 800 miliardi di € di CNF (Costi del Non Fare). - 124 miliardi di € nei settori ambiente ed energia, 260 miliardi di € nei trasporti e logistica e 425 miliardi di € nelle tlc. - Nell’energia, non realizzare 24.000 MW di impianti di generazione, 5.430 km di reti di trasmissione, 162 stazioni elettriche e di un rigassificatore da 8 G (m3) potrebbe generare CNF per quasi 70 miliardi di €. - La mancata realizzazione di circa 28 impianti di termovalorizzazione costerebbe al Paese oltre 4 miliardi di € in 17 anni. - 1.300 km di nuove autostrade e ampliamenti per evitare costi di oltre 84 miliardi di €. - Le sfide del settore delle ferrovie: linee ad Alta Velocità e convenzionali per velocizzare il Paese, facilitare i collegamenti, offrire maggiore qualità del servizio di trasporto e favorire il trasferimento modale delle merci. - 72 miliardi di € di costi della logistica senza l’utilizzo efficiente degli interporti e il rilancio della competitività dei porti. - Un adeguato piano di interventi prioritari per garantire la qualità e l’efficienza della risorsa e del servizio idrico. Tali interventi eviterebbero costi pari a 49 miliardi di €. - Banda Ultralarga prioritaria per il Paese: 425 miliardi di potenziali benefici. - Il mancato miglioramento delle performance delle infrastrutture mediante interventi di ammodernamento, efficientamento e upgrade tecnologico dell’esistente genera CNF pari a circa 18,5 miliardi di € al 2030. - Mercato globale delle infrastrutture: importanti scenari per le imprese italiane che devono guardare ai mercati internazionali per reperire risorse e sfruttare nuove opportunità di crescita. - Necessario favorire il PPP e il ricorso ai Project Bond. I nuovi soggetti - assicurazioni, fondi pensione, fondi sovrani, fondi infrastrutturali e di private equity - avranno un ruolo determinante nel finanziare le infrastrutture nei prossimi anni.

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A casa di Enrico moretti polegato

Foto di Marco Zanta

Si chiama Biocasa_82 l’abitazione dove Enrico Moretti Polegato, Presidente Diadora, abita con la famiglia. Una casa, realizzata da Welldom su progetto dell’Arch. Rosario Picciotto, che insegna un nuovo stile di vita. Sostenibile, sano, bello.

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’è un aspetto, dell’architettura bio, poco considerato. O, quantomeno, relegato in secondo piano, ben dopo la natura dei materiali e la questione del risparmio energetico. Stiamo parlando delle allergie, le stesse di cui il 30% della popolazione soffre e che vedono il “trionfo” di acari della polvere e polline. Con Welldom – azienda nata nel 2008 da un’idea di Giovanni Fabris e specializzata nella costruzione di case “sartoriali” dall’alto valore etico ed estetico, realizzate con materiali 100% naturali – l’aspetto viene invece preso in grande considerazione. E risolto, come nella bella proprietà che il presidente di Diadora Enrico

Moretti Polegato ha voluto a Montebelluna, vicino Treviso. Il sistema di rigenerazione dell’aria, con i suoi sensori integrati per la qualità interna (deputati al controllo di temperatura, umidità, CO2 e VOC), analizza l’aria dentro casa e la purifica da polveri, pollini, particelle di fuliggine, odori, batteri e germi, dando vita a una micro-ventilazione ad hoc per ciascuna stanza. Il sistema, gestito in domotica, comporta anche un recupero del calore messo in atto: l’energia non viene sprecata, e la sostenibilità dell’abitazione aumenta. È la filosofia della casa Welldom e, nello specifico, della BioCasa_82. Una casa bella e sana che, racconta Moretti Polegato


Nella pagina a sinistra: esterno della casa. Sopra: il baby bagno e particolari della zona living.

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insieme alla moglie Claudia “volevamo esprimesse coerenza tra i nostri valori e la responsabilità sociale nei confronti del territorio e delle generazioni future”. A curarne progetto architettonico e design degli interni, l’architetto Rosario Picciotto. Il risultato è un’abitazione valutata 117 punti su 136 secondo il protocollo americano LEED Platinum, e 10 punti su 11 per il parametro relativo all’innovazione nel design & engineering: siamo di fronte ai più alti livelli mai ottenuti in Europa. Questo grazie all’innovativo metodo di costruzione messo a punto da Welldom: aria interna sempre “nuova”, acustica ottimale e priva di inquinamento proveniente da macchinari o riverbero interno, illuminazione il più naturale possibile, nessuna presenza di gas radon, prodotti di sintesi, VOC, campi elettrici, magnetici o elettromagnetici nocivi. E, ancora, il 99% dei materiali

utilizzato è riciclabile, l’acqua piovana viene recuperata al 100%, l’impianto fotovoltaico produce circa 14kWh di energia elettrica e quello geotermico fornisce tutto il calore, l’acqua calda sanitaria e il raffrescamento di cui la famiglia ha bisogno. Anche la filosofia del km zero è stata impiegata: i materiali, tutti ecologici certificati, sono per lo più provenienti dal territorio, come il legno massiccio, la pietra di trachite/ Zovonite estratta dalle cave Zovon di Padova e utilizzata per i pavimenti, o i calcestruzzi Bigolino di Valdobbiadene. A dettare l’architettura della BioCasa_82, i vincoli paesaggistici della zona: da qui il tetto a falda e le finestre con gli scuri, tipici dell’edilizia agricola. Due volumi gemelli si incastrano l’uno dentro l’altro, con le quinte che, abbracciandoli, paiono portare il paesaggio dentro casa. Sebbene ci si trovi di fronte ad un’abitazione “di lusso”, non

vi è traccia di opulenza né alcuna logica di consumo. Il design è pulito, quasi minimale, fatto di pochi confini e con la scala bianca in legno come protagonista. La luce filtra dalle enormi vetrate, e persino nel piano interrato sono stati studiati grandi cavedi con piante per convogliarla. Architettura e arredamento giocano a confondersi, con il muro che diventa porta o armadio a parete. Tra materiali naturali e arredi su misura, fanno capolino classici del design: la cucina firmata Arclinea, la Lounge Chair di Vitra, gli imbottiti marchiati Moroso, la poltrona Calla di Modular. L’illuminazione artificiale, firmata Viabizzuno, è stata studiata con minuziosa attenzione, per tenere fede alla storicità degli spazi e alle loro destinazioni d’uso. Un’abitazione, quella firmata Welldom e Picciotto, che dimostra come un modo di vivere bio possa essere appagante anche per gli occhi.

Nella pagina a sinistra: la zona living, particolari dei giardini ipogei e la collezione di mucche Cow Parade. Sotto: immagini esterne della casa con particolare dei balconi in intonaco rasato a filo con la parete e particolare del vialetto esterno con illuminazione by Viabizzuno.

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di L.A.

Tra sogno e natura Il suo sogno da bambino, Gianluca Barbieri lo trasforma ogni giorno in realtà: costruire case sugli alberi, vere, realizzate secondo i criteri della bioedilizia

Quando avevo cinque anni, mio nonno mi costruì una piattaforma di legno su di un salice. Da lassù mi piaceva osservare il giardino della mia casa, con la campagna del Monferrato tutto attorno. Poi, un giorno, quella piattaforma si ruppe e io feci un volo di tre metri. Per fortuna non mi feci male”. Gianluca Barbieri (gb.bau984@gmail. com) - architetto classe 1984 che si divide tra l’Italia e l’Inghilterra – ricorda così il momento in cui nacque la sua più grande passione, quella per le case sugli alberi. Case che ora costruisce per lavoro, e che ha trasposto anche in un gioco per grandi e piccini. La sua GioCasetta, realizzata in legno di pero, permette di sviluppare oltre

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cento modelli di casine, regalando al gioco una dimensione architettonica. Noi lo incontriamo per parlare dell’osservatorio faunistico privato che ha costruito vicino a Padova, in collaborazione con TreeTopBuilder (www.treetopbuilder.net). “Non abbiamo utilizzato sostegni verticali aggiuntivi, ma abbiamo connesso tra due pioppi la struttura in legno lamellare tramite alcuni innesti sterilizzati, che gli alberi riconoscono come nuovi nodi”. La casetta, 25 metri quadrati comprensivi del terrazzo esterno, pesa 4 tonnellate ed è collocata a 7 metri d’altezza. Qui il concetto di bioedilizia è ben tradotto in opera. “Abbiamo utilizzato legno d’abete, e per l’isolamento interno abbiamo scelto

la lana di pecora riciclata, 100% naturale”. All’interno, solamente vernici all’acqua e nessun tipo di colla. Un impianto elettrico garantisce l’illuminazione interna ed esterna. “Vorrei tanto arrivare a costruire case autosufficienti sugli alberi, secondo i criteri della bioedilizia. Sarebbero perfette per privati, ma anche per parchi e strutture turistiche”. Un sogno che Gianluca lavora ogni giorno per realizzare, mosso da una passione per il legno che lo accompagna fin da quando, da bambino, suo nonno gli costruiva monopattini e giocattoli artigianali. “Per me la casa sull’albero rappresenta il rifugio ideale, un luogo dove sentirsi sicuri e protetti dal resto del mondo, dallo stress, dalle preoccupazioni


di ogni giorno. È il luogo perfetto per pensare, per riscoprire la bellezza di un vivere slow, per prendersi cura di se stessi”. Ma qual è il legno più adatto per costruirne una? “Difficile dirlo, perché ogni casa ha la sua storia ed esigenze progettuali completamente diverse. Credo però che il larice sia il legno migliore per quanto riguarda il rivestimento esterno, poiché si adatta bene alle intemperie e agli agenti atmosferici. Inoltre, è un ottimo isolante anche dal punto di vista delle radiazioni telefoniche, e non necessita di manutenzione”, racconta Gianluca. Che parla anche dei vantaggi di un’architettura di questo tipo in termini ambientali. “A livello di salute e

comfort, una casa in legno priva di vernici e colle ha sicuramente dei vantaggi in più rispetto ad una casa tradizionale in mattoni e piastrelle. Il legno è vivo, caldo, unico con le sue combinazioni di colori e venature. È un’opera d’arte che la natura ci regala, e che nessun altro materiale sarà mai davvero in grado di riprodurre. Certo, sarebbe l’ideale costruire con legno a km0, utilizzando legname raccolto nei boschi in prossimità del luogo di intervento. Il concetto di filiera corta è molto importante, perché controlla la deforestazione e abbatte le emissioni di CO2 dovute ai trasporti”. Gianluca, che vorrebbe costruire case sugli alberi sostenibili, che si alimentino

con pannelli fotovoltaici, pale eoliche e recupero delle acque piovane, è convinto che il loro impiego ideale sia nel settore turistico. “Sempre più spesso agriturismi e bed&breakfast offrono l’esperienza unica di dormire su un albero, in tutta sicurezza e con i comfort di una stanza classica. Ma anche i privati possono costruire il loro rifugio personale, realizzando magari quel sogno che li accompagna fin da quando erano bambini”. E il suo, di sogno? “Un pino marittino, con la sua casa sospesa. Una casa tutta di legno, arredata su misura con legname di recupero, un terrazzo e una parete vetrata con serramento scorrevole a tutta altezza. Una casa autosufficiente e in bioedilizia”.

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di Laura Alberti

ALLA SCOPERTA DELLA BIOEDILIZIA Un b&b pieno d’amore, un eco villaggio ricco di sperimentazione e un centro d’informazione: le mille sfaccettature della bioedilizia in un weekend tra Toscana e Liguria

GIORNO 1 Quando arrivo a Previdè, piccolo borgo vicino Pontremoli (MS), la sensazione è quella di essermi lasciata alla spalle il tempo e le ore. Mi colpisce da subito quell’immobilità da epoche passate. Il fascino delle sue viuzze. Il silenzio della natura. La gente che, dal cortile, ti sorride e ti accoglie. Destinazione, l’Eremo Gioioso. Un bed&breakast che, nel nome, racconta di due persone straordinarie, Marzia e Marco. Sono loro i suoi creatori. E sono loro ad avermi invitata per un weekend all’insegna del vivere bio. E così, tra le mani una tazza di caffè, diamo il via ad una “tavola rotonda” animata dalla personalità, bonariamente burbera, di Giuseppe Romiti, artigiano pontremolese che da anni si dedica al recupero di vecchi manufatti in pietra e tetti in piagne (www.pietradilunigiana. it). Le sue sono parole piene di passione, quella per un lavoro oggi poco considerato e troppo spesso poco apprezzato. Giuseppe, geometra di decennale esperienza, racconta dei suoi recuperi e delle sue ristrutturazioni in ottica conservativa. Racconta di quelle piagne, che altro non sono che lastre di pietra arenaria, che fin dal Medioevo venivano impiegate per coprire i tetti. Una tradizione che, accantonata in favore delle

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tegole in cotto, più economiche, andrebbe invece recuperata. Quantomeno nelle zone montane e nei centri storici, per ridare al territorio la sua identità. Ma anche una tecnica assolutamente funzionale, capace di difendere gli edifici dal caldo come dal freddo, se posata da maestranze esperte. Come è stato per la ristrutturazione dell’Eremo Gioioso. Sì, perché il b&b che mi ha ospitato è uno straordinario esempio di “limitazione dell’impronta ecologica”. Lo racconta Marco Leonardi: «Abbiamo scelto di utilizzare i prodotti che il nostro territorio offre. Prima di tutto impiegando le pietre che, in seguito al cedimento dell’edificio, si erano accatastate qui intorno, e integrandole poi con l’arenaria estratta dalla vicina Cava di Lanzola». Pietra che ritroviamo, oltre che nella copertura del tetto, anche nel piano di lavoro e nelle piastrelle della cucina (segata), e nei gradini della scala interna (a spacco). I pavimenti, ove possibile, sono in legno di castagno; dove questo era sconsigliato, sono state scelte le pianelle in cotto lavorate a mano in Italia, le stesse che si trovano nei casali della campagna toscana. Gli intonaci interni sono realizzati con un impasto a base di calce, che regala ambienti salubri grazie alla sua

capacità di controllo dell’umidità; solo nel locale deputato alla degustazione dei vini è stato utilizzato un composto di terra cruda e paglia, isolante e idro-regolante. Anche per il colore delle pareti, la scelta è stata tutta al naturale, senza l’impiego di sostanze sintetiche. Al di là dell’aspetto tecnico, quello che salta all’occhio o, meglio, quello che ogni parte del corpo avverte, è un senso di benessere difficilmente spiegabile. Un senso di calore, di intimità, di protezione. Inizio a capire perché Marco e sua moglie Marzia abbiano deciso di lasciare La Spezia per ricominciare qui. Qui dove non c’è radiosveglia, non ci sono code, non ci si danna per cercare un parcheggio. Qui dove la moda non esiste, dove il saggio anziano è l’amico che ogni bambino vorrebbe. «Andare a vivere a Previdè ha rappresentato un cambiamento radicale nel nostro modo di vivere. In questo piccolo e antico borgo in pietra, con il fascino mistico della Via Francigena che lo attraversa, l’ambiente è rimasto incontaminato. Gli abitanti, solo una decina, si salutano ogni giorno, si scambiano piccoli favori e, non di rado, si ritrovano allegri commensali allo stesso tavolo. Abbandonando la vita in città è come se ci


fossimo spogliati. È come se i nostri corpi, privati degli stimoli e dei condizionamenti cui erano sottoposti, avessero lasciato la nostra interiorità libera di manifestarsi. La gioia di svegliarci al canto del gallo - “ la sveglia naturale”, come definita da un giovanissimo e arguto ospite dell’Eremo Gioioso –, gli scambi di confidenze, di sensazioni e di emozioni si intrecciano a passeggiate tra i sentieri, i piccoli borghi e i boschi di castagni. Avevamo dimenticato, o forse non avevamo mai osservato, la grazia del corteggiamento che un maschio di farfalla mette in scena per conquistare la sua femmina. O l’armonia di una siepe i cui fiori, a detta di un istruito muratore, rispettano diligentemente la regola aurea del Fibonacci. O la solidità del ponte romano di Groppodalosio, che da secoli resiste alle piene del Magra che hanno avuto la meglio su altri più recenti manufatti. O le incontaminate acque del laghetto Palino, quasi una piscina naturale che in estate si riempie delle risate di un manipolo di bambini liberi e spensierati. E poi c’è la condivisione di una cultura che antepone la cooperazione alla competizione. I raccolti degli orti, sottratti alla logica mercantile

dello scambio, qui entrano in quella di un dono fatto col sorriso. Chi va in città ha spesso cura di avvertire gli altri mettendosi a loro disposizione, se necessario: il giornale, il pane fresco, le medicine per la Piera, l’arzilla quasi centenaria che, non di rado, impasta tagliatelle per l’intero borgo». Sembra un po’ una fiaba, quella che racconta Marco. Una fiaba dove, al posto del castello, c’è un bed&breakfast che racconta di una famiglia felice. Di vivere la sua vita, di accogliere i suoi ospiti, di farli sentire parte di quel nucleo pieno d’amore, fosse solo per qualche giorno. Una famiglia capace di cogliere l’attimo, di iniziare un’avventura «che non è un progetto compiuto e perseguito con lucida intelligenza. Che è frutto di sensazioni, più che di lucida razionalità - racconta Marco. Quella casa semidiroccata, in un contesto che, nella sua essenziale eleganza, aveva attraversato i secoli, chiedeva di essere rispettata. È nata così la decisione di dar vita a un’architettura sostenibile, che non offendesse il passato di quelle mura». Marco, che si definisce un “curioso ignorante”, in realtà ha in sé la saggezza paterna di chi ha trovato la sua dimensione. Una dimensione fatta di riscoperte, di nuovi traguardi e di

conquiste. Di giorni da condividere con la dolce moglie. Libero di raccontare le sue emozioni, ha una personale idea di cosa sia la felicità: «La felicità c’è stata, talvolta c’è, talvolta si è trasformata in gioia, come quando da un rigattiere trovavamo proprio l’oggetto che stavamo cercando. Ma, spesso, siamo “parassiti” della felicità altrui. Come è stato per la coppia di pellegrini, lui spagnolo lei belga, che, conosciutisi a Fidenza il giorno prima, sono venuti all’Eremo per trascorrere un paio di giorni. Eravamo felici nel guardarli, nel vedere le attenzioni che, reciprocamente, si prestavano. Nel cogliere uno stato in cui la carnalità era complemento, non essenza. Nel quotidiano, però, la felicità lascia il posto a una più temperata serenità. Un sottile piacere che ci accompagna lungo tutta la giornata. E poi c’è l’orgoglio, quello sì. Siamo orgogliosi. Orgogliosi del fatto che, finora, ogni nostro ospite si è dichiarato pienamente soddisfatto dell’accoglienza ricevuta e che quasi tutti, anche grazie ai social, continuano ad essere in contatto con noi. Da giovani avevamo sognato di girare il mondo. Da meno giovani abbiamo cercato di fare in modo che il mondo passasse dalle nostre parti».

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GIORNO 2 “A 27 anni, lavoravo già da 13. Ero pronto per mettere in atto un cambiamento nella mia vita”. Parla così Gaetano Testini, tra i fondatori del Villaggio Ecologico di Granara. Un pugno di case alimentate da impianti solari-termici (auto-costruiti con cassette di legno e rame) e fotovoltaici, abitate da persone tra le più diverse. Gente che ha scelto di vivere nella natura 365 giorni l’anno, ma anche professionisti che, nel weekend, si lasciano alle spalle il caos cittadino a favore di una vita semplice e genuini. Tutt’intorno, vitelli, mucche e un campo di grano. L’obiettivo è la realizzazione di un centro di tecnologie appropriate, mentre il modello è un centro tedesco che, tra visite guidate, produzioni energetiche e lavori di giardinaggio e pascolo vive una sorta di autosufficienza energetica, lavorativa e di socialità. Da lì, si sono sviluppate attività corollarie come il Festival del Teatro (uno dei più riusciti in Italia), anche se sul fronte dell’agricoltura e della socialità Granara ha ancora da lavorare. Quasi nessuno vive e lavora nel villaggio; l’unico stanziale è Giovanni, che vive a casa di Gaetano e si occupa degli animali. “L’incontro tra la bioarchitettura sperimentale e persone che hanno un’idea dell’edilizia

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fatta di ricerca e di sperimentazione può portare a grandi risultati. Non sopporto l’idea di vivere compresso in una casa artificiale, occlusa, come quelle costruite per secoli dall’edilizia tradizionale”: così Gaetano racconta la sua scelta. Sì perché il principio della bioedilizia è quello di avere una casa “che respira”. Che ti fa stare bene. “Non vedo l’ora che Granara diventi ciò che ho sempre sognato. Vorrei venire qui tutte le mattine con mia figlia, fare qualche micro lavoretto per guadagnarmi da vivere”. La prima opera di bioarchitettura all’interno del villaggio è frutto di un seminario; si tratta di un forno in terra cruda e paglia, con l’interno in sabbia. Poco lontano, la casa pilota realizzata con alcuni ragazzi impegnati nella stesura della tesi di Architettura è un edificio semplice e accogliente. Gli interni hanno visto l’impiego di vecchi bancali, recuperati e riempiti di paglia, poi supportati da diversi strati di paglia e terra. La vera sfida era quella di ottenere un finito raffinato ed esteticamente apprezzabile. Un finito che, all’esterno, prevede un rivestimento in cera. Auto-refrigerante e auto-riscaldante, la casa è totalmente auto costruita e sfrutta le molteplici possibilità della terra. Solo i pannelli di coibentazione, in

paglia e cemento, sono stati acquistati. Anche se, più della coibentazione, in un ambiente in terra e paglia, o comunque in un ambiente realizzato con materiali naturali, è la gestione dell’umidità ad essere fondamentale. E se un giorno la casa dovesse essere demolita, può essere riposta nel terreno senza alcun problema. E chissà, magari da lì potrebbe nascere un albero. O un fiore. Una seconda casa pilota, con pannelli fotovoltaici, vanta diverse tecniche costruttive: due pareti sono realizzate con balle di paglia compressa e poi intonacata, una è realizzata con le cinghie e una con i casseri. Tutta la parte esposta a sud è stata realizzata in mattoni crudi. Perché “tante sono le modalità di costruzione in bioedilizia. Un muretto, ad esempio, lo si può realizzare con dei casseri, pezzi di legno incastrati e tenuti insieme dalla terra, che fa da collante. Oppure c’è la canapa, e ci sono i mattoni crudi. La terra ha un solo svantaggio: pesa” spiega Gaetano. Nell’eco villaggio di Granara, oltre alle case abitate e a quelle campione, trovano posto anche un ostello, una sorta di teatro per gli eventi e un’aerea all’aperto per i pranzi e le cene in compagnia. C’è persino spazio per l’arte. “Fuori” è un’opera di Eva Marisaldi, ma è anche il più piccolo


museo di arte contemporanea al mondo. “Penso ai frutti fuori stagione, al lavorare fuori orario, alla voce fuori campo”, dice l’artista. Fuori, come Granara. Fuori dal mondo, e proprio per questo così dentro. (Per maggiori informazioni: www.granara.org). Ultima tappa del mio viaggio alla scoperta della bioedilizia, il centro permanente di bioarchitettura e bioedilizia di La Spezia (www.progettocasabioecologica.it). È il “regno” dell’architetto Viviana Deruto. Un regno costruito con fatica, tanta, e passione, ancor di più. “Tutto nasce dall’esigenza di fornire un punto di consulenza ed educazione all’utilizzo di materiali e impianti bioedili. Perché, seppure le persone oggi siano sempre più attente al risparmio energetico e alla qualità dei materiali sia in caso di ristrutturazioni che di nuove costruzioni, spesso le informazioni che ottengono sono inadeguate. Solo recentemente i materiali bioedili sono stati oggetto di una certificazione corretta e valida a livello internazionale”. Quello di La Spezia è stato quindi pensato come un punto di incontro e sinergia fra tecnici, aziende e committenti. Un luogo in grado di rispondere alle diverse esigenze per un’edilizia sana e consapevole

che presti attenzione alla qualità e alla naturalità dei prodotti, per regalare alla nostra salute un reale vantaggio, “dalla terra al tetto, dal progetto all’individuo”. Ma quali sono i materiali impiegati in bioedilizia da cui possiamo trarre beneficio? “Le ricerche che ho condotto sino ad oggi hanno dimostrato che la scelta dei materiali da costruzione e per l’arredamento influisce sul comfort percepito all’interno di uno spazio; questi innescano infatti reazioni biofisiche che, talvolta, possono essere concausa di patologie più o meno gravi”, spiega l’architetto Deruto. “I materiali naturali, quelli costituiti da sole materie prime di origine vegetale o animale, permettono di costruire ambienti indoor privi di sostanze nocive e sono capaci, con le loro caratteristiche, di regalarci una sensazione di benessere non solo termoigometrico, ma anche psicofisico”. Un benessere che sarebbe importante ottenere, ma che troppo spesso è ostacolato dalla confusione che ancora oggi regna tra tecnici e utenti. “I suffissi eco e bio sono abusati. Eco può significare anche solo che è stato impiegato un sistema di produzione corretto, ma non garantisce la naturalità del prodotto; bio, invece, deve essere utilizzato solamente per i prodotti

cosiddetti a ciclo chiuso, ovvero sia quelli che non sono di derivazione petrolchimica e che, dalla produzione allo smaltimento, non hanno sprechi d’energia né immissioni di sostanze nocive nell’ambiente”. Da circa un anno è attiva la certificazione Natureplus che, grazie al rigido protocollo adottato, identifica i materiali bioedili; tuttavia, anche quelli che non sono ancora certificati possono essere riconosciuti attraverso le schede tecniche che li accompagnano. Siamo parlando di prodotti che rispettano a pieno i principi della bioedilizia, la cui scheda tecnica – per i prodotti bio - denuncia tutti i componenti presenti mentre, se non è completa, significa che siamo di fronte ad un materiale non naturale. Ma come educare quindi professionisti e persone comuni a un nuovo modo di concepire l’architettura? “È necessaria una corretta informazione, con convegni, conferenze e seminari aperti a tutti. Il linguaggio deve essere comprensibile a tutti, non solo agli addetti ai lavori. E, inoltre, bisogna incoraggiare una corretta certificazione dei materiali che ne identifichi immediatamente componenti, qualità e campi d’applicazione”. www.eremogioioso.it

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Idee per una casa green

Per regalare ai propri ambienti un’anima sostenibile Incastro

QUITO Privo di parti in metallo e non trattato chimicamente. Ecologico e completamente naturale. È Quito, il tavolino da caffè che diventa una pratica seduta per l’ospite dell’ultimo minuto. Smontabile, impilabile, componibile, ribaltabile e facilmente trasportabile, non essendo verniciato può essere personalizzato a piacere e, se accostato ad altri, può diventare persino una panca o un’isola portaoggetti. Economico (il prezzo al pubblico è di 60 euro), Quito è un prodotto di Incastro, brand che ha fatto della modularità il suo elemento distintivo, e che unisce allo studio approfondito del design un originale riferimento all’iconografia Inca. www.incastro.net

Woodlight

Albodesign

ARGO

SOFFIETTO

Si chiama Argo il portariviste in betulla e multistrato flessibile, disponibile nelle varianti grigio, bianco, rosso, verde, carta da zucchero e tortora. Come tutti gli altri prodotti dell’azienda pugliese, Argo nasce da una convinta interpretazione dell’eco design: i materiali sono ecologici fin dalla nascita, gli oggetti sono pensati per durare nel tempo e “fare compagnia”, la smontabilità e il trasporto devono essere logici. Design e artigianato si uniscono in un mix di semplicità e umiltà, che mette in risalto la materia e la sua qualità.

Soffietto è una cappa dal design pulito e il cuore tecnologico, disegnata da Gianluca Calderoni e Flavio Crepaldi di Albodesign. L’obiettivo? Migliorare la qualità della vita attraverso un oggetto di uso comune. Soffietto è infatti la prima cappa domestica che monta il sistema di produzione di Ozono-Ossigeno Attivo Oz-One, sviluppato insieme a ingegneri e tecnici con esperienza decennale nel settore delle macchine produttrici di ozono. Gli odori di natura organica vengono eliminati (fino al 70%) e l’aria dell’ambiente sanificata, grazie all’abbattimento della carica microbica e batterica. Soffietto ha struttura metallica trattata e verniciata, filtro removibile e luci a LED, ma c’è anche la versione in materiale plastico resistente a calore e vapore.

Argo è in vendita a 159 euro su shopdesignitalia.com.

www.albodesign.it

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design eco


Big Design

PULSE LAMP & PLATONIC SERIES “Think outside the box”: è il motto di Luca Bignardi, alias Big Design. Le sue Pulse Lamp nascono dal riutilizzo di bottiglie e caraffe che, estraniate dal loro tradizionale contesto, assumono una luce tutta nuova. All’interno del corpo, in vetro riciclato, trova posto un cavo elettrico colorato e arrotolato che culmina in una lampadina a basso consumo. Vetri di scarto, tagliati e saldati pazientemente, sono invece alla base della collezione Platonic Series. A caratterizzare le sue lampade è la struttura in tondini di ferro saldata a formare poliedri regolari, che Platone associava all’aria (ottaedro), al ferro (icosaedro), alla terra (esaedro) e al fuoco (tetraedro). www.bigdesignstudio.it

IMPRONTABARRE

Stickstyle

COME UN VULCANO

CACTUS LAMP

L’effetto è quello di un’eruzione vulcanica, con il rosso del magma liquido che si fa strada tra le fiamme e che scorre fino a quando, raffreddandosi, diventa pietra grigia e nera. Tutt’intorno, esalazioni sulfuree e profumo di zagara. Nasce da questa suggestione il nuovo rivestimento, naturale e riciclabile, realizzato con pietra lavica (o Basalto) estratta in Sicilia, alla pendici dell’Etna, e firmato da Andrea Branciforti di Improntabarre. Resistente e capace di mantenere inalterate le proprie caratteristiche anche quando sottoposto ad alte temperature, il materiale 100% made in Sicilia dà vita a suggestive mattonelle che hanno in sé la forza della natura.

Nata da un’idea di Rossano Capello di Stickstyle, realtà italiana celebre per i suoi stickers d’arredo, la Cactus Lamp è frutto di una scommessa fatta con un idraulico in un cantiere edile. La sfida? Regalare una nuova vita ai tubi in plastica che raccolgono le acque di scarico dei wc. Il risultato è una lampada che pare un cactus, grazie alla vernice ad acqua color verde brillante. Una lampada da terra leggera e a geometria variabile, con tre fonti luminose a basso consumo e la possibilità di regolarne a piacimento l’intensità. Prodotta artigianalmente da Capello, la Cactus Lamp è un “giocattolo” che fa bene all’ambiente, e che può essere prodotto su richiesta a un prezzo indicativo di 500,00 euro.

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ECO beauty la bellezza che fa bene all’ambiente e non solo

ZECA Stick dopobarba all’allume di rocca, sale minerale dalle proprietà antisettiche, capace di rinfrescare e tonificare la pelle. Le sue proprietà emostatiche favoriscono la cicatrizzazione dei piccoli tagli. Euro 4.90 www.zacashop.it

DAVINEs Burro restitutivo per viso, corpo e capelli, con ingredienti al 98% di origine naturale e arricchito con olio di jojoba, olio di sesamo e burro di karité bio. Euro 25.10 www.davines.com

AVEDA Crema lisciante per capelli Smooth Infusion Naturally Straight con bergamotto, palmarosa, rosa turca e legno di sandalo australiano, acquistato secondo i criteri di un’agricoltura sostenibile e di un equo compenso ai lavoratori indigeni. Euro 28 www.aveda.it COMFORT ZONE La crema notte anti-età, con principi attivi naturali e biologici, contiene estratto di acanto selvatico, olio di buriti, burro di karité, acqua distillata di arancio ed estratto di arbusto delle farfalle. www.comfortzone.it

KALLEIS Bagno schiuma agli oli essenziali con eucalipto, menta, timo e pino, e shampoo fortificante anti-caduta alle staminali vegetali, polifenoli da uva e caffeina. www.kalleis.com

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DIFA COOPER Le Endocare Tensage Ampolle contengono SCA, la più potente fonte naturale di rigenerazione cutanea ricavata dalla secrezione ghiandolare della lumaca Cryptomphalus Aspersa. Euro 52.43 (10 fiale) www.difacooper.com

bioline jatÓ Il siero per viso, collo e décolleté, grazie alla vitamina C della rosa canina e all’artemisia, protegge la pelle dagli agenti esterni e la idrata, bilanciando le vitamine essenziali. www.bioline-jato.com

NUXE La crema correttiva rughe consolidante Merveillance Expert Jour agisce sulla vimentina, proteina chiave dell’invecchiamento, grazie a molecole estratte dalla Bella di Giorno. Euro 42 it.nuxe.com


bellezza sicura Intervista ad Alessio Musti, fondatore insieme ad Antonella Chiechi di Verdesativa, azienda leader nel campo della Cosmesi Naturale

c

osa si intende, esattamente, per Cosmesi Controllata Naturale? “La cosmetica naturale ha come obiettivo il trattamento del corpo umano attraverso i principi attivi della natura, e quindi l’utilizzo di materie prime salutari per la pelle e per l’ambiente. I prodotti con il marchio “cosmetica naturale controllata” stimolano l’armonizzazione di corpo, anima e spirito grazie ai loro componenti: oli essenziali e vegetali, grassi, estratti d’erbe, acque profumate, aromi ricavati da una raccolta selvatica o da una coltivazione biologica controllata. Le materie prime vegetali si accompagnano a un processo di lavorazione a basso impatto ambientale, alla miglior degradabilità possibile dei principi attivi e all’utilizzo di packaging riciclabili”. Quali sono le proprietà della Canapa Sativa?
“I suoi semi sono ricchi di proteine e di antiossidanti naturali come la vitamina E, e contengono tutti gli otto aminoacidi essenziali, la lecitina e sali minerali importanti come calcio, fosforo e potassio. I prodotti derivati dal seme sono utili per il ricambio delle proteine nel corpo umano e per il rafforzamento del sistema immunitario. L’olio di canapa contiene circa il 75% di grassi polinsaturi essenziali come l’acido linoleico, che favorisce il ricambio cellulare, e contiene dal 2 al 4% di GLA, che contribuisce al mantenimento del sistema ormonale e al ricambio dei lipidi. L’olio, ottenuto dalla spremitura dei semi, è impiegato come integratore alimentare o nella cosmesi, grazie alle sue proprietà emollienti che aiutano a proteggere la pelle da arrossamenti, irritazioni e infiammazioni,

Da sinistra: Tonico Viso rivitalizzante e lenitivo con puri oli vegetali e oli essenziali, prodotto vegano naturale e certificato; Crema Viso Lifting con olio di canapa sativa e avocado, estratto di lievito e rosa centifolia. L’olio di sesamo e di riso, e la ceratonia siliqua, hanno proprietà antiossidanti e anti-age

dalla disidratazione e dagli agenti atmosferici esterni. La sua fluidità gli permette inoltre di penetrare molto facilmente, il che lo rende perfetto per i trattamenti anti-aging per pelli secche e senescenti”. Come vengono impiegati e quali sono i vantaggi dell’utilizzo degli estratti naturali di fiori e piante?
“Le piante officinali raggruppano le piante medicinali, aromatiche e da profumo. Le prime, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, comprendono ogni vegetale che contenga, in uno o più organi, sostanze utilizzabili a fini terapeutici o precursori di emisintesi chemio-farmaceutiche. Le piante aromatiche da essenze, invece, per i loro particolari principi attivi sono utilizzate per rendere più appetibili i cibi, per aromatizzare i liquori e per comporre prodotti cosmetici. I principi attivi contenuti nelle erbe medicinali possono essere di varia natura, e appartenere a diverse classi: alcaloidi, eterosidi, gomme,

mucillagini, tannini, enzimi, vitamine. Oli essenziali, resine, balsami e gommoresine, prodotti dalle piante per attrarre gli insetti o per respingere i predatori, sono invece ricavati dalla piante aromatiche. Noi evitiamo di utilizzare i profumi di sintesi, poiché non naturali”. Quali sono i tre prodotti di punta del vostro catalogo?
“Sicuramente la crema viso Biocomplex, la crema Lifting e la crema mani”. Cosa suggerisce a chi, per la prima volta, vuole acquistare un prodotto cosmetico che rispetti l’ambiente e gli animali?
“Rivolgetevi ad aziende serie e soprattutto certificate. Verdesativa è stata la prima azienda italiana di cosmesi ad essere certificata dalla Vegan Society. Inoltre, i nostri prodotti sono conformi ai dettami della Leal e di Viver Vegan e i cosmetici, oltre ad essere cruelty-free, sono anche biodegradabili. Infine, le formulazioni sono totalmente prive di ingredienti di origine animale”.

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sperimentazioni green

Materiali eco-sostenibili diventano imperdibili accessori fashion Testaccio

Eco-friendly su misura Made in Testaccio nasce da un’amicizia quella tra Gloria (scenografa), Francesca (imprenditrice del ramo tessile) e Francesca (esperta di comunicazione) – e da una filosofia, quella del rallentare, della responsabilità etica e della sostenibilità. Le tradizioni vengono recuperate, così come la creazione sartoriale che mette al centro il cliente. Ecco quindi che le maniche di un vecchio cappotto diventano un cappello, la balza di una gonna il cuore di una tovaglia natalizia. Nella foto: il grembiule di riciclo Grembiule Shirt, della collezione MIT FOOD, nasce dall’esigenza di cucinare con creatività (euro 28)

Byludo

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C’era una volta un pc… Ecologia e tecnologia si abbracciano nei bijoux e negli accessori che Ludovica Cirillo crea con il brand byLUDO. Vecchi auricolari, mouse, spinotti e tasti del pc vengono salvati dalla discarica e trasformati in gioielli ironici e glamour, per chi ama vestirsi alla moda, con un occhio all’ambiente. Amata dal mondo della moda e dello spettacolo (tra i

suoi ammiratori anche Paolo Nutini e Anna Fendi), Lodovica ha attirato l’attenzione della stampa nazionale ed è stata premiata dalla RIBA Royal Institute of British Architects per il progetto di restauro di un camper con materiale di riuso. Nella foto: clutch Tokyo (euro 750 + IVA), con catena in metallo dorato e interno in pelle.

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Gioielli d’erba Dall’unione di gioielli e piante nascono le tre collezioni JewelryGreen. Gioielli vivi, che paiono raccolti dalla natura. Gioielli che Celia Stincheddu (con la collaborazione della designer Giulietta Piccioli e del maestro orafo Marco Meli) crea utilizzando muschio, argento e bronzo. Gioielli da curare con un poco d’acqua piovana, proprio per la vita che custodiscono. Nella foto: della collezione Uterus, l’anello con muschio si “innaffia” con l’Acqua Piovana 100% in dotazione (euro 193).

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la carta si fa scarpa Una scarpa fatta con la carta? Oggi è realtà. Fondato dal creativo Mirko Paladino, esperto di processi di produzione industriale, CARTINA® è un brand di scarpe in carta riciclata che ben risponde al concetto di eco-fashion. Modelli insieme lussuosi ed ecosostenibili, progettati e realizzati interamente in Italia e personalizzabili: con CARTINA® chiunque può scrivere o disegnare la propria scarpa! Scarpe leggere e comode, ma anche morbide, impermeabili, resistenti e, soprattutto, dall’animo green.

Progetto Quid

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www.frank-frank.it

giacimenti urbani Dai fogli in caucciù utilizzati nelle tipografie, e destinati a finire in discarica dopo innumerevoli passaggi nelle rotative, nascono le borse F&F. Borse fatte di una materia inaspettata e indistruttibile, parte di quei giacimenti urbani che sono le nuove risorse delle nostre metropoli. Attori della trasformazione, i due designer

di Frank&Frank, alias Marcella Molinini e Roberto De Gregorio, che si avventurano dalle periferie al centro della città vivendole come punti di connessione, come spazi che si aprono, come prospettive urbane che cambiano. E proprio le loro borse diventano specchio di questo continuo cambiamento.

I migliori tessuti made in Italy vengono recuperati localmente e lavorati da donne dal passato fragile, con storie di violenza o invalidità alle spalle: nascono così i capi di Progetto QUID, creato nel 2012 come Associazione di Promozione Sociale. Obiettivo, reinserire nel mondo del lavoro donne in difficoltà, chiamate a trasformare in abiti, unici e rigorosamente artigianali, stoffe di fine produzione altrimenti inutilizzate. Nella foto: outfit A/I 2015 composto da abito smanicato asimmetrico con collo a cappuccio, in cotone e denim (euro 69.90), e capospalla con tasche sul davanti e paramontura in denim (euro 109.90)

www.progettoquid.it

moda eco

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ECO FASHION

di L.A.

Capi e accessori per fashioniste dall’anima green

BOLD B ORDER LINE DESIGN Coordinato realizzato a mano con giacche vintage, composto da borsa unisex, cover iPad e iPhone, porta mini-tablet e beauty milleusi. I prodotti BOLD B ORDER LINE DESIGN sono lavorati artigianalmente, made in Italy ed esclusivi. Prezzi a partire da 49 euro per le cover e da 239 euro per le borse www.b-old.it

EXKITE Vecchie vele da kitesurf, con la loro storia personale e la loro unicità, diventano giacche e gilet per uomini, donne e bambini. Il progetto nasce da un’idea dell’atleta di kitesurf Renzo Mancini e della sua compagna, la stilista norvegese Eirinn Skrede. Euro 360 www.exkite.it

REISENTHEL Umbrashopper è una shopper realizzata con pezzi di pelle riciclata, caucciù, oli naturali e grassi. Disponibile in diverse varianti e resistente all’acqua, può essere utilizzata anche come pratico contenitore per la casa. Euro 34.90 www.reisenthel.com

save the duck Imbottitura ecologica, colori accesi e linee trendy: sono gli ingredienti dei piumini Save the Duck. “Tascabili” e in nylon ultrasottile, si distinguono per l’imbottitura PLUMTECH: non utilizzando piuma d’oca, gli animali vengono rispettati e il comfort mantenuto. In foto: Mila, giubbino reversibile e trapuntato con cappuccio www.savetheduck.it

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moda eco

feb31st Gli occhiali da vista e da sole FEB31st, sotto la direzione creativa di Valerio Cometti, coniugano la passione per la lavorazione del legno alle nuove tendenze. Occhiali unici e personalizzati, grazie alla possibilità di incidere con il laser una cifra, un nome o un logo. In foto, il modello Ara Wide. Euro 400 ca www.feb31st .it

CHIARA LA ASCURA Vegan, t-shirt biologica in cotone organico e PET riciclato da vecchie bottiglie di plastica. Come tutti i prodotti del brand, le magliette sono realizzate utilizzando energia eolica/solare senza spreco d’acqua. La serigrafia, artigianale, utilizza inchiostri eco-friendly. Euro 23 www.chiaralascura.com


recipe for single

di Anna Fracassi

noodles con verdure croccanti, lonza di maiale e zenzero

Come in questo piatto di noodles, di ispirazione orientale. Per prima cosa ho messo a bollire 90 grammi di spaghetti (normali, integrali, di kamut, di riso: scegliete i vostri preferiti) in abbondante acqua salata. Nel frattempo ho preparato le verdure: 1 cipollotto tagliato a rondelle nella parte bianca e a julienne nella foglia, 1/2 spicchio d’aglio (tanto siamo a casa da soli, suvvia), una manciata di germogli di soia (opzionali), 1 peperoncino verde dolce a rondelle, 1 cm di radice di zenzero tagliata a bastoncini, 1 peperoncino rosso piccante sminuzzato (se piace), una decina di funghi chiodini e un pizzico di pepe. Potete aggiungere una manciata di carote alla julienne, 1/2 zucchina o 1/2 peperone a listelli (sì, è anche una ricetta svuotafrigo). Ho cotto per 10 minuti con poco olio di semi nel wok, sfumando un paio di volte con poca acqua. Contemporaneamente ho cotto 2 fettine di lonza tagliate a strisce sottili in una pentola antiaderente senza condimento. Ho lasciato colorare la carne e l’ho aggiunta alle verdure. Ho scolato gli spaghetti al dente e li ho mescolati nel wok, ho aggiunto un altro cucchiaio di olio di semi, una manciata di semi di sesamo e 2 cucchiai di salsa di soia (se volete dare un tocco asian). Ho saltato altri 5/7 minuti, fino a rendere tutto croccante e colorato, ho decorato con prezzemolo fresco e ho servito in una scodella da gustare con le bacchette davanti alla mia serie tv preferita.

Anna Fracassi

Art director e foodphotographer, cucina per amore, della buona tavola e del suo piemontesissimo compagno, foodie di seconda generazione e buona forchetta. Nel 2011 nasce l’Ennesimo Blog di Cucina, un blog ironico e irriverente, ma che sa che il buon cibo è una cosa seria. Ogni giorno Anna scopre sapori e abbinamenti nuovi, li fotografa sul tavolo della sua “cucina con angolo soggiorno” e li condivide in rete (www.lennesimoblogdicucina.com).

single

viewpoint

Single per scelta o per lavoro, single rassegnati, di passaggio o a tempo determinato. Non fa differenza, la domanda che riecheggia nelle cucine è sempre la stessa: cosa mi preparo? Perché, diciamoci la verità, non si ha sempre voglia di cucinare solo per se stessi. La scatoletta di tonno, pratica e veloce, è dietro l’angolo, e ci osserva con sguardo adescatore. Gli alimenti monoporzione nei supermercati sono difficili da trovare e proporzionalmente più cari. Il pasto fuori è praticabile, certo, ma non per tutti i giorni, per tutte le tasche e neppure per tutti gli stomachi. E se anche venisse voglia di cimentarsi in una ricetta più elaborata di una frittata al prosciutto, c’è sempre l’insormontabile scoglio delle dosi che genera il problema collaterale degli avanzi e degli sprechi. La granitica scritta “dosi per 4 persone” ci scoraggia nuovamente, e la scatoletta di tonno ridacchia soddisfatta. La ricetta perfetta per la cena di un single deve essere semplice e veloce, ma non per questo poco sana o priva di gusto. Praticità, comfort e salute, insomma. I migliori amici delle mie cene da single erano il piatto unico e il wok, ideali per unire carboidrati e proteine in un unico “salto in padella”, arricchito da tanta verdura di stagione.

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TUTTI PER UNO

di L.A.

perchè single è bello!

FALCON Pie Set composto da 5 pezzi nella variante bianca con bordini grigi, ideale per cucinare monoporzioni al forno. www.falconenamelware.com SCANDOLA MARMI Maya, design Manuel Barbieri, è un set da bagno dalle dimensioni ridotte, composto da porta sapone liquido, porta saponetta e porta spazzolino, disponibile in Marmo Bianco Carrara, Nero Marquina e Grigio Oriente. www.scandolamarmi.it PEDRALI Ikon è un coffee table per indoor e outdoor in polipropilene stampato a iniezione, perfetto per gustarsi un caffè in solitaria. www.pedrali.it

MESSAGGI DA INDOSSARE Irriverente e provocatoria la pochette da giacca in feltro con la scritta “prova a prendermi”. Euro 25 www.messaggidaindossare.it

GUZZINI La macchina da caffè Single della linea G-Plus, design Hiroshi Ono, è studiata per occupare poco spazio e disponibile anche nelle varianti crema, bianco, nero e acciaio. Da euro 109 www.fratelliguzzini.it

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design da single

SMEG Cosa c’è di più pratico di un toast per cena? TSF01CREU, qui nella versione panna, oltre a cuocere due fette alla perfezione, ha anche un bellissimo design anni ’50 www.smeg.it

ALTHEA Basilico Una Porzione è un sugo al basilico monoporzione, per non rinunciare al gusto anche quando si è da soli. Euro 1.25 nella grande distribuzione www.sughialtea.it


DABBENE In argento 925, la Bacchetta Magica è un gadget preziosissimo per un single. Si possono mixare i cocktail degli amici, si può far colpo su una bella donna, oppure la si può incidere con una frase spiritosa e utilizzarla come soprammobile. Euro 100 www.argenteriadabbene.com

DE LONGHI Per abbattere lo stress da pulizie, Colombina Cordless è l’evoluzione senza filo della classica Colombina. Con 50 minuti di autonomia e un indicatore a LED per monitorare il livello della batteria, è perfetta su pavimenti, parquet e tappeti www.delonghi.com

BRAUN Il suo design moderno la rende quasi un accessorio d'arredo: è la centrifuga MultiquicK J500, capace di preparare un centrifugato in soli 15 secondi lavorando anche prodotti interi o con la buccia. Euro 160 braun.braun.com

SODASTREAM Perfetto per non avere in giro antiestetiche bottiglie d'acqua, il nuovo gasatore domestico Play di Yves Béhar permette di trasformare all'istante l'acqua del rubinetto in acqua gasata o bevande frizzanti. Euro 89.90 www.sodastream.com

seletti Sognatrice e suggestiva, la lampada I have a dream è un box luminoso da parete o da appoggio, con top frontale in perspex sostituibile. Euro 87 www.seletti.it

design da single

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Bis-Orient Express La Russia di Putin vuole collegare Pireo con Mosca utilizzando treni ad alta velocità e alta capacità (per i containers). La Cecoslovacchia rivitalizza il vecchio convoglio puntando sul mercato turistico iraniano

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ue Orient Express; e su nessuno dei due, almeno ufficialmente, c’è Hercules Poirot. Anche perché, più differenti di così, le due iniziative di un treno che corra sui binari del mitico Orient Express celebrato da Agatha Christie non potrebbero essere. Da un lato, il progetto lanciato da Vladimir Putin per una linea ferroviaria riservata ai containers che da Atene raggiunga il cuore del grande continente russo. Dall’altra, un progetto ungherese che, battendo sul tempo la concorrenza, si propone di rinverdire i fasti dell’Orient Express utilizzando il treno come asse di penetrazione su quel mercato turistico iraniano che tutti gli esperti del settore accreditano di enormi potenzialità di sviluppo. Per quanto riguarda il progetto russo, è il caso di ricordare che dal 2004 la Cosco Cina, una delle maggiori società di containers del mondo, ha ottenuto in concessione trentennale la maggior parte dei moli commerciali del porto greco del Pireo, diventato un hub essenziale per i prodotti cinesi destinati al mercato europeo. Al governo russo, che recentemente ha siglato un patto commerciale di grandissima importanza strategica, non è sfuggita l’opportunità di diventare essenziale per il

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trasporti


Sopra Hercules Poirot, il famoso investigatore creato da Agatha Christies, è protagonista di “Anonimo sull’Orient Express”. Sottoil terminal container del Pireo gestito da Cosco.

partner asiatico, realizzando un progetto di alta velocità ma specialmente di alta capacità Mosca-Atene, che consenta anche di bypassare il Bosforo. Ormai da anni, il premier russo sta tentando di stringere i rapporti giusti con il governo greco per realizzare un collegamento che risalga da Salonicco e, attraverso la Macedonia, verso la Russia. Ora sono scese in campo le Russian Railways, ovvero la più grande azienda ferroviaria del mondo, disposta a prefinanziare e quindi a realizzare l’opera. Propedeutica a tutto ciò, però, è la

partecipazione delle ferrovie russe ai processi di privatizzazione dei porti greci (Salonicco) e soprattutto della Trainose, l’operatore ferroviario greco. Fra i maggiori sostenitori dell’iniziativa figura Vladimir Yakunin, interessato alla gestione del porto di Salonicco e alla realizzazione di un mega polo integrato di trasporti e logistica. Se il progetto decollerà, la società russa avrebbe accesso al trasporto combinato treno-nave nell’intera macroregione del Mediterraneo, senza dover dipendere dal passaggio attraverso il Bosforo,

avviando quella che si configura come una rivoluzione logistica nelle direttrici di ingresso ai mercati dell’est europeo e della Russia, con proiezione sempre più evidente verso l’estremo Oriente e la Cina. Quella via Pireo con treni efficienti potrebbe essere la chiave di volta per realizzare collegamenti efficienti, specie nel settore dei container, e sfruttare le enormi potenzialità logistiche del mercato dell’est europeo. Ben altre caratteristiche e certo più simili a quelle del vecchio Simplon Orient Express sono quelle del progetto ungherese, con l’idea di un treno di lusso che penetri profondamente verso Est sino in Iran. Le ferrovie ungheresi hanno annunciato che lanceranno un servizio ferroviario di alta qualità tra Budapest, capitale magiara, e Teheran, capitale persiana. Il prezzo del biglietto per poter accedere ai gioielli di Persia, come li descrive la brochure, non sarà proprio “low cost” e oscillerà dai 10mila ai 23mila euro a persona. Ai passeggeri sarà garantito un trattamento di alta classe, compresa la possibilità di bere alcol fino alla frontiera con l’Iran, dopo la quale dovranno accontentarsi di “soft drink e birra analcolica”, spiega sempre la brochure dell’iniziativa. Il primo “Golden Eagle-Danube Express” sarà un treno composto da 13 vagoni tutti decorati a mano, in legno, risalenti agli anni ‘50. Ognuno di questi potrà ospitare 70 fortunati passeggeri. Il viaggio durerà due settimane attraversando Ungheria, Romania, Bulgaria e Turchia (con tappa a Istanbul, in Cappadocia, a Tatvan e sul lago di Van), prima di portare i passeggeri attraverso le antiche città iraniane di Shiraz e Persepoli. Tappa finale, la capitale iraniana Teheran, dove si potrà ammirare la sala dei gioielli della corona dello scià, nella sede della Banca Centrale Iraniana e il Gulestan Palac, con alloggio a cinque stelle presso il Parsian Azadi Hotel. Il viaggio inaugurale è stato già completamente prenotato e la compagnia che gestisce il treno ha già messo in programma altri cinque viaggi per il 2015. Ci sono altri cinque viaggi in programma per il 2015 sull’Orient Express, che tradizionalmente univa Parigi a Istanbul (la vecchia stazione è ancora presente nella capitale sul Bosforo).

trasporti

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Decolla Alithiad E riappare Luca Cordero di Montezemolo nella carica di Presidente, mentre spetterà all’ex Benetton Silvano Cassano pilotare la nuova Alitalia in cieli più tranquilli

Luca Cordero di Montazemolo

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ncora tu. Ma non dovevamo vederci più? No, caro Battisti, in Italia non succede così. Luca Cordero di Montezemolo, appena uscito (o spinto fuori) dall’abitacolo della Ferrari, è entrato nel cockpit di Alitalia. Il Luca nazionale è stato infatti nominato Presidente del nuovo consiglio di amministrazione della compagnia aerea targata Ethiad, con un mandato della durata di tre anni,e con l’incarico specifico di pilotare la transizione fra la compagnia italiana e l’acquirente emiratino. Dopo Cai, la società che ha fatto decollare (si fa per dire) il salvataggio di Alitalia da parte dei capitani coraggiosi, ora arriva Sai, Società Aerea Italiana, che dal primo gennaio sarà pienamente operativa grazie anche al recente via libera concesso dalla Commissione Europea. La nuova società sarà controllata da Ethiad al 49% e si spera che abbia un futuro quantomeno più sereno, viste le condizioni sulla base delle quali il gruppo arabo ha acquisito il controllo della quota maggioritaria della ex compagnia di bandiera. Condizioni che fanno suonare originali le dichiarazioni dell’ex presidente Colaninno, quando, durante il consiglio

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airways

di amministrazione della compagnia, ha parlato di ”entusiasmante fase della storia della nostra compagnia aerea”. Montezemolo trova nel nuovo cda alcune vecchie glorie tra cui - oltre ai rappresentanti delle banche creditrici che di soldi (come i contribuenti italiani) ne hanno persi tanti e a Silvano Cassano (ex Benetton) - James Hogan (numero uno di Etihad), sulla poltrona di amministratore delegato, e Giovanni Bisignani, che è stato sì alla cloche di Iata (l’associazione mondiale del trasporto aereo), ma vanta anche una lunga navigazione in Iri, Eni e in varie società pubbliche tra cui Tirrenia di navigazione. E se anche nel cda a volte ritornano, incominciano a circolare i conti dell’operazione, tutta a carico del contribuente italiano che, inevitabilmente, dovrebbe ricordarsi la storia della mancata vendita ad Air France, per consentire a Berlusconi di vantare la difesa dell’italianità della compagnia di bandiera. E ancor di più la storia di Swissair, la prestigiosa compagnia aerea svizzera che il governo elvetico non esitò a far fallire in meno di 48 ore nel momento in cui i suoi conti non tornavano più. Renzi ha recentemente annoverato il

salvataggio Alitalia come una grande conquista del suo governo, insieme con le acciaierie di Piombino, la Ferriera di Servola e altre cessioni a investitori esteri. Il fil rouge che lega tutte queste operazioni è sempre lo stesso. L’Italia paga per vendere pezzi invendibili che non vengono acquistati da imprenditori tradizionali, ma da newcomers pronti ad affrontare con maggiore disinvoltura di quanto avrebbero fatto gruppi come Air France o Krupp il rischio-Italia. Nel caso di Alitalia, il governo ha ceduto punto per punto alle richieste di Ethiad, e forse non avrebbe potuto fare diversamente, considerati i rintocchi ormai sempre più frequenti di campane a morto su una compagnia di bandiera incapace da sola di ristrutturarsi. Il governo (meglio, i contribuenti) della vecchia Alitalia pagano i costi previdenziali una cassa integrazione su misura per durata e condizioni, i costi della mobilità, persino la condanna a morte di Malpensa ovvero dell’hub sul quale il sistema paese più aveva investito. Per Malpensa ora si punta tutto sull’Expo, con l’obiettivo a dir poco ambizioso di collegare direttamente o indirettamente anche attraverso accordi di code sharing



più di 550 città nel mondo. Ma sembrano più parole che fatti. Il vettore punta forte su quattro linee: con il nuovo orario estivo (e quindi dal prossimo 29 marzo 2015), la compagnia si metterà alla prova con i nuovi collegamenti

Sopra: Colannino e CEO Etihad. Sotto: hostess Ethiad

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Malpensa-Shanghai, Malpensa-Abu Dhabi, Venezia-Abu Dhabi e Roma-Pechino. In particolare, i voli da e per l’hub di Etihad saranno triplicati arrivando a un totale di 42. Ed entro maggio, in concomitanza con l’Expo 2015, arriverà anche il primo dei 7

nuovi aerei di lungo raggio attesi in flotta. Sono queste le prime mosse per rilanciare l’azienda e portarla all’utile entro il 2017, incrementando i margini. Ma su tutto incombe ancora l’ombra della Commissione Europea, che non ha fretta di chiudere l’inchiesta su chi esercita il controllo di fatto di Alitalia-Etihad. L’impressione è che abbia adottato la strategia dei tempi lunghi per vedere come muove i primi passi la compagnia aerea. E che non sembrano attualmente esserci grandi preoccupazioni su chi detiene il controllo: se avesse temuto che il controllo di fatto fosse nelle mani di Etihad, la Commissione sarebbe intervenuta prima di pronunciarsi sull’acquisto da parte di Etihad del 49% della società italiana o contestualmente a tale decisione. La decisione antitrust è stata presa, la proprietà e il controllo delle compagnie aeree sono una procedura separata con una diversa base legale e l’inchiesta sul caso Alitalia/ Etihad è in corso; la Commissione ha ricevuto la documentazione dalle autorità italiane . La Commissione Europea continua ad occuparsi del casoAlitalia anche dal punto di vista degli aiuti di Stato, per valutare se la partecipazione di Poste Italiane rispetti le regole. L’obiettivo è verificare se tale partecipazione si fondi su obiettive ragioni di mercato e non costituisca un sostegno pubblico mascherato. Negli ultimi quattro anni, la Commissione Europea ha analizzato o sta analizzando una quindicina di casi relativi alla proprietà e al controllo di compagnie aeree sia sulla base di iniziativa propria che sulla base di ricorsi di soggetti concorrenti. Il portavoce ricorda che in passato “la Commissione non ha preso una decisione formale sulle inchieste, non trovando infrazioni o perché le autorità che hanno dato le licenze e le compagnie aeree hanno offerto delle soluzioni di salvaguardia per preservare la proprietà e il controllo europeo”. Il settore del trasporto aereo è uno di quelli in cui si stanno ridefinendo i ‘pesi’ dei gruppi e i confini del loro ‘territorio’ operativo, sul quale ci sono forti interessi di gruppi non UE. Di qui la decisione di agire con prudenza, tenendo conto dell’evoluzione del settore. E intanto Cai, diventata bad company, deve vedersela con AirOne. Le controversie legali non hanno trovato ancora soluzione e la compagine azionaria della vecchia Alitalia dovrà aspettare altri 4 mesi perché il Tribunale di Chieti decida sul ricorso di Toto.


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Africa in scia 1,2 miliardi della Banca Mondiale per la comunità dell’Africa Orientale. E sulle infrastrutture del continente affluiscono oltre 50 miliardi di investimenti in efficienza e produttività

Le risorse “naturali” della grande “miniera Africa”

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Africa

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frica nuova frontiera dello sviluppo? Le notizie sul deterioramento costante del quadro sociale e, perché no, di quello sanitario, farebbero pensare il contrario. E invece l’Africa potrebbe davvero essere la nuova frontiera. Non solo per le risorse del continente (illustrate meglio di ogni parola nella mappa nella pagina a fronte), quanto anche per le potenzialità di crescita dei traffici e delle relazioni internazionali, che questo immenso territorio tutt’oggi cela. Il segnale che arriva dalla Banca Mondiale, l’ultimo in ordine di tempo, è inequivocabile: investire in infrastrutture per generare ricchezza e prosperità: la Banca Mondiale ha approvato il rilascio di un prestito di 1,2 miliardi di dollari per gli Stati della Comunità dell’Africa orientale (EAC). Il fondo sarà utilizzato per sviluppare le infrastrutture e promuovere il programma d’integrazione della regione. “Stiamo collaborando con i governi PAO, altri partner per lo sviluppo e il settore privato per investire in infrastrutture regionali, per aiutare ad approfondire l’integrazione delle politiche e per ridurre gli ostacoli al commercio nell’EAC,” ha dichiarato Philippe Dongier, Direttore Nazionale della Banca Mondiale per il Burundi, Tanzania e Uganda. La Banca prevede investimenti per rilanciare le vie navigabili interne della regione sui laghi Vittoria e Tanganica. Inoltre, i due principali porti EAC sull’Oceano Indiano, Dar es Salaam in Tanzania e Mombasa in Kenya, saranno protagonisti di consistenti investimenti in mezzi e in efficienza, con l’obiettivo di trasformarsi in hub per un’area estesa di Paesi senza affaccio al mare, tra cui Burundi, Ruanda, Uganda e Sud Sudan. Consistenti investimenti dovrebbero essere dirottati sui corridoi logistici e ferroviari proprio per facilitare l’accesso ai porti e favorire il flusso delle merci. Le Repubbliche di Burundi, Kenya, Ruanda, Repubblica Unita di Tanzania e la Repubblica dell’Uganda hanno unito le forze per formare la EAC. La vision è nota: creare


Miniera di diamanti "a pozzo" a Kimberley.

prosperità nell’Africa Orientale rendendola competitiva, sicura, stabile e politicamente unita, attraverso lo sviluppo economico, l’integrazione sociale e culturale. Il blocco EAC ha messo in campo diversi progetti per favorire l’integrazione, tra cui la piattaforma Oriente Africa Standards e una single window per commercio (SWIFT). La comunità EAC ha varato un visto unificato e sta lavorando sulla prospettiva di una moneta unica. Il prestito della Banca Mondiale fa parte degli impegni ottenuti dalla EAC per sostenere una strategia di investimento di 10 anni in grandi progetti infrastrutturali, prioritari nella regione. Trademark Africa Orientale ha anche promesso 350 milioni di dollari a sostegno delle infrastrutture regionali. EAC sta intensificando gli sforzi per raccogliere le risorse necessarie. È già in corso una trattativa con partner di sviluppo, tra cui la Banca Africana di Sviluppo e la

Banca Europea per gli Investimenti, così come con Paesi come la Cina e l’India. Ma è tutto il continente africano, ad onta della profonda crisi, dei conflitti e dell’allarme sanitario generato da Ebola ma anche da un’epidemia di peste in Madagascar, a rialzare la testa e a lanciare una vera e propria sfida infrastrutturale. Tra siti tradizionali e nuove piattaforme di trasbordo sta emergendo in Africa una nuova rete di porti con l’obiettivo di collegare l’entroterra al mare. Nell’arco di 10 anni - ossia dall’inaugurazione del porto Tangeri Med, in Marocco, nel 2007, e l’entrata in servizio dei primi impianti a Lamu, in Kenya, nel 2017 - saranno infatti investiti più di 50 miliardi di dollari (oltre 40 miliardi di euro) perché l’Africa si doti a sua volta di “terminal ultramoderni e interamente automatizzati come già avvenuto in Asia e in Europa”. Oggi l’Africa rappresenta solo il 5% del commercio marittimo mondiale e meno

del 2% del traffico globale di container, ma i volumi trattati sono stati moltiplicati per quattro in linea con il tasso di crescita economica del continente, stimolata dagli scambi con l’Asia. Nell’ultimo decennio è stata già portata avanti una prima ristrutturazione a livello di banchine, sulla scia degli appalti di concessione sottoscritti dalle autorità portuali pubbliche e da operatori internazionali privati, attratti da una crescita annuale del 7% registrata da 15 anni nei traffici marittimi africani in ogni genere. Ai nomi di Tangeri, Gibuti, Città del Capo, Alessandria, Dakar, porti storici del continente africano, si affiancheranno quindi presto quelli di Badagry, Lamu, Nqura, semplici banchine da pesca che saranno chiamate a svolgere il ruolo di interfacce portuali per il continente, con navi porta cointainer sempre più grandi e sempre più numerose che ridisegneranno la carta marittima del continente.

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The wall L’Arabia Saudita avvia la costruzione del muro per separarsi dall’Iraq e impedire le infiltrazioni o una guerra di conquista dell’Isis. Anche l’Ucraina è pronta a blindare con filo spinato e corrente elettrica la sua sovranità. In tutto il mondo, la proliferazione delle barriere



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uro di Berlino. Il segnale del ritorno alla libertà. Muro tra Israele e i territori palestinesi. Il simbolo dell’oppressione. Ma come mai i media, così sensibili sul simbolismo (talora distorto, se si pensa agli effetti in termini di prevenzione del terrorismo) delle muraglie, della separazione fra popoli e regimi, non si sono accorti di un terzo e ben più imponente muro, quello che l’Arabia Saudita sta costruendo a tappe forzate per difendersi dall’Isis e da quei Jihadisti che per anni ha finanziato? Curiosa disattenzione, visto che proprio il muro saudita sembra ricordare anche nelle motivazioni la grande muraglia, quella costruita dai cinesi per difendersi dai mongoli di Gengis Khan. Quegli stessi mongoli che, anni dopo, furono responsabili della caduta del Califfato degli Abbasidi, lo stesso che i miliziani Jihadisti dello Stato Islamico, oggi, si propongono di restaurare. L’obiettivo primario degli Jihadisti dello Stato Islamico è, senza alcun dubbio, la conquista di Medina e di La Mecca, dove sono presenti le due moschee più importanti per i musulmani che fanno dell’Arabia Saudita l’epicentro del mondo islamico. Recentemente, l’Isis ha inaugurato una campagna anti-saudita dal titolo esplicativo: “We are coming (Qadimun)”, e il re saudita Abdullah ha lanciato un allarme e messo in guardia le potenze occidentali sul reale pericolo rappresentato dallo Stato Islamico in Iraq e Siria. Il Grande Mufti saudita Abdul Aziz al-Sheik si è espresso, per la prima volta, contrariamente all’Isis e ha emanato una condanna di carattere religioso (fatwa) nei confronti del gruppo di Abu Bakr al-Baghdadi. Alla scomunica sono seguite alcune retate della polizia in cui decine di persone sono state arrestate, perché sospettate di appartenere a cellule terroristiche jihadiste. La grande muraglia dovrebbe essere la conseguenza pratica. Ma vediamo di cosa si tratta. Una doppia barriera composta da due muri di sabbia su cui verranno installate delle recinzioni per centinaia di chilometri, 78 torri di sorveglianza e comunicazione, 1.4 milioni di cavi di fibra ottica, 50 telecamere, 50 stazioni radar, 3397 soldati, 60 ufficiali supervisori, 8 posti di comando e controllo, 3 unità di pronto intervento, 32 postazioni

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muraglie

Vecchia fortificazione a difesa del territorio saudita

La barriera della discordia fra Israeke e i territori palestinesi

per “interrogatori”. L’apparato ruoterà intorno a quattro grandi complessi, ognuno dei quali includerà ospedale, prigione, sede dell’Intelligence, poligoni di tiro, moschee e luoghi di svago. L’Arabia Saudita ha paura che la disastrosa situazione che ha contribuito a creare in

Iraq e Siria le si ritorca contro. Temendo l’avanzata dello Stato Islamico in Iraq, che condivide più di 800 chilometri di confine con la monarchia saudita, il re Abdullah ha approvato la costruzione del “Custode delle due sacre moschee”: una barriera “hitech” di filo spinato per evitare infiltrazioni


Il “progetto” del grande Califfato islamico, così come nei programmi dell’ISIS

jihadiste nel regno. Riyad è perfettamente conscia che il califfato sognato dai terroristi comprende anche l’Arabia Saudita e da mesi ha cominciato a cautelarsi. A luglio ha rinforzato la sicurezza sul territorio inviando 30 mila soldati al confine con l’Iraq. I raid della polizia contro chi si prepara ad andare a combattere all’estero in Siria e Iraq, come quello che martedì scorso ha portato all’arresto di 88 persone, si sono moltiplicati. Soprattutto in ottemperanza alla legge promulgata lo scorso 3 febbraio, che prevede una punizione che va dai 3 ai 20 anni di prigione per quei cittadini sauditi che vanno a combattere all’estero. Non solo, il decreto prevede anche che chi fornisce sostegno morale o materiale a gruppi terroristi o estremisti può essere incarcerato per un periodo di tempo che varia dai 5 ai 30 anni.

IL PARADOSSO Questo atteggiamento dell’Arabia Saudita non è ingiustificato, visto che oltre 1.200 cittadini del regno combattono in Siria e Iraq, ma è quanto meno paradossale. Riyad infatti è stato uno dei principali sostenitori della guerra in Siria, riempiendo di armi e petrodollari alcuni tra i più potenti gruppi armati sul terreno, come il Fronte Islamico. Nella milizia salafita sono confluite diverse

armate, come l’Esercito dell’Islam, che era nato staccandosi polemicamente dalla Coalizione Nazionale Siriana appoggiata dall’Occidente. Sempre l’Arabia Saudita, come ammesso dal Segretario di Stato americano John Kerry, si era proposta anche di «pagare tutti i costi dell’attacco» che l’America stava per sferrare contro Assad nel settembre 2013. Riyadh potrebbe anzi essere l’unico Paese del Medio Oriente con il potere e l’autorità necessari per demolire lo Stato Islamico. L’Arabia Saudita ha già efficacemente debellato al-Qaeda nel suo regno, e proprio Al Qaeda era nata sulla spinta di un suo illustre cittadino Osama Bin Laden. Ma sono in molti a chiedersi come si potrà conciliare un’azione saudita anti-Isis con la stessa strategia adottata dall’Iran, che ha iniziato a bombardare con i suoi caccia le postazioni del califfato. Ma quello saudita non sarà l’unico nuovo “wall”. A quasi 25 anni dalla caduta del muro di Berlino, anche l’Europa rischia di trovarsi ancora una volta spaccata a metà. Stavolta più a Est, al confine tra Ucraina e Russia. A lanciare il “Progetto Muro” per «costruire una vera frontiera con la Russia» è stato il premier ucraino, il “filo-occidentale” Arseni Yatseniuk. Un’idea non nuova in Ucraina. Il primo a proporla, a giugno, è stato il controverso oligarca ucraino

Igor Kolomoiski, nominato pochi mesi prima governatore della regione di Dnipropetrovsk dalla nuova leadership europeista di Kiev. Il magnate, considerato il quarto uomo più ricco del Paese con una fortuna stimata in 1.8 miliardi di dollari, aveva presentato alla presidenza ucraina un progetto per realizzare una recinzione metallica con filo spinato lunga 1920 chilometri e alta due, lungo la frontiera tra la Russia e le regioni ucraine di Donetsk, Lugansk e Kharkiv. La “Grande Muraglia” ucraina, nelle sue intenzioni, doveva essere dotata in alcune zone anche di alta tensione, campi minati e trincee. Un’opera «da 100 milioni di dollari, realizzabile in sei mesi, efficace contro l’ingresso di uomini e mezzi militari dalla Russia». Sono numerosi i muri costruiti nel mondo dopo quello di Berlino. Basti ricordare quello che divide gli Stati Uniti dal Messico, finalizzato a contenere l’immigrazione clandestina e il traffico di droga. La barriera di separazione tra Stati Uniti d’America e Messico, detta anche muro messicano o muro di Tijuana, è una barriera di sicurezza costruita dagli Stati Uniti lungo la frontiera al confine tra USA e Messico. In Messico viene però chiamato Muro della vergogna. Il suo obiettivo è quello di impedire agli immigranti illegali, in particolar modo messicani e centroamericani, di oltrepassare il confine statunitense. La sua costruzione ha avuto inizio nel 1994, secondo l’ottica di un triplice progetto antimmigrazione: il progetto “Gatekeeper”, in California, il progetto “Hold-the-Line” in Texas e il progetto “Safeguard” in Arizona. Secondo alcuni esperti, queste operazioni sarebbero solo una manovra per convincere i cittadini statunitensi della sicurezza e dell’impenetrabilità dei confini, mentre l’economia continuerebbe a beneficiare del continuo flusso di forza lavoro a basso costo in arrivo da oltre frontiera. La barriera è fatta di lamiera metallica sagomata, alta dai due ai quattro metri, e si snoda per chilometri lungo la frontiera tra Tijuana e San Diego. Il muro è dotato di illuminazione ad altissima intensità, di una rete di sensori elettronici e di strumentazione per la visione notturna, connessi via radio alla polizia di frontiera statunitense, oltre che di un sistema di vigilanza permanente, effettuato con veicoli ed elicotteri armati. Altri tratti di barriera si

muraglie

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trovano in Arizona, Nuovo Messico e Texas. Ancora più lunga è la linea di demarcazione militare eretta tra India e Pakistan, chiamata “Linea di Controllo”, che si estende per 3300 chilometri e, dal 1949, divide la regione del Kashmir in due zone: quella sotto il controllo indiano e quella sotto il controllo pakistano, che vorrebbe l’indipendenza dal governo di New Delhi. A partire dal 1990, l’India ha iniziato a costruire dal suo lato una barriera di separazione per isolare la frontiera, completata nel 2004, che consiste in recinzioni elettrificate, sensori di movimento e telecamere termiche. Il Pakistan ha avanzato forti proteste diplomatiche per la costruzione di questa barriera. La lista è lunga, anche se poco nota: dalla Thailandia (con la Malaysia) all’Uzbekistan (con il Tagikistan) e all’Arabia Saudita (con lo Yemen). In Europa resta solo il piccolo muro di Cipro (tra la parte greca e quella turca dell’isola), oltre alle decine di muri ancora esistenti a Belfast per dividere cattolici e protestanti. Ecco alcuni casi Il confine tra la Corea del Nord e la Corea del Sud è composto da una muraglia che è stata creata a partire dal 1977, durante il regime di Pak Chong Hi, sotto la supervisione americana. Si estende per 240 km, la larghezza totale della Corea meno una trentina di km intorno a Panmunjom, ed è impenetrabile. La “Zona Demilitarizzata Coreana”, che percorre la linea ideale del 38° parallelo, nonostante il nome è universalmente conosciuta come il confine più armato del mondo. Anche ora, nonostante le iniziative concilianti tra i due Paesi, il “Korean Border” rimane un simbolo della tensione latente nella penisola. Il muro marocchino, o “muro del Sahara Occidentale”, è un insieme di otto muri difensivi con una lunghezza superiore a 2720 km, costruito dal Marocco nel Sahara Occidentale. È una zona militare con bunker, fossati e campi minati, edificata con l’obiettivo di proteggere il territorio occupato dal Marocco dalle incursioni del Fronte Polisario. Nei territori occupati del Sahara Occidentale è in corso una resistenza popolare, non violenta, per protestare contro la violazione sistematica dei diritti fondamentali. Ma non è facile: gran parte della popolazione Saharawi è costretta all’esilio nei campi profughi nei

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muraglie

pressi di Tindouf (sud-ovest algerino). In Europa bisogna scendere a Cipro per trovare un muro imponente. Dopo l’invasione turca nel 1974 e la conseguente guerra, l’isola è divisa in due da una “zona cuscinetto” controllata dalle Nazioni Unite: la Repubblica di Cipro Nord, riconosciuta solo dalla Turchia, e la Repubblica di Cipro, che è entrata recentemente nell’UE. La

Il muro per antonomasia, quello di Berlino

“linea verde” (così è chiamato il muro che divide l’isola da est a ovest e taglia la capitale Nicosia) è lunga 180 chilometri. La barriera non è austera, non ci sono torrette a proteggerla, ma è fatta di bidoni, di filo spinato in disordine, di pezzi di muro dove sono cresciuti alcuni alberi. Solo i turcociprioti sorvegliano questa frontiera che i ciprioti greci non riconoscono.


Le grandi muraglie 1) muro USA/MESSICO: una barriera contro milioni di clandestini illegali che, dal Messico, cercano di entrare negli USA per non morire di fame e cercare di vivere un po’ meglio; 2) muro COREA DEL SUD/COREA DEN NORD: la Corea del Sud si protegge dalla Corea del Nord mediante un muro che si sviluppa per la maggior parte della frontiera tra i due Paesi; 3) muro THAILANDIA/MALESIA: la Tailandia ha edificato sulla parte accessibile della sua frontiera un muro per impedire a terroristi islamici di raggiungere le sue agitate province a maggioranza musulmana; 4) muro ZIMBAWE/BOTSWANA: una barriera elettrificata si sviluppa lungo tutta la frontiera tra i due Paesi. Ufficialmente per impedire agli animali selvatici di passare da un paese all’altro, in realtà serve per evitare che i profughi dello Zimbabwe entrino nel Botswana; 5 ) m u r o U Z B E K I S TA N / TA G I K I S TA N : l’Uzbekistan ha costruito un muro equipaggiato con sensori e videosorveglianza lungo la sua frontiera con il Tagikistan; 6) muro INDIA/PAKISTAN: costruito per le stesse ragioni. Lungo 3300 km, si sviluppa lungo una frontiera che il Pakistan contesta; 7) muro PAKISTAN/AFGHANISTAN: costruito dai pakistani e lungo 2400 km; 8) muro EMIRATI ARABI UNITI/OMAN: costruito lungo tutta la linea di confine con il sultanato dell’Oman; 9) muro ARABIA SAUDITA/YEMEN: l’Arabia Saudita ha costruito un muro in calcestruzzo armato, munito di sensori e telecamere per impedire l’immigrazione illegale dallo Yemen, e senza esitare di fronte allo sconfinamento di questo muro entro il territorio dello Yemen; 10) muro KUWAIT/IRAQ: il Kuwait ha rinforzato il muro, già esistente e lungo 215 km, di frontiera con l’Iraq; 11) muro TURCHIA/CIPRO: la Turchia (che vuole entrare in Europa) ha costruito un muro per delimitare i territori che rivendica a Cipro; 12) muro MAROCCO/SAHARA: viene definito “cintura di sicurezza” ed è lungo 2700 km nel Sahara Marocchino, per proteggersi dalle invasioni dei terroristi del Fronte Polisario; 13) muro SPAGNA/MAROCCO: la Spagna

La linea di confine tra Arabia Saudita e Iraq

La barriera anti-immigrazione tra il Messico e il Texas

ha costruito una barriera elettrificata costantemente vigilata su una parte della sua frontiera con il Marocco, per impedire l’immigrazione clandestina; 14) muri IRLANDESI: in Irlanda del Nord

(e non solo a Belfast) molti muri separano cattolici e protestanti. Per impedire violenze, interi quartieri di Belfast sono stati sfigurati e divisi, le case rase al suolo e gli abitanti spostati da un’altra parte.

muraglie

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I vecchi incubi sono tornati a popolare non solo le nostre notti: le immagini choc delle decapitazioni, quelle teribbili dell’epidemia di ebola o il richiamo costante alla povertà e alle sempre più numerose famiglie che vivono sotto la soglia della fame, sono diventati gli scomodi compagni anche di paesi occidentali che per decenni si erano cullati nell’illusione di una incolumità garantita. Non è più così e i 4 Cavalieri dell’Apocalisse sono tornati a galoppare


I 4 Cavalieri dell’Apocalisse

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o sappiamo: Natale è alle porte. Ciascuno di noi avrebbe voglia di dimenticare. Di stare in famiglia, abbracciare i propri figli, sognare che l’anno che verrà… tre volte Natale. Ma proprio per questo CH ha deciso di dedicare una parte, un po’ nascosta nella sua foliazione, a loro, i quattro cavalieri dell’Apocalisse, quei cavalieri che sono tornati a occupare i nostri incubi notturni, a evocare paure antiche, a seminare di incertezza e ansia il campo del futuro. Sia che siano ombre della nostra mente, oppure riflessi reali di un mondo che – come ha detto Papa Francesco – sta già immerso nella sua Terza Guerra Mondiale,

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li ricordiamo oggi, prima di Natale, non per rovinar la festa, ma per comprendere che anche la felicità di un minuto vale la vita. Le immagini di queste settimane, di giovani vite spezzate in diretta, di teste recise con un coltello a sega per moltiplicare dolore e orrore, ci hanno riprecipitato nella logica del quarto grande cavaliere dell’Apocalisse, la morte. Ma una società che vive di morte è di per sé già morta. Il brindisi ebraico Lechaim, alla vita, dovrebbe insegnarci qualcosa. Per questo, via, mettiamo sotto gli occhi la realtà, quella che i media, disattenti o colpevoli, forse tacciono.

Ve la mostriamo perché tutti, per cambiarla, dobbiamo combattere. Combattere contro la sonnolenza e l’ignavia di un Occidente che ha perso riferimenti, valori e leadership; per una società che riscopra riferimenti al di là dello schermo di uno smartphone o di un selfie. Speriamo che qualche genitore, sfogliando distrattamente la nostra rivista, la mostri a suo figlio, gli faccia leggere le cifre fredde, chirurgiche, su guerre, pestilenze e fame. Non lontane, ma nella porta accanto di un mondo globale. Scusateci se anche a Natale vi abbiamo rubato un minuto per pensare.


I 4 Cavalieri dell’Apocalisse

guerra

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pprossimando per difetto nel mondo in questi giorni si stanno combattendo guerre internazionali o interne che coinvolgono 62 paesi. A queste vanno aggiunte le azioni e gli atti di terrorismo poosti in essere da qualcosa come 550 fra milizie, gruppi ribelli, gruppi indipendentisti e cartelli della droga. L’Africa è ancora una volta l’epicentro conflitti, con 25 Stati coinvolti in guerre. Le aree più calde sono: l’Egitto (instabilità successiva alla rivolta del 2011), il Mali (continui scontri con i tuareg e le milizie islamiche), la Nigeria (attacchi delle milizie islamiche, in particolare dei Boko Haram), la Repubblica Centroafricana (guerra civile), la Repubblica Democratica del Congo (razzie di gruppi armati nelle regioni orientali), la Somalia (guerra civile in corso dal 1991), il Sudan (scontri tra l’esercito e milizie ribelli) e il Sud Sudan (conflitto etnico). Segue l’Asia con 15 Stati coinvolti in guerre: oltre all’Afghanistan stato in cui si combatte un conflitto che dura ormai da 13 anni, senza contare I precedenti, é guerra ignorata dai media quella che sta devastando, BirmaniaMyanmar (guerra civile tra l’esercito e l’etnia Kokang), Ma é guerra anche nelle Filippine (dal 1990 continui scontri tra guerriglieri comunisti e l’esercito locale senza parlare di intere regioni sotto il controllo delle milizie islamiche vicine a AlQaeda), nel Pakistan (scontri tra l’esercito e milizie antigovernative), Thailandia (violenze successive al colpo di stato del maggio 2014). Nella pacifica Europa, reduce da non molti anni dal conflitto nei balcani, sono 9 gli Stati attualmente coinvolti in un conflitto: il primis l’Ucraina, ma, la Cecenia (scontri tra l’esercito russo e miliziani indipendentisti), il Daghestan (attacchi da parte di milizie islamiche). In Medio Oriente 8 Stati in guerra: Siria e Iraq capeggiano la classifica seguiti da Palestina-Israele, Yemen. Nelle Americhe 5 Stati sudamericani stanno combattendo dei conflitti contro gruppi separatisti, cartelli

della droga , milizie locali. Tra questi occorre ricordare: la Colombia (guerra civile in corso dal 1964 ), e intere regioni del Messico. Oltre a Ucraina e Siria come non ricordare la Libia dove il Consiglio Nazionale pe r la Transizione che ha preso il potere lo scorso anno sta cercando di mantenere la stabilità in un paese che esplode. Pezzi dell’esercito governativo si sono ammutinati, per seguire il generale “rinnegato” Khalifa Haftar. In Tunisia (a confermare la matrice islamica della stragrande maggioranza dei conflitti in atto nel mondo) Uqba Ibn Nafi Battalion, si considera in guerra contro il governo per instaurare la sharia. Nella Repubblica Centrafricana è in atto dal 2012 una feroce guerra civile, che vede contrapposti i ribelli di Seleka e le forze governative. Al momento è in vigore un cessate-ilfuoco, ma la situazione continua ad essere drammatica. Più di 200 mila persone sono rimaste senza casa e in migliaia sono state uccise e persino atti di cannibalismo. Nel vicino Mali la fragile pace francese nasconde in effetti un conflitto tutt’oggi latente. Nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo si scontrano con gruppi di ribelli armati e accusati dalla

comunità internazionale di crimini di guerra e di pesanti violenze e abusi ai danni della popolazione civile. In Somalia il governo sta cercando di prendere il controllo delle città chiave del Paese, cadute nelle mani delle milizie jihadiste Al-Shabaab, che tuttora hanno il controllo sulla parte meridionale della Somalia. Recentemente i terroristi hanno intensificato gli attacchi contro la popolazione civile, anche nella capitale Mogadiscio. Instabilità anche nel Sud Sudan con una tensione ormai cronica e scontri al confine con il Sudan. In Uganda dopo 27 anni al potere, i Gruppi armati antigovernativi si scontrano tra loro e contro le forze di sicurezza ufficiali, senza dimenticare éa forte presenza dei terroristi di Al-Shabaab, che prendono di mira le comunità cristiane. In Kenya - L’attuale presidente, Uhuru Kenyatta, e il suo vice William Ruto sono accusati di crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale dell’Aja, per il ruolo avuto durante le violenze postelettorali esplose nel 2007. Sono accusati di violazione dei diritti umani, stupri e abusi. Ma in Africa dove i punti caldi sono anche l’Egitto (rivolta popolare contro il Governo), la Nigeria (guerra contro i militanti islamici.

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carestia

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econdo le stime delle Nazioni Unite, nel mondo una persona su otto (quasi un miliardo di esseri umani) soffre la fame e, nonostante le statistiche in questo senso mostrino un considerevole miglioramento dai primi Anni ‘90, si tratta ancora di un livello inaccettabile. Eppure, globalmente viene già prodotto cibo in quantità sufficiente da sfamare tra i nove e i dieci miliardi di persone, cifra che corrisponde al picco di popolazione previsto per il 2050. Dati sconcertanti, che ormai il mondo occidentale sembra essersi assuefatto ad ascoltare. Ma ora non è solo un problema loro. Secondo gli ultimi dati, in Italia 6 milioni di persone soffrono la fame. Il 28,4% dei residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale, secondo la definizione adottata nell’ambito della strategia Europa 2020. Cioè, è in una condizione di “grave deprivazione materiale” o “bassa intensità di lavoro”. Dal dossier Istat emerge anche che la metà delle famiglie ha percepito un reddito netto non superiore a 24.215 euro l’anno, pari a circa 2.017 euro al mese. Ma, come sempre, nel Sud e nelle Isole va peggio: qui il 50% delle famiglie guadagna meno di 19.955 euro, vale a dire circa 1.663 euro mensili. Il reddito medio delle famiglie che vivono nel Mezzogiorno è pari al 74% di quello delle famiglie residenti al Nord. L’indicatore relativo alla povertà è diminuito di 1,5 punti percentuali rispetto al 2012, in seguito della diminuzione della quota di persone in famiglie gravemente deprivate, che scende dal 14,5% al 12,4%. Perché, fortunatamente, sono diminuiti dal 16,8 al 14,2% gli individui che riferiscono di non potersi permettere un pasto proteico adeguato ogni due giorni, quelli che non riescono a sostenere spese

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impreviste di 800 euro (dal 42,5 al 40,3%) e quelli che non hanno potuto riscaldare adeguatamente la propria abitazione (dal 21,2% al 19,1%). Resta stabile, invece, la percentuale di residenti che vivono in famiglie a rischio di povertà (19,1%), mentre è in leggero aumento quella di chi vive in famiglie a bassa intensità lavorativa (dal 10,3% all’11%). Nel nostro Paese c’è una vulnerabilità

diffusa, tanto che il 60 per cento degli italiani ritiene che possa capitare a chiunque di finire in povertà, quota che sale al 67 per cento tra gli operai e al 64 per cento tra i 45-64enni. Una delle conferme viene anche dal tasso di natalità: in Italia si fanno sempre meno figli, e per 8 su 10 è colpa proprio della crisi. Più diseguaglianze, meno integrazione, ceto medio corroso. Sono gli effetti della crisi secondo il Censis. Il rischio di povertà o esclusione sociale mostra però la diminuzione più accentuata al Centro e al Nord (-7,7% e -5,9% rispettivamente), mentre nel

Mezzogiorno, dove si registra una diminuzione del 3,7%, il valore si attesta al 46,2%, più che doppio rispetto al resto del Paese. Oltre che nel Sud e nelle Isole, l’Istat registra valori elevati dell’indicatore tra le famiglie numerose (39,8%), quelle in cui lavora una sola persona (46,1%), quelle con fonte di reddito principale proveniente da pensione o altri trasferimenti (34,9%) e tra quelle con altri redditi non provenienti da attività lavorativa (56,5%). Inoltre, è più elevato tra le famiglie con reddito principale da lavoro autonomo (30,3%) rispetto a quelle con reddito da lavoro dipendente (22,3%). Rispetto al 2012, l’istituto segnala come il rischio di povertà o esclusione sociale diminuisca tra gli anziani soli (dal 38,0% al 32,2%), i genitori single (dal 41,7% al 38,3%), le coppie con un figlio (dal 24,3% al 21,7%), tra le famiglie con un minore (dal 29,1% al 26,8%) o con un anziano (dal 32,3% al 28,9%). Tra le famiglie con tre o più figli si osserva, invece, un peggioramento: dal 39,8% si sale al 43,7%, a seguito dell’aumento del rischio di povertà (dal 32,2% al 35,1%). Quanto alla distribuzione dei redditi, il 20% più ricco delle famiglie residenti in Italia percepisce il 37,7% del reddito totale, mentre al 20% più povero spetta il 7,9%. Differenze significative si registrano anche rispetto alla ripartizione geografica: il 37,1% delle famiglie residenti nel Sud e nelle Isole appartiene al quinto dei redditi più bassi, rispetto al 13,5% di quelle che vivono nel Centro e all’11,5% delle famiglie del Nord. Nello stesso tempo, nel Nord e nel Centro una famiglia su quattro appartiene al quinto più ricco della distribuzione, quello con i redditi più alti, rispetto all’8,5% di quelle che vivono nel Sud e nelle Isole.



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pestilenza

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uella in corso in questo momento non è l’ultima epidemia di Ebola, e in Africa ci sono 22 Paesi che potrebbero vedere in futuro focolai del virus. Lo ha affermato il segretario dell’Oms, Margaret Chen. E mentre la situazione dell’epidemia migliora in Liberia e Guinea, il virus continua a essere totalmente fuori controllo in Sierra Leone. Ma l’ebola non è l’unico indicatore del terzo cavaliere. Le epidemie sono tornate a popolare gli incubi anche della parte apparentemente sicura del pianeta. Ultima in ordine di tempo, la peste. Endemica nelle campagne del Madagascar, la peste bubbonica è arrivata anche nella capitale Antananarivo, provocando un innalzamento dell’allarme, oltre che tra le autorità locali, anche da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Il bacillo della peste, che si sviluppa nei ratti, viene poi veicolato dalle pulci. Nell’uomo che è stato punto da una pulce la malattia si sviluppa di solito in forma bubbonica: se il batterio colpisce i polmoni, provoca anche la polmonite e si può trasmettere per via aerea quando il malato tossisce. Una nuova analisi della statunitense Brown University conferma come nel mondo il numero di epidemie e le singole malattie che le causano siano in aumento. Più di 12 mila focolai che hanno colpito 44 milioni di persone in tutto il globo nel corso degli ultimi 33 anni. “Viviamo in un mondo in cui le popolazioni umane sono sempre più interconnesse fra loro e a stretto contatto con gli animali, sia selvatici che da allevamento, che ospitano nuovi agenti patogeni”, spiega Katherine Smith, co-autore principale dello studio. “Questi collegamenti creano opportunità per gli agenti patogeni per cambiare ‘padrone di casa’, attraversare frontiere, ed evolversi in nuovi ceppi più resistenti di

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quelli che abbiamo visto in passato”. E gli animali sono la fonte principale di ciò che ci affligge. L’analisi ha rivelato che il 65% delle malattie nel set di dati raccolti dagli scienziati sono ‘zoonosi’ (cioè provengono da animali). Ebola, per esempio, potrebbe provenire dai pipistrelli. In tutto, queste malattie hanno causato il 56% dei focolai dal 1980. Gli scienziati hanno anche compilato per ogni decennio una top 10 delle malattie responsabili del maggior numero di focolai. Per le zoonosi, nel 2000-2010 la salmonella è in cima alla lista seguita da e.coli, influenza

A, epatite A, antrace, febbre di Dengue, shigellosi, tubercolosi, chikingunya (new entry del decennio), trichinosi. Alcune malattie nella top 10 dei decenni precedenti nel frattempo sono uscite dalla classifica, per esempio l’epatite E. Tra le infezioni specifiche umane, la top list dell’ultimo decennio è guidata dalla gastroenterite, seguita da colera, morbillo, enterovirus, meningite batterica, legionellosi, tifo e febbre enterica, rotavirus, parotite e pertosse (queste ultime 2 new entry, mentre adenovirus e rosolia hanno perso quota).


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DISCOVERY SPORT: TECNOLOGIA E SICUREZZA

Disponibile dal 2015, la nuova sport utility di casa Land Rover abbina alla sua geometria accattivante soluzioni tecnologiche all’insegna della sicurezza, che le sono valse le cinque stelle della EuroNCAP in fase di crash test.

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l Motorshow di Bologna gli occhi erano tutti per lei: la Land Rover Discovery Sport. Una sport utility che, come già successo per la Range Rover Evoque, ha messo d’accordo il pubblico di ogni età. Ma anche un’auto sicura, tanto

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on the road

da essersi guadagnata le cinque stelle di EuroNCAP, l’ente che dal 1997 veglia sulla sicurezza delle vetture di tutta Europa. Il merito va alle innovazioni tecnologiche della Discovery Sport, come l’airbag per pedoni che, situato in posizione arretrata sul cofano, si attiva in 60 millesecondi in caso di impatto con un pedone. O come la Frenata Autonoma d’Emergenza che, grazie alla telecamera stereo digitale vicino allo specchio retrovisore, emette segnali visivi e sonori qualora rilevi un pericolo di collisione, arrivando anche a frenare automaticamente. Soluzioni tecnologiche che, come in puro stile Land Rover, non pregiudicano l’estetica della vettura. Con la sua linea compatta e le sue geometrie moderne, la Discovery Sport è insieme accattivante ed emozionante. Un incontro di linee verticali e orizzontali, negli esterni (in acciaio resistenziale e alluminio) come all’interno, ancor più prestigioso con le eleganti finiture e le pelli

opzionali di alta qualità. Estetica, sicurezza, reattività: la novità di casa Land Rover ha tutto quanto attrae gli automobilisti più esigenti. Il suo sistema Terrain Response, ad esempio, ottimizza guida e comfort grazie all’adattamento del motore, della trasmissione, del differenziale centrale e dei sistemi integrati al telaio, in base al tipo di terreno; il display touchscreen da 8’’ consente di tenere tutto sotto controllo. Ma la Discovery Sport è anche perfetta per la famiglia: il suo volume di carico fino a 1698 litri e la flessibilità dei sedili che, ribaltati, danno vita a uno spazio pari a quello di una Range Rover, sono l’ideale per accomodare passeggeri e bagagli. Passeggeri che, anche sulla seconda fila, siedono comodamente, con i sedili che si spostano di 16 cm in avanti come indietro. E se si ha la necessità di caricare sette persone, è possibile scegliere l’opzione della terza fila, ripiegabile con una mano sola. Disponibile nella versione Turbodiesel


2.2 (150 e 190 CV) e benzina Si4 2.0 da 240 CV, il nuovo SUV offre infinite possibilità di personalizzazione. Modello top, la HSE Luxury, con sedili in pelle Windsor, fari allo Xeno con tecnologia LED e cerchi in lega da 19’’ a nove razze “Style 902”. Tra i colori della carrozzeria colpiscono i metallizzati Aintree Green (verdone) e Loire Blue (blu notte), oltre al nerissimo Barolo Black metallizzato premium; come optional, è possibile avere il tetto a contrasto Santorini Black o Corris Grey. Il Black Pack, sempre opzionale, è un inno al nero, con tetto a contrasto Santorini Black, griglia, prese d’aria e calotte degli specchietti retrovisori Narvik Black e scritta DISCOVERY Black sul cofano. Diverse anche le opzioni per i sedili della seconda fila, che si possono avere fissi o con scorrimento e reclinazione, oppure con l’opzione 5+2, con cui si aggiunge una terza fila particolarmente indicata per bambini e ragazzi, o per viaggi brevi. Se le versioni per gli interni si distinguono per la

loro eleganza (sei le varianti: Ebony/Ebony, Cirrus/Lunar, Glacier/Lunar, Almond/Ebony e i lussuosissimi Tan/Ebony e Ivory/Ebony), la tecnologia della Discovery Sport è di ultima generazione. I sedili anteriori sono climatizzati e regolabili indipendentemente con sistema touch, il portellone elettrico si apre (anche) con un telecomando, l’InControl Secure consente di rintracciare e recuperare il veicolo in caso di furto, e il Wade Sensing (opzionale) fornisce assistenza in fase di guado. Opzionali sono anche il Sorround Camera System, che offre una visuale di 360° sullo spazio circostante, utile per i parcheggi e in caso si traino barche o cavalli, l’impianto audio Meridian dall’acustica superba e il pacchetto Rear Seat Entertainment, con i suoi schermi da 8’’ incorporati nei poggiatesta dei sedili anteriori. Un cuore tecnologico in una corazza da confortevole sportiva.

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Estremi o quasi

Dagli sport innovativi agli sport gioco Bootcamp

A PROVA DI MARINES Il sergente di ferro, di solito di colore, può anche non essere presente. Ma i metodi restano quelli: nessun istante di pausa, sino a rimanere a corto di fiato, e una disciplina dalla quale non si sgarra. Si chiama Bootcamp l’allenamento in stile marines che pare essere particolarmente amato dalle star. Consiste nello svolgere un programma ad alta intensità che comprende corsa, flessioni, scatti e addominali. Arriva direttamente dagli States e promette di far recuperare la forma persa con le vacanze. Un allenamento della durata di sei settimane consente di perdere fino a 8 kg: la massa grassa si riduce del 3-5%, mentre la forza aumenta del 25%. La sua missione è reclutare un esercito di uomini e donne da allenare all’aperto, in qualsiasi condizione atmosferica: gruppi da 4 a 12 persone desiderosi di mettersi in gioco in un ambiente divertente, che ricalca la disciplina e la struttura militare. Sotto la guida di un trainer esperto e qualificato, sarai guidato in un intenso allenamento all’aperto di 6 settimane (due volte a settimana). Ogni allenamento è differente e studiato per far lavorare diverse aree del corpo e della mente, includendo stretching, corsa/camminata, esercizi militari, yoga, pilates, addominali, esercizi per migliorare la forza muscolare e molto altro ancora!

Acquatriathlon

TRE SPORT SOTT’ACQUA In attesa dell’estate 2015, è possibile prepararsi anche al chiuso. Tre sport, un unico habitat: l’acqua. Tutti fanno parte dell’acquatriathlon, le cui lezioni si svolgono interamente in acqua e rappresentano un ottimo allenamento soprattutto per le gambe. Stiamo parlando di bici (hydrobike), corsa e nuoto; in questi sport acquatici, i glutei, i quadricipiti e i bicipiti femorali sono costantemente sollecitati. Nell’hydrobike sono anche potenziate le caviglie e le ginocchia, mentre nella fase del nuoto sono tonificate anche le braccia e le spalle. Con una bicicletta ideata appositamente per lavorare in acqua, si pedala con i glutei sollevati, afferrando con le mani le corna dei manubri. Oppure c’è lo stile “feed back”, che prevede di uscire dal sellino portando i glutei indietro; le mani vengono poggiate sul di esso e si pedala da questa posizione, come reclinati. Per quanto riguarda la corsa, si corre sul posto in avanti o all’indietro, oppure si eseguono degli skip, cioè si sollevano le ginocchia al petto. In alcuni casi si mimano le tecniche del salto in lungo, effettuando quattro movimenti di corsa. L’unico sport “di casa” nell’acqua si fa a sua volta “diverso”: le tecniche del nuoto vengono eseguite in piedi, in verticale (per motivi di spazio), impegnando soprattutto le braccia mentre le gambe fanno da appoggio. Si impiegano tutti gli stili: rana, dorso, delfino, stile libero.

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Training di derivazione militare, tecniche della mente sospese a mezz’aria, un triathlon sott’acqua e ...uno,due, tre... arrivo! Antigravity Yoga

L’ASTRONAUTA DELLA MENTE L’Antigravity Yoga è una disciplina praticata in sospensione, ma accessibile a tutti; nasce da un’idea di Christopher Harrison, atleta, ballerino e coreografo statunitense che nel 1991 fondò la compagnia artistica Antigravity Inc, e progettò nel 1999 la prima amaca antigravità in tessuto soft touch. La disciplina è stata sviluppata inizialmente come forma di riscaldamento e rinforzo muscolare per la compagnia di danza. L’Antigravity Yoga decolla come sport nel 2007. Si tratta di un tipo di lavoro fisico e mentale adatto a tutti: la forza della vita che ti butta giù è la stessa energia che ti fa risalire. Liberarsi del senso di gravità ha molti vantaggi: svincola le articolazioni dalla compressione, distende la colonna, migliora il sistema circolatorio e linfatico, ringiovanisce la pelle stimolando la microcircolazione e infonde fiducia in se stessi e nell’allenatore. Nella sua forma più dolce, il Restorative Yoga, l’allievo esegue posizioni e movimenti a soli 15 centimetri da terra, in modo da allentare la tensione di colonna e articolazioni senza perdere il contatto con il pavimento. L’Antigravity Fitness aiuta a ritrovare leggerezza e una sensazione di volo. Uno degli obiettivi principali della disciplina - che s’ispira alle posizioni yoga ma ne integra molte altre come il pilates, la ginnastica calistenica, la danza e il gyrokynesis - è il ritorno alla presenza fisica e mentale.

Nascondino

LIBERI TUTTI OLIMPICI Nascondino. Un docente giapponese di Scienza dello Sport ha colto l’occasione dell’assegnazione dei giochi del 2020 a Tokyo per lanciare la proposta al comitato organizzatore: la nuova disciplina dovrebbe essere ammessa a livello sperimentale alle Olimpiadi in Giappone, per poi diventare una competizione ufficiale a partire dai Giochi di quattro anni dopo. Se fossero in Italia sarebbe perfetto, vista la quantità di uomini pubblici preparatissimi in questa specialità. 
L’idea ha già portato alla creazione di un comitato. Secondo lo statuto, giocare a nascondersi è uno sport, eccome; somma corsa, equilibrio, capacità di immobilizzarsi, intuito, gioco di squadra: tutti requisiti perfetti per diventare uno sporto olimpico. Il comitato promotore ha stilato un regolamento per le partite, che si svolgerebbero così: due tempi della durata di cinque minuti ciascuno in un campo di dimensioni a metà strada tra uno di basket e uno di calcio, sia su di un terreno naturale, come ad esempio un bosco, sia su un terreno artificiale, dunque costruito apposta per la gara. Si affronterebbero due squadre di sette giocatori ciascuna, facendo a turno nel chi si nasconde e chi dà la caccia. Come nel gioco praticato dai bambini di tutto il mondo, per eliminare un avversario occorre trovarlo, rincorrerlo e toccarlo.

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d1amo 1 num3r1

300 mila Asia Pulp & Paper (APP) ha realizzato un tetto fotovoltaico di 20MW presso la cartiera Gold HongYe a Suzou, Cina, creando una delle più grandi installazioni fotovoltaiche su tetto al mondo e il più grande impianto fotovoltaico esistente in Cina ad oggi. I pannelli coprono un’area di circa 300.000 m2 – l’equivalente di 42 campi da calcio. L’installazione è composta da una decina di migliaia di pannelli installati sui 12 edifici dello stabilimento, compresi i magazzini e gli uffici amministrativi della cartiera. Si stima che l’impianto solare produrrà circa 20 milioni di KWh – sufficienti ad alimentare le 6.000 case che si trovano nelle vicinanze dello stabilimento.

+ 80% L’ultima rilevazione dell’European Center for Diseaes Control and Prevention e dell’Oms, in occasione della giornata mondiale dell’AIDS, parla di 136 mila nuovi casi registrati soprattutto provenienti dall’Est Europa. Un aumento dell’80% rispetto al 2004 che riguarda, purtroppo, i giovanissimi. Oltre l’80% dei casi di contagi avviene per un rapporto sessuale non protetto. Secondo l’OMS, il 2030 potrebbe essere l’anno delle “nuove infezioni zero” e dei “morti zero” per questa malattia. Come? Se si riuscirà entro il 2020 a diagnosticare il 90% dei sieropositivi, a metterne il 90% sotto trattamento e a sopprimere il virus nel 90% dei pazienti. Un obbiettivo che, vista la situazione attuale, sembra ben lontano dall’essere raggiunto. Un recente sondaggio indica che nove italiani su 10 hanno sentito parlare di Hiv, ma non di recente, e il 75% ritiene che il tema sia poco trattato e vorrebbe che fosse più affrontato soprattutto nelle scuole (79%), sui mass media (66%), ma anche dal medico (54%).

300 La zona più inquinata d’Italia è la Pianura Padana. A ribadirlo, diversi studi che stimano come ogni abitante perda in media da 2 a 3 anni di vita a causa dell’inquinamento. A causa dello sforamento delle soglie fissate dall’Oms per la quantità di inquinanti nell’aria, in Lombardia ogni anno muoiono 300 persone, l’80% delle quali (circa 230) nella sola Milano. Questo dato considera unicamente gli effetti «acuti» dell’inquinamento, e non prende in considerazione l’impatto maggiore dovuto all’esposizione cronica. Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente sulla qualità dell’aria in Europa, la Pianura Padana, nonostante la tendenza al miglioramento, resta la peggiore d’Europa in termini di qualità dell’aria, insieme all’area più industrializzata della Polonia. A Milano la responsabilità principale delle emissioni di PM 10, circa l’85%, è del traffico, e in Area C l’Agenzia Mobilità Ambiente Territorio (AMAT) ha stimato che oltre il 70% delle emissioni allo scarico è attribuibile ad auto e camion diesel euro 3 e 4 e a motorini a due tempi.

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100 Boeing ha annunciato di aver finalizzato un contratto con la compagnia aerea irlandese ryanair per l’acquisto di 100 velivoli a medio raggio rimotorizzati 737 Max 200 con un valore complessivo di 11 miliardi di dollari a prezzi di listino. Un ordine già previsto lo scorso 8 settembre, e accompagnato dall’opzione di acquisto aggiuntivo di 100 aerei, come ricorda Boeing in un comunicato. Boeing che ha lanciato anche l’ultimo componente della famiglia 737 Max; la compagnia low-cost leader in Europa sarà infatti la prima a operare il 737 Max 200, una variante basata sul modello di successo 737 Max8, in grado di alloggiare fino a 200 posti a sedere. L’aereo consente un incremento dei ricavi potenziali e fornisce ai clienti fino al 20% in più di risparmio di carburante per posto a sedere, rispetto ai più efficienti attuali aerei a corridoio singolo.

4.1 mld La Cina deve raggiungere il proprio picco nell’utilizzo di carbone entro il 2020, se vuole adempiere all’impegno di porre fine alla crescita delle emissioni per il 2030. Per raggiungere l’obiettivo, Pechino deve contenere il consumo sotto il tetto dei 4,1 miliardi di tonnellate, cioè circa il 13 per cento in più rispetto ai 3,6 miliardi bruciati l’anno scorso. Per la prima volta, Pechino si è impegnata in maniera vincolante ad abbattere le proprie emissioni in uno storico accordo sul clima, stretto con gli Usa a margine del vertice Apec.

70 Solo 4 anni fa le previsioni sulla domanda nazionale di gas naturale puntavano al tetto dei 100 Gmc. Ma la realtà è ben diversa: dopo 3 anni di calo, la domanda non supera i 70 Gmc. Intanto i consumi di gas per la produzione di energia elettrica arretrano ai valori del 2002. E la produzione interna non potrà crescere di molto anche considerando le riserve certe. Secondo i dati preconsuntivi diffusi dal Ministero dello Sviluppo Economico, infatti, nel 2013 la stima del consumo interno lordo di gas in Italia è stata di 70,1 Gmc (70,1 miliardi di metri cubi di gas a 38,1 MJ/ mc): in pratica si tratta del terzo anno consecutivo di calo e un ritorno ai valori del 1999-2000. Nella tabella i consumi, l’importazione e la produzione nazionale di gas dal 1997 al 2013.

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Secondo il Global Wind Energy Council, il 2014 registrerà una potenza eolica installata di 47 GW. A trainare la crescita è il mercato cinese, ma anche la ripresa del comparto negli Stati Uniti e un ruolo sempre maggiore delle economie emergenti. A partire da quest’anno, il settore eolico riprenderà a crescere in modo costante, arrivando quasi a raddoppiare le installazioni globali totali da qui al 2018. Focus sul Canada e il Sudafrica, senza dimenticare le economie emergenti asiatiche. Paesi come l’India arriveranno addirittura a raddoppiare la potenza eolica installata nei prossimi cinque anni.

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NORD OVEST Milano A settembre a 13mila veicoli al giorno, il 60% rispetto al break even . Ad oggi un milione e 650mila veicoli hanno già viaggiato su Brebemi. I dati scaturiti alla vigilia della ripresa dei lavori per il prolungamento della provinciale 591, destinato a collegare il sud del Cremasco e la stessa città con l’autostrada Brebemi, non allontanano le nuvole nere dalla nuova autostrada e dai suoi conti specie dopo la bocciatura del Parlamento rispetto a una ipotesi di rifinanziamento pubblico. Brebemi ha battuto tutti i record. Negativi. I suoi costi sono triplicati da 800 milioni a 2,4 miliardi, facendo costare l’autostrada 38,7 milioni a km. Per finanziare la nuova autostrada che collega Milano a Brescia, Brebemi si è sobbarcata un tasso d’interesse strabiliante del 7,8% che ora vuole riversare sugli utenti per i venti anni della durata della concessione. Anche i pedaggi della nuova arteria sono da record. Doppi sia per le automobili che per i Tir rispetto alle tariffe medie delle autostrade nazionali. E oggi difficilmente qualcuno scommetterebbe oggi su un traffico che possa far quadrare il project financing senza insistere per un aiuto di Stato di 490 milioni di euro di defiscalizzazione, 80 milioni a fondo perduto e l’allungamento della concessione di 10 anni, quando l’impegno iniziale dei promotori era quello di non far sborsare un euro allo Stato.

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Washington Con un mercato del petrolio che colpisce gli Stati Uniti (forse costretti a tenersi in caldo per un po’ di tempo le riserve di shale gas), ma specialmente Russia e Iran, costretti a produrre sotto il margine dei costi, in America comunque si è aperta la battaglia fra Obama e i repubblicani proprio sui temi energetici. Nell’occhio del ciclone il colossale oleodotto di Keystone il “pipeline” che dal 2005 promette di trasportare 830mila barili al giorno estratti dalle sabbie bituminose del Canada fino alle raffinerie del Golfo del Messico attraverso 1.200 miglia di nuovi oleodotti. Il primo round è andato a Obama: i repubblicani, con l’aiuto di 14 transfughi dell’uscente maggioranza democratica, hanno raccolto 59 consensi al progetto, ma al Senato ne servono almeno 60 per mettere in agenda una proposta di legge. Vanificati quindi gli ok della Camera. Ma per Obama si tratta di una vittoria di Pirro. Proprio sull’energia e su Keystone la partita è rinviata a gennaio quando il leader conservatore Mitch McConnell ripresenterà il piano al nuovo Congresso interamente controllato dal suo partito.


Varese Mentre i lavori per realizzare l’ArcisateStabio, dal confine con Varese a Gaggiolo, sono ancora in alto mare e non saranno terminati in tempo neppure per l’Expo di Milano del 2015, la nuova linea ferroviaria è pronta inSvizzera. Sono circa sei chilometri e mezzo, tra il nuovo tratto da Gaggiolo a Stabio e quello riqualificato da Stabio aMendrisio, in esercizio dal 14 dicembre, con l’entrata in vigore dell’orario invernale. Ma sul fronte italiano è tutto fermo. Prima le polemiche sul tracciato, quindi quelle sull’amianto che niracolosamente si trova sono al di là del confine e non nella tratta su territorio elvetico. Infine la costituzione dei consueti Comitati.

Berna Nella classifica delle 10 economie più competitive al mondo, ben sei posizioni sono occupate da Paesi del Vecchio continente. Nella graduatoria annuale del World economic Forum (the Global Competitiveness Report 2014-15), l’Italia risulta al 49esimo posto su un totale di 144 economie.La Svizzera si mantiene per il sesto anno consecutivo in testa alla classifica di competitività, grazie alle sue istituzioni accademiche di alto livello, gli elevati investimenti in ricerca e sviluppo e la forte cooperazione tra il mondo

accademico e lavorativo. Segue Singapore, che si aggiudica la medaglia d’argento per il quarto anno consecutivo. La terza posizione è appannaggio degli Stati Uniti, che riconquistano il podio superando la Finlandia ; qindi la Germania , il Giappone , Hong Kong , Paesi Bassi (all’ottavo), la Gran Bretagna (che sale al nono dal decimo dell’anno scorso) e la Svezia (scesa dal sesto al decimo). La classifica tiene conto di una serie di parametri relativi sia alle aziende sia al funzionamento della pubblica amministrazione e alla pressione fiscale.

Panama Sono nell’ordine Seoul in Corea del Sud, Panama e Nicaragua le destinazioni più di tendenza del 2015. Lo rivela il sito globale di ricerca viaggi Skyscanner, che ha pubblicato la lista delle 8 destinazioni che si prevede avranno un aumento di popolarità tra gli italiani nel prossimo anno. La classifica è un mix di paesi e città, e si basa su un’analisi condotta da Skyscanner considerando i dati delle ricerche voli negli ultimi tre anni, integrata da ulteriori studi di mercato. miglioramento delle infrastrutture, prima fra tutte la metropolitana, inaugurata nel 2014,

insieme a una maggiore frequenza dei voli provenienti dall’Europa e dal Nord America, stanno accrescendo l’attrattività di Panama. A livello mondiale infatti le ricerche online sono aumentate del 12%; in Italia l’aumento è stato del 29%. Panama è destinata a crescere come destinazione turistica nel 2015, grazie soprattutto alle tante spiagge da scoprire, spesso paradisi per i surfisti, e alla sua offerta eco-turistica – ad esempio con l’inaugurazione quest’anno del Biomuseo, progettato da Frank Gehry – e con i tanti viaggi organizzati alla scoperta delle piantagioni di caffè.

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sud eST Singapore I ricchi cinesi scappano all’estero. E’un fenomeno sempre più diffuso, che la leadership di Pechino cerca di dissuadere senza sapere bene come. Ora, un’indagine Barclays dà un po’ di numeri. Basata su interviste a più di 2.000 individui che, complessivamente, rappresentano un patrimonio netto di 1,5 miliardi di dollari, rivela che il 47 per cento del campione intende trasferirsi, a fronte di una media mondiale del 29 per cento. Si citano come motivazioni le migliori opportunità educative e occupazionali per i figli (78 per cento), la sicurezza economica e il clima desiderabile (73 per cento), assistenza sanitaria e servizi sociali più efficienti (18 per cento). La destinazione preferita è Hong Kong (30 per cento), seguita dal Canada (23 per cento). La mente corre allo scorso gennaio, quando il governo di Ottawa fu costretto a congelare i visti concessi ai ricchi cinesi perché il suo consolato di Hong Kong era sepolto sotto una montagna di domande inevase e non smaltibili: oltre 50mila. Erano quelle di chi può concorrere allo status di “Federal investor”, che prevede un investimento di almeno 800mila dollari in Canada in cambio della residenza. L’indagine rivela anche che, dopo i cinesi, sono i cittadini di Singapore quelli più desiderosi di andarsene a vivere altrove. Curiosamente, la loro meta preferita è proprio la Cina. Insomma, è come se i cinesi d’oltremare credessero al sistema Cina più di quelli continentali.

Kuala Lumpur La Malesia ha deciso di puntare sul turismo di lusso e, per farlo, ha dato via ad un immenso progetto che prevede la costruzione di tre isole artificiali di fronte a Malacca. Con un investimento di 9,5 miliardi di euro e una superficie di 609 acri, il Melaka Gateway comprenderà le più grandi isole del Sud Est Asiatico. Aperta ora la prima fase dei lavori, che si chiuderà nel 2018, per vedere il progetto completato bisognerà aspettare il 2025. La struttura comprenderà diverse attrazioni tra cui una ruota panoramica, una via dello shopping con le griffe più famose del mondo, una grande struttura portuale di tipo turistico e, sempre seguendo l’esempio di Dubai, una torre alta 268 che richiamerà lo stile del Burj Khalifa per ospitare un hotel a 7 stelle e appartamenti di lusso.

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Durban La Petra Diamonds ha trovato nella miniera sudafricana di Cullinan un diamante bianco da 232.08 carati. Secondo gli analisti il valore potrebbe aggirarsi tra i 10 e i 16 milioni di dollari (7,7 e 11,6 milioni di euro). All’indice Ftse 250 Midcap di Londra il titolo della società mineraria è balzato del 6,5%. Il diamante bianco appena scoperto è il più grande dal Cullinan Heritage da 507 carati trovato nella stessa miniera nel 2009, che raggiunse il prezzo record di 35,3 milioni di dollari

Dubai Secondo l’ultimo Global House Price Index di Knight Frank il mercato immobiliare è in netta ripresa. Ciò accade in 40 dei 54 Paesi presi in considerazione dallo studio dove i prezzi su base annua sono aumentati o sono rimasti invariati. Due anni fa solo 31 Paesi rientravano in questa categoria. L’indice è aumentato del 5,2% nei 12 mesi dal giugno 2013 al giugno 2014 e ha ora superato del 14,3% il minimo toccato nel secondo trimestre 2009, il punto più basso della cris”. Dubai si conferma numero uno al mondo per il quinto trimestre consecutivo con un aumento annuo dei prezzi delle case del 24 per cento. Per quanto riguarda l’Europa,

la Turchia cresce del 14%, Irlanda (+13%) e Gran Bretagna (+12%) mentre Cipro, Grecia e Slovenia restano agli ultimissimi posti in classifica. L’Irlanda in meno di due anni è passata dalle 54esima posizione nelle retrovie alla terza posizione. I prezzi nell’ultimo anno sono aumentati del 12,5 per cento. L’Italia, con un calo su base annua del 4,6%, è quart’ultima, in 51esima posizione su 54. Negli Stati Uniti nell’ultimo trimestre il ritmo della crescita è rallentato dal 10,3% al 6,2% e, secondo Everett-Allen, potrebbe calare ancora con il graduale ritiro del sostegno alla ripresa da parte della Federal Reserve.

Ryadh Per l’ Arabia Saudita, passerà alla storia come il mese del sangue. Nel mese di agosto sono state decapitate 26 persone, quasi il doppio di quelle messe a morte nei primi sette mesi dell’anno. Nella maggior parte dei casi, le persone decapitate erano state giudicate colpevoli di reati di droga – anche il mero possesso costituisce un reato punibile con la pena di morte. Come nel caso delle due coppie di fratelli messi a morte il 19 agosto, le cui famiglie erano state “invitate” dalle autorità a smetterla di cercare l’assistenza di Amnesty International se ci tenevano alla salvezza dei loro parenti. Una delle 26 decapitazioni è avvenuta per

stregoneria. Dal 1985 al 2013, in Arabia Saudita sono state eseguite oltre 2000 condanne a morte, la maggior parte delle quali tramite decapitazione in luogo pubblico. In alcuni casi le teste mozzate sono state lasciate esposte per lunghi periodo di tempo”. Circa la metà delle persone messe a morte erano cittadini stranieri, soprattutto migranti asiatici, spesso abbandonati dalle autorità dei paesi di origine e privi di risorse per pagare un buon avvocato o quanto meno un traduttore, dato che i processi si svolgono in arabo. L’Arabia Saudita mette a morte anche minorenni al momento del reato: almeno tre nel 2013, almeno uno nel 2014.

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italia gli appuntamenti da non perdere 1

BAF 10-13 GENNAIO BERGAMO L’arte moderna e contemporanea protagonista alla Fiera di Bergamo. Da venerdì 10 gennaio (inaugurazione ore 18), a lunedì 13 gennaio (chiusura ore 13), il polo fieristico di Bergamo ospiterà la 10a edizione di Bergamo Arte Fiera (BAF). La mostra-mercato, cresciuta e migliorata costantemente negli anni, ha il merito di essere riuscita negli anni a richiamare sempre di più anche collezionisti e curatori di istituzioni alla ricerca di nuove tendenze a livello internazionale. Quest’anno occupa 6.500 metri quadrati, in cui sono ospitate 88 Gallerie d’arte.

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LEONARDO E I TESORI DEL RE Sino al 25 gennaio TORINO

La mostra è una selezione di oltre ottanta capolavori assoluti della Biblioteca Reale di Torino. Tra le opere, il celeberrimo Autoritratto, il Ritratto di fanciulla, il Codice sul volo degli uccelli di Leonardo da Vinci, disegni di Raffaello, Carracci, Perugino, Van Dyck e Rembrandt, codici miniati, carte nautiche e altre opere grafiche. www.milanounica.it

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SAGRA DEL MANDORLO IN FIORE GENNAIO AGRIGENTO La sagra del mandorlo in fiore si svolge ad Agrigento, in Sicilia: questa festa nacque nel 1934 con lo scopo di celebrare la primavera agrigentina con una giornata di allegria e serenità. Lo scenario è molto suggestivo e offre il paesaggio della Valle dei Templi, incorniciato dal colore bianco dei mandorli fioriti. La festa ha inizio con il rito della Fiaccola dell’Amicizia.

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TRAME DI GUERRA 13/12/2014 - 8/2/2015 PAVIA “Trame di guerra” si presenta come una riflessione sul primo conflitto mondiale, evitando qualsiasi intento celebrativo. La guerra viene letta non tanto dal punto di vista geopolitico o militare, quanto piuttosto da quello umano e sociale, delle ricadute sulla vita degli attori del conflitto, attivi (i soldati) o passivi (la popolazione). http://www.museicivici.pavia.it

www.visitagrigento.it

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Dal 2 dicembre 2014 al 22 febbraio 2015, Palazzo Pitti a Firenze accoglie nelle monumentali sale del Museo degli Argenti la mostra I TESORI DELLA FONDAZIONE BUCCELLATI. Da Mario a Gianmaria, 100 anni di storia dell’arte orafa. Oltre cento opere, tra gioielli, lavori di oreficeria e di argenteria disegnati da Mario e Gianmaria Buccellati. www.bibliotecareale.beniculturali.it

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www.promoberg.it

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I TESORI DI BUCCELLATI 2 DICEMBRE 22 FEBBRAIO firenze

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Corri Forrest, corri...

Seduti E Arrabbiati

Eccomi qua… io corro… e allora arrivo prima. Ma se arrivo dopo… lo dico. Un amico di mamma mi raccontava una filastrocca… “Always late in takeoff always late in arrival”. Parlava di una compagnia, mi pare, che si chiamava Alitalia. Sì sì, proprio Alitalia, quella diventata oggi un po’ meno Alitalia… …A Forrest piacciono le filastrocche… E allora sono andato a cercarmi tutte quelle storielle sulle compagnie che volano… si chiamano acrostici… io pensavo che gli acrostici si pescassero… e invece mamma mi ha detto che è un modo per ridere dei nomi. E sulle compagnie che volano ne ho trovati tanti. British Airways (BA sta per Bad Attitude) e tanti altri… Ma non voglio parlare di loro che volano… ma di quelli che stanno ad aspettare quelli che volano… E mi sono chiesto… ma perché quei crostacei, gli acrostici, ci sono solo per le compagnie e non per gli aeroporti? Perché è lì negli aeroporti che la gente si arrabbia… l’altro giorno c’ero anch’io e non capivo… ho capito quando ho offerto un cioccolatino e a momenti quello era tanto arrabbiato che mi rovesciava la scatola…

E allora mi sono arrabbiato anch’io…. sul tabellone l’aereo doveva essere già partito, ma noi eravamo ancora lì…. o l’avevamo perso tutti… oppure l’aereo non c’era. E allora mi sono venuti in mente gli acrostici…. Sea, dove i tabelloni non cambiano e nessuno ti dice niente forse significa… Seduti E Arrabbiati… Vuoi un cioccolatino? E forse ADR vuol dire Adesso Devo Ritornare. Poi c’era un amico che guardava il telefono e, ci dice, l’aereo non è invisibile… credevo di essere diventato cieco… non è ancora partito da Roma e a Milano per tornare

a Roma partirà con due ore di ritardo… Tutti sono davvero arrabbiati. Perché sea ti ordina solo: Siediti E Arrabbiati…che intanto a noi cosa ci importa? Il banco informazioni è fuori, al sicuro, lontano dalle porte… che poi entri in aereo… se c’è. Gli omini che ti potrebbero dire di persona: Siediti e Arrabbiati non si fanno vedere… Sul tabellone che sembra quello del basket… il mio, nostro, aereo è già partito… e secondo me è andato via senza farsi vedere… Intanto tutti hanno obbedito… sono tutti Seduti E Arrabbiati… io sto in piedi… Corro

Forrest

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mondo gli appuntamenti da non perdere 1

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BOOT Dusseldorf 25 GENNAIO 2015 DUSSELDORF Boot Düsseldorf è l’appuntamento tradizionale di apertura del mondo della nautica. Si tratta di una fiera dedicata alla nautica e agli sport acquatici, indirizzata agli appassionati di tutto il mondo, che anticipa le grandi novità del mercato ed è cartina tornasole dei trend che lo caratterizzeranno nell’anno a venire. http://www.messe-duesseldorf.de

LIVING KITCHEN 19 - 25 gennaio Colonia

LA FESTA DELL’UOMO NUDO Okayama (Giappone)

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Living Kitchen, il salone internazionale della cucina, è riuscito ad imporsi sulla Si svolge il terzo sabato scena internazionale grazie di febbraio presso il tempio Saidaji a Okayama. agli oltre 185 espositori provenienti da 20 Paesi Hadaka Matsuri, che diversi, che presentano letteralmente significa prodotti, accessori ed “festa dell’uomo nudo”, elettrodomestici per è una festa tradizionale che risale a 1200 anni fa. cucine. L’evento gemella Gli uomini si immergono tutti i professionisti coinvolti nel mondo delle in acque gelate in un cucine. rito di purificazione. La http://www.koelnmesse.de

temperatura dell’acqua è di circa 9 gradi.

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www.jnto.go.jp › Home › Okayama

Ski World Cup 10 - 11 GENNAIO Aledboden Le competizioni sciistiche internazionali approderanno nuovamente ad Adelboden. Per due giorni all’anno Chuenisbärgli si trasforma in uno spettacolo a dir poco strabiliante. Al tradizionale slalom gigante del sabato segue il non meno spettacolare speciale della domenica www.weltcup-adelboden.ch

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home 11-13 GENNAIO LONDRA Imperdibile per chi ama lo stile inglese nell’arredamento. Si tratta della fiera più importante del Regno Unito per oggetti per la casa e accessori innovativi. All’interno della Fiera anche gli eventi Top Drawer e Craft con oltre 800 pezzi prodotti nel Regno Unito o frutto di una selezione nell’offerta del design internazionale. Insieme, i tre show presentano la più grande collezione di marchi di design, con oltre 1000 espositori per ogni gusto.

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Frejus Due Sono trascorsi 35 anni da quando l’allora presidente del Consiglio, Giulio Andreotti insieme con il collega francese Raymond Barre tagliò il nastro di una delle più importanti infrastrutture di collegamento alpino, quel traforo del Frejus che tutt’oggi è per lunghezza il nono tunnel stradale del mondo. A 35 anni di distanza la gigantesca talpa partita dal lato francese ha scavato prima i 6495 metri di competenza della Francia quindi i 6353 metri verso l’Italia sfondando l’ultimo diaframma della seconda galleria che consentirà al traffico stradale, con standard di sicurezza immensamente più alti, di scorrere su due canne a senso di marcia opposto.

1084 giorni per realizzare il tunnel, che – come già accaduto sino a oggi – saranno rispettati i tempi di marcia, sarà operativo a partire dal 2019. Occorre infatti approntare i rifugi, scavare le gallerie di collegamento con il tunnel principale, collocato a una distanza di 50 metri, realizzare gli impianti di ventilazione, illuminazione, antincendio e allestire la sede stradale. Il nuovo traforo ospiterà il traffico verso la Francia; in quello attuale, largo 9 metri e bidirezionale, si viaggerà verso l’Italia. Il costo delle opere civili è risultato più basso in Italia, 102 milioni di euro, rispetto alla Francia dove sono stati spesi quasi 156 milioni. In pratica Sitaf ha speso 16 milioni e 189 mila euro

a chilometro contro i 24,325 della società di gestione d’oltralpe. Adesso restano da appaltare gli altri lavori, quelli per gli allestimenti degli impianti (la delibera Cipe fissa in 204 milioni il costo complessivo dei lavori lato Italia). Lo scavo è iniziato nei primi giorni di luglio del 2011 dal lato francese. La seconda galleria corre parallela a quella già in esercizio e ad essa sarà unita da una serie di rami di collegamento in cui sono situati gli impianti e i rifugi di emergenza. Nei lavori è stata impegnata la gigantesca fresa denominata Anna che entro marzo sarà smontata sul piazzale di Bardonecchia. 20 milioni di veicoli in questi anni hanno attraversato il vecchio Frejus.

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l’eleganza del gusto BISTROT MILANO COLLABORA CON: Gerardo Giudice - Chef

è una delle figure più promettenti nel mondo dell’alta ristorazione. Esperienza professionale in Francia, con Beltramelli della scuola di Alain Ducasse e Piero Nagari, poi con Gualtiero Marchesi. Oggi lavora al Ristorante Bistro Milano. La cucina di Gerardo Giudice è profondamente orgogliosa della tradizione gastronomica italiana, da cui anche la grande cucina francese trae ispirazione.

RISTORANTE BISTRO MILANO Via Amoretti 94 Milano Tel. +39 331 136 8207 www.bistromilano.it


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