I nuovi uffici per la Camera dei Deputati

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Facoltà di Architettura

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA (RESTAURO) A.A. 2015/2016 TESI IN PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA

I NUOVI UFFICI PER L A CA MER A DEI DEPUTATI Un’ipotesi critica

Relatore PROF. ARCH. MANUELA RAITANO Studente ALFONSO MAROTTA n° matricola 1329425



Indice

PREMESSA 5

Parte prima I. QUADRO STORICO 1. Anni ’60: il decennio del disimpegno 8 2. Il concorso 9 3. L’analisi di Manfredo Tafuri 9 4. “Montecitorio valle di lacrime” 12 II. CONTESTO FISICO 1. Roma e le sue identità 13 2. Il centro storico: ambiente e contesto 14 3. Montecitorio e il parlamento italiano 15 Parte seconda I. IL NUOVO PARL A MENTO 1. Mutamento in atto 18 2. Ruolo urbano delle istituzioni 18 3. Le esigenze del contemporaneo 18 4. Roma e l’archeologia: valorizzazione e fruizione 19 Parte terza I. UN’IPOTESI CRITICA 1. Il tessuto compatto: una possibile strategia 22 2. Programma distributivo 27 3. Programma funzionale 28 4. La scala architettonica: lo sviluppo delle piante 29 5. La scala architettonica: il disegno dei fronti 38 6. La scala del dettaglio 43

BIBLIOGR AFIA 51


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PREMESSA

“È inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.” Italo Calvino Progettare all’interno di un tessuto urbano consolidato come quello della città di Roma è da sempre, per gli architetti contemporanei, una sfida. Intervenire all’interno dei centri storici pone al progettista una serie di domande: è possibile intervenire e modificare l’ambiente storico consolidato? Come e con quali strumenti bisogna intervenire? Quale relazione deve esistere tra il nuovo e il costruito in un contesto che oltre ad essere storico è anche monumentale? Una città vive e muta nel tempo; le infrastrutture, gli spazi urbani, l’organizzazione del lavoro, la tecnologia, i nuovi stili di vita, impongono un cambiamento, la contemporaneità plasma la città, e Roma non è esente da tali dinamiche. La consapevolezza e la presa di coscienza nei confronti del patrimonio artistico, culturale e paesaggistico, esigono una strategia d’intervento sulle funzioni del centro storico, un rinnovamento della sua immagine. Emerge, quindi, la necessità di definire i caratteri degli spazi urbani, incidere sullo spazio fisico al fine di restituire forma e dimensione di un luogo. È nel progetto per i nuovi uffici della Camera dei deputati, concorso bandito nel 1967 a opera dello stesso organo parlamentare, che le considerazioni che precedono sono più evidenti. Dai problemi che questo tema fa emergere deriva il fine specifico e prioritario del progetto, ovvero, il controllo architettonico dell’ambiente urbano. Esplicativo è un passaggio estratto dalla relazione di progetto del gruppo Aymonino per il concorso del 1967: «il centro storico è uno degli elementi, tra i più importanti, della città contemporanea. Con essa deve essere strettamente correlato non solo nelle destinazioni d’uso ma anche nei rapporti spaziali e architettonici. In questo senso il centro storico va progettato nel suo insieme, nella sua forma giudicata al livello della città contemporanea.» Da queste premesse, possiamo affrontare l’area di progetto in esame per come si presenta: una lacuna urbana, un luogo irrisolto, prodotto delle trasformazioni che la città ha vissuto e che la contemporaneità non ha ancora portato a compimento. È l’architettura quindi che può e deve controllare e rappresentare la trasformazione della città, luogo antropico e antropologico per eccellenza, perché strumento di misura della società di un dato territorio. L’intento dell’architettura è quello di riscattare l’identità di un luogo e una strategia è possibile, essa passa attraverso l’indagine critica delle dinamiche di un dato tempo e spazio, una lettura dei fenomeni che hanno condizionato e condizionano queste dinamiche, “testo e contesto”, per arrivare all’obiettivo primario, il progetto.

Figura 1 - Piazza del Parlamento negli anni ‘20 (Archivio storico della Camera dei Deputati);

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Parte prima “Ma una città è come un libro di storia, non serve strapparne una pagina solo perché non ci piace. La città ha una memoria molto lunga, come quella degli elefanti.” Renzo Piano


I. QUADRO STORICO 1. Anni ’60: il decennio del disimpegno La decade che va dalla fine delle Olimpiadi nel 1960 agli inizi degli Anni di piombo è un periodo che vede forti trasformazioni nella società e nella cultura italiana e Roma è profondamente coinvolta nelle dinamiche del decennio, che passa attraverso la fine del boom economico degli anni ’50, l’approvazione del nuovo Piano regolatore generale nel dicembre 1962 e la successiva “variante generale” del 1967, l’elezione della prima giunta di centrosinistra, la lotta del movimento studentesco del ’68, l’ideazione dell’«asse attrezzato», poi Sdo, e il concorso per la Camera dei deputati. Inoltre si registra in quegl’anni una progressiva ritirata da parte della stampa d’informazione, di uomini di cultura, di personalità influenti, e degli stessi architetti «impegnati» che avevano dettato le linee da percorrere nel decennio precedente. Fa notare Italo Insolera nel suo libro Roma Moderna, che non fu la cultura impegnata di quel momento storico a reagire, ma furono gli studenti stessi ad operare un rifiuto, che si trasformò poi in lotta, nei confronti di un modo di operare che era arrivato alla conclusione di un suo percorso. Furono chiamati alla Facoltà di Architettura di Roma Luigi Piccinato, Ludovico Quaroni, Bruno Zevi, personaggi che promuovevano un profondo ripensamento delle proprie posizioni, una sorta di riscatto dell’architettura sull’urbanistica. Si andrà delineando però una cesura con la realtà: «Architettura sono allora le due o tre case che piacciono ai critici e non le centinaia di migliaia di case in cui vive il resto dell’umanità.» e ancora: «siccome quelle due o tre case non ci sono, si decide che sono Architettura i progetti e i plastici: il critico lavorerà su questi, la storia dell’architettura non sarà costituita dal confronto dell’edificio con la vita, ma dal confronto di raffinati plastici.»(Insolera, 1962). È questo il clima in cui si inseriscono i due progetti più importanti del decennio per la città di Roma. Nel primo caso l’intento era quello di intraprendere la via dell’architettura per ritrovare l’urbanistica e il piano, il grande Sistema direzionale orientale (Sdo) affrontava il tema urbanistico che avrebbe interessato importanti quadranti della futura espansione metropolitana, interi quartieri della periferia romana, Pietralata, Centocelle e l’Eur, attravero la creazione di una nuova direttrice urbana che avrebbe affiancato il centro storico; ma che nei fatti non riuscì a dare una soluzione al problema. Diversi furono i tentativi, tutti corredati da studi planimetrici e plastici esemplari, tra tutti emerge il lavoro dello Studio Asse, studio professionale di alcuni degli architetti e ingegneri membri delle commissioni di consulenza, che tenterà di dare una soluzione urbanistica facendo esclusivamente architettura. La voglia di uscire da un «clima caotico e dilettantistico» dell’urbanistica romana è molto forte, ma tutto finì nel nulla, senza ottenere nemmeno un lascito culturale. Sono sotto gli occhi di tutti le conseguenze che determinate valutazioni hanno avuto, il ruolo assunto successivamente dalle aree interessate, con l’Eur come unico polo direzionale della Capitale e una sconfitta degli architetti nell’influenzare le scelte della politica e la stessa cultura architettonica. Nel secondo episodio, ovvero il concorso per i nuovi uffici della Camera dei deputati, gli esiti non si allontanarono molto dall’esperienza precedente. Era dai tempi degli sventramenti del Ventennio fascista che non si interveniva nel tessuto urbano del centro storico di Roma, e dopo l’esperienza di piazza Augusto Imperatore, ora si proponeva di inserire un nuovo fabbricato, con un carico funzionale molto elevato, in uno dei pochi vuoti rimasti nel centro storico, senza un vero e proprio programma per il sistema infrastrutturale circostante, in particolare per la grande autorimessa interrata, che avrebbe finito per congestionare un’area non priva di un carico veicolare già importante e cambiato profondamente l’assetto del centro storico.

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Figura 2 - Studio Asse: Studi di fattibilità, ricerche, analisi, esemplificazioni progettuali per le zone direzionali di Roma;


Figura 3 - Copertina del Bando di Concorso del 1966; Figura 4 - Stralcio dei profili quotati degli edifici circostanti in piazza de Parlamento;

È il bando, in questo caso, ad essere sbagliato, ed è evidente l’incapacità, anche politica, di affrontare il delicato tema e creare un’opportunità per la città di Roma e il suo centro storico. I partecipanti al concorso finiscono nuovamente per dimostrare che bravura personale e arte, da sole, non riescono a dare una soluzione al tema dell’architettura contemporanea nei centri storici, Ciononostante sul piano progettuale si delineeranno, come affermerà anche lo storico dell’architettura Manfredo Tafuri, alcune proposte coerenti nel processo di progettazione, ed è proprio lo storico che in una lunga analisi del bando e delle proposte presentate tenterà di trarre un bilancio sullo stato dell’arte dell’architettura italiana. Il concorso si concluse senza un vero vincitore, la giuria, composta da parlamentari, consulenti tecnici, funzionari e solo in minima parte da membri della cultura architettonica, non riuscì nell’obiettivo del concorso, di conseguenza non vi fu un progetto vincitore, ma 18 rimborsi spese su 64 proposte presentate. L’apertura di un dibattito sul ruolo del contemporaneo nel centro storico fu il vero risultato di questo episodio per la storia dell’architettura romana, ma allo stesso tempo sancì definitivamente la chiusura della città alla contemporaneità, proprio nel cuore della città eterna. 2. Il concorso Il bando di concorso per il nuovo palazzo per uffici della Camera dei Deputati venne pubblicato, in Gazzetta Ufficiale, il17 maggio 1966, l’area destinata al progetto era un terreno di 3300 metri quadrati di proprietà della Camera in piazza del Parlamento, compreso tra via della Missione e via di Campo Marzio. Nella redazione del progetto era richiesto di tener conto che il nuovo fabbricato dovesse integrare il complesso di edifici, già dedicati alle attività parlamentari, prospicienti il lotto e Palazzo Montecitorio; erano previsti collegamenti diretti, interrati o sopraelevati, con la Camera; doveva prevedere un nuovo piano di mobilità per l’inserimento di un’autorimessa sotterranea di circa 700-800 posti auto; inoltre veniva esplicitata la necessità di «un armonico inserimento del nuovo edificio nell’ambiente circostante, sia dal punto di vista urbanistico sia da quello architettonico, tenendo soprattutto conto della particolare importanza della zona.» Il bando chiedeva, quindi, la sistemazione di una serie di funzioni legate all’attività parlamentare, al personale e ad attività aperte al pubblico, oltre all’’autorimessa sotterranea già menzionata: - Uffici destinati ai Servizi Studi, legislazione e inchieste parlamentari, e documentazioni e statistiche parlamentari; - Biblioteca (1.000.000 volumi), relativi uffici e spazi di catalogazione, inventario, segnatura, sala cataloghi, sala di consultazione, sala riunioni, ufficio pubblicazioni; - Autorimessa sotterranea (700-800 posti auto); - Ristorante (250 servizi); - Sale di ricevimento del pubblico (15-20 sale); - Archivio centrale; - Centro elettronico elaborazione dati (C.E.D.); - Centro microfilmatura e riproduzione documenti; - Sale di scrittura (per 540 deputati); - Uffici per gli ex Presidenti dell’Assemblea - Due appartamenti di rappresentanza - Servizi vari - Banca, ufficio postale, ambulatorio medico, tabaccheria, barbieria; - Locali tecnici - Inserimento della fontana barocca ritrovata in seguito alla costruzione dell’ampliamento di Palazzo Montecitorio ad opera di Ernesto Basile. È evidente la complessità di un simile progetto, l’impossibilità, secondo molti, di realizzare un tale fabbricato in quel contesto storico-fisico, ma mostra ancor di più l’incapacità di dialogo tra amministrazione pubblica, critica architettonica e opinione pubblica. Queste sono le ragioni e le cause che portarono al fallimento del concorso, purtroppo caso non isolato nella storia architettonica del secondo dopoguerra italiano. 3. L’analisi di Manfredo Tafuri A fare un bilancio critico e approfondito del concorso bandito dalla Camera dei Deputati nel 1966 fu lo storico e critico d’architettura italiano Manfredo Tafuri, atrraverso un testo critico che pubblica nel 1968. Egli mette a fuoco le molteplici criticità del bando e dei progetti presentati, ma allo stesso tempo riesce a trarre un bilancio conclusivo e ampio sullo stato dell’arte del mondo dell’architettura nel nostro Paese in quel preciso momento storico. Come afferma lo stesso Tafuri, nella storia dei concorsi di architettura in Italia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi è stato un susseguirsi di vicende caratterizzate «dal naufragio delle proposte culturalmente preminenti, da risultati che vedono accomunate nei carrozzoni dei premi ex-aequo le più distanti soluzioni, e dallo sfociare, il più delle volte, in un nulla di fatto 9


finale.» Questo accadde anche per il concorso per i nuovi uffici della Camera dei Deputati a Roma. Gli esempi sono molteplici e i problemi sono da ricercare nel sistema della burocrazia italiana e, allo stesso tempo, nella cultura architettonica. Le sue prime considerazioni sono proprio sulla composizione della giuria e sulle prescrizioni dettate dal bando stesso. I sessantaquattro progetti presentati sono stati esaminati da una giuria molto ampia, composta da Presidenti, Deputati, segretari, funzionari dello Stato, consulenti tecnici e funzionari vari. Di questo “esercito” solo sei membri appartenevano al mondo della cultura architettonica e solo tre erano storici. Problema di competenze che Tafuri mette in evidenza e ne fa uno delle cause alla base del fallimento della prassi concorsuale italiana del secondo dopoguerra. Altro fattore determinante è la scomposizione del giudizio in categorie separate (tecnologiche, strutturali, distributive e formali), ognuna con un punteggio da sommare, negando quindi il carattere di totalità dell’atto di progettazione, con metodi che Tafuri definisce semplicemente anacronistici. Questi i fattori che impossibilitavano la giuria nell’arduo compito di valutazione e selezione dei progetti presentati. Progetti caratterizzati, afferma Tafuri, da due livelli di complessità: il primo, riguardante il tema del moderno nei centri storici, tema relativamente nuovo e inesplorato in quegli anni; il secondo, invece, riguarda la più complessa situazione dell’architettura internazionale, che si apprestava a una crisi che ancora non aveva «chiare ed evidenti le vie consumate e non più proponibili.» Ultimo ordine di problema è il bando stesso, l’impostazione e la superficialità con cui sono state impostate le direttive del progetto hanno determinato la presentazione di proposte lontane da una vera soluzione al tema. È evidente lo scarso, se non assente, studio del contesto storico e urbanistico dell’area e delle reali esigenze della vita parlamentare odierna. Imponendo e fissando un programma rigido e ampio, come quello del bando, il risultato non può essere altro che una struttura precostituita, difficilmente capace di dare una risposta funzionale e formale al tema. Tafuri nel suo testo si sofferma anche su una approfondita ma breve analisi sul contesto e sulla struttura urbana di Montecitorio. Attraverso un excursus storico-critico mette in evidenza i forti squilibri strutturali di piazza del Parlamento e del sistema urbano circostante. Il vuoto creato e l’incompiutezza della piazza, derivano da mutamenti messi in atto nel corso di più secoli, e che non ha trovato nel progetto di Ernesto Basile per la Camera dei Deputati una soluzione, ma, al contrario, quest’ultimo ha spezzato un equilibrio che precedentemente viveva. Nella terza parte Tafuri si concentra sull’analisi delle proposte presentate e tenda di dare una classificazione che riassuma le tendenze, i criteri e le costanti che ricorrono nei progetti dei vari autori. Lo fa attraverso l’analisi dell’approccio al tema del centro storico, e all’inserimento di un nuovo oggetto all’interno di esso. Nell’individuare i fattori comuni ai diversi progetti egli delinea quattro macro gruppi che tentano di semplificare il confronto tra i vari progettisti, ai quali affianca la proposta di Italo Insolera, proposta che rifiuta l’architettura e tenta di dare una soluzione al problema attraverso l’urbanistica. I quattro gruppi (più uno) che Tafuri mette in evidenza possono essere riassunti attraverso le seguenti parole chiave: VUOTO DELLA FORMA approccio che ignora totalmente il confronto con il contesto storico. Progetti che si rifanno ai canoni dell’International Style. «La forma vuota, aperta, disponibile, dei maestri mittleuropei degli anni venti, si traduce ormai sempre più nel vuoto della forma» . ORDINE E DISORDINE ricerca di una relazione tra il nuovo oggetto architettonico con gli antichi tessuti, attraverso l’assorbimento di questi nel progetto. Portando con se anche le contraddizioni che il centro storico si porta dietro. Quindi incontro - scontro tra opposti, «il disordine è da essi accettato come realtà da cui fa scaturire valori nuovi». Mediazione tra rumore e silenzio, dice Tafuri. DISORDINE ricerca dell’eccezione e della dissonanza. ORDINE approccio che tenta di impostare una dialettica non evasiva con il “disordine” urbano e preferisce quindi opporre ad esso un “ordine”. Ordine però ideale e non privo di contraddizioni.

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Figura 5 - Gruppo Vaccaro: plastico Nuovi uffici per la Camera dei Deputati; Figura 6 - Gruppo Polesello: assonometria Nuovi uffici per la Camera dei Deputati;


Figura 7 - I. Insolera: programma d’intervento per i Nuovi uffici per la Camera dei Deputati

ALTERNATIVA URBANISTICA Italo Insolera propone un programma. Egli non affronta il problema architettonico ma si approccia il tema da un punto di vista urbanistico, attraverso l’analisi funzionale e la conseguente organizzazione degli spazi. Propone nel lotto del concorso una hall interrata con il compito di smistamento generale ai collegamenti sotterranei con i diversi edifici pre-esistenti nell’area, e di conseguenza prevede un vera e propria opera di riqualificazione e recupero urbano di una porzione del centro storico. Proposta lecita e in parte di dissenso e critica al bando, ma che perde, secondo Tafuri, la sua valenza quando rifiuta un’impostazione architettonica in senso specifico. Classificazione, quella di Tafuri, che però non esaurisce completamente le diverse caratteristiche dei vari progetti, come egli stesso afferma. La complessità del tema viene caratterizzato ogni volta dall’una o l’altra sfumatura. All’interno delle stesse tre “categorie” si possono riconoscere modi differenti di dare una soluzione. (Raitano, 2012)

LA VIA FENOMENOLOGICA minima astrazione, attenzione rivolta all’osservatore, tema della pelle dell’edificio. LA VIA ANALOGICA massima astrazione, attenzione rivolta all’osservatore (colto). LA VIA DELLA DISSONANZA massima diversità, attenzione rivolta all’oggetto, tema del design. LA VIA DEL CONTRAPPUNTO massima alterità/transazione di senso del contesto, attenzione rivolta all’osservatore, tema della figura dell’edificio.

Figura 8 - Gruppo Quaroni: schizzi prospettici Nuovi uffici per la Camera dei Deputati

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4. “Montecitorio valle di lacrime” Giovanni Klaus Koenig, architetto e storico dell’architettura, pubblica su Casabella nel 1967 un articolo dal titolo “Montecitorio valle di lacrime” che tenta di dare alcune risposte alle dure polemiche scaturite dai risultati del concorso per i nuovi uffici per la Camera dei Deputati, e di cui lui stesso è stato membro della commissione di giudici che ha esaminato le sessantaquattro proposte. Articolo che mette in evidenza quanto ampia fu l’attenzione rivolta al concorso, e quanto aspre furono le critiche. A differenza di Manfredo Tafuri, Koenig tenta di legittimare le scelte fatte dalla commissione, ponendo l’accento sulla difficoltà di trovare un vero e proprio vincitore. Difende il lavoro della commissione che aveva redatto il bando, ritenendolo corretto e dettagliato. La Camera affidando l’incarico ad un gruppo di soggetti qualificati e ampiamente competenti, rendeva chiari gli obiettivi prefissati per la costruzione del nuovo edificio, luogo che nelle intenzioni della Camera doveva assumere il ruolo di nuova “casa del popolo”, il momento di incontro tra istituzioni democratiche e i cittadini. Nella sua analisi concorda su alcune note dolenti del bando, come l’autorimessa, sulla quale l’intera commissione si pronunciò a favore di una revisione delle direttive precedentemente dettate. Koening, inoltre, riconosce la complessità per i partecipanti nel mettere a sistema l’enorme quantità di spazio e funzioni richieste, ma allo stesso tempo fa notare la difficoltà e forse l’incapacità della maggiornza dei progettisti nel redigere un vero programma funzionale, così ampio, in uno spazio come quello di Montecitorio, molto ridotto. Lavoro di semplificazione e di studio distributivo, invece, messo in atto da tanti altri progettisti, come il gruppo Samonà o Aymonino. Esprimendosi sui lavori della commissione, Koenig, fa notare le molteplici problematiche che sono emerse durante la fase di valutazione e selezione, dovute ai motivi appena descritti e ai cui vanno sommatti le difficoltà organizzative della commissione, composta da più di trenta membri, tra i quali figuravano le più disparate competenze. Di conseguenza la scelta di creare tre gruppi tematici: composizione architettonica e urbanistica; rispondenza del progetto alle richieste del bando; giudizio tecnico-costruttivo. E’ assodato che il giudizio non può essere che globale, ma l’eterogeneità delle competenze presenti in commissione, avvalora la scelta di procedere in tal senso. Altro punto, suggerito dall’analisi di Koenig, fa riflettere sulla delicata situazione politica italiana, che tutt’ora persiste e che incide sull’amministrazione del nostro Paese. Le elezioni politiche vicine avevano dato inizio alla cosiddetta fase pre-elettorale, momento di agitazione politica, ma allo stesso tempo fase di stagnazione dell’amministrazione pubblica. Si decise inizialmente di concludere il concorso con una prima rosa di finalisti, candidati per un secondo bando. Ciò avrebbe portato a una fase di decantazione e allo stesso tempo, a una revisione del programma di progetto.

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II. CONTESTO FISICO 1. Roma e le sue identita’ Una città colma di storia come Roma arriva nel terzo millennio con un “carico” di memoria e valori simbolici che da sempre la caratterizzano. Centro di comando legato alle forme di governo che si sono susseguite nel tempo, da centro politico e di controllo nell’Impero romano a capitale democratica della giovane Repubblica Italiana. Da sempre caratterizzata da una complessità straordinaria, essa ha rimodellato la propria struttura urbana continuamente, producendo un collage architettonico fatto di sovrapposizioni, rattoppi, sostituzioni, aggiunte, ma anche lacune, vuoti e spazi incompiuti. Palinsesti figurativi che compongono l’immagine odierna della città. Dopo un lungo letargo Roma agli inizi del XXI secolo ha vissuto una sorta di rinascita, è entrata nel nuovo millennio lucidata a nuovo e piena di euforia per il Giubileo, nuovi progetti comparivano all’orizzonte, alcuni già avviati e altri in via di definizione, a partire dal progetto “50 chiese per Roma”, e poi l’Auditorium al Flaminio, il MAXXI e il MACRO, il nuovo nodo Tiburtina-Pietralata, il Centro Congressi all’EUR, la nuova Fiera di Roma, la Città dei giovani, la Città della scienza, il Campidoglio 2, i grattacieli dell’Eur e le nuove sedi ministeriali, il nuovo stadio a Tor di Valle, la Città dello sport a Tor Vergata, e tutta una serie di progetti infrastrutturali correlati e diversi programmi minori. È evidente la molteplicità di idee e programmi riservati alla città e al suo “ammodernamento”, progetti che mostrano diverse identità e diverse direzioni intraprese dall’amministrazione capitolina, a conferma della complessità di una città come Roma e del suo intento di entrare a far parte definitivamente della contemporaneità. Gli anni ’90 hanno portato la città eterna nella cultura globale e di conseguenza il mondo architettonico internazionale è entrato a far parte di essa, attraverso l’opera di architetti tra i maggiori esponenti dell’architettura contemporanea di oggi. Tanti sono i concorsi e i consulti di progettazione che descrivono le vicende romane, molti di essi rendono evidenti le difficoltà e spesso l’incapacità dell’amministrazione e della “cultura italiana” nel portare a termini gli obiettivi fissati, molti sono i progetti cancellati (la nuova metro D o il ponte dei Congressi), quelli non portati a termine (Città dello sport di S. Calatrava o il progetto di Piazza dei Navigatori sulla Colombo) e i progetti completamente rivisti al ribasso (Città dei giovani agli Ex magazzini generali di R. Koolhaas in via Ostiense). Roma in questi episodi mostra tutte le debolezze di una cultura, quella italiana, che fatica a trovare un suo ruolo nel presente. Possiamo quindi provare a identificare le diverse identità di Roma contemporanea proprio attraverso i progetti che hanno caratterizzato questi ultimi vent’anni: capitale spirituale con il suo centro nel Vaticano; città della cultura attraverso l’apertura di nuovi musei rivolti all’arte contemporanea, il primo museo nazionale di architettura (MAXXI), il museo comunale delle arti contemporanee (MACRO) e, ancora, l’Auditorium Parco della Musica con gli eventi musicali e il Festival del Cinema di Roma; un nuovo nodo infrastrutturale e di servizi a Tiburtina e Pietralata, nato dalle ceneri dell’Asse attrezzato; l’asse fieristico e congressuale dell’Eur-Fiumicino; e ancora riqualificazione e trasformazione di aree dismesse, caserme e aree industriali rinascono come centri culturali, commerciali e residenziali; le funzioni politiche e amministrative e l’esigenza di ampliare gli spazi ad esse dedicati; l’intento di ricucire e ripristinare il suo legame con il mondo dello sport, attraverso nuovi impianti e i grandi eventi sportivi, quali Mondiali di nuoto e l’Olimpiade. Molteplici le identità urbane degli ultimi anni, identità che però faticano a trovare una strategia che le integri in un sistema urbano più ampio, con un centro storico immobile ed estraneo agli episodi in atto. Da notare infatti, come la quasi totalità dei progetti fino ad ora citati coinvolgono essenzialmente parti periferiche della città o in ogni caso aree urbane del tessuto consolidato moderno, il centro storico resta invece completamente avulso da queste trasformazioni, se non per qualche piccolo episodio di arredo urbano o “restauro” di qualche fabbricato storico di cui si

Figura 9 - Rem Koolhas: Mercati Generali a Roma, progetto vincitore del concorso (2004);

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conservano le facciate, ottenendo anche ottimi risultati come nel caso della Biblioteca Hertziana al Palazzo Zuccari (Trinità dei Monti) e la ristrutturazione del Palazzo Ex Unione Militare (via del Corso). Questi i casi dove la conservazione del bene artistico-culturale prevale con ovvie ragioni, ma nella prassi consolidata all’architettura contemporanea è vietato il dialogo con il contesto, viene nascosta e consentita solo per il semplice fatto che non si “vede”. Ultimo tema, che non riguarda direttamente il centro storico, ma che costituisce una delle identità della città, è la società multiculturale che Roma ha visto crescere negli ultimi decenni. La popolazione metropolitana non è composta più esclusivamente dalle diverse realtà regionali del nostro Paese, per le quali nascevano il Tibutino di Quaroni e le case a patio di Libera, oggi Roma e l’Europa intera vive il fenomeno di immigrazione più importante che la società moderna ricordi, le città occidentali, e tra queste anche la capitale italiana, non sono pronte a questo fenomeno così veloce e violento che si riversa nelle periferie, con il rischio di moltiplicare all’infinito spazi anonimi e privi di identità, i cosiddetti nonluoghi della modernità di cui parla l’antropologo francese Marc Augé. Egli descrive il nonluogo come «il contrario di una dimora, di una residenza, di un luogo nel senso comune del termine». Questi primi venti anni del terzo millennio stanno quindi radicalmente trasformando la città di Roma, la nascita di nuove esigenze economiche e sociali, il bisogno delle periferie di quel rammendo che l’architetto-senatore Renzo Piano va esortando, l’integrazione tra le reti periferiche ancora isolate, sono i temi da affrontare nei prossimi anni. Quale ruolo, quindi, assumerà il centro storico, da sempre polo unificatore delle diverse realtà urbane? Il compito dell’architettura contemporanea oggi è anche quello di ricucire lo strappo tra storia e società moderna, tra centro e periferia, tra le istituzioni e i cittadini. Il progetto per i nuovi uffici della Camera dei Deputati è l’opportunità migliore per ricominciare. Ripartire dal centro della città e dal fulcro della nostra società democratica per cercare una nuova via possibile. Solo dopo aver riconosciuto la necessità di un determinato intervento è possibile, quindi, proseguire nel processo di progettazione architettonica e affrontare la questione del nuovo nel centro storico. 2. Il centro storico: ambiente e contesto La storia dell’architettura non è nuova al tema della relazione tra il nuovo inserimento e il contesto fisico, gran parte della ricerca architettonica ha tentato di trovare una soluzione ideale al difficile rapporto tra antico e moderno. Caso emblematico del secondo dopoguerra è il condominio alle Zattere di Ignazio Gardella a Venezia che ha inaugurato la stagione dell’ambientamento, tendenza a percorrere la strada dell’analogia e dell’adattamento del nuovo nei centri storici. Gardella nella sua prima proposta propone una rilettura del palazzo veneziano e attraverso la sua reinterpretazione elabora una prima soluzione di intento moderno, con un’identità specifica, quella veneziana, individuabile nella ritmica, negli equilibri, nelle scansioni tra pieni e vuoti, nel rapporto che le bucature attuano con le preesistenze, nell’asimmetria della facciata. Ne risulta un’architettura chiara e immediata, moderna e in perfetto dialogo con il contesto fisico circostante, peculiare è la relazione instaurata con la vicina chiesa del Santo Spirito. Nel tempo il progetto muta, nella seconda proposta si trasforma in qualcosa di diverso, cambia la ritmica e compare l’eccesso dell’ornamento derivante dal predominio dell’aspetto visivo. Gardella riesce, in modo consapevole, a produrre indubbiamente un esempio di buona architettura che stabilisce chiari rapporti di analogia e dialogo tra vecchio e nuovo, che però non tenta il confronto ma un dialogo conciliante. Tendenza che porterà ad esempi meno riusciti e di diversa taratura e che inaugura la stagione dell’ambientamento. Altre personalità dell’architettura italiana dopo Gardella, come Franco Albini con la Rinascente a Roma o il gruppo BBPR con la Torre Velasca a Milano, tenteranno la via della reciprocità visiva, attraverso l’uso del rivestimento e della partitura ritmica, sfruttando proprio la facciata, e quindi la superficie verticale, come mezzo di dialogo con il contesto. A questa tendenza si associa, negli anni più recenti, il lavoro di Rafael Moneo che nel progetto per il Municipio di Murcia (1998) mette in atto questo dialogo tra storico e contemporaneo. Il nuovo municipio si colloca nella parte terminale di una spina edilizia che affaccia nella piazza barocca della città su cui insistono due importanti edifici storici: la cattedrale del XVI secolo e il Palazzo vescovile del XVIII secolo. Moneo crea una sorta di filtro tra il nuovo edificio e la piazza, il piano verticale, che attraverso ritmica e proporzione costituisce una rilettura della facciata “classica” del palazzo. Il risultato è quello di un’opera critica e di una struttura che dialoga con la

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Figura 10 - Ignazio Gardella: Condominio Cicogna alle Zattere, Venezia;


Figura 11 - Rafael Moneo: Nuovo municipio a Murcia; Figura 12 - Gruppo Samonà: I nuovi uffici per la Camera dei Deputati;

piazza e le preesistenze storiche, ma che allo stesso tempo trova una mediazione tra l’intervento di ambientamento e quello di completa negazione del contesto fisico in cui si opera. Tendenza opposta è invece quella dell’assoluta impossibilità di dialogo tra vecchio e nuovo, non possono esservi compromessi, antico e moderno non sono fra loro compatibili, diversi sono gli esempi che esprimono questo approccio e con differenti accezioni. Una di queste direzioni è ben rappresentata dal progetto che Giuseppe Samonà propone proprio al concorso dei nuovi uffici per la Camera dei deputati. Il gruppo Samonà presenta un edificio moderno completamente “staccato” dal suolo, lasciando libera la piazza attraverso volumi sorretti da pilotis, una dichiarazione esplicita di incompatibilità, ma allo stesso tempo di messa in sicurezza e conservazione delle preesistenze, un atteggiamento quindi avvalorato dall’idea di separazione e di preservazione del contesto. Diversa è la posizione invece di molte delle personalità internazionali contemporanee, che propongono un atteggiamento totalmente indipendente dal contesto, posizione che trova nei protagonisti della mostra sul Decostruttivismo al MOMA del 1988 i maggiori esponenti. Pratica, molto diffusa nella nuova architettura internazionale e ben espressa dalla famosa frase di Rem Koolhaas: «fuck the contest», provocazione che nelle intenzioni dell’architetto olandese voleva esprimere la difficoltà e spesso l’impossibilità di relazionare un progetto, soprattutto se di grandi dimensioni, con il contesto. Koolhaas in un suo intervento al dibattito “Antico e Nuovo. Relazioni pericolose” tenutosi nel 2012 presso lo IUAV di Venezia in merito al suo progetto per il Fondaco dei Tedeschi nella città lagunare, ribadisce questo concetto e aggiunge che l’architettura ha bisogno di una nuova teoria che supporti la discontinuità e il cambiamento, ciò non deve eludere il rispetto per la storia, ma allo stesso tempo non deve accettare definizioni precostituite che descrivono il termine e il senso di contesto e conservazione (Giani, 2012). 3. Montecitorio e il Parlamento Italiano Il Parlamento italiano, attualmente composto dal Senato della Repubblica e dalla Camera dei deputati, è l’organo che detiene il potere legislativo nell’ordinamento del nostro Stato. Eletto dai cittadini, esso rappresenta la maggiore espressione democratica nel nostro Paese, e non ci si può quindi esimere dal considerare la sua importanza nella vita civile, etico-sociale, economica e politica della società italiana. Ha sede a Roma e si identifica nelle sedi principali delle due camere, Palazzo Madama per il Senato e Palazzo Montecitorio per la Camera dei deputati. Dalla sua istituzione nel 1948 ad oggi il Parlamento ha visto crescere le sue attività al di fuori delle sedi istituzionali coinvolgendo una considerevole porzione del centro storico romano, dislocando nei fabbricati esistenti, più o meno limitrofi, una serie di funzioni legate all’attività parlamentare al di fuori delle sedi istituzionali, per ovvie esigenze spaziali. Palazzo Montecitorio, oltre ad essere sede della Camera dei deputati, è il luogo dove le due camere si riuniscono in seduta comune, ed è il fabbricato più grande per dimensione, ragione per cui ha assunto il ruolo di polo predominante nell’assetto funzionale dell’organo parlamentare. Ciò è evidente nella distribuzione dei diversi uffici e commissioni parlamentari nei fabbricati adiacenti, in particolare il complesso di via della Missione, il Palazzo Theodoli-Bianchelli e il Palazzo del’Ex Banco di Napoli, che non a caso si attestano su Piazza del Parlamento e il progetto dei nuovi uffici, nelle intenzioni del concorso, doveva esserne l’ideale completamento. Nel corso dei decenni si inaugurano nuovi spazi, destinati ad ospitare le funzioni forse più “aperte” al pubblico, vengono infatti collocate nel complesso conventuale di Santa Maria sopra Minerva le biblioteche delle due camere, e nel complesso di Palazzo Valdina vengono situati gli uffici per i rapporti internazionali e con l’Unione Europea, oltre a una serie di spazi riservati alla formazione e ai convegni. Per quanto riguarda gli uffici dei singoli deputati, all’incirca 500 stanze, dopo una prima collocazione nel complesso di Palazzo Marini in piazza San Silvestro, in locazione, saranno ridistribuiti nelle diverse sedi già citate e in altre succursali minori, contribuendo ad aggravare un’instabile equilibrio tra spazi a disposizione e esigenze funzionali. Si viene a formare così una vera e propria cittadella politica, una sorta di parlamento diffuso che ha modificato nella sostanza il carattere del quartiere storico romano. Di fondamentale importanza è quindi il ruolo urbano che ha assunto la sede istituzionale più importante della società democratica italiana, il Palazzo Montecitorio immerso nel centro storico e culturale della città di Roma, comunica il suo carattere istituzionale, e il rapporto tra palazzo e città è di tipo classico. Questo rapporto è rafforzato dall’ampliamento post unitario di Ernesto Basile, carico di un linguaggio che Tafuri definisce delle «grandi occasioni», e che con la formazione di piazza del Parlamento crea uno spazio scarico e incompiuto, molto vicino all’idea di nonluogo di Augé. 15


Nell’attuale configurazione il Parlamento e il centro storico della capitale si trovano quindi con due questioni irrisolte: la prima funzionale, legata all’attività parlamentare, che necessita di una revisione e un adeguamento alle esigenze contemporanee, influenzate non solo dal cambiamento che il lavoro dei deputati ha subito nel tempo, ma anche dalla profonda mutazione sociale e politica che vive oggi la democrazia, a partire dalle proposte di modifiche costituzionali che coinvolgono proprio l’assetto del Parlamento Italiano, la riduzione del numero dei parlamentari e la diversificazione nelle funzioni delle due camere. La seconda questione è legata all’assetto e al ruolo urbano e architettonico del Parlamento: imperante è il bisogno di riscatto della piazza antistante il prospetto dell’opera basiliana, e la necessità di un dialogo tra i diversi oggetti che la compongono, esigenza che può essere assolta attraverso la risoluzione di un vuoto urbano, quale è il lotto terminale dell’isolato di via della Missione, oggi occupato da un modesto parcheggio per i parlamentari. Possiamo quindi affermare, parafrasando nuovamente un passaggio di Manfredo Tafuri, che è necessario cercare di riprendere un colloquio ormai interrotto in una struttura urbana che in verità è ancora in attesa di strutturazione, con soggetti di diversa natura che vanno dall’intervento basiliano di inizio Novecento al tessuto residenziale medioevale romano, in costante scontro fra loro.

Figura 13 - L’aula del Parlamento a Palazzo Montecitorio (Archivio storico vdella Camera dei Deputati)


Parte seconda “Io canto l’individuo, la singola persona, al tempo stesso canto la Democrazia, la massa. l’organismo, da capo a piedi, canto, la semplice fisionomia, il cervello da soli non sono degni della Musa: la Forma integrale ne è ben più degna, e la Femmina canto parimenti che il Maschio. Canto la vita immensa in passione, pulsazioni e forza, lieto, per le più libere azioni che sotto leggi divine si attuano, canto l’Uomo Moderno.” Walt Whitman


I. IL NUOVO PARLAMENTO 1. Mutamenti in atto Fin dai primi decenni dall’approvazione e promulgazione della Carta Costituzionale si era reso evidente la necessità di riformare, o meglio, adeguare l’ordinamento della Repubblica secondo le esigenze che si sarebbero palesate nel corso degli anni, necessità motivata dall’età acerba dello Stato democratico. Già negli anni ’80 si facevano le prime proposte di riforma fino ad arrivare, attraverso il dibattito del decennio successivo, agli anni duemila e alle prime vere modifiche costituzionali ad opera di governi sia di centro sinistra che di centro destra. La prima con una riforma sull’organizzazione delle autonomie locali, la ripartizione delle competenze tra stato e regioni, approvata nel 2001 e tutt’ora in vigore, la seconda, cinque anni dopo, proponeva una riforma che modificava profondamente l’assetto democratico della repubblica, con la trasformazione dello stato parlamentare in un modello di tipo presidenziale, mutava quindi la figura del Primo ministro, veniva proposta la riduzione dei parlamentari, la trasformazione del Senato in una camera rappresentativa delle autonomie locali e un maggiore rafforzamento dei poteri delle regioni anche in ambito legislativo, portando di fatto lo stato ad un modello federale, modifiche che avrebbero influenzato non poco il ruolo istituzionale del Parlamento e di conseguenza le sue funzioni. La riforma fortemente voluta del centro destra non fu promulgata, in seguito all’esito negativo del referendum nel 2006, e da allora il dibattito sull’ipotesi di rinnovare l’assetto delle due camere non ha smesso di alimentarsi. Lo scorso dicembre abbiamo vissuto l’ultimo scontro sull’ennesima proposta di riforma, che vede nuovamente protagonista il Parlamento, con la riproposizione della diminuzione del numero dei parlamentari, nello specifico il numero di Senatori, e la differenziazione del ruolo tra le due camere, oggi ancora in un sistema di bicameralismo paritario, o cosiddetto perfetto. Le ragioni di questa necessità di trasformazione sono diverse, ma non è questa la sede adatta per un’approfondita analisi dei mutamenti democratici e sociali, né abbiamo gli strumenti adatti per affrontare idoneamente l’argomento, possiamo però prendere atto di un bisogno di cambiamento legato alla più ampia crisi economica, sociale e politica che la nostra società sta vivendo. Le istituzioni sempre più spesso lamentano un apparato burocratico e legislativo lento, che non è più sostenibile con la società contemporanea, una società ormai completamente globalizzata, in uno stato che è parte integrante di una comunità, quella Europea, che viaggia con velocità diverse e mai in sincrono. Si ha quindi la necessita di un sistema legislativo più “snello e veloce”, una rappresentanza politica più vicina ai cittadini e soprattutto uno stato pronto ad affrontare le emergenze “esterne” sempre più ricorrenti. Terrorismo, crisi economica, immigrazione sono i temi principali che oggi le democrazie occidentali sono chiamate ad affrontare, causa-effetto di questo preciso momento storico. 2. Il ruolo urbano delle istituzioni Come già anticipato in precedenza, possiamo constatare l’indubbia valenza che la sede del maggiore organo democratico della Repubblica Italiana abbia sulla città e in particolare sull’identità del centro storico di Roma Capitale. Il Palazzo Montecitorio e il complesso di edifici che ospitano le attività parlamentari correlate sono in stretta relazione con la struttura urbana di cui fanno parte, ne influenzano le dinamiche e ne sono influenzati a loro volta. Ma veniamo ad analizzare alcune caratteristiche del parlamento come architettura, e di conseguenze il suo rapporto con la struttura urbana. Vi è un complesso rapporto tra l’esercizio dell’attività parlamentare e il pubblico, quasi sempre separato e indipendente, aperto esclusivamente laddove l’esercizio legislativo viene a mancare. Sicurezza e ordine pubblico sono le ovvie ragioni, ma è anche l’architettura a determinare un simile approccio: è molto difficile, se non impossibile, in contesti storici e con un tessuto così compatto, come quello di Roma, che l’architettura riesca ad essere “trasparente”, peculiarità invece del mondo anglosassone, e il nuovo parlamento tedesco ne è un esempio. È la stessa cultura italiana, o più in generale quella mediterranea, che esclude questo modo di concepire le istituzioni, di conseguenza anche l’architettura esprime questo carattere. Ciò non deve eludere un dialogo tra le istituzioni e i cittadini, e quindi tra l’architettura istituzionale e la città, dialogo che oggi però non esiste o, ritornando a Tafuri, colloquio che aspetta di essere iniziato. Quindi è questo il ruolo urbano e sociale che il nuovo Parlamento può assumere, e nel vuoto tra via della Missione e piazza del Parlamento deve trovare il punto di raccordo. 3. Le esigenze del contemporaneo Il nuovo assetto funzionale non può escludere le trasformazioni che il mondo contemporaneo ha portato nella vita parlamentare, nel lavoro dei singoli deputati, nella comunicazione istituzionale, nelle relazioni con il pubblico. Tutte le attività sono collocate attualmente in edifici storici, spesso di valenza artistico-culturale, che necessitano di continue trasformazioni e ristrutturazioni, in funzione delle esigenze che nel corso delle legislature si sono presentate. La redazione di uno nuovo programma funzionale quindi comporta una rimodulazione del programma presentato nel 1967, modificando opportunamente alcune funzioni, integrarne di nuove ed eliminare quelle superflue. La complessità del lavoro legislativo è raramente affrontato dai singoli, ma sempre più spesso coinvolge più individui o gruppi, di conseguenza viene meno il bisogno di spazi e uffici riservati ai singoli parlamentari, piuttosto è necessario aumentare le aree dedicate alle attività dei gruppi, i luoghi del dibattito e della concertazione. Inoltre sembra evidente l’esigenza di predisporre 18


degli spazi che permettano un uso flessibile, adattabile alle circostanze, difficoltà che affligge maggiormente le attuali strutture che ospitano queste funzioni. Tutta l’attività di comunicazione con il pubblico, e in particolare con i mezzi di informazione, è oggi affidata al solo Palazzo Montecitorio. Il ruolo della comunicazione è profondamente cambiato in questi primi settant’anni della Repubblica, ha assunto un rilievo sempre maggiore e soprattutto è diventata accessibile a tutti. È necessario quindi che venga ampliato lo spazio dedicato a tale funzione, integrando maggiormente il servizio già esistente dell’ufficio stampa e della testata giornalistica della Rai dedicata alle attività parlamentari. Altro tema legato al programma funzionale, previsto nel concorso del 1967, è sicuramente quello della biblioteca e del sistema archivistico della Camera, oggi questo sistema ha sede nel complesso conventuale di Santa Maria sopra Minerva dopo una serie di collocazioni che si sono alternate nel tempo e originariamente situato a Palazzo Montecitorio. Trasferimento dovuto alla crescita del patrimonio librario e alla necessità di unire i due poli bibliotecari della Camera e del Senato. Ripristinare il progetto della biblioteca all’interno del nuovo fabbricato può innescare, senza dubbio, quel processo di riavvicinamento e dialogo con le istituzioni, di cui si parlava nel precedente paragrafo. 4. Roma e l’archeologia: valorizzazione e fruizione Affrontare il progetto di un nuovo soggetto urbano, che sia una nuova architettura o una nuova infrastruttura, in una città storica e sedimentata come quella di Roma, comporta, nella stragrande maggioranza dei casi, il dover prendere in esame la possibilità della presenza di reperti archeologici nel sottosuolo. Il quartiere del Campo Marzio, nell’antica Roma, era riservato inizialmente agli esercizi militari e alle sue strutture, consacrata al dio Marte e attraversata dal tratto urbano della via Flaminia, denominata via Lata, oggi Via del Corso. L’inizio della monumentalizzazione dell’area si ebbe con il teatro di Pompeo nel 55 a.C. Cesare vi impiantò gli edifici legati alle elezioni, i Saepta Iulia (completati da Augusto) e la Villa publica. In epoca augustea, Marco Vipsanio Agrippa inserì i giardini, la basilica di Nettuno, le terme con il suo nome e il Pantheon. Nll’area fu costruito anche il primo anfiteatro permanente di Roma, l’anfiteatro di Statilio Tauro, più tardi il teatro di Balbo, riscoperto e aperto al pubblico grazie al Museo Nazionale Romano. La zona non edificata verso nord era dominata dal mausoleo e dalla meridiana di Augusto, formata, quest’ultima, da una estesa platea in marmo, i cui resti sono oggi visibili negli scavi a San Lorenzo in Lucina, e aveva per gnomone l’obelisco oggi situato a piazza Montecitorio, al suo fianco sorgeva l’Ara Pacis, oggi nella teca di Richard Meier. Nel giorno natale dell’imperatore, l’ombra dello gnomone raggiungeva l’ingresso dell’Ara Pacis, il monumento voluto dal Senato romano per celebrare la pace e la stabilità portate dal governo di Augusto, che integrava questo grande complesso celebrativo e funerario. Probabilmente a Caligola si deve la prima costruzione del tempio dedicato a Iside. Sotto Nerone furono costruite, invece, altre terme a suo nome e un ponte. Dopo il grande incendio di Roma dell’anno 80 d.C., Domiziano ricostruì i monumenti aggiungendo uno stadio, che diverrà poi piazza Navona, e un odeion. Adriano trasformò il complesso del Pantheon e collocò nella parte settentrionale, legata ai funerali imperiali, i templi di Matidia e Marciana. Successivamente vi furono costruiti il tempio di Adriano, e vi furono innalzate una colonna

Figura 14 - Pianta del Campo Marzio (da F. Coarelli, Roma, Guide archeologiche Laterza, Bari 2001);

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dedicata ad Antonino Pio, probabilmente collocata dove oggi sorge il complesso di edifici di via della Missione e di cui alcuni resti sono conservati in Vaticano, e facente parte del complesso funerario dello stesso Antonino Pio e Faustina Maggiore. Sotto il Palazzo Montecitorio, adiacente all’ustrino di Faustina Maggiore, vi era il complesso funerario di Faustina Minore, moglie di Marco Aurelio. La Colonna Antonina, dedicata a Marco Aurelio, che traeva ispirazione dalla Colonna Traiana, e oggi ancora eretta nella sua collocazione originaria a Piazza Colonna. Nel corso dei secoli, e in particolare durante il Medioevo, e poi nel Rinascimento, il quartiere subisce diverse trasformazioni, diventa un quartiere residenziale, inevitabilmente molti dei resti antichi vengono inglobati in nuove strutture o distrutti completamente. Sopravvivono alla luce del sole poche testimonianze, tra tutti il Mausoleo di Augusto, l’Ara Pacis e il Pantheon. Grazie ai molti lavori di ristrutturazione e adeguamento degli edifici storici dell’area, ancora oggi, è possibile riscoprire un patrimonio inestimabile nascosto sotto la città moderna. Possiamo quindi prendere in considerazione, nel nuovo progetto per gli uffici della Camera dei deputati, la possibilità di valorizzare parte di questo patrimonio storico archeologico, attraverso l’ipotesi della progettazione di uno spazio museale, laddove possibile, percorribile e aperto al pubblico. Molteplici sono gli esempi di valorizzazione e conservazione degli scavi archeologici ipogei, a partire dal già citato Teatro di Balbo nell’area di Largo Argentina, musealizzazione avvenuta attraverso un lungo lavoro di restauro e di scavi, tutt’oggi in atto, ad opera del Museo Nazionale Romano; o ancora, il ritrovamento di una villa romana sotto le fondazioni di Palazzo Zuccari, venuti alla luce nei lavori della nuova Biblioteca Hertziana; innumerevoli, invece, sono i ritrovamenti dovuti alla costruzione della nuova linea C della metropolitana. La costruzione del nuovo nel centro storico di Roma è di conseguenza un’occasione di studio e di ricerca dell’antico, ed è doveroso, da parte di tutti noi, assumerci l’incarico di tutelare i beni archeologici di questo Paese, ma allo stesso tempo bisogna mettere in atto un programma di valorizzazione e fruizione dei siti, come del resto prescrive la nostra stessa Carta Costituzionale.


Parte terza “L’architettura pura è un cristallo, quando è pura, è pura come un cristallo, magica, chiusa, esclusiva, autonoma, incontaminata, incorrotta, assoluta, definitiva, come un cristallo. È cubo, è parallelepipedo, è piramide, è obelisco, è torre: forme chiuse e che stanno. Rifiuta le forme non finite: la sfera, forma infinita, non sarà mai un’architettura: rotola, non sta: né comincia né finisce. Architettura comincia e finisce. L’architettura sta.” Gio Ponti


I. UN’IPOTESI CRITICA 1. Il tessuto compatto: una possibile strategia L’area adiacente al Palazzo Montecitorio, compresa tra via della Missione e via del Campo Marzio, si presenta come un vuoto urbano. Lacuna in un tessuto compatto, dove il vuoto è il completamento di uno spazio urbano e non una mancanza. Piazza del Parlamento è attualmente uno spazio indefinito, scarico e con assenza di un’identità. Viene qui a mancare il rapporto di equilibrio vuoto-pieno, proprio del tessuto urbano compatto e consolidato del centro storico di Roma, dove la qualità urbana è dettata dall’architettura e dai rapporti dimensionali tra il lotto e la strada. L’evoluzione del tessuto edilizio del Campo Marzio, da case a schiera indipendenti del Medioevo alla rifusione delle stesse nel tipo del palazzo in epoca moderna, ha condotto ad una forma urbana densa e unitaria, non priva di elementi frammentati, caratteristica del centro storico. La trasformazione urbana post unitaria di fine ‘800 e l’ampliamento di Palazzo Montecitorio ad opera di Ernesto Basile portano ad uno squilibrio urbano e architettonico non più risolto.

Schema 1 - Analisi dei flussi che convergono sull’area, individuazione dei possibili accessi al lotto e rimozione delle superfetazioni; Schema 2 - Inquadramento dell’area di progetto, definizione del perimetro e analisi dei fronti prospicienti Piazza del Parlamento;

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La definizione del lotto e il rapporto vuoto pieno porta al processo di formalizzazione di un volume di per se già definito, delineato dagli assi stradali e dai volumi prospicenti la piazza. Luogo e contesto come linea direttrice del progetto. Il processo di definizione planimetrica si divide in quattro fasi: analisi del contesto e dei fronti prospiecienti la piazza; formazione e definizione dei due blocchi; soluzione planimetricofunzionale; soluzione distributiva e connessione dei due volumi e Palazzo Montecitorio. L’architettura che ne deriva è un’architettura fatta di materia pesante, ma allo stesso tempo, dinamica, la tensione che ne deriva è data dai due blocchi che si scontrano su piazza del Parlamento.

Schema 3 - Analisi del contesto e definizione dei fronti prospiecienti Piazza del Parlamento; Schema 4 - Formazione e definizione di due volumi sul perimetro dell’area di progetto, connessi sulla piazza;

Schema 5 - Soluzione planimetrico-funzionale dei due volumi e nuovo assetto di Piazza del Parlamento; Schema 6 - Soluzione distributiva e di raccordo, definizione di una corte interna su due livelli;

Il concetto concreto di peso e di resistenza precede nell’architettura la stessa nozione di tecnica. La fisicità della materia entra nel pensiero architettonico non come un fenomeno sottoposto all’osservazione, ma come una struttura profonda del pensiero stesso. La tettonica di un edificio è compresa attraverso un’analogia corporea. La condizione comune di esistenza corporea è la base della possibilità da parte dell’uomo di tradurre la materia in architettura. Tuttavia, poichè questa fisicità risiede già all’interno del pensiero architettonico, e anzi ne costituisce l’assioma, il momento della concezione di un opera di architettura appare indistinguibile da quello della sua messa in opera, in quanto quest’ultima è già contenuta nel processo logico iniziale. La tettonica fonda quindi un pensiero architettonico in grado di azzerare sia la teoria estetica classica della mimesi che quella idealista dell’espressione. La gravità è ciò che permette l’architettura come fatto unitario, in aperto contrasto all’idea storicista di composizione. Lo spazio pesa. Cino Zucchi (da “Tettonica e Texture”) 23


Planivolumetrico dell’area

Analisi del sistema urbano Allo stato attuale piazza del Parlamento risulta una piazza scarica, area di servizio alla Camera dei Deputati. La nuova piazza è pensata come un nuovo spazio pubblico, parte di un sistema di ampie aree pedonali, quali le piazze cisrcostanti (Montecitorio, Colonna, San Lorenzo in Lucina, San Silvestro). Il recupero e il rinnovamento dell’arredo urbano ha lo scopo di servire il nuovo edificio e la Camera, ma allo stesso tempo restituire e valorizzare uno spazio pubblico per il centro storico.

Schema della viabilità

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PLANIMETRIA GENERALE PIAZZA DEL PARLAMENTO

Scala 1:500 25



2. Programma distributivo Lo spazio di intersezione che si viene a creare dallo “scontro”dei due blocchi che si affacciano su piazza del Parlamento, costituiscono il nodo centrale dello schema distributivo e funzionale del progetto. Un sistema di hall e spazi aperti al pubblico distribuiti su più livelli, sistema che permette l’accesso diretto alle diverse aree funzionali del complesso. Lo spazio di ingresso alla quota della piazza si connette, infatti, alla hall del livello interrato, alla corte interna, all’area archeologica e poi ai livelli superiori, con l’accesso al polo bibliotecario e agli spazi parlamentari. Grazie a una serie di rampe di scale e allo spazio a tutt’altezza che attraversa più livelli, si ottiene uno spazio distributivo unitario principale a cui si associa un sistema distributivo secondario, composto da tre blocchi di collegamenti verticali con annessi i servizi e gli spazi di percorrenza orizzontali.

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3. Programma funzionale

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PIANTA COPERTURE + 30.00 m

Scala 1:500

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5. La scala architettonica: lo sviluppo dei fronti Non esiste nel moderno ornamento possibile al di fuori della tessitura. Questa parola contiene al contempo gli accidenti che il caso ha operato sul materiale naturale, le volute fossili della pietra, e l’operazione matematica ed astratta dell’unire e dell’annodare. L’unione tra le parti costituitive dell’edificio avviene attraverso una concatenazione materiale, un’increspatura della materia che rivela l’impossibilità fisica della sua estensione infinita. Come una nota cantata, la cui durata non può essere mantenuta indefinitamente senza interruzione o cambiamento, nella costruzione i giunti sono dei semplici intervalli, delle pause, che rivelano la postura reciproca delle parti del manufatto, la natura diversa dei materiali che lo compongono. Contro la poetica hi-tech del giunto, la decorazione non può che darsi come interruzione, incompletezza. Se la simmetria del caledoscopio o delle macchie di Rorschach trasforma l’informe in figura, la ripetizione trasforma la figura in tessitura. L’ideale figurativo del tappeto è uno dei pochi paradigmi decorativi accessibili al moderno. Il numero ci consente di risalire dalla figura all’arabesco. La texture, una sintassi che rifiuta il contenuto. Cino Zucchi (da “Tettonica e Texture”)

In presenza dei vincoli che un tessuto compatto impone, il rapporto dell’architettua con la città può essere risolto con il disegno delle facciate. La scala architettonica diventa la vera protagonista di un processo di formalizzazione, superando di fatto il processo di definizione della forma, per arrivare a definire la figura del lotto attraverso il piano verticale della facciata. Ritmica e proporzione, alternanza pieno e vuoto. La massa nel centro storico è caratterizzata dal disegno ritmico delle facciate, l’alternanza di pieni e vuoti è data dalle bucature del prospetto, luce e ombra danno vita ai palazzi. Gli edifici si aprono alla città al piano terra, nelle diverse varianti, le ampie vetrine dei negozi, prima botteghe artigiane, e nel tipo del palazzo con i monumentali ingressi alle corti interne. Il tessuto medioevale del centro storico è discontinuo, una sorta di collage composto da prospetti ogni volta diversi l’uno dall’altro, che convivono a loro volta con i riacimenti post unitari, monumentali e definiti nel tipo del palazzo.

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Complessità e stratificazione storica caratterizzano il centro di Roma, discontinuità di linguaggi che nella piazza del Parlamento ha il suo apice. Il progetto tenta di ricucire tessuto medioevale e ottocentesco e stabilire un rapporto contemporaneo con la tradizione e con l’identità del luogo. Un dialogo che avviene mediante la trama discontinua del nuovo prospetto, dell’alternanza di pieni e vuoti. Il piano bidimensionale della facciata viene ripartito orizzonatalmente in una sorta di tre grandi ordini (il palazzo) a loro volta suddivisi verticalmente in partizioni ben dimensionate, parti piene si alternano a parti vuote o a una trama fitta, fatta di elementi verticali dove luce e ombra animano il piano verticale (tessuto medioevale). Condizione che influenza anche il rapporto tra spazio interno ed esterno, la trama della facciata permette ogni volta di inquadrare dall’interno uno scorcio diverso delle presistenze che insistono sulla piazza.

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PROSPETTO VIA DI CAMPO MARZIO

SEZIONE AA 40

Scala 1:500

Scala 1:500


PROSPETTO VIA DELLA MISSIONE

Scala 1:500

PROSPETTO PIAZZA DEL PARLAMENTO

Scala 1:500

PROSPETTO SULLA CORTE INTERNA

SEZIONE CC

Scala 1:500

Scala 1:500 41



6. La scala del dettaglio

PIANTA LIVELLO 0

+ 0,00 m

Scala 1:300 43



SEZIONE BB

Plastico in Scala 1:200 Foto 1 - vista da piazza del Parlamento; Foto 2 - vista dal lato di Via di Campo Marzio;

Scala 1:300

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BIBLIOGRAFIA Augé M., Nonluoghi, Elèuthera, Milano, 1993 Bocchi R., Morfologia e progetto della città, Città Studi, 1993 Canina L., Indicazioni topografiche di Roma antica, Roma, 1831 Capuano A., Temi e figure nell’architettura romana 1944-2004, Gangemi Editore, Roma, 2005 Casciato M. (a cura di), Carlo Aymonino e Raffaele Panella: un progetto per il centro storico, Officina Edizioni, Roma, 1983 Ciorra P., Senza architettura. Le ragioni di una crisi, Laterza, Roma-Bari 2011 Curtis W., Una conversacion con Rafael Moneo, in « El Croquis » n.98, 1999 Di Battista N., Per un nuovo inizio, in « Domus » n.993, 2015 Giani E., Antico e Nuovo. Relazioni pericolose, dibattito tra Rem Koolhaas, Franco Purini e Bernardo Secchi, in « IUAV giornale dell’università » n.120, Venezia, 2012 Insolera I., Roma moderna. Da Napoleone I al XXI secolo, Einaudi, Torino, 2011 Koening G. K., Montecitorio valle di lacrime, in « Casabella » n.321, 1967 Moneo R., Paradigmas Fin de siglo. Fragmentacion y compacidad en la arquitectura reciente, in « El Croquis » n.98, 1999 Morelli M.D., Architettura italiana anni ’60. I concorsi, i manifesti, le parole, i documenti, Napoli, 2001 Piperno L. (a cura di), Grandi concorsi italiani tra il 1945 e il 1986, in « Rassegna » n.61, 1995 Ponti G., Amate l’architettura. L’architettura è un cristallo, Rizzoli, Milano, 2004 Purini F., Luogo e progetto, Roma, 1981 Purini F., La misura italiana dell’architettura, Laterza, Roma-Bari, 2008 Quaroni L., Immagine di Roma, Laterza, Roma-Bari, 1969 Raitano M., Figure follows type. Note about contemporary project to compact fabric in the city of Rome Raitano M., Dentro e fuori la crisi, Percorsi di architettura italiana del secondo Novecento, Libria, Melfi, 2012 Rowe C., Koetter R., Collage city, The MIT Press, Cambridge, 1978 Sobeyano E., Nieto F., Forma constructiva y forma arquitectonica, in « El Croquis » n.20, 1985 Strappa G., L’architettura come processo, il mondo plastico murario in divenire, Franco Angeli, Milano, 2014 Tafuri M., Il concorso per i nuovi uffici della Camera dei deputati, Roma, 1968 Zucchi C., Landmarks, enclaves. Visione e struttura nella città contemporanea, in « ArchitetturaIntersezioni » n.3 - giugno, 1996 Zucchi C., Tettonica e Texture, in « Young Italian Architects » a cura di Mario Campi, Birkäuser Basel/Boston/Berlin, 1988

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RINGRAZIAMENTI Volevo dedicare qualche riga alle persone che hanno permesso la realizzazione di questo lavoro. Ringrazio innanzitutto la Prof.ssa e Arch. Manuela Raitano, a lei devo tanto, ma soprattuto volevo ringraziarla per la passione e dedizione che dedica all’architettura e al suo insegnamento. Grazie per aver creduto in me. Grazie anche agli assistenti del corso di Progettazione Architettonica II, che indirettamente hanno fatto si che iniziasse questo lavoro, e in particolare volevo ringraziare l’Arch. Antonio Luigi Stella Richter con cui è nata anche una piacevole collaborazione. Ad aver creduto in me anche mamma, papà e Palma, instancabili. Dal primo giorno a Roma fino ad oggi sempre presenti, nonostante i tanti chilometri. Grazie di cuore. Ringrazio ovviamente i miei colleghi che in questi sette anni sono diventati prima amici e poi famiglia. Sono davvero felice di avervi incontrato. Per questo vi citerò uno ad uno. Grazie a Marta (Libbi), Valentina, Luca, Barbara, Arianna, Maio, Erika, Manu, Celeste, Carmela e poi ancora Federico, Daniele, Rita, Silvia e l’ultima arrivata Anna. Con tutti voi ho condiviso gioie e dolori del voler diventare architetti. Spero di non aver dimenticato nessuno. E ovviamente un ringraziamento speciale va a Marta (Giambi), Elena e Flavia. Siete state come sorelle per me in questi anni, grazie per avermi sopportato tutto questo tempo. Vi voglio davvero bene ragazzi. Grazie a te Marco che ci sei sempre stato. Grazie anche ad alcuni colleghi del CIAO Sapienza, tre anni meravigliosi in quella giungla di matti, amici con cui resterà sempre un piacere ritrovarsi. Un ultimo ringraziamento va alla mia amica e collega Miriam, borsista CESMA, che mi ha dato un enorme aiuto nella realizzazione del plastico di tesi, senza di lei sarebbe stato impossibile. Grazie.

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