IL TULLIANISMO - di Enzo Palmesano - GIANFRANCO FINI SFIDA A BERLUSCONI

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Il “TULLIANISMO” COME PRECEDENTE NECESSARIO E INVOLONTARIO DEL “FINISMO” di Enzo Palmesano Tratto da “Gianfranco Fini – Sfida a Berlusconi” Aliberti editore, 2010 Naturalmente non è possibile sapere se la Destra Nuova o, meglio, il diverso Gianfranco Fini sia stato, in qualche maniera, influenzato politicamente dalla nuova compagna, Elisabetta Tulliani. Forse c'è chi ha esagerato nell'evidenziare la coincidenza temporale tra l'inizio delle invasioni nel campo della sinistra e del radicalismo alla Pannella ad opera di Fini e la svolta sul piano personale, sentimentale e familiare dell'attuale presidente della Camera, che si è separato dall'ex moglie, la camerata Daniela Di Sotto (madre della prima figlia, Giuliana Fini), ha avuto due altre figlie da Elisabetta Tulliani, Carolina (nata nel dicembre 2007) e Martina (ottobre 2009), ed è apparso molto meno algido del personaggio cui ci avevano abituati le cronache giornalistiche, se non la conoscenza diretta. Comunque sia, una parte di verità ci deve pur essere nel presunto “effetto Elisabetta”, anche perché diversamente Fini sarebbe l'unico uomo al mondo a non essere in alcuna maniera influenzato dalla moglie o dalla compagna di vita. Ma è fin troppo ovvio dire che marito e moglie, o una coppia di fatto, non possono che influenzarsi a vicenda, perché c'è l'amore, c'è l'affetto, ci sono i figli, si vive insieme. E non c'è dubbio che la storia d'amore tra Gianfranco ed Elisabetta sia una cosa seria, non è la sbandata di un uomo di potere, che ora viaggia verso i sessant'anni, per una donna molto più giovane e molto più bella di lui. Non si mettono al mondo due bambine, ad un'età per Gianfranco matura, se non c'è un progetto di vita; non si tratta del capriccio di un momento. E' vita vera, insomma, non materia per gossip. E' difficile, in ogni caso, non buttarla in politica. A cominciare dalla circostanza che lo schieramento del “Family Day”, del trinomio Dio, Patria (sia essa l'Italia o la Padania) e Famiglia ha tra i suoi massimi esponenti – per non parlare delle intricatissime vicende sentimentali di Berlusconi – un leader come Gianfranco Fini che non solo forma una coppia di fatto con Elisabetta Tulliani, non solo è padre di due bambine nate fuori dal matrimonio benedetto da Santa Romana Chiesa ma addirittura mostra pericolosi sbandamenti dalla retta via di centrodestra che potrebbero essere frutto di nuovi orizzonti politici (oltre che personali) aperti dalla giovane compagna. Scrivendo su “Repubblica” del 23 marzo 2009 dell'ultimo congresso di An, quello che ha sancito la confluenza nel Popolo della libertà, Filippo Ceccarelli ha individuato nella nuova vita di Fini uno dei tratti sintomatici della nuova politica finiana, inserendo il presidente della Camera dei deputati in un contesto molto variegato, neofascista o comunista, di Padri e di mariti della Patria. (…). Filippo Ceccarelli, che è uno degli osservatori più attenti e intelligenti della politica italiana, sembra credere fermamente nell'effetto Elisabetta sulla politica finiana, non solo su Gianfranco Fini. Al punto che sulla stessa falsariga potremmo azzardare quasi la


nascita di un sorta di “tullianismo” come precedente necessario e involontario del finismo. (…). Elisabetta Tulliani e Gianfranco Fini (allora vicepremier e ministro degli Esteri) si erano conosciuti nel 2005, quando lei aveva 33 anni e lui 53, vent'anni di differenza; anzi, come scherzavano i camerati in Alleanza nazionale, un Ventennio di differenza, a rimarcare polemicamente che l'ex segretario missino si era – a loro giudizio – allontanato ulteriormente dai “valori” del fascismo appunto per colpa di Elisabetta, detta anche Ely o E. T., proprio come l'extraterrestre. Adesso gli alieni erano due assieme: l'extraterrestre E. T. (iniziali di Elisabetta Tulliani) e il marziano Gianfranco Fini. Tutta un'altra storia, quella di Elisabetta, rispetto all'ex moglie di Gianfranco, Daniela, che era stata un'attivista missina, aveva lavorato alla tipografia del “Secolo d'Italia” come tastierista. Daniela Di Sotto era stata sposata con un camerata e amico di Fini, Sergio Mariani, che si era sparato un colpo di pistola e aveva rischiato di morire a seguito dell'abbandono. Un intreccio di passioni, di ghetto missino, di neofascismo, di almirantismo con Almirante nel pieno del potere e della sua venerata intoccabilità, di sezioni cui veniva dato fuoco dai rossi (violenza ricambiata), di mazzate (prese e date), di morti e feriti. Daniela era la vita e la politica, in una sola miscela; nessuna meraviglia se poi Elisabetta sarebbe diventata un'altra vita, un'altra politica pure, una miscela extraterrestre. Quando, a metà novembre 2007, Ely confermò in un'intervista al settimanale “Chi” di aspettare una figlia da Fini e parlò per la prima volta del loro rapporto di coppia, nel mondo missino furono in tanti a dire che questo spiegava tutto, che Gianfranco aveva “sbroccato”, aveva perso la testa, dava i numeri in politica perché li dava pure nella vita privata. Arrivò la benedizione di Donna Assunta Almirante (“bravo Fini, così incrementa le nascite”), ma in genere circolarono battute pesanti, da parte di ex camerati, tutte regolarmente registrate dalla stampa. Elisabetta, invece, tentò di tenere un profilo basso: “Presto saremo una famiglia normale (...). Io e Gianfranco ci conosciamo da due anni. Ci siamo incontrati per la prima volta due anni fa all'ambasciata statunitense per i festeggiamenti del 4 luglio: i miei genitori sono amici dell'ex ambasciatore. Poi in altre occasioni ufficiali. Piano piano, ci siamo accorti che ci capivamo al volo. Ci siamo presi, insomma. E' stata una cosa naturale (...). E' un uomo molto affascinante, intelligente. Sicuro di sé, ma con una dolcezza incredibile”. E nessuna reticenza su una precedente relazione con l'ex presidente del Perugia calcio, Luciano Gaucci: “Sarebbe sciocco negarlo. Allora avevo 28 anni, ero libera e lo era anche lui. Ci siamo frequentati e questo rapporto mi ha arricchito anche professionalmente”. Avvocato, docente di diritto penale, giornalista pubblicista, conduttrice televisiva, showgirl, mamma e lady Fini: la vita e le opere di Elisabetta Tulliani passata al setaccio, ivi compresa la messa in onda da parte di “Striscia la notizia” sul Canale 5 berlusconiano di un vecchio video che la ritraeva all'epoca del suo legame con Luciano Gaucci. Una soap, quella di “Striscia” che – riferiscono le cronache – avrebbe contribuito non poco a lacerare (se non erano già compromessi) i rapporti di Fini con Silvio Berlusconi. Quello di “Striscia” sembrò un attacco politico, una faida all'interno del centrodestra. Come se Elisabetta Tulliani fosse


l'emblema non solo di una nuova vita privata, ma anche di una nuova politica di Gianfranco Fini, non più catalogabile nel suo schieramento naturale. (…). Una volta si diceva che anche il privato è politico, roba vecchia, da impegno politico totalizzante tipo anni Settanta; per Elisabetta il tempo sembra non essere passato, nessun aggiornamento se, avendo dichiarato che Fini cambia i pannolini alle figlie, il presidente della Camera vi è sentito chiedere conferma da Lucia Annunziata, in un'intervista per la trasmissione di RaiTre, “In mezz'ora”. “Ma la questione – ha risposto Fini – non è di destra né di sinistra, è solo una questione di essere un buon papa”. Già, perché cambiare i pannolini ai figli è “di sinistra” nella vulgata giornalistica. Il Fini femminista, che cambia i pannolini, ha colpito non poco l'immaginario di estimatori ed avversari, tra questi ultimi l'intellettuale e scrittore di destra Marcello Veneziani, autore di una serie di articoli dai toni molto aspri (pubblicati su “il Giornale” e “Libero”) tendente a demolire il “traditore” Gianfranco Fini. Come è avvenuto su “Libero” il 5 febbraio 2008, in risposta all'ennesima svolta di Fini, stavolta sul '68, che per l'ex leader missino rappresentò “un'occasione perduta per la destra”. “Su Fini mi convinco sempre di più che la sua destra è una sinistra in ritardo – ha scritto, tra l'altro, Marcello Veneziani -. L'avrei capito vent'anni fa quando il vecchio Msi era emarginato all'opposizione e doveva liberarsi dal neofascismo. Non sul piano dei principi, che a Fini del resto non interessano, ma dall'efficacia politica. Ma dirlo vent'anni dopo, con assoluta mancanza di tempismo, nell'epoca di Sarkozy e di Ratzinger, il bipolarismo culturale e di elezioni, di dibattito sulla famiglia e sull'aborto, è una sciocchezza suicida. La controprova è lo sponsor, il Corriere della Sera che ha sbattuto Fini 68ino in prima pagina e anziché dare ai lettori un controcanto della destra estesa che non la pensa come lui, ha fornito a fianco un piffero di accompagnamento, per elogiare Fini e la sua autodemolizione”. Per concludere, l'insulto personale e i pannolini (anch'essi “di sinistra”): “Fini si è bevuto il cervello. E ovviamente non gli è bastato per dissetarsi. Cambi i pannolini alla creatura, piuttosto che i connotati della storia”. Marcello Veneziani è sicuramente un uomo di cultura, un intellettuale di primo piano della destra italiana. Ma quando scrive del nuovo Fini vede – manco a dirlo – rosso, rosso fuoco. E sono bordate ad alzo zero. Non usa il fioretto, ma la scimitarra; e non gli viene in mente di pensare che ci possa essere una destra diversa da come la intende lui. Né che Fini (padronissimo) potrebbe essere, consapevolmente o meno, essere avviato lungo una strada per uscire non solo dal Partito della libertà ma anche dalla destra intesa in senso più largo. Dovrebbe e potrebbe essere oggetto di analisi e di critica, Fini, non di semplici anatemi. Marcello Veneziani deve essersi convinto, come altri, che Elisabetta Tulliani abbia contribuito a “fuorviare” Gianfranco Fini, a fargli lasciare il sentiero dritto della destra; e così l'ha tirata in ballo (con la evocazione della sigla ET) dedicando un articolo all'applauditissimo intervento del presidente della Camera dei deputati alla festa del Pd di Genova, a fine agosto 2009. Un attacco tanto veemente che ancora il 21 ottobre 2009 veniva citato dal “Secolo d'Italia”, in un articolo a firma di Filippo Rossi (direttore di www.ffwebmagazine.it) titolato “E se i veri traditori fossero quelli che lo chiamano 'traditore'?”. “Lungamente sospirato – scriveva un arrabbiatissimo Marcello Veneziani -, arrivò in un pomeriggio d'agosto all'altare della sinistra perduta, la Sposa del


Partito Democratico, al secolo Gianfranco Fini... Un tifo della madonna per la nuova sposa che non ha tradito le premesse, limitandosi a tradire i suoi elettori e il suo passato anche più recente. Fini ha parlato da prete progressista della legge Bossi-Fini, quel suo omonimo bestiale e razzista di qualche anno fa. Poi ha parlato da laicista progressista del testamento biologico, con implicito disprezzo della pessima accozzaglia cattolicoconservatrice-tradizionalista che fino a pochi anni fa un suo omonimo cercava di rappresentare. Infine ha parlato da leader della sinistra soffusa contro la Lega, Berlusconi e la destra italiana. Con toni misurati, come s'addice al personaggio. Ma a Genova Fini ha perfezionato il suo lungo viaggio da Almirante a ET, l'extraterrestre”. Un riconoscimento politico nel pieno senso della parola per la nuova compagna di Gianfranco Fini, se Marcello Veneziani ha voluto vedere nel percorso dell'attuale presidente della Camera un viaggio tra i due estremi rappresentati dalla personalità di Giorgio Almirante (capo storico del neofascismo) e dalla extraterrestre Elisabetta Tulliani (in sigla, appunto ET). Un viaggio dalla coerenza al “tradimento”, essendo stato Fini a lungo il continuatore dell'almirantismo senza Almirante, dei vari mascheramenti del neofascismo. Dall'almirantismo al “tullianismo”. “L'articolo di Veneziani – a giudizio del finiano Filippo Rossi – può essere considerato la summa, il bignamino, delle critiche da Destra a Fini. Critiche che, ogni volta, si riducono a un appellativo: traditore. Come non ricordare, ad esempio, l'articolo pubblicato a febbraio dal Giornale che, tra il serio e il faceto, proponeva Fini come perfetto candidato del Partito democratico. Tra le motivazioni? Il Presidente della Camera sarebbe stato 'colpevole' di aver proposto 'il diritto di voto agli immigrati', di aver difeso 'la laicità dello Stato', di aver criticato in modo 'severo il cesarismo' e di aver fatto sapere 'che Sanremo non gli piace'. Quindi, viene forse da pensare forse un po' semplicemente, che per fare politica a destra bisogna essere (per forza) contro il diritto di voto degli immigrati regolari; bisogna attaccare la laicità dello Stato; essere a favore di ogni cesarismo; e soprattutto, per essere di destra, bisogna sorbirsi tutti i Sanremo (senza lasciarselo scappare nemmeno uno)”. Il “Secolo d'Italia” fa ogni tentativo, come è comprensibile, di innestare il nuovo Fini nel solco di una tradizione di destra, ma è un'impresa molto difficile e complessa. (…). Che grande responsabilità politica sulle spalle della povera Elisabetta Tulliani, che già deve da madre di famiglia rispondere alle esigenze della casa, di un marito (seppure di fatto) e di due bambine; per non parlare di quando tornerà anche ad esercitare la professione di avvocato; niente televisione, invece, con il mondo dello spettacolo ha chiuso per sempre. Sulle spalle di Elisabetta anche il peso delle svolte politiche di Gianfranco; il “finismo” come frutto del “tullianismo”. A sentire le prese di posizione di Gianfranco Fini sui diritti civili, la voglia di rifuggire dalle catalogazioni di “destra” e di “sinistra”, a guardare certe sintonie con Marco Pannella chiaramente espresse e altre che sono semplicemente da intuire, si potrebbe parlare di uno sviluppo in senso radicale dei riferimenti del presidente della Camera dei deputati. Sintonie che potrebbero essere nate con il contributo di Elisabetta Tulliani, se si vuole prestare fede ad un articolo pubblicato l'8 aprile 2009 dal “Foglio” di Giuliano


Ferrara, con il titolo: “Così Della Vedova è diventato il nuovo portavoce di Fini”. Benedetto Della Vedova, ex dirigente radicale e ora deputato del Pdl, ha pieno diritto di cittadinanza nell'area finiana, dove continua a dire più o meno le stesse cose che sosteneva quando era nel partito di Marco Pannella ed Emma Bonino, a dimostrazione che certe idee sono penetrate nel profondo del “finismo”. “Niente più colonnelli – ha scritto il “Foglio” - , niente più catacombe della destra da conservare, seppure distrattamente, il presidente della Camera è un uomo ricongiunto con un privato percorso che non aveva modo, con An ancora in vita, di farsi politica. Anche le scelte meno legate alla vita pubblica peraltro sembrano spingere l'ultimo segretario del Msi verso questo approdo al radicalismo in salsa conservatrice se è vero, come ha raccontato Marco Pannella, che Elisabetta Tulliani, l'avvocato con cui oggi Fini convive e ha una figlia, nutre antiche simpatie per il partito di via di Torre Argentina”. Dettaglio di enorme importanza (la E. T. radicale), una prova schiacciante a carico dell'imputato Gianfranco Fini, nell'ambito di una qualche altra requisitoria per “lesa destra” a suo carico. Gianfranco si è messo l'avversario della destra in casa, è intelligenza con il nemico. Gli analisti politici e i giornalisti sono molto incuriositi dal “tullianismo” e tentano di strappare, in articoli e interviste, una qualche conferma dell'effetto Elisabetta (politicamente parlando) su Gianfranco. (…). Gli amori e le politiche di Almirante, Togliatti, Andreotti, Pertini: paragoni impegnativi per l'amore (e le presunte svolte politiche che avrebbe originato) tra Gianfranco Fini ed Elisabetta Tulliani. Per Alessandro Ferrucci, sul “Fatto quotidiano” del 3 dicembre 2009, ci deve essere un nesso tra “la Tulliani e la metamorfosi di Gianfranco”, un merito specifico di quella Elisabetta “piombata senza preavviso nell'universo delle potenziali first lady”. “Dietro ogni statista c'è una donna – ha scritto Alessandro Ferrucci -. Angelo del focolare, Livia Danese, la pudica vestale del divo Giulio, nascosta tra le stanze di un potere che pareva impenetrabile, 'sono una donna pazientissima, ho fatto da padre ai nostri quattro figli', o anche, cambiando genere, origine e inclinazione politica, Carla Voltolina, compagna di Sandro Pertini, ex staffetta partigiana, due lauree: 'Lui mi ha amato moltissimo, certo. Ma anch'io l'ho amato. Forse di più'. Da quei modelli, Eli è distante. Vive il suo tempo, Modernamente. Gite minimal a Fregene e sedute tra forbici e mechès nel locale chic di Roberto D'Antonio in piazza Di Pietra, a due passi da Montecitorio, dove il taglio dei capelli è il banale pretesto per incontrare un mondo, farsi vedere, esserci a prescindere dall'essenza. Come nel salotto di Giuseppe Consolo, avvocato, senatore del Pdl, dove ET cicaleggia con l'amica Nicoletta Romanoff e si incontra col suo fidanzato Giorgio Pasotti, trascinato (suo malgrado?) alle presentazioni letterarie di Fini. Il nuovo potere va edificato: ci vuole pazienza. Dove porti davvero la crasi tra i due, la giovane erinni rinsavita e l'uomo delle svolte ritrattate, ora diretto alla ricerca di arche perdute e scenari fantascientifici, non è dato sapere. Sono in viaggio. Camminano insieme. La luna di miele è appena iniziata”. “Statista”, per ora, è una parola grossa se appiccicata all'ex segretario missino. Ma è interessante l'analisi di Alessandro Ferrucci sul cambiamento di stile e di approccio fin


qui dimostrato da Gianfranco, grazie ad E.T., una “ragazza in grado di ribaltare amicizie, riferimenti e universo del nuovo Fini proteso verso magnifiche e progressive sorti. In luogo dei vecchi notabili di un tempo, che uscendo dalla storica foto della squadra calcistica del Secolo d'Italia 1980, hanno abbandonato Fini uno a uno (chi per convenienza, chi perché morire berlusconiani, sembra meglio di qualunque alternativa), un pantheon rinnovato. Lo ha deciso 'Eli', cambiandoli come un vecchio vestito inadatto ai tempi correnti. Niente più occhiali da carabinero sudamericano, niente impermeabili Cefis, né spaventose camicie a maniche corte o cravatte fantasia che facevano somigliare l'amato al cronista Rai Castellotti, quello di Novantesimo minuto. Giovani di pensiero (FareFuturo), divertimento moderato, eleganza, completi scuri, sobrietà. Ogni rivoluzione necessita di un assestamento”. Il mondo della destra e del centrodestra, vecchi e nuovi, non sono simpatici al “Fatto quotidiano” e ad Alessandro Ferrucci, ma per Gianfranco Fini hanno operato un'eccezione. Grazie, ancora una volta, all'extraterrestre E. T., “acronimo spielberghiano, trasformazione kubrikiana”. Un altro mondo, Gianfranco ed Eli, “lui e lei, impegnati ad accreditarsi, a iniziare dal congresso Pdl, in cui ET si presentò in pantaloni, i capelli legati, l'ovale serio e compunto, senza mai alzarsi dalla sedia per l'intera durata del congresso. Gli altri ignobilmente stravaccati, lei dritta, fino alla fine”. E' destino che a Gianfranco Fini debbano essere attribuite fortune o svolte politiche volute o favorite dalle donne. Ed è stato inevitabile mettere in un unico calderone verità, leggende e gossip. La leggenda più antica e più nota è quella riguardante un presunto consiglio di Donna Assunta al marito Giorgio Almirante affinché cooptasse il giovane Gianfranco al vertice del partito, fino a farlo assurgere al grado di capo del neofascismo, di continuatore dell'almirantismo quale segretario nazionale del Msi-Dn. Leggenda smentita. Un gossip (anch'esso decisamente smentito) ha riguardato la presa di posizione di Fini al referendum sulla procreazione assistita (“Voterò tre sì e un no”), una svolta che i maligni vollero per forza attribuire a qualcosa di extra-politico, ad un presunto flirt tra l'allora presidente di An e il ministro Stefania Prestigiacomo, che si disse “confortata” dal pronunciamento di Gianfranco. Molto sconfortati, invece, si dimostrarono i suo camerati che videro nel voto al referendum un tradimento contro la cosiddetta difesa della vita, la dignità della persona umana, la famiglia, l'insegnamento della Chiesa cattolica e il buon senso, tanto più che i referendari subirono una sconfitta, i quesiti non raggiunsero il quorum necessario. Un fallimento. E Gianfranco fu guardato con molto sospetto dai camerati, convinti che fosse tutta colpa di una sbandata per Stefania Prestigiacomo. Per una mentalità maschilista la donna può essere il diavolo, il veicolo della perdizione, “se Gianfranco ha sbagliato – si diceva nel partito - è colpa della Prestigiacomo”. E nel Msi-Dn e in An il maschilismo c'era; lo stesso Fini non ne era immune, prima della conversione femminista. In un'intervista all'“Europeo” del 30 dicembre 1988, Gianfranco Fini faceva quasi una professione di fede: “Se mi piacciono le donne? Ci mancherebbe altro! Non ho mai avuto velleità ascetiche o monastiche, anche perché si concilierebbero assai male con l'essere missino”. Maschilismo neofascista al massimo grado. Una frase che sarebbe piaciuta ad Alimirante, che in una polemica con Marco Pannella sull'uso della droga da parte dei ragazzi aveva risposto: “Ai giovani di destra non piace la droga, ai giovani di destra piacciono le donne”. Epoche e


frasi molto diverse da quella diffusa da Fini, a metà maggio 2005, alle agenzie di stampa per smentire il presunto flirt: “Provo indignazione per le maldicenze, le illazioni e le gratuite insinuazioni con cui si è cercato di spiegare le ragioni della mia meditata decisione di votare sì per tre referendum. Indignazione che diventa autentico disgusto per il fatto che non si è esitato a coinvolgere in uno squallido gossip di stampo maschilista il ministro Prestigiacomo, cui rinnovo la stima e l'apprezzamento”. Addio al maschilismo del neofascismo, dell'almirantismo e del vecchio Fini; la Destra nuova, il nuovo Fini sono, al contrario, femministi. E con un linguaggio che fa assomigliare le donne finiane d'assalto alle femministe che tante volte – e con un vocabolario spesso irripetibile – erano finte nel mirino della pancia missina. Anche qui era inevitabile, prima o poi, la rotta di collisione con Berlusconi e il berlusconismo, un leader e un fenomeno politico per i quali – a giudizio dei critici e degli anti-berlusconiani - la selezione della classe dirigente e parlamentare sembra voler fare il verso al gossip, ai concorsi di bellezza, alla comparsate televisive. L'accusa tranciante alle donne che hanno fatto carriera all'ombra di Silvio Berlusconi: veline più che deputate, miss più che ministre. Solo che una polemica del genere contro Berlusconi gli ingenui se la sarebbero aspettata da sinistra, da qualche femminista di lungo corso, da esponenti del Pd, di Rifondazione comunista o dei radicali. Previsione sbagliata perché l'attacco femminista più aspro all'indirizzo del Cavaliere è arrivato da postazioni interne al Pdl, fuoco amico, da donne non di sinistra ma finiane. Ammesso che le donne finiane non abbiano mutuato dalla sinistra una loro visione del mondo, una riedizione del femminismo, come potrebbe sembrare a chi critica da destra il finismo. Si discuterà ancora a lungo della collocazione culturale del finismo e del femminismo finiano, ma per ora c'è un dato di fatto: l'ormai famosa polemica sulle veline che Berlusconi avrebbe avuto intenzione di candidare al Parlamento europeo nel 2009 è stata scatenata dal webmagazine della Fondazione FareFuturo, con un articolo a firma della professoressa rossa Sofia Ventura. Una bufera, quell'articolo pubblicato su www.ffwebmagazine.it il 27 aprile 2009, con il titolo: “Donne in politica: il 'velinismo' non serve” (…). Non bisogna pensare che Sofia Ventura sia un'eretica capitata per caso nella Fondazione di Gianfranco Fini. Scrive cose perfettamente in linea con il finismo, semmai con un piglio polemico consentito a chi non ha incarichi di partito o nelle istituzioni. Non è una pirata. E' una corsara: effettua scorrerie, ma con l'autorizzazione della corona. E' proprio Fini a riconoscere alle donne un ruolo di profonda innovazione, rivoluzionario nel '68 e dintorni, come ha scritto nel suo libro “Il futuro della libertà – Consigli non richiesti ai nati nel 1989”. Secondo Fini, “le persone appartenenti a tale generazione, quando avevano la vostra età, hanno amato in modo smisurato la libertà. E l'hanno reclamata, per così dire, a trecentosessanta gradi. Dalla famiglia alla scuola, dalla musica alla moda, dall'amore alla politica e in tante altre cose ancora, compresi i rapporti sociali e familiari tra uomini e donne”. Il femminista Gianfranco Fini ha poi aggiunto: “Le ragazze mie coetanee, almeno quelle più consapevoli, sono scese in strada per rivendicare il loro diritto, come donne, di essere protagoniste della loro vita, senza più ruoli rigidi, senza più discriminazioni per via del genere, senza più essere costrette a una funzione socialmente subalterna rispetto agli uomini”.


Le affermazioni “sessantottine” di Fini danno piena legittimazione alla polemica antiberlusconiana sulle cosiddette veline in politica. L'ex capo di An privilegia una donna militante, consapevole dei propri diritti, pronta alla rivoluzione per ampliare gli spazi di libertà. Le femministe che danno man forte a Gianfranco Fini stanno pienamente nell'ortodossia finiana, non sono portatrici di un messaggio eterodosso come poteva essere nel Msi-Dn al tempo della monarchia almirantiana o dell'almirantismo senza Almirante impersonato dall'attuale presidente della Camera dei deputati. Leggere le pubblicazioni dei finiani (quotidiano, rivista, web) significa avere conferma che – come ha scritto Annalisa Terranova sul “Secolo d'Italia” del 19 marzo 2010 - “proporsi come antivelina è un po' la via obbligata, in questa fase, per difendere un protagonismo femminile di qualità”. Il femminismo (o, se si preferisce, la politica al femminile) di Annalisa Terranova parte da lontano, ha attraversato il neofascismo ed è approdata al finismo. E' autrice di un libro, pubblicato da Mursia nel 2007, “Camicette nere. Donne di lotta e di governo da Salò ad Alleanza nazionale”. Come altri esponenti del finismo, Annalisa Terranova arriva dalle file dei seguaci di Pino Rauti e il suo impegno politico è stato a lungo contrassegnato da profonde differenze con l'almirantismo e con il vecchio Fini. Se non ci fosse stata la classe dirigente formatasi attorno a Pino Rauti (e in parte attorno a Beppe Niccolai) oggi Fini non saprebbe a chi affidare la diffusione di alcune parole d'ordine del finismo. (…). Al “Secolo d'Italia” c'è una roccaforte del finismo al femminile: con Annalisa Terranova anche un'altra ex rautiana, il direttore Flavia Perina, deputata del Pdl. Scrivendo della “nostra destra dei diritti” sul numero 1 del 2010 del bimestrale della Fondazione FareFuturo “Charta Minuta”, Flavia Perina ha sottolineato come “aree (minoritarie) del nostro mondo, anche nel clima dello scontro ideologico su questi temi, abbiano cercato di sottrarsi a una visione puramente conservatrice per tentare una declinazione 'alternativa' sul terreno dei diritti individuali. Un buon esempio riguarda i diritti delle donne, dove con diverse esperienze associative si provò a elaborare il tema della complementarietà come via maestra in contrapposizione sia all'emancipazionismo femminista sia al sostanziale maschilismo della destra borghese, rileggendo temi quali famiglia, aborto e pari opportunità e riscoprendo figure come Evita Peron, Cristina Campo, Teresa Labriola”. Il riferimento ad “aree minoritarie del nostro mondo”, da parte di Flavia Perina, è naturalmente all'area rautiana del vecchio Msi-Dn . Con la differenza che all'epoca Flavia Perina e gli altri rautiani erano portatori di una innovazione, di prese di posizione anticonformiste rispetto ai vertici almirantiani del partito (Fini compreso); oggi gli ex rautiani sono pienamente conformi con il capo, con le idee del nuovo Fini. Ma è Fini ad essere cambiato. L'anticonformismo femminista del “Secolo d'Italia” si sostanzia, nell'ambito del centrodestra, anche nel criticare il velinismo, com ha fatto in occasione dell'8 marzo 2010, Festa della Donna, denunciando “due fattori che indicano una vera regressione. Da un lato vi è il fatto che la concreta emancipazione femminile non è al centro dell'agenda politica del nostro Paese. Dall'altro la nostra cultura politica sembra incapace di liberarsi di stereotipi ormai superati in altri Paesi e che le battaglie femministe degli anni Settanta parevano avere messo definitivamente in crisi e, al tempo stesso, sta subendo una vera e propria involuzione, laddove legittima un nuovo modello 'vincente' di donna che assomiglia molto, troppo, al


modello della prostituta”. Affondo che sembra ricalcare la critica dell'ex berlusconiano Paolo Guzzanti per la selezione della classe dirigente del centrodestra, un attacco nel quale il giornalista e parlamentare coniò la definizione di “mignottocrazia”. Molto sentita nel femminismo finiano l'esigenza di sbarrare la strada, per quanto possibile, ad un centrodestra – per dirla alla Paolo Guzzanti - “mignottocratico”. Basti leggere un altro articolo di Annalisa Terranova (“Secolo d'Italia” del 22 ottobre 2009), con il titolo “Avanti col nuovo femminismo, senza veline”, nel quale l'autrice ricordava pure di aver partecipato ad un dibattito sulla scrittice francese Simone de Beauvoir, icona del femminismo, compagna dello scrittore Jean Paul Sartre, icona della sinistra. “Simone de Beauvoir, donne alla conquista di libertà” è invece il titolo di un articolo pubblicato il 7 marzo 2009 da www.ffwebmagazine.it , a firma di Rosalinda Cappello, dedicato alla “scrittrice e filosofa che, comunque la si pensi, è stata un simbolo per le donne in lotta contro le ipocrisie della borghesia e contro lo stato di minorità in cui le aveva relegate la società”. Al magazine della Fondazione FareFuturo piace, inoltre, “il femminismo popolare della cancelliera” Angela Merkel, come ha sottolineato il 22 gennaio 2009 Federico Brusadelli. (…). Dal fronte moderato europeo, con Angela Merkel, è arrivata quindi altra linfa per il nuovo corso di Gianfranco Fini. A meno che non si tratti di tardo-almirantismo un po' più furbo, comunque capace anche nel passato di appiccicare tante maschere sul volto del neofascismo, come se Fini fosse una versione politica del grande imitatore Alighiero Noschese. Quell'indimenticabile Alighiero Noschese al quale RaiDue il 26 dicembre 2006 dedicò un omaggio da San Giorgio a Cremano (“Ma che Sera.ta”), patria pure di Massimo Troisi. La kermesse fu presentata da Giancarlo Magalli ed Elisabetta Tulliani. Enzo Palmesano Tratto da “Gianfranco Fini – Sfida a Berlusconi” Il “TULLIANISMO” COME PRECEDENTE NECESSARIO E INVOLONTARIO DEL “FINISMO” Aliberti editore, 2010


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