RésEAU
Saint-Louis du Sénégal: una rigenerazione che parte dal fiume
Università degli Studi di Ferrara Facoltà di Architettura Biagio Rossetti anno accademico 2011-2012 sessione straordinaria marzo 2013
laureande: Alice Clementi & Elena Dorato relatore: prof. Romeo Farinella correlatore: arch. Gabriele Sorichetti
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al viaggio.
alle persone che si incontrano e a quelle a cui si dice addio. a tutti quei luoghi che ci fanno innamorare lasciandosi chiamare casa. al ritorno.
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indice abstract
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premessa
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0.0 come e perchè
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0.1 considerazioni preliminari
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0.2 cooperazione decentranta: Saint-Louis e l’Europa
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0.3 città d’acqua: strategie di riqualificazione per nuove identità urbane
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parte 1
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1.0 il fiume e l’evoluzione della città: cenni storici
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1.1 il ponte
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1.2 un fiume che divide
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1.3 territorio anfibio
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parte 2
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2.0 un passo indietro
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2.1 quale patrimonio?
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2.2 turismo sostenibile: un modello che guarda al futuro (?)
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2.3 toubab a Saint-Louis: limiti e potenzialità
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2.4 l’emergenza rifiuti: un contesto altamente inquinato
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2.5 Afrique plastique: la colonizzazione della plastica
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2.6 terra ferma
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2.7 il sistema dei trasporti
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parte 3
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3.0 acqua che unisce
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3.1 RésEAU: perché una rete di mobilità pubblica fluviale
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3.2 dove: la rigenerazione parte dai micro-centri
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3.3 quando: un intervento in divenire
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3.4 come: i programmi di compensazione volontaria di CO2
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parte 4
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4.0 vivere l’esterno: declinazioni dello spazio pubblico
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4.1 il muro: archetipo del recinto
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4.2 Ile Nord: storia di un quartiere
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4.3 l’avenue Jean Mermoz: uno spazio europeo nel cuore dell’Africa 209 4.4 intenzioni progettuali: una rigenerazione che parte dal fiume
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bibliografia
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ringraziamenti
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elaborati grafici
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abstract
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Le città d’acqua rappresentano oggi uno scenario privilegiato per l’attivazione d’importanti processi di riqualificazione urbana. Tali dinamiche, partendo da interventi su waterfront, aree portuali dismesse, rive e banchine hanno il compito non solo di rivitalizzare porzioni degradate o abbandonate della città, ma anche di riscattare quel legame ancestrale e necessario di questa con la sua componente liquida. Il paesaggio acquatico si tratti di fiumi, mari, laghi o lagune, contamina il tessuto urbano con la fragilità del suo equilibrio e, al contempo, lo qualifica e arricchisce di un fascino unico.
Se a queste numerose tematiche si vanno a sommare i problemi e le caratteristiche di una città dell’Africa Subsahariana in cerca della sua collocazione a livello internazionale, si viene a delineare il profilo di Saint-Louis du Sénégal. Ricca di storia e cultura, emersa dalle acque del delta del fiume Sénégal, questa città-arcipelago ha ormai perduto il suo vitale rapporto con l’acqua, difendendosi da questa ed escludendola dalle attività di vita quotidiana.
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Questa tesi vuole fornire una strategia d’azione a livello urbano che, grazie al ri-utilizzo del piano d’acqua, possa contribuire alla riqualificazione dell’intera città partendo dalle sue sponde. La rete di mobilità pubblica fluviale proposta, servizio orientato a integrare e decongestionare l’attuale caotico sistema dei trasporti, è rivolta sia agli abitanti che ai turisti potendo così favorire non solo lo scambio culturale e l’interazione sociale, ma anche una riattivazione economica necessaria.
Le polarità di RésEAU saranno il primo scenario del processo di micro-rigenerazione urbana, luogo privilegiato per lo sviluppo di una nuova aggregazione sociale; la mixité funzionale e il riuso di edifici storici ormai dismessi contribuiranno alla valorizzazione del grande patrimonio architettonico e culturale della città. L’inserimento di funzioni pubbliche rivolte a molteplici tipologie d’utenza dovrà essere capace di creare nuovi comportamenti, generando forme di appropriazione degli spazi e riscoprendo la vivace unicità Saint-Louisienne.
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premessa
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come e perchè “Si dimentica con troppa facilità che, ancor prima di costituire un insieme di tecniche atto a fornirci riparo dalle intemperie, l’architettura è uno strumento di misurazione, una somma di saperi in grado di organizzare il tempo e lo spazio delle società, consentendoci di misurarci con l’ambiente naturale.1” Questa tesi di laurea nasce dall’interesse condiviso che, nel corso del nostro percorso universitario, abbiamo sviluppato verso altre realtà, attraverso un approccio diretto alle tematiche trattate che, quando possibile, si traduce in un’esperienza sul campo in prima persona. La possibilità di conoscere più da vicino la realtà senegalese ci è stata offerta partecipando al workshop internazionale “Eau Comme Patrimoine: progettare in un sito UNESCO” nella primavera 2012, un’iniziativa promossa dall’Unione Europea all’interno del Programma Cultura. Insieme a quattro importanti realtà d’acqua europee quali Comacchio in Italia, Lille in Francia, Coimbra in Portogallo e Braila in Romania, è stato ritenuto importante esaminare un caso studio extra-europeo, appartenente non solo ad un’altra realtà geografica, ma anche ad un’altra realtà culturale: Saint-Louis du Sénégal. Antica capitale coloniale francese dell’Africa Occidentale, SaintLouis è conosciuta come la Venezia dell’Africa: è con questa (erronea) immagine nella mente che siamo partite alla volta del Senegal. Il soggiorno è durato appena dodici giorni, tempo non sufficiente nemmeno ad avvicinarsi alla mentalità e alla cultura locale, ma abbastanza lungo da farci innamorare di una realtà così vivace e contraddittoria.
1 P. Virilio, Lo Spazio Critico. Dedalo, Bari 1988
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Stringendo un rapporto di cooperazione a nome dell’Università degli Studi di Ferrara, nella persona responsabile del prof. Romeo Farinella, con l’Université Gaston Berger di Saint-Louis, nello specifico con il Dipartimento di Geografia coordinato dal prof. M. Diakhaté, siamo stati affiancati nel lavoro di ricerca da alcuni dottorandi del dipartimento, aiuto prezioso nello scoprire e provare a comprendere una città a tratti ostile. Il lavoro prodotto in seguito a questo primo sopralluogo è stato un dossier di analisi urbana che, approfondendo alcune tematiche particolarmente care all’amministrazione locale, tenta di fornire spunti di riflessione e strategie di azione su larga scala. Durante l’edizione 2012 del Festival di Internazionale a Ferrara è stata allestita una mostra fotografica a racconto della nostra esperienza, insieme con un seminario sulla città di Saint-Louis al quale hanno partecipato attori pubblici e privati, sia italiani che senegalesi.
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considerazioni preliminari Intenzionate ad approfondire le tematiche già trattate con il workshop, con la curiosità e la voglia di ritornare a Saint-Louis, nell’autunno 2012, grazie ad una borsa di studio del bando Atlante per Ricerca Tesi, ci siamo rimesse in viaggio. La città ci ha accolto, più o meno calorosamente, questa volta per un mese e mezzo. Abbiamo ripercorso le sue strade, più e più volte, fino a sentirle anche un po’ nostre. Abbiamo conosciuto i nomi dei suoi abitanti più amichevoli e le loro condizioni di vita, spesso molto difficili. Abbiamo attraversato le sue isole e navigato il suo fiume, assistito con stupore e riverenza ai suoi festeggiamenti, alle sue tradizioni e, purtroppo, anche alle manifestazioni dei suoi pregiudizi. Il canto del muezzin e il belare delle tante capre per le strade e nei cortili sono suoni che resteranno scolpiti nelle nostre memorie, così come gli odori, i colori e i volti sorridenti della sua gente. All’importanza che ha comportato per noi quest’esperienza, a livello umano, culturale e didattico, si affianca la consapevolezza di quanto sia difficile, per un occidentale, immedesimarsi in una realtà così differente dalla propria. Ci siamo domandate più volte quale diritto avessimo di elaborare, noi e non gli studenti o i giovani architetti senegalesi, una proposta progettuale su un sistema urbano così complesso e insolito. (La risposta, a oggi, ancora non è così assoluta e definitiva). La coscienza, però, che per trattare e approfondire in maniera esaustiva un progetto del genere ci vogliano tempi ben più lunghi di quelli di una tesi di laurea, non ci ha mai abbandonate. Nonostante i molti dubbi e scrupoli, abbiamo comunque deciso di affrontare il tema, intendendolo come un esercizio utile, un’opportunità di crescita e di confronto, di conoscenza e di viaggio che, nel migliore degli scenari ipotizzabili, possa anche essere fonte di riflessione, specialmente per gli enti amministrativi della città di Saint-Louis.
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ve nou lle
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2030 12
africaine
tropole me
Gestione e tutela del sito di Saint-Louis Sviluppo dell’economia urbana e promozione dell’intercomunalità Gestione urbana e qualità della vita Rivitalizzazione delle reti di trasporto Arte, Cultura e tempo libero
workshop internazionale
Eau Comme Patrimoine:
progettare in un sito UNESCO
Convenzione di Cooperzione
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Convenzione di Cooperzione
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Ateliers Internationaux de Matrise Urbaine
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AIMOU
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Université Gaston Berger-UNIFE
PSVM Plan de Sauvegarde et de Mise en Valeur de Saint-Louis Plan de Développement Urbain
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con la città di Lille, Francia
Assises de Saint-Louis
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SDAU Plan Spécial de Développement de la ville de Saint-Louis
ADC
Agence de Développement Communel
iscrizione sulla Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO
ADS
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Programma di Sviluppo Comunale all’orizzonte 2008
Ateliers Internationaux sur le Patrimoine
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Convenzione Francia-UNESCO-Senegal
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AGENDA 21
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Programme Pluri-annuelle de Coopération
cooperazione decentrata: Saint-Louis e l’Europa Come gran parte delle città africane, la municipalità di Saint-Louis ha stretto, nel corso dei decenni, numerosi rapporti di cooperazione con altre municipalità europee e associazioni di vario genere. La ragione alla base di questa politica sembra ovvia: la ricerca di aiuto e supporto per lo sviluppo urbano, non solo a livello economico, ma anche e soprattutto a livello tecnico. La Francia, paese che da sempre ha molto investito in programmi di partenariato all’estero, è il principale attore straniero operante a Saint-Louis, con la presenza costante di un tecnico del comune di Lille all’interno dell’ADC, l’Agence de Développement Communale, e con la quasi totalità dei finanziamenti stanziati dall’ADF, l’Agence de Développement Français; vengono poi il Belgio (città di Liege, il Centro Vallonia-Bruxelles e l’Agence Belge de Développement), la cooperazione spagnola (Tenerife) e quella austriaca. L’Italia, inesistente sul territorio fino al nostro modesto contributo nel 2012, si è fatta precedere persino dalla Corea del Sud, al momento incaricata della costruzione del nuovo stadio cittadino. Dopo secoli di colonizzazione, la presenza francese rivendica oggi un diritto d’intervento sul territorio attraverso la forma più diplomatica della Coopération Decentralisée. Ma che cosa significa? La cooperazione decentrata è una forma di collaborazione che, secondo l’Unione Europea, deve contribuire alla riduzione della povertà e allo sviluppo sostenibile, concentrandosi “sul potenziamento delle capacità di dialogo delle società civili nel Paesi in Via di Sviluppo al fine di favorire l’emergere della democrazia 21 ”.
2 Regolamento (CE) n° 1659/98 del Consiglio Relativo alla Cooperazione Decentralizzata, 17 luglio 1998
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48840 60000
1960 1964
74402
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81204
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88404
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previsioni di crescita demografica 223541
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Il documento municipale detta l e linee d i espansione della città, stimando l’evoluzione demografica dei prossimi 15 anni. l’espansione urbana verso la terraferma si prevede coinvolgerà circa il 39% dei terreni attualmente liberi che però, trovandosi su una zona di depressione, sono soggetti agli straripamenti stagionali del fiume. L’asse nord ospiterà c irca u n terzo dell’intera popolazione della città, mentre l’asse sud vedrà potenziare la sua vocazione a gro-silvo-pastorale, grazie alla costruzione di infrastrutture e nuovi servizi.
+15 000 nuove unità abitative
Bang o
6000 ab
4000 ab
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Universi
8000 ab
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+98 km aree nuova edificazione
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125000 ab
56000 ab
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Saint-Louis 2030: Nouvelle Metropole Africaine
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200000 ab Gand on
2500ab/km2
9000 ab
16000 ab
nuova densità abitativa
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Gandi 9000 ab
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12000 ab
Il nobile fine di forire consulenza e sostegno a realtà considerate meno sviluppate rischia, però, di diventare una delle principali cause del mancato sviluppo dei contesti in questione. Molte volte, infatti, la cooperazione decentrata non avvia processi d’istruzione e sensibilizzazione degli attori locali, lavorando fianco a fianco con loro e fornendo gli strumenti per una crescita realmente sostenibile; quel che più spesso accade è la completa cessione, da parte delle amministrazioni locali, di interi processi di ricerca e sviluppo a delegazioni straniere che, partendo da un’analisi delle problematiche spesso molto superficiale, arrivano alla redazione di documenti e piani totalmente inappropriati per il contesto cui devono essere applicati. Dal punto di vista degli strumenti, infatti, pare che alla città di Saint-Louis non manchi nulla: esiste un piano strategico d’indirizzo dell’evoluzione urbana all’orizzonte 2030 (Saint-Louis 2030: Nouvelle Metropole Africaine), piani specifici e dettagliati sulle strategie da adottare per tentare di risolvere le problematiche principali della città (Rapporto sui Rifiuti, Rapporto sul Patrimonio, Rapporto sulla Pesca…) equivalenti ai nostri Piani Particolareggiati, piani sulle strategie di sviluppo turistico e così via. Visitando i siti internet di enti locali, uffici e associazioni l’idea che emerge della città è forviante e lontana dalla realtà: anche gli accattivanti strumenti di comunicazione e divulgazione utilizzati non sembrano per nulla appartenere al contesto che dovrebbero invece descrivere. C’è, quindi, un forte divario, un enorme scostamento tra la quotidianità di Saint-Louis, il suo vivere, e l’idea moderna e occidentale che di questa città si vuole dare. Tale disparità è di certo incrementata dalla forte presenza, nei processi decisionali e di pianificazione, di personalità esterne ed estere.
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La cooperazione si traduce, così, in una gestione unilaterale dei progetti da parte dei partners stranieri che, forti del loro potere monetario, esercitano una supremazia totale sul territorio e sulla sua regolamentazione. E’ questo il caso, ad esempio, del Plan de Sauvegarde et de Mise en Valeur della città di Saint-Louis, redatto nel 2008, in seguito alla Convenzione Francia-UNESCO-Senegal del 2005, agli Ateliers Internationaux sur le Patrimoine del 2006 ed alla Convenzione di Cooperazione con la città di Lille, in Francia, del 2007. Tale documento, che dovrebbe anche fungere da Piano di Gestione della città in seguito al suo inserimento, nel dicembre 2000, nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, rispecchia appieno la concezione conservativa del patrimonio storico tipica della cultura francese. Il piano consiste in una sterile catalogazione del patrimonio architettonico, dettando le regole per un restauro che disciplini, in primis, l’aspetto delle facciate degli edifici. L’imposizione di materiali e colori (per altro rari e molto costosi nel contesto in cui ci troviamo) non è supportata da indicazioni, forse più utili, sul recupero delle tipologie edilizie tipiche o sul riuso degli spazi tradizionali in un’ottica di evoluzione della città. Nonostante l’esistenza del PSVM, il governo senegalese ha dovuto redigere un rapporto, nel gennaio 2008, sullo stato di conservazione del sito, documento richiesto dal Comitato del Patrimonio Mondiale già nel 2006, a solo un lustro dal suo inserimento nella lista dei siti UNESCO. Non è da escludere che Saint-Louis verrà iscritta nella lista del Patrimonio in Pericolo, tenuto conto dello stato allarmante in cui si trova. La generale incuria in cui versa oggi, specialmente l’isola storica è, quindi, anche colpa e responsabilità della cooperazione decentrata che, fornendo un prodotto pre-confezionato e tipicamente europeo a una realtà sensibilmente diversa, non ha certo contribuito ad arrestarne il degrado.
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città d’acqua: strategie di riqualificazione per nuove identità urbane “Possiamo individuare come città d’acqua tutti quegli insediamenti urbani, di struttura complessa e di dimensione significativa, che mantengono con l’acqua –nelle sue diverse forme- una relazione visibile importante, che può presentare anche aspetti fortemente problematici o addirittura negativi. Così definite, queste città possiedono, con la presenza stessa dell’acqua dentro o accanto il tessuto urbano, uno straordinario valore aggiunto che, a seconda dell’intelligenza e della capacità dei loro cittadini, può giocare un ruolo decisivo non solo sul piano dell’estetica della città, quanto in una dimensione strategica dello sviluppo urbano 31“. I numerosi recenti studi che hanno come oggetto la riconquista del paesaggio fluviale e, insieme, la riqualificazione del sistema urbano, pongono l‘accento sullo spostamento dall’aspetto puramente estetico ed evocativo dell’elemento fiume in città, a quello più pragmaticamente rivolto alla qualità della vita delle persone, che consideri, in primis, i problemi sociologici, economici e ambientali della città d’acqua. Si arriva, così, alla definizione del paesaggio urbano, sintesi e interazione degli elementi paesaggistici (il fiume) e di quelli urbani (la città e le sue dinamiche)42. In Europa e in numerosissimi altri paesi del mondo si parla, ormai da anni, dell’importanza della riqualificazione dei waterfront urbani, intendendo con tale termine “quella porzione di tessuto della città che sta sul margine, a contatto con l’acqua 53 ”. 3 Rinio Bruttomesso, Nuovi Scenari Urbani per le Città d’Acqua. Lezione all’interno di Percorsi d’Acqua, Milano, 7 marzo 2007. 4 Sophie Bonin, Fleuves en Ville: enjeux écologiques et projets urbains. Strates n° 13, 2007. 5 art. cit. Nuovi Scenari per le Città d’Acqua.
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Gli esempi di progetti e proposte strategiche per la riconversione di tali spazi abbondano: si potrebbero passare giorni interi a leggere e discutere di queste pratiche, facendo tuttavia fatica ad isolare e separare le singole tematiche le une dalle altre. La città che vive in stretto rapporto con il suo fiume (o con la sua laguna, con il suo lago, i suoi canali, il suo mare) è continuamente plasmata e modificata dall’acqua; mutano in maniera dinamica i tessuti -urbani, sociali ed economici- e la città vive, al contempo, fenomeni positivi che la rendono unica e problemi specifici, talvolta gravi, che la caratterizzano in maniera negativa. L’acqua in città si può, quindi, considerare come un elemento naturale antropizzato, con le peculiarità e le fragilità di entrambi i mondi: naturale e artificiale. A tutto questo, si deve aggiungere che ogni luogo, ogni paese, ogni città ha sviluppato, nel corso della storia, un rapporto unico e privilegiato con il proprio corso d’acqua: si rischia, quindi, spesso di arrivare a conclusioni superficiali, fornendo risposte stereotipate a quesiti altrettanto generici e generalizzati. La volontà di fare ordine all’interno dell’acceso e vivace dibattito internazionale sul tema delle città d’acqua è stata espressa in occasione della Global Conference on the Urban Future (URBAN 21) tenutasi a Berlino nel 2000, con l’elaborazione di Dieci Principi per uno Sviluppo delle Aree di Waterfront Urbano61. 6 Global Conference on the Urban Future, 4-6 luglio 2000, Berlino. URBAN 21 è un evento organizzato nella cornice dell’EXPO 2000 di Hannover, in Germania; la conferenza, che rientra nel progetto Global Initiative for Sustainable Development, avviato da Brasile, Germania, Singapore e Sud Africa, ha il compito di portare alla redazione di un dossier sulle dinamiche mondiali di sviluppo delle città, capace di fornire soluzioni concrete e generare una visione strategica condivisa per raggiungere l’obiettivo dello sviluppo sostenibile delle città del XXI secolo. IL fine ultimo di URBAN 21 è, quindi, quello di diventare un punto di riferimento, a livello mondiale, nel dibattito della sviluppo urbano sostenibile, rielaborando in termini ancora più concreti gli obiettivi esplicitati dall’Agenda 21 e dall’Habitat Agenda.
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Tali punti sono: 1.
Garantire la qualità dell’acqua e dell’ambiente. (La qualità
dell’acqua in un sistema di cordi d’acqua, fiumi, canali, laghi, baie e mare è un prerequisito per tutti gli interventi di waterfront. Le amministrazioni sono responsabili del recupero delle rive abbandonate e del disinquinamento dell’acqua.)
2.
I waterfront sono parte del tessuto urbano esistente. (I nuovi
interventi sul waterfront dovrebbero essere concepiti come parte integrante della cittàesistente e dare un contributo alla vitalità urbana. L’acqua è parte del paesaggio urbano e dovrebbe essere utilizzata anche per funzioni specifiche come il trasporto, il tempo libero, la cultura.)
3.
L’identità storica dà carattere al luogo. (Il patrimonio collettivo
di eventi, paesaggi, natura rappresentato da acqua e città dovrebbe essere sfruttato per attribuire carattere e significato alle operazioni di recupero dei waterfront. La tutela del passato industriale è un elemento importante del recupero.)
4.
Dare priorità al mix delle funzioni. (I waterfront dovrebbero va-
lorizzare la presenza dell’acqua offrendo una varietà di funzioni culturali, commerciali e residenziali, dando priorità a quegli usi che richiedono lapresenza dell’acqua. I quartieri residenziali dovrebbero essere misti e integrati, sia dalpunto di vista funzionale che sociale).
5.
L’accesso pubblico è un requisito irrinunciabile. (I waterfront
dovrebbero essere accessibili sia visivamente che fisicamente ai residenti e ai visitatori di ogni età e di ogni classe economica. Gli spazi pubblici dovrebbero essere costruiti con livelli qualitativi alti da consentire un uso intensivo).
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6. I progetti sostenuti da partnership pubblico-private procedono più rapidamente. (I nuovi sviluppi edilizi dei waterfront dovrebbero essere progettati in un’ottica di partnership tra pubblico e privato. Gli enti pubblici devono rendersi garanti della qualità del progetto, fornire le infrastrutture ed essere fonte di equilibrio sociale. Gli operatori privati dovrebbero essere coinvolti fin dall’inizio, per assicurare la conoscenza dei mercati e per accelerare l’intervento).
7. Partecipazione pubblica come elemento di sostenibilità. (Le città dovrebbero trarre vantaggio dallo sviluppo sostenibile dei waterfront, non solo dal punto di vista dell’ecologia e dell’economia, ma anche del sociale. Le municipalità dovrebbero essere informate e coinvolte nelle discussioni costantemente, fin dall’inizio.) 8. I recuperi dei waterfront sono progetti a lungo termine. (I waterfront hanno bisogno di un recupero graduale, in modo che la città intera possa trarre beneficio dalle loro potenzialità. Essi rappresentano una sfida che coinvolge più di una generazione e hanno bisogno di una varietà di operatori nelcampo dell’architettura, degli spazi pubblici e dell’arte. L’amministrazione pubblica deve dare il suo contributo a livello politico per assicurare che gli obiettivi siano realizzati indipendentemente dall’andamento dell’economia o da interessi particolari) 9. La rivitalizzazione è un processo continuo. (Tutti i piani regolatori dovrebbero basarsi sull’analisi dettagliata delle principali funzioni e significati che riguardano il waterfront. I progetti dovrebbero essere flessibili, modificabili e capaci di coinvolgere tutte le discipline più rilevanti. Per garantire un sistema di crescita sostenibile si dovrebbe attribuire alla gestione delle attività, diurne e notturne, del waterfront la stessa importanza che si dà alla sua costruzione.)
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10. I waterfront traggono benefici dagli scambi culturali internazionali. (Il recupero dei waterfront è un compito molto complesso che coinvolge figure professionali di diverse discipline. Lo scambio di conoscenze all’interno di una rete internazionale fra operatori coinvolti a vari livelli nel lavoro sui waterfront offre sia il sostegno individuale che l’informazione sui principali progetti già realizzati o in corso d’opera.)
I principi sopraelencati forniscono un chiaro e appropriato inquadramento delle tematiche principali da affrontare prima e durante il progetto dei fronti d’acqua urbani. In un contesto occidentale, sviscerando punto per punto le dieci affermazioni si arriva, generalmente, ad un’elaborazione complessa ed esaustiva di strategie d’intervento e riqualificazione dei waterfront. Ma possiamo davvero parlare di waterfront in una realtà come quella senegalese? Di quali significati si carica il lungofiume di Saint-Louis e, soprattutto, qual è l’approccio corretto e più efficace d’intervento?
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il fiume e l’evoluzione della città Si racconta che, anni orsono, un’ostetrica viveva in questa casa. Un giorno Maam Kumba bussò alla sua porta. La donna domandò –Chi è?- e Maam Kumba rispose –Sono io!- senza però rivelare il suo nome. L’ostetrica si cambiò l’abito e aprì la porta; la visitatrice le disse che sua figlia stava per dare alla luce un figlio e che aveva bisogno dei suoi servizi. La donna accettò. Kumba Bang le disse, allora, –Camminiamo fino al fiume-; una volta giunte sulla riva, chiese alla donna di sedersi e di chiudere gli occhi. Quando l’ostetrica li riaprì, si accorse che non erano più sulla sponda, ma dentro fiume. Il fiume era come una casa. Capì, allora, che si trovava nella casa di Maam Kumba Bang. Lei non è che uno spirito, il genio protettore del fiume, della città e dei suoi abitanti. Può essere di sabbia mischiata all’acqua, o una lucertola, o una salamandra, può anche assumere sembianze di donna e recarsi al mercato. Lei non è umana, proprio no. Può vedere tutto e tutti, ma nessuno può vedere lei; là dove lei si cela, nessuno la può scorgere. Non appare che a noi, che lavoriamo per lei.
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cenni storici Nda: vaso di terracotta colmo d’acqua. Ndar: città. L’isola di Ndar, bagnata dalle acque del delta del fiume Senegal, fu acquistata nel 1659 da Louis Caullier, un agente della Compagnia di Capo Verde e del Senegal, dal re di Waalo, insieme all’autorizzazione a costruirvi un avamposto strategico di grande importanza per la Francia, primo insediamento coloniale di tutta l’Africa Occidentale. La città si sviluppò attorno al suo forte chiamato Fort Saint-Louis in onore di re Luigi IX detto Il Santo e fiorirono, per mano dei commercianti mulatti che vi si installarono durante tutto il XVIII secolo, i commerci della gomma arabica e degli schiavi, traghettati da qui e dall’Isola di Gorée verso le Americhe. Durante questo periodo di evoluzione della città come polo commerciale, iniziarono a instaurarsi a Saint-Louis le Signares, francesizzazione del termine portoghese senhora (signora) donne africane che, vivendo in concubinato con influenti uomini europei, acquisirono un elevato rango sociale ed una notevole influenza economica. Il termine Signares si prestò, poi, ad identificare le donne mulatte nate dai primi matrimoni misti che diedero origine ad società meticcia molto influente a Saint-Louis. Le pratiche sociali quali, ad esempio, il matrimonio furono fortemente modificate: non era inusuale, in questo periodo, che si stringessero dei contratti matrimoniali a tempo determinato, di solito coincidente con la durata del soggiorno del marito (occidentale) a Saint-Louis; una stessa donna poteva, così, sposarsi per tre o quattro volte consecutive con qualsiasi funzionario titolare
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di una medesima carica. In questo modo, le Signares riuscirono ad accumulare ricchezze e tramandarle, di madre in figlia, per diverse generazioni. Aumentavano le costruzioni in mattoni rossi su più piani, dal puro stile coloniale, attorno al forte e sulle sponde del fiume, residenze e magazzini spesso ceduti in affitto a funzionari francesi, militari e impiegati delle Colonie, mentre gli altri edifici esistenti erano semplici capanne di legno e paglia. Gli Inglesi, desiderosi di impossessarsi delle proprietà francesi, conquistarono l’isola per tre volte: nel 1693, nel 1758 e nel 1809. La prima occupazione, avvenuta durante la grande guerra AustroTurca (1683-1699) durò solo pochi mesi, fino a quando il capitano francese Bernard riconquistò Saint-Louis. La seconda occupazione inglese durò vent’anni, fino al 1779; l’ufficializzazione della riconquista francese dell’isola avvenne nel 1783, grazie al Trattato di Versailles, con il quale l’Inghilterra chiuse il suo conflitto, durato otto anni, con Francia, Spagna e le tredici Colonie unite (i futuri Stati Uniti d’America). E’ durante questa seconda occupazione che fu istituito il Consiglio del Governatore, composto di nove residenti e quattro ufficiali: quest’organo concedeva agli abitanti di Saint-Louis poteri decisionali fino a quel momento impediti dalla legislazione francese. La terza e ultima occupazione avvenne nel luglio 1809, durante i combattimenti delle guerre napoleoniche. Gli Inglesi erano ormai esperti navigatori e non incontrarono difficoltà nel far capitolare Saint-Louis. Con il Trattato di Parigi del 1814, che aveva il compito di stabilire i confini della Francia dopo la sconfitta di Napoleone, gli Inglesi si videro obbligati a restituire l’isola ai francesi, anche se non la cedettero realmente fino al 1817.
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Dal 1822 al 1827 il barone Roger fece costruire l’edificio commerciale Maurel et Prom, che restò per molto tempo l’immobile più imponente della città. L’animato e redditizio commercio della gomma arabica, sostanza ricavata dalla linfa dell’acacia senegalese e molto utilizzata, al tempo, in Europa per dolciumi, medicinali e colori per dipinti su tela, fu minacciato, verso la metà del 1800, dall’arrivo di nuovi mercanti francesi, provenienti da Bordeaux, che si misero in competizione con i commercianti meticci di SaintLouis, proponendo prodotti manifatturieri sostitutivi della preziosa gomma. Con l’abolizione della schiavitù, nel 1848, i mercanti meticci vissero il declino definitivo della loro supremazia; iniziò così l’epoca degli europei, che diedero vita a nuovi commerci, incentrati sulla coltura dell’arachide. Nel 1854 Faidherbe divenne governatore, aprendo nuove possibilità per Saint-Louis; la sua politica di conquiste ed espansione territoriale la rese capitale di un impero in divenire. Fece costruite importanti infrastrutture, come i due ponti che collegavano l’isola alle altre (il ponte di Guet Ndar, costruito nel 1856, ed il primo ponte di Sor, nel 1865), le banchine perimetrali dell’isola, una stamperia, il tribunale musulmano, la scuola degli Ostaggi e fu anche istituito il primo Batta glione dei Tiratori Senegalesi. Il periodo di governatorato di Faidherbe coincise con un forte sviluppo urbano; l’intento era quello di creare una città europea in terra africana, quasi inventando un nuovo stile architettonico (definito Arte Coloniale), che rimandava esplicitamente alle costruzioni tipiche delle coste mediterranee.
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la città di Saint-Louis vista dal fiume, 1814
vista del quartiere nord e delle imbarcazioni coloniali, 1889
vista della stazione dei treni di Saint-Louis, 1915
la Compagnia dell’Aéropostale in Senegal, 1930
vista di Sor durante un’inondazione del fiume, 19
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Le truppe coloniali misero fine alla loro conquista territoriale nel 1886, con la creazione ufficiale della Colonia del Senegal. Nel 1872 Saint-Louis, insieme all’isola di Gorée, diventò Comune; in realtà, solo la vecchia isola di Ndar era considerata tale ed i suoi abitanti risultavano, a tutti gli effetti, come cittadini francesi, soggetti alle leggi francesi e beneficiari dei numerosi vantaggi che tale titolo comportava. La presenza coloniale appariva dunque legittima, nei termini in cui l’abitante di Saint-Louis si sentiva di appartenere alla cultura francese; il nuovo cittadino doveva, però, rinunciare al diritto musulmano in favore di quello francese. Al culmine del suo splendore, nel 1895 Saint-Louis divenne la capitale della neo-nata Africa Occidentale Francese, l’AOF (comprendente il Senegal, la Mauritania, il Sudan, la Guinea e la Costa d’Avorio), ma la sua supremazia non era destinata a durare. Il commercio dell’arachide si spostò verso le regioni del sud del Paese e la città perse via via d’importanza, fino al trasferimento ufficiale della capitale a Dakar nel 1902. Il declino fu inevitabile e il colpo fatale arrivò nel 1957, quando anche la sede del governatorato fu trasferita a Dakar L’esodo dell’amministrazione coloniale coincise con quello delle ultime famiglie meticce dell’isola, che partirono alla volta del sud insieme con tutto il ceto borghese di Saint-Louis. dell’isola, che partirono alla volta del sud insieme con tutto il ceto borghese di Saint-Louis. A partire dal 1960, Saint-Louis vive una forte crescita demografica: la popolazione inizia ad occupare, più o meno anarchicamente, i territori emersi del delta, concentrandosi sulle due isole ai lati di Ndar: la Langue de Barbarie e Sor.
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La città, che si porta ancora appresso la forte eredità coloniale, può adesso puntare sullo sviluppo di nuovi settori economici, quali la pesca, il turismo, la cultura e il potenziamento di numerose attività legate alla costruzione di infrastrutture. Ridimensionata al ruolo di capitale regionale, capitale del Nord, capitale intellettuale del Senegal, la città viene iscritta, nel dicembre 2000, nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, per i criteri II e IV.
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il ponte
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“Ciascun abitante della cittadina, anche il più misero, ebbe la sensazione che le sue capacità si fossero all’improvviso moltiplicate e che la sua energia fosse cresciuta; come se per un’impresa meravigliosa, sovrumana, fosse scesa alla portata delle sue forze ed entro i limiti della vita quotidiana; come s,e accanto agli elementi fino allora conosciuti –terra, acqua e cielo- ne fosse stato scoperto uno nuovo; come se, per benefico intervento si qualcuno, per tutti e per ciascuno fosse stato attuato uno dei più profondi desideri, un antico sogno degli uomini: camminare sopra le acque e dominare lo spazio.71 ” Vale la pena soffermarsi un istante sulla più grande opera che intraprese Faidherbe a Saint-Louis: la realizzazione del maestoso ponte sul fiume Sénégal, divenuto simbolo identitario della città e, in epoca recente, monumento di patrimonio mondiale. Nel 1858 il governatore inaugurò la Bouteville, un traghetto capace di trasportare centocinquanta passeggeri, animali e merci da una sponda all’altra del grande braccio del fiume. L’imbarcazione compiva dieci attraversamenti al giorno ed i pagamenti erano differenziati per persone, cavalli, mucche, cammelli e carretti; in meno di un anno il servizio era talmente sfruttato che si dovette introdurre un secondo traghetto. Per far fronte alla grande domanda, si decise di costruire un primo ponte galleggiante, lungo 680 metri e largo 4 metri. L’inaugurazione avvenne il 2 luglio 1865 e prese il nome di Pont Faidherbe, per un decreto emanato da Napoleone III.
7 I. Andric, Il Ponte sulla Drina. A. Mondadori, Milano 1993. p. 87
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L’apertura della ferrovia che collegava la città a Dakar, nel 1885, incrementò notevolmente il traffico sul ponte: dalla stazione, che si trovava sull’isola di Sor, passeggeri e merci avevano una sola via di transito e accesso alle altre isole. Nel 1897 il ponte venne smantellato e fu indetta una sorta di gara d’appalto per la costruzione di una nuova infrastruttura, più moderna ed adeguata, contesa tra la Société de Construction de Levallois-Perret, proprietà del famoso ingegnere francese Gustave Eiffel, e tre tecnici, Nouguier, Kessler e Cie. Furono questi ultimi ad aggiudicarsi il progetto del ponte, che venne costruito di otto campate metalliche, a coprire una distanza di 507,35 metri sul fiume Sénégal. Inaugurato per la prima volta il 4 luglio 1897, il ponte ha subito, tra il 2008 ed il 2011, importanti lavori di restauro e sostituzione, per un valore complessivo di 27 milioni di dollari finanziati per la maggior parte dall’ADF (Agence de Développement Français) e dal governo.
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un fiume che divide La Regione di Saint-Louis rappresenta la porzione di territorio più a nord di tutto il Paese, con il fiume Sénégal a fare da frontiera naturale, separandola dalla Mauritania e, in parte, dal Mali. La teoria dei confini naturali si sviluppa nel corso del 1800 e s’incentra sull’idea della predestinazione degli elementi naturali quali fiumi, catene montuose, mari, deserti a fungere da frontiere, fornendo agli uomini i limiti e le direzioni entro cui muoversi e svilupparsi. (L. Febvre, 1980.) Il confine naturale è la traccia più evidente e meno discutibile che esista. “Le barriere naturali possono comunque essere violate; certo, esse svolgono il loro ruolo di limite (...) fino a quando rimangono un ostacolo, un impedimento. Ma appena qualcuno, vincendo il timore, vi si introduce e ne svela i varchi, le attraversa e vi traccia dei percorsi, le pratica e vi si stabilisce, esse si trasformano e diventano luoghi d’incontro, di commercio, universi con caratteristiche particolari, zone intermedie 81“. La regione s’identifica pienamente nel suo fiume, vivendo al ritmo della sua stagionalità, giovandosi della fertilità delle terre del bacino, ideali per lo sviluppo dell’agricoltura, e soffrendo delle calamità naturali che da esso spesso derivano. Il Sénégal è il corso d’acqua principale di tutta la nazione: si estende linearmente per 1790 Km e scorre, nel suo tratto terminale, per diversi chilometri parallelo al mare, separato dall’Oceano Atlantico da un sottile cordone sabbioso detto Langue de Barbarie.
8 P. Zanini, Significati del Confine: i limiti naturali, storici e mentali. Mondadori, Milano 1997. p. 20
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fiume Sénégal
parchi nazionali riserve di fauna
lunghezza totale: 1 800 Km nazioni attraversate: Senegal, Mali, Mauritania navigabilità: Saint-Louis/Podor (165Km) tutto l’anno Podor/Kayes (948 Km) solo stagione umida categoria: estuario bloccato (per 27Km dalla Langue de Barbarie)
foreste riserve silvo-pastorali fiume Senegal affluenti laghi e bacini fluviali aree inondabili
Podor
Dagana
Louga
Dahra
diga di Diama
il sistema delle dighe sul fiume Sénégal
il sistema delle dighe sul fiume Sénégal
Manantali (Mali) 1981-87: riserva idrica Diama 1992: impedire rimonta acque salate
Manantali (Mali) 1981-87: riserva idrica Diama 1992: impedire rimonta acque salate
diga di Diama
diga di Diama Mauritania
Saint Louis
diga di Djeuss Mauritania
diga di Djeuss
Saint Louis Kayes
Kayes
diga di Bango diga di Ndiawdoune
Mali Guinea
diga di Bango diga di Ndiawdoune
Mali
Guinea
diga di Manantali Guinea Bissau
diga di Manantali
Saint Louis Guinea Bissau
Repubblica di Guinea
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diga di Diama
Repubblica di Guinea
Saint Louis
In un contesto prevalentemente arido e desertico quale quello subsahariano, una tale presenza d’acqua rappresenta una condizione rara ed estremamente preziosa. Il fiume influenza in maniera differente le diverse comunità che vivono il suo bacino, individuando una successione di paesaggi culturali eterogenei. Nel corso dei secoli, il rapporto tra gli abitanti della valle del Sénégal e il fiume è molto cambiato: sono, anzi, cambiate le gerarchie insediative. Com’è accaduto in numerosissimi altri contesti, con la costruzione della Route National N2 i villaggi e le cittadine che costeggiavano le rive del fiume, centri di vivaci commerci, si sono spostati lungo il ciglio della strada, abbandonando un territorio fragile, che necessitava di attenzioni e cure. Contemporaneamente a questa migrazione, il desiderio dell’uomo di controllare i fenomeni naturali indirizzandoli verso il soddisfacimento delle proprie necessità ha portato alla costruzione di numerose infrastrutture fluviali, dalle chiuse di epoca coloniale, ancora visibili nei dintorni di Saint-Louis, alle grandi dighe degli anni ‘80 e ‘90. Le più importanti, a livello interregionale, sono la diga di Manantali, costruita in Mali sull’affluente Bafing tra il 1981 e il 1987 con funzione principale di serbatoio d’acqua, e quella di Diama, costruita poco a nord della città di Saint-Louis nel 1992, con il fine di impedire la risalita delle acque salate dell’Oceano ed evitare così la sterilizzazione dei suoli, specialmente dopo l’apertura della breccia artificiale. L’intervento dell’uomo ha creato e sta creando modificazioni continue e talvolta inaspettate del paesaggio fluviale; se da un lato contribuisce a un’alterazione ambientale le cui conseguenze, per il momento, possono solo venire ipotizzate, dall’altro plasma la morfologia del territorio e, con questa, le sue caratteristiche non solo naturali, ma anche e soprattutto economiche e sociali.
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territorio anfibio
ripartizione della superficie comunale (3633 ha)
947 ha
56%
laghi e
bacini
30%
e fium S
enegal
70%
le
ferti
a
arid
44%
2686 ha
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media delle precipitazioni mensili (mm) il fiume è principalmente alimentato dalle precipitazioni: il suo regime rispecchia la stagionalità climatica
94,3 92,3 40,2
23,0 1,5
1,9
gen
feb
6,8 0,2
0,0
mar
apr
285 276
0,1
mag
giu
lug
ago
set
ott
0,3
0,7
nov
dic
media delle ore di sole mensili 282 260 248
241,8
238,5
feb
mar
apr
mag
giul
232,5
228
222
gen
246
245
ug
ago
set
ott
nov
dic
media delle temperature mensili (°C) e tasso di umidità (%)
24,5
25
44
gen
56,5
feb
mar
65
28
78,5
80
29
28,5 26,5
26,5 78,5
24
70
69,5
54
apr
stagione secca
70
25
76
23 50
25
28
mag
giu
lug
ago
set
stagione umida o hivernage
ott
nov
45
dic
Se lo sviluppo del bacino del Sénégal dipende dalla stagionalità del fiume, quest’ultimo dipende grandemente dalla stagionalità climatica ed, in particolare, dalle precipitazioni. Il clima intertropicale suddivide l’anno in due macro-stagioni: quella secca e quella umida. Durante la stagione secca, che va da ottobre a giugno, i venti provenienti dall’entroterra ricoprono il paesaggio di sabbia, trasportata dal deserto. La quasi inesistenza di precipitazioni fa registrare i livelli minimi del regime fluviale, che variano da un massimo di 0,6 metri sul livello del mare a un minimo di -0,4 metri slm. La stagione umida, o hivernage, da luglio a settembre, fa registrare le temperature e i tassi di umidità più elevati di tutto l’anno (con temperature medie intorno ai 29°C ed umidità relativa pari all’80%), insieme con copiose piogge. Il fiume raggiunge il suo regime massimo ed è in questo periodo che cresce il timore per possibili inondazioni. Durante i soli mesi di agosto, settembre e ottobre si registra circa l’80% dei flussi fluviali annuali.
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Saint-Louis è, dunque, un territorio anfibio in bilico tra terra e acqua, scenario di una battaglia perpetua che vede, ciclicamente, un elemento prevalere sull’altro. Come una mangrovia si sviluppa sotto i raggi del sole, accarezzata dalle brezze, ma con le grandi radici profondamente immerse nel fiume, sua principale fonte di sostentamento, così Saint-Louis vive e dipende dal suo fiume. Il corso d’acqua (e la sua particolare interazione con l’oceano) è la fonte primordiale da e per cui la città è nata, mezzo necessario al suo sviluppo, culla del suo prosperare. Su 3633 ettari di superficie comunale, un quarto, mediamente, è composto da acqua, troppo spesso intesa come ostacolo e non come fattore fortemente identitario da tutelare ed utilizzare.
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parte 2
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ISU molto alto ISU alto ISU medio ISU basso dati non disponibili fonte: CIA - Central Intelligence Agency
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un passo indietro Nel continente africano è possibile distinguere tre generazioni urbane, corrispondenti alle sue aree geografiche e culturali: l’Africa del Nord (città arabe-musulmane del Maghreb), l’Africa del Sud (città fondate sulla segregazione razziale) e l’Africa Intertropicale (città subsahariane nate in seguito alla colonizzazione europea).19 Il centro di gravità del continente si sta spostando dalle sue estremità (Il Cairo, Johannesburg, Cape Town) verso le regioni tropicali del centro ( Lagos, Kinshasa); l’Africa subsahariana, in questo processo, è la regione che sta vivendo le più rapide dinamiche di crescita demografica ed insediativa.210 L’urbanizzazione di questa regione, che prende avvio con il mercantilismo prima e con il colonialismo poi, esplode intorno agli anni ’50, anni in cui i rapporti tra brousse e città, come quelli tra Europa e Africa, subiscono un’importante mutazione. E’ questo, infatti, il periodo dell’indipendenza amministrativa di molte colonie, che genera un forte flusso migratorio verso le nuove capitali, simbolo di modernità e di nuove identità nazionali. I quartieri centrali delle capitali, le vecchie città bianche, conservano la loro immagine di centro di potere politico ed economico, così in molti Plateau le case coloniali lasciano il posto a torri e grattacieli, ostentazione di un benessere portato dai nuovi quartieri finanziari in cui leggere le tracce del passato diventa sempre più difficile.
9 R. Pourtier, Villes Africaines, in Le Dossier n° 8009, giugno 1999 10 O. August, Prochaine Champ de Bataille: le Sahel, in Courrier International n° 43, dicembre 2012-febbraio 2013
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Tunisia Marocco Algeria
Libia
Sahara Occ.
Egitto
Mauritania
Niger
Mali
Eritrea
Ciad
Senegal
Sudan
Burkina Faso
Guinea Bissau
Guinea
Gibuti
Benin
Liberia
Somalia
Nigeria
Costa d’Avorio Ghana
Sierra Leone
Togo
Camerun
Etiopia
Rep. Centrafricana Uganda
Guinea Eq. Gabon Congo Br.
Kenya
Rep. Dem. Rwanda del Congo Burundi Tanzania
fonte: Le Dossier n° 8009, R. Pourtier
5-20
20-30
30-40
40-50
50-60
Angola
60-80
Zambia
Monzambico Malawi Madagascar
Zimbawe
12 mi l
1m
ln
ln
i ion
1-4 m
Namibia
Botswana
da 100 000 a 500 000
Arabi Swaziland Sud Africa
popolazione urbana (%) popolazione africana totale (milioni)
Lesotho
fonte: ONU-HABITAT, Rapporto sulle Città Africane 2010
70%
1 400 mln
60%
1 200 mln
50%
1 000 mln
40%
800 mln
30%
600 mln
20%
400 mln
10% 0%
200 mln 1950 * previsioni
78
1960
1970
1980
1990
2000
2010
2020*
2030** 2040
2050*
0
tendenze della popolazione urbana in Africa (1950-2050)
Nei Paesi sviluppati il processo di urbanizzazione si può ritenere concluso già dagli anni ’50 -basti pensare che il tasso attuale di urbanizzazione in Italia è pari allo 0,5%-. L’attenzione si è, infatti, spostata dalla crescita della città in termini demografici ad una sua crescita economica; il problema è diventato l’innalzamento degli standards di vita e di consumo, cui però consegue l’incremento della domanda di risorse –limitate- insieme ad un’elevata produzione di rifiuti e prodotti inquinanti. Nei Paesi in via di sviluppo, invece, l’urbanizzazione procede a ritmi sostenuti a causa di un alto tasso di natalità (la media senegalese è di cinque figli per donna) e dell’esodo rurale. L’ONU-HABITAT prevede che la popolazione urbana africana sarà più che triplicata nel corso dei prossimi quarant’anni11. Ultimamente si sta assistendo ad un rallentamento dello sviluppo demografico nelle principali città: alla crescita della popolazione non sempre corrisponde uno sviluppo proporzionato delle attività produttive. Si stima che i centri urbani con meno di mezzo milione di abitanti sono quelli che vivranno un incremento della popolazione urbana pari al 70% della crescita totale continentale.12
11 ONU-HABITAT, Rapporto sulle Città Africane. 2010 12 ONU-HABITAT, Rapporto sullo stato delle Città Africane. 2010
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A causa delle condizioni socio-economiche, ovvero dell’incapacità delle politiche pubbliche di promuovere economie solide che assicurino una distribuzione equa della ricchezza, l’urbanizzazione contribuisce ad aumentare il fenomeno della povertà, accentuando la carenza di servizi primari e di abitazioni e generando, spesso, il moltiplicarsi degli insediamenti spontanei. Tale carenza è destinata a crescere se le città africane continueranno a svilupparsi in maniera così anarchica. “Se è vero che chi vive nei quartieri irregolari o lavora nell’informale contribuisce in misura sostanziale a far funzionare la città, è tempo che la città contribuisca altrettanto sostanzialmente a migliorare le condizioni di questa popolazione, riconoscendo il suo diritto alla città e alla cittadinanza13”. La disponibilità di servizi come acqua potabile, fognature e sistema di raccolta dei rifiuti nelle città dei PVS è del tutto inadeguata. In alcuni casi il problema è di ordine quantitativo, legato cioè all’incapacità di gestire il rapido afflusso di popolazione ed al deteriorarsi delle infrastrutture per mancanza di manutenzione; in altri casi, invece, la questione sta soprattutto nella iniqua distribuzione dela ricchezza e nell’esclusione della popolazione a basso reddito dalle dinamiche urbane. popolazione urbana che vive in bidonville 62%
Africa Subsahariana 35%
Asia del sud Asia del sud-est Asia dell’est Asia occidentale
32% 30% 28%
Oceania
25%
America Latina
25%
13 M. Balbo (a cura di), La città inclusiva: argomenti per la città dei PVS. F. Angeli, Milano 2002
80
aspettativa di vita
soglia di povertà Africa
38,8%
Africa
60,1 anni
Senegal
54%
Senegal
59 anni
Italia
Italia 0%
tasso di natalità (nascite annue/1000 abitanti)
alfabetizzazione 39,3%
Senegal
81,9 anni
Africa
64,8%
Italia
36,19
Senegal Africa
98,4%
Italia
32,72 9,06
gruppi di età 95 - 99 90 - 94 85 - 89 80 - 84 75 - 79 70 - 74 65 - 69 60 - 64 55 - 59 50 - 54 45 - 49 40 - 44 35 - 39 30 - 34 25 - 29 20 - 24
età media
1,2
0,80
15 - 19
10 - 14 5-9 0-4
0,4
0
0,4
,8
1,2
popolazione in milioni
81
82
Senegal
capitale: Dakar superficie: 196
722 kmq
governo: Repubblica
Semipresidenziale indipendenza dalla Francia: 4 aprile 1960 Francese (ufficiale) Wolof (nazionale)
lingue:
Mauritania Dagana
Saint-Louis Louga Matam
Dakar Thiès
Diourbel
limiti regionali strade principali strade secondarie ferrovia ferrovia dismessa
Touba
etnie
Kaolack
Tambacounda Gambia Kolda
43% Wolof
23,8% Pular Mali
3% Mandinka 3,7% Jola
Guinea-Bissau
Ziguinchor
15% Serer etnie
43% Wolof 15% Serer religioni
23,8% Pular 3% Mandinka 3,7% Jola
religioni
94% islamica
5% cristiana 1%
credenze indigene
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“L’Africa soffre della malattia infantile dell’indipendenza, provocata dai colonizzatori in 150 anni di insediamento. Qui in Senegal, la Francia ci ha condannato alla monocoltura dell’arachide, ci ha fatto soldati, funzionari, coltivatori, ed è chiaro che dopo l’indipendenza la mancanza di alternative alla nostra economia è un grosso handicap; senza contare che anche noi abbiamo i nostri difetti come la mancanza del senso della storia, del senso del tempo, del risparmio e, sempre dagli intellettuali francesi, abbiamo ereditato una tendenza alla critica. Il cammino della democrazia e dello sviluppo economico è lungo, io penso che si debba arrivare gradatamente ad una coscienza democratica; del resto, la civiltà europea è il risultato di duemila anni di evoluzione. Il grande problema dell’Africa come dell’Europa è il nazionalismo: in nome degli interessi nazionali si commettono crimini atroci. La vera cultura è mettere radici e sradicarsi, mettere radici nel più profondo della terra natia, nella sua eredità spirituale, ma anche sradicarsi e cioè aprirsi alla pioggia e al sole, ai fecondi apporti delle civiltà straniere 14”
14 Léopold Sedar Senghor, La Negritudine,1948. p. 63
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economia
62% servizi
15,4% agricoltura
22,6% industria
forza lavoro
77,5%
industria/servizi
22,5% agricoltura
Il Senegal gode di stabilità politica e sociale. Inoltre, malgrado la sostanziale scarsità di risorse naturali, è dotato di una struttura economica più diversificata e funzionale rispetto ad altri paesi saheliani; le condizioni di vita della popolazione, tuttavia, restano ancora generalmente arretrate. La corruzione, l’eccessiva burocratizzazione e l’alto numero di disoccupati, che origina un forte flusso migratorio verso i Paesi europei, sono tra i principali ostacoli per la crescita della nazione. Il Paese, ancora finanziariamente molto dipendente dagli aiuti esteri, basa la sua economia principalmente sulla coltura dell’arachide che risente ancora di forti squilibri dovuti al suo passato coloniale. Oggi, l’agricoltura di sussistenza fornisce miglio, mais e manioca, che non sono comunque sufficienti a sfamare una popolazione in così rapida crescita, a causa delle difficili condizioni ambientali e idriche, della scarsità dei mezzi tecnologici a disposizione e dell’abbandono delle campagne in favore dei centri urbani. La debolezza del settore industriale, dovuta alla poca disponibilità di materie prime, alle infrastrutture ancora inadeguate e alla povertà diffusa, fa del Senegal un paese considerato sottosviluppato. A tale definizione, che accomuna molti stati del continente africano, vengono associate una serie di problematiche specifiche, prima tra tutte quella dell’urbanizzazione.
disoccupazione
48%
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crescita della popolazione senegalese fonte: WorldBank.or
2020
2012
terreni d ond el m o
degrado dei suoli
.000
2000
28.29 3
.000
1990
15.97 2
12.96 9 .610
1980
4 89
1970
9.987 .
494
7.298.
2 41
5.651.
8 02
95. 4.3
40%
2050
25% costa africana soggetta ad erosione
60% territori africani aridi o semi-aridi
90
In Senegal esiste un forte contrasto tra il sotto-popolamento dell’est del territorio e la sostenuta densità della fascia costiera. Le motivazioni sono principalmente naturali, quali la forte aridità della fascia sub-sahariana e l’avanzare del fenomeno della desertificazione, e storiche in quanto la colonizzazione ha privilegiato i territori della costa trascurando le regioni più interne. Il processo attuale di urbanizzazione sta coinvolgendo le grandi capitali regionali come Dakar, Saint-Louis, Thiès o Kaolack, tutte città dell’ovest che devono la loro crescita soprattutto all’esodo rurale.
tasso di crescita della popolazione Senegal
2,53%
Africa Italia
2,24% 0,38%
principali città senegalesi (numero di abitanti) 1 121 935
Dakar
273 218
Thies
190 927
Kaolack
Saint Louis Tambacounda
177 662 83 345
91
92
93
7-8 Parc Nationale du Djoudj 1981: iscrizione Lista UNESCO 16 000 ha: superficie 360: specie di uccelli ospitate Ville de Saint-Louis 2000: iscrizione Lista UNESCO 3 633 ha: superficie 251 912: popolazione
Ile de GorĂŠe (Dakar) 1978: iscrizione Lista UNESCO 36 ha: superficie 2 000: popolazione Parc National de Niokolo-Koba 1981: iscrizione Lista UNESCO 800 000 ha: superficie numerose specie di animali selvatici
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5-6
3-4
quale patrimonio? 1-2
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L’Africa è il continente che registra, a livello mondiale, il più basso Indice di Sviluppo Umano15 . Tuttavia la sua diversità, naturale e culturale, nonché la sua grande profondità storica, ne fanno la culla dell’umanità, un grande potenziale, se si pensa che il 40% dell’attività turistica mondiale sia generata dal patrimonio culturale. Lo sviluppo incontrollato del continente e i disordini legati all’instabilità politica e alle guerre civili stanno mettendo in pericolo alcuni luoghi africani dal valore inestimabile e la loro possibile fruizione. I Piani di gestione dell’UNESCO impongono una serie di vincoli atti a garantire la conservazione e la tutela del patrimonio che, spesso, non tengono conto del contesto socio-economico e, soprattutto, dell’identità locale, valore immateriale che non risiede unicamente nella morfologia dell’artefatto. Il titolo UNESCO viene conferito ai siti che presentano valori di universalità, unicità ed insostituibilità e che soddisfino almeno uno dei criteri fissati dal World Heritage Commitee per la selezione. L’isola storica di Saint-Louis dimostra un’apparenza unica che le ha permesso di ottenere la nomina, nel dicembre 2000, sulla base dei criteri II e IV. II. Avere esercitato un’influenza considerevole in un dato periodo o in un’area culturale determinata, sullo sviluppo dell’architettura, delle arti monumentali, della pianificazione urbana o della creazione di paesaggi IV. Offrire esempio eminente di un tipo di costruzione o di un complesso architettonico o di paesaggio che illustri un periodo significativo della storia umana 26. 15 ONU-HABITAT, Rapporto sullo Sviluppo Umano 2011 26 UNESCO, World Heritage Convention. 2005
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In seguito a tale iscrizione è stato apportato un grande appoggio tecnico dalla Convenzione di Cooperazione Francia-UNESCO per la redazione del Piano di Salvaguardia e Messa in Valore (PSVM) del patrimonio architettonico che, come già detto, trova difficile applicazione. Vi è un contrasto culturale dovuto principalmente alla mancata sensibilizzazione dei due attori in causa: la popolazione locale ignora il significato e le potenzialità del concetto di patrimonio, contribuendo al suo degrado senza pensare alla sua valorizzazione, mentre il turista spesso si avvicina al patrimonio senza considerare la diversità culturale che lo identifica e lo caratterizza. Cosa significa patrimonio? Dal latino patrimonium -pater, “padre”, e munus, “compito”-, assume dapprima il significato letterale di “compito del padre” e poi quello di “cose appartenenti al padre”. Esprime, quindi, il concetto di eredità, di memoria storica e culturale. Ma come sentirsi a casa in una città costruita dai bianchi per i bianchi? L’appropriazione della città di Saint-Louis da parte della popolazione locale è avvenuta lentamente; gli abitanti si sono dovuti scontrare con dei modelli urbani tipici di un’altra cultura, adattando a questi le proprie esigenze. Le strade si sono vivacemente animate, gli ampi boulevard sono stati occupati informalmente e colorati da panni stesi ad asciugare, la classica cor-
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corte coloniale è diventata il luogo dove svolgere la quasi totalità delle attività domestiche e della tradizione. L’eredità lasciata dagli europei è stata giustamente reinterpretata, arricchendo il patrimonio urbano di una connotazione specifica tipica della diversa identità culturale, un valore aggiunto che spesso il turista non coglie e che poco viene considerato nelle politiche di sviluppo e gestione della città.
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Turismo sostenibile: un modello che guarda al futuro
“Lo sviluppo del turismo deve essere basato sul criterio della sostenibiità, ciò significa che deve essere ecologicamente sostenibile nel lungo periodo, economicamente conveniente, eticamente e socialmente equo nei riguardi delle comunità locali. Lo sviluppo sostenibile è un processo guidato che prevede una gestione globale delle risorse per assicurarne la redditività, consentendo la salvaguardia del nostro capitale naturale e culturale. Il turismo, come potente strumento di sviluppo, può e dovrebbe partecipare attivamente alla strategia di sviluppo sostenibile. La caratteristica di una corretta gestione del turismo è che sia garantita la sostenibilità delle risorse dalle quali esso dipende17“. Il concetto di sostenibilittà è divenuto, negli ultimi anni, sempre più alla moda, un termine passepartout, spesso coniugato in maniera fantasiosa. L’architettura è sostenibile, la città è sostenibile, l’economia è sostenibile, lo sviluppo è sostenibile, il turismo è sostenibile. Ma chi sostiene cosa? E, soprattutto, come?
17 Testo della Conferenza Mondiale sul Turismo di Lanzarote, 1995
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Il Rapporto Brundtland del 1987 definisce la sostenibilità come: “l’equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie”. L’accezione temporale della sostenibilità guarda, quindi, al futuro, alla possibilità di trarre benefici domani dalle azioni intraprese oggi. Questa necessità di pianificazione ed organizzazione a lungo termine è forse quella che, unita spesso alla mancanza di mezzi, rende ancora più difficile parlare di turismo sostenibile in contesti nel Sud del Mondo, come quello Africano. Qui ad una forte eterogeneità di scenari e potenzialità legate al settore si affianca la drammatica realtà della povertà. Il concetto di turismo può, allora, coesistere con il rispetto della cultura locale e la tutela dell’ambiente? Il turismo è un’occasione di incontro tra popoli o, piuttosto, il tramite di una devastante colonizzazione culturale? Pensare al turismo come mezzo di riattivazione economica in un paese come l’Africa è possibile, ma certo molto pericoloso. Di cattivi esempi ce ne sono tanti: il turismo di massa verso paesi esotici, tanto di moda negli anni ‘80, ha irreversibilmente devastato zone naturali di enorme pregio ed importanza e seriamente compromesso numerosi tessuti sociali. Basti pensare al Kenya, uno dei paesi africani che maggiormente ha vissuto il fenomeno della moltiplicazione dei villaggi turistici, che non solo hanno devastato ampie fasce di territorio, ma hanno fortemente contribuito ad un ulteriore forte separazione tra bianchi e neri, tra i turisti occidentali, ghettizzati dentro il recinto di un villaggio sulla costa, e la popolazione locale. Bisogna allora chiedersi non tanto “turismo sì o turismo no” come motore di un nuovo sviluppo economico e sociale, ma “quale turismo?” (F. Brown, 1998), in che modo questi Paesi possono realmente trarre giovamento dall’industria del turismo, limitando al minimo l’impatto negativo sulle realtà autoctone?
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L’Africa Subsahariana appartiene alla periferia delle regioni turistiche mondiali. Si stima, a livello continentale, che la regione accolga solo il 10% degli arrivi turistici annui, contro il 32% del Sud Africa ed il 36% dell’Africa Mediterranea. Questi dati, tuttavia, sono da interpretare e contestualizzare, poichè le rilevazioni degli arrivi turistici in Africa sono effettuate contando gli arrivi alle frontiere (quando molti viaggiatori nazionali mentono, segnando la spunta “soggiorno turistico” solo per semplificare il loro l’iter burocratico di espatriazione), contrariamente a ciò che accade nei paesi europei, dove gli arrivi turistici vengono registrati direttamente nelle strutture ricettive. Le generali condizioni di sottosviluppo in cui versa il continente sono la causa principale della debolezza del settore. L’instabilità politica è di certo uno dei principali fattori negativi di cui il turismo risente: attentati terroristici, guerre religiose e civili, colpi di stato hanno allontanato i circuiti del turismo internazionale da queste mete. La carenza di servizi e di infrastrutture, necessari per sostenere il turismo, la presenza di gravi malattie endemiche, l’alto tasso di corruzione e di delinquenza, la difficile accessibilità e gli elevati prezzi necessari per raggiungerla, sono altri importanti fattori che interessano e spesso compromettono il turismo in Africa. (A. Turco, 2004). Come accennato poc’anzi, una problematica fondamentale resta la grande difficoltà di molti stati a programmare nel tempo il proprio sviluppo turistico; motivi economici, organizzativi o di competenze, portano a delegare a partners occidentali e grandi tour operators internazionali il compito di redigere piani di sviluppo ed intervento. Tale dinamica innesca un ciclo che di sostenibile ha ben poco: i flussi economici che si vengono a generare restano al di fuori della portata delle amministrazioni locali, ben lontani dal nobile fine di creare benessere all’interno delle comunità locali.
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conflitti
conflitti armati instabilitĂ politiche fonte: WHO in Africa, 2005
36% 10%
turismo
2%
20%
%
arrivi internazionali
32%
fonte: Limes 3/10 "Il Sudafrica in nero e bianco"
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29% altri europei 42%
17% nord americani/asiatici
francesi
12% senegalesi
56 anni etĂ media
22%
viaggi organizzati da
tour operators
viaggi organizzati da
20% agenzie turistiche
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Toubab a Saint-Louis: limiti e potenzialità In lingua Wolof, toubab significa uomo bianco. Il termine, che nasce con accezione negativa a indicare i coloni francesi, si è poi esteso alla definizione di un qualsiasi soggetto dalla pelle chiara. Il turista tipo che s’incontra a Saint-Louis è europeo o nord americano, ha in media 56 anni ed è in città solo di passaggio. Sono loro, i toubab, i principali soggetti cui il settore turistico si deve rivolgere, affinché tale industria possa costituire un mezzo di sviluppo economico per la città. Ma in che modo bisogna farlo? Lo straniero è il potenziale portatore di ricchezza e gli abitanti ne sono pienamente consapevoli. E’ tale consapevolezza che porta, purtroppo spesso, il bambino a tendere la mano verso il turista per ricevere denaro; è l’idea del guadagno facile che, se esasperata, può arrivare a forme spregevoli quali, ad esempio, il turismo sessuale. E’ questa visione sbagliata e dannosa dell’uomo occidentale come soggetto benestante dal quale ricevere l’elemosina che rallenta grandemente il processo d’integrazione tra abitanti e visitatori e, di conseguenza, rende ancora più difficoltoso poter pensare allo sviluppo di un turismo sostenibile.
10% arrivi turistici/anno sul totale nazionale
La durata media del soggiorno turistico rilevata a Saint-Louis è di sole 1,7 notti; ciò significa che la destinazione è intesa non come meta ultima del viaggio, ma come tappa intermedia di un più ampio percorso a livello nazionale o internazionale. Se il fattore temporale è fondamentale nello sviluppo di un turismo responsabile, quest’ultimo dato non è di conforto e porta subito al nocciolo della problematica: perché Saint-Louis, così ricca di storia, cultura e potenzialità, non
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Polo amministrativo della città, l’ile si caratterizza per la concentrazione d i funzioni turistiche e culturali
L’economia della Langue de Barbarie g ravita i ntorno all’attività della pesca
Sor è la sede del mercato, cuore economico della c ittà, luogo di incontro e di scambio per la popolazione di tutto il dipartimento 112
operatori nazionali
70% in strutture ricettive
79% nella ristorazione
viene considerata come località degna di maggiori attenzioni? Molte delle debolezze, individuate già a livello nazionale, se messe insieme costituiscono una buona percentuale della risposta; la carenza di servizi ed infrastrutture, la difficile accessibilità e gli elevati prezzi dei biglietti aerei, la debole promozione del sito, una sostanziale mancanza di formazione di personale specializzato e qualificato, quali guide turistiche ed albergatori e, soprattutto, una politica locale rivolta al settore scarsa e inadeguata, completano il quadro. Nemmeno l’iscrizione alla Lista del Patrimonio Mondiale è riuscita ad aiutare la città. Il titolo UNESCO è spesso un importante incentivo al turismo, un marchio riconoscibile in tutto il mondo che qualifica positivamente un determinato sito, un volano capace di attrarre nuovi flussi. Se a Saint-Louis, nel periodo subito prima ed immediatamente dopo l’iscrizione della città alla Lista dell’UNESCO, non è stata fatta alcuna attività di sensibilizzazione al tema nemmeno tra gli abitanti, possiamo immaginare quanto poco sia stato realizzato a fini turistici. Una caratteristica dello stato attuale del turismo a Saint-Louis rappresentante un forte limite è l’isolamento dei visitatori in enclavi, in villaggi ben delimitati e spesso poco tipici. L’esempio più evidente di tale fenomeno è la successione di numerosi hotel con piscina e mini-villaggi vacanza sulla Langue de Barbarie, al confine con l’omonimo parco naturale. Al limite sud del territorio comunale, distanti chilometri dall’animato quartiere di Guet Ndar, muri e recinti delimitano le varie strutture ricettive, tentativi, spesso poco riusciti, di ricreare situazioni paradisiache da cartolina. La domanda sorge allora
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siti ad alto potenziale turistico, Regione di Saint-Louis
Saint-Louis
Parc Djoudj
Richard Toll 144Km
105Km
70Km 10Km 15Km 20Km
Langue de Barbarie Riserva di Guembeul Gandiol
70Km
Louga
Podor
Dagana 215Km Podor
Mauritania
Dagana Richard Toll
Ndioum
Rosso
Gollerè
Saint-Louis Regione di Louga N2
turismo balneare turismo culturale turismo naturale
Regione di Matam Louga
frequenza dei soggiorni turistici
fonte: Office du Tourisme et Syndacat d’Initiative de Saint-Louis, anno 2010 1200 850
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1020 850
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610 450
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ago
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bassa stagione
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spontanea: perché un turista preferisce auto-ghettizzarsi in un micro-contesto, talvolta di mediocre qualità, invece di voler vivere la vera esperienza del luogo in cui ha deciso di recarsi? Cosa manca alla città per incentivare il desiderio del visitatore a soggiornarvi senza timori e senza la necessità di sentirsi al sicuro nascosto dietro un recinto? Escluso questo presidio turistico sulla Langue de Barbarie, il turismo esiste unicamente sull’isola coloniale. Qui si condensano, infatti, tutte (o le sole) strutture ricettive della città: alberghi, ristoranti e botteghe di artigianato. Certo, il grande fascino dell’Ile giustifica, in parte, questa concentrazione, ma espone al contempo il sito al rischio museificazione. L’interazione con la comunità locale e la flessibilità delle strutture e delle funzioni ad esse collegate sono, forse, l’unica via per scongiurare tale fenomeno. L’abitante e il turista devono imparare a convivere, a dialogare nel rispetto reciproco e nella consapevolezza dei propri ruoli all’interno di tale processo. Il fine ultimo da perseguire, oltre a quello sociale, è il graduale svezzamento economico della città dal sistema attuale dei finanziamenti internazionali, pubblici o privati, nell’ottica del raggiungimento di un’autonomia gestionale delle risorse legate al turismo.
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Emergenza rifiuti: un contesto altamente inquinato “Estrema punta della Langue de Barbarie. Là davanti i cavalloni dell’oceano e dietro le calme acque del fiume Senegal. Sabbia chiarissima, in certi punti quasi bianca. Nella fascia centrale, riuniti dal vento sul crinale d’una bassa duna, conchiglie e sacchetti di plastica: due cose quasi indistruttibile che resisteranno alle tempeste del mondo. Questi due tipi di scarti portati da onde marine e onde turistiche, formeranno nei secula seculorum un museo fossile18”. Un elemento costante del paesaggio urbano di Saint-Louis è composto dai rifiuti. Immondizia di qualsiasi genere e dimensione costeggia le strade, riempie gli spazi interstiziali e, soprattutto, ricopre i margini fluviali. Le sponde del Sénégal sono l’ambito di città maggiormente afflitto da questa problematica: la popolazione le utilizza come fossero discariche, cassonetti a cielo aperto delimitati dai muretti di contenimento delle acque del fiume. In numerose aree della città lo stratificarsi dei rifiuti ha raggiunto altezze tali da scavalcare i muretti e invadere le strade, per non parlare dell’enorme quantità di spazzatura che si riversa nel fiume ogni giorno. Insalubrità, alto rischio di epidemie, inquinamento delle acque e del suolo e cattivo odore sono solo alcuni degli aspetti che rendono quella dei rifiuti una vera e propria emergenza a livello urbano. Nonostante il forte senso collettivo dello spazio, inteso come luogo di scambio, di lavoro, di vita quotidiana, quando si tratta di rifiuti sembra prevalere la logica dell’ oltre all’uscio di casa non è terra di nessuno. Riversare la propria spazzatura al di fuori delle mura domestiche è una pratica estremamente diffusa, quasi un automatismo. 18 Gianni Celati, Avventure in Africa. Feltrinelli, Milano 1998.p.157
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criteri di catalogazione: allaccio alla rete fognaria presenza del servizio di raccolta dei rifiuti sistema di smaltimento delle acque alto rischio sanitario
(Guet Ndar, Ndar Toute, Goxumbacc, Pikine, Balacoss, Diamaguène, Darou)
medio rischio sanitario (Ndiolofène, Diaminar)
basso rischio sanitario
(Ile Nord, Ile Sud, Sor Nord, Léona)
stazioni di stoccaggio temporaneo containers di prima raccolta discarica/centro CET di Gandon assi di transito dei camion-rifiuti
2 ha: area di tumulazione rifiuti 94 000 mc: capacità stoccaggio rifiuti 20 anni: per raggiungere la saturazione 10
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Km
Ma se l’occhio non vede, non significa che il problema non esista. Il Comune di Saint-Louis si è dotato, nel 1998, di un Plan Global de Nettoiement per affrontare il problema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi della città. Anche dopo questa data si sono susseguiti diversi progetti, principalmente finanziati dall’Agence de Développement Français e dalla Cooperazione Belga, che nonostante i buoni propositi non hanno ancora portato ad alcuna soluzione. L’ultimo progetto avviato è quello della creazione di una discarica comunale nei pressi della comunità rurale di Gandon, lungo la Route Nationale N2, a dieci chilometri a sud di SaintLouis. Il CET, Centre d’Enfouissement Technique, è una discarica con sistema a tumulo intervallato da strati di sabbia, che si estende su una superficie totale di 44 ettari. Nella teoria, prima di venir riversati in questo sito, i rifiuti vengono raccolti in tutta la città tramite servizio porta a porta o grazie all’utilizzo di grandi containers. Sono state poi predisposte delle stazioni di deposito temporanee su tutto il territorio in cui i rifiuti raccolti possono essere stoccati per quarantotto ore prima di venir trasportati su grandi camion al CET. La realtà dei fatti è estremamente diversa. Non esiste sistema di raccolta porta a porta, non esistono cassonetti (fatta eccezione di qualche container blu disseminato per la città e ormai traboccante di spazzatura) né cestini per le strade. Non c’è sensibilizzazione alla tematica; evidentemente non c’è un reale interesse da parte dell’amministrazione locale a risolvere il prima possibile quest’emergenza.
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90% So
Il principale mezzo di smaltimento dei rifiuti organici sono le capre. E’ grazie a questi animali, infatti, che si riesce a contenere la quantità, altrimenti straordinaria, di questi scarti. Quando però le capre, aspirapolveri urbani, inghiottono rifiuti plastici o simili, si innescano altre drammatiche dinamiche che necessitano, quindi, di ulteriori soluzioni.
re
LdB
10%
volume dei rifiuti prodotti sull’Ile
48
35
ton/anno di rifiuti domestici
7
18
ton/anno di rifiuti non domestici
40
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m/giorno di rifiuti
quantità di rifiuti prodotta a Saint-Louis
46749 ton
rifiuti
domestici
ton 46917 rifiuti prodotti nel 2012 nella città di Saint Louis
= 168 ton
rifiuti
3
157040 m
medici
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Afrique plastique:
la colonizzazione della plastica
In un mondo ormai globalizzato anche i Paesi meno sviluppati soffrono delle stesse malattie di cui soffre, da tempo, l’Occidente; in questi territori si sviluppano spesso situazioni ancora più violente e pericolose, scoppiano vere e proprie pandemie dovute all’attività dell’uomo ed alla sua incapacità di gestire, specialmente nel lungo termine, le proprie conquiste. E’ questo il caso della plastica, materiale divenuto per noi ormai insostituibile e incredibilmente diffuso, in tutte le sue forme. I bassi prezzi di produzione e lavorazione hanno reso la plastica estremamente concorrenziale al punto da farla divenire, anche in luoghi fermamente ancorati alle proprie tradizioni, un prodotto irrinunciabile. A livello globale l’industria della plastica assorbe l’8% della produzione mondiale di petrolio. Al ritmo di crescita attuale (+ 3,5% l’anno) il mondo produce 240 milioni di tonnellate di plastica ogni anno di cui però solamente il 3% viene riciclato; di questa –enorme- quantità, circa la metà viene impiegata per produrre articoli usa e getta, confezioni monouso destinate, nel migliore dei casi, ad essere gettate dopo pochissimo tempo. Sacchetti, bottiglie ed imballaggi stanno soffocando l’Africa intera e Saint-Louis non fa eccezione. Questi oggetti invadono e ricoprono la città e i suoi dintorni, impedendo alle colture di crescere; si riversano nel fiume e nell’oceano, apportando danni irreversibili a tali ecosistemi; uccidono gli animali, capre e mucche soprattutto, che nutrendosi di quel che trovano al suolo inghiottono erroneamente pezzi indigesti morendo poi soffocate; si accumulano dove ce n’è la possibilità, in intasando le già scarse e malfunzionanti
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le colture non riescono a crescere, sommerse dai rifiuti plastici della c ittĂ . la s avana si riempie di fleurs noir.
molti animali, p reziosi p er ogni f amiglia, i nghiottendo accidentalmente pezzi d i plastica, muoiono soffocati.
blocca il deflusso delle acque che, stagnando, sono l’habitat ideale per l a riproduzione della zanzare malariche.
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8%
fognature, bloccando bacini e canali, contribuendo grandemente alla stagnazione delle acque. Il mancato deflusso di queste, oltre ad accrescere l’insalubrità di Saint-Louis, diventa un grande pericolo per la popolazione, fornendo l’habitat ideale per la proliferazione delle zanzare malariche.
Il Senegal, come gran parte dei Paesi sub-sahariani, importa buste petrolio impiegato nell’industria della plastica di plastica da India e Cina, insieme ad una produzione nazionale
96% plastica non riciclata a livello mondiale
delle tipiche borse nere con il nome della nazione stampato sopra a grandi caratteri. A questi sacchetti si associa assurdamente l’idea del fiore: appena usciti da villaggi e città, inoltrandosi nella brusse, la prima cosa che si nota sono le infinite macchie color pece a ricoprire alberi e arbusti, poeticamente chiamate dai locali fleurs noirs, fiori neri. I sacchetti, però, non sbocciano, non profumano, né contribuiscono alla crescita della vegetazione; al contrario, ne sonoe causa di morte e devastazione. L’industria del riciclo è ancora debole ed il suo potenziale decisamente sottovalutato. Se si associano i dati sulla colonizzazione della plastica insieme a quelli della disoccupazione –specialmente di donne e giovani- in un Paese in cui la fantasia ed il fai da te sono uno stile di vita, non si capisce come mai il riutilizzo non sia ancora stato identificato come potenziale per uno sviluppo dell’artigianato. A Saint-Louis s’iniziano a vedere alcuni deboli tentativi di produzione di oggetti con materiali di scarto, principalmente venduti al turista come souvenirs.
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A sculture e pannelli, si uniscono bracciali e bijoux colorati e di alta qualità, interamente prodotti con fili ed elementi plastici recuperati. Per quanto riguarda invece gli oggetti di uso quotidiano, quelli ricorrenti sono principalmente due: le brocche ed i catini adoperati per trasportare acqua e merci e le stuoie, colorati tappeti sintetici utilizzati come tende, porte o superficie di preghiera. Questi oggetti, tuttavia, sono sì frutto del riciclo, ma dalla raccolta del rifiuto alla commercializzazione del nuovo prodotto devono subire un processo di trasformazione industriale che non può avvenire in situ. Per tentare di arginare l’emergenza plastica, numerosi Stati hanno iniziato a introdurre misure restrittive sull’utilizzo di sacchetti ed imballaggi. Il Ministero del Commercio Senegalese, sull’esempio di Kenya, Eritrea, Burkina Faso, Mauritania e altre, ha vietato l’importazione, la produzione e la vendita di sacchetti di plastica non biodegradabile a partire dal 31 dicembre 2008. Apprendere dell’esistenza di questo divieto è un fatto piuttosto sconvolgente. A chiunque sia capitato di trovarsi in questa città, o più in generale in queste regioni africane, risulta impossibile immaginare quale potrebbe essere allor lo scenario se tale decreto non esistesse.
i prodotti di riciclo più comuni stuoie e
bracci ali e
brocch ee
pallon ie
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i attol oc
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nti ipie ec
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oux bij
tap
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terra ferma Come ormai noto, Saint-Louis è una città d’acqua per eccellenza; verrebbe, quindi, da pensare che anche il suo sistema dei trasporti ruoti attorno a quest’elemento. Nel mondo sono numerosissime le città che hanno intrapreso politiche urbane di sviluppo del loro piano d’acqua, specialmente incentivando il settore dei trasporti, pubblici e privati, lungo fiumi, canali e lagune. L’esempio più lampante e più vicino a noi è, senza dubbio, quello di Venezia: il vaporetto è l’unico mezzo esistente per spostarsi in città, esclusiva alternativa all’andare a piedi. Nonostante Saint-Louis sia definita la Venezia d’Africa, è evidente che, almeno a livello di possibilità –economiche, organizzative e gestionali- di veneziano non abbia nulla. Tuttavia, il totale abbandono che sta vivendo oggi il suo fiume non è concepibile né giustificabile per il contesto, che vanta una storia ed un’evoluzione strettamente dipendente da quest’elemento. Nel comune di Saint-Louis solo il 3% dei trasporti avviene via acqua. Questa percentuale ridicola, che comprende un servizio –abusivo- di attraversamento su piroga del piccolo braccio del fiume, un altro, sempre informale, di collegamento tra la Langue de Barbarie e Bango, passando per i primi villaggi della Mauritania, ed una crociera turistica sul fiume a bordo della storica imbarcazione Bou El Mogdad, va a integrare il preminente sistema che si muove sulla terraferma. La Strada, in questa realtà, è sinonimo di vita. La strada è un’estensione dell’abitazione, luogo d’incontro, di commercio, di transito, di gioco; tutto avviene per strada, dalla preghiera al pasto.
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E’ questa multifunzionalità, questa concomitante esistenza di dinamiche e azioni, anche molto distanti tra loro, ciò che più caratterizza Saint-Louis. La strada è il vero spazio pubblico, nell’accezione che noi occidentali abbiamo attribuito al termine. In una piazza, in un parco, in un centro eventi, però, macchine, pulmini, camion, calessi non possono accedere! Ecco allora una grande differenza nella coniugazione di spazio pubblico: la sicurezza, nell’immediato e nel lungo periodo. La compresenza fisica delle più quotidiane attività dell’uomo con il forte traffico veicolare presente in città porta enormi svantaggi all’una e all’altra parte, riducendo notevolmente la qualità della vita dei cittadini (basti pensare all’altissimo rischio di incidenti e all’insostenibile inquinamento dell’aria) e rallentando e rendendo meno efficiente il sistema dei trasporti. Un ulteriore importante fattore da tenere in considerazione è il degrado in cui versa gran parte della rete stradale esistente. Poco più della metà delle arterie di transito cittadine sono asfaltate, anche se lo stato manutentivo del manto stradale è pessimo; un’alta percentuale delle vie ha un fondo in banco coquille e terra stabilizzata, mentre la sabbia, altro elemento caratterizzante del sito, ricopre appena può strade e spiazzi.
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il sistema dei trasporti Come accade in molte realtà del sud del mondo, le vetture utilizzate sono considerabili di terza o quarta mano e arrivano in città spesso quasi come rottami, importate a bassissimo prezzo dall’Europa; sta poi all’ingegno e alla manualità di taxisti, autisti e autotrasportatori eseguire le grandi opere di riparazione. A farla da padroni sulle strade urbane sono senza dubbio i taxi jaunes et noirs, –facilmente riconoscibili dai loro colori - che hanno libero accesso a tutte le zone della città. Legalmente, questi veicoli possono trasportare al massimo quattro passeggeri alla volta, ma un tale numero è l’eccezione e non la regola. Essendo il mezzo di trasporto più caro (si va dai 200 F CFA/persona per i tragitti brevi ai 500 F CFA/persona per andare dalla Langue de Barbarie alla Gare Routière di Pikine) si cerca di abbassare il costo della corsa stipandosi numerosi al suo interno. Altri trasporti molto utilizzati sono i clandos, mezzi non autorizzati –clandestins- che percorrono per soli 125 F CFA le tratte principali dei flussi del pesce e del commercio. Colorati e chiassosi ci sono i cars rapides, vecchi furgoni rimaneggiati e dipinti a tinte brillanti che arrivano ad ospitare fino a trenta passeggeri; queste camionette si muovono lungo percorsi fissi, che mettono in collegamento le polarità principali della città. Il costo è molto contenuto e, a parte qualche area prestabilita di stazionamento, non esistono fermate lungo la via: chi intende salire si fa notare al margine della carreggiata e, al rallentare del mezzo, sale al volo. Sul tettuccio dei cars rapides, un enorme portabagagli può ospitare qualsiasi tipo di merce trasportata dai passeggeri, dalle capre –vive- ai sacchi di riso, miglio e farina.
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altro
taxi
altro
taxi 20%
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taxi
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cars rapides
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auto
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5% 5% 10% piedi
spostamenti corti
La maggior parte della popolazione cittadina, essendo in pochi a possedere un’automobile privata, si sposta quotidianamente con i mezzi pubblici, a piedi o in calesse. Si definisce, con il termine pubblico, la finalità del servizio e non la proprietà dello stesso, in quanto i vari trasporti esistenti non fanno capo alla municipalità o ad imprese municipalizzate, ma a gestori privati. Saint-Louis, in relazione ad altri centri di media grandezza del Paese, dispone di un sistema di trasporti urbani piuttosto articolato che tuttavia non può più crescere di pari passo con la forte spinta demografica. La città arcipelago, inoltre, non può più pensare di fare affidamento esclusivamente sui suoi due ponti, simboli esasperati e fragili di un sistema al collasso. Durante tutto l’arco della giornata, dall’alba alla sera, taxi, furgoni e pulmini di tutte le taglie, epoche e fattezze intasano le arterie principali della città, rendendo a tratti invivibili alcuni suoi luoghi. Il mercato di Sor, cuore pulsante di tutto il sistema urbano, rappresenta uno snodo critico per il traffico, poiché la caotica vivacità che lo caratterizza lo rende il punto più pericoloso, rumoroso, inquinato e congestionato di tutti. La vicinanza della vecchia gare routière di Garage-Bango contribuisce ulteriormente al traffico sull’Avenue Général de Gaulle che, insieme al Pont Faidherbe, alla Route de Leybar e a Rue de la Corniche, rappresenta la strada più trafficata della città.
6%
14% 60%
10%
63%
6% danni a cose Sor
6% 20%
danni a persone Isola Storica
Ponte Faidherbe
92% incidenti mortali Langue de Barbarie
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37%
auto private
42% mezzi per il trasporto p 22% mezzi per il trasporto merci
200cfa 4 posti+conducente no tragitti fissi/circolazione secondo richiesta in tutti i quartieri del comune il loro pagamento rappresenta il 75% del reddito giornaliero
6000cfa
3600
7 posti+conducente si tragitti fissi/collegamento di Saint-Louis con le altre cittĂ della regione/nazione tariffe fisse in base alla tratta
125cfa
2900
5 posti+conducente no tragitti fissi/circolazione lungo i flussi di pesca e commercio (Sor/LdB)
100cfa
trasporto non autorizzato
54 taxi-clando e 23 furgoni
5 posti+conducente no tragitti fissi/
circolazione secondo richiesta in tutti i quartieri circolazione lungo i flussi di pesca e commercio
778
25cfa 23-28 posti
+conducente+2apprendisti si tragitti fissi/collegamento delle principali polarità urbane si può salire e scendere durante il tragitto con il mezzo in corsa
825
732 583
155
25cfa
85
77
56
piroghe
cars rapides
clandos
taxi urbani
taxi interurbani
calessi
trattori da strada
autocarri interurbani
pick-up
camion/semi rimorchio
auto private
4
0% emess o
6,8%
emess o
6,8%
as di g
C
as di g
sul volume CO
O sul volume
0% sul volume CO
144
emess o
7,0%
as di g
emess o
6,5%
as di g
sul volume CO
max 15 posti +rematore si tragitti fissi/collegamento LdB-Ile attraversando il piccolo braccio del fiume trasporto non autorizzato/ piroghe private guidate da pescatori
97%
pubblico di persone
strada su
3%
trasporto persone che avviene via acqua
Ultimo mezzo pubblico di spostamento urbano è la piroga. Quest’imbarcazione tradizionale, così fortemente identitaria e necessaria per la sopravvivenza di migliaia di famiglie specialmente sulla Langue de Barbarie, viene messa a disposizione dai vecchi pescatori più abbienti, per soli 25 F CFA a persona, per compiere l’attraversamento del piccolo braccio del fiume. Esistono quattro tratte -non autorizzate- che collegano la LdB all’isola coloniale: una tra Camp Gazelle e l’Ile Nord, una in corrispondenza del ponte crollato della Geole, un’altra in fronte al palazzo delle feste e l’ultima in corrispondenza dell’ospedale regionale. Il traghettamento viene effettuato senza motore, grazie all’uso di un lungo bastone che il barcaiolo –in stile gondoliere- punta sul basso fondale per far avanzare la piroga. Nonostante il grande fascino del trasporto via acqua e le relative brevi distanze, le correnti del fiume spesso dilatano i tempi, altrimenti rapidi, di attraversamento; inoltre la forma stretta e concava della piroga crea problemi di stabilità della stessa, rendendola poco sicura. Un enorme problema legato al sistema dei trasporti esistente è quello dell’inquinamento dell’aria. Essendo, come già accennato, mezzi non di prima mano, la grande maggioranza delle vetture circolanti a Saint-Louis non è catalizzata; i modelli più frequenti (Renault e Peugeot degli anni ’70, ’80 e ‘90) sono precedenti agli standard Euro 1 stabiliti dalla Comunità Europea a cui siamo abituati. La combustione del carburante, in vetture non catalitiche, produce percentuali di monossido di carbonio (CO), ossidi di azoto (NOx) e idrocarburi incombusti (HC) estremamente elevate, ben superiori alla soglia limite fissata per la salute dell’uomo.
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Un taxi urbano tipo, modello Renault 18 della fine degli anni ’70, arriva ad emettere una percentuale di CO pari al 7% quando il limite per le auto immatricolate in quel decennio è del 4,5%. Un taxi interurbano, modello Peugeot 505 dei primi anni ’80, emette una percentuale di CO del 6,8% contrariamente alla soglia prestabilita del 3,5%. Da questi generici dati, ci si può rendere conto di quanto nocivo sia il traffico urbano di Saint-Louis anche e soprattutto per la salute dei suoi abitanti, ormai abituati a respirare, in giro per la città, non più aria di brezza oceanica, ma nubi nere prodotte dalle sue auto.
Paesi con il più alto livello di PM10/anno 279
Mongolia
216
Botswana
198
Pakistan
Senegal Arabia Saudita
145 143
fonte: OMS (classifica stilata monitorando la qualità dell’aria di circa 1100 città in 91 nazioni tra il 2003-2009)
PM10: materia particolata con diametro inferiore a 10 µm 20 µm/mq: soglia critica di inquinamento di PM10 (OMS)
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parte 3
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acqua che unisce “Esistono città sul fiume –Parigi, Londra, Roma, mille altre-, e città sul mare –Napoli, Odessa o Tokyo-, e città sul lago –Costanza o Chicago-, città sul lago e sul fiume –Ginevra-, città su lagune –Amsterdam, Venezia-. Esistono città che non hanno né fiume, né mare, né lago, né laguna. Ma nessuna città manca di rapporto, magari segreto, con l’acqua19 ”.
19 Paolo Sica
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Il passaggio dall’ esclusione del fiume ad una sua centralità sarà necessario se la città di Saint-Louis intende trovare una propria direzione di sviluppo sul piano economico, sociale ed urbanistico. La mancanza dell’utilizzo del corso d’acqua nelle pratiche quotidiane, rappresenta, al momento attuale, un forte limite per la città e, al contempo, una potenzialità da strutturare e rafforzare in un futuro prossimo. Certo, il processo di cui si parla sarà lento e faticoso e dovrà inevitabilmente cominciare da un’azione capillare di sensibilizzazione della popolazione a tale tematica. I modi in cui questa prima fase può avvenire sono diversi: da una semplice azione divulgativa ad un coinvolgimento attivo –più auspicabile- di porzioni di popolazione, innescando un processo a macchia d’olio che possa, un giorno, arrivare a coinvolgere l’intero sistema. L’impiego più immediato attribuibile al fiume è quello di piano privilegiato per lo sviluppo del trasporto pubblico2011 urbano, superficie perfetta per unire, anziché dividere. Il trasporto via acqua, non solo a Saint-Louis, è grandemente sottovalutato; alle sue qualità e alle possibilità che offre sono spesso preferiti modi più classici, i cui problemi sono oramai noti a tutti. Il trasporto fluviale urbano, tuttavia, non è da intendersi come forma sostitutiva al sistema esistente: è una risorsa complementare, messa in atto per migliorare la qualità dell’offerta dei trasporti nel contesto di una riorganizzazione della mobilità urbana21.
20 Con il termine pubblico si fa qui riferimento non solo all’utenza cui il servizio è rivolto, ma anche alla proprietà della stesso; si prevede, infatti, un coinvolgimento diretto dell’amministrazione municipale nell’avviamento e nella gestione del progetto, insieme con associazioni di abitanti riuniti in forme cooperative. 21 Rinio Bruttomesso, Cities on Water and Transport. Grafiche Veneziane, Venezia,1995. p. 16
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A queste qualità vanno inoltre sommati i vantaggi ottenibili sul piano della salvaguardia dell’ambiente, dell’eco-compatibilità e delle sviluppo sostenibile; nel momento in cui si decide di dar vita ad una rete di mobilità fluviale, l’attenzione alle tipologie d’imbarcazione e alle infrastrutture necessarie diventa fondamentale. In un Paese come il Senegal, con una delle più alte percentuali al mondo di ore di sole l’anno, non si può non utilizzare questa risorsa per il funzionamento dei mezzi di trasporto; inoltre diventa di primaria importanza la realizzazione d’infrastrutture a basso costo che possano, nella migliore delle ipotesi, essere realizzate completamente in situ. I fattori coinvolti nella realizzazione e nella gestione di un sistema di trasporto pubblico, di qualsiasi genere esso sia, sono numerosi ed appartenenti ad aree dell’attività umana anche molto differenti tra loro. I cambiamenti avvengono, quindi, come risultato dell’interazione tra diversi elementi, i cui principali sono le circostanze economiche, politiche e demografiche, le caratteristiche ambientali e la storia del luogo, l’avanzamento della tecnologia ed il sistema dei commerci; tali fattori non solo influenzano direttamente il sistema dei trasporti in questione, ma si influenzano anche tra di loro in maniera positiva, negativa o neutrale, muovendosi all’interno delle due dimensioni base: lo spazio ed il tempo221 . Se Saint-Louis vorrà evitare di venir divorata dal grande ingorgo che oggi la rappresenta, deve guardare lontano in termini strategici ma non in termini fisici, in quanto il suo fiume scorre sotto e tutt’intorno a lei, aspettando di ricevere nuove attenzioni.
22 ibid. Brian S. Hoyle. p. 21
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RésEAU:
perché una rete di mobilità pubblica fluviale RésEAU vuole contribuire al miglioramento della qualità della vita degli abitanti di Saint-Louis e dei turisti che verranno a visitare quest’eccezionale sito patrimonio mondiale dell’umanità. In una città arcipelago, nata come polo commerciale tra fiume e oceano, il contatto con l’acqua è fondamentale e necessario, contatto che però, oggi, si è perso, caricandosi di problematiche e significati negativi. Collegando in maniera diretta tra loro le principali polarità urbane e riqualificando ambiti ormai abbandonati, il piano d’acqua rivive, senza tuttavia venire sconvolto nella sua natura dal nuovo traffico; grazie ad imbarcazioni ibride ed attracchi modulari assemblabili in plastica riciclata è garantito il rispetto delle acque e dell’ecosistema fluviale. RésEAU non vuole essere un sistema di mobilità alternativo o sostitutivo a quello esistente, bensì un modo per migliorare l’offerta dei servizi urbani, sfruttando il piano d’acqua per lo spostamento delle persone.
RésEAU collegamenti efficienti
riscoperta del fiume
trasporti eco-compatibili
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Anche il fiume può diventare un altro luogo. Non più quindi solo le sue sponde, più o meno lontane fra loro, a separare due orizzonti, ma una nuova possibilità, un margine interno in continuo movimento, una frontiera fluttuante, una terza sponda. J. Guimarais Rosa, La Terza Sponda del Fiume.
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collegare abc
abc
decongestionare collegare abc
abc
riscoprire
decongestionare collegare abc
riscoprire
decongestionare
riscoprire
162
abc
Tre sono le azioni-chiave che si vogliono gradualmente realizzare: collegare, decongestionare, riscoprire. Collegare le diverse polarità cittadine e mettere a sistema i nuovi ambiti urbani di riqualificazione; agevolare gli spostamenti di popolazione e turisti riducendone i tempi di percorrenza o, quando questo non sia possibile, assicurare un collegamento costante tra le tre isole -condizione necessaria, ma al momento non garantita poiché l’intero sistema fa perno su due soli ponti-; creare un dialogo tra la popolazione locale e il turista straniero, favorendo un processo culturale di conoscenza reciproca ed integrazione. Decongestionare l’incredibile traffico esistente sulle strade rendendo la città più libera dai veicoli, più sicura, più vivibile; partecipare alla risoluzione del grave problema dei rifiuti urbani, trasportandoli via acqua alla discarica, senza permettere che questi passino, su camion, per il centro cittadino; contribuire alla diminuzione dell’inquinamento dell’aria e non produrre nuovo inquinamento grazie all’utilizzo di un motore ibrido alimentato dall’energia solare. Riscoprire la bellezza del fiume, della sua storia, della sua importanza; ritrovare un rapporto visivo e fisico con quest’elemento naturale così identitario per la città, innescando un processo di risanamento e riqualificazione delle sue sponde che possa, gradualmente, esser concepito anche come potenzialità per lo sviluppo di un turismo sostenibile.
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Dove: la rigenerazione parte dai micro-centri La municipalità di Saint-Louis, insieme con l’aiuto della cooperazione decentrata, dei partenariati stranieri e degli enti di gestione del territorio, ha fino ad oggi intrapreso una politica di pianificazione da manuale, redigendo piani agenti dalla vasta alla piccola scala, dal globale al locale. Ma strategie di così ampio raggio in un Paese che fatica persino ad attuare i dettami più elementari forse non sono vincenti e il passato recente lo ha dimostrato. Il mancato coinvolgimento della popolazione locale negli interventi sul territorio, di qualsiasi natura essi siano, ha inoltre ulteriormente penalizzato la buona riuscita delle iniziative intraprese. Perché, allora, non puntare su una rigenerazione della città che parta proprio dai suoi abitanti, dagli spazi della quotidianità? Perché si cerca di trovare macro-soluzioni a macro-problematiche invece di iniziare il processo di risanamento dai luoghi di vita, di gioco, di lavoro e di svago che tutti conoscono, a una scala più umana?
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Ciò che non manca a Saint-Louis è, in un certo senso, lo spirito imprenditoriale: basta una minima presenza turistica, un’irrilevante traccia d’infrastruttura, che subito attorno vi si crea un universo intero fatto di artigiani e ambulanti che affollano strade e vicoli e gli spazi residuali della città. È dall’osservazione di queste dinamiche sociali così peculiari e spontanee che nasce la persuasione che da una piccola azione, come l’inserimento di una nuova funzione o di una minima struttura per supportarla, possa svilupparsi un processo di rivitalizzazione dello spazio urbano circostante per mano degli stessi abitanti, in maniera pienamente rispettosa dell’identità locale. In una realtà in cui i vuoti urbani non sono mai veramente vuoti, in cui la gente vive lo spazio esterno, la strada molto più di quanto viva l’intimità della propria abitazione, le aree circostanti gli attracchi della nuova rete di mobilità fluviale acquisiscono un grande potenziale. Se la necessità di strutturazione degli spazi, al fine di incentivarne la fruizione, è nulla o perlomeno minima, significa che i processi di rigenerazione di cui stiamo parlando si basano, principalmente, sui flussi, sulle interazioni sociali, sulle dinamiche urbane. .
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RésEAU, spostando parte del traffico cittadino dalla terraferma al piano d’acqua, genera nuovi movimenti di persone, abitanti e turisti, e i suoi approdi, punti nevralgici e d’interscambio, diventano lo scenario perfetto per l’avviarsi di tali processi
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assi di spostamento del sistema di mobilitĂ attuale
1K
assi di spostamento integrati con il sistema RĂŠsEAU
m
3 Km
5 Km
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polarità principali
polarità secondarie
Sor-mercato Guet Ndar-mercato Ospedale Hydrobase Gare Routière
Goxumbacc Carcere Ile Centro Guet Ndar-cimitero
flussi di spostamento attuali importanza funzionale
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tipologie e criteri di scelta delle polarità
polarità di quartiere Sor Nord Léona Fas Dieye Bango Camp Gazelle Ile Sud
distribuzione popolazione
polarità turistiche Ile Nord Djoudj Hydrobase Gandiol
patrimonio culturale-naturalistico
possibilità di attracco
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Parc Djoudj Bango
Goxumbacc
Camp Gazelle carcere mercato Guet Ndar
Ile Nord Ile Centro
Sor Nord Mercato Sor
ospedale Ile Sud Léona
Guet Ndar - cimitero
Fas-Dièye Hydrobase
Gare Routière
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quando:
un intervento in divenire
RésEAU, più che un progetto, può essere considerato un processo. Il fattore temporale, se ben gestito, diventa l’elemento chiave per la riuscita di tale intervento. La proposta comprende, nella sua totalità, una linea per lo smaltimento dei rifiuti solidi, una linea prettamente turistica di collegamento con i principali siti naturalistici della zona e tre linee di circolazione urbana. Avendo individuato l’onnipresenza dei rifiuti come un problema di primaria importanza per la città –dal punto di vista igienicosanitario, di degrado del paesaggio urbano e d’inquinamento ambientale- la linea fluviale che si occupa della rimozione di questi dovrà essere la prima a venire attivata I centri di trasformazione del pesce (Goxumbacc, Hydrobase, Guet Ndar Sud) e il grande mercato di Sor sono le entità urbane che più producono scarti, quindi un collegamento tra queste e l’attracco più periferico del sistema, la Gare Routière di Pikine, ne agevolerà lo smaltimento; i rifiuti, da qui, potranno essere trasportati su gomma al vicino CET di Gandon, senza dover attraversare le principali arterie della città.
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La seconda azione necessaria è quella di alleggerire i traffici sul ponte Faidherbe e sul ponte Malik Gaye, unici collegamenti tra le tre isole, oggi eccessivamente congestionati. La caratteristica del ponte-monumento, ossia la possibilità della sua campata centrale di ruotare per permettere il passaggio di grandi imbarcazioni, costituisce un ulteriore problema per la mobilità cittadina poiché, al verificarsi di tale evento, l’intera città resta paralizzata. La linea urbana circolare consente l’attraversamento del grande braccio del fiume, partendo e facendo ritorno al mercato di Sor, dopo aver compiuto il giro dell’isola coloniale e toccato le sue fermate e quelle della Langue de Barbarie. Tale linea permette di vivere il fascino di SaintLouis nella sua essenza: dal fiume. Questo servizio, di grande utilità per gli abitanti, può costituire anche un’attrazione per i turisti che, finalmente, potranno godere della piccola crociera e vivere un’esperienza autentica. Di uguale importanza è la linea turistica, specialmente in termini economici. I prezzi dei biglietti, infatti, saranno superiori a quelli delle linee urbane e i nuovi flussi che si verranno a creare incentiveranno il settore artigianale ed il commercio. L’attracco principale, capolinea dei percorsi turistici, si trova all’estremità nord dell’isola storica, in corrispondenza dell’antico porto coloniale della città; da qui partiranno due imbarcazioni, una verso nord, diretta al Parco Nazionale del Djoudj –riserva ornitologica patrimonio UNESCO- e l’altra verso sud, facendo tappa sulla Langue de Barbarie per raggiungere l’omonimo parco e le infrastrutture balneari esistenti, per poi proseguire fino a Gandiol.
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fase 1: risanare
linea rifiuti
n° fermate: 6 durata: 1.15h lunghezza: 11,5 Km velocità media: 6 nodi
fase 2: decongestionare
linea circolare
n° fermate: 10 durata: 1.20h lunghezza: 8,5 Km velocità media: 6 nodi
riscoprire
linea turistica
Goxumbacc
Ile Centro
2,3 Km
Sor-mercato
0,63 Km
Ile Sud
1,05Km
Sor-mercato
Guet Ndar cimitero
0,35Km
1,46 Km2
Ospedale
0,56Km
Guet Ndar-cimitero
Guet Ndar mercato
0,48Km
Hydrobase
Gare Routiére
,94 Km
Carcere
0,42Km
Camp Gazelle 0,6Km
4,6 Km
Goxumbacc
Ile Nord 1,95Km
1,6Km
Djuodj
60Km
Ile Centro
0,77Km
durata: 5h velocità media:
Sor-mercato
0,63Km
7 nodi (14 Km/h)
ile nord Gandiol
Langue de Barbarie
5 Km
15 Km
durata: 1.40h velocità media: 7
nodi
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Se oggi il turista si sposta, di giorno in giorno, percorrendo le tappe di un itinerario prestabilito, grazie a RésEAU avrà l’opportunità di soggiornare per più notti a Saint-Louis, godere appieno della sua tranquilla bellezza e raggiungere agevolmente le attrazioni limitrofe quotidianamente. In tal modo, s’instaurano le basi necessarie allo sviluppo di un turismo sostenibile, che non depredi in fretta e furia la città, ma che ne assapori lentamente l’essenza, instaurando un importante processo di scambio ed interazione tra lo straniero e l’abitante. Come ultimo intervento, è prevista la messa in funzione di un collegamento con il quartiere di nuova espansione di Bango, a nord della città ed un altro con le comunità rurali del sud, verso Gandon. Dal piano strategico Saint-Louis 2030. Nouvelle Metropole Africaine si comprende chiaramente la strategia per lo sviluppo futuro della città voluta dell’amministrazione comunale: urbanizzare ampie fasce di territorio –desertico o inondabile- a ridosso della Route Nationale N2, sia verso nord che verso sud. Si stima che gli aggregati esistenti triplicheranno il numero degli abitanti nei prossimi vent’anni, rendendo così necessaria una forma di collegamento alla città alternativa ai mezzi su strada.
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fase 2: collegare
linea nord
n° fermate: 6 durata: 1.20h lunghezza: 11 Km velocità media: 6 nodi
linea sud
n° fermate: 6 durata: 1.10h lunghezza: 9,2 Km velocità media: 6 nodi
Sor-mercato
Ile Centro
0,63 Km0
Sor-mercato
Sor Nord
,84 Km
Léona
0,96 Km
Ile Nord
0,9 Km
Ile Sud
0,6 Km
1,95 Km6
,68 Km
Fas Dièye
Guet Ndar-cimitero
0,35 Km1
Bango
Goxumbacc
,9 Km5
Gare Routière
,32 Km
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imbarcazione ibrida capienza: 50 posti a sedere motore elettrico: trifase da 80V potenza: 3 KW velocità media: 7 nodi velocità max: 9 nodi 18mq di fotovoltaico 2,4m 1,2m 12m
3m
Gli spostamenti sul fiume avverranno grazie ad imbarcazioni ibride231 , piccoli battelli fluviali alimentati da un motore elettrico che, in questo caso, può facilmente ricaricarsi grazie all’energia solare. Sulla base dei modelli già esistenti si può stimare che tale imbarcazione abbia un’autonomia di otto ore, con un motore elettrico trifase da 80 V (il motore, se posizionato sull’asse azimutale, può esser sollevato a pelo d’acqua); i tre pacchi di batterie garantiscono una potenza totale di 3 KW e possono venir ricaricati grazie ad una superficie di pannelli fotovoltaici di soli 18 metri quadrati. La scelta d’imbarcazioni di modeste dimensioni trova spiegazione nel processo che questo servizio andrà ad innescare, soprattutto in termini di creazione di occupazione. In un contesto in cui il 48% della popolazione è disoccupata, creare lavoro diventa una necessità; la scelta di chiatte di piccola taglia –oltre che limitare l’impatto di queste sul sistema fluviale, abituato alle piroghe dei pescatori- si muove nella direzione opposta a come si procederebbe in una realtà occidentale. Se da noi, infatti, si prediligerebbero imbarcazioni di maggiori dimensioni capaci di caricare in un solo viaggio un alto numero di passeggeri riducendo al minimo le spese –benzina, personale, costi di manutenzione, etc- a Saint-Louis è importante riuscire a coinvolgere il maggior numero di lavoratori possibile.
23 Progetto IMES-Imbarcazione Mobilità Elettrica Sostenibile. realizzato da Coldiretti con lo Studio Ambrosetti, 2006 Progetto ENERGIA per la laguna di Venezia. Imbarcazioni di collegamento tra l’aeroporto Marco Polo ed il centro storico di Venezia. 2010
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come: i programmi di compensazione volontaria di CO2 Se la città di Saint-Louis, arcipelago immerso nel suo fiume, non ha ancora riflettuto sulla possibilità di un sistema di mobilità fluviale, i motivi sono disparati; innanzitutto vi è la totale mancanza di fondi da parte dell’amministrazione pubblica che, come già visto, affida tutti i suoi progetti a partners privati stranieri o alla cooperazione decentrata. All’impossibilità o incapacità del settore pubblico di gestire e sponsorizzare il proprio territorio si deve aggiungere il disinteresse di qualsiasi ente privato nazionale o internazionale, fino ad oggi, all’avvio di progetti classici d’investimento a Saint-Louis. Come fare, allora, a rendere fattibile una tale proposta in un contesto apparentemente così sfavorevole? La compensazione volontaria di anidride carbonica (Carbon Offset) è un meccanismo di finanziamento piuttosto recente che vede la sua prima realizzazione nel 1989, quando un’industria produttrice di elettricità americana, l’AES Corp, decise di finanziare un progetto di riforestazione in Guatemala; i 50 milioni di alberi piantati a spese dell’azienda rappresentarono la compensazione delle emissioni prodotte dalla nuova centrale elettrica241.
24 Bellassen V. e Leguet B. Comprendre la Compensation Carbon. Pearson Education, Parigi 2008
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Lo sviluppo e la fattibilità di tale progetto, precursore degli attuali sistemi di compensazione, portò a importanti riflessioni in primis all’interno della United Nations Conference on Environment and Development (UNCED) tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, che portò poi alla firma della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici; tali atti sfociarono in una regolamentazione più dettagliata stabilita nel Protocollo di Kyoto del 1997. Quest’atto di fondamentale importanza in materia di lotta ai cambiamenti climatici nel mondo introduce non solo dei valori limiti di emissioni di gas-serra per i paesi più sviluppati, ma anche dei meccanismi di compensazione “che permettono a uno Stato di compensare un eventuale surplus di emissioni finanziando una riduzione di emissioni in un altro Stato”25 . Oltre ai processi di compensazione regolamentari, istituiti appunto dal Protocollo di Kyoto per i paesi aderenti, esistono progetti di compensazione volontaria262 , sviluppatisi affinchè sia i privati che le organizzazioni non soggette tale accordo (ONG, aziende, collettività, etc..) possano ugualmente compensare le proprie emissioni grazie a certificati specifici riconosciuti. I progetti di compensazione volontaria si fondano su un legame imprescindibile tra interessi privati di aziende e stakeholder e benefici collettivi incentrati sul miglioramento della qualità ambientale. Questo modello economico permette agli investitori di ottenere un interesse monetario grazie al ritorno sull’investimento costituito dai crediti CO2 (Carbon Credits); questi crediti vengono utilizzati per ottenere lo status di Neutralità CO2, in un’ottica di strategie di gestione delle emissioni e, quindi, di una Responsabilità Sociale d’Impresa (RSE).
25 ibid. 26 vedi il sito: www.eco-act.com
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Per il controllo della bontà del progetto, esistono due standard principali: il Verified Carbon Standard271 (VCS) ed il Gold Standard, indipendenti tra loro e riconosciuti a livello mondiale. IL VCS conta già sul suo registro cinque progetti legati alla mobilità: un sistema di autobus urbani elettrici a Johannesburg, la linea 9 della metropolitana di Seul, la metropolitana di Nuova Delhi, un trasporto pubblico via funicolare a Lima ed un sistema di trasporti alimentato a biogas a Vancouver28. In Senegal esistono già progetti di compensazione volontaria di emissioni di CO2; ci sono quindi i precedenti e le condizioni per la fattibilità di tale progetto di finanziamento che, essendo il primo al mondo per un sistema di mobilità fluviale, richiederebbe la redazione di un modello di una nuova metodologia ed attirerebbe investitori anche e soprattutto per la sua unicità.
27 vedi il sito: http://v-c-s.org/ 28 vedi il sito: https://vcsprojectdatabase2.apx.com/myModule/Interactive.asp?Tab=Projects&a=1&t=1
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parte 4
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vivere lo spazio esterno: declinazioni dello spazio pubblico Identificando con il termine pubblico un ambito di utilizzo collettivo, contenente o meno funzioni rivolte alla comunità, allora tutto a Saint-Louis è spazio pubblico. Se si esclude la spinosa questione della proprietà, altro parametro necessario a dare una definizione esaustiva di ciò che è pubblico e ciò che non lo è, e ci si concentra sull’utenza, sulla fruizione degli spazi, ci si accorge immediatamente di come questo concetto tipicamente occidentale venga qui grandemente superato. La condivisione degli spazi della quotidianità è una pratica identitaria fermamente radicata nella cultura locale. Famiglie numerosissime vivono, mangiano, dormono insieme in spazi angusti e apparentemente inappropriati; all’alba, centinaia di persone affollano la riva dell’oceano per quel rito fisiologico che a causa dell’assenza di servizi igienici e di rete fognaria non hanno possibilità si svolgere in intimità tra le mura domestiche; le donne si riuniscono lungo le sponde del fiume per compiere, in gruppo, le faccende quotidiane ed i bambini giocano in grandi comitive, senza mai restare soli. Il concetto di privacy è assolutamente sconosciuto, così come pare non esistere la necessità di chiudersi la porta alle spalle, una volta varcata la soglia di casa, una volta passati da un ambito collettivo quale la strada a uno più intimo e privato quale la propria abitazione. Sono queste abitudini che riempiono il vuoto, le attività quotidiane che svolte all’esterno ri-vitalizzano ambiti apparentemente abbandonati e degradati.
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vuoti urbani attivitĂ domestiche artigianato ricovero animali
sponda fluviale deposito attrezzi e materiali lavori artigianali attivitĂ domestiche ricovero animali preghiera riposo
fronte strada commercio relazioni sociali attivitĂ domestiche gioco
ombra commercio relazioni sociali attivitĂ domestiche riposo gioco
strada relazioni sociali feste religiose eventi della tradizione preghiera
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Gli spazi residuali creatisi in seguito al crollo di un edificio vengono presi d’assalto e occupati con le attività più disparate: c’è chi approfitta di tale spazio per stendere i panni ad asciugare, chi vi pascola le capre, chi vi si stabilisce con i propri utensili per la lavorazione di prodotti artigianali. Allo stesso modo, le sponde fluviali sabbiose si riempiono di piccoli gazebi all’ombra dei quali si riposano i pescatori bevendo il tè, pregano e chiacchierano gli uomini, si ricovera il bestiame. Persino le strade, elementi urbani ben definiti e dotati di una propria chiara funzione, vengono occupate parzialmente o interamente da folle di abitanti per festeggiare, insieme a tutto il quartiere, battesimi e matrimoni, il ritorno dei fedeli dal pellegrinaggio a La Mecca, le ricorrenze religiose più importanti. Non è raro imbattersi in tali avvenimenti e le alternative sono semplici: o ci si unisce all’evento, o si cambia strada. Il caratteristico e frequente commercio informale nasce e si sviluppa in conformità a queste concezioni dello spazio. L’appropriazione spontanea e talvolta anarchica dei più svariati ambiti urbani è una consuetudine fortemente identitaria che porta con sé anche disagi e problemi per l’intero sistema-città. L’arte del fai-da-te, dell’improvvisazione, deve compensare la scarsissima presenza del pubblico (inteso come ente amministrativo) sul territorio, tentativo di rispondere autonomamente a gravi problematiche sociali quali la disoccupazione, la carenza di abitazioni, la necessità di spazi adeguati per vivere ogni giorno la propria socialità. Lo spazio esterno è lo spazio della condivisione, dell’aggregazione e dello scambio. Il mercato, la strada, il margine, il vuoto residuale sono tutti ambiti di vitale importanza per l’identità della città e dei suoi abitanti, aree da preservare e incentivare, implementando ciò che già esiste e creando le condizioni minime sufficienti ad un fruizione sicura e realmente condivisa.
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il muro: archetipo del recinto Se gli spazi esterni, di qualsiasi natura essi siano, rappresentano il vero tessuto connettivo della città, i numerosissimi muri che si erigono ovunque a perimetro di ambiti spesso poco caratterizzati costituiscono gli ostacoli, le rotture di tale tessuto che acuiscono la sensazione di confusa frammentarietà dello spazio, specialmente nel quartiere nord. L’innalzamento di un muro a delimitare una proprietà, un lotto, un’area contraddistinta da determinate peculiarità è pratica diffusa, da tempo immemore, in tutto il mondo. Le declinazioni del recinto sono infinite, così come le azioni che questo elemento nega. Muri alti e continui lungo tutto il perimetro dell’area militare. Muri e cancelli attorno alle poche residenze private della punta nord, muri attorno agli edifici pubblici, ai centri culturali. Muri scavalcati a fatica dai bambini per andare a giocare nel grande campo da calcio, muri in rovina che lasciano intravedere le baracche di legno e lamiera che qualche famiglia vi ha costruito a ridosso. Se il recinto è, per antonomasia, simbolo di esclusione, separazione, delimitazione, ancora una volta Saint-Louis ci sorprende: a ridosso dei muri, nel tentativo di godere di quello spazio d’ombra concesso dalle inclinazioni zenitali del sole, si compiono numerose e disparate attività, sempre in maniera collettiva. Il muro diventa, allora, non più elemento di separazione ma fattore di aggregazione, segno identitario e riconosciuto capace di creare ambiti sociali d’interazione ed inclusione. Il muro, di qualsiasi materiale, forma e spessore esso sia, viene attrezzato e implementato con nuovi elementi capaci di trasformarlo in quinta scenica della quotidianità.
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ile nord: storia di un quartiere Il nome Lodo deriva, con grande probabilità, dal Wolof loo doon: “chi sei?”, a sottolineare la forte presenza di genti straniere nel quartiere, fin dalle sue origini. Il quartiere Nord è il più esteso dell’isola di Saint-Louis e si sviluppa da piazza Faidherbe fino all’estremità superiore; esiste un’ulteriore suddivisione in tre sottoquartieri: Biir Ndar, Lodo e Bopou Ndar o Punta Nord. Questa parte di città nasce e si sviluppa in funzione dei traffici commerciali, insieme con la presenza del presidio militare all’estremità nord; è principalmente a queste sue due funzioni storiche che si può ricondurre, oggi, la ragione di un tessuto urbano frammentato e disomogeneo, così differente dal resto dell’isola. Nel XVII secolo il quartiere non era che un piccolo villaggio fatto di capanne di paglia e baracche in legno, abitato da uomini liberi e schiavi. Il tracciato viario comparve all’inizio del XIX secolo, insieme con le prime abitazioni costruite a imitazione di quelle già esistenti del quartiere sud; l’intera parte terminale dell’isola, la Punta Nord, era costituita da una vasta area depressa e insalubre, inondata dalle acque del fiume per buona parte dell’anno.
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I grandi lavori su questa porzione di isola iniziarono nel 1857 quando il Governatore Faidherbe decise di rettificare l’allineamento degli edifici compresi tra rue Dubois e il grande ponte. Tutta questa porzione di lungofiume, limite meridionale del quartiere affacciato sul grande braccio del Sénégal, ospitava le belle abitazioni dei ricchi mercanti con i grandi magazzini coloniali, edifici imponenti che occupavano ciascuno un intero isolato. Il doppio affaccio verso il fiume e verso la strada interna permetteva da un lato di caricare e scaricare le merci e dall’altro di vendere i prodotti nei negozi al piano terra degli edifici; il primo piano era sempre riservato alle abitazioni. A partire dal 1892 la zona portuaria iniziò ad estendersi verso nord e all’inizio del XX secolo, sotto la direzione del Generale Roume da cui prese il nome la lunga banchina, si intrapresero le opere di allargamento della sponda fluviale. Il nuovo molo fu costitruito con grandi solette in cemento armato a formare cassoni privi di copertura per lo stoccaggio temporaneo delle merci, mentre lo spazio per l’attracco delle imbarcazioni si ridusse a pochi blocchi.
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Ancora più a nord, la vecchia gru a vapore fu messa in funzione nel 1883. Quando il governo francese dispose la costruzione di una linea ferroviaria di collegamento tra Kayes sul fiume Sénégal e Bamako sul Niger, divenne indispensabile per la città dotarsi di un’attrezzatura capace di sollevare grandi pesi quali, ad esempio, le svariate tonnellate di una locomotiva. La prima gru inviata a Saint-Louis naufragò nel fiume in Mauritania, insieme alla nave che la trasportava; la seconda arrivò in pezzi separati e fu assemblata in situ dal maresciallo del genio militare Peyssoneau insieme con i soldati del suo reggimento. Ancora oggi, ad uno sguardo attento, si possono scorgere impressi nel metallo color ruggine i nomi dei militari che le diedero forma. In seguito al trasferimento della flotta a Dakar nel 1898, quest’imponente argano perse la sua importanza militare e fu ceduto alla colonia che lo mantenne attivo per fini commerciali fino al 1954. Il traffico fluviale dopo questa data diminuì drasticamente, anche a causa concorrenza del Bou El Mogdad, antica imbarcazione delle Messageries du Sénégal che monopolizzò per lungo tempo la rotta commerciale verso l’alto bacino del fiume. .
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Anche il quartiere nord aveva il suo ponte. All’altezza della piazza Blaise Diagne, affacciata sul piccolo braccio del fiume, esisteva una semplice passerella in legno costruita nel 1876 per volere del generale Mangin. Il meglio conosciuto pont de la Geole (ponte della prigione), cosÏ chiamato dai locali a causa della sua vicinanza al carcere, era anche conosciuto come pont des Conducteurs, e fu costruito con lo scopo non tanto di collegare le due sponde agevolando la vita degli abitanti, quanto di facilitare il trasporto di sabbia
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dalla Langue de Barbarie alla Punta Nord, necessaria per i lavori di bonifica di tale area inondabile. Il primo ponte andò distrutto durante un incendio e ricostruito nel 1935; anche questo crollò e, da allora, il quartiere si è abituato alla sua assenza. La tradizione narra che le sventure del pont de la Geole dipendano dal volere di Maam Kumba Bang: è lei che lo fece crollare una prima volta sotto gli occhi dei militari francesi e sempre lei ad appiccare l’incendio che lo bruciò.
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La Punta Nord è il quartiere militare per eccellenza. Saint-Louis fu, innanzitutto, una città-militare e i numerosi importanti edifici d’origine che portano ancora le tracce della loro origine ne sono la testimonianza: le due caserme Rogniat sulla piazza faidherbe, l’ospedale militare, le caserme del Controllo e dell’Artiglieria nel quartiere sud, la caserma Chevigné ed il campo Archinard al nord, il campo Gazeilles sulla Langue de Barbarie ed il campo di Bango. Fino al 28 febbraio 1961 Saint-Louis era la sede dello stato maggiore della prima brigata dello della zona d’oltremare numero 1, il cui comando comprendeva le forze di terra del Senegal e della Mauritania. Un generale, 90 ufficiali, 200 sotto-ufficiali ed un migliaio di uomini della truppa vi risedevano in maniera permanente. La concezione stessa della città risponde a degli imperativi militari: edifici bassi, con numerosi elementi difensivi che permettevano di scorgere il nemico e al contempo proteggersi dalle incursioni dei mauri. È per questo principale motivo che gli unici edifici su più piani della zona del XVIII e del XIX erano di proprietà dell’esercito. L’antico quartier generale della cavalleria di Chevigné è stato trasformato, oggi, nella caserma dei pompieri, senza tuttavia apportarvi modifiche importanti. Dal 1843 il governatore BouetWillaumez, fautore di una politica di espansione verso i territori a nord del fiume Sénégal, dà origine al primo squadrone militare della città, che resterà attivo fino al 1928. L’antica caserma Archinard, costruita appunto nel 1843, oggi campo El Hadj Omar Tall, ospita il comando militare dell’isola. L’organizzazione spaziale della Punta Nord è particolare a causa dell’orientamento dei suoi edifici secondo i venti dominanti. Tale organizzazione voleva escludere la promiscuità tipica del resto del tessuto dell’isola e scongiurare così la diffusione di malattie ed epidemie tra le truppe.
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l’avenue Jean Mermoz: uno spazio europeo nel cuore dell’Africa Il boulevard Jean Mermoz, già avenue Général de Villiers e Allée des Cocotiers, rappresenta il prolungamento delle due vie longitudinali dell’isola, rue Blaise Diagne e rue Abdoulaye Seck, fino all’estremità nord. È un viale tipicamente europeo, con due corsie asfaltate separate da un’ampia aiuola alberata. Attorno a questo spazio, così dilatato e strutturato rispetto agli altri ambiti urbani di Saint-Louis, sono stati costruiti nei secoli gran parte degli edifici pubblici e di rappresentanza della città. Subito dopo la sua realizzazione, nella seconda metà del XIX secolo, il viale fu adibito a campo di allenamento per i militari che, in mancanza di uno spazio tanto ampio, iniziarono a occuparlo per le loro esercitazioni. Quest’utilizzo insolito del viale ci mette già nelle condizioni di comprendere la sua inadeguatezza al contesto; lo spazio così aperto e dilatato, assolutamente unico in tutta la città fatta eccezione per la piazza Faidherbe (anch’essa nata con funzione di rappresentanza, specialmente militare) intimorì da subito gli abitanti, abituati a vivere i piccoli patii delle abitazioni in stile coloniali e i fronti strada, ben più angusti dell’avenue Mermoz. Il primo lotto tra il viale e il fiume è occupato dalla grande moschea iniziata nel 1838 e portata a termine, dopo le tante interruzioni, nel 1847. Proseguendo verso nord, s’incontra una lunga successione di grandi lotti ospitanti il Consolato di Francia e Belgio, il Centro Culturale Francese con la sua scuola, la caserma dei pompieri, l’ospedale militare ed il Quai des Artes.
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La percorrenza di questo boulevard suscita emozioni contrastanti, specialmente per un occidentale; da un lato il riconoscimento di una tipologia urbana che ci appartiene, con le sue visuali, i suoi fronti, gli alberi e gli attraversamenti. Dall’altro lo spaesamento di camminare lungo uno spazio così familiare che, appena oltre il suo margine, si scontra duramente e senza alcuna relazione con la quotidianità e la caoticità di una città africana quale Saint-Louis. I pochi mezzi che vi circolano, quasi esclusivamente taxi e mezzi militari, non giustificano l’ampiezza delle sue corsie. Ogni tanto, non più spesso di un paio di volte in una giornata, si vede passare un calesse con dei turisti che, senza scendere dall’abitacolo, si guardano intorno e scattano foto, per poi girare su loro stessi e tornare da dove sono arrivati. Anche il grande terrapieno centrale, unico spazio ombreggiato della città e per questo dotato di un enorme potenziale, non viene fruito dai locali come si penserebbe. I bambini che escono da scuola si riversano chiassosi sull’avenue, ma non vi sostano per chiacchierare o per giocare: preferiscono attraversarlo e spostarsi lungo le strade della parte residenziale, spazi a loro più vicini. Così, i pochi banchetti allestiti all’ombra delle acacie per vendere bibite e frutta seguono anch’essi il flusso e si dirigono rapidi verso le parti più interne del quartiere. Se non fosse per la presenza di strutture quali appunto le due scuole esistenti, l’atmosfera di funereo abbandono sarebbe perenne. L’avenue Mermoz, nato come illusorio luogo di passeggio per i coloni europei nostalgici della lontana madrepatria è, ad oggi, un enorme spazio vuoto, senza vita, un confine –fisico e culturalenetto e apparentemente invalicabile.
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Bopou Ndar
perchè il quartiere nord come scenario della nuova ri-attivazione urbana?
tessuto non c ompatto ricco di vuoti e spazi residuali
del boulevard Jean M ermoz, ampio viale
presenza
all’europea ricco di vegetazione
morfologia legata alla storia del quartiere: area m ilitare ed
ex porto coloniale
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servizi turistici
presenza di numerose funzioni pubbliche e strutture turistico-ricettive centri culturali
grande moschea
impossibilitĂ di accesso alla s ponda fluviale e
mancato utilizzo dei margini
presenza d i numerosi edifici
e complessi dimessi
edilizi
scarsa permeabilitĂ dovuta ai numerosissimi muri e recinti
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unità minime d’intervento finalità nuova polarità urbana
azioni
riattivazione s ocioeconomica del quartiere
creazione attracco RésEAU
recupero del patrimonio architettonico degradato
recupero edifici d ismessi come nuovi c ontenitori funzionali
incentivazione del turismo come volano economico di riattivazione
riqualificazione degli spazi residuali per realizzazione e vendita di prodotti artigianali inserimento di s ervizi pubblico-culturali e turistici
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avenue Jean Mermoz abbattimento delle barriere fisiche e permeabilizzazione di muri e recinti
riattivazione s economica
ocio-
inserimento di nuove funzioni negli ambiti u rbani abbandonati e degradati
riqualificazione urbana ricucitura dei due ambiti del quartiere nord riuso dei vuoti urbani e degli edifici dismessi caratterizzazione dello spazio pubblico
minima strutturazione del commercio i nformale g iĂ esistente sul boulevard
eliminazione del c ul-de-sac in t estata e creazione d i un belvedere
sensibilizzazione della popolazione a ll’utilizzo c ondiviso dei nuovi spazi
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area militare
rivitalizzazione quartiere nord
del
creazione d i nuovi alloggi per alleviare la forte pressione demografica
UGB
contenimento delle f unzioni militari nella s ola piazza d’armi (prima fase) e successiva c onversione dell’area in campus universitario inserimento di housing sociale a densificare il tessuto e r ivitalizzare il quartiere
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sponde fluviali
risanamento argini dai rifiuti
degli
riscoperta del paesaggio fluviale
attivazione della linea d i smaltimento rifiuti via acqua di RÊsEAU sensibilizzazione della popolazione a lle p ratiche d i raccolta, riciclo e smaltimento dei rifiuti superamento del m uretto d’argine con m inimi interventi di arredo urbano
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intenzioni progettuali: una rigenerazione che parte dal fiume Fino ad ora si è tentato di illustrare alcuni aspetti, positivi e negativi, caratteristici e fortemente identitari della città di Saint-Louis, specialmente del quartiere nord, così diverso e particolare. Il tessuto disomogeneo e ricco di spazi residuali, la morfologia derivante dalle sue primitive funzioni di porto coloniale e area militare, l’ingombrante presenza di uno spazio alieno quale quello dell’avenue Jean Mermoz, la concentrazione di numerose funzioni pubbliche, culturali e turistiche e l’onnipresenza di muri e recinti sono alcuni delle principali caratteristiche che ci hanno spinto ad indagare tale ambito urbano. Se a queste si aggiungono la presenza di numerosi edifici dismessi o abbandonati e il tema della riscoperta del contatto della città con il suo fiume, ecco che si viene a delineare un profilo ideale per l’avvio di un processo di rigenerazione urbana che, partendo dalla micro scala, sarà in grado di estendersi in forma più o meno spontanea ad ambiti più ampi di città.
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polaritĂ : inserimento di un attracco di RĂŠsEAU come catalizzatore del processo di riattivazione
apertura: collegamento dei diversi ambiti urbani e riscoperta del paesaggio fluviale
permeabilitĂ : il muro da ostacolo a elemento generatore di nuove dinamiche sociali
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Il lotto dell’ex Intendenza Militare, comprendente il centro sanitario di quartiere e due grandi costruzioni di elevato valore architettonico-patrimoniale, è quello che racchiude in sé la maggior parte degli aspetti sopra citati. Il fascino del suo ampio fronte fluviale arricchito dalla presenza dell’antica gru a vapore oggi monumento UNESCO e dalla splendida vista panoramica sul ponte Faidherbe e sull’intero arcipelago di Saint-Louis sono elementi che vanno a rafforzare la sua vocazione di polarità sia turistica che locale capace, se ben gestita, di innescare importanti dinamiche di sviluppo sociale e riattivazione economica..
L’intervento minimo di riqualificazione degli edifici esistenti e il riutilizzo degli stessi come contenitori funzionali porterà alla nascita di nuove interazioni, catalizzate dall’inserimento di un attracco speciale della rete di mobilità fluviale RésEAU. La compresenza di spazi di lavoro, svago e formazione dedicati agli abitanti e di servizi culturali, commerciali e ricreativi rivolti principalmente ai turisti potrà favorire lo sviluppo di un sistema urbano attivo, vivace e sostenibile, capace di guardare al futuro senza il rischio di perdere quella forte ed eccezionale identità che, nei secoli, ha caratterizzato Saint-Louis rendendola una delle più straordinarie città dell’Africa Subsahariana.
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crediti fotografici: Alice Clementi. marzo-aprile 2012, ottobre-novembre 2013 Canon 500D, obiettivi: 18/55 e 70/300 Elena Dorato. marzo-aprile 2012, ottobre.novembre 2013 Nikon D5000, obiettivo: 18/105
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ringraziamenti:
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Un ringraziamento speciale va al professor Farinella, che ci ha seguite fin dal principio con entusiasmo e grande disponibilità. Grazie a Gabriele che ha accettato in corsa di condividere con noi parte di quest’esperienza, aiutandoci a rimanere sui giusti binari. Al professor Diakhaté, nostro primo riferimento a Saint-Louis. A Leopold, unico vero amico senegalese, per la l’affetto dimostratoci. Per i pantaloni e per i Dieu Merci. A Bourgeois, Cicerone instancabile e futuro sindaco. Per le fiches. Grazie a Mme. Camara, a Monsieur le Capitain e a Richard. Ai signori Coulibaly, per la generosità con cui ci hanno aperto le porte della loro casa.
Un grazie infinitamente grande a San Pellico da Curitiba, per l’allegria e le storie improbabili (ma tutte vere). Per averci accompagnato verso il traguardo. Grazie a Claudio per la ventata di entusiasmo portata nel momento più buio. Per gli smarmellamenti sopraffini e per il tele-lavoro. Grazie al Team dello Scontorno, Lollo, Ila, Letto e Ja per le divertenti serate... politicamente scorrette! A Giacomino e al suo impermeabile, perchè se non fosse stato per le sue fritture saremmo di certo deperite! Grazie a casa Cantarana, storica dimora, per essere stata negli anni un insostituibile rifugio e per aver retto i colpi anche di questa avventura. A Dinna, Giosuele, l’indimenticabile Fausto, il Frisbee, l’amaca e il barbeque, l’orticello e la cantina. Grazie a Radio Capital per averci tenuto compagnia nelle tante notti deliranti. Grazie a tutti gli amici. Grazie di cuore.
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Alice Alla mia famiglia. A Piero e Corinna, per l’affetto, il sostegno e l’appoggio che in questi anni non sono mai mancati. Per avermi sempre lasciata andare, insegnandomi a superare ogni ostacolo con il sorriso. Spero che questo importante traguardo possa, almeno in parte, ripagare il vostro impegno e sacrificio. A Miriam, sorella e amica, per essermi stata vicina anche se lontana. Agli amici, tutti, per avermi accompagnato in questa avventura. A Carlo.
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Elena Grazie alla mia famiglia, per tutto l’amore. a mamma Patty per il suo profumo dolce, che sa di casa. semplicemente per essere la donna straordinaria che è, per tutto quello che mi ha insegnato. al mio papà, per avermi preso sulle spalle che ero bambina ed avermi mostrato quante sfumature esistano tra il bianco e il nero. Grazie a Vale e a Cinzia, inseparabili compagne d’avventura. per essere le amiche più splendide che potessi mai sperare d’incontrare, perché senza di loro sarebbe stata tutta un’altra storia. Grazie a Pino. perché lo amo. Grazie a Giovanna per il suo energico affetto. a Marti per la composta tenerezza. a Giulia, perché forse non ci siamo mai perse. Grazie ad Alice perché ce l’abbiamo fatta insieme. A Giacomo. anche quando non c’è. Grazie a zia Refe, dolce e preziosa, alla sincerità delle sue parole, ai suoi pianti e ai suoi sorrisi. A Puffo, per essere l’amica di una vita. anche se lontana. Grazie alla cumpa di sempre, a quelli che non importa dove e come. A Twin, perché da quando eravamo in culla riesce sempre a far sembrare più brillanti tutti i colori. A Giulio per la sua acuta intelligenza e per il modo in cui riesce a farsi sentire vicino anche dall’altro capo del mondo. Grazie a Daniela e Augusto, che mi hanno cresciuta come una figlia. Grazie a Ferrara. perché non c’è mai niente da fare ma, a far nulla, ci siamo parecchio divertiti! Grazie a tutti quei fatti e persone realmente accaduti. per aver reso questi anni assolutamente indimenticabili
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