Orizzonti Fortificati. Una proposta per la riqualificazione del Forte di Santa Caterina a Favignana.

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Orizzonti fortificati: una proposta per la riqualificazione del Forte di Santa Caterina a Favignana



Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Master in Architecture of Interiors A.A. 2017-2018

Orizzonti fortificati: una proposta per la riqualificazione del Forte di Santa Caterina a Favignana

Relatrice: Francesca Lanz Correlatrice: Cristina Federica Colombo Tesi di Laurea di: Alice Camilla Mariani 862356 Serena Milanesi 862572



Alle nostre famiglie, ai nostri amici e alla nostra determinazione.



Indice Abstract Introduzione

p. 9 p. 13

I. Art Prison: un concorso di idee 1. Il concorso 2. Analisi e critica del bando

p. 17 p. 32

II. Patrimoni difficili tra memoria e trasformazione 1. Recupero di patrimoni storici controversi p. 39 2. Trasformare per conservare p. 46 III. L’isola di Favignana 1. I caratteri storico naturalistici 2. Attività e architettura dell’isola 3. Turismo e attività artistico-culturali

p. 71 p. 77 p. 91

IV. Il Forte di Santa Caterina 1. La storia e la trasformazione nel tempo

p. 99

V. Proposta progettuale 1. Programma e strategie di intervento 2. Accessibilità 3. Sostenibilità 4. Allestimento e comunicazione

p. 115 p. 123 p. 126 p. 130

Bibliografia e Sitografia

Indice

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Abstract ITA

Il Forte di Santa Caterina sorge sul picco più elevato dell’omonima montagna che divide in due l’isola di Favignana e si trova oggi, dopo innumerevoli trasformazioni architettoniche, in uno stato di abbandono. A gennaio 2018 è stato indetto il bando di concorso “Art Prison” da Young Architects Competitions che ha acceso la speranza di ridare al forte una nuova vita. Il progetto, partito dalla partecipazione al concorso, si basa quindi sulla riattivazione di un patrimonio storico difficile e controverso, dove è stato fondamentale mantenere l’equilibrio tra utilizzo e conservazione secondo i principi delle pratiche di riuso adattivo di costruzioni storiche caratterizzate da una forte identità. L’obiettivo è quello di convertire questo luogo in un centro artistico-culturale con annessi servizi ricettivi e per il pubblico; uno dei nodi principali è stato quello di rendere l’area, oggi difficilmente raggiungibile, fruibile da ogni tipo di utenza. Questo ha portato alla progettazione di piccoli interventi per l’accessibilità interna ed esterna necessari per ridare vita all’edificio. Il concept progettuale si sviluppa secondo tre strategie principali: il recupero del forte tramite un progetto di interni, la rivisitazione dell’edificio annesso con un progetto che relaziona l’esistente con un volume aggiuntivo e la progettazione di un nuovo intervento che si rapporta e rispetta il contesto naturalistico-architettonico. Il progetto, grazie alla complessità e unicità dell’area, si sviluppa su diverse scale e tipologie di intervento, includendo anche la progettazione degli spazi interni, delle aree esterne, della parte tecnologica-ambientale e dell’allestimento e della comunicazione del centro artistico.

Abstract

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Nella riattivazione del forte è stato quindi fondamentale mantenere una relazione con il contesto, rispettandone l’identità, la memoria e il valore storico. Questo processo ridarebbe vita ad una struttura da anni abbandonata garantendo la conservazione del patrimonio attraverso la sua fruizione e rispettando la componente ambientale e paesaggistica tramite una progettazione consapevole e sostenibile.

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Abstract


Abstract

ENG

The Castle of Santa Caterina rises on the highest peak of the mountain which divides the island of Favignana into two parts and today, after countless architectural transformations, is in a state of neglect. In January 2018, the “Art Prison” competition by Young Architects Competitions gave the chance of a new chapter of life of the castle encouraging its renovation. The project has started from the participation in the competition and it is based on the reactivation of a difficult and controversial historical heritage, where it was fundamental to maintain the balance between use and conservation according to the principles of adaptive reuse practices of historical buildings characterized by a strong identity. The aim of the project is to convert this place into an artistic-cultural center with accommodations and public services along with to make all the area, today difficult to reach, available by all types of users. This led to the design of small interventions for the internal and external accessibility necessary to give again life to the building. The design concept is developed according to three main strategies: the restoration of the castle through an interiors project, the reinterpretation of the annexed building with a project that connects the existing with an additional volume and the design of a new intervention that relates itself with the historical structure and respects the naturalistic context. The project, thanks to the complexity and uniqueness of the area, is developed on different scales and types of intervention, including the design of interior spaces, outdoor areas, the technological-environmental part and the setting up and communication of the artistic center.

Abstract

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In this project of reactivation of the castle has been essential the maintaining of a relationship with the context, respecting its identity, memory and historical value. This process would give back life to a structure that has been abandoned for years, guaranteeing the conservation of heritage through its use and respecting the environment and the landscape through a conscious and sustainable design.

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Abstract


Introduzione L’idea del progetto di Tesi è nata dalla partecipazione al concorso di idee Art Prison, promosso da Young Architects Competitions e Comune di Favignana, in collaborazione con l’Agenzia del Demanio, circa il recupero del Forte di Santa Caterina situato sull’Isola di Favignana in Sicilia, per il quale veniva proposta la trasformazione. Partecipando al concorso e sviluppando un abstract progettuale preliminare ci siamo rese conto di come la realtà complessa del luogo, dell’isola e dell’edificio stesso necessitassero di un maggiore approfondimento e di una più attenta conoscenza e analisi per lo sviluppo di un progetto concreto che si inserisse coerentemente all’interno del contesto. L’obiettivo che ci siamo poste è stato quello di riattivare un luogo abbandonato attribuendogli un nuovo uso, mantenendone la sua identità, valorizzandone la memoria storica e ricercando un dialogo tra fruizione e conservazione. Il Forte di Santa Caterina sorge nel punto più alto dell’omonimo monte sull’isola di Favignana, nel luogo dove preesisteva una torre di avvistamento costruita dai Saraceni e trasformata in sistema difensivo dai Normanni. Sotto la dominazione aragonese, sul finire del 1400, venne costruito il Forte nella sua forma attuale: in pietra calcarea locale a forma rettangolare con sporgenze simmetriche ai quattro angoli. A partire dal XVIII secolo, il forte venne utilizzato come carcere dove più di 32000 persone vennero imprigionate nei locali infossati nella roccia, finchè venne in parte demolito e nel 1860 dai rivoltosi che portarono via dal castello perfino le inferriate e devastarono la cappella. La struttura attuale, nella quale è solo intuibile la traccia archeologica dell’impronta saracena e normanna, presenta in maniera molto evidente i segni del tempo e dell’abbandono in cui si trova ormai da parecchi anni. Il castello è raggiungibile tramite una strada che nell’ultimo tratto è percorribile solo a piedi attraverso un ripido sentiero Introduzione

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a gradoni; la struttura interna, caratterizzata da piccoli locali spesso disconnessi tra loro e posti su diversi livelli, è caratteristica intrinseca dell’edificio, nato come luogo di difesa e isolamento. Il progetto ha come fine quello di convertire questo luogo in uno spazio aperto e permeabile al pubblico rispettandone l’identità, la memoria e il valore storico. La trasformazione in centro artistico-culturale e ricettivo ridarebbe vita ad una struttura da anni abbandonata, garantendo la conservazione del patrimonio attraverso la sua fruizione, rispettando la componente ambientale e paesaggistica tramite una progettazione consapevole e sostenibile e soddisfacendo la crescente domanda turistica dell’isola attraverso la promozione di un turismo responsabile.

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Introduzione


I. Art Prison:

un concorso di idee



1. Il concorso Il concorso Art Prison, indetto a gennaio 2018, ha come obiettivo la raccolta di idee progettuali circa il recupero del Forte di Santa Caterina con l’obiettivo di trovarne una destinazione d’uso vicina all’arte: da antico carcere a polo artistico museale, e non solo. La fortezza si presenta come un patrimonio abbandonato da anni, di grande valore storico ma poco conosciuto, e si trova in un contesto molto particolare e suggestivo. Il concorso è stato quindi un’ottima strategia per dare visibilità al sito e promuoverne la sua riqualificazione. Riferendosi al patrimonio storico e architettonico italiano in stato di abbandono negli ultimi anni si sta assistendo ad un sempre maggior interesse da parte di architetti, amministratori e dalla popolazione stessa circa il loro recupero; questo anche grazie a fondi e investimenti che, seppur spesso non sufficienti, hanno lo scopo di promuovere la riqualifica e la valorizzazione dei beni culturali inutilizzati e abbandonati. Ne è conseguita la diffusione di numerosi bandi di concorso con l’obiettivo di raccogliere progetti innovativi e attrattivi stimolando una sana competizione tra le idee per una corretta utilizzazione degli spazi e del territorio, per l’ottimizzazione degli investimenti e per attrarre finanziamenti o investimenti. Il concorso di progettazione è infatti uno strumento capace di alimentare un dibattito culturale all’interno del quale possa essere espressa la massima qualità, intesa in senso ampio, per l’opera da realizzare; esso rappresenta spesso un trampolino di lancio con l’intento di incoraggiare la creatività dei giovani architetti e professionisti della progettazione, oltre che un modo originale di trovare soluzioni al di fuori del quadro normativo e ai problemi attuali dell’urbanistica. In questo caso si è trattato di un concorso internazionale di idee tra i giovani architetti ad unica fase, finalizzato all’acquisizione di proposte ideative da sviluppare successivamente.

Art Prison: un concorso di idee

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Il bando

TEMA:

La solitudine ha sempre esercitato un fascino particolare sull’essere umano. Eremi, fortezze, rifugi: dall’alba dei tempi l’uomo ha ricercato una condizione appartata, fuggendo dai propri simili come per ritrovare un sentimento di purezza, di conciliazione con il proprio io e di fusione con la natura. Svettante sulla sommità di un’isola incastonata nel cuore del Mediterraneo, la fortezza di Santa Caterina a Favignana appare quale vero e proprio gioiello della solitudine. Un luogo intriso di una bellezza ieratica e struggente, dove l’abbraccio della natura si fa talmente intimo da suscitare quel dolce e agognato oblio che avvince il cuore di chi abbia avuto il coraggio di allontanarsi dalla civiltà per mettersi in ascolto del silenzio. 01. Prigione abbandonata da oltre un secolo, dall’alto del suo promontorio il Forte assiste solitario al continuo emergere e affondare del sole nelle cristalline profondità del Mediterraneo, da sempre vigile sulle vicende di un’isola nel tempo trasformatasi da operoso borgo di pescatori a florida meta di turismo internazionale. É dunque sull’onda di simili mutamenti che nasce Art Prison, il concorso voluto dal Comune di Favignana e generato dall’intuizione di approfittare di un contesto formidabile per trasformare il Forte di Santa Caterina in uno dei più suggestivi centri d’arte contemporanea del Mediterraneo: un luogo sublime di incontro, cultura e ricerca creativa, nel quale gli artisti possano ritirarsi per godere di un contesto inviolato – capace di ispirarne l’immaginazione – per dare espressione alla più autentica essenza della propria interiorità. trasformare un’antica prigione in 02. Come scrigno delle opere e dell’azione creativa e 18

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dei più importanti artisti ed intellettuali dello scenario internazionale? Come tramutare un’antica isola di pescatori in museo d’arte contemporanea a cielo aperto? È questa l’appassionante sfida di Art Prison, il concorso che invita i progettisti a lasciarsi sedurre dal richiamo della solitudine per divenire artefici di un’architettura mistica, che sussurri al cuore dei visitatori trasformando l’isola in un recinto “sacro”: rifugio di artisti, creativi e curiosi che nel Forte vogliano soggiornare per rigenerarsi nella mente e nello spirito, godendo delle più sorprendenti avanguardie artistiche, accarezzati dal monumentale e imperituro fascino di un’antica fortezza e di un’isola mediterranea.

SITO:

Geometrie decise, possenti, scolpite nella morbidezza del tufo marino secondo una forma che – complice la prospettiva – regala scorci inattesi e silhouette stravaganti e poi il silenzio, lo sciabordio dei flutti, l’insistente richiamo dei gabbiani e il rado borbottio dei traghetti che fanno la spola dall’isola alla terra ferma: a Favignana tutto parla del mare. Un mare sovrano, benevolo, che per secoli ha nutrito l’isola con i propri doni, e che tutt’oggi ne sostiene la popolazione rendendola meta fra le più ambite del turismo europeo. Osservando il tramonto dalla vetta del Forte, mentre la luce si infrange all’orizzonte e il vento innalza il profumo delle erbe selvatiche, si ha la sensazione di perdere la cognizione del tempo, ed è impossibile non esser sopraffatti da un antico e profondo languore; da un richiamo lontano, quello del mare, che sussurra al cuore di ogni uomo, riecheggiando di memorie e emozioni profonde; di un remoto e mai sopito anelito verso lo sconosciuto, l’ignoto, l’orizzonte. Art Prison: un concorso di idee

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Un contesto formidabile, difficile da catturare con le parole, composto di armonie e dissonanze – quelle fra naturale e artificiale, antico e contemporaneo – capace di dare adito ad uno dei centri di riflessione artistica più rilevanti del contesto internazionale. Per una progettazione contestualizzata e orientata alla proposizione di soluzioni utili alla committenza, di seguito si fornisce una sintesi dei principali aspetti e vincoli di cui i concorrenti dovranno tenere debita considerazione.

Territoriale:

Maggiore delle Isole Egadi, Favignana è uno dei molti tesori di una porzione di territorio fra i più suggestivi dell’Europa meridionale: una formidabile stratificazione di storia, cultura e sapori che rendono questa zona del Mediterraneo fra gli orizzonti di vacanza più ambiti al mondo. A Favignana l’azione dell’uomo si fonde con la benevolenza della natura, dando vita ad un paesaggio unico e sorprendente, in cui le antiche cave di tufo si trasformano in giardini sotterranei, nei quali papaveri e una rigogliosa vegetazione di buganvillea colorano di verde e porpora queste fosse divenute luogo di delizia e villeggiatura senza paragoni. La stessa cooperazione fra uomo e natura è perfettamente riconoscibile a Cala Rossa, nella quale anni di estrazione del tufo e di erosione marina hanno dato vita a quella che da molti è considerata fra le più suggestive spiagge del mondo, dove alti bastioni di tufo - come architetture appartenenti a una civiltà scomparsa - si ergono dalle acque cristalline, nelle quali i volumi sottratti alla roccia generano vasche limpidissime, grotte e insenature in cui vivere avventure indimenticabili. E ancora olivi, mirti, finocchi selvatici e una vegetazione selvaggia e ostinata, che come una irsuta peluria ammanta 20

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l’isola, profumandone l’aria dei medesimi odori che si ritrovano nei piatti preparati dalle mani esperte degli isolani: tonno, pesce spada, capperi, olive e bottarga, un clamore di sapori intensi e decisi, che rimandano con la memoria a tempi antichi e a tradizioni millenarie. Una lettura accurata di una simile ricchezza territoriale sarà necessario punto di partenza per la generazione di un centro capace di fare tesoro delle preziosità del territorio su cui sorge, per garantire al visitatore un percorso complesso e diversificato, fatto di arte, cultura, tradizione enogastronomica e relax.

Sociale:

già da una distratta passeggiata per le vie del porto, Favignana appare quale contesto profondamente connotato, che esibisce con fierezza gli elementi centrali della propria storia: la fortezza e la tonnara. Se la prima richiama ad una lunga storia di battaglie e dominazioni, la tonnara – assieme alle centinaia di ancore che arrugginiscono nel porto – racconta di quella che è la più profonda ed ancestrale identità dell’isola, e che si connette a cicli naturali e fenomeni antichi che ne hanno garantito fortuna e sostentamento. Fin dalla preistoria infatti, nel corso della primavera, le coste dell’isola si popolano di migliaia di enormi tonni, che dall’Atlantico risalgono il Mediterraneo per procedere verso l’Africa rispondendo al proprio ancestrale istinto biologico. La pesca di questo grosso pesce costituì fin da subito la principale attività dell’isola, connotandosi nei secoli di tratti sacrali, in un’affasciante commistione - tipica di questi luoghi - fra tradizioni di diversa natura, elementi sacri e tradizioni profane. Se sono cristiane ad esempio le effigi dei Santi che montano le barche nella speranza di ottenere il favore del mare, saraceno è Art Prison: un concorso di idee

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“Rais”, nome del maestro di pesca e ieratico regista della mattanza, l’antica tecnica di pesca del tonno. Se cristiana, ancora, la preghiera intonata dal Rais al salpare delle barche, musulmano è il nome della stessa, a conferma di quella stratificazione storica e sociale in cui è impossibile distinguere un elemento dall’altro. Attingere da un simile contesto non potrà che essere straordinaria fonte di ispirazione per architetture cariche di fascino e significato.

Economico:

da sempre basato sulla pesca, lo sviluppo dell’isola in senso propriamente moderno lo si deve alla famiglia Florio. Sono gli anni della Belle Époque, dello stile Liberty e di Klimt quando nella Palermo del XIX secolo si va affermando la drogheria della Famiglia Florio, la cui crescente fortuna permise, nel 1874, l’acquisto dell’isola di Favignana e della propria tonnara. Grazie ai Florio Favignana conobbe un periodo di prosperità senza precedenti, dotandosi di architetture civettuole degne dell’epoca, e di una struttura industriale d’avanguardia per il momento storico: nella tonnara di Favignana per la prima volta si diede adito alla conservazione sott’olio del tonno (fino ad allora conservato sotto sale), e proprio qui comparvero le prime scatole di latta con apertura a chiave. Per lungo tempo la tonnara di Favignana rimase l’epicentro economico dell’isola, conservando la propria produttività anche quando i principali gruppi industriali siciliani conobbero il proprio declino. Passato poi alla Famiglia Parodi nel 1938 e alla regione Sicilia nel 1991, la tonnara effettuò la propria ultima mattanza nel 2007, anno in cui cessò ogni attività a motivo della diminuzione del pesce (causata dall’avanzare di tecniche di pesca industriale 22

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che intercettano i pesci prima che arrivino all’isola). Oggi la Tonnara rivive come museo, orientato al racconto di una storia gloriosa di pesca e di tradizione. E sebbene da allora l’economia di Favignana si sia completamente ricalibrata sul settore turistico e ricettivo, non è spenta fra la popolazione la speranza che un giorno i forni della tonnara possano tornare ad accendersi.

Storico:

cuore liquido della vecchia Europa, il Mediterraneo è stato protagonista del mondo antico, connettendo regni e popolazioni, facendosi teatro di scontri, ma anche vettore di scambi economici e culturali che hanno costruito la fortuna del Vecchio Continente. Già abitata dal Paleolitico, Favignana fu prima spettatrice delle tensioni fra Greci e Cartaginesi, per poi consolidarsi sotto il controllo di Roma allorché la stessa sottomise Cartagine durante le guerre puniche. Al tracollo dell’impero l’isola fu oggetto delle razzie dei pirati Vandali fino alla riconquista Bizantina, avvenuta attorno al VI d.C., ma furono proprio le tensioni interne all’Impero d’Oriente a consegnare le isole e la Sicilia tutta ai Saraceni. Furono quindi i Normanni – mercenari richiamati sia da Bisanzio che dai Saraceni – a stabilire un dominio più stabile sull’isola, che fortificarono con la costruzione del Castello di Santa Caterina. Dalla conquista normanna, l’isola seguì poi le sorti della storia siciliana, nel proprio avvicendamento di dominazioni sveve, angioine, aragonesi e infine borboniche. A quest’ultima si deve la configurazione del Forte così come lo conosciamo oggi, la cui rovina è risultato dell’inclemenza del tempo, ma anche della furia dei patrioti italiani che - quando sbarcarono in Sicilia durante le guerre di unificazione procedettero alla distruzione di ogni segno Art Prison: un concorso di idee

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dell’oppressione straniera, quale, appunto, anche il carcere di Santa Caterina. Operare su Favignana significa dunque intervenire su un contesto di rara ricchezza sul piano storico. Immaginare luoghi deputati al racconto della storia e tradizione dell’isola sarà elemento fondamentale per un centro capace trasmettere la memoria del luogo acquisendo di interesse e attrattività per il più vasto pubblico internazionale.

Sistema

architettonico: il Forte è preziosa stratificazione di interventi e vicende storiche fin qui descritte: se la prima architettura è molto probabilmente riferibile ad una torre di avvistamento saracena, il generale assetto del castello è certamente frutto della presenza normanna, poi rieditata e adeguata nel periodo di dominazione borbonica. A motivo del valore storico e testimoniale del bene si offre esemplificazione dei principali 03. interventi vietati o ammessi in seno alla competizione: a. nuove volumetrie – autonome od in adiacenza/sopraelevazione alle strutture esistenti – saranno ammesse purché: • non compromettano o rendano illeggibili le architetture esistenti; • non superino i 4 m di altezza (il medesimo limite è da considerarsi anche per eventuali volumi di sopraelevazione delle architetture esistenti); • non superino complessivamente i 3.000 mq di superficie coperta; • rientrino nell’area oggetto di concorso; • garantiscano un disegno armonico con l’architettura e il paesaggio circostante. b. i materiali impiegati dovranno sostenere il dialogo con l’architettura esistente e il paesaggio circostante: che siano compatibili o distonici, tradizionali o high-tech, 24

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04.

degli stessi dovrà essere garantito il disegno di insieme, orientato alla maggiore valorizzazione delle architetture esistenti. c. Per ragioni di tutela del paesaggio, il percorso di accesso al Forte dovrà rimanere pedonale, ma potrà essere inserita una piattaforma di atterraggio per elicotteri. L’intero percorso all’aperto potrà comunque essere sviluppato per permettere la realizzazione di piazzette, nicchie, belvederi, anfiteatri, e attrezzato od arricchito di nuove architetture nel limite di cui al p.to a.; d. Sono ammessi scavi nella misura fino alla quota di 3 metri sotto il livello del terreno; e. Gli strumenti di segnalazione – compresa l’antenna radio installata all’esterno del Forte – sono completamente rimovibili. f. Non è in alcun modo ammessa alcuna demolizione dell’architettura esistente (che pure potrà ospitare ampliamenti, accostamento di nuovi volumi, sopraelevazioni e ripartizioni degli interni). g. Qualsiasi intervento dovrà essere ispirato ai principi di eco-compatibilità e eco-sostenibilità ambientale.

05. PROGRAMMA: Sulla suggestione dei grandi parchi d’arte del contesto internazionale (Köller-Müller Museum, Naoshima Contemporary, Art Museum, Arte Sella) il concorso ambirà a riconsegnare il Forte alla collettività, trasformandolo in una delle piattaforme d’arte contemporanea più importanti al mondo. Un luogo che grazie alla propria posizione e conformazione naturale possa dare adito ad esperienze di fruizione e produzione artistica sublimi, in cui l’emozione dell’arte si fonda alla suggestione di una natura selvaggia e di un’architettura antica. Art Prison: un concorso di idee

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Un luogo di incontro, mostre, spettacoli e performance, di cui l’architettura contemporanea si faccia elegante scenografia, e nel quale gli artisti possano trattenersi per dare forma alle proprie visioni e utopie, esprimendo germi di novità e bellezza. Parimenti 06. il luogo dovrà essere accessibile al più vasto pubblico di collezionisti e appassionati, che nella struttura potranno svolgere un soggiorno memorabile ciascuno secondo le proprie sensibilità, per immergersi nel piacere di percorsi culturali, enogastronomici e persino benessere. Quale che sia l’impostazione che i progettisti desidereranno offrire al progetto, YAC invita ad un’accurata riflessione sulla relazione fra paesaggio naturale e paesaggio artificiale, fra architettura antica e architettura contemporanea, per dare adito ad un raffinato gioco di contrasti orientato a generare un progetto d’avanguardia, che si trasformi in modello di valorizzazione di contesti storico naturali di pregio, in una commistione di arte, cultura e natura, destinata a garantire nuova vita dei complessi monumentali abbandonati. Di seguito si suggeriscono diverse possibilità funzionali, sottolineando che la composizione di tali scenari, l’integrazione o il rimaneggiamento degli stessi, l’accento su di uno piuttosto che su un altro, costituirà parte integrante del concorso, collocandosi a pieno titolo nel campo delle scelte del concorrente. 07. Art in Nature: per molto tempo le metropoli sono state il principale teatro dell’arte contemporanea: costantemente alla porta di mecenati, critici e media, gli artisti per decenni si sono riversati nelle grandi città, in cerca di un palcoscenico in grado di alimentarne l’azione creativa. Nell’ultimo secolo tuttavia si è sempre più affermato un ritorno alla natura, non quale semplice 26

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elemento creativo o ispirazionale, ma piuttosto quale contesto di fruizione e linguaggio per l’espressione di una creatività, anch’essa, sempre più purificata e sostenibile. In questo senso il lungo camminamento che rende accessibile il Forte dovrà essere esso stesso immaginato come “galleria a cielo aperto”, un percorso di 1,5 km nel quale fruire di installazioni, opere e emozioni propedeutiche all’arrivo nel Forte. Arricchito di opere e attrezzato attraverso una serie di architetture che punteggino il cammino, il percorso sarà una vera e propria ascesa iniziatica, parte di un’esperienza più complessa che abbia il proprio climax nell’accesso al Forte: punto di arrivo per quanti abbiano intrapreso un percorso fisico e interiore attraverso le meraviglie artistiche di Favignana; 08. Art-Scape Hotel: in linea con quanto appena riportato, una straordinaria opportunità potrà essere data a quanti desiderino passare una notte circondati dalle meraviglie artistiche e naturalistiche dell’isola: lo studio di una serie di moduli per un pernotto semplice, ma assolutamente raffinato in uno dei contesti paesistico-culturali più floridi del Mediterraneo, sarà suggestione in grado di accrescere il potenziale attrattivo e ricettivo dell’isola e del proprio Forte. Cabine aperte sul paesaggio, con viste sul mare e sulle opere d’arte, dotate di servizi essenziali e anche di eventuali servizi benessere saranno solo il punto di partenza per la progettazione di un modello di visita colto e sostenibile; 09. Art-Luxury Hotel; non solo semplicità, ma anche lusso e eleganza. Il Forte dovrà garantire un’esperienza all’altezza anche di un’utenza più raffinata e esigente, che frequenti il Forte per arricchire le proprie collezioni o Art Prison: un concorso di idee

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semplicemente per trascorrere una parentesi di estrema raffinatezza in uno dei contesti italiani più glam e blasonati. In questo senso il Forte dovrà garantire l’inserimento di un numero limitato di 3-5 suite dotate di ogni comfort per assecondare gli standard dei visitatori più facoltosi e esigenti. Un luogo che una determinata fascia di pubblico possa raggiungere in elicottero, per visionarne od acquistarne le collezioni, trascorrervi una notte avvolti da ogni agio, e poi proseguire in un percorso alla scoperta delle meraviglie storiche e artistiche della penisola italiana; 10. Art Ateliers: come sottolineato, il concorso non ambisce alla realizzazione di un semplice museo, ma intende qualificarsi quale contesto di lavoro e ricerca per quegli artisti che desiderino contribuire al disegno culturale dell’isola. In accordo a detta indicazione, il Forte dovrà contenere 2/3 appartamenti atelier, nei quali gli artisti possano trovare le migliori condizioni di ispirazione/ laboratorio per le proprie produzione artistiche, concedendosi un periodo di sosta e riflessione presso la struttura per poi lasciarla arricchita delle proprie opere/installazioni; 11. Culture Centre: in linea con una struttura a servizio della collettività, il Forte dovrà attrezzarsi di una serie di spazi flessibili, orientati ad assecondare le possibili necessità della città di Favignana: mostre, conferenze, performance, meeting, workshop e laboratori sono solo alcuni degli usi di cui la comunità dell’isola – in coerenza alla propria più recente vocazione artistica e culturale – possa avere necessità; Food: in accordo alle peculiarità del territorio su cui sorge e coerentemente alle più recenti esperienze che fondono iniziative culturali 28

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raffinate ad un percorso enogastronomico di complemento alle stesse, il Forte dovrà ospitare un ristorante immaginato di altissimo livello: un luogo dove la tradizione locale possa essere reinterpretata dalla sensibilità di chef stellati, che garantiscano ai visitatori un’esperienza avvolgente, capace di amplificare e rendere indimenticabile la visita di questa straordinaria piattaforma delle arti.

Allegato: testo del bando Art Prison, YAC https://www.youngarchitectscompetitions.com/competition/art-prison Art Prison: un concorso di idee

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01.

Il Forte è stato una prigione per circa 60 anni. Nel corso del tempo fu torre difensiva, fortezza, torre di vedetta, carcere, stazione semaforica della Marina Militare. Molto probabilmente il termine “prison” è stato utilizzato nel titolo del concorso perchè più di impatto. 02.

È interessante pensare di trasformare il Forte in un centro di arte contemporanea ma è difficile credere che possa diventare un polo attrattivo a livello internazionale; è più concreto pensare a una rete d’arte a livello locale e regionale. 03.

Considerando l’area e le dimensioni delle superfici esistenti, 3000 mq di nuovo intervento risultano eccessivi, è inoltre un concetto che va in contrasto con l’obiettivo di voler rispettare l’armonia del sito e del paesaggio circostante. 04.

Il bando del concorso sottolinea più volte la ieraticità e solitudine del sito non citando il grande problema dell’accessibilità. Il fatto che il forte sia collocato sulla cima di un monte di un’isola rappresenta un limite e di conseguenza uno dei nodi principali del progetto è quello di rendere l’area fruibile ad ogni tipo di utenza. 05.

Gli esempi citati sono troppo generali, in quanto considerano solo la funzione che ospitano ma non il sito che si presenta molto diverso rispetto all’area proposta dal concorso. Essendo un intervento di recupero di una architettura esistente è più interessante analizzare progetti di riuso di antiche fortezze, castelli e strutture difensive di valore storico. 06.

Il luogo deve essere accessibile al più ampio pubblico evitando progetti di nicchia destinati ad un solo determinato tipo di utenza. Così come, vista la realtà del sito, è da evitare un progetto con un fine quasi totalmente commerciale rispettando l’identità dell’isola, in netto contrasto con le richieste di lusso e d’”elite”. 30

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07.

Il percorso deve essere visto come un sistema di collegamento tra il Forte e i punti principali dell’isola, da inserire nel sistema degli itinerari di trekking di Favignana e non come una “ascesa iniziatica”. 08.

È interessante l’aggiunta di spazi per il pernottamento che potrebbero valorizzare il luogo però devono essere pensati come un inserimento nel contesto e non come moduli da copiare e disporre in maniera casuale. 09.

Per non rendere il progetto totalmente commerciale e slegato dalla realtà dell’isola sarebbe meglio evitare di adottare una distinzione così netta nella progettazione delle stanze. Gli alloggi devono essere ripensati nella tipologia e nel numero, evitando di realizzare una architettura eccessivamente lussuosa e sfarzosa. 10.

È di fondamentale importanza la richiesta di avere degli spazi destinati alla produzione di opere d’arte. La solitudine e l’ambiente circostante rendono questo luogo perfetto per un programma di artist-in-residence (già presente nell’isola). 11.

Il progetto deve essere flessibile e funzionale senza tuttavia avere locali che già esistono nella proposta culturale di Favignana, che oggi già ospita il Museo della Tonnara provvisto di diversi spazi per il pubblico, rispettando le dimensioni degli ambienti interni del forte e la richiesta dell’isola stessa. È interessare notare come le parole memoria e prigione vengano solo citate nella presentazione del bando e nel titolo. Le richieste sono fatte alla base di una conoscenza reale della storia del Forte di Santa Caterina e dell’identità dell’isola di Favignana? Annotazioni e commenti al bando Art Prison Art Prison: un concorso di idee

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2. Analisi e critica del bando “La solitudine ha sempre esercitato un fascino particolare sull’essere umano. Eremi, fortezze, rifugi: dall’alba dei tempi l’uomo ha ricercato una condizione appartata, fuggendo dai propri simili come per ritrovare un sentimento di purezza, di conciliazione con il proprio io e di fusione con la natura. Svettante sulla sommità di un’isola incastonata nel cuore del Mediterraneo, la fortezza di Santa Caterina -a Favignana- appare quale vero e proprio gioiello della solitudine. Un luogo intriso di una bellezza ieratica e struggente, dove l’abbraccio della natura si fa talmente intimo da suscitare quel dolce e agognato oblio che avvince il cuore di chi abbia avuto il coraggio di allontanarsi dalla civiltà per mettersi in ascolto del silenzio. Prigione abbandonata da oltre un secolo, dall’alto del suo promontorio il Forte assiste solitario al continuo emergere e affondare del sole nelle cristalline profondità del Mediterraneo, da sempre vigile sulle vicende di un’isola nel tempo trasformatasi da operoso borgo di pescatori a florida meta di turismo internazionale. […] Come trasformare un’antica prigione in scrigno delle opere e dell’azione creativa e dei più importanti artisti ed intellettuali dello scenario internazionale? Come tramutare un’antica isola di pescatori in museo d’arte contemporanea a cielo aperto?”1 È così che apre il bando del concorso basato sull’intuizione di progettare all’interno di un contesto formidabile per trasformare il Forte di Santa Caterina in un centro d’arte contemporanea. Si può subito notare come l’attenzione venga focalizzata sulla suggestione del luogo e non tanto sulla realtà che caratterizza l’isola: un territorio pieno di sfaccettature e contrasti, dove spesso la poesia e l’incanto vengono poste in secondo piano da una quotidianità complessa e contemporaneamente affascinante. Il fine del bando, come citato, è quello di “riconsegnare il forte alla collettività, trasformandolo in una delle piattaforme di Arte Contemporanea più importanti del mediterraneo […] un luogo sublime di incontro, cultura e ricerca creativa, nel quale gli artisti possano ritirarsi per godere di 32

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un contesto inviolato - capace di ispirarne l’immaginazione - per dare espressione alla più autentica essenza della propria interiorità.”2 Da queste parole si può subito intuire come la proposta manchi di concretezza e di consapevolezza del luogo in quanto sembra possa applicarsi a qualsiasi fortezza o castello abbandonato da recuperare nel territorio italiano. L’obiettivo è inoltre troppo ambizioso vista la dimensione, la fruizione e le risorse dell’isola. Il programma del bando nello specifico richiede: • Art-scape hotel: un pernotto semplice ma raffinato; • Art in nature: un museo-percorso a cielo aperto; • Art luxury hotel: suite dotate di ogni comfort; • Art atelier: laboratori artistici e appartamenti per gli artisti; • Culture centre: uno spazio pubblico flessibile a servizio della comunità; • Food: un ristorante stellato. Oltre al recupero dell’edificio esistente è possibile la realizzazione di nuove volumetrie che non superino i 3.000 mq di superficie coperta e si estendano in alzato fino ad un piano sotto terra. Le richieste e le nuove funzioni sono interessanti, coerenti con la destinazione d’uso del bene, innovative e di attrazione per la popolazione locale e turistica, ma risultano sovradimensionate in estensione e lusso rispetto al luogo di destinazione. Inoltre nel bando il passato e la complessità storica dell’edificio sono messi in secondo piano, il titolo stesso del bando sfrutta il fascino e il mistero della sua vecchia funzione di prigione senza tuttavia darne il giusto peso e riconoscimento nel suo uso futuro, mancando così di continuità. Anche il problema dell’accessibilità, dell’isola e del forte stesso, che risulta oggi raggiungibile solo a piedi, non viene menzionato nonostante rappresenti una delle sfide progettuali più grandi per rendere questo luogo fruibile da ogni tipo di utenza. I concorsi di idee e progettazione rappresentano, quando ben organizzati e chiari negli obiettivi, uno strumento di attuazione Art Prison: un concorso di idee

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e divulgazione dell’architettura nel segno della qualità altrimenti rischiano di essere fuorvianti nell’iter progettuale e dannosi per un eventuale realizzazione. La realtà complessa del luogo, l’unicità dell’isola e la vera identità dell’edificio storico sono comprensibili solo dopo un’attenta analisi, necessaria per ideare un progetto concreto che si inserisca coerentemente all’interno del contesto e che abbia come fine quello di riattivare un luogo abbandonato mantenendone la sua identità, valorizzandone la memoria storica e ricercando un dialogo tra cambiamento e continuità. Inoltre è stato fondamentale approfondire alcune tematiche teoriche che si collegavano al tema riguardante il recupero di patrimoni storici controversi e analizzare diversi casi studio selezionati per sito, funzione e strategie di intervento.

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Note

1. (https://www.youngarchitectscompetitions.com/competition/artprison). 2. Ibid.

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II. Patrimoni difficili

tra memoria e trasfomazione



1. Recupero di patrimoni storici controversi Il recupero e la tutela del patrimonio storico-architettonico, caratterizzato da una complessa stratificazione di memorie all’interno dei tessuti del paesaggio italiano è stata una tematica necessaria da approfondire nel lavoro di tesi. Un patrimonio che dovrebbe essere valorizzato attraverso la sua fruizione, il rispetto e l’ascolto dell’identità dei luoghi, ma che invece si presenta spesso in uno stato di abbandono, al limite della sopravvivenza. Determinante per la salvaguardia delle identità architettoniche è il rapporto con la storia, la memoria e la natura dei luoghi; in una visione dinamica, i contesti storici richiedono nel tempo innesti di nuove funzioni e quindi di architetture, in contemporanea a interventi di tutela e manutenzione. Un particolare interesse è stato rivolto alla relazione che esiste tra memoria, presente e futuro, in cui non è solo necessario tenere conto delle istanze della salvaguardia del bene architettonico ma anche quelle dell’innovazione, rispettando allo stesso modo le esigenze della contemporaneità e le tracce del passato. “Questa lettura è fatta non a partire dal consenso mimetico rispetto all’esistente ma dal dialogo che ne rende contemporanea l’abitabilità̀ secondo uno sforzo progettuale che passa attraverso una complessa operazione in cui la storia è vista come risorsa intellettuale per il progetto, recuperando il tema della specificità̀ del luogo come storia e come fisicità̀ dell’ambiente, quale materiale portante il progetto architettonico”.3 Lo studio, presentato nei paragrafi successivi, si focalizza sul tema del patrimonio e della sua identità, sul processo dell’adaptive reuse, sulle strategie di intervento e sul rapporto tra esistente e costruito. Questa analisi ci ha portato a comprendere che la progettazione e il recupero dei patrimoni storici dovrebbe agire prima di tutto sul costruito, rispettando da un lato la leggibilità della memoria e dell’altro misurandosi con le necessità contemporanee, permettendo al luogo di diventare materia stessa protagonista del nuovo progetto.

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Lo sviluppo di una conoscenza verso il valore di un luogo, ora abbandonato, si può raggiungere “attraverso la coscienza del passato, la consapevolezza del presente e la propensione verso il futuro”.4 Patrimonio come identità “Il patrimonio non è tale a priori, ma è costruito e prodotto in relazione al ‘lavoro culturale’ che esso può fare nel presente e in virtù di processi di ‘gestione, preservazione e conservazione’ cui è soggetto”5; così sostiene Laurajane Smith6 nel suo saggio Uses of Heritage, riferendosi al patrimonio come un processo che si costruisce su valori e significati culturali e quindi visto come rappresentazione della memoria storica, basata sul senso di luogo, di appartenenza e di comprensione nel presente. Con questa idea si mette in discussione quella tradizionale occidentale del patrimonio inteso come costruzione materiale identificabile grazie a valori culturali quali l’età, la monumentalità e l’estetica e ci si oppone al discorso del patrimonio autorizzato dal potere e dalla conoscenza di esperti tecnici e da istituzioni statali o da società di servizio. L’idea di patrimonio come pratica culturale, coinvolta nella creazione di valori la cui autenticità risiede nel significato che le persone costruiscono nella loro vita quotidiana, è alla base del pensiero secondo cui il patrimonio sia da considerare come un processo culturale costituito da esperienza, identità, intangibilità, memoria, ricordo, luogo e dissonanza. Smith afferma che il discorso sul patrimonio sia “un processo di mediazione e cambiamento culturale e di affermazione e negoziazione di determinate identità e valori”7 in quanto il patrimonio stesso è un processo di impegno comunitario utilizzato per facilitare i cambiamenti sociali, politici e culturali. Il concetto di patrimonio viene spesso assunto per provvedere ad una rappresentazione fisica e reale dell’idea più effimera di identità. Al pari della storia infatti, il patrimonio favorisce i sentimenti di appartenenza e continuità mentre la sua fisicità aggiunge a questi un ulteriore senso di realtà materiale. 40

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Come sostenuto nel testo Pluralising Pasts: Heritage, Identity and Place in Multicultural Societies “il patrimonio fornisce un significato all’esistenza umana trasmettendo le idee di valori senza tempo e lignaggi ininterrotti che supportano l’identità”.8 Il patrimonio può dare autorità e realtà materiale e temporale per la costruzione di un’identità, specialmente se il patrimonio in questione è stato riconosciuto come “legittimato” tramite pratiche di conservazione e attraverso le attenzioni della ricerca di esperti come archeologi, storici e architetti. L’industria del patrimonio è diventata ormai un grande business: dai musei alla conservazione di vecchi edifici a questioni più ampie di comunità e identità, il patrimonio è diventato ormai una questione politica. Le società contemporanee lo utilizzano nella creazione e nella gestione di identità collettive, coinvolgendolo con le questioni delle società multiculturali e utilizzandolo per incoraggiare le persone a identificarsi con particolari luoghi e tradizioni. I siti del patrimonio divengono quindi spesso “luogo identitari” ossia luoghi usati più o meno esplicitamente e consapevolmente dagli individui come risorsa per il mantenimento o la costruzione della propria identità individuale e comunitaria. Questa classificazione può coinvolgere non solo spazi definiti, ma anche posti approssimati o del passato che sono ricordati dagli individui come erano in diversi momenti della loro vita. I luoghi di identità non sono necessariamente risorse “positive” o psicologicamente accomodanti: possono riguardare esperienze di appartenenza, attaccamento al posto, storia personale all’interno del luogo o addirittura non appartenenza ed esclusione dal posto in relazione all’identità nel presente. Come sostenuto nell’articolo “Identity place”9 pubblicato su The MeLa Critical Archive, quando un luogo caratterizzato da una storiografia e da materiale viene definito come “sito storico”, può essere utilizzato per la costruzione dell’identità e quindi come luogo di identificazione, dove i visitatori sono invitati a costruire le proprie identità in relazione ad un passato geografico e politicamente strutturato.10 Esistono diverse tipologie di luoghi identitari, esempi sono i Patrimoni difficili tra memoria e trasformazione

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primi parlamenti, i campi di battaglia, i confini o i luoghi di confino del passato e del presente, i siti di genocidio, di crimine di guerra e atrocità o semplicemente di esodo, arrivo e dimora, così come i siti di liberazione o di carcerazione. Qualsiasi sito è un potenziale “patrimonio”, ma alcuni processi sociali rendono determinati siti importanti per gruppi specifici, in particolare la rappresentazione di alcuni all’interno e attraverso musei, riconosciuti dallo stato e finanziati dallo stato e da alcune organizzazioni (come l’UNESCO), autorizzano efficacemente un sito a “patrimonio”, presentandolo come significativo per la popolazione in generale. I siti del patrimonio, assieme ai musei, forniscono un catalogo fisico di oggetti e di luoghi identitari con i quali i visitatori possono negoziare identità personali. Bisogna quindi domandarsi quali siano le relazioni tra luoghi, popoli e identità e in che modo queste relazioni siano rappresentate nei musei e nei siti storici e come tutto si ricollega alle esperienze dei visitatori. Il ruolo di questi spazi sta infatti cambiando notevolmente in quanto ora vengono intesi come spazi culturali, processi e luoghi fisici, basati sull’innovazione e sulla capacità di affrontare sfide poste da un’età caratterizzata da flussi migratori intensi e da una circolazione fluida di informazioni, culture e idee. Poiché le persone, gli oggetti, le conoscenze e le informazioni si muovono a ritmi sempre più elevati, è necessaria una più acuta consapevolezza di un’identità inclusiva che faciliti la comprensione reciproca e la coesione sociale.11 Intervenire sul costruito “Da sempre gli architetti si confrontano con l’antico e con quanto è stato pensato e realizzato in tempi diversi. Da sempre l’architettura è tanto più interessante e di pregio quanto più si dimostra capace di esser ripensata nella continuità e discontinuità del suo farsi.”12 Parlando di progettazione e trasformazione di edifici di interesse storico bisogna considerare prima di tutto la tutela dei suddetti 42

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beni architettonici, che porta alla nascita di problematiche progettuali, nonché ai fattori qualificanti generati da un ripensare l’architettura nel suo rapporto con quanto la precede e la produce. A molti è oggi richiesto di saper riconoscere l’architettura, tanto per costruirla che per tutelarla, agli architetti spetta ancora saperla fare e rifare ricercando sempre quell’unità straordinaria, capace di ricomporre gli strati della costruzione attraverso il tempo. I nuovi interventi devono quindi mettere in atto una reciprocità e un’integrazione tra il nuovo e l’esistente secondo diversi aspetti e diverse scale; questa relazione è anche una necessità culturale che afferisce non solo alla contingenza strutturale o funzionale ma è rappresentativa tanto della capacità è sensibilità dell’architetto di configurare in materia la continuità del tempo quanto le necessità reali ed esistenziali del fruitore. Il riuso, la riconversione o il riutilizzo di edifici dismessi e in abbandono costituiscono oggi una strategia chiave imprescindibile per la riqualificazione e la gestione della nuova città dal momento che si è arrivati alla consapevolezza che è necessario rivitalizzare l’enorme patrimonio costruito non utilizzato, abbandonato e spesso dimenticato. La sfida costituita dal riuso degli immobili di rilevanza storica e architettonica in abbandono deve essere considerata sia in un’ottica economica ed energetica, sia dal punto di vista sociale e culturale che presuppone la possibilità di “istituire nuove relazioni tra gli oggetti, i luoghi e i paesaggi e coloro che li abitano”13. Come espresso da Renato Bocchi nell’articolo “Cicli e ri-cicli dei territori contemporanei”14 più che di recupero, riuso o riqualificazione bisognerebbe iniziare a parlare di ri-ciclo, che si avvicina più al concetto di rigenerazione. “Ri-ciclo – così come lo intendiamo – vuol dire proprio questo: è qualcosa di più del recupero, del riuso o della riqualificazione, è più vicino al concetto di rigenerazione, perché intende istituire un nuovo ciclo di vita e quindi intende ri-generare e rifondare le cose e le relazioni fra le cose, i luoghi e i paesaggi. Per questo motivo ha pochissimo a che vedere con la conservazione e moltissimo a che fare invece con la trasformazione, anche se rifiuta di Patrimoni difficili tra memoria e trasformazione

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lavorare sulla tabula rasa, scegliendo di sporcarsi le mani con quello che si trova, che preesiste, non disdegnando l’ibridazione, la stratificazione, il montaggio, la sovrapposizione, la riscrittura e la sovrascrittura”.15 Nel riuso dell’architettura costruita esistono differenti linee di intervento in base alla preminenza storica e allo stato di fatto del manufatto oggetto di studio. Nel recupero architettonico, diversamente che nel restauro, la verifica delle possibilità di riuso dell’edificio è fatto imprescindibile del progetto, attraverso la ricerca di limitate modifiche idonee a cambiarne l’utilizzo. Le azioni trasformative non si basano unicamente sull’assolvimento di nuovi requisiti come nella riqualificazione, ma sul riscontro della loro congruità con la materia costruita, in modo che essa non sia alterata nei suoi caratteri di riconoscibilità. L’eventuale intervento ex novo si pone quindi sullo stesso piano di valore del generale intervento di conservazione, partecipando entrambi a un processo di ricomposizione complessiva e di ricerca di rinnovata autenticità dell’architettura. “La differenza sostanziale tra restauro e recupero è che il primo, riferendosi ad edifici tutelati, ha come fine il mantenimento dell’integrità materiale e la conservazione dei valori culturali, mentre il recupero è indirizzato a mantenere o ad aumentare le cosiddette ‘informazioni’ residue del bene costruito, o meglio le sue principali valenze ancora riconoscibili.”16 L’integrazione fra antico e nuovo è veicolo di tutela dell’esistente ossia dell’intera città storica; la tutela si esprime anche attraverso il programmatico nutrimento della filigrana dell’antico con la linfa della contemporaneità. La continuità critica, e quindi la presenza del moderno che si misura con l’antico, è un aspetto concettuale che conforta il principio della coerenza pluriscalare e il progetto viene studiato sotto tutti gli aspetti storici e geografici oltre che pianificatori, strutturali, impiantistici senza tralasciarne lo studio dei materiali utilizzati e l’inserimento del luogo. “Quale è il ruolo delle politiche urbane, della progettazione urbanistica e della conservazione architettonica in questo processo di heritage making, ossia di ‘creazione’ del patrimonio?”17 E come questo approccio 44

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all’idea di patrimonio può contribuire a ripensare l’intervento sull’ambiente costruito e, a sua volta, influenzare o informare il progetto architettonico? L’approccio al patrimonio suggerito dai recenti studi nel campo degli heritage studies può fornire interessanti spunti progettuali e contribuire a pensare le pratiche di adaptive reuse (riuso adattivo) come una modalità di intervento critico sull’esistente.

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2. Trasformare per conservare “Gli interventi di adaptive reuse possono essere interpretati come pratiche di “heritage making” e allo stesso tempo come una possibile ed efficace strategia di preservazione, valorizzazione e comunicazione dell’ambiente costruito, soprattutto in quei casi in cui esso costituisce un patrimonio negletto o difficile.”18 L’adaptive reuse può essere definito come un intervento progettuale volto a riutilizzare un edificio, di solito abbandonato, inutilizzato e spesso in decadenza, che, per qualsiasi motivo (storico, artistico, culturale o economico), è stato considerato degno di non essere demolito. È un processo che si basa sul riutilizzo di un vecchio edificio o di un sito con uno scopo diverso da quello per cui era stato progettato; questa pratica è quindi strettamente correlata alla conservazione e al recupero storico. Come sostenuto nel testo Ex carceri, pratiche e progetti per un patrimonio difficile19 oggi come oggi, uno dei settori più attivi e promettenti a livello professionale e nel campo della ricerca è proprio quello del riutilizzo e riqualificazione di edifici inutilizzati o sottoutilizzati. Tuttavia, sebbene il rapporto con la preesistenza sia da sempre una componente architettonica e una dimensione intrinseca del progetto, ciò che viene definito come riuso adattivo tramite la pratica del “costruire sul costruito” è oggi la condizione predominante del fare architettura. Questa è una conseguenza a vari fattori che caratterizzano la contemporaneità come la sempre minore capacità dei territori urbani di ospitare nuove costruzioni all’interno di un tessuto denso e storicamente consolidato, l’evolversi e l’ampliarsi del concetto di bene culturale, l’irrigidirsi delle regole di tutela e conservazione dello stesso patrimonio e la crescente attenzione ad un nuovo approccio per uno sviluppo ambientale, economico e sociale sostenibile. 46

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Pratiche di riuso Le pratiche di riuso circa un patrimonio storico dovrebbero avere un impatto minimo sul significato del manufatto e sulla sua impostazione. I progettisti dovrebbero prima di tutto acquisire una chiara comprensione del motivo per il quale il sito ha lo status di patrimonio, e sviluppare poi un progetto di riuso che sia in sintonia con l’edificio e il suo nuovo scopo. I progetti di adaptive reuse di maggior successo sono quelli che meglio rispettano e conservano il significato del patrimonio aggiungendo un livello contemporaneo che fornisce un valore per il futuro. A volte questo processo è l’unico modo attraverso il quale il carattere dell’edificio viene adeguatamente curato, rivelato o reinterpretato, facendone quindi un uso migliore. Dove un edificio non può più funzionare con il suo uso originale, il suo adattamento ad un nuovo utilizzo può essere infatti l’unico modo di preservare il suo significato storico. Per questo motivo sono state messe in atto diverse politiche che hanno lo scopo di gestire il cambiamento, includendo l’adattamento, e di valutare lo sviluppo dei luoghi del patrimonio. Tali politiche contengono criteri standard per garantire che un progetto di riuso abbia un impatto minimo sui valori del patrimonio stesso. In particolare si cerca di scoraggiare il “facadism” ossia lo sventramento di un edificio con la sola conservazione della sua facciata, si richiede poi che il nuovo lavoro sia riconoscibile come contemporaneo, piuttosto di una scarsa imitazione dello stile storico originale, e soprattutto si cerca un nuovo uso per l’edificio che sia compatibile con quello originale. Nel testo Adaptive reuse. Preserving our past, building our future 20 viene spiegato come ci siano vari vantaggi e svantaggi nell’assumere un progetto di questo tipo. La posizione centrale e il carattere insito del sito sono il più grande vantaggio di questo processo che mira a evidenziare nel nuovo uso la personalità e i dettagli architettonici caratteristici del periodo di costruzione. Sicurezza e accessibilità sono invece il più grande ostacolo Patrimoni difficili tra memoria e trasformazione

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quando si converte un edificio storico abbandonato a nuovo uso; a volte è necessario intervenire in modo invasivo per garantire tutte le precauzioni necessarie per il nuovo utilizzo. Gli impianti, per esempio in quasi tutti i casi devono essere sventrati e sostituiti interamente, e garantire il riutilizzo rendendolo al tempo stesso sicuro e funzionale rende quindi spesso il un processo molto costoso. Quando l’adaptive reuse coinvolge edifici storici, i benefici ambientali sono più significativi, poiché questi manufatti offrono così tanto al paesaggio e all’identità delle comunità a cui appartengono. Uno dei principali vantaggi ambientali del riutilizzo degli edifici è la conservazione dell’”energia incorporata” originale. Il CSIRO21 definisce come “energia incorporata” quell’energia consumata da tutti i processi associati alla produzione di un edificio, dall’acquisizione di risorse naturali alla consegna del prodotto, compresa l’estrazione mineraria, la produzione di materiali e attrezzature, il trasporto e le funzioni amministrative. Riutilizzando gli edifici, la loro energia incorporata viene mantenuta, rendendo il progetto molto più sostenibile dal punto di vista ambientale rispetto ad una nuova costruzione e ciò comporta anche un risparmio finanziario e un miglior rendimento. Mantenere e riutilizzare edifici storici ha inoltre benefici a lungo termine: un manufatto tramite la pratica del riuso può essere ripristinato e può mantenere l’importanza di patrimonio e l’integrità di sopravvivenza. Ci si sta rendendo conto che la qualità e il design dell’ambiente costruito nelle nostre città è vitale per il nostro tenore di vita e per l’impatto sulle risorse naturali, per questo motivo, nel contesto della pianificazione locale, negli ultimi anni il patrimonio si è fuso con le più generali preoccupazioni ambientali e di qualità della vita. Le comunità riconoscono sempre più che le generazioni future potranno beneficiarne dalla protezione di determinati luoghi e aree, compresi i luoghi del patrimonio, in quanto il nostro stile di vita è valorizzato non solo dalla conservazione degli edifici storici, ma anche dal loro adattamento in spazi accessibili e utilizzabili. 48

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L’ambiente costruito, come l’ambiente naturale, fornisce un collegamento vitale al passato, aiuta a celebrare i risultati e offre una visione per il futuro. È un’illustrazione funzionante e funzionale dei numerosi capitoli della storia del nostro paese. Proteggere il patrimonio costruito e preservare la storia nazionale per le generazioni future rappresenta una vera sfida: una sfida che deve essere accolta con entusiasmo da costruttori, sviluppatori, architetti, comunità, individui e tutti i livelli di governo. Il nostro patrimonio costruito può essere conservato attraverso il riuscito connubio tra le strutture del passato e la progettazione architettonica all’avanguardia. Per questo motivo il modo migliore per preservare gli edifici e i siti del patrimonio è di dare loro un nuovo uso. Un intervento di riuso adattivo, sebbene riconosca la storia e il valore dell’edificio, si differenzia dal restauro per l’azione progettuale che, anche se intesa a preservare l’edificio, è principalmente finalizzata a trasformarlo in qualcosa di nuovo, “non guardando al passato con scopo conservativo ma in relazione a istanze attuali, consentendo una riappropriazione dei suoi spazi vuoti e con lo scopo di generare un beneficio sociale, culturale, economico per le comunità di riferimento e per il contesto in cui esso si reinserisce”.22 La riattivazione è l’obbiettivo finale di qualsiasi intervento di riuso adattivo; essa può essere basata sulla definizione di un nuovo programma funzionale, su un intervento temporaneo, o un’azione artistica e può implicare aggiornamenti della struttura esistente da un punto di vista programmatico, tecnologico e architettonico, con una nuova disposizione e organizzazione interna degli spazi preesistenti. L’esito dell’intervento sull’edificio originale varia e dipende dalle scelte dell’architetto, dal linguaggio adottato e dall’approccio progettuale. Il progetto seleziona cosa conservare e come, cosa enfatizzare e cosa restaurare, ripristinare, modificare o eliminare dell’esistente.

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Excursus storico sul recupero architettonico Sebbene sin dai tempi antichi, gli edifici siano da sempre stati modificati per adattarsi ai bisogni e ai desideri in continuo mutamento, la riflessione sui diversi approcci al riuso adattivo è piuttosto recente. Nel passato, molte architetture si sono adeguate al cambiamento delle esigenze o a nuove funzioni; per esempio, già dal periodo rinascimentale, i monumenti classici furono trasformati per nuovi usi e durante la Rivoluzione Francese gli edifici religiosi furono convertiti per funzioni industriali o usi militari, dopo essere stati confiscati e venduti. Questi interventi, tuttavia, sono stati eseguiti in modo pragmatico e in molti casi senza avere come intenzione principale la conservazione del patrimonio, anzi molto spesso il motivo trainante per il riuso era meramente funzionale e finanziario. Un approccio teorico al riuso adattivo è stato stabilito solo nel XIX secolo secolo quando Eugène Emmanuel Viollet-leDuc (Parigi 1814 - Losanna 1879) lo ha riconosciuto come un principio per preservare i monumenti storici. Secondo LeDuc il migliore modo per salvaguardare un edificio era infatti quello di trovargli una nuova funzione in quanto, per soddisfare perfettamente le esigenze dettate da quello specifico utilizzo, l’edificio non avrebbe più dovuto subire cambiamenti.23 Le sue idee, tuttavia, sono state fortemente contestate da John Ruskin (Londra 1819 - Brantwood 1900) e dal suo allievo William Morris (Walthamstow 1834 - Hammersmith 1896) che trovavano impossibile restaurare tutto ciò che non era mai stato bello in architettura; entrambi al posto del restauro hanno favorito la cura e la manutenzione regolare per garantire la conservazione degli edifici storici.24 All’inizio del XX secolo, il conflitto tra queste due teorie opposte circa il riuso adattativo fu discussa da Alois Riegl (Linz 1858 - Vienna 1905) che attribuì questa diversità di pensiero alle diverse virtù che si attribuiscono ai monumenti. Riegl distingue infatti diversi tipi di valori: valori commemorativi 50

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(comprendenti il valore dell’età, il valore storico e il valore commemorativo intenzionale), in contrasto con il valore del presente (che include il valore d’uso, il valore d’arte e il valore della novità). Includendo anche il valore d’uso nella sua valutazione, Riegl ha riconosciuto il riutilizzo di edifici storici come parte intrinseca della conservazione moderna.25 Anche Camillo Boito (Roma 1836 - Milano 1914) criticò sia Viollet-le-Duc che Ruskin; nell’approccio di Le-Duc, egli temeva una perdita dell’autenticità materiale dell’edificio, mentre del pensiero di Ruskin rifiutava il concetto di promuovere la decadenza in favore del restauro. Boito riteneva che il metodo di ripristino dovesse dipendere dalle singole circostanze del monumento e distinse tre metodologie: restauro archeologico (per monumenti antichi), restauro pittoresco (per monumenti medievali) e restauro architettonico (per i monumenti rinascimentali e successivi). Anche se Boito non ha mai menzionato nei suoi scritti il riuso degli edifici, le sue idee sui possibili approcci su come affrontare le alterazioni e le aggiunte alle architetture storiche sono estremamente rilevanti in relazione al riuso adattivo. I suoi principi possono infatti essere riconosciuti in molti progetti di recupero dall’inizio del XX secolo in poi. Contrariamente a Riegl, l’influenza del pensiero di Boito sulla pratica di conservazione italiana e internazionale era molto forte; le sue idee sono state la base per la Carta di Atene nel 1931, il primo documento internazionale per promuovere la moderna politica di conservazione.26 La carta in generale denuncia i restauri stilistici a favore di una manutenzione regolare e permanente; inoltre riguardo al riuso adattivo sottolinea come gli edifici debbano essere occupati per garantirne la continuità e che dovrebbero anche essere utilizzati per uno scopo che rispetti il loro ​​ carattere storico o artistico.27 Le distruzioni della I guerra mondiale crearono un’opportunità per gli architetti modernisti di applicare le loro idee non solo sul singolo edificio ma anche sulla scala urbana. Per questo motivo l’urbanistica è stata oggetto del quarto congresso CIAM che Patrimoni difficili tra memoria e trasformazione

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è stato organizzato nel 1933, sempre ad Atene. I partecipanti presenti al congresso hanno analizzato i problemi di 33 città e proposto una serie di dichiarazioni per la creazione della città moderna ideale, riferendosi anche alle parte storica da mantenere e recuperare.28 Durante l’era del dopoguerra, come conseguenza all’aumento delle demolizioni e alle nuove costruzioni, si è sviluppato un interesse crescente per la conservazione di vecchi edifici di ogni tipo e fu durante la seconda metà del XX secolo che gli architetti iniziarono a considerare il lavoro sugli edifici storici come una sfida interessante. All’interno della disciplina della conservazione, l’era postbellica non è stata solo un momento per discutere i principi e le tecniche della conservazione moderna, ma anche per definire il significato di “patrimonio culturale“. Fino al XIX secolo infatti, la nozione di patrimonio era limitata agli edifici antichi e medievali, ma a causa delle distruzioni delle guerre, la consapevolezza sul valore degli edifici di altri periodi e tipologie, comprendenti anche l’architettura vernacolare, gli edifici industriali e le città storiche, crebbe così come aumentò l’interesse per il riutilizzo adattivo come metodologia verso la salvaguardia di edifici storici. Nel 1964, la Carta di Venezia sottolinea inoltre l’importanza del riuso adattativo all’interno della pratica della conservazione affermando che “la conservazione dei monumenti è sempre facilitata facendo uso di essi per qualche scopo socialmente utile” .29 Durante la seconda metà del XX secolo, il riuso adattivo si è quindi emancipato per diventare una disciplina a sé all’interno del campo della conservazione e lavorare con edifici esistenti, ripararli e ripristinarli per un uso continuato è diventata una sfida creativa e affascinante nell’ambito della disciplina architettonica. Soprattutto in Europa occidentale, la questione della relazione tra progetto e preesistenza è sempre stata centrale nella teoria e nella pratica architettonica e il dibattito sul tema del riuso, 52

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in particolare, ha subito un’intensificazione e una svolta a partire dagli anni Sessanta e Settanta nel contesto socioculturale ed economico del secondo dopoguerra, svincolandosi gradualmente ma non completamente da questioni strettamente inerenti a problematiche di restauro e superando in parte il dualismo intervento/conservazione. Riferendosi al caso italiano, sono questi gli anni della ricostruzione post-bellica, del boom economico, della nascita e dello sviluppo dell’industria e del design made in Italy e del panorama architettonico nazionale, condizioni che costituiscono il contesto perfetto per la realizzazione di alcuni degli interventi sul patrimonio architettonico e culturale del nostro paese più noti, innovativi ed eccezionali. Si tratta di progetti a opera di maestri come Carlo Scarpa, i BBPR, Franco Albini, Ignazio Gardella, Carlo Mollino, Liliana Grassi, solo per citarne alcuni. Il loro lavoro rappresenta ancora oggi un fondamentale punto di riferimento ed eccellenza nella cultura architettonica italiana e ha “precluso all’affermarsi di un approccio progettuale di intervento sulla preesistenza basato su un’ idea di restauro critico, non scevro di problematicità ma che certamente è ancora oggi elemento fondamentale della tradizione architettonica e museo-grafica italiana”.30 Il loro lavoro ha inoltre aperto la strada a quello di altri personaggi chiave come Giorgio Grassi, Andrea Bruno, Guido Canali, Giovanni Tortelli e Roberto Frassoni e molti altri progettisti che ancora oggi animano e arricchiscono il panorama architettonico nazionale. Strategie di intervento: casi studio Gli interventi di conservazione e trasformazione sono un argomento storicamente molto delicato nel panorama architettonico internazionale e la situazione in Italia adopera, se possibile, ancora più misure cautelative per evitare la contaminazione e lo stravolgimento di contesti architettonici storici. Sono molti i casi in cui l’intervento di conservazione o Patrimoni difficili tra memoria e trasformazione

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trasformazione risulta la miglior soluzione per salvaguardare un bene architettonico. La ricerca progettuale è infatti sempre più tesa alla sperimentazione di modalità di intervento che hanno lo scopo di creare un nuovo complesso che possa estendere la vita di quello esistente, mutandone il significato, evitando da un lato la solita prassi demolizione-ricostruzione e dall’altro l’abbandono e la rovina di interi settori urbani. La conservazione non è semplicemente “antico” e la trasformazione non è semplicemente “nuovo”, ce lo hanno dimostrato architetti del passato e contemporanei, quello che fa la differenza è il tipo di approccio che può adottare il progettista. Fondamentale nella fase di ricerca del lavoro di Tesi è stata l’analisi di progetti di riuso di fortezze, castelli ed ex carceri, luoghi caratterizzati da una forte memoria storica e collettiva, che sono stati trasformati in spazi artistico-culturali. Ogni progetto si differenzia per approccio e strategia di intervento ma tutti sono caratterizzati da un completo rispetto dell’esistente, del contesto in cui sono inseriti e dell’identità storica e sociale del luogo stesso.

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Castello di Rivoli Localizzazione: Rivoli (Città metropolitana di Torino) Architetto: Andrea Bruno Anno: 2001 Il Castello di Rivoli è stato costruito sui resti di un castello di epoca medioevale del XI secolo, il progetto iniziale fu dello Juvarra (Messina 1678 - Madrid 1736). Dopo anni di abbandono, degrado e di utilizzo improprio, nel 1978 il palazzo ha finalmente potuto usufruire di un’imponente opera di risanamento, mixando le strutture originarie con quelle realizzate in materiale moderno. Un lavoro che ha tenuto conto di tutta la sua storia, rispettandone l’architettura e laddove si è fermata. Le inserzioni principali furono inizialmente legate all’accessibilità e alla circolazione tra cui l’ascensore, una grande scala sospesa e la passerella sulla volta nervata di fine Settecento. L’obbiettivo dell’architetto Andrea Bruno fu quello di riportare l’edificio alla situazione del non finito, propria del cantiere dello Juvarra e di conservare l’esistente senza aggiunte, rifacimenti o completamenti, affinchè ogni cosa appartenente al tempo passato fosse mantenuta nella sua autenticità storica e artistica. Nel 1984, con l’inaugurazione del Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli, il complesso è stato aperto al pubblico. Contemporanemente continuò il restauro ma per mancanza di fondi si dovette aspettare il febbraio del 2000 affinché l’edificio tornasse al suo splendore. Anche in questo caso si è mantenuta la struttura esistente inserendo nuove parti come la copertura e le scale in acciaio e vetro agganciate alla struttura seicentesca. Le integrazioni necessarie al funzionamento dell’edificio sono infatti dichiaratamente moderne per evidenziarne la loro collocazione storica; un esempio sono i collegamenti verticali, che sono stati posti all’esterno e chiaramente connotati come nuovi, e il corpo destinato ai servizi illuminato da grandi vetrate aperte in testata. Ogni spazio del castello è scrigno d’arte con opere della collezione e ospita i vari servizi del museo. 56

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Le Murate Localizzazione: Firenze Architetti: Renzo Piano, Mario Pittalis, Roberto Melosi Anno: 2007 Il progetto di riuso e recupero delle Murate, l’ex carcere di Firenze, ha avuto e ha tutt’oggi come obbiettivo quello di rispettare il valore storico e architettonico del pregiato complesso, trasformandolo in un pezzo integrato della città, quasi una cittadella con il più ampio mix di funzioni possibili, per riproporre la complessità e la ricchezza dello spazio urbano. Da questo è nata l’esigenza di elaborare un progetto generale con la finalità di sviluppare successivamente soluzioni integrate di recupero urbano. Il Progetto Unitario, redatto dal Comune di Firenze in collaborazione con l’architetto Renzo Piano, si è occupato di fornire linee guida, indirizzi e temi per le successive progettazioni esecutive e si basa su soluzioni che orientano il riuso verso una stratificazione verticale di varie funzioni: pubbliche, commerciali, artigianali, sociali e residenziali. La sfida che si è dovuta affrontare è triplice: rispettare il valore storico e l’innegabile bellezza architettonica del complesso, trasformarlo con interventi di edilizia sociale abitativa ed integrarlo nella vita cittadina. Le Murate ospitano oggi numerose unità residenziali, alloggi in edilizia convezionata, sedi di associazioni che lavorano sui temi della giustizia, dei diritti umani e del progetto sociale, una libreria, un caffè letterario, spazi commerciali e per l’arte e alcune vecchie celle musealizzate, che ne fanno uno dei luoghi di svago e di ritrovo più gettonati di Firenze. Questa pluralità di funzioni urbane fortemente integrate con la residenza, ha come obiettivo quello di imprimere flessibilità al progetto e rendere sempre modificabile l’utilizzo futuro del complesso. Le Murate rappresentano un esempio di riuso che guarda al futuro e ad un’idea di riappropriazione e restituzione di uno spazio, una volta negletto, alla città tutta: un esempio di patrimonio “abitato”. 58

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Forte di Fortezza Localizzazione: Fortezza (Bolzano) Architetti: Markus Scherer, Walter Dietl Anno: 2008 Il forte, con i suoi 65.000 m² di superficie, è il più grande complesso storico dell’Alto Adige. Questo enorme progetto, elaborato dall’ingegnere militare Generale Franz von Scholl (Aquisgrana 1772 - Verona 1838), fu inaugurato nel 1838 e presenta chiarezza, funzionalità e sobrietà di linee tipiche del classicismo. Nel 1918 divenne proprietà dello Stato Italiano e fu utilizzato dall’Esercito fino al 2003. Una volta acquisito dalla Provincia di Bolzano si presentarono nuove possibilità per la conservazione con l’obbiettivo di trasformare il vecchio complesso difensivo in luogo di incontro e di scambio culturale. Preservare gli edifici storici e mantenere il carattere di fortezza, compresa l’aura del luogo e la patina del monumento, è stato fondamentale per il progetto. I muri in grandi blocchi di granito sono stati risanati, i pavimenti riparati e le finestre restaurate; tutti gli edifici sono stati dotati di servizi, impianti elettrici e antincendio e alcuni di riscaldamento. I fabbricati monolitici, dalle piccole aperture regolari e posti a livelli differenti nel terreno sono collegati da diversi sistemi di rampe mentre nuovi parapetti e scale assicurano i percorsi. Per garantire l’accessibilità, secondo le necessità di spazio per esposizioni pubbliche, sono stati realizzati due ponti di collegamento tra i due corpi del cortile inferiore del forte mentre due torri in calcestruzzo armato con scale ed ascensori collegano gli edifici e permettono il percorso espositivo. Superfici e materiali interpretano la tipologia costruttiva storica: il calcestruzzo è stato gettato in strati irregolari con un fine strato di sabbia tra le fasi di getto mentre per le torri è stato ottenuto un colore simile a quello delle strutture preesistenti con l’aggiunta di inerte di granito e la superficie esterna è stata resa ruvida mediante sabbiature. Tutti gli elementi nuovi sono stati realizzati in acciaio zincato e patinati con acidi per ottenere un colore grigio antracite che si inserisce bene nel contesto. 60

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Forte di Saint-Jean Localizzazione: Marsiglia Architetti: Rudy Ricciotti, Roland Carta Anno: 2013 Il Fort Saint-Jean è una fortificazione costruita nel 1660 da Luigi XIV di Francia e si trova all’ingresso del Vieux Port della città di Marsiglia, di fronte al Fort Saint-Nicolas. La fortezza mantenne una funzione strettamente militare per tre secoli, fino alla Rivoluzione Francese, quando venne presa dalla folla rivoluzionaria. Dopo la caduta di Robespierre, un centinaio di prigionieri giacobini rinchiusi nel forte, adibito allora a prigione, vennero massacrati. Durante i primi decenni del XIX e XX secolo il Fort Saint-Jean fu in possesso dell’esercito francese e nel corso della II Guerra Mondiale venne utilizzato come deposito di munizioni tedesco e rifugio antiaereo ma un’esplosione accidentale, nel 1944, provocò un serio danno e diversi edifici andarono distrutti. Subì un periodo di abbandono fino a quando passò al Ministero dei Beni Culturali che tra il 1960 e il 1971 si occupò di riparare i danni. Nel 1964 fu classificato come Monumento Storico. Dal 2013 il Fort Saint-Jean è parte del MuCem (Musée des civilisations de l’Europe et de la Méditerranée), un polo culturale costruito nel punto dove si congiungono il porto vecchio e quello industriale. Il Fort Saint-Jean funge da ingresso all’intero complesso ed è parte integrante del progetto dove sono previste alcune sale espositive; per passare dal Forte al nuovo edificio si deve percorrere il lungo percorso pedonale sospeso. La passeggiata esterna si accosta al Jardin des migrations, un giardino mediterraneo occupante un’area di 12.000 metri quadrati, che rivela in tutta la sua bellezza il Fort Saint-Jean e il suo contesto in relazione al resto della città. Lo spazio ha voluto essere, nelle intenzioni dei progettisti (vincitori di un concorso commissionato dal Ministero della Cultura francese), un omaggio ai viaggiatori di tutte le provenienze che nel corso del tempo sono sbarcati a Marsiglia e continuano a farlo. 62

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Castel Firmiano Localizzazione: Bolzano Architetto: Werner Tscholl Anno: 2006 Il castello sorge su un’altura di roccia porfirica alla confluenza dei fiumi Adige e Isarco a sud-ovest della conca di Bolzano e la stessa posizione strategica della rocca lascia immaginare un lungo passato. Il sito espletò infatti funzioni di difesa già nell’età del Bronzo e fu antica fortezza di frontiera longobarda. Tra le più antiche dell’Alto Adige, con le sue mura larghe fino a cinque metri, Castel Firmiano rappresenta uno dei primi esempi di architettura difensiva. Il suo declino ebbe inizio nel XVI secolo, quando cessò di essere utilizzato per scopi militari. La fortezza ha un alto valore simbolico per i sudtirolesi in quanto fu lì che si svolse, nel 1957, la più grande manifestazione di protesta nella storia politica dell’Alto Adige dove oltre 30.000 sudtirolesi si radunarono per reclamare il diritto all’autonomia. Nel 1996 le rovine furono acquistate dalla Provincia Autonoma di Bolzano e con l’architetto Werner Tscholl, il complesso ha trovato uno spirito affine con cui realizzare il restauro per la realizzazione di un allestimento museale. Specializzato nel recupero di edifici storici, Tscholl concepisce infatti il restauro come un intervento conservatore del preesistente. A Castel Firmiano la sfida consisteva nel tutelare la sostanza storica e nell’intervenire in modo tale da permettere, in qualsiasi momento, il ripristino dello stato originale. I nuovi elementi architettonici si collocano infatti in secondo piano e non costituiscono altro che un palcoscenico per la sostanza preesistente. Le coperture in vetro delle torri non sono visibili dall’esterno, così come non lo sono tubature e i cavi elettrici. L’architetto ha utilizzato esclusivamente acciaio, vetro e ferro, materiali moderni ma senza tempo. Il circuito museale si sviluppa tra queste antiche mura con un percorso espositivo che si snoda tra le torri, le sale e i cortili della rocca, offrendo al visitatore una visione d’insieme del paesaggio circostante che in questo progetto è protagonista indiscusso. 64

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Note

3. V. Gregotti, “Scritti sull’opera di Alvaro Siza”, in Dialoghi Possibili, Clean, Napoli 2016. 4. E. Faroldi, “Architettura Memoria e Contemporaneità”, TECHNE n.12/2016, Firenze 2016. 5. L. Smith, Uses of heritage, Routledge Group, New York 2006, p. 13. 6. Laurajane Smith è direttrice del Centre for Heritage and Museum Studies della Scuola di archeologia e antropologia, presso l’Australian National University. Smith lavora nel settore degli studi sul patrimonio, ed è editore dell’International Journal of Heritage Studies e della serie editoriale in Cultural Heritage (Routledge). 7. L. Smith, Ibid. 8. AA.VV., Pluralising Pasts: Heritage, Identity and Place in Multicultural Societies, Pluto Press, London 2007, p. 21. 9. S. Eckersley, K. Lloyd, R. Mason, C. Whitehead, Identity Places, MELA Critical Archive, Newcastle upon Tyne 2014 (http://www.melaarchive.polimi.it/?dossier=147/essay-defining-identity-places). 10. Ibid. 11. AA.VV., “Museums and Identity in History and Contemporaneity”, MELA Critical Archive, Newcastle upon Tyne 2014 (http://www.melaarchive.polimi.it/?dossier=137/museums-and-identity-in-historyand-contemporaneity). 12. S. Waiz, “Architettura… farsi e rifarsi”, in occasione della mostra d’architettura Costruire sul costruito, Venezia 12 marzo 2008. 13. F. Lenzini, “Forme e storie di (ri)appropriazione” in Patrimoni inattesi. Riusare per valorizzare. Ex carceri, pratiche e progetti per un patrimonio difficile, a cura di Francesca Lanz, Lettera Ventidue, Siracusa 2018. 14. R. Bocchi, “Cicli e ri-cicli dei territori contemporanei”, in Gazzetta Ambiente, n.5, Anno XIX, settembre-ottobre, 2013. Renato Bocchi (Trento,1949), è professore presso il Dipartimento di progettazione architettonica dell’Università Iuav di Venezia. Ha tenuto seminari,

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workshop e conferenze in molte università circa il rapporto fra architettura, città e paesaggio. 15. Ibid. 16. P. Galliani, “Recupero architettonico: problematiche e questioni di metodo”, Territorio n. 5, Franco Angeli Editore, Milano 2009. 17. F. Lanz, Ex carceri, pratiche e progetti per un patrimonio difficile, Lettera Ventidue, Siracusa 2018. 18. Ibid. 19. Ibid. 20. AA.VV., Adaptive reuse. Preserving our past, building our future, Pirion, Brisbane 2004. 21. Il CSIRO (Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation) è un’agenzia governativa federale e indipendente australiana responsabile per la ricerca scientifica. Il suo ruolo principale è quello di migliorare le prestazioni economiche e sociali delle industrie a vantaggio della comunità (https://www.australia.gov.au/directories/ australia/csiro). 22. F. Lanz, op. cit. 23. E. Viollet-le-Duc, The Foundations of Architecture. Selections from the Dictionnaire raisonné, George Braziller, New York 1990. 24. J. Ruskin, The Seven Lamps of Architecture, Smith Elder, London, 1849. 25. B. Plevoets, K. Van Cleempoel, “Adaptive reuse within the retail design discipline: exploring the concept of authenticity”, First International Congress on Architectural Design, Teaching and Research, Bari 3 maggio 2011 (https://www.academia.edu/703363/Adaptive_reuse_within_the_ retail_design_discipline_exploring_the_concept_of_authenticity). 26. J. Jokilehto, A History of Architectural Conservation, Elsevier, Oxford 1999 27. “The Athens Charter for the Restoration of Historic Monuments”, First International Congress of Architects and Technicians of Historic Monuments, International Museum Office, Atene 1931, art. 1. 28. A. Van der Woud, “Statements of the Athens congress, CIAM 1933”,

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Het Nieuwe Bouwen International. Housing Townplanning, Delfts University Press & Rijksmuseum Kröller-Müller, Delft 1983, p. 163-167. 29. “The Venice Charter”, International charter for the conservation and restoration of monuments and sites, Icomos, Venezia1964, art. 5. 30. F. Lanz, op. cit.

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III. L’isola di Favignana



1. I caratteri storico naturalistici Favignana, “la grande farfalla sul mare” come venne definita dal pittore Salvatore Fiume negli anni ’70 per le sue due ali che sembrano dispiegate nel mare31, è il capoluogo e l’isola maggiore dell’arcipelago delle Egadi. Il toponimo “Egadi” significa “favorevole, propizio”, probabilmente in riferimento alla mitezza del clima e alla pescosità del mare. L’arcipelago, composto da Favignana, Marettimo e Levanzo, è posto a circa 7 km dalla costa occidentale della Sicilia, fra Trapani e Marsala. La storia delle Egadi ha origini molto antiche: esse sono state crocevia di popoli in ogni epoca e i primi insediamenti umani risalgono all’era paleolitica. Favignana in particolare era conosciuta nell’antichità come Aegusa (dal greco Αιγούσα, “isola delle capre” per la loro abbondante presenza); il nome attuale risale invece al Medioevo e deriverebbe del vento Favonio proveniente da Ovest. La presenza umana a Favignana fin dal Paleolitico superiore è testimoniata da tracce di antichissimi insediamenti umani presenti in alcune grotte situate nelle scogliere frastagliate lungo coste dell’isola. Della presenza di genti fenice e greche, invece, non vi è testimonianza certa ma è credibile, vista la vicinanza delle isole rispetto a quella di Mozia32, e presunta a partire dall’VIII secolo a.C. fino all’anno 241 a.C. quando l’esercito romano sbaragliò la flotta cartaginese nella battaglia finale della Prima Guerra Punica (detta appunto Battaglia delle Isole Egadi), in cui la Sicilia venne definitivamente annessa a Roma. Dopo il crollo dell’Impero Romano (446 d.C.), le isole caddero in mano dei Vandali e dei Goti e nell’anno 827 d.C. iniziò la presenza saracena, testimoniata dalla costruzione di tre torri difensive (successivamente inglobate in fortificazioni o andate distrutte). Nella seconda età dell’anno mille i Normanni, sotto il governo di Ruggero I di Altavilla, vi realizzarono un villaggio e possenti

L’isola di Favignana

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fortificazioni: il forte di San Giacomo, quello di Santa Caterina e di San Leonardo che inglobarono vecchie torri saracene. A seguito degli gli scontri tra svevi e aragonesi, fu sotto i Borboni che si crearono le condizioni dell’abbandono delle Isole Egadi alle incursioni brutali dei pirati saraceni che ne causarono il sostanziale spopolamento; a Favignana i pochi che rimasero, abbandonate le abitazioni esistenti, si rifugiarono nelle grotte già allora presenti nelle aree di cava. Una nuova storia economica e abitativa delle isole Egadi si ha a partire dal 1637, quando Filippo IV di Borbone decise di cedere a privati (famiglia Pallavicino-Rusconi di Genova) il possesso delle isole. Nel 1874, la proprietà passò alla famiglia Florio, che scrisse la successiva storia dell’isola legata alla grande tonnara, il cui imponente stabilimento, ora trasformato in museo, domina ancora il paesaggio, vicino al porto. Dal periodo Borbonico fino al Fascismo l’isola è stata anche utilizzata dal governo come prigione e luogo di confino per gli avversari politici. Durante il secondo conflitto mondiale l’isola venne dotata lungo le coste, vista la sua posizione strategica, di una imponente rete di casematte e fortificazioni militari, in gran parte ancora oggi conservate. “Il futuro economico delle isole Egadi e la stessa speranza di prosperità della popolazione di Favignana si legava quindi in primo luogo alla pescosità del mare ed all’attività delle tonnare, vera specializzazione dell’arcipelago. Più tardi, venuta meno la necessità della difesa, i vecchi castelli sarebbero stati trasformati in prigioni e anche le Egadi - ed in particolare Favignana - avrebbero scoperto la triste e durevole “vocazione” di luogo di esilio e pena.”33

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L’isola di Favignana


Levanzo Trapani

Marettimo Favignana

Isole dello Stagnone

Sicilia Occidentale Marsala

Inquadramento Isole Egadi L’isola di Favignana

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Geografia, ambiente e paesaggio Favignana dista da Trapani 9 miglia, si estende per 19,38 kmq, è lunga 9 km e larga 4 km. La sua peculiare forma la fa sembrare una farfalla con le ali spiegate divisa in due parti da una dorsale montuosa. Attualmente l’isola di Favignana conta 3407 residenti, il comune di Favignana (comprendente le isole dell’arcipelago) conta invece 4314 residenti (2017). L’isola ha uno sviluppo costiero di 33 km frastagliati e ricchi di cavità e grotte e sul lato meridionale si trovano gli isolotti di Preveto, Galera e Galeotta. La dorsale montuosa che attraversa da nord a sud l’isola, avente come altitudine massima quella del Monte Santa Caterina (314 metri), seguita da Punta della Campana (296 metri) e Punta Grossa (252 metri), divide il territorio in due parti di analoga estensione, ma molto diverse tra loro: la piana, nel lato verso la Sicilia, compresa tra il porto e punta Marsala, e il bosco, a ovest oltre la montagna. La piana è caratterizzata soprattutto per la presenza delle aree utilizzate, nel tempo, per le attività di cava per la produzione del tufo di Favignana, degli orti e dei giardini realizzati all’interno delle aree residuate da tali attività, del centro urbano, dei due approdi dell’isola e dal maggior numero di edifici abitativi e turistici. La parte denominata bosco è caratterizzata invece da un andamento del terreno maggiormente articolato, con quote mediamente più alte e da coste più frastagliate. Nonostante nella antichità fosse ricca di vegetazione, oggi ne è povera a causa del disboscamento; l’isola è infatti abbastanza brulla e ospita la tipica macchia mediterranea e la gariga. Favignana fa parte della Riserva Naturale marina delle Isole Egadi34 istituita nel 1991 con l’obiettivo di tutelare e valorizzare la morfologia dei luoghi, il patrimonio naturalistico ed etnoantropologico ancora presente e identificabile in molti contesti.

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L’isola di Favignana


Tramontana N

S

Maestrale

13

Bosco

Grecale

28

Punta Grossa

33

251 m

R

58

Paese

Punta Campana

28

296 m

5

8.9

Vento di Ponente

O

Forte di S. Caterina

S

E

14.8

Vento di Levante

Monte S. Caterina 314 m

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5.9

Isola Preveto Isola Galera 15. Isola Ga-

4

14.4 16.8 23

11.8

14

Piana, Cave di Tufo

Scirocco

Libeccio 28 46

S 15.8

Mezzogiorno

Isola di Favignana Localizzazione: Canale di Sicilia

6

30.5 R

Coordinate: 37°55’34’’N 12°19’16’’E Arcipelago: Isole Egadi Superficie: 19,8 km²

Inquadramento Isola di Favignana L’isola di Favignana

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I collegamenti: rotte via mare e via terra L’isola è raggiungibile via nave dal porto di Trapani, Marsala e Napoli ed è connessa alle isole di Levanzo, Marettimo e Ustica. Sull’isola sono presenti due attracchi: un piccolo approdo naturale privo di molo a Punta Lunga e il porto principale, che risulta inadeguato per dimensioni in quanto incapace di affrontare la domanda crescente di nautica turistica e da diporto. In quest’ultimo sono infatti in corso interventi per dotarlo di un maggiore numero di attracchi. La mobilità via terra dell’isola di Favignana presenta complessivamente forti criticità nel periodo estivo per l’aumento del traffico turistico e commerciale; grazie alla redazione del Piano di Mobilità Sostenibile35 si sta cercando di migliorare la viabilità dell’isola tendendo conto della richiesta turistica da un lato e della tutela dell’ambiente e dei residenti dall’altro. È inoltre in via di realizzazione una struttura della protezione civile per l’atterraggio degli elicotteri.

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L’isola di Favignana


2. Attività e architettura dell’isola L’estrazione della pietra dolce Favignana, sin dai tempi della dominazione romana, è stata sede estrattiva del tufo bianco conchigliare, impropriamente detto tufo in quanto calcarenite e non roccia di origine vulcanica come è il vero tufo solitamente utilizzato nell’edilizia. La calcarenite è una pietra porosa, molto pregiata sia per la compattezza e grana fine, sia per il color bianco dovuto ad una particolare concentrazione di calcio. Il cosiddetto “tufo” per secoli, insieme con la pesca e l’agricoltura, è stato fonte primaria di guadagno dell’isola di Favignana; lo sfruttamento risale ad epoca antichissima, ma fu soprattutto nel periodo compreso fra il 1700 e il 1950 che raggiunse il massimo sviluppo. La lunga attività estrattiva, presente principalmente nella parte orientale dell’isola, ha dato origine a particolari fossati e caverne oggi trasformate in particolari e suggestivi orti, giardini e abitazioni. L’attuale forma e configurazione del territorio dell’isola di Favignana, infatti, è il risultato della multi decennale attività delle genti locali che lo hanno cavato, abitato, coltivato, in terra e in mare, riuscendo ad usarlo fino al punto da avere, in larga parte, modificato le originarie caratteristiche fisiche, geometriche e formali del territorio e da averne alterato la crosta e la costa. Tale attività, oltre ad aver modificato la morfologia del territorio, ha dato vita ad un’architettura unica al mondo nell’adattare archi e volte in condizioni sempre diverse e dalle configurazioni mai uguali tra di loro, l’architettura del così detto “scava e riempi”. Prima dell’introduzione della moderna tecnologia per l’estrazione meccanica, la produzione di “cantuna” (conci di calcarenite) a Favignana avveniva tramite due diversi metodi: quello della coltura a cielo aperto e quello in galleria, a camera.

L’isola di Favignana

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Il risultato dell’uso del metodo a cielo aperto è caratterizzato dalla creazione di fosse dove, sul nuovo piano di campagna generato dall’asportazione (cavamento) del materiale sovrastante, l’attività umana ha proseguito rigenerando un nuovo strato di humus sul quale impiantare, al riparo dai venti, orti e giardini alberati. Il risultato dell’uso del metodo in galleria presenta invece una suggestiva scenografia di gallerie e camere, direttamente scavate nella viva roccia, costituita da calcareniti arenare e fossilifere di colore grigio chiaro, biancastro, di buona qualità dal punto di vista della loro granulometria e durezza. In molti casi i due tipi di lavorazione sono presenti nello stesso sito, in quanto la scelta del metodo di estrazione è legata soprattutto alle particolari caratteristiche orografiche di ciascun luogo. In entrambi i casi l’estrazione veniva fatta manualmente, il lavoro di pirriature (così venivano chiamati i cavatori) era infatti faticoso ed essenzialmente artigianale: la dotazione del pirriature consisteva in pochi attrezzi (la prima macchina elettrica per tagliare il tufo fu introdotta nel 1949), esperienza e saggezza che si trasmettevano da padre in figlio. “Curioso è il perché i conci di tufo (di dimensioni prestabilite di 25 x 25 x 50 cm) venissero chiamati ‘cantuna’. Con le antiche tecniche d’estrazione, scolpiti con attrezzi a mano, appesi alle pareti di cava, i conci di tufo non risultavano tutti idonei all’utilizzo nell’edilizia; infatti, a volte potevano essere lesionati internamente. Pertanto, l’unico modo per controllarne la bontà, era dare un colpetto con un attrezzo di ferro e ascoltare il rumore che questo colpo emetteva. Se questo rumore era tonfo, privo di vibrazioni, il concio era da scartare, mentre se il suono era un tintinnio armonico, come a sembrare un canto, il concio era promosso ad essere un ‘cantuni’.”36 Con il passare del tempo le cave favignanesi iniziarono a risentire della crisi dovuta all’incapacità di adeguarsi alle mutate condizioni di mercato; una ad una le cave iniziarono ad essere chiuse ed oggi è rimasto attivo un unico sito con pochi dipendenti. Ci sono varie realtà ambientali fortemente e straordinariamente riconfigurate dalla attività umana di sfruttamento per 78

L’isola di Favignana


https://www.cavebianchehotel.it L’isola di Favignana

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sottrazione ma a Favignana, in particolare, l’attività estrattiva ha completamente rimodellato il territorio, dal mare all’entro terra, generando forme, ma soprattutto modalità costruttive, così formalmente coerenti con i luoghi di tale trasformazione e con le caratteristiche climatiche dell’isola. Costruire dalla roccia L’attività di estrazione del tufo ha avuto un ruolo fondamentale nella definizione delle tipologie edilizie; ogni qual volta è stato possibile, infatti, i corpi edilizi sono stati costruiti allo scopo di instaurare un rapporto inscindibile con le cave e con gli ingrottamenti generati, dalle attività estrattive preesistenti o coesistenti, nell’area di cava. Il centro storico di Favignana si è formato dentro e attorno alle cave abbandonate in quanto la forma urbana si è generata dal rapporto tra l’edificato, lo scavo e gli spazi liberi interni. Nei terreni trasformati da una pregressa attività di cava i volumi edilizi sono stati costruiti sul bordo della cava stessa e, lungo il confine con la viabilità e in prossimità dell’abitazione, è stato generalmente eretto un muro cieco di cinta recante la sola apertura necessaria per l’accesso. In questo modo ogni costruzione, ogni complesso edilizio, piccolo o grande che sia, pur costituendo un caso irripetibile, concorre a generare una atipica tipologia caratteristica dell’edilizia rurale dell’Isola. Le fabbriche sono quasi sempre costruite utilizzando i residui speroni di roccia e la residenza, dove possibile, è articolata in modo da includere anche gli ingrottamenti adiacenti e sottostanti. L’abitazione viene sviluppata in altezza andando spesso a superare l’originario piano di campagna e la scala esterna al volume edificato delle abitazioni rurali è elemento insostituibile e caratteristico; le scale di collegamento sono infatti sempre esterne e rispondono a criteri rigorosamente funzionali ma nello stesso tempo, si diversificano sempre in modo solo apparentemente casuale e irripetibile, quasi fossero esse stesse gli elementi naturali attorno a cui si organizzano gli spazi domestici e i volumi che li contendono. Si tratta di una edilizia a destinazione mista, residenziale e 80

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funzionale, che ha regole costruttive, distributive, dimensionali e formali fortemente legate alla necessità /capacità della gente locale di avere un rapporto naturalmente indifferente alle comodità interne della dimora, ma nel contempo assolutamente interessata ad evitare ogni possibile spreco dello spazio esterno disponibile, il cui valore era, e continua ad essere, vissuto come un valore materiale e formale prevalente anche rispetto alle moderne comodità funzionali dell’abitazione. Giardini ipogei di Villa Margherita Le cave dismesse a Favignana furono utilizzate dagli isolani in modo originale ed intelligente: vennero trasformate in orti e giardini. È sufficiente fare una passeggiata per notare ai bordi delle strade cave di tufo al cui interno crescono piante rigogliose. Grazie alla protezione del vento garantita dalle alte pareti e con il contributo del sole e del clima egadino, gli isolani sono riusciti a sfruttare un habitat adatto allo sviluppo vegetativo, dando vita ad una “serra naturale”, che permetteva di avere un clima caldo d’inverno e fresco d’estate. In questi luoghi, che hanno preso il nome di “giardini ipogei”, è possibile ammirare tanti ortaggi ma soprattutto splendidi alberi da frutto come il fico, il mandorlo, il pero, l’arancio e il fico d’india, dando luogo a dei paesaggi vivi e colorati. I Giardini Ipogei di Villa Margherita rappresentano quindi un ottimo esempio di dialogo tra l’identità locale e la creatività umana. La tonnara, tra economia e tradizione Il tonno è stato per secoli un protagonista dell’economia siciliana per la pesca e per le attività produttive collegate, ogni anno si pescavano decine di migliaia di esemplari ed erano più di 120 le tonnare attive. Una cultura millenaria che ha avuto il suo fulcro nelle isole Egadi, in particolare a Favignana. L’ex stabilimento Florio, che dagli abitanti dell’isola veniva chiamato Turino perché era per loro vitale quanto la Fiat per i torinesi, dava lavoro a centinaia di favignanesi ed era molto 82

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Rene Burri, Women cleaning the tuna, Isola di Favignana, 1956 © Rene Burri/Magnum Photos L’isola di Favignana

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all’avanguardia. Nella tonnara di Favignana la pesca avveniva attraverso la mattanza (dal latino mactare ossia uccidere), un antico e tradizionale metodo di pesca del tonno rosso sviluppato proprio nelle tonnare di Trapani. “Una volta pescati dai tonnaroti sotto la guida del rais (dall’arabo capo), con il secolare rituale della mattanza i tonni venivano portati all’interno della tonnara. Lì venivano appesi nel bosco (insieme di cime per agganciare e far scolare i tonni), tagliati, sventrati, eviscerati, privati delle uova che erano lavorate nella camparia, bolliti, messi in salamoia o immersi nell’olio di oliva e infine confezionati nelle tipiche scatolette rosso-gialle contrassegnate dall’immagine del leone dei Florio che si abbevera alla riva di un ruscello.” 37 Con l’aumento della pesca industriale, che intercetta i tonni allo stretto di Gibilterra, il rischio di estinzione per il pesce e le quote alla pesca fissate dall’Unione europea, dal 2007 la pesca del tonno a Favignana non è più praticata; oggi lo stabilimento è stato riaperto ed è visitabile grazie ad una recente ristrutturazione e alla creazione di un percorso museale che ogni anno attrae migliaia di turisti. Tonnara Ex stabilimento Florio Il primo nucleo dello stabilimento nacque grazie al genovese Giulio Drago che prese in affitto la tonnara di Favignana nel 1859, ma la grandiosa costruzione prese vita grazie all’iniziativa di Ignazio Florio, che incaricò nel 1878 l’architetto Damiani Almeyda di ristrutturare i fabbricati della Tonnara. Iniziò così la fortuna di Favignana: lo stabilimento vantava infatti già quattro anni dopo la sua inaugurazione la cattura di oltre diecimila tonni per la lavorazione dei quali furono impiegate fino a mille persone. “L’ex stabilimento Florio è un vero gioiello di archeologia industriale. Esso non era solo il luogo dove venivano custodite le attrezzature, le ancore e le barche della mattanza, in quella che diventò una delle più fiorenti industrie di lavorazione conserviere del tonno, ma rappresenta anche la storia della famiglia Florio e del suo intrecciarsi con la vita degli isolani, che trovarono riscatto sociale dalla povertà e fonte di sussistenza economica.”38 84

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Alessandro Tura, Tonnara di Favignana, Isola di Favignana, 2011 http://www.italiainfoto.com L’isola di Favignana

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Questo maestoso complesso, di circa 32.000 metri quadrati, grazie alla sua architettura con grandi archi e i soffitti altissimi, ricorda le grandi cattedrali ed è caratterizzato da una serie di ampi ambienti coperti e diversi spazi diversi per dimensioni e destinazioni d’uso. Tutti gli edifici sono realizzati in tufo di Favignana. L’ex Stabilimento è stato oggi ristrutturato dall’architetto Stefano Biondo e i lavori, avviati dai tecnici della Soprintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali di Trapani nel 2003, si sono conclusi nel 2010. La superficie sulla quale è stato fatto l’intervento è di 19.848 metri quadrati. Oggi lo stabilimento è un museo di se stesso che tenta di fare rivivere l’epopea di un passato glorioso attraverso immagini, suoni, filmati ed innovative istallazioni multimediali ed è anche luogo ove non si intende riprodurre soltanto la cultura di un tempo, ma di produrne una nuova basandoci sul fervente connubio tra Mediterraneo, mare e società moderna. Palazzo Florio Il Palazzo Florio è uno splendido edificio in stile neogotico, costruito nel 1878 su progetto di uno dei più famosi architetti dell’epoca, Damiani Almeyda (lo stesso che ha progettato la tonnara). Pur presentandosi esternamente come un edificio signorile ed aristocratico, all’interno lo stile serioso del neogotico è reso più leggero e allo stesso tempo elegante dagli arredi in stile liberty e da splendidi ferri battuti. Il palazzo era collegato da sotterranei ai Pretti dove erano collegate le cucine, le scuderie e le stanze della servitù. Non fu solo la residenza della famiglia Florio, ma anche luogo dove venivano ospitati personaggi illustri invitati a Favignana durante il periodo della mattanza.

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Le carceri ieri e oggi Il carcere sull’isola ha una storia antica, incentrata intorno al castello di San Giacomo e al Forte di Santa Caterina. La struttura penitenziara è quindi una componente storica dell’isola: a Favignana c’erano carcerati con i Borboni, con i Savoia, con Mussolini e ci sono ancora oggi. È infatti dal dominio borbonico, quando è venuta meno la necessità della difesa, che i vecchi castelli difensivi di epoca normanna, furono trasformati in prigioni per gli avversari politici e iniziò così per l’isola il triste destino di carcere. “A partire dal 1794 l’isola di Favignana divenne famosa per la ‘fossa’ di Santa Caterina. Il Bagno del Forte di Santa Caterina ospitò molti patrioti dei vari moti insurrezionali in condizioni di prigionia a dir poco inumane.”39 Tra i primi bagnanti vi furono i patrioti siciliani del 1812 e del 1820 che si opposero a Ferdinando III di Sicilia e, dopo i moti del 1848, le carceri di Santa Caterina si riempirono nuovamente di patrioti, tra i quali, dopo la spedizione di Sapri di Carlo Pisacane (1857), il più noto fu il barone Giovanni Nicotera, il quale venne poi liberato dai Garibaldini dopo lo sbarco dei Mille. Con l’arrivo di Garibaldi a Marsala, nel 1860, la folla che liberò gli ultimi infelici rinchiusi nel Forte di Santa Caterina devastò nella sua furia l’interno delle celle e ogni cosa che potesse ricordare tanta ingiustizia. Centinaia di prigionieri furono portati e rinchiusi nel castello di San Giacomo quando l’Italia invase la Libia nel 1911. Con la stagione del terrorismo armato, negli anni Settanta si decise di trasformare la roccaforte in carcere di massima sicurezza costruendogli intorno una nuova struttura. Quest’ultimo ha infatti ospitato criminali di alto spessore come Renato Vallanzasca; nel 1975 i brigatisti reclusi organizzarono una rivolta asserragliandosi con degli ostaggi e fu chiamato il giovane giudice Giovanni Falcone ad affrontare e risolvere il problema. La nuova struttura carceraria nata attorno al castello si ergeva nel mezzo del pittoresco paesino turistico ed era composta dalla casa di reclusione e dal campo di lavoro. L’isola di Favignana

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Nel 2011 si è deciso di smantellare il carcere vecchio e quello nuovo è stato trasferito a poche centinaia di metri di distanza. La casa di reclusione Giuseppe Barraco è un edificio degli anni trenta, inizialmente fu utilizzato come alloggio dei confinati, in seguito venne adibito a colonia estiva e, alla fine degli anni cinquanta, a reparto lavorazioni. Il nuovo carcere ha una capienza di 108 posti, dislocati su due piani; in funzione oggi c’è solo il secondo piano, con 46 reclusi. Favignana da secoli convive quindi con i reclusi che talvolta gli abitanti incontrano perché alcuni partecipano ai progetti di attività lavorative e sociali fuori dal carcere; i turisti che passeggiano per le stradine del paesino fotografano le mura color ocra o bianche della vecchia e della nuova casa di reclusione. Forte di Santa Caterina L’edificio fortificato sorge sulla sommità del Monte Santa Caterina, in una posizione dominante, dalla quale si mantiene sotto costante osservazione un ampio specchio di mare. Il castello, che nel suo aspetto attuale si articola in una pianta rettangolare con tre corpi di fabbrica sporgenti, si pensa che sorga nel luogo dove preesisteva una torre di avvistamento saracena che successivamente fu ampliata dai normanni e trasformata in fortezza difensiva. Durante gli anni del dominio borbonico il forte venne utilizzato come carcere, e questa, fatta eccezione per un abbastanza recente utilizzo come radiofaro dalla marina militare, fu la sua ultima funzione. Oggi il castello presenta in maniera molto evidente i segni del tempo e dell’abbandono in cui si trova ormai da parecchi anni, ma la vista che si può ammirare dalla parte superiore è meravigliosa. Il forte è raggiungibile tramite una strada che attraversa gran parte del monte di Santa Caterina, percorribile nell’ultimo tratto solo a piedi attraverso un ripido sentiero a gradoni.

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https://www.youngarchitectscompetitions.com/competition/art-prison L’isola di Favignana

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Castello di San Giacomo Il castello di San Giacomo, coevo a quello di Santa Caterina, venne edificato ex novo per volontà di Ruggero I d’Altavilla. Secondo alcuni studiosi la costruzione del castello risale intorno al 1074-1101. L’edificio, munito anche di una chiesetta dedicata, venne riedificato sulla base del nucleo normanno nel 1498 dal signore di Favignana Andrea Rizzo, durante il dominio aragonese. Secondo le fonti storiografiche locali “Il fabbricato principale è di forma quadrata e rappresenta il maschio, addossati ad esso stanno gli altri fabbricati minori dei quali due triangolari, situati ai lati opposti, formano le punte più lunghe della stella.”40 La parte inferiore del castello, incavata nella roccia sotto il suolo stradale, è separata dai terreni adiacenti da un fossato che gli gira attorno seguendo il perimetro. La porzione interrata serviva per il deposito di munizioni, l’alloggio degli ufficiali e delle truppe, che erano così protetti da qualsiasi attacco dal mare, mentre quella elevata e visibile del maschio, era munita da feritoie e spiragli; due ponti levatoi univano il castello all’isola. Sotto il governo dei Borboni il castello di San Giacomo, come quello di Santa Caterina, venne adattato a bagno penale e visto che il forte non sarebbe stato capace di contenere un elevato numero di servi di pena, si sentì la necessità di scavare nella roccia dalla parte opposta al castello a livello del pavimento del fossato quanti ambienti fosse possibile ricavarne. Sul limite estremo di tali nuovi dormitori, venne eretto un muro perimetrale di cinta che permetteva di vigilare l’esterno. I dormitori incavati nella roccia ricevevano aria e luce solamente dai fossati ed erano quindi tetri e molto umidi in quanto realizzati in tufo. Il castello è stato utilizzato come carcere fino al 2011, quando è stato trasferito in un altro edificio a poche centinaia di metri di distanza. L’edificio tuttavia risulta ancora circondato da un alto muro di cinta e da un alto fossato perimetrale. Proprio per essere stato inglobato per anni all’interno di una struttura carceraria, il fortilizio, a differenza di quello di Santa Caterina, si presenta ben conservato ed ora che non è più in funzione è in programma la liberazione di quest’ultimo dalle mura che lo racchiudono. 90

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3. Turismo e attività artistico-culturali Volendo riassumere l’economia di Favignana si può dire che nei secoli si è basata sulla pesca, sul carcere, sull’estrazione e sulla lavorazione del tufo e solo negli ultimi decenni sul turismo. L’economia delle tre isole di Favignana, Levanzo e Marettimo, è infatti ormai sostanzialmente legata al successo dell’offerta turistica che esse sono in grado di esprimere e di collocare sul mercato locale, regionale, nazionale ed internazionale. Commercio, servizi e lavoro autonomo sono infatti ormai definitivamente dipendenti dagli investimenti, di breve, medio e lungo termine, nel settore del turismo. L’attività turistica è un fenomeno ovviamente stagionale; l’85% delle presenze si registrano tra luglio e settembre, il 50% nel solo mese di agosto con la conseguenza della forte pressione sulle infrastrutture (progettate di norma per un numero di utenti molto inferiori). Ad oggi l’offerta turistica è quindi sostanzialmente costituita da servizi legati ai flussi spontanei di presenze turistiche che si dividono in stagionali, o di pochi giorni, se non addirittura giornaliere. Negli ultimi anni si sta cercando di adottare scelte e decisioni che siano in contrasto con il modello di turismo mordi e fuggi, fortemente stagionale e di forte impatto ambientale, e che, al contrario, siano orientate alla realizzazione di strutture e servizi legate alla qualità ambientale e della vita. Un modello che sia in grado di generare un’offerta turistica più articolata e complessa, che preveda il potenziamento delle strutture urbane esistenti ed il loro incremento con attrezzature, pubbliche e private, di adeguata complessità funzionale e dotate di specifica qualità intrinseca. Negli ultimi anni l’isola di Favignana, sta cercando di estendere l’attrazione turistica non solo a livello balneare, ma anche artistico e culturale. Un primo passo è stato fatto con l’apertura nel 2010 del museo della Tonnara che racchiude la storia dell’isola, della Tonnara

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stessa e una piccola parte archeologica. Il Comune di Favignana fa inoltre parte del progetto I ART41, un movimento artistico e culturale che coinvolge artisti di tutte le discipline e che si fonda sulla reinterpretazione dell’universo identitario e delle tradizioni orali della Sicilia attraverso l’arte contemporanea. L’associazione no-profit che più sta promuovendo l’attività artistica dell’isola è INCURVA, fondata nel 2016 da Giulio D’Alì Aula che vuole rendere la Sicilia un terreno fertile per la ricerca nell’arte contemporanea, riattivando lo spazio pubblico e stimolando un dialogo con le comunità locali tramite un programma di residenze, dibatti ed esposizioni. Curva Blu in particolare è il programma di artist-in-residence42 che si svolge dal 2016 sull’isola di Favignana, uno scenario ottimo per l’esplorazione, la scoperta, il processo di produzione artistica. Il progetto mira a offrire un posto per tutti gli artisti che cercano una condizione totalmente unica, dove le peculiarità geografiche, storiche e sociali possono diventare una grande fonte di ispirazione, una base per la sperimentazione e fonte di nuovi dialoghi e scambi. A oggi siamo alla terza edizione di Curva Blu dato il riscontro positivo delle precedenti. I partecipanti hanno la possibilità di soggiornare un mese sull’isola e di utilizzare il tempo offerto per ricercare e approfondire temi e processi già presenti nel loro lavoro che saranno quindi influenzati dalla vicinanza con altri artisti e dalle caratteristiche specifiche del territorio. Il programma incoraggia una produzione artistica incentrata sulla collaborazione attraverso nuove prospettive e visioni critiche. A fine del soggiorno gli artisti potranno esporre e presentare i lavori prodotti sull’isola tramite due giorni di apertura degli atelier agli interessati, alla popolazione e ai turisti. Il 6 giugno 2018 abbiamo avuto la possibilità di incontrare il fondatore di INCURVA, Giulio D’Alì Aula, che ci ha presentato la realtà in cui opera l’associazione, con i suoi punti di forza e le sue problematiche. 92

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Oltre a sottolineare come Favignana sia un luogo ideale dove svolgere un programma di residenza per artisti in quanto come “l’isola richiama un immaginario remoto, lontano – una sorta di ambiente o spazio negativo, sottratto, in cui si può lavorare in una dimensione libera”43 il fondatore ha evidenziato come le iniziative di INCURVA siano principalmente di carattere generativo e di ricerca e meno di carattere puramente espositivo. Quello che il programma necessita è infatti uno spazio di alloggio e produzione per gli artisti (che ora durante il soggiorno sono ospiti in case private) più che di locali espositivi in quanto i programmi artist in residence si fondano sul principio della produzione piuttosto che sull’esposizione. Questo anche perché l’opera prodotta rimane di proprietà dell’artista “la cui unica richiesta è di comunicare, non importa come”.44 Inoltre l’obiettivo dell’associazione è quello di estendere il programma durante tutto l’anno e non concentrarlo solo in un mese come avviene ora, in quanto “un mese è poco, tendenzialmente l’artista durante l’open studio presenta un semilavorato”.45 Questo sarebbe di grande aiuto anche per il sostentamento dell’attività invernale dell’isola poichè “l’inverno a Favignana è il mese della difficoltà: tutti vanno a lavorare e Trapani e la città e le spiagge si svuotano”46 in modo da coinvolgere sempre di più la comunità locale avvicinandola alle attività dell’associazione. Sempre durante l’intervista Giulio D’Alì Aula si è mostrato favorevole riguardo ad un possibile intervento di recupero del forte per il valore che ha per la città, considerato da tutti “il cuore dell’isola”.47

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Note

31. Il pittore siciliano Salvatore Fiume (Cosimo, 23 ottobre 1915 - Milano, 3 giugno 1997) in un manifesto degli anni Settanta, ha disegnato l’isola come una giovane donna con ali da farfalla, adagiatata in posa sensuale sul mare incontaminato delle Egadi (http://www.fiume.org/opere/). 32. Mozia (o Mothia, Motya) fu un’antica città fenicia, sita sull’isola di San Pantaleo, nello Stagnone di Marsala. L’isola si trova di fronte alla costa occidentale della Sicilia, tra l’Isola Grande e la terraferma, ed appartiene alla Fondazione Whitaker (http://www.trapani-sicilia.it/ mozia.htm). 33. F. Maurici, Le Egadi della tarda antichità agli inizi dell’età moderna, La Fardelliana, Trapani 1999, p. 90. 34. La Riserva Naturale Marina di Favignana - Levanzo - Marettimo Maraeone (istituita dalla Comunità Europea nel 1991 e successivamente data in gestione al Comune di Favignana) coni suoi 53.992 ha di mare è l’area marina protetta più estesa d’Europa. L’area è stata suddivisa in quattro zone alle quali corrispondono diverse tipologie di accesso e fruibilità: le acque dell’isola di Favignana in particolare sono state inserite nella zona B (riserva di tutela generale) e nella zona C (riserva di tutela parziale) circa la possibilità o il divieto di balneazione, navigazione, immersioni, pesca e ancoraggio. (Piano Regolatore di Favignana (TP), Relazione). 35. Il Piano di Mobilità Sostenibile (PMS) delle Isole Egadi (redatto nell’ambito dell’Accordo di Programma Quadro APQ – Sviluppo Locale-POR Sicilia 2000/2006) ha come obiettivo il “miglioramento della qualità ambientale delle Isole Minori Siciliane attraverso interventi tesi a migliorare la mobilità di persone e merci e per ridurre gli impatti ambientali negativi e i costi sociali dovuti al carico di presenze turistiche”. (Piano della Mobilità Sostenibile (PMS) Interna delle Isola minori siciliane occidentali, Isola di Favignana). 36. E. Campo, “Favignana: l’isola dalla pietra dolce”, Tourist Guide Eventi Trapani, Trapani 7 agosto 2013. 37. R. Lentini, “La genesi del più importante e moderno stabilimento industriale del Mediterraneo per la lavorazione del tonno”, in Ex stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica, Sopraintendenza per i Beni Culturali ed Ambiente di Trapani, Trapani 2010, brochure.

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38. A. Grimaldi, “I superstiti della spedizione di Sarpi rinchiusi nel Forte di santa Caterina”, Rivista di Diritto e Storia Costituzionale, n.2, 2016, p.1. 39. Ibid. 40. F. Maurici, Castelli Medioevali, Edilguida s.r.l., Palermo 2007, p. 34. 41. I ART è un progetto capofilato dal Comune di Catania, ideato e diretto da I WORD, sostenuto dall’UNESCO. (http://www.i-art.it/it/). 42. Il programma artist-in-residence è un programma che invita artisti, accademici e ricercatori a risiedere in particolari luoghi di lavoro sul territorio per determinati periodi con il permesso di istituzioni consentendo loro di svolgere l’attività artistica in diverse realtà. (https://www.artribune.com/attualita/2013/01/litalia-delleresidenze-dartista-vol-i/). 43. M. D’Aurizio, “Incurva e Curva Blu a Favignana”, Flash Art, 21 dicembre 2016. 44. Giulio D’Alì Aula, intervista del 6 giugno 2018. 45. Ibid. 46. Ibid. 47. Ibid.

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IV. Il Forte di Santa Caterina



1. La storia e la trasformazione nel tempo Sul picco più elevato della montagna che divide in due l’isola di Favignana sorge il Forte di Santa Caterina, un castello di origini piuttosto antiche e soggetto a diversi interventi architettonici svolti nel corso dei secoli, che oggi si presenta in un grave stato di abbandono. Le tre torri Saracene Secondo la storiografia locale, i Saraceni avrebbero edificato nell’810 tre torri a Favignana durante la loro egemonia sull’isola; da esse potrebbe avere avuto origine lo stemma del Comune di Favignana raffigurante tre torri sulle quali poggia un uccello rapace. Le tre torri rappresentano la difesa dagli attacchi dei nemici che vengono simboleggiati dall’uccello rapace. I Normanni e l’Editto Regio Sotto la dominazione Normanna nell’XI secolo, tramite un Editto Regio di Ruggero I d’Altavilla, due di queste torri sarebbero successivamente state ampliate e trasformate nei castelli di Santa Caterina e San Leonardo; quest’ultimo, oggi non più esistente, sorgeva fino al 1877 nel luogo dove oggi è collocato Palazzo Florio. La terza torre, chiamata Torretta, non subì variazioni ma è andata distrutta nel corso dei secoli; oggi ne rimangono solo pochi resti nella parte della costa orientale dell’isola. Ruggero I d’Altavilla si occupò inoltre della costruzione del Forte di San Giacomo datato 1074-1101, nucleo più antico dell’attuale penitenziario; l’avvenimento venne testimoniato da una epigrafe oggi scomparsa.48 Con la celebre relazione di viaggio di Ibn Giubayr49, viaggiatore e poeta arabo-andaluso, dell’inverno 1184-1185 si ha la più antica notizia circa l’esistenza di un castello nelle isole Egadi in

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cui si testimonia la presenza di un monaco o eremita che viveva in “una specie di castello su la sommità dell’isola”,50 riconducibile quindi per posizione e descrizione al futuro Forte di Santa Caterina, all’epoca ancora senza funzioni militari. Per questo motivo Favignana veniva chiamata “isola del romito” (in arabo, giazirah ar-rahib) o “il romito” (al-rahib). Il castrum dell’età Angioina Sono dell’età angioina i primi documenti studiati dallo storico tedesco Eduard Sthamerche che testimoniano l’uso militare del Forte di Santa Caterina, ricordato come castrum demaniale; il castello si trovava sotto il controllo della famiglia Abbate, la più potente di Trapani. Si ipotizza che il castrum, citato dal guascone Nonpar de Caumont nel 1420, presentasse differente aspetto e dimensioni; probabilmente si trattava di un forte piuttosto modesto privo di caratteristiche costruttive di particolare rilevanza. A partire dal XIII secolo, il castrum insulae Favugnane diventò una vera e propria sentinella che controllava Trapani e costituiva la prima linea di frontiera occidentale della Sicilia; la sua posizione difficilmente accessibile lo rendeva quasi inattaccabile, e rendeva ancora più efficiente il suo ruolo di posto di segnalazione e d’osservazione su un vastissimo tratto di mare e su tutto l’arcipelago, offrendo un comodo “luogo d’agguarto a’ nemici”.51 Nel XV secolo, il castello continuò a svolgere la sua attività di controllo, proteggendo tonnaroti, cavatori di pietra, cacciatori e legnaioli che frequentavano l’isola dall’attacco di pirati e corsari, provenienti da ogni parte d’Europa. Tuttavia, la sua decadenza iniziò sotto l’invasione turca durante la quale la sottile linea difensiva dell’isola non poté reggere. Infatti, nella metà del secolo, l’antico castrum si presentava in uno stato d’abbandono e lo stesso arcipelago delle Egadi stava affrontando una fase di decadenza.

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La ricostruzione Aragonese Il castello di Santa Caterina o castello del monte e di San Giacomo o castello da basso – così definiti da Tiburzio Spannocchi,52 architetto e ingegnere dedito soprattutto all’ingegneria militare – vennero completamente ricostruiti verso il 1498 sotto la dominazione Aragonese dal signore di Favignana Andrea Riccio. Nel caso del castello del monte venne inglobato il preesistente castrum medioevale, di dimensioni poco più grandi di una torre. Nel corso dei secoli successivi (fino al XVIII secolo) il forte continuò così ad esercitare il suo ruolo di sorveglianza e vedetta dell’isola, scambiando segnali con il castello di Marettimo, con Trapani e le diverse imbarcazioni che navigavano nei pressi dell’isola, non venendo quindi ancora utilizzato come luogo di pena. Il restauro seicentesco Intorno alla seconda metà del 1600 il forte di Santa Caterina necessitava un intervento di restauro; secondo Tiburzio Spannocchi il forte aveva “gran necessità d’essere accomodato et tanto più che esso è di fabbrica bona viene in loco che scopre la maggior parte dell’isola”.53 Inoltre, riportando le parole dello Spannocchi: “Sarebbe di bisogno farvi tre damusi, si per havere stantie coperte per li soldati come per havere piazza sopra di essi per l’artiglieria che al presente vi’ sono dui pezzi che stanno sopra tavolati malissimo accomodati, né si possono muover punto di come stanno onde facendosi detti damusi vi sarebbe piaza dove maneghiarli. Di più sarebbe bisogno accomodare una cistèrna votandola et inviandovi l’acqua dal castello, tutte spese che si faranno con cento once”.54 Parafrasando queste parole, era quindi consigliabile edificare tre “dammusi”, ovvero delle stanze coperte a volta, per offrire più confortevole spazio dedicato alla guarnigione dei feriti e poter collocare in una piazza dotata di maggiore sicurezza le artiglierie che al momento agivano su tavolati insicuri; ultima necessità era quella di dotare il forte di una cisterna per contenere l’acqua. In questo periodo il forte di San Giacomo e quello di San Leonardo vengono descritti in condizioni più precarie e poco soddisfacenti. Il Forte di Santa Caterina

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Erasmo Magno da Velletri, cronista al seguito di una flotta militare che pattugliava il Mediterraneo per difenderne le coste dalle continue incursioni barbaresche, tra la fine del secolo XVI e i primi anni del secolo XVII, descrive Santa Caterina come un forte composto da tre volumi: una torre a Mezzogiorno, con una finestra che guarda la Piana e la costa siciliana fra Capo San Vito a Trapani e Capo Lilibeo a Marsala; era presente un muro merlato, accostato alla prima torre e al centro e infine una seconda torre, sormontata da un’alta e ampia guardiola con il tetto a punta, dietro il muro merlato e verso nord-ovest. In questo periodo di giorno si lavorava duramente e di notte il forte diventava una vera e propria sentinella; sempre dallo Spannocchi nasce la richiesta di completare la fortificazione dell’isola mediante la realizzazione di tre nuove torri di dimensioni minori: “una alla cala detta lo Carcelliere a fronte alo borrane con il quale si risponderebbe, una sopra lo Salvatore di verso Marsala che guarderebbe lo Salvatore, lo Magazolo, et l’isola delo Preveti... Un’altra torre sarà bisogno farsi per la parte di verso Levanzo sopra lo faraglione lontano da Santo Lonardo 3 miglia et dalo Pozo dell’Aiega due et responderebbe con la torre da farsi all’isola di Levanzo; tutte tre queste torri sono di molto bisogno et basterà farle della minor grandezza per esser tutte sopra rocche alte. In questo luoco vale mercato il fabbricare et il migliore interesse sarebbe tener guardie alli mastri, perché non fussero molestati dalli corsali”.55 La prima torre doveva essere costruita nella parte sud orientale dell’isola nella Cala del Cancelliere, la seconda nella parte sud occidentale di fronte allo scoglio del Prevete e infine, la terza, sulla punta più settentrionale rivolta verso Levanzo. Secondo le immagini riportate nell’Atlante di città e fortezze del regno di Sicilia di Negro e Ventimiglia del 1640, il restauro del castello è stato portato a termine; la pianta era, ed è, allungata, assimilabile ad un rettangolo ma con corpi sporgenti e due puntoni, uno a losanga irregolare, l’altro a trapezio rettangolo, sul lato breve meridionale. Fra i due baluardi si evidenzia una rientranza rettangolare, mentre a sud era presente un bastone dotato di rinforzi agli angoli. Era possibile accedere al castello 102

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tramite un piccolo ponte levatoio munito di fossato e nelle pareti vi erano piccole aperture. Il lato settentrionale del forte era stato rafforzato ed allargato con l’aggiunta di una forte bastionatura aggettante in un’epoca più tarda, coincidente con la fortificazione richiesta dal viceré Rodrigo Mendoza, durante la sua visita al castello nel 1655. Nell’Atlante di Gabriele Merelli datato 1677, la forma del castello di Santa Catarina, appare molto simile a quella odierna. Nel 1686 la rientranza era stata eliminata e i due baluardi formavano un angolo fortemente ottuso; il corpo centrale sopraelevato rispetto alla terrazza è ancora oggi esistente. Le garitte angolari rappresentate nell’immagine del 1686 sono state sostituite da quelle ancora attualmente esistenti, impiantate su belle piramidi rovesciate in controscarpa. Anche nel caso di S. Caterina, come già per S. Giacomo, il monumento ha sostanzialmente conservato l’aspetto documentato dall’immagine del 1686, pur con trasformazioni notevoli, come l’apertura di molte finestre. Data la privilegiata posizione sull’isola, si ritiene che tra il XVI-XVIII secolo il forte di Santa Caterina fosse soprattutto utilizzato come punto di osservazione verso il mare e come trasmettitore di segnali d’allarme. Il “Bagno di Santa Caterina” durante il regno Borbonico Durante gli anni del regno Borbonico (1734-1848), il forte di Santa Caterina venne trasformato in una prigione e la stessa isola divenne tristemente famosa per la presenza della “fossa” di Santa Caterina. In questo periodo non mancarono azioni contro la dinastia dei regnanti, che venivano considerati dei veri e propri tiranni; in risposta i Borboni attuarono una politica di repressione estrema contro i cospiratori. Tra i primi detenuti del “Bagno di Santa Caterina”, infatti, figurano i patrioti che nel 1820 si ribellarono all’assolutismo di Ferdinando II, che aveva tolto alla Sicilia la sua tradizionale autonomia dopo il Congresso di Vienna del 1815. Con i moti del 1848 che colpirono l’Italia e l’Europa intera, il carcere si riempì nuovamente di patrioti, tra i più famosi ricordiamo Carlo Pisacane e il barone Giovanni Il Forte di Santa Caterina

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Nicotera. In questo luogo circa 32000 persone patirono il carcere e molte di queste furono condannate alla detenzione nel forte, dove era solito dire “chi entra con la parola, esce muto”.56 Nel 1877 Salvatore Struppa visita Santa Caterina, descrivendo la sua divisione: “Il castello è diviso in due piani; l’inferiore è composto da un labirinto di segrete, di mude, di forni, di pertugi, di stamberghe, di buchi, di tombe; senza uno spiraglio di luce, umide, nere, senz’ordine, alcune salienti o pensili, altre scavate nel calcare della montagna, e dove giacevano un tempo ammucchiati centinaia di detenuti politici, gettati là dalla sbirraglia del Borbone. Le mura interne mettono a nudo le loro forme massicce, gli usci delle segrete si sgretolano e si contorcono sotto l’azione dissolvente dell’umido che gocciola continuamente, tal che ti sembrano cento boccacce nere, spalancate e bavose che fanno la smorfia delle maschere antiche. Adesso non più quel brontolio di condannati, quello strepitaccio di catene, di chiavistelli, di catenacci, di calci di fucile, di sciabole strascinanti; non più quel grido prolungato e desolante delle sentinelle, quei comandi brevi e a denti serrati dei tenenti di presidio, quelle figure melense di soldati napoletani, non più quelle voci fioche e cupe di canzonacce, di giuochi, di bestemmie, di gemiti, di preghiere, di baruffe, di supplizio, di morte. A destra, in principio di un andito oscuro v’ha una scala che conduce ad una fossa orrenda, capace di dieci persone appena e dove ve n’erano cumulate cinquanta, scavata nella roccia, a volta bassa e con un filo di luce che viene a morire in quell’antro tenebroso. Quasi di rimpetto all’ingresso dell’andito oscuro, ve n’è un altro che similmente conduce, senza alcuna discesa, ad un’altra sepoltura, priva affatto di luce, e dove furono intombati non pochi messinesi, arrestati una sera in teatro e trasportati con il piroscafo, immediatamente, al forte di Santa Caterina. A sinistra, all’angolo di prospetto che si presenta appena si esce nell’atrio, v’ha una segreta nera come la morte, umida e fetida (la fossa ove era stato detenuto il Nicotera n.d.r.) […] questa poderosa reliquia della miseranda spedizione di Pisacane, giacque per molto tempo in quella buca tremenda (seguono le descrizioni delle iscrizioni a carbone fatte dal Nicotera - vedi sopra n.d.r.). All’angolo destro, sullo stipite interno della stessa segreta, sotto l’influenza della luce di un fiammifero, lessi un’altra iscrizione carbonica, che dice: Per qui si va nella città dolente.”57 Nel 1860 i soldati borbonici lasciarono Favignana e il forte venne assalito in parte demolito e devastato dai rivoltosi che 104

Il Forte di Santa Caterina


smontarono le inferriate, e devastarono anche la cappella di Santa Caterina, portando infine alla sua chiusura. Le ultime trasformazioni del forte: dal 1860 all’abbandono Il castello dal 1861 venne affidato alla Marina Militare, con destinazione d’uso di stazione semaforica e sul finire degli anni ’50 fu affidato ad un custode assunto dalla stessa Marina Militare. Nel particolare di una foto scattata l’anno 1893 da Samuel Butler, l’antica forma del Castello di Santa Caterina si presentava non ancora alterata dalle modifiche che precedettero la II guerra mondiale. Unica novità rispetto all’epoca borbonica è la torretta bianca al centro che dal 1861 ospitava la stazione semaforica. Nel 1924 sorse una palazzina per il comodo degli ufficiali accanto al forte. La stazione semaforica chiuse nel 1969 e il castello venne infine abbandonato, passando sotto la proprietà demaniale. Santa Caterina oggi Dopo circa 50 anni di completo abbandono, il forte di Santa Caterina mostra in maniera evidente i segni del tempo. Il primo ottobre 2015 venne firmato il verbale in cui è stata ratificata la consegna del bene demaniale all’Amministrazione del Comune di Favignana; “dopo un iter lungo alcuni anni, l’Amministrazione ha ottenuto la disponibilità del bene. Adesso occorre decidere come meglio conservarlo, ristrutturarlo e riconsegnarlo alla comunità”58 afferma il sindaco Giuseppe Pagoto. Il passo successivo prevedeva la messa in sicurezza e l’adeguamento dei percorsi del castello per la sua apertura al pubblico. Dopo le ripetute richieste dell’Amministrazione Comunale nel 2018 è stato dato il via al progetto di riqualificazione del Forte che sfocia nel concorso di idee Art Prison lanciato da Young Architects Competitions.

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810 Saraceni XI sec. Normanni 1185 XIII-XV sec. Angioini 1496 Aragonesi 1600ca inizio ‘800 Borboni

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torre difensiva Castello di Santa Caterina fortezza abitata da un eremita sentinella di controllo vedetta dell’isola restauro e ampliamento istituzione del carcere

1860

chiusura del carcere

1861

stazione semaforica marina militare

1924

costruzione palazzina degli ufficiali

1969

proprietà dell’Agenzia del Demanio

2015

proprietà del Comune di Favignana

2018

concorso di idee Art Prison di YAC

Il Forte di Santa Caterina


Caratteristiche architettoniche Il castello di Santa Caterina presenta una forma rettangolare con sporgenze simmetriche ai quattro angoli ed è realizzato con blocchi di pietra calcarea locale. Un fossato correva lungo l’intera facciata e l’ingresso era possibile attraverso un piccolo ponte levatoio. La luce all’interno del castello penetrava attraverso un gran numero di finestre ogivali, feritoie, spiragli e buche. Il piano terra era infossato nella roccia e fu il luogo dove vennero imprigionati i detenuti politici durante la dominazione borbonica. Nel primo piano si trovavano i locali voltati di alloggio per la guarnigione e nella sua estremità, il forte era sovrastato dalla terrazza di avvistamento. Sull’estremità dello stipite destro della porta d’ingresso del castello era collocato uno stemma che certamente si riferiva alla casata aragonese; sotto lo stemma vi era un’iscrizione in spagnolo, che certificava la re-fortificazione seicentesca. Nel piano superiore del castello vi erano una serie di stanze a volta bassa che dovevano appartenere agli ufficiali e ai soldati. Vi era anche una cappella intitolata a Santa Caterina dove il prete officiava la messa per i detenuti, distrutta dai moti dei rivoltosi nel 1860, da cui probabilmente deriva il nome del forte. Attualmente gli ambienti delle segrete sono stati occlusi e conseguentemente anche i messaggi dei detenuti non sono più visibili. Il castello è raggiungibile grazie alla strada che percorre gran parte dell’omonimo monte; la strada percorribile dai mezzi arriva circa a metà del percorso, l’ultima parte è costituita da un sentiero a gradoni.

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Note

48. M. Zinnati, Cenni storici delle isole Egadi, Monte San Giuliano 1912, pp. 17-19. 49. Il suo Itinerario (Riḥla), sul pellegrinaggio da lui compiuto alla Mecca (1183-85), è divenuto modello letterario del genere e contiene interessanti notizie sulla Sicilia arabo-normanna. (http://www. treccani.it/enciclopedia/ibn-giubair/). 50. M. Cosenza, “Il restauro monumentale della Isole Egadi. Studio, analisi e progetti”, Atti del Convegno 12-13 ottobre 2007, Tipololitografia fashion Graphic S.N.C., Palermo 2008, p. 26. 51. I. Giubayr, in M. Amari, Biblioteca arabo-sicula, p. 167. 52. Tiburzio Spannocchi (Siena 1541 - Madrid 1606) fu un famoso ingegnere militare (http://www.treccani.it/enciclopedia/tiburziospannocchi/). 53. T. Spannocchi, Marine del Regno di Sicilia, a cura di Rosario Trovato, Catania 1994, p. 118. 54. M. Cosenza, Il restauro monumentale della Isole Egadi. Studio, analisi e progetti, Atti del Convegno 12-13 ottobre 2007, Tipololitografia fashion Graphic S.N.C., Palermo 2008, p. 37. 55. F. Negro, C. M. Ventimiglia, Atlante di città e fortezze del Regno di Sicilia, Sicania, Messina 1992, p. 51. 56. G. Romano, Da Santa Caterina alla Colombaia: breve storia delle carceri della provincia di Trapani, Trapani 2009, p. 39 (www.colombaiatrapani. altervista.org). 57. Ivi. p. 42. 58. Redazione, “Art Prison. Un concorso internazionale di idee per l’isola di Favignana”, Platform architecture and design, 18 gennaio 2018 (http:// www.platform-ad.com/it/art-prison-un-concorso-internazionale-diidee-per-lisola-di-favignana/).

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Il Forte di Santa Caterina


V. Proposta progettuale



1. Programma e strategie di intervento Preservare, riattivare, relazionare Il progetto prevede il completo mantenimento e conservazione del forte sul quale si è deciso di agire solo con minimi interventi, mantenendo come obiettivo il recupero totale dell’edificio senza intaccarlo; tuttavia, per renderlo fruibile, sicuro e funzionale è stato necessario prevedere alcune azioni più invasive. “Lo stretto legame tra monumento ed uso, infatti conduce a considerare il restauro come un intervento che non deve, come troppo spesso avviene, sottrarre al godimento le opere, ma che ha lo scopo di salvarle consentendo che sussistano il più a lungo possibile, come parte esteticamente e storicamente vive della nostra società.”59 Il forte è stato mantenuto quasi completamente nella sua integrità; sono state previste minime demolizioni per migliorarne la circolazione e consentire la sua accessibilità, nuove pavimentazioni e intonacature solo ove necessario, messa in sicurezza di alcune zone e impianti di climatizzazione e fognature. Infine, il nuovo intervento si relaziona con l’esistente, partendo dalle sue stesse linee guida, rispetta la tradizione costruttiva dell’isola e si inserisce in maniera coerente, continua e poco invasiva nel paesaggio; in particolare, sono state fatte scelte progettuali che permettano la lettura dell’antico e lo sviluppo della nuova architettura basandosi sul tema dell’addizione. Quest’ultimo è uno dei più grandi aspetti su cui si fonda il rapporto antico-nuovo, è un nodo fondamentale nel processo di trasformazione dell’esistente e si trova in diretta connessione con le tematiche di collegamenti verticali, percorsi (conseguenza di adeguamenti alle normative sulle barriere architettoniche), adeguamenti impiantistici (conseguenza dell’adeguamento a nuove normative e nuove funzioni diverse dall’antico), locali di servizio (conseguenti adeguamenti funzionali).

Proposta progettuale

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Programma funzionale Per quanto riguarda la destinazione d’uso della struttura e la scelta delle funzioni, nella proposta progettuale sono state rispettate le linee guida del concorso, ossia l’idea di trasformare il forte in un centro di arte contemporanea con annessi spazi per artist-in-residence, strutture ricettive, ristorazione e servizi per il pubblico. Rispetto a quanto richiesto dal bando gli spazi sono stati ridimensionati, considerando la realtà dell’isola e il manufatto architettonico, cercando di evitare la realizzazione di un progetto prettamente commerciale e rispettando la ricerca di un turismo sostenibile a Favignana. In particolare: • il forte è stato destinato alla parte artistica con sale espositive, spazi per gli artisti, laboratori e zone per lo studio e la ricerca; • la palazzina ospita i servizi per il pubblico tra cui info point e ristorante; • il nuovo intervento è destinato alla parte ricettiva con stanze per gli ospiti; • i vari servizi sono dislocati nei vari edifici, collegati tra loro da un sistema di percorsi. L’associazione delle funzioni è stata fatta a seconda delle dimensioni degli spazi esistenti e del loro valore architettonico; tutti i nuovi interventi presentano la stessa logica e non sono sovradimensionati, nel rispetto del sito e del forte stesso. Strategie di intervento La storia del forte sottolinea la sua complessità; nel corso del tempo è stato torre d’avvistamento, successivamente fortezza e infine prigione andando ad identificarsi come luogo di protezione, controllo e isolamento. Queste azioni sono identificabili con un’unica immagine architettonica, quella 116

Proposta progettuale


Superfici area di progetto: 5035 mq esistente (recupero): spazi interni: 954 mq spazi esterni: 552 mq

> nuovo intervento: 205 mq > addizione nell’esistente: 260 mq (224 mq esistenti)

progetto: 1206 mq nuovo intervento inquadrare il paesaggio

Forte di Santa Caterina vestire l’esistente

percorsi seguire le tracce

palazzina costruire nell’esistente

Programma funzionale Centro di Arte Contemporanea Struttura ricettiva Ristorazione Servizi Open space

Proposta progettuale

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del muro, un elemento tanto di divisione quanto di difesa. Ideologicamente, il muro passa da essere elemento di protezione (forte), a diventare puramente un involucro (palazzina) e infine assume il ruolo di quinta teatrale nel caso del nuovo intervento. Reversibilità, rispetto e comunicazione sono le parole chiave dell’intervento architettonico compiuto nell’area del monte di Santa Caterina. Vestire l’esistente Rispettando la principale richiesta del bando di creare un centro di arte contemporanea è risultato appropriato e interessante pensare di collocare la parte culturale all’interno del forte il quale è già di per sé un museo in virtù del suo valore monumentale e dell’eccezionalità del contesto naturalistico nel quale è inserito, di cui si può godere la vista attraverso piccole aperture e dal terrazzo panoramico. Nelle sue trasformazioni racchiude diversi strati di memoria configurandosi come un perfetto scrigno dell’arte. Per questo motivo si è deciso di trasformarlo in un centro d’arte nel quale gli artisti potranno contemporaneamente pernottare, studiare, produrre ed esporre le loro opere. Nel piano principale troviamo un’ala completamente destinata agli appartamenti degli artisti, ricavati nelle vecchie celle; sono presenti quattro stanze, una cucina comune, bagno e lavanderia. Nello stesso piano vi sono i laboratori/atelier destinati al lavoro degli artisti con l’adiacente zona espositiva; da quest’area è raggiungibile la zona dedicata alla ricerca e studio posta nel piano sottostante con aula studio, archivio e zona relax, aperta al pubblico. Il piano superiore è destinato alla seconda parte museale, dove troviamo l’esposizione permanente e la zona amministrativa; infine, i grandi terrazzi panoramici posti su diversi livelli sono destinati al ristoro e al relax. Rendere il forte maggiormente accessibile ad ogni tipo di utenza è stato un nodo di estrema importanza; sono presenti dislivelli esterni e differenti quote negli spazi interni che sono stati risolti con l’ausilio di ascensori e rampe. 118

Proposta progettuale


TORRE di AVVISTAMENTO

inquadratura

FORTEZZA

protezione

CARCERE

chiusura

Proposta progettuale

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Queste ultime si configurano come elementi puntuali che si appoggiano sull’esistente senza intaccarlo ed essendo realizzate in materiale microforato permettono anche la vista delle parti sottostanti, che non vengono coperte completamente. La strategia di intervento consiste in una semplice addizione di elementi (dove possibile rimovibili) creati per risolvere problemi riguardanti la fruizione e l’abitabilità della fortezza. Costruire nell’esistente La palazzina adiacente, di costruzione novecentesca, è destinata agli spazi di servizio e ristorazione. In questo caso l’intervento è stato più invasivo dato il suo minor valore architettonico. Molti dei punti della palazzina per il quali si prevede la demolizione non si trovavano in condizioni ottimali; il loro restauro e recupero avrebbe portato a un maggior dispendio economico, senza però garantire un miglioramento della qualità dell’edificio stesso. Il progetto suggerisce la demolizione delle solette della palazzina per ragioni di miglior impiego dello spazio, ponendo all’interno un cubo di nuova costruzione avente una sua struttura autonoma; in particolare, da due piani esistenti ne sono stati ricavati quattro contenenti servizi quali reception, ristorante, cucina e locali adibiti al servizio dei lavoratori. Il cubo si configura come un monolite autoportante attorno al quale è agganciata la struttura delle scale e dei percorsi; in questo modo è possibile sfruttare al massimo la metratura dell’edificio, recuperando lo spazio che oggi è in larga parte occupato dal vano scala centrale. Inoltre è stata realizzata una nuova struttura a sostegno dell’edificio esistente, che ora viene a configurarsi come una scatola all’interno della quale ne è stata costruita un’altra. Il linguaggio architettonico e i materiali impiegati riprendono gli interventi realizzati nel forte, creando un dialogo tra le due strutture esistenti.

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Proposta progettuale


Inquadrare il paesaggio Il bando inoltre prevedeva la realizzazione di un spazio turistico-ricettivo di alto livello che tuttavia è stata ritenuta sovrastimata rispetto alle reali esigenze dell’isola; è sembrato opportuno dunque ridimensionare le richieste adattandole alle necessità di Favignana, inserendo nel progetto degli spazi destinati al pernottamento e guardando ad un turismo responsabile, attento alla qualità degli spazi e dell’ambiente. Il nuovo intervento nasce nel rispetto dell’esistente, entrando in relazione con esso e integrandosi nel paesaggio. Per mantenere l’immagine invariata del forte, con il suo percorso di accesso, il nuovo elemento architettonico è stato posto sul retro, seguendo il naturale andamento delle vecchie mura della fortezza dalla quale nascono nuovi camminamenti e collegamenti. Le linee guida generate dal forte vanno a configurarsi in una serie di setti in tufo da cui nascono degli spazi con le sembianze di veri e propri coni ottici; il nuovo elemento architettonico ospiterà sette camere di diverse tipologie. I coni ottici operano come le finestre del forte e i muri che li creano inquadrano il paesaggio circostante come delle quinte teatrali generando differenti scenari. I setti, oltre a creare nuove prospettive, sono anche una efficiente protezione dal sole e dal vento. Seguire le tracce Il forte si trova sul punto più alto del monte di Santa Caterina, in un contesto isolato raggiungibile unicamente a piedi tramite un percorso a gradoni; è stato quindi necessario, per rendere concreto e funzionante il progetto, la realizzazione di una strada carrabile sterrata, essenziale per la stessa realizzazione dei lavori e per il sostentamento e la sicurezza dell’area. È tuttavia fondamentale anche la sistemazione del camminamento che collega il forte alla città trasformandolo in un percorso attrezzato e fruibile. L’area è stata integrata con un’altra serie di camminamenti e passerelle, non solamente necessari per una migliore fruizione degli spazi esterni, ma anche per un più facile raggiungimento Proposta progettuale

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del forte. Tutt’intorno alla vecchia cinta muraria nasce il nuovo percorso caratterizzato da zone piane, rampe e scalinate, che connette tutti gli elementi architettonici del sito.

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Proposta progettuale


2. Accessibilità “Le istanze dell’accessibilità devono considerarsi come normali elementi di progetto quali la sicurezza, la solidità strutturale, il comfort termo idrometrico, le norme edilizie e urbanistiche, le disponibilità economiche, gli stessi principi guida del restauro: distinguibilità, reversibilità, compatibilità fisico chimica, autenticità espressiva. […] Il restauro, infatti, guarda al futuro e non al passato”.60 Il problema dell’accessibilità di un edificio storico emerge già nell’approccio conoscitivo verso il patrimonio stesso e accompagna il progetto di riuso in tutto il suo sviluppo. Nel caso di Favignana risultano problematici il raggiungimento dell’area, i percorsi di collegamento tra i vari edifici e la circolazione al loro interno. Per risolvere il collegamento tra la città e il sito, ora raggiungibile solo a piedi, è stata pensata una strada carrabile sterrata percorribile solamente da un servizio navetta, dai lavoratori, fornitori di merci e mezzi di soccorso, che si aggiunge al percorso pedonale esistente. L’area è stata fornita di una serie di scalinate e rampe che collegano tra loro tutti gli edifici rendendo la zona totalmente fruibile anche da persone diversamente abili e agevolano lo spostamento delle merci. L’accesso principale al forte è garantito a tutti grazie all’inserimento di una piattaforma elevatrice posta in una zona poco visibile che non intacca eccessivamente la struttura dell’edificio. L’intervento di maggior complessità è stato quello relativo alla fruibilità interna del forte che è caratterizzato da stanze poste su diversi livelli e terrazze a quote differenti; per ovviare a questo problema è stato necessario progettare l’inserimento di un ascensore individuando il “punto di minor resistenza” dell’edificio su cui intervenire, idoneo al collocamento delle necessarie opere di adeguamento. Si è quindi pensato di

Proposta progettuale

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progettare l’ascensore in una posizione strategica e poco visibile dall’ingresso principale e nell’unico punto collegante tutti i piani del forte. L’ascensore, le passerelle e le rampe sono progettate nel dettaglio per integrarsi con l’architettura esistente e restituire un unico percorso accessibile da ogni tipo di utente e non discriminante. “Non esistono soluzioni speciali per utenti particolari quali elementi aggiuntivi del progetto, ma un intervento va concepito e sviluppato tenendo in considerazioni le esigenze se non di tutti, comunque del maggior numero possibile di persone, siano esse ‘abili’ o ‘disabili’.”61

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Proposta progettuale


Percorso carrabile

Percorso pedonale

Santa Caterina per tutti altri percorsi collegamenti verticali accesso al Centro d’Arte Santa Caterina accessi alle strutture

Proposta progettuale

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3. Sostenibilità Il rispetto dell’esistente e dell’ambiente è stato un nodo cruciale non solo per il progetto di riuso dell’architettura esistente ma anche per i nuovi interventi e dal punto di vista ambientale: in questo contesto la natura è infatti uno dei protagonisti indiscussi. Il concetto di sostenibilità si riscontra in tutte le scelte progettuali: dall’orientamento, alle tipologie costruttive, dai materiali, alle scelte di interior design. Gli interventi sono in linea con una filosofia tesa a promuovere una cultura del benessere centrata sul recupero della connessione tra uomo e natura e sul rispetto dell’ambiente. Materiali e strategie ecosostenibili I materiali scelti per il progetto, per ricollegarsi alla tradizione dell’isola e per integrarsi con il contesto, sono il tufo, il legno, l’acciaio Corten e il vetro. In particolare, gli interventi presentano lo stesso linguaggio materico-funzionale: • ogni nuovo elemento strutturale prevede l’utilizzo del Corten così come i rivestimenti esterni dei nuovi interventi che si relazionano con l’esistente, • il nuovo intervento, che si rapporta alle mura esterne, è stato pensato per essere realizzato in tufo, materiale locale che viene ricavato dalle cave presenti sull’isola, così come i cordoli dei nuovi percorsi pedonali e i setti di muro che inquadrano il paesaggio, • gli interventi sull’esistente, come le rampe interne, i percorsi esterni, le passerelle e i parapetti sono stati progettati in Corten, legno teak e vetro. Oltre all’utilizzo di tecnologie costruttive non invasive e materiali prevalentemente naturali ed ecologici, i sistemi energetici ed idrici sono progettati per essere ad impatto zero, così come la scelta degli arredi, la maggior parte dei quali sono in legno ad incastro e trattati con vernici atossiche. 126

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Interventi tecnico-costruttivi ed energetici Il forte A livello costruttivo l’intervento all’interno del forte ha cercato di essere il meno invasivo possibile, rispettando la spazialità e le caratteristiche dei locali interni. Per rendere alcuni spazi abitabili, tra cui gli spazi degli artisti e gli uffici, con il rifacimento della pavimentazione si è pensato di inserire il sistema radiante e i nuovi impianti elettrici così come gli stessi locali sono dotati nel progetto di sistemi di deumidificazione e raffrescamento dell’aria. Dove possibile si è pensato di mantenere la pavimentazione esistente e di ri-sanare e re-intonacare tutti i locali con l’utilizzo di termo-intonaci naturali. Altre aggiunte riguardano le rampe interne in Corten microforato, che rendono accessibili locali posti su diversi livelli, e gli infissi con telaio in legno, doppio vetro e davanzale in Corten, che si integrano perfettamente con la muratura in tufo nella quale sono inseriti. I collegamenti e lo spazio esterno Gli interventi, a livello di percorsi, per rendere accessibile il forte si sono accostati a quelli esistenti, riqualificandoli o implementandoli, tramite la creazione di tratti in terra battuta con cordoli in tufo e passerelle, rampe e scale in legno con parapetti in Corten microforato. Allo stesso modo sono state progettate le passerelle e le rampe sui terrazzi collegate all’ascensore, caratterizzato da una struttura portante a travi metalliche e ricoperto con pannelli orizzontali di Corten e parti di vetro in corrispondenza degli accessi. La palazzina L’intervento sulla palazzina esistente è stato maggiore rispetto a quello nel forte in quanto è stato scelto di mantenere il solo involucro esterno della struttura, demolendo il solaio Proposta progettuale

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esistente di pavimento e di copertura. Per questo motivo è stata progettata una prima struttura a telaio metallico per il sostegno delle pareti esterne che si va ad agganciare alle travi di cemento esistenti. All’interno di questo involucro si sviluppa il nuovo intervento che si configura come una scatola interna di vetro e Corten con una struttura portante a travi metalliche. La struttura a telaio, isolata internamente con materiali ecologici e pannelli di legno e rivestita esternamente con pannelli di Corten, ha fondazioni proprie, attacco a terra con vespaio areato e una copertura a pannelli metallici; essa si relaziona con l’involucro esistente tramite scale, passerelle e terrazzi perimetrali in legno e vetro. Le stanze Per quanto riguarda il nuovo intervento ossia le stanze d’albergo che si sviluppano lungo le mura posteriori del forte è stata fatta un’analisi circa l’orientamento, il soleggiamento, l’ombreggiamento e l’esposizione ai venti dominanti, essendo posizionato sulla sommità di un monte su un’isola, per cercare la migliore posizione e le più idonee strategie progettuali. Le stanze, che seguono la conformazione della montagna, si affacciano verso ovest, per godere della miglior vista dell’isola e del tramonto e sono caratterizzate da setti murari laterali che inquadrano il paesaggio e proteggono il terrazzo dai venti. La copertura in aggetto sul terrazzo ha la funzione di riparare dal sole nelle ore pomeridiane e di godere di un ottimo ombreggiamento. Infine una schermatura verde al posto del classico parapetto aiuta a creare un sistema ambientale favorevole. L’idea iniziale voleva le stanze in struttura portante in blocchi di tufo, ricavato dall’unica cava ancora in funzione sull’isola, tuttavia secondo le Norme Tecniche per la Costruzione 201862 in aggiunta all’Eurocodice vigente, non è più possibile in Italia costruire edifici con struttura portante in pietra ed è stato così pensato un sistema portante in cemento armato, isolato internamente e rivestito in entrambe le facce da blocchi di tufo. 128

Proposta progettuale


La copertura leggermente inclinata è pensata per essere realizzata in latero-cemento e rifinita con lapillo vulcanico con un lucernario che in parte è composto da vetro solare che ha la funzione di pannello solare, meno potente ma maggiormente integrato con il contesto, il quale aiuta a creare un sistema energicamente autosufficiente. Il progetto prevede una grande vetrata in affaccio sul terrazzo con infissi scorrevoli di spessore minimo pensati per dare l’idea di continuità tra l’interno della stanza e il paesaggio esterno.

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4. Allestimento e comunicazione Allestimento Il progetto per l’allestimento del forte è caratterizzato da un linguaggio attento alla spazialità interna, alla comunicazione e all’uso dei materiali. Le sale espositive sono collocate nel forte al piano di ingresso e al piano superiore e sono collegate tra loro direttamente con le scale esistenti e il nuovo ascensore. Mostra permanente La struttura espositiva della mostra permanente, progettata per essere composta da fotografie, testi e reperti circa la storia e le caratteristiche dell’isola di Favignana, della sua attività estrattiva di tufo e del Forte di Santa Caterina stesso, è stata collocata al piano 1 e si sviluppa su tre sale voltate a botte con piccole aperture verso l’esterno e una nuova pavimentazione in doghe di legno. Il progetto di allestimento prevede che la sala centrale sia dedicata alla storia dell’isola mentre le due sali laterali alla tradizione dell’estrazione del tufo e al Forte di Santa Caterina con fotografie, testi esplicativi, testimonianze e reperti ritrovati nei fondali tra Favignana e Levanzo risalenti alla Battaglia delle Isole Egadi nel 241 a.C. La struttura espositiva ha come obiettivo quello di risultare leggera e poco invasiva, sottolineando lo spazio voltato e suddividendolo in aree che lo rendano fruibile secondo vari percorsi. Tubi verticali cavi di pochi centimetri di spessore in Corten, collegati ad incastro con altri tubolari orizzontali, sostengono in alcuni casi delle griglie metalliche sulle quali è possibile appendere fotografie e pannelli e in altri dei ripiani in legno sui quali appoggiare gli oggetti in mostra. I tubolari seguono l’andamento del soffitto creando prospettive ed evidenziando la spazialità interna delle sale. 130

Proposta progettuale


Mostra temporanea Gli spazi adibiti per la mostra temporanea sono stati collocati al piano di ingresso vicino ai laboratori artistici; il progetto è meno strutturato rispetto a quello per l’esposizione temporanea in quanto questi spazi si devono poter adattare e conformare a seconda delle opere da esporre. Pensando ad una possibile mostra dei lavori realizzati durante la II Edizione di Curva Blu Artist-in-residence che si è svolta a Favignana nel mese di ottobre 2017, organizzata e promossa dall’associazione INCURVA,63 è stata prevista e progettata una possibile esposizione delle opere realizzate dai quattro artisti partecipanti che variano da proiezioni a dipinti, da stampe a oggetti di varie dimensioni necessitando quindi di spazi, sostegni e attrezzature diverse. Progetto grafico “La comunicazione dei beni artistici è una cultura parlante, un dialogo tra il bene stesso e l’utente, allo scopo di sviluppare una società civile che si riconosce in un’identità comune.”64 Negli ultimi decenni è aumentato l’interesse da parte delle istituzioni culturali riguardo l’identità visiva, ed è quindi diventato fondamentale per un centro artistico-culturale pensare e progettare anche un sistema che ne garantisca la visibilità. Lo strumento principale della progettazione e comunicazione dell’immagine associata al bene culturale è l’immagine coordinata ossia “l’insieme delle immagini o idee o qualità di un ente che le persone hanno o si formano entrando in rapporto con loro tramite elementi, detti punti di contatto, quali marchi, edifici, prodotti, packaging, stampati, veicoli, pubblicazioni, uniformi, attività promozionali.”65 Per la realizzazione dell’immagine coordinata si è quindi pensato alla strategia con la quale il Centro di Arte Contemporanea di Santa Caterina si dovrebbe presentare al pubblico raccontandone i suoi valori e rendendolo riconoscibile agli occhi dei potenziali utenti.

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Identità, logo e immagine coordinata “Ciascun luogo ha una sua identità, più o meno forte, più o meno esplicita. L’identità di un luogo culturale, come il caso di un Centro Museale, è determinata dal contenitore e dai suoi contenuti. Contenuti e valori che possono essere quelli intrinseci al bene stesso, restituiti dal tempo e reinterpretabili, ma anche costituiti da quelle sovrastrutture temporanee o permanenti quali i servizi, gli eventi e altro ancora.”66 Il progetto grafico deve agire come filo conduttore tra questi elementi creando una specifica identità visiva, riconoscibile e adoperabile su differenti media in modo da renderne accessibili e comprensibili i valori a differenti fasce di cittadini, mettendo al centro il visitatore che necessita di un’interfaccia che lo agevoli nella comprensione delle informazioni del luogo stesso e dei suoi valori. Secondo questa linea abbiamo ideato il logotipo del nostro progetto che ha come caratteristica principale quella di essere un centro dove gli artisti possono pernottare, lavorare ed esporre le loro opere all’interno di un sistema di servizi ben strutturato e circondato da un paesaggio unico nel suo genere. L’acronimo CART, Centro d’Arte Santa Caterina, nasce dall’idea di voler evidenziare la funzione del luogo, un centro d’arte contemporanea legato alla tradizione siciliana e con annesso servizio artist-in-residence, e di mantenere il nome stesso del forte. Il logotipo si sviluppa attraverso tre immagini principali: la “C” che simboleggia il centro, la “A” ruotata di 90° che rappresenta l’inquadramento, uno dei concept principali dell’intero progetto, e la parola “ART” che indica la funzione. L’intero acronimo ricorda l’inizio del nome Caterina, evidenziato attraverso l’uso di lettere maiuscole e minuscole. Per la color palette del logo sono state utilizzate due cromie a contrasto: quella calda, derivante dalla tradizionali maioliche siciliane di Caltagirone, e quella fredda, ripresa dai colori del mare di Favignana.

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centro

inquadramento

arte

Centro d’ArTe Santa Caterina

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Dal logo è stata sviluppata poi l’immagine coordinata attraverso la progettazione grafica di brochure informative, mappe di orientamento, biglietto d’ingresso al centro, card d’accesso alle camere e cartellini per didascalie delle opere esposte. Wayfinding Wayfinding letteralmente significa “trovare la strada” e riguarda tutti gli artefatti dei quali ci si avvale nella ricerca di una meta, il cui scopo è facilitare la rappresentazione mentale del luogo in cui ci si deve orientare. Le strutture per il wayfinding sono state intese come una sorta di istruzioni per l’uso, più una predisposizione che un ordine, cercando di dare una risposta alle domande sull’orientamento prima che queste vengano poste dagli utenti. Graficamente il progetto wayfinding utilizza come simbolo principale la “A” del logo CART ruotata di 90°, la quale viene impiegata come freccia direzionale, mettendo la sfera estetica al servizio dell’efficienza comunicativa. A questo segno grafico sono stati associati colori diversi che rappresentano le sei categorie principali: artist-in-residence, mostra temporanea, mostra permanente (campi dell’arte con cromie calde), camere, servizi per il pubblico e accessibilità (servizi generici con cromie fredde). L’intero progetto si sviluppa attraverso una segnaletica esterna ed interna, totem d’ingresso, mappe d’orientamento e di servizio e l’utilizzo di simboli per facilitare la comprensione del luogo e dei percorsi.

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Note

59. G. Carbonara, “Teorie e metodi del restauro”, in Trattato di restauro architettonico, Utet, Torino 1996, volume I p. 92. 60. G. Carbonara, Testo della lezione tenuta alla X edizione del corso post-lauream “progettare per tutti senza barriere architettoniche”, Roma 2002 (http://www.progettarepertutti.org/formazione/lez08_carbonara. pdf). 61. Linee Guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturali, Ministero per i beni e le attività culturali, Decreto 28 marzo 2008, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Roma 16 maggio 2008 (http://www.gazzettaufficiale.it/eli/ gu/2008/05/16/114/so/127/sg/pdf). 62. D.M. in Gazzetta Ufficiale n°42 del 17 gennaio 2018 pubblicato il 20 febbraio 2018 ed entrato in vigore il 22 marzo 2018. 63. https://incurva.org/curva-blu-2017/, 6 novembre 2018. 64. C.M. Mosini, “L’importanza di un’immagine coordinata”, AAA Museum Hub, 11 gennaio 2017 (https://aaamuseumhub.wordpress. com/2017/01/11/limportanza-di-unimmagine-coordinata/). 65. F.H.K. Henrion, A. Parkin, Design coordination and corporate image, Studio Vista, Londra 1976, p. 34. 66. E. Brusamolin, “Identità specifica e riconoscibile”, AAA Museum Hub, 13 febbraio 2017 (https://aaamuseumhub.wordpress.com/2017/02/13/ identita-visiva/).

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Bibliografia e Sitografia



Bibliografia Capitolo I Bibliografia: PIEROTTI Paola, “Concorsi di architettura, la storia italiana tra insuccessi e (rari) processi virtuosi”, Edilizia e Territorio, Il sole 24 Ore, 6 maggio 2013. Sitografia: https://www.youngarchitectscompetitions.com/competition/art-prison Capitolo II Bibliografia: AA.VV., Adaptive reuse. Preserving our past, building our future, Pirion, Brisbane 2004. AA.VV., “Valorizzare il patrimonio edilizio pubblico”, TECHNE Journal of Technology for Architecture and Environment, Firenze University Press, Firenze 2012. ECKERSLEY Susannah, LLOYD Katherine, MASON Rhiannon, WHITEHEAD Chris, “Identity Places”, MELA Critical Archive, 2014 (http://www.mela-archive.polimi.it/?dossier=147/essay-defining-identityplaces). GALLIANI Pierfranco, “Recupero architettonico: problematiche e questioni di metodo”, Territorio n. 5, Franco Angeli Editore, Milano 2009. LANZ Francesca, Ex carceri, pratiche e progetti per un patrimonio difficile, Lettera Ventidue, Siracusa 2018. LENZINI Francesco, “Forme e storie di (ri)appropriazione”, in Patrimoni inattesi. Riusare per valorizzare. Ex carceri, pratiche e progetti per un patrimonio difficile, a cura di Francesca Lanz, Lettera Ventidue, Siracusa 2018. PIEROTTI Paola, “Marsiglia, viaggio nel cantiere del museo Mucem”, Edilizia e territorio, Il sole 24 ore, 12 novembre 2012. PLEVOETS Bie, VAN CLEEMPOEL Koenraad, “Adaptive Reuse as a Strategy towards Conservation of Cultural Heritage: a Survey of 19th and 20th Century Theories” RIE International Conference: Reinventing

Bibliografia e Sitografia

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Architecture and Interiors: the past, the present and the future, Ravensbourne 28 marzo 2012 (https://www.researchgate.net/publication/263124836_ Adaptive_Reuse_as_a_Strategy_towards_Conservation_of_Cultural_ Heritage_a_Survey_of_19th_and_20th_Century_Theories). SMITH Laurajane, Uses of heritage, Routledge Group, New York 2006. Sitografia: https://www.castellodirivoli.org http://www.forte-fortezza.it http://www.mela-archive.polimi.it/index http://www.messner-mountain-museum.it/it/firmian/museo/ http://www.lemuratepac.it Capitolo III Bibliografia: CAMPO Enzo, “Favignana: l’isola dalla pietra dolce”, Tourist Guide Eventi Trapani, Trapani 7 agosto 2013. D’AURIZIO Michele, “Incurva e Curva Blu a Favignana”, Flash Art, Milano 21 dicembre 2016. ESPOSITO Fabio Maria, “Il patrimonio ambientale. Egadi, il paradiso è qui”, Corriere del Mezzogiorno, Napoli 2013. GRIMALDI Angelo, “I superstiti della spedizione di Sarpi rinchiusi nel Forte di santa Caterina”, Rivista di Diritto e Storia Costituzionale, n.2, Forlì 2016. LENTINI Rosario, “La genesi del più importante e moderno stabilimento industriale del Mediterraneo per la lavorazione del tonno”, in Ex stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica, Sopraintendenza per i Beni Culturali ed Ambiente di Trapani, Trapani 2010, brochure. MAURICI Ferdinando, Castelli Medioevali, Edilguida s.r.l., Palermo 2007. MAURICI Ferdinando, Le Egadi della tarda antichità agli inizi dell’età moderna, La Fardelliana, Trapani 1999. ROGGERO Fernanda, “Favignana: così torneremo ad essere l’isola del tonno”, Il Sole 24 ore, 2017. SCARCELLA Gaspare, Favignana: La perla delle Egadi, Europrint Editore, Milano 1977.

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Bibliografia e Sitografia


VISANI Claudio, “Da gioielli a colonie penali e ritorno. Lo strano destino delle più belle isole d’Italia”, Repubblica, 9 settembre 2015. Video: Favignana – Linea Verde Orizzonti del 24/05/2014 (http://www.rai.it/ dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-ab307681-2b3d-490e-93301cb14cbe8956.htmlt). Documenti: Piano Regolatore di Favignana (TP), Relazione, Norme di Attuazione, Regolamento edilizio (http://www.comune.favignana.tp.gov.it/favignana/ po/mostra_news.php?id=948&area=H). Piano della Mobilità Sostenibile (PMS) Interna delle Isola minori siciliane occidentali, Isola di Favignana (http://www.regione.sicilia.it/turismo/ trasporti/prt/mobilita%20sostenibile.htm). Sitografia: https://archeologiaindustriale.net/2433_ex-stabilimento-florio-delletonnare-di-favignana-e-formica-in-sicilia/ https://www.egadivacanze.it/favignana http://www.i-art.it/it/i-art-progetto/ https://incurva.org http://www.mondimedievali.net/castelli/Sicilia/trapani/favignana.htm http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE Capitolo IV Bibliografia: ADRAGNA Vincenzo, Favignana: il forte di S. Caterina, in Trapani. Rassegna della Provincia, 1979, pp. 1-8. COSENZA Maria Cristina, “Il restauro monumentale della Isole Egadi. Studio, analisi e progetti”, Atti del Convegno 12-13 ottobre 2007, Tipololitografia fashion Graphic S.N.C., Palermo 2008. MONTANARI Elena, “Attraverso il muro. Strategie di elaborazione ed esibizione della memoria”, in Patrimoni inattesi. Riusare per valorizzare. Ex carceri, pratiche e progetti per un patrimonio difficile a cura di Francesca Lanz, Lettera Ventidue, Siracusa 2018. POLIZZI Giancarlo, “Il Forte di Santa Caterina in Favignana”, La Nazione, 1876.

Bibliografia e Sitografia

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ROMANO Giuseppe, Da Santa Caterina alla Colombaia: breve storia delle carceri della provincia di Trapani, Trapani 2009 (www.colombaiatrapani.altervista. org). Sitografia: http://www.egadimythos.it https://www.visitegadi.eu/SANTA%20CATERINA Capitolo V Bibliografia: BUCCI Federico, ROSSARI Augusto, A. I musei e gli allestimenti di Franco Albini, Electa, Milano 2005. CARBONARA Giovanni, “Teorie e metodi del restauro”, in Trattato di restauro architettonico, Utet, Torino 1996, volume I. CARBONARA Giovanni, Testo della lezione tenuta alla X edizione del corso post-lauream “progettare per tutti senza barriere architettoniche”, Roma 2002 (http://www.progettarepertutti.org/formazione/lez08_carbonara.pdf). Documenti: Atto di Indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (art.150, comma 6, D.L. n.112/1998, Linee Guida sul Decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, 10 maggio 2001). Linee Guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturali, Ministero per i beni e le attività culturali, Decreto 28 marzo 2008, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Roma 16 maggio 2008 (http://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2008/05/16/114/ so/127/sg/pdf). Sitografia: https://aaamuseumhub.wordpress.com/category/comunicazione-beniculturali/ http://www.fondazionefrancoalbini.com/wp-content/uploads/2017/04/ opere_principali_arch_block.pdf https://incurva.org/curva-blu-2017/ http://www.progettarepertutti.org

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Bibliografia e Sitografia



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