I racconti del parco 3 - Edizione 2011

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Premio letterario

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I Racconti del Parco UN RACCONTO “VERDE” PER UN AMBIENTE SEMPRE PIÙ VERDE

4 Parchi insieme per l’ambiente

PARCO DEI COLLI BERGAMO / PARCO DELLE OROBIE BERGAMASCHE / PARCO ADDA NORD / PARCO DEL SERIO

WWW.PARCOCOLLIBERGAMO.IT



“Un racconto verde per un ambiente sempre più verde”. Alla sua terza edizione di successo dopo il debutto nel 2009 e l ’entusiasmo esemplare del 2010,

“I Racconti nel Parco” ritrova nel 2011 la sempre più ampia e appassionata partecipazione dei numerosi amanti di carta e penna.

Anche quest’anno il Parco dei Colli di Bergamo si è impegnato a promuovere il prezioso rapporto tra ecologia

e creatività in un dialogo ininterrotto con un patrimonio ambientale, storico e naturalistico da salvaguardare. Un traguardo e insieme un punto di partenza da difendere e consolidare in vista di scenari globali in costante evoluzione.

A ulteriore conferma del successo del Premio, l’edizione 2011 de “I Racconti nel Parco” ha ampliato i propri confini

territoriali avvalendosi della preziosa collaborazione di altre aree protette della Provincia di Bergamo e non solo: il Parco Adda Nord, il Parco del Serio e il Parco delle Orobie Bergamasche.

La valorizzazione condivisa delle risorse presenti in natura e del loro legame indissolubile con l’uomo ha così potuto raccogliere l’adesione sempre più sorprendente di un pubblico sensibile, composto da studenti, giovani e adulti di ogni parte d’Italia.

Un coinvolgimento vivo e responsabile, arricchito quest’anno anche dalla nuova, avvincente sfida dei Nano

Racconti, formula innovativa grazie alla quale ogni partecipante ha potuto cimentarsi nella rielaborazione in sole 10 parole del proprio testo.

Un’iniziativa consolidata anche dalla partecipazione di prestigiosi partner istituzionali, come la MIA

(Fondazione della Misericordia Maggiore), con un Premio riservato agli studenti della “Scuola in Pigiama”, e la Camera di Commercio di Bergamo, promotrice dell’omonimo riconoscimento speciale.

Ancora una volta la molteplicità delle forze coinvolte e la ricchezza delle attitudini hanno dato vita a giardini di infinite storie con abitanti reali e immaginari, indispensabili a incoraggiare la consapevolezza dei cittadini presenti e futuri.

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Il Presidente del Parco dei Colli I Racconti del Parco 3

Gianluigi Cortinovis


Indice

1) Sezione tematica “I Racconti del Parco, un racconto verde per un ambiente sempre più verde” Primo classificato categoria Scuole Medie

“Il risveglio” di Laura Lodetti

Secondo classificato categoria Scuole Medie

“Animali da salvare” di Anna Colosio

Segnalato categoria Scuole Medie

“La volpe e la quercia” di Nicholas Sciortino e Giulia Grassi

Segnalato categoria Scuole Medie

“I due scoiattoli rossi” di Ezio Sorti

Segnalato categoria Scuole Medie

“La storia di nonno albero” di Marica Brembilla

Primo classificato categoria Scuole Superiori

“Verde speranza, rosso amore” di Lorena Vavassori

Secondo classificato ex aequo categoria Scuole Superiori

“Cumuli e Nembi” di Michela Raccagni

Secondo classificato ex aequo categoria Scuole Superiori

“Un posto chiamato acquacristallo” di Greta Carminati

Segnalato categoria Scuole Superiori

“La voglia di crescere” di Eliana Russo

Segnalato categoria Scuole Superiori

“Smogomorfo” di Eva Castelli

Primo classificato categoria Adulti

“Veloce” di Claudia Moietta

Secondo classificato categoria Adulti

“Come fosse un sogno” (di un bimbo in ospedale) di Marino Pagnoncelli

Segnalato categoria Adulti

“Ciò che hai inseguito” Gloria Gelmi

9 11 13 15 17 21 23 25 29 33 37 43 45


Indice Segnalato categoria Adulti

“Due voci” di Valentina Costa

Segnalato categoria Adulti

“Viola che vola” di Fiorella Cannavacciuolo

49 53

2) Sezione tematica “Favole per i più piccoli” Secondo classificato categoria Adulti

“Le tre sorelle e il riccio” di Fausto Sana

Segnalato categoria Adulti

“Le olimpiadi del Parco” di Patrizia Paganelli

Segnalato categoria Adulti

“I Piripinnì e il ladro della primavera” di Stefania Petta

Segnalato categoria Adulti

“Una mattina di sole” di Paola Vitali

59 65 67 73

Premio Speciale MIA

Dedicato agli studenti della Scuola in Pigiama Primo classificato

“Natura” di Elsa Finardi

Secondo classificato ex aequo

“Natura, abile investigatrice” di Giulia Gabrieli

Secondo classificato ex aequo

“Nastagio… a spasso nelle Orobie” di Alessio Calandra

79 83 87

Premio Speciale “Nano racconto” Vincitori

Altri Nano racconti

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1) Sezione tematica

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Primo classificato Categoria Scuole Medie

IL RISVEGLIO di Laura Lodetti

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i sembra di sentire un rumore… no, non è possibile, sono da sola… eppure… adesso si fa più chiaro… è un suono simile a quello dei frutti maturi che cadono e si adagiano sul suolo, simile al tonfo di un sasso nell’acqua: che sarà mai? Non ho mai sentito un suono così profondo, ma allo stesso tempo così dolce e caldo, quasi mi avvolge, mi trascina con sé, sembra che mi voglia rapire. È un lento pulsare, molto regolare, sembra più di un orologio, sembra… sembra quasi il tempo stesso che passa, ma sembra che venga proprio da me... Le mie piccole orecchie non sanno riconoscerlo e classificarlo, ma mi sembra di conoscerlo da sempre, un vecchio amico che ritorna e del quale non ci si ricordava più. Va bene, adesso apro gli occhi. Sono in una stanzetta piccola, anzi no, non è proprio una stanzetta, è più una cosa che mi avvolge tutta, ma io ci sto perfettamente, si può dire che è della mia misura. Anche questa è calda, ma in un modo diverso, è più… più… graziosa, ecco, graziosa. Il suono continua, ma adesso ho anche gli occhi ed è ancora più bello: vedo il suono. Certo, forse non è possibile vedere un suono, ma è esattamente quello che mi sta succedendo. Vedo il palpito, è dorato, avevo ragione, mi sta avvolgendo, mi vuole con sé, mi danza attorno, vuole entrare ma è come se provenisse proprio da me. Come sarebbe facile abbandonarsi a questo lento battito, dimenticare tutto e diventare tutt’uno con lui… aspetta: cosa è questo profumo? Sento… profumo di… di nettare di fiori e di foglie, è il profumo dell’estate, ma c’è anche quello della primavera, profumo di rose! E poi… ma certo, ci sono anche l’autunno, con il profumo di terra umida e di uva, e l’inverno, con la sua aria gelida, che ti entra dentro, e il suo buon profumo di neve. Mi sono improvvisamente ricordata della mia vita prima di questo bozzolo. Prima giravo libera per i 10

I Racconti del Parco 3

Il risveglio


Primo classificato Categoria Scuole Medie

prati, mangiucchiavo qualche foglia qua o là, insomma la mia vita non era granché. Poi c’è il battito nel bozzolo. In mezzo niente, il vuoto, non mi ricordo niente. Però mi sono accorta di una cosa: prima la mia schiena era banale, uguale al resto del mondo. Adesso… ho due strane cose, attaccate dietro, sono coperte di una cosa appiccicosa. Devo assolutamente uscire. Ho già rinunciato al battito, anche se questo continua. Ho rinunciato al tepore dell’abbraccio della mia stanzetta. Ho rinunciato a tutti i profumi della mia vita precedente. Ora sono pronta. Devo farlo. O adesso o mai. Ma è difficile, è così bello stare qua dentro al calduccio… Forza, la tua vita è là fuori, devi farti coraggio. Va bene, adesso esco. Ma come fare? Dai, è il tuo destino il mondo là fuori. Forza, prova scrollarti di dosso l’immobilità... ecco, hai rotto il bozzolo, coraggio, un ultimo sforzo… fatti strada… dai… brava! Sei riuscita, ora sei libera: ma cosa fare adesso? Aspetta… ti ricordi di quelle cose appiccicose sulla schiena? Prova ad aprirle… è nella tua natura! Brava, hai visto che servono a qualcosa? Prova a muoverle… così… ehi, è divertente! L’aria mi fa il solletico! Ma… mi sto muovendo! Sto galleggiando nell’aria! Quindi... se muovo queste cose dietro volo? Volo?! Volo… volo! So volare! Che bellezza!... Il palpito... mi segue! Viene da dentro me! Vivo! “Mamma, guarda che bella farfalla!!!” “Hai ragione, è bellissima! È di sicuro appena nata: sai che le farfalle prima sono vermicelli, poi si fabbricano una casetta e quando escono sono diventate così come le vedi!” “Guarda, mamma, guarda, sembra… sembra felice!”

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I Racconti del Parco 3


Secondo classificato Categoria Scuole Medie

ANIMALI DA SALVARE di Anna Colosio

E

ra un freddo inverno, quel dicembre, quando Giuseppe si ritrovò un’ altra volta, solo, a passeggiare nel bosco. La neve continuava a scendere silenziosa; gli alberi lasciavano cadere un po’ di neve sul suo naso… il freddo, l’inverno erano arrivati. Giuseppe era un ragazzino che amava la natura, gli animali; non gli interessavano i videogiochi, o cose di questo genere. Era abbastanza alto, capelli mori, occhi azzurri come il cielo sereno. Da quando era piccolo frequentava quel bosco, gli animali e lui avevano un’ amicizia bellissima. Ma quel giorno stranamente non c’erano. Era una cosa stranissima, perché anche se c’era freddo gli animali andavano ugualmente dal loro amico. Giuseppe preoccupato, si guardò in giro e vide che c’erano tantissime trappole. Li cercò per tutto il giorno ma niente! La giornata però era finita, la mamma lo chiamava per la cena. Giuseppe quella sera non cenò, era chiuso in camera per cercare di capire cosa fosse successo. Era notte fonda, quando egli sentì uno sparo, che proveniva proprio dal suo amato bosco! Si mise giacca, guanti e cappello e aprì la sua finestra, con un gran salto saltò dalla sua camera. Si mise in cammino e dopo mezzora si ritrovò al bosco. Aveva con sé anche una pila, e facendosi luce iniziò a cercare quel cacciatore che stava facendo del male ai suoi animali. C’erano delle impronte, larghe e grandi, le seguì, ma sentì un ululato e si nascose sì, perché i lupi non erano suoi amici! Si mise dietro un albero, ma i lupi avevano sentito il suo odore. Quindi in fretta si arrampicò e loro se ne andarono. Proseguì le tracce, quando dietro di lui vide un orso gigantesco, mai visto prima nel bosco; si mise a correre disperatamente, e trovò una grande quercia, dove potersi nascondere. L’orso provò tante volte a cercare di tirarlo fuori, ma non ci riuscì. 12

I Racconti del Parco 3

Animali da salvare


Secondo classificato Categoria Scuole Medie

Giuseppe senza scoraggiarsi seguì di nuovo la pista… ma un momento! Le tracce lo portavano in una grandissima casa. Entrò, la porta era aperta. Era una casa vecchia, con ragnatele e tante corna attaccate al muro, buia, ma non si diede per vinto e dopo qualche brivido di paura e di freddo iniziò a perquisirla. Dopo ben tre ore trovò una stanza, che sorpresa! C’erano tutti i suoi amici! Erano legati a delle catene, gli uccellini in gabbie piccolissime. Entrò in fretta ma… il cacciatore arrivò: era brutto, baffi neri, vestito male e puzzolente, aveva proprio la faccia da cattivo! Subito lo prese, lo imbavagliò e lo legò in quella stanza. Era mattina, la mamma si svegliò, andò nella camera di Giuseppe, ma non lo vide. Andò subito dal marito e insieme chiamarono i carabinieri, ai quali indicarono di cercarlo nel bosco. La neve però, scesa tutta notte, aveva fatto perdere le tracce. Dopo ore e ore arrivarono alla casa, trovarono Giuseppe, che si abbracciò fortissimo alla mamma. Il padrone andò in carcere, gli animali furono liberati e tutto finì bene, ci fu una gran festa, con cerbiatti che saltavano di qua e di là.

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I Racconti del Parco 3


Segnalato Categoria Scuole Medie

LA VOLPE E LA QUERCIA di Nicholas Sciortino e Giulia Grassi

C’

era una volta in una foresta, una volpe che aveva sempre mal di testa perché da qualche tempo c’era tanto rumore a tutte le ore. Erano arrivati gli umani che, come fossero sovrani, volevano tagliare gran parte delle piante per costruire un piazzale gigante. La volpe voleva salvare una quercia speciale perché era un’amica da non abbandonare. Lei aveva aiutato tanti animali in passato: cibo e riposo aveva loro dato. Quando le seghe arrivarono una volpe arrabbiata trovarono, che i suoi artigli usò finché il gruppo dei cattivi scappò.

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I Racconti del Parco 3

La volpe e la quercia


Segnalato Categoria Scuole Medie

Finalmente nella foresta tornò la pace, perché ruspe e seghe se n’erano andate, grazie alla volpe audace. La natura devi rispettare perché si potrebbe ribellare.

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I Racconti del Parco 3


Segnalato Categoria Scuole Medie

I DUE SCOIATTOLI ROSSI di Ezio Sorti

C’

era una volta, nel parco dell’Adda Nord, una coppia di scoiattoli rossi. Questi due scoiattoli erano gli unici della specie nel parco e per questo motivo si chiedeva ai visitatori di avvertire le guardie in caso di un loro avvistamento. I due animali si chiamavano Jimmy e Lilly e si volevano molto bene, tanto che vivevano insieme. Un giorno, mentre i due riposavano tranquilli nella loro tana, furono colpiti dal lancio di alcune lattine e bottiglie di birra che fortunatamente non li ferirono, ma danneggiarono la loro dimora. Gli scoiattoli videro che il responsabile era un gruppo di ragazzacci chiassosi, che si divertivano a colpire gli alberi con i loro rifiuti, così, per evitare il peggio, cercarono una zona più tranquilla nella quale stabilirsi. Mentre si spostavano da un albero all’altro, Jimmy e Lilly incontrarono diverse famiglie di scoiattoli americani o grigi, che ormai erano diventati molto numerosi anche se non erano originari del posto. Arrivarono al limite di una piccola radura, quando furono presi di mira da altri ragazzi che si divertivano a lanciare sassi. Forse colpiti da un sasso o storditi dall’odore di miscela bruciata che emanava un motorino entrato di nascosto nel parco, i due scoiattoli rossi svennero. Fortunatamente i due corpicini furono raccolti da una coppia di turisti coscienziosi che li riconobbero e li portarono alle guardie del parco. I due scoiattoli rossi furono portati in una zona poco frequentata dai visitatori e così, da quel giorno, vissero in pace e formarono una famiglia. 16

I Racconti del Parco 3

I due scoiattoli rossi


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I Racconti del Parco 3


Segnalato Categoria Scuole Medie

LA STORIA DI NONNO ALBERO di Marica Brembilla

E

ra un tranquillo pomeriggio di primavera al Parco dei Colli di Bergamo, gli uccelli cinguettavano, gli alberi sopra la collinetta brillavano alla luce del sole e le loro foglie ondeggiavano al venticello fresco. Osservandola, quella meraviglia, pareva un quadro dipinto su tela, uno di quei dipinti che non puoi fare a meno di osservare per minuti interi e mentre osservi ti rendi conto che è realtà e ti chiedi come MADRE NATURA possa avere creato una cosa simile. Proprio su quella collinetta, ed in quel pomeriggio così stupendo, nonno albero decise di ricordare il passato e di raccontarlo a tutti coloro che volevano ascoltarlo. Nonno albero è la quercia più maestosa del mondo, la sua corteccia è qualcosa di stupefacente: così ruvida, così piena di vita e di esperienza; le sue foglie hanno una caratteristica lamina forse la più bella tra quelle di tutti gli altri alberi, le sue fronde ormai esperte ad ospitare chiunque decidesse di sostare sotto, nascondono un posticino confortevole, tiepido e arieggiato e tra un ramo e l’altro passa qualche raggio di sole che crea un’atmosfera paradisiaca, che sa di antico anzi, di vissuto. “Questa è la storia più triste che io vi abbia mai raccontato!” borbottò con quella sua voce che richiamava l’attenzione di tutti. “Dovete sapere che io con i miei cento anni ho visto moltissime cose, moltissimi spettacoli che mai vedrò più e mai dimenticherò. Tra questi ricordo la prima volta che vidi un animale STRANISSIMO che non avevo mai visto prima, pareva diverso dagli altri perché faticava a muoversi tra le erbacce, prestava molta attenzione al modo in cui si muoveva. Io pensai che provenisse da un posto lontano, da un posto che forse, non avrei mai visto in tutta la mia vita! 18

I Racconti del Parco 3

La storia di nonno albero


Segnalato Categoria Scuole Medie

Ero affascinato, stupito da questo nuovo animale. Un giorno, notai con stupore che costui aveva bisogno di cibo, lo vidi mentre cacciava una lepre. Catturò la povera bestiola in un modo talmente strano che non sono capace neppure di descriverlo.” Il nonno fece una lunga pausa per riflettere, poi ricominciò con il racconto: “Il giorno seguente, faceva molto caldo, era estate e finalmente tutti i miei dubbi su questo strano animale pensavo di averli risolti, NON ERA POI COSÌ DIVERSO dagli altri. Rimangiai le mie parole quando un cucciolo di questi strani esseri mi si arrampicò addosso con tanta grazia e delicatezza che non mi fece neppure male, ricordo ancora il mio stupore. Quando lo strano animaletto era finalmente arrivato in cima, si aggrappò stretto, stretto ai miei rami e osservò tutto il paesaggio con una tale curiosità che quel giorno ebbi la convinzione che si trattava dell’essere più buono al mondo, ma ben presto dovetti ricredermi. Un giorno d’autunno mi si avvicinò uno di questi esseri con una strana pelliccia grigia. Questo era seguito da un branco di altri esseri, con una pelliccia arancione che fecero spuntare da un cesto delle... come posso dirvi, delle zampe, sì una terza zampa.” Nonno albero fece un interminabile sospiro, poi, deluso proseguì: “Con quella strana zampa si misero ad abbattere tutti i miei amici senza motivo, come se fossero infuriati con loro. Io avevo molta paura, tanto e non riuscii neppure ad urlare per chiedere aiuto. Volevo potermi muovere per poter aiutare la mia famiglia che stava cadendo al suolo. Io non so ancora perché fui risparmiato e per questo ringrazio MADRE NATURA di vivere in questo parco protetto! Da quell’orribile giornata capii che l’animale speciale è fondamentalmente egoista tanto da diventare malvagio, perché continua a maltrattarci senza nessun riconoscimento di tutto ciò che noi facciamo per lui.” Nonno albero non riuscì a trattenere la rabbia ma con la sua solita pacatezza e tranquillità aggiunse: “Solo i cuccioli di questi strani animali, ancora ingenui e giocherelloni non hanno alcuna intenzione a farci del male!” Tutti gli alberi fissavano il nonno con una faccia stupita e perplessa, l’unico che sorrideva era il piccolo pioppo ancora troppo giovane per capire che quella storia fosse realtà. Con la sua vocina squillante 19

I Racconti del Parco 3


Segnalato Categoria Scuole Medie

e curiosa chiese: “Ma nonno come si chiama questo animale?” Il nonno esitò prima di rispondere e poi con un filo di voce disse: “Mio caro piccolino, tutti lo chiamano UOMO ed è proprio quella la sua specie!”.

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I Racconti del Parco 3

La storia di nonno albero


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I Racconti del Parco 3


Primo classificato Categoria Scuole Superiori

VERDE SPERANZA, ROSSO AMORE di Lorena Vavassori

R

espiravo grazie ad abbracci che lasciavi, bevevo carezze che scambiavi, mangiavo baci che rubavi, si: vivevo di te. Eri come la cioccolata calda nell’inverno più freddo, il ghiacciolo più dissetante nell’estate più torrida, eri il fazzoletto di carta nel pianto più disperato, i due cucchiaini senza cui non amerei tanto il caffè; stavo bene senza di te, ma quando sei arrivata hai reso ogni cosa splendida, tutto valeva la pena essere ricordato, con te ogni cosa mi sembrava nuova. Se mi avessero chiesto cosa mi veniva alla mente nominando l’amore, avrei risposto che la mia mente portava in superficie l’immagine di un cielo stellato, il profumo del sole che scalda la pelle e il rumore o chiamalo suono dei passi sulla neve appena caduta. Indirettamente ti avrei nominato, tu riuscivi ad essere tutte queste emozioni in un solo istante. Non so come spiegarlo, era come se mi sorridesse il cuore. E mi chiedo ancora come riuscivi a vederci stralci di cielo nei miei occhi somiglianti al colore della cioccolata fondente. Ma ora tu non ci sei e mi manca sentirti canticchiare sotto la pioggia, mi mancano quelle note che mi facevano abbozzare un sorriso. Il segno del tuo esserci stata l’hai lasciato dentro, nel mio stomaco ci sono ancora tutte quelle ali di farfalle che sbattevano nel vederti; su questa mia carta d’identità non è riportato nei segni particolari che ho una cicatrice sul cuore che parla di te. Hai lasciato un vuoto che non riesco a colmare. Almeno l’assenza che mi hai consegnato posso considerarla mia? Lui ti ha portata con sé, mi domando come abbia potuto sottrarre tanta bellezza, tanto splendore al mondo. Lo chiamo egoismo, con me eri così rigogliosa, così viva. Nonostante nei tuoi capillari scorresse verde la linfa son certo defluisse anche il rosso dell’amore per il sole che ogni giorno si prendeva tanta cura di te da farti crescere un poco alla volta, per la pioggia che ti dissetava e per l’ossigeno che ti faceva respirare là dove il mio amore era tanto da toglierti il fiato. Lui ha 22

I Racconti del Parco 3

Verde speranza, rosso amore


Primo classificato Categoria Scuole Superiori

pensato solo a se stesso, averti per lui e sottrarti quella corolla tanto bella che riusciva a metteva allegria è stata la cosa più crudele che potesse fare. L’inquinamento ti ha portata via ed io, beh io il tuo profumo non lo dimentico, ce l’ho stampato in testa, nel cuore. Questo grigio verrà sconfitto, prima o poi. Confido in questo, confido nella giustizia. L’ulivo che stava di fronte a noi in questo Parco del Colli, in questo nostro parco, è ammalato, quel grigio gli sta pietrificando il cuore, tutto il grigiore gli è entrato dentro, aveva fame di vita e l’ha sottratta a lui, quelle foglie sempreverdi piangono e tremano, ma non per il freddo. Tremano al pensiero di dover lasciare per sempre quei rami ormai tanto cari, quei rami che si sorreggevano anche nei giorni e nei momenti più difficili. Ho paura che un giorno tutto questo verde non basterà a quel grigio, per questo voglio fermarlo, voglio renderti giustizia, voglio farlo per te, perché ricordo i tuoi occhi brillare ogni mattina al sorger del sole e la tua felicità nel veder questi nostri petali bianchi e questo fragile stelo, illuminati dal chiaror del sole. Ti dicevo che non avendoti accanto non sarei più riuscito in niente. Mi sbagliavo. Non so se mi vedi, riesco ancora a sentir la tua mancanza. Nonostante ti abbia portata via questo inquinamento rimarrai per sempre mia, il tuo ricordo mi appartiene. Rimarrò in vita per aiutare gli altri fiori, gli arbusti, lo farò perché non sono stato in grado di aiutare te; amore. Ti ringrazio per tutto quello che mi hai dato, per tutto quello che mi hai fatto vivere senza mai chiedere niente in cambio. Se chiudo gli occhi lo sento ancora battere il tuo cuore, sarai sempre accanto a me. Sei stata l’unica a cui son riuscito ad associare l’immagine di una compagna che poteva essere per tutta la vita e se mi chiedi come ho fatto ad innamorarmi di te nemmeno io so rispondere, nemmeno io te lo so spiegare ma è successo e il mio cuore è per te, questo bacio che mando fin sopra le nuvole è per te. Nemmeno le stelle si vedono questa sera coperte da nuvole cariche di pioggia, allora tu sei la mia stella, che sei coperta dal troppo amore che ti dedico. Piange anche il cielo, se tu non sei con me. Semplice, fresca e pura eri tu. Mi mancherai, Margherita mia. Ti amo e ti amerò sempre. Tuo Fiore.

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I Racconti del Parco 3


Secondo classificato Categoria Scuole Superiori

CUMULI E NEMBI di Michela Raccagni

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na truppa di cumuli si divertiva ad assumere il calco delle figure più disparate. L’ombra di un leone rincorreva quella di una gazzella, mentre uno squalo veniva montato da un coniglio. Sulla terra i bambini puntavano l’indice verso il cielo, e gridavano ai genitori di fare lo stesso. Ogni persona vedeva un’immagine differente, girava lo sguardo, e confrontava la sua interpretazione con quella del vicino. “Lo vedi? Lo vedi il cigno? È proprio lì!”. “A me sembra più un orecchio gigante” rispondeva l’altro. “E cosa dici di quel fiore? A destra, ecco!”. “E la tartaruga con la testa piccola? È proprio sopra di te!”. I cumuli intrattenevano le persone per le strade e nei parchi, e da divi quali erano, si facevano fotografare nelle loro pose migliori. Ma non a tutti questi destavan simpatia: i cumuli avevano dei fratelli, i nembi, che eran noti nel cielo e sulla terra perché rancorosi, grigi di rabbia e gonfi di lacrime. Erano invidiosi della gloria e della popolarità che i fratelli avevano fra gli umani. Loro portavano la pioggia, purificavano la terra e nutrivano i raccolti. Avevano un ruolo centrale nella vita dell’uomo, eppure il loro arrivo non era accolto altrettanto calorosamente. “Ah! Dai andiamocene, si sta facendo brutto”. A quell’insulto seguì un tuono, e poi la pioggia.

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Cumuli e nembi


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Secondo classificato Categoria Scuole Superiori

UN POSTO CHIAMATO ACQUACRISTALLO di Greta Carminati

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cquacristallo. Piuttosto Acquasporca, Acquaputrida, malsana, torbida, maleodorante. Già, quel nome non si addiceva più al laghetto, un tempo il più suggestivo di Verdelaguna, ora circondato da fabbriche e frequentato da motoscafi. Eppure agli occhi di Kyana la bellezza di quel parco restava intatta. I capannoni, che si ergevano alti fra la scarsa vegetazione che costeggiava la riva, le imbarcazioni, che attraversavano le acque e le annerivano di fetido carburante, i rifiuti, che spinti dalle onde affioravano a riva, rendendo la terra sporca e maleodorante erano presenze inquietanti alla vista di Kyana. Forse perché vedeva quel luogo col cuore piuttosto che con gli occhi. Un cuore di pesce, sereno e semplice, senza particolari ambizioni, senza grilli per la testa. Quando era ancora una pesciolina, Acquacristallo era ben diversa. Di tanto in tanto le tornavano alla mente quei giorni nei quali, al fianco della mamma, nuotava seguendo la linea della costa. Partivano dal punto nel quale gli arbusti acquatici sembravano voler toccare l’acqua, e poi proseguivano in direzione della casa del vecchio pescatore, e più avanti, attraversando il piccolo molo dove gli abitanti del villaggio erano soliti attraccare le loro barchette. La terra umida, scaldata dal sole, impreziosita da qualche sassolino che di tanto in tanto veniva spinto a riva dalle acque; l’acqua, limpida e tiepida, colorata dai pesciolini che si muovevano in banco spaventati dalla solitudine; l’aria, impregnata di gioia delle voci dei bambini e profumata di sole, di vento, di bosco; la sensazione che le riempiva la pancia quando sfrecciava veloce fra le gambe di un bagnante, erano un dolce ricordo nel cuore di Kyana. E ora, osservando il sole immergersi nel lago e le nuvole tingersi di rosa, sentiva di appartenere a quelle acque, ma uccidendo quel luogo gli uomini stavano uccidendo anche lei. Avevano ucciso anche la sue uova. L’acqua nera le aveva uccise. Solo 26

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Un posto chiamato acquacristallo


Secondo classificato Categoria Scuole Superiori

Azzurro si era salvato, il suo unico figlio, che amava più di ogni altra cosa al mondo. A differenza di quanto pensano gli uomini, anche gli animali hanno un cuore, e le piante con loro. La natura li ha creati diversi, e la diversità, come è ben risaputo, allontana. Kyana era solo una pesciolina, eppure sentiva nei confronti di suo figlio lo stesso amore che ogni madre umana prova nei confronti del proprio bambino. Un amore che da solo basterebbe per vivere. E noi tutti conosciamo il dolore che pugnala una madre quando la vita le sottrae il frutto del suo ventre, perché fu quello che travolse Kyana. Era un giorno di pioggia. Le acque erano particolarmente movimentate dal passaggio delle imbarcazioni, che con i loro motori iniettavano veleno nel lago. Il canale di scarico delle fabbriche di quello che, un tempo, era il parco Verdelaguna, gettava indisturbato le sue acque assassine nella casa di Kyana. Una chiazza nera sospesa nell’acqua, minacciosa, intimoriva gli abitanti di Acquacristallo, portatrice di morte. Azzurro giocava con il piccolo di Felicita, una vecchia trota molto intelligente che viveva al largo. Più volte Kyana si era raccomandata con Azzurro. Doveva stare lontano dalla ‘Bestia Nera’. Era un animale cattivo, pronto ad attaccare chiunque gli si avvicinasse. Ma Azzurro era un pesciolino curioso, che non si lasciava di certo intimorire dalle parole della madre. Forse per gioco, forse per spavalderia, Azzurro si avvicinò alla Bestia Nera, che in un attimo lo inghiottì. Ne uscì qualche minuto dopo, ma ormai le sue branchie avevano incanalato l’acqua nera. Azzurro non aveva possibilità. Kyana lo capì subito. Quando lo vide sentì il cuore strizzarsi dentro mentre implorava pietà. Azzurro era disteso sul fondo del lago. Stava morendo. E lui se ne stava rendendo conto. La ghiaia era gelida, ma gli era amica. Formando un piccolo giaciglio, sembrava volerlo proteggere. La luce era debole, ma illuminava la madre che si dirigeva verso di lui, sicché la faceva risplendere, quasi brillare. Ogni squama sembrava riflettere un colore diverso, tanto da credere che lei diffondesse luce propria. Lo guardò, e subito vide nei suoi occhi la morte. Era finito, e lei con lui. Resistette circa un’ora. Kyana gli sussurrava parole di conforto, parole d’amore. Gli sorrideva. Doveva fargli capire quanto lo amasse attraverso quel 27

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Secondo classificato Categoria Scuole Superiori

sorriso. Si dovevano arrendere, lo avevano compreso entrambi. Con la pinna gli sfiorava il muso, gli chiudeva gli occhi, quasi a voler anticipare quel momento che sembrava non voler arrivare mai. E poi le branchie cessarono di muoversi. La madre baciò suo figlio. Poi alcuni pesci, che nel frattempo erano accorsi, avvolsero Azzurro in un’alga verde. Kyana restò immobile, ferma ad osservare ciò che restava del suo piccolo. Nessuno provò a smuoverla. Restò così tutto il giorno, e poi tutta la notte, con lo sguardo fisso, catatonica. Pensieri oscuri ‘pensieri di pesce, ovviamente’ le si agitavano nella mente. Forse malediceva il genere umano, che assetato di denaro aveva creato la Bestia Nera; forse malediceva se stessa, per aver permesso al piccolo di giocare nonostante il pericolo mortale; forse malediceva Azzurro, per non aver badato alle sue parole, per essersi ucciso con le sue stesse mani. Invece, forse, stava ringraziando il cielo, perché le aveva regalato quella creaturina che le aveva donato tanta felicità. Poi, quando il sole era ancore sonnolento, di scatto si girò. Si mise a nuotare, non una parola, non uno sguardo. Quel pomeriggio le fabbriche si accorsero che qualcosa non andava. I macchinari non riuscivano a smaltire gli scarti. Probabilmente qualcosa ostruiva il canale di scarico, constatarono i tecnici. Dopo qualche ora si risolsero ad inviare tre addetti subacquei per controllare la fuoriuscita dei prodotti di scarto. Ciò che trovarono fu parecchio curioso ai loro occhi. Decine, forse centinaia di pesci fermavano il getto di rifiuti, morti. Sorpresi, i subacquei finirono per ributtare i pesci morti in acqua, e fra questi c’era Kyana. Nessuno comprese che i pesci del lago avevano voluto, almeno per un giorno, fermare quell’onda di morte e distruzione che gli umani chiamano ‘inquinamento’.

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Un posto chiamato acquacristallo


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LA VOGLIA DI CRESCERE di Eliana Russo

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anto tempo fa, in un grande parco verde nei pressi di Bergamo, vivevano, in una casa sopra ad un albero, un folletto ed una topolina. Nonostante la forte amicizia tra i due, più il tempo passava e più Topolina diventava triste. Folletto le chiese perché non fosse più felice come una volta e lei rispose: “Questa casa è vecchia, è tanto tempo che abitiamo qui e non abbiamo ancora riparato il tetto!” esclamò. “Non abbiamo nemmeno appeso uno dei miei quadri, non c’è un divano comodo e tanto meno la televisione. E poi guarda la cucina, non abbiamo nemmeno i piatti e le padelle!”. “Ma non ci servono tutte queste cose!” rispose Folletto. “Si invece!” disse Topolina “Sono urgenti, sono mesi che te lo dico e adesso sono davvero stanca, me ne vado!”. Dopo una lunga discussione Topolina uscì di casa e Folletto la guardò triste, triste, mentre lei se ne andava con un passo svelto verso il bosco. “Tornerò quando avrai pulito, riordinato e arredato la casa!” esclamò Topolina, salutando il suo amico. Ogni giorno che passava a Folletto sembrava che i secondi fossero minuti, che i minuti fossero ore e che le ore fossero intere giornate e, più il tempo trascorreva, più sentiva la mancanza della sua amica. Dopo aver raggiunto una somma considerevole di denaro, chiamò suo fratello Ermellino e gli spiegò quanto era successo. Ermellino, che era proprietario di un grande negozio di arredamento ed accessori per la casa, disse a Folletto “Non ti preoccupare! Ti aiuterò io!”. Il giorno seguente, Ermellino e Folletto andarono in negozio insieme e cercarono delle assi di legno per 30

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La voglia di crescere


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riparare il tetto, chiodi e un martello, un divano grande e morbido e una televisione dell’ultimo modello. Dopo aver caricato il tutto sul dorso di due asinelli, Folletto si ricordò che aveva dimenticato i piatti e le padelle. Tornò in negozio di corsa e, dopo averli recuperati, si affrettò a raggiungere il fratello. Controllato che tutto fosse stato caricato, Ermellino chiuse il negozio e condusse i due asinelli sotto alla casa sull’albero di Folletto. Appena arrivati, i due fratelli scaricarono il tutto sul grande prato verde e salirono in casa a pulire i pavimenti, le pareti e i pochi mobili presenti. In un batter d’occhio Ermellino riparò anche il tetto e aiutò il fratello a ridipingere le pareti della casa, ma ormai erano le quattro del pomeriggio e doveva tornare al negozio, i clienti non potevano aspettare! Così Folletto si diede da fare, scese dall’albero e iniziò a portare in casa tutto ciò che aveva comprato, ma c’era un problema: come e dove si metteva il divano? E i quadri di Topolina dove bisognava appenderli? Ma soprattutto, la televisione in che posto doveva essere posizionata?. Allora, pensandoci e ripensandoci, mise il divano capovolto, al centro della casa e ci appese sopra i quattro quadri che Topolina aveva dipinto qualche settimana prima. Mise le padelle sul tavolo e sopra ad ognuna ci posizionò un piatto. Dopo essersi guardato attorno molto attentamente, decise di appendere il televisore ad un ramo che entrava dalla finestra, nonostante fosse in bilico. Soddisfatto del proprio lavoro Folletto indietreggiò e si complimentò: “Davvero bello! Topolina ne sarà veramente entusiasta! Sarà orgogliosa di me!”. Detto questo scese dall’albero ed andò a cercare la sua amica nel bosco per poterle mostrare il risultato ottenuto. Folletto andò a trovare tutti i loro amici nella speranza di trovarla, ma Topolina era andata a casa dei suoi genitori. Dopo un lungo cammino e tanta fatica, Folletto bussò alla porta e Topolina aprì chiedendo 31

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Segnalato Categoria Scuole Superiori

“Chi è?”. Folletto rispose “Sono io, Folletto! Torna a casa, l’ho sistemata proprio come desideri tu!” Topolina incredula andò a salutare i suoi genitori e corse da Folletto ed insieme tornarono a casa. Nel tragitto Folletto le disse: “Topolina, vedrai che bella è diventata adesso casa nostra, è una vera meraviglia! Devi tornare nella casa sull’albero, mi sei anche mancata, sapessi quanto mi son sentito solo senza di te”. Arrivati in prossimità della casa, Folletto disse all’amica di salire e tenere gli occhi chiusi. Così Topolina salì per la scaletta fatta in corda, tenendosi ben salda e seguendo le indicazioni dell’amico. L’amico di Topolina aprì lentamente la porta e la condusse all’ingresso. Tenendola per un braccio le disse “Apri gli occhi!”. Lei li aprì lentamente ed esclamò “Mamma mia!! Ma cosa hai combinato! Ma guarda il divano! Ed i miei quadri! Togli subito la televisione da lì e i piatti dentro alle padelle: rischiano di rovinarsi! Prima di tutto sposta i quadri, adesso li appendiamo su quella parete in fondo, dammi una mano a capovolgere il divano, vedi come si mette? Adesso spingiamolo verso il muro. La televisione, prendi la televisione! Guarda, possiamo appoggiarla al pavimento di fronte al divano, così la sera ci sediamo sul divano e la possiamo vedere. I piatti e le padelle mettili lì, così è tutto più semplice non ti sembra?” Folletto rispose “In effetti, devo ammettere che così è molto meglio e la casa ha un aspetto migliore!” “Ora si che questa casa è bella, abiterò qui molto volentieri!” rispose Topolina. I due amici si diedero un grande abbraccio e Folletto chiese e Topolina se in futuro sarebbe rimasto nuovamente solo, ma lei rispose: “Mai”.

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La voglia di crescere


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SMOGOMORFO di Eva Castelli

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unque dunque, siete pronti miei cari nipotini? Come per cosa? Ma per la storia di oggi. È una storia molto bella, però prestate molta attenzione a quello che vi racconterò perché è molto importante. Ve lo dovrete ricordare per tutta la vita e insegnarlo ai vostri figli. Bene… dovete sapere che tanto tempo fa esisteva una città chiamata Smogolandia. Era una città molto grossa, i suoi abitanti erano grigi e assomigliavano a dei mostri. Essi si nutrivano dello smog delle auto e dei gas inquinanti delle fabbriche. Erano davvero delle creature paurose. Un giorno arrivò a governare la città Smogomorfo, un mostro grande quanto quattro uomini uno sopra l’altro e che ogni giorno mangiava tantissimo smog. Era cattivo e il suo unico obbiettivo era quello di continuare a ingerire schifezze. Infatti aveva la smogartrosi, una strana malattia: aveva bisogno di mangiare tantissimo gas che lo rendeva molto forte e denso, quasi come una gelatina. Tuttavia, se non fosse riuscito a trovarne enormi quantità tutti i giorni, si sarebbe via via alleggerito come una nuvola fino a scomparire. A causa della sua arroganza un giorno venne cacciato dalla città e il povero Smogomorfo si ritrovò senza un posto dove andare. Camminò per giorni e pian piano si indeboliva sempre più. Era stanco e si sentiva solo e per di più aveva una gran voglia di mangiare. Ma un po’ per la paura e un po’ per l’agitazione Smogomorfo si ritrovò nel posto in cui non avrebbe mai voluto trovarsi: in una foresta, ricca di alberi, dolci animaletti e libera dalle puzze e dall’inquinamento 34

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Smogomorfo


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della città. Povero Smogomorfo, era stato davvero sfortunato. Quella foresta era un vero labirinto e il suo stomaco continuava a brontolare, sembrava dicesse: “Smog, ho voglia di smog, ti prego, trova dello smog”. Nel frattempo tutti gli animaletti della foresta si erano nascosti e avevano un grande paura. Eh sì, possiamo dirlo: Smogomorfo era davvero spaventoso e brutto… Poveri cuccioli… i piccoli abitanti inoltre non erano abituati a sentire quell’odore di città, perché come voi ben sapete, l’aria delle foreste e dei boschi è pulitissima. Infatti miei cari bambini, ricordatevi che se mai andrete a fare una gita in uno di questi posti, respirate a pieni polmoni perché quella è l’aria più pulita al mondo. Comunque torniamo al mostro della nostra storia… stavamo dicendo che per caso Smogomorfo finì nella foresta di Umpalandia. Si chiamava così perché era popolata da piccole creature, gli Umpalosi, che avevano un cuore grandissimo e la loro filosofia era quella di ‘aiuta sempre chi si trova in difficoltà’. Il nostro mostro, si accorse velocemente di questa loro qualità e così chiese loro: “Scusate miei cari amici, non è che per caso sapreste dirmi dove si trova la città?”. Gli Umpalosi non sapevano cosa rispondere, la città per loro era una cosa pericolosissima e nominarla per loro era quasi peccato… Allora Smogomorfo cercò di giustificare la sua domanda e disse così: “Vedete, io sono un bravo cittadino; io mangio lo smog così pulisco l’aria inquinata” e così facendo ingannò i nostri piccoli amici che, allibiti dalla dolce azione del mostro, strinsero subito amicizia. Non si accorsero però che le intenzioni del loro nuovo amico erano tutt’altro che buone… Egli infatti iniziò, sbuffando in continuazione, a far uscire dalla sua bocca quanto più smog riusciva. Il suo obbiettivo era infatti quello di rendere tutti i posti buoni, pacifici e salutari, posti orrendi e 35

I Racconti del Parco 3


Segnalato Categoria Scuole Superiori

puzzolenti in modo da creare un intero universo per lui e per i suoi simili. Spaventatissimi per quello che gli stava succedendo, gli Umpalosi andarono subito a chiamare il loro capo. Erano davvero nei guai, non sapevano come fare: un mostro di dimensioni enormi gli stava distruggendo la casa e degli esserini come loro non avrebbero mai potuto competere con Smogomorfo. Poi però si decisero: non importava la dimensione, l’importante era salvare la natura, la più grande amica dell’uomo. Si riunirono tra di loro e dopo una guerra che durò ben tre giorni, gli Umpalosi riuscirono a scacciare il mostro. Povera foresta, come era ridotta… La natura rigogliosa si era trasformata in una cosa grigia, puzzolente e triste… Poveri Umpalosi! Ma non rattristatevi miei cari bimbi, perché l’amore vince sempre. Con grande impegno e costanza, dopo lunghe giornate di lavoro la foresta tornò come prima. Ma non bastò il lavoro manuale, ci volle anche tanto tanto amore. La natura bimbi miei è il più grande dono di questo mondo: pensateci, in primavera ci dà fiori e profumi, d’estate e in autunno frutti davvero buonissimi e d’inverno paesaggi splendidi. Dunque la morale di questa storia è molto semplice: curate la natura come se fosse una di voi, non fatele nulla di quello che non vorreste fosse fatto a voi.

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Smogomorfo


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Primo classificato Categoria Adulti

VELOCE

di Claudia Moietta

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itto. Zitto. Silenzio. Non fare rumore. Stai fermo. Parlo con Osvaldo, il mio cane. Non tace mai, quando deve. Siamo a riposo in giardino, io e lui. Abbiamo lavorato intensamente, io e lui. Io ho scavato, zappato, dissotterrato e piantato bulbi e semi nuovi. Lui si è preso cura di me, con lo sguardo e con il suo naso attento. Come in questo momento: ho colto nel tamburellare nervoso della sua coda, nel sussulto del respiro e negli occhi sgranati, qualcosa di insolito, di inconsueto in questo pomeriggio pacato. Gli batto la mano sul pelo scuro. Un gesto, uno soltanto, per fargli capire che ho inteso, ma lui deve fare silenzio, stare tranquillo. Ho capito. Più in là, in fondo al giardino, dietro al ticchettio assordante di un picchio, a lato del nocciolo più anziano, lì, c’è qualcosa che si muove. La curiosità mi tira l’angolo destro del labbro in un sorriso sottile, quasi non volessi fare rumore. Provo ad alzarmi, questa panca di legno ha abituato il mio corpo in una posizione lontana dal mio essere naturale. Mi sforzo e carico il peso sui polsi. Ecco. Piano mi avvicino a quella novità che si muove. Osvaldo mi guarda. Osserva. 38

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Veloce


Primo classificato Categoria Adulti

Piano, sempre più piano, con indosso gli zoccoli in legno e cuoio che uso per i lavori in giardino, mi avvicino a passileggeri schiacciando con tutto il mio peso le foglie che ormai sono garza sottile, rimaste a terra dall’autunno passato. Sono davanti al nocciolo. Vedo qualcosa. Si muove. Sorrido. È una civetta. Immobile e con gli occhi sbarrati. Ha paura. Mi guarda e di certo non sa che non voglio mangiarla, che non voglio predarla. Ma comunque, non riesce a scappare. Non vola. Mi piego leggera verso di lei, mi avvicino e con le mani la prendo, facendo attenzione. Ha un piumaggio folto e sottile, credo sia un giovane esemplare finito nel mio giardino chissà per quale destino. Forse proprio lo sguardo basso di Osvaldo ne sa qualcosa. Un’ala, quella destra, penzola morbida tra le mie dita. Nei prossimi giorni saprò a cosa dedicare le mie ore e la mia pazienza, quella di una donna avanti con gli anni, preistorica, come penso ogni tanto: tra un mese compirò novant’anni. C’è l’aria buona, quassù in collina, gambe forti e coraggio nell’affrontare quello che ad ognuno succede. Oggi è capitato così: una civetta ha deciso, o qualcuno per lei, che è ora di fare conoscenza con me e con il poco tempo che mi rimane. La porto nella baracca, dietro la casa. La metto in una scatola al riparo dal sole. Poi, inizio a raccontare. Sono qui da circa cinquant’anni anni, nello stesso paese. Sono sola da dieci. Da quando Osvaldo è nato. Insieme a me, una casa grande, molto grande: stanze, soffitti, tende, tappeti e tessuti. E un bosco con carpini neri e qualche castagno sparso, appena dietro al recinto di pietre, a circa venti passi dalla finestra di camera mia. Continuo a raccontare. 39

I Racconti del Parco 3


Primo classificato Categoria Adulti

Questa civetta mi ha ricordato che una volta, indietro nei giorni, sul fondo della memoria, è accaduto qualcosa di simile ad oggi. Correvo. Veloce. Scappavo da un gruppo di amici. Giocavo. Veloce, veloce, veloce, a perdita d’occhio, infilata in un paesaggio che, il mio essere acerba, ancora non apprezzava. Passavo, di corsa, come un treno, su corridoi di foglie, schivando coi piedi nugoli di colori e profumi di cui ignoravo nomi e cognomi: peonie selvatiche, gigli, iris, genziane, narcisi e primule sempre più spettinate. Correvo sempre, che se solo potessi farlo ora, in questo momento, punterei a raggiungere quel punto, in fondo al bosco, sotto la farnia curva e ritorta, mi butterei sul prato e via, a pensare. Quel giorno, quasi un secolo fa, mi sono addentrata nel folto degli alberi, cercavo un nascondiglio diverso, non il solito restare accucciata dietro i cumuli di legna tagliata. Mi ero accorta, fermandomi con il fiato spezzato da una corsa in salita, che sul fianco del mio piede c’era, immobile, una piccola palla scura, pelosa. Era un riccio. Piccolo, grosso come una mano, la mia mano di bambina, era avvolto su se stesso, in un gesto di difesa. Con le mie dita ricordo il tentativo di scartocciare quell’ammasso di aghi, per poter vedere il muso appuntito di cui avevo solo sentito parlare. Mi ero dimenticata, in un attimo, che stavo giocando. I miei amici, di certo rimasti più a valle, avevano preso un posto secondario, a lato della mia mente. Il riccio aveva catturato tutta la mia pazienza, la mia attenzione. Mentre provavo, ancora inesperta, a intromettermi nel nucleo privato di questa pungente creatura, col naso avevo fiutato un odore strano, che mi avrebbe accompagnato ancora per molto: era un sentore di sottobosco, forse di marcio o di qualcosa di simile, più nobile, ma che non sapevo definire a parole. Sapeva 40

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Veloce


Primo classificato Categoria Adulti

di foglie umide, di ghiande schiacciate, di quell’odore che hanno le scarpe bagnate. Mi rimase nel naso, per ore. Sono tornata a valle, quel pomeriggio, a piedi, veloce, accompagnata da quel tesoro che tenevo avvolto nel margine ruvido del mio maglione. Aveva una zampa ferita, quel riccio, che chiamavo semplicemente così, riccio, lontana dall’abitudine moderna di dare un nome ad ogni cosa. Mostrato l’ammasso di aculei agli altri bambini, correndo ero andata a casa dove, come oggi, l’avevo riposto in una cesta, al sicuro. Qualche settimana è il tempo che ci mise, quel riccio, a sistemarsi da solo, con le sue forze. Una sera, a riparo dai predatori, l’ho liberato: è sparito, veloce, dietro al biancospino, forse un’affinità naturale di spine pungenti ed aculei. Sto raccontando. E Osvaldo credo mi ascolti. Ora c’è una civetta, piccolo rapace notturno, col becco curvo e gli occhi più grandi del resto del mondo. Come mi piace questo animale. Rimango seduta, nella baracca, ascoltando i bisogni del mio piccolo ospite. Mi convinco che non sia per nulla casuale il suo arrivo qui; fosse caduto poco più in là si sarebbe trovato nel bosco, forse qualche volpe o un tasso gli avrebbe messo paura. Qui ha trovato riparo. Avrà sentito l’odore di quiete che annuso da tempo nel mio giardino. Mi fanno male le ossa. Mi sento, a tratti, così vicina a quegli alberi che circondano i muri di casa. Crescono, ingrossano, ingrassano e si contorcono piano, come me. Dietro al legno, nelle fibre spugnose, hanno ricordi lontani, anche loro, come le persone che sanno invecchiare. Negli anni ho imparato ad accogliere questo paesaggio, l’ho riscritto, ho ricalcato sulla mia pelle i suoi solchi, la terra, gli odori. È diventato parte di me. Sul mio corpo, simile ad una mappa, ci sono i segni di tutto quello che ho visto, toccato, assaggiato; ciò che mi circonda è scritto sul mio corpo, è una mia parte. Nei ricordi, a volte interrotti da schegge di vecchiaia, ci sono strati di cortecce, ruvide cortecce, rumori sotto le foglie, passaggi dal sonno alla veglia con il rosso di un’averla che ti guarda da lontano. Tutto 41

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Primo classificato Categoria Adulti

questo, il mio paesaggio, mi rende felice. Mi sono distratta. Stavo raccontando. Sono passati molti giorni. La civetta sta bene. La lascerò andare. Osvaldo mi segue sul retro del muro di casa. Rimane al mio fianco, sento il suo pelo strisciare contro la stoffa del mio grembiule di lino. La civetta è lì. Sembra mi aspetti. È sera. La sollevo dalla scatola, da quel rametto di frassino che gli è servito da trespolo in queste lunghe giornate con me. Pare tranquilla. Queste settimane, da sola, l’hanno abituata alla mia presenza. È morbida, di certo più in carne di quando Osvaldo l’ha fiutata dietro al nocciolo. La riporto in quel punto, dove il bosco si innesta imponente nel mio giardino. A dividermi da questa selva di carpini neri, solo alcuni arbusti, spontanei: non ho memoria di avere mai scavato una buca per loro. Ci siamo. Osvaldo si accuccia. Lentamente, inizio la scena col gesto di appoggiarla su un ramo. La civetta freme, vuole volare. Le ali, svelte, guarite, si contraggono forti tra le mie mani. È un attimo. Prende il volo, veloce. Vorrei essere lei. Veloce, scompare. Dietro le foglie, dietro la luna, dietro di me.

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Veloce


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Secondoo classificato Categoria Adulti

COME FOSSE UN SOGNO (di un bimbo in ospedale) di Marino Pagnoncelli

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ome fosse un sogno e invece era tutto reale! Dalla stanzetta del reparto s’erano prese ad alzarsi le cose (come s’alzano i germani reali). Galleggiavano a metà i letti e le sedie; e posate e bottiglie e ciabatte scivolavano dalla finestra e poi, navigando, per il viale, e poi, risalendo, per sopra Città Alta. E dietro alle Cose, come risucchiati, se ne volano il bimbo e la compagna di letto (col seguito di madripadri e parenti); e gli infermieri, nei vialetti, col naso in sù increduli a guardarli veleggiare e salutare “Ciaociao! Marameo!”. E dopo la prima nuvoletta planare dentro il bosco dei Colli, giusto tra 2 platani e 1 castagno. E lì sotto è già tutto pronto come in un picnic, e le braciole già fumano e pizzicano il naso, e la pasta già viene scolata, e le caldarroste scoppiettano tra i bimbi in risa, e chi corre, chi fischia, chi lava e apparecchia. E siringhe flebo, pastiglie se ne stanno quiete nascoste in un cestino; le infermiere, i dottori seduti anche loro tra grandi e piccini finalmente: si versano qua e là spaghetti alle vongole, al ragù, al basilico...

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Come fosse un sogno


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Segnalato Categoria Adulti

CIÒ CHE HAI INSEGUITO di Gloria Gelmi

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i sentono altri rumori? No, solo i tuoi passi. Sulle foglie secche del bosco, nel silenzio dell’inverno. I tuoi passi e il tuo respiro che diventa affannoso, quando il sentiero si impenna e a poco a poco si riduce a una traccia incerta. La perdi e ritrovi più volte, salendo il crinale della montagna, su per ripidi pendii erbosi e risalti di roccia. All’improvviso sobbalzi: un battito d’ali frenetico, qualcosa che vola via veloce da un cespuglio vicino, disturbato dal tuo arrivo. Qualcosa di grosso, ma non fai in tempo a vedere. Vi siete spaventati a vicenda, senza volerlo. Non hai mai avuto paura degli animali. E anche loro si sono abituati alla tua presenza, hanno cominciato ad avvicinarsi alla casa ogni giorno un po’ di più, sentendo che non c’era nulla da temere. Si sono lasciati addomesticare come la volpe del Piccolo Principe, spontaneamente. “Che caldo fa!” pensi, mentre sali ansimando, in maniche corte. “Tre gennaio duemilasette. E c’è ancora chi ritiene il global warming un’invenzione degli ambientalisti…” Ma fra poco il sole tramonterà - le giornate sono corte - e allora il freddo si farà sentire. Quando arriverai in vetta, forse starà già imbrunendo, e il mare non sarà nemmeno più visibile. Peccato, ma tanto l’hai già ammirato molte volte. Fin da quando avevi solo pochi anni di vita e su quella cima ti portava il Nonno. Amavi quei sentieri, che incontravi nei pressi della sua casetta di pietra e che s’inerpicavano su per il monte. E quanto ti piaceva andarlo a trovare in quella sua dimora dal sapore antico, isolata, raggiungibile dal paese solo a piedi. Poi il Nonno era morto e - giorno dopo giorno - la casetta di pietra era diventata un rudere. Nel 46

I Racconti del Parco 3

Ciò che hai inseguito


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frattempo, però, era giunto il momento di andare a studiare in città. Anche se il tuo cuore era rimasto sempre lì, e smaniavi per tornarci. Ma che avresti potuto fare in un paesino dell’entroterra, ignorato dai turisti, con in tasca una laurea in scienze naturali? Non ti era rimasto che ingrossare le fila dei pendolari settimanali: ogni lunedì mattina autobus, treno, metropolitana. E attorno a te, in quella grande città, facce imbronciate o assonnate, conversazioni banali, pochi sorrisi. Quel frastuono onnipresente, quell’aria così pesante da respirare, quel colore grigio dominante anche quando non c’era la nebbia. Sognavi i tuoi giri nei boschi e non vedevi l’ora che arrivasse il venerdì per fuggire. Per risalire sulla montagna e vedere in lontananza il mare. Nei giorni limpidi riuscivi a distinguere la striscia chiara delle spiagge, oltre la fascia scura dell’urbanizzato distesa su quasi tutto il litorale. Immaginavi la sabbia brulicante di corpi e il caos che doveva regnare laggiù, mentre lì, sulla vetta, tu ti crogiolavi nell’infinito. Potevi addirittura scorgere il faro, sul promontorio all’estremità della costa; o forse ti piaceva credere di vederlo, là dove sapevi che c’era. Il tramonto arrivava sempre troppo in fretta, e allora guardavi verso Ovest l’arancio del cielo diventare rosa e turchese, e quindi lasciare posto a un blu sempre più intenso, mentre giù - lungo il mare - si accendeva un nastro di luci. Ti lasciavi rapire dalla magia di quel momento, ma subito dopo c’era già un altro lunedì. Non erano le persone più intelligenti, né le più creative, né le più intraprendenti a fare carriera, nell’ente in cui lavoravi: ci avevi messo poco a capirlo. Ma qual era l’alternativa? Gli anni passavano veloci e tu avevi la sensazione di trovarti su una giostra che girava sempre più vorticosamente, dalla quale non potevi più scendere. E poi c’era lei, pur così lontana da te: una tipica city-girl! Chissà perché ci si sente attratti da chi è tanto diverso? Perché ci si innamora sempre delle persone sbagliate?

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A volte, ancora oggi, ciò che hai fatto ti sembra incredibile. Dove hai trovato il coraggio, non più giovane, di buttare tutto all’aria? Eppure è vero, non stai sognando: il rudere del Nonno ora è la tua casa. Ricostruito con le tue mani, pietra su pietra: un piccolo modello di abitazione eco-compatibile. Non è stato facile inventarsi un modo per vivere lì, ma a questo servono l’intelligenza, la creatività e l’intraprendenza. I tuoi clienti, che preferisci chiamare ospiti, vengono quasi tutti dalla città, in cerca di pace e di natura. Fuggono dallo stress, ma alla lunga si annoierebbero senza televisione, senza stadio, senza bar. Non sono molti, perché lì non si può arrivare in auto, ma a te bastano. Hai tutto ciò che ti serve per considerarti felice: i colori dei tramonti, la vista del mare dalla sommità del monte, il silenzio, i tuoi amici animali che si spingono fin sulla soglia di casa. Hai tutte queste stelle, che laggiù in città non si possono vedere. No, lei non c’è. Ormai lo sai che non verrà mai, e che la tua unica compagna sarà la solitudine. Ma hai capito che non è indispensabile per sentirti in equilibrio. Il sole è calato da un pezzo quando arrivi sulla cima: il cielo sta già diventando scuro. Sarà bello scendere al buio, dopo, ascoltando la notte nel bosco. Lo hai già fatto tante volte e di certo non rischierai di perderti, su quel sentiero che conosci bene. Adesso, però, vuoi fermarti qui per un po’. Per sperimentare il presente, senza pensare a nient’altro; per arrenderti a lui. Per immergerti nell’estasi di quest’attimo e lasciarla penetrare in ogni poro della tua pelle, fino a riempirti. Per annegare e annullarti. Guardi giù verso il mare: si vede il nastro luminoso lungo la costa, ma tu punti gli occhi verso una direzione precisa, dove sai di trovare ciò che hai inseguito in tutti questi anni. Per qualche secondo non accade nulla, e questa attesa che sembra lunghissima inizia a inquietarti. Poi, all’improvviso, compare la luce del faro. 48

I Racconti del Parco 3

Ciò che hai inseguito


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DUE VOCI

di Valentina Costa

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ome sono forzuto! Liscio e candido ed allo stesso tempo resisto a tutto. Complimenti a questo bestione di ferro, macchinario che m’ha creato! Ricordo a malapena quando mi trovavo nel nero più nero e profondo, un ammasso di liquame denso dall’odore nauseante. Un caldo terrificante, una stiratina ed eccomi qua, PE! Chissà, magari sta per Pietro Erminus, o Ernesto Potentus, gran bei nomi. Il mondo si ricorderà di me, mi hanno impresso il logo di un super-megamercato e mi utilizzeranno con orgoglio, sarò utile e stimato. Bene, mi adagio nello scaffale e aspetto il mio turno. Eccomi. Cavoli, come m’hanno trasformato! È dura per un chicco di mais, tanto tempo a crescere sotto il sole, nutrendomi della terra e bevendo la pioggia, ammirando albe e tramonti. Poi arriva la trebbiatrice e mica chiede permesso! Ti sradica senza nemmeno il tempo di salutare i tuoi fratelli, proprio quando la pelle è diventata lucente e la polpa soda. Che tristezza. Di tante cose che mi aspettavo dalla vita, non avrei mai pensato di diventare un sacchetto! Tzè! Guardalo lì... hai detto bene, un sacchetto! Io invece sono uno Shopper! E quel nome da perdente che hai, Mater-bi, forse sta per mammone-bisognevole?! Per fortuna non stai con me sotto il banco del registratore di cassa, ma in uno scatolone a parte. A proposito, mica male le gambe della cassiera! Ma tu da lì non puoi vederle, è quello che ti meriti. 50

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Due voci


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Pazzesco. Questo tizio ce l’ha con me! Ma che vuole? Io nemmeno volevo farlo il sacchetto! E questa scritta che m’hanno messo, non mi dona per niente. Solo una cosa mi rassicura, quando nel campo parlavo con il vento, lui mi diceva sempre che siamo tutti figli dalla terra e terra ritorneremo. La nostra missione nel mondo è di dare il meglio di noi stessi e di cercare sempre la bellezza. Mi impegnerò, forse non sono più una bella e dorata pannocchia, ma devo sforzarmi di dare il meglio per ciò che sono ora. Eccolo, eccolo, arriva! È lui il mio consumatore ideale! Scatolette super firmate, bibite, merendine all’ultima moda! “Quanti shopper?” “Tre”. Benissimo, tre, ci sono anch’io! Vengo riempito fino all’orlo e me ne parto. Vedo anche dei sandwich nell’altra busta, forse ci sarà un pic nic! Molto bene... Che noia, nessuno si dirige verso questo scatolone. Per fortuna che tra di noi ci si fa un po’ di coraggio, raccontiamo storie di profumi e di campi dorati. Ma ecco che qualcuno mi prende! È una bella signora, ha una gonna a fiori e un bel sorriso. “Sacchetti?” “No grazie”. Che bontà, pane fresco, insalata, affettati e mele, speriamo mi portino all’aria aperta! Eh sì, è su una bici che mi caricano, mamma, papà, una bambina, a spasso per i parchi, questa mattina che il sole è così caldo. Come si sta bene su questa tovaglia, le gite domenicali sono proprio l’ideale. La mia famiglia mi ha portato con sé, appeso al manubrio della mountain bike. Ma... come è possibile! Ancora lui? Non mi libererò mai di te, sacchetto di Serie-bi (ah ah buona questa!). Insomma, i nostri destini si incrociano di nuovo, ma ancora per poco. Io durerò in eterno, farò tantissimi pic nic su e giù per la pista ciclabile, e non si stancheranno mai di me. Ehi! Ma che fanno! Ma come! Mi stanno appallottolando, e mi nascondono tra due alberi! Disgraziati, come se la gente non mi vedesse qui incastrato! Magari cadrò nel fiume, verrò fatto a brandelli, magari soffocherò una trota! Magari starò qui sporco e solo per... per... mille anni! 51

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Impedirò all’erba di crescere, sarò considerato un brutto residuo di inciviltà. La terra aveva ragione quando mi teneva chiuso nelle sue profondità, prima, quando ero petrolio. Com’è dolce la mia famiglia. Io non resisterò molto, sento che l’ambiente è pronto a riprendermi. Infatti una volta tornato a casa chiuso dentro lo zainetto, ecco che la bimba mi estrae, fa una buca nel giardino, mi sotterra. Il suolo mi avvolge, mi prende con sé, mi scioglie. In poco tempo ritorno ad essere terra, come mi aveva detto il vento. Il suo abbraccio è forte, ed io mi abbandono con fiducia. Sono sicuro di essere stato utile e di essere stato apprezzato ed utilizzato nel modo corretto. Chissà quale sarà il mio prossimo destino: insieme a me, la bimba, ha sotterrato un seme.

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Due voci


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VIOLA CHE VOLA

di Fiorella Cannavacciuolo

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n cielo stellato illuminava il buio della notte e mentre il canto dei grilli faceva eco al cigolio del dondolo, Viola e Lele, si raccontavano fantastiche storie che si perdevano tra gli alberi e i fiori del bosco. “Viola, guarda: una stella cadente!” esclamò all’improvviso Lele, ma un attimo dopo s’incupì, pentito per le sue parole; non riusciva a rassegnarsi all’idea che la sorellina non potesse vedere in seguito ad un incidente avuto anni prima. Ciò che riusciva a distinguere erano solo ombre. Lele adorava sua sorella e, benché fosse più piccolo, nutriva un grande senso di protezione nei suoi confronti e sfiorandole il viso aggiunse: “Però… non era nemmeno luminosa quella stella”. Viola capì e sorridendo gli scompigliò i capelli con la mano. “Credo sia ora di andare a letto” gli disse “Così sarai in forma domani per giocare con gli amici”. “Va bene” rispose Lele “Ma andremo al bosco?”. “Certo, ma solo se prometti che mi raccoglierai delle fragole” rispose sorridendo mentre si faceva guidare da Lele per rientrare in casa. La mattina seguente i due ragazzi si avviarono verso il bosco. La giornata era splendida, il cielo terso e l’aria intrisa dal profumo dei fiori. Si sentiva il calpestio dei loro passi sulla ghiaia e mentre Lele evitava accuratamente i ciottoli grossi, per facilitare il cammino di Viola, lei rallegrava il passeggio con piccoli stornelli. Il percorso fu breve. Pochi minuti dopo, infatti, avvertirono il canto del cuculo e poi il cinguettio degli uccellini che si confondeva con le grida gioiose dei bimbi. Viola, felice come sempre, sollevava lo sguardo cercando le folte chiome degli alberi tra i raggi del sole. “Portami accanto alla vecchia quercia”, disse, “Così potrò conversare con i miei amici, mentre tu raccoglierai le fragoline e le more”. “I tuoi amici?”, osservò Lele stupito, “Certo, non li conosci?” replicò meravigliata: “Ci sono la signora Quercia, i fratelli Pini, quel brontolone di don Pioppo, il dottor Castagno e le comari Betulle” precisò Viola con tono pacato ma 54

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Viola che vola


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divertito. “Complimenti!” rispose Lele ridendo: “Mi sembrate un bel gruppo di suonati”. Il ragazzino conosceva le stravaganze della sorella ed aveva sempre considerato alcuni suoi racconti come frutto di una vivace fantasia. Raggiunta la panchina, Viola si sedette mentre Lele si allontanava con la promessa di tornare a prenderla dopo aver raccolto i frutti. Aveva percorso pochi metri che subito venne distratto dalla voce dei suoi amici impegnati a organizzare una partita di calcio. Non esitò un istante, corse verso di loro e si unì al gruppo dimenticando la promessa fatta alla sorella. Viola, intanto, conversava piacevolmente con i suoi amici alberi: “Buon giorno don Pioppo, come va, riposato bene?”. “Buon giorno signorina, che dire? Potrebbe andare meglio se non fossi disturbato da quelle due pettegole delle comari Betulle che trascorrono tutto il tempo a ciarlare!”. “Noi pettegole?” risposero in coro le due, “Si conversa del più e del meno” precisò una, “ Tu piuttosto”, continuò l’altra, “Sei sempre il solito brontolone insofferente”. La risata tonante dei fratelli Pini interruppe quella buffa conversazione e, a turno, iniziarono a fare il verso al caro vecchio don Pioppo: “Che fastidio questa pioggia… oggi il sole è troppo caldo… questi grilli sono sempre stonati…”. Viola rideva divertita mentre la vecchia quercia, un po’ seccata, cercava di calmarli: “Ragazzi smettetela, non state facendo una bella figura con la nostra amica. Un po’ di rispetto!”. “Il problema è che siamo troppo vicini”, disse, intervenendo, il dottor Castagno “E la convivenza non è facile”.

Viola continuava a ridere quando, all’improvviso, delle nuvole minacciose avanzarono oscurando il cielo, si sollevò un forte vento tanto da scuotere le fronde degli alberi. La ragazza ebbe un brivido, si alzò dalla panchina e cominciò a chiamare il fratello: “Lele, Lele dove sei?”. Ma il fratellino, tutto preso dal gioco, non udì la sorella che iniziava a provare disagio dal cielo scuro che le impediva di orientarsi. Il soffio intenso del vento si confondeva con le voci degli amici alberi, Viola provò a incamminarsi verso il sentiero, ma sbagliò direzione, raggiungendo una zona nascosta del bosco allontanandosi sempre più dalla vecchia Quercia che la implorava di tornare indietro. La fanciulla proseguiva con passi incerti, riuscendo a fatica 55

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a scorgere una fioca luce che penetrava fra le fitte chiome degli alberi, inciampando su sassi e radici, rischiando più volte di cadere, mentre altre voci sinistre di alberi la sbeffeggiavano. Alcuni rami di edera cercarono di bloccarle le caviglie, mentre i rovi le sfioravano il viso e le scompigliavano i lunghi capelli. La ragazza era esausta ed impaurita, si guardava in giro sperando di trovare un punto per potersi orientare, ma fu tutto inutile. Intorno a lei solo una moltitudine di ombre che non facevano altro che confonderla. All’improvviso il silenzio, Viola avvertì una presenza. “Chi sei?” chiese impaurita, “Non ti vedo”. Ad un tratto un raggio di sole, sfuggito ad una nuvola, illuminò quella parte del bosco tanto da farle vedere un’ombra grande e minacciosa a pochi centimetri da lei. Un verso spaventoso la fece trasalire. Davanti a lei c’era un orso bruno! L’animale, solo apparentemente terrificante, viveva in completa solitudine in quella zona del bosco dove regnava un’atmosfera inquietante. Anche gli alberi sembravano strani, non si ergevano col fusto eretto ma avevano assunto una forma obliqua, quasi di difesa. Tutto l’ambiente risentiva della tristezza e della profonda condizione di solitudine causata dall’orso. “Chi sei?” chiese ancora Viola con voce tremante. Al suo cospetto l’orso chinò il capo da un lato, stupito dal fatto che per la prima volta una persona fosse davanti a lui senza urlare né scappare. Viola lo sentì vicino e allungò con coraggio la mano per poterlo toccare. Percepì il pelo irto e capì che si trattava di un grosso animale. Rimase immobile per un attimo, poi, senza esitare, gli accarezzò lievemente il capo. Ma fu solo un attimo, perché improvvisamente si sentì avvolgere alla vita e sollevare: un groviglio di foglie l’aveva afferrata, tenendola sospesa in aria, per allontanarla dall’orso. Viola non capiva cosa stesse succedendo e chi l’avesse sollevata; era il salice che, credendola in pericolo, aveva pensato di allontanarla dall’orso. I bambini, intanto, nella zona tranquilla del parco continuavano a giocare a calcetto quando ad un tratto uno di loro, distolto lo sguardo, esclamò: “Guardate... Viola che vola!”. Lele restò paralizzato dallo stupore. In un attimo realizzò di aver dimenticato da tempo la sorella e iniziò a correre verso di lei. La piccola restò sospesa in alto per qualche minuto; lo spavento e lo stupore iniziali lasciarono il posto ad una meravigliosa sensazione di libertà: le sembrava di volare, sentiva i raggi del sole 56

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Viola che vola


Segnalato Categoria Adulti

sul viso, i capelli che ondeggiavano, mentre gli uccellini le volteggiavano intorno. Viola abbassò lo sguardo scorgendo le cime degli alberi. Riusciva a distinguerne la sagoma, sotto di lei era una festa di colori tra fiori e piante di una bellezza incantevole. Più distante scorse un gruppo di bambini che correvano e fra quelli, Lele che piangeva disperato vedendola sospesa nel cielo. Il Salice dopo un po’ adagiò dolcemente Viola su un prato, mentre l’orso minacciato dagli alberi si rifugiò nella sua tana. Lele le corse incontro e la strinse forte a sé: “Scusami, è colpa mia, non avrei dovuto lasciarti sola” balbettava tra i singhiozzi. “Tranquillo fratellino, non è successo nulla di grave, piuttosto... cosa hai fatto alle ginocchia? Sono tutte graffiate”. “Sono caduto per parare il pall… ma tu come fai a vederle?” le chiese incredulo. “Non lo so” rispose Viola “So solo che ora vedo!”. I due si abbracciarono felici ed emozionati, mentre tutti gli altri gridavano di gioia. “Come sono teneri...” commentò comare Betulla. “Troppe emozioni alla mia età sono pericolose” replicò la vecchia Quercia. “Andiamo a dare la splendida notizia a mamma e papà” disse Lele. “Un attimo” rispose lei “Vorrei prima salutare il mio amico orso”. “Cosa?” brontolò il dottor Castagno “L’orso tuo amico?”. “Vi sbagliate” replicò Viola. “Quell’animale non è cattivo, è triste perché si sente solo”. Viola prese il sentiero che conduceva nella parte fitta del bosco, si tolse il nastro che aveva tra i capelli e lo adagiò sulla ghiaia in segno di amicizia, sicura che l’orso avrebbe apprezzato il gesto. Ormai l’estate volgeva al termine. Quella parte cupa del bosco si era trasformata. L’orso non era più considerato pericoloso, gli alberi, un tempo piegati, erano tornati dritti e fieri e le siepi erano colme di mirtilli, more e fragoline.L’ultima sera d’estate, Viola e Lele si dondolavano in silenzio sull’altalena nel giardino della loro casetta quando ad un tratto... “Guarda Lele, una stella cadente... esprimi un desiderio”. “Il mio desiderio è già stato esaudito” rispose lui stringendole la mano.

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I Racconti del Parco 3


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2) Sezione tematica

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I Racconti del Parco 3


Secondo classificato Categoria Adulti

LE TRE SORELLE E IL RICCIO di Fausto Sana

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era una volta, tanto tempo fa, in un bosco incantato, un riccio tutto verde e spinoso posto su un alto ramo di castagno. Dentro la pancia del riccio riposavano serene tre giovani castagne: Ania, Vania e Bretagna più o meno serene perché in effetti non facevano che litigare. Bretagna che era la più grande, la più panciuta e cicciona di tutte e tre pretendeva sempre più spazio anche se stava ad una delle estremità del riccio “Insomma voi due mingherline volete lasciarmi spazio! Non si respira qua dentro!” “E cominciava a sgomitare. Dall’altra estremità del riccio le rispondeva Vania “Piantala di spingere una buona volta, non vedi che mi stropicci il guscio!”, infatti l’altra sorella era molto vanitosa, riteneva di essere la più bella castagna. E la terza? Ania, cercava di starsene zitta e buona senza dare il minimo disturbo alle altre: infatti nel tentativo di lasciar spazio a Bretagna e di non stropicciare il guscio di pelle di Vania era cresciuta tutta in altezza, risultando lunga e stretta. Un bel giorno, al loro risveglio le tre sorelle che pensavano di essere sole al mondo e che anzi pensavano che il mondo fosse tutto nel riccio, ebbero una sorpresa stravolgente: da un piccolo spiraglio aperto nell’interno vellutato della loro casetta tonda filtrava una luce abbagliante. Dopo che i loro occhietti si furono abituati a questa nuova luce provarono a spiare fuori e videro uno spettacolo meraviglioso: alberi maestosi tendevano i loro rami formando un tetto multicolore, verde, rosso, oro, marrone... gli uccellini cinguettavano saltellando qua e là mentre becchettavano bacche, gli scoiattoli correvano indaffarati lungo i tronchi per raccogliere provviste da mangiare durante l’inverno e, sorpresa delle sorprese, videro affacciarsi ad altri ricci spinosi altre delle loro sorelle castagne. Non erano più sole! 60

I Racconti del Parco 3

Le tre sorelle e il riccio


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Ania fu molto contenta della scoperta, entusiasta disse: “Avete visto sorelle? Guardate che bello!” al contrario le due non sembravano affatto contente. “Ah tutte queste brutte castagnucole,” strepitava Vania “Guarda un po’ come sono sciupata, non mi bastava la compagnia di questa spilungona, il sole poi mi va venire le rughe e questo orrido color marrone da vecchia”. Confermando il dispiacere anche Bretagna disse la sua dalla parte opposta del riccio: “A me non importa niente, io sono comunque la castagna più grande che si sia mai vista in questo bosco!”. Durante una notte ventosa, il riccio dopo aver oscillato a lungo, si staccò di colpo dal ramò e scivolò lungo il pendio della collina sulla quale sorgeva il castagno; fu davvero una brutta notte per le tre sorelle che pensarono davvero che fosse giunta la loro fine, “Cosa sta succedendo…aiuto!” esclamò impaurita Ania mentre veniva schiacciata dall’enorme Bretagna. Al mattino, nel silenzio del sottobosco, all’insaputa delle tre sorelle si udirono i passi fruscianti di un uomo e di suo figlio che erano venuti in cerca di castagne. “Papà papà, guarda come è grossa e tonda questa castagna! È quasi il triplo di una normale”. “Ma cosa dici Giacomino” esclamò il papà dopo una grossa risata “Quella è una castagna Gengia che non si mangia. Lasciala pure tra le foglie!”. Giovannino titubante torno a chiedere al padre: “Ma se è una castagna come le altre perché non si mangia?”. “Perché” spiegò il padre “Questa castagna è nata da una pianta diversa dal castagno, è nata dall’ippocastano. È come se fosse una lontana cugina del castagno ma come dice il nome stesso fa castagne che mangiano solo gli animali”. Non passò neanche un minuto che il bosco risuonò nuovamente della voce di Giacomino “Papà papà in questo riccio c’è una castagna veramente grandissima!”, il padre con calma disse “Sei sicuro che non è come quella di prima?”, infatti Giacomino aveva trovato il riccio che conteneva Bretagna e le sue sorelle. Il bambino le tolse tutte e tre dalla loro casetta spinosa, ben attento a non pungersi, senza per questo 61

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non svegliarle; spaventate non poterono che gridare tutte insieme “Cosa succede?”. Con in mano le tre sorelle, Giacomino, consegnò la più grossa al padre che la mise nella sua gerla e si ficcò le altre due, più mingherline, nelle tasche. Padre e figlio continuarono a raccogliere molte altre castagne, alcune grosse come Bretagna, altre meno e le sistemarono tutte nella gerla, dopo di che tornarono a casa per cominciare a cucinarle. Giacomino entrato in casa corse subito dalla madre per raccontarle del grosso raccolto mentre il padre con pazienza si mise a fare un taglietto sulla grossa pancia di tutte le castagne perché il calore non le facesse scoppiare; “Non fare così” gridò ridendo Bretagna “Mi fai solletico!” e poi le mise in una padella bucata posta sopra il fuoco. Bretagna cominciò a sentire tanto caldo “Cosa succede. Cos’è questo calore?” e proprio mentre pensava di non riuscire più a sopportarlo, un’energica scrollata della pentola la fece rimbalzare addosso a tutte le sue compagne. Poco dopo la buccia le divenne tutta scura e un soave profumino si diffuse tutt’intorno. “Provane una per vedere se è cotta Giacomino”, disse il papà e il bambino scelse proprio Bretagna, “Lasciami stare. Cosa vuoi? Non sai che sono la castagna più grande ed importante che ci sia?” Giacomino non perse tempo e pelò in fretta Bretagna per non scottarsi le dita e tutto soddisfatto si mangiò la castagna. “Era proprio buona papà!”. Così finisce la storia di Bretagna, ma le altre due? Nel pomeriggio Giacomino si ricordò di avere altre due castagne in tasca e le posò sul tavolo della cucina prima di uscire in giardino a giocare. La mamma, sempre attenta a non sprecare niente le notò e rimase colpita dalla perfezione di una delle due: “Questa è proprio una bella castagna, la metterò insieme alle altre nell’essiccatoio”. Vania si pavoneggiò tutta per il complimento “Qualcuno che mi apprezza per la mia bellezza. Sicuramente l’essiccatoio è una nuova cura che mi renderà più splendente!”. In realtà la mamma salì le scale fino ad una specie di soffitta con le assi del pavimento distanti le une 62

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dalle altre quel tanto che bastava per far filtrare il fumo di un enorme fuoco acceso nella stanza di sotto. Anche Vania come Bretagna cominciò ad avere tanto caldo ed a tossire per il fumo “Se bella vuoi apparire cof cof cof, un po’ devi soffrire cof cof cof ” diceva rassegnata; in effetti dopo poco cominciò a dimagrire vistosamente, il guscio prima perfettamente liscio si riempì di rughe. Dopo questo trattamento la mamma ritornò a prendere lei e tutte le altre castagne affumicate, con tanta pazienza le pelò una ad una e le mise tutte quante in una strana macchina. “Mi hanno truffato” urlava Vania “Sono tutta una ruga e mi hanno perfino tolto i vestiti! Cosa mi accadrà ora?”. Aveva ragione di preoccuparsi, infatti in quel momento la mamma accese una strana macchina, che in realtà era un mulino, “Cos’è questo rumore! Cosa accadrà ora?” disse Vania; e tutte le castagne vennero sminuzzate fino a diventare polvere: farina di castagne. Con la farina la mamma decise di fare una sorpresa a Giacomino e gli preparò una buonissima torta mescolando insieme latte, zucchero, uvetta e pinoli cucinando il castagnaccio. Così Vania, che era sempre stata piena di sé e cattiva con tutti, divenne dolce, anzi un dolce. E Ania? Mangiando una torta si sbriciola sempre e la mamma di Giacomino volendo fare ordine cominciò con lo sbattere la tovaglia fuori dalla finestra “OOOOO… sono finita sulle montagne russe!!!” urlò Ania; la poveretta atterrò su qualcosa di molto soffice e verde, “Che bello! Come è morbido e profumato!”; si guardò attorno sconsolata e vide tante piante che non aveva mai visto prima, non essendosi mai trovata in un giardino prima d’ora: “Dove mi trovo. E le mie care sorelle?” pensò con tristezza. Giacomino abitualmente giocava lì nel prato e vedendola la raccolse proprio mentre il suo papà stava rincasando, il bambino saltandogli in braccio mostrò la castagna al papà “Qual’è il tuo frutto preferito?” domandò ridendo “Il mio sono le castagne, perché la mamma ci fa il castagnaccio”. Il papà dandogli un affettuoso buffetto sulla guancia, spiegò paziente “Ma la castagna non è un frutto! Ma il seme del castagno”. Giacomino sgranando gli occhi disse “Allora se pianto questa piccola castagna crescerà un albero grande come quelli che abbiamo visto stamattina?”. 63

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“Certo, un grande castagno che in autunno darà tanti frutti spinosi, i ricci, che non si mangiano vero? Da cui poi usciranno le castagne”. Giacomino allora corse su per la collina a perdifiato ansioso di scoprire se il papà aveva ragione e piantò con cura la piccola Ania nella terra sotto uno strato di foglie. Cosa successe poi? “Quello che so di questa storia me l’ha raccontato questo grande albero che vedete, un tempo piccola castagna che nessuno voleva, ed ora il castagno più grande di tutto il bosco”.

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LE OLIMPIADI DEL PARCO di Patrizia Paganelli

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uella notte nel parco di Collevecchio, nella sua casetta di foglie, il ghiro Casimiro non riusciva a prendere sonno. Il giorno dopo si sarebbero tenute le Olimpiadi. “Come faremo a vincere la gara di velocità? Ma proprio a me dovevano capitare una lumaca e una tartaruga nella squadra?”, si diceva sconsolato. “Ci vorrebbe un miracolo! Che ingiustizia! L’altra squadra ha concorrenti più veloci”. Mille pensieri si agitavano nella sua mente, poi finalmente sprofondò in un lungo sonno. All’alba il sole rischiarava gli alberi del parco. “Le Olimpiadi!” fu il pensiero che lo folgorò al risveglio. Era in ritardo. Si alzò e andò velocemente alla radura. Quando arrivò i suoi compagni di squadra erano tutti là, pronti che lo attendevano: leprotto Alberto, Tina la lumachina, Tecla la grossa tartaruga, Elettra la lepre e Temistocle, il tasso. Definite la squadre e stabiliti i turni di gara, si capì che la squadra di Collevecchio doveva gareggiare contro quella di Parcoverde. Casimiro scrutò gli avversari. Erano Lucetta la coniglietta, Teo il leprotto, Fulva la volpe, Saltapicchio lo scoiattolo e Anselmo il riccio. “Non vinceremo mai”, pensò fra sé. La gara iniziò. Leprotto Alberto corse contro la coniglietta e naturalmente vinse, perché Lucetta, che era vanitosa, stava ben attenta a non sporcare il suo bel pelo color neve. Elettra gareggiò contro il leprotto Teo. Nel bel mezzo della gara, Teo si innamorò della leprottina e non si accorse che per ammirare il suo bel musetto, aveva rallentato l’andatura, così la furba lepre l’aveva superato di un bel pezzo sullo scatto finale. Temistocle il tasso gareggiò contro Fulva, la volpe rossa, e si sa… le volpi sono furbe, ma non veloci e 66

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Le olimpiadi del Parco


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contro il tasso perse rovinosamente. Fu la volta di Tina, la lumaca che correva contro lo scoiattolo Saltapicchio. “So già che questa gara sarà una sconfitta clamorosa, figuriamoci se una lumaca può vincere Saltapicchio, lo scoiattolo più veloce di Parcoverde”, pensò il ghiro. “Pronti Via!” Urlò il giudice di gara. Tina si mise in moto con tutto l’impegno di cui era capace, ma ecco che dopo alcuni metri, Saltapicchio, che era partito a gran velocità, prese uno scivolone, precipitò in fondo alla radura e cadde nel ruscello bagnandosi tutta la pelliccia e la folta coda. Così arrancò in salita bagnato e appesantito. Intanto Tina procedeva inesorabile verso il traguardo. Mancavano appena due metri quando si vide spuntare Saltapicchio arrabbiatissimo e col fiatone. Lo scoiattolo cercò di accelerare, ma Tina tagliò il traguardo prima di lui. “Incredibile!”, pensò Casimiro che non credeva ai propri occhi. L’ultima gara si disputò fra la tartaruga Tecla e riccio Anselmo. La vecchia tartaruga avanzò con passo lento e cadenzato mentre riccio Anselmo correva a più non posso. Era già avanti di un bel pezzo quando il riccio inciampò in un sasso e cadde di schiena su un terreno assai vischioso tanto che gli aculei vi si conficcarono. Gli ci volle un po’ di tempo per rimettersi sulle zampe e tutto indolenzito riprese la gara. Ma ahimè, Tecla lo aveva superato. Allora stringendo i denti per il dolore accelerò. Ormai l’aveva quasi raggiunta e passo dopo passo Tecla e Anselmo tagliarono il traguardo nello stesso istante. “PAREGGIO!” Urlò il giudice di gara. “Vince le Olimpiadi del parco la squadra di Collevecchio, capitanata da ghiro Casimiro con un punteggio di 4 a 0.” Elettra e Alberto si misero a danzare per la gioia, mentre il tasso e la lumachina salirono sul guscio della tartaruga, che fece un bel giro portandoli in trionfo. “Abbiamo vinto, abbiamo vinto!”, ripeteva Casimiro per convincersi che era proprio vero. Quel giorno imparò che nonostante le circostanze appaiano avverse, si può sempre sperare nella buona sorte. 67

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I PIRIPINNÌ E IL LADRO DELLA PRIMAVERA di Stefania Petta

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rrr! Fa freddo! La neve scende lieve, poi incalza con fiocchi danzanti sempre più grossi, fino a diventare una vera tormenta. Ammanta i prati e i boschi del Parco dei Colli, del Parco delle Orobie, del Parco del Serio e dell’Adda e ancora oltre, lontano lontano. Il paesaggio sotto la sua spessa coltre candida sembra incantato. Il silenzio ovattato è rotto dal fischio del vento gelido che s’insinua tra i rami scheletrici degli alberi. In questi Parchi, lontano da occhi indiscreti, vivono omini piccini come un chicco d’orzo. Sono i Piripinnì. Il loro mondo è ben organizzato e tutti vivono in pace e in armonia con il creato. Abitano in casette costruite negli alberi cavi e negli anfratti rocciosi. Durante l’inverno si annoiano. Sospirano, sbadigliano e contano i giorni che li separano dall’equinozio di primavera che riporterà vita e colore alla natura. E finalmente, l’orologio, che scandisce il tempo delle stagioni, fa sentire il suo rintocco. Dong! Dong! Dong! Le porte delle case dei Piripinnì scricchiolano, girano sui cardini e si aprono. Minuscole teste si sporgono per scrutare oltre la soglia di casa. Sono tutti pronti per uscire all’aria aperta . Ma… Ma… Possibile? Che stranezza! C’è ancora tanta neve! Sgomento! “Mbhee?”, Frugolo resta di stucco. 68

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I Piripinnì e il ladro della primavera


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Pirimbella, rabbrividisce nel suo frivolo abitino. Il disappunto dilaga. Non c’è un solo essere contento. Una coccinella, che si è svegliata con una gran fame, piagnucola perché sugli alberi non c’è un solo afido da sgranocchiare. Il ruscello gorgoglia: “Uffa! Sono stufo di stare intrappolato in questo guscio di ghiaccio. Voglio tuffarmi nel fiume per andare al mare.” “Ohi, ahi! Com’è dura questa neve! Mi fa male la campanella.”, geme il bucaneve. Perfino gli uomini commentano che un tempaccio così non si è mai visto. Sul trono di ghiaccio, è rimasto l’Inverno! Della Primavera non c’è traccia. È evidente che si tratta di un fenomeno eccezionale senza precedenti. Bisogna far luce sullo strano mistero. Ma in che maniera? Furbolo propone di rivolgersi all’agenzia “Acciuffa Furfanti” dei famosi investigatori Commi e Sario, suoi lontani parenti. Così i due detective, agghindati con impermeabile e mantellina, in perfetto stile Sherlock Holmes, si presentano al villaggio. Appreso il motivo per cui è stato richiesto il loro intervento, partono alla ricerca d’indizi. Dopo giorni di ricerche, però, brancolano nel buio. Una vera disdetta per la loro fama! Per non trascurare nessuna pista, decidono di ascendere al regno del freddo per interrogare Inverno. Sospettano che sia la sua sete di potere a tenere lontana la Primavera. Imbacuccati, affrontano la dura e accidentata salita. Giunti in cima, trovano Inverno afflitto. Piange come una fontana. A ogni zampillo di lacrime, altra neve si riversa sulla terra. Inverno, tra una sonora soffiata di naso che genera tuoni, e un sospiro che produce vento gelido, farfuglia: “Ohi, ohi! Che sciagura! Primavera doveva darmi il cambio! Sono, invece, bloccato qui mentre dovrei essere nell’emisfero australe dove Estate mi aspetta per andare altrove. Ohi, ohi!” E giù strepiti e pianti. I detective, sono ancora al punto di partenza. Il caso è molto anomalo! Una sera, qualcuno infila, sotto la porta della loro agenzia investigativa, un biglietto anonimo. C’è scritto: 69

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Domani, alle undici, sotto la croce del Canto Alto. Ho importanti informazioni. Voglio una ricompensa. Il giorno successivo, all’ora convenuta, i due si trovano nel luogo dell’appuntamento. Poco dopo, un losco figuro ben camuffato, si avvicina e con voce falsata bisbiglia: “La ricompensa!”. Gli porgono un sacchetto di monete d’argento. L’informatore si guarda intorno con circospezione: “La Primavera è stata rapita!”. “Ah! E da chi?” “Inquinamento!”, biascica “Mai sentito! Non è schedato!” “Sono stato testimone del rapimento! Sono ancora sconvolto! È un gigante nero, rivoltante e cattivo! Mangia spazzatura, respira lo smog e beve i liquami tossici. Di cibo in giro ne trova a volontà.” Il movimento di un ramo, lo fa sobbalzare e fugge. I detective riportano le parole del misterioso informatore ai Piripinnì. “Scommettiamo che c’è lo zampino degli uomini?”, commentano. “Arrestiamo l’Inquinamento.” Urlano a gran voce. “È un gigante famelico. Noi siamo piccoli e indifesi!” Ercoletto mostra il braccio gonfiando il muscolo. “Ahaha! Inquinamento il tuo braccio lo usa per stuzzicadenti!” Buffo lo deride, sbellicandosi dal ridere. Il più anziano si fa avanti lentamente e chiede la parola: “Nella valle del Riso, tra i boschi di conifere, vivono gli Opalescenti, spiriti che emanano luce azzurrognola. Sono miti e amanti della natura. Diventano ostili se si sentono minacciati e avvicinarli potrebbe essere rischioso. Hanno poteri magici straordinari che potrebbero aiutarci. Direi di tentare, non abbiamo scelta.” Un gruppo di coraggiosi volontari parte. Dopo giorni di marcia, arrivano a destinazione. Si addentrano nel bosco, dove l’oscurità è quasi totale. C’è un’atmosfera sinistra che fa accapponare la pelle. Ercoletto ostenta spavalderia, ma deglutisce a vuoto a ogni scricchiolio. Camminano in fila indiana tenendosi per 70

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I Piripinnì e il ladro della primavera


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mano. Uno spiritello dispettoso penzola all’improvviso dal ramo. “Bum! Settete!”, esclama, facendoli trasalire. A Ciuffolo, si piegano le gambe per la tremarella. Il mattacchione scende dal ramo e fa un inchino. “Altazar Junior. Figlio del re!”, si presenta Li sovrasta di poco! Ha la faccia simpatica, gli occhi chiarissimi e ipnotici. Li fissa insistentemente e, a loro insaputa, ne carpisce i pensieri. “Seguitemi.” Li conduce, attraverso un passaggio invisibile, nel suo fantastico mondo. Qui tutto è perfetto, colorato e luminoso. “Ho portato i Piripinnì”, dice al padre Il re, osannato come Sua Magnifica Opalescenza Senior, confabula in privato con Altazar. Si rivolge poi ai Piripinnì “Inquinamento è un osso duro! È figlio del Caos e dell’Incuria. Essi, a loro volta, sono stati generati dalla negligenza umana. È un circolo vizioso che va interrotto, altrimenti sarà una catastrofe. Vi aiuterò!” dice con tono serio. Chiama il vento: “Amico mio, smetti d’infuriare, ti prego, e aiuta queste coraggiose creature.” Estrae, quindi, dalla tasca due oggetti: “Questo è il carillon di Madre Natura, emette suoni che hanno forti poteri persuasivi. Sulle ali del vento, si diffonderanno nel mondo degli uomini, che saranno pervasi da un irresistibile amore per l’ambiente. In quest’ampolla è racchiusa aria purissima. Vi tornerà utile al momento opportuno. Andate, non c’è tempo da perdere.” Il gruppo ringrazia e ritorna allegramente al villaggio. Mentre la neve continua a cadere e il gelo tiene i Piripinnì, chiusi al caldo nelle loro casette, il carillon suona incessantemente e il vento fa il suo servizio. I benefici effetti sugli uomini, non tardano a farsi notare. Il solito informatore, avvisa gli inquirenti che Inquinamento si è ridimensionato e si nasconde nelle 71

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miniere di Schilpario, in una galleria segreta, dove detiene la Primavera. Suggerisce che è il momento buono per acciuffarlo. Siccome l’unione fa la forza, Investigatori e Piripinnì partono insieme per la missione. Intanto, ignaro della sorte che lo attende, il delinquente si sente al sicuro nelle viscere della terra. Inalare il grisou, lo rianima. “Che ci troveranno in te? Puh! Sei tutta colori e profumi. Mi disgusti!”, si rivolge sprezzante alla prigioniera incatenata. “Che vuoi da me, brutto mostro orripilante?” “Zuccona! Io sono un ribelle che modificherà la vita e le sue regole! Io, il Ladro della Primavera, sarò l’unico dominatore di un mondo grigio e sporco! Uhaaa.” Il suo ghigno echeggia nella miniera. All’esterno, i Piripinnì mettono a punto il piano preordinato. Si distribuiscono strategicamente e montano reti davanti all’ingresso. Inquinamento non avrà scampo. Stappano l’ampolla di cristallo e, come da istruzioni di Sua Magnifica Opalescenza Senior, la depositano all’interno del tunnel. Un vapore azzurrino fuoriesce e si espande nella miniera, rimpiazzando il grisou. Il mostro resiste, ma fatica a respirare. Tossisce. “Arrenditi!” , gli intimano. Fanno irruzione. Poco dopo, si ode il trambusto della colluttazione. Davanti al tunnel, gli altri sono pronti a scattare. “Adesso!”, urlano dall’interno. Scatta la trappola! Giù le reti! Inquinamento scalcia, ma lesti i Piripinnì, lo legano come un salame. È fatta! “Leggigli i suoi diritti e sbattilo dentro!”, ordina Sario al collega. Un profumo di fiori si diffonde, ecco che in vaporoso abito adornato da variopinti fiori, dal tunnel esce la primavera. Sorride e il sole torna a splendere. Che sublime beltà! A Berillo casca la mascella. 72

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I Piripinnì e il ladro della primavera


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Esultano i piccoli eroi. Per giorni fanno festa. La Primavera elargisce i suoi doni pi첫 belli. E tutti vissero felici e contenti. Beh! Beh! Tutti, tranne uno. Inquinamento! Il tribunale della giusta causa, dopo regolare processo, lo condanna alla Camera ad aria pura. Il terribile flagello, che voleva sporcare il mondo, si estingue senza lasciare nessuno a piangere la sua fine.

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UNA MATTINA DI SOLE di Paola Vitali

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uesta mattina il Sole si è alzato di pessimo umore e inizia la giornata brontolando: “Non ce la faccio più: ho avuto una settimana faticosissima e in queste giornate di primavera devo essere sempre reperibile.” Quelle pettegole di nuvole fanno le loro scorribande, ma, appena sono stanche di battibeccare, mi tocca affacciarmi sempre sorridente. Un sostituto del Sole non si trova e io arrivo a sera stanco morto. La Luna e le Stelle si danno un mucchio di arie, ma il loro impegno non è niente in confronto al mio! Il mio lavoro mi piace e devo ammettere che questo Parco dei Colli è stupendo: è pieno di verde e di animaletti simpatici; la Città Alta è spettacolare e la Città Bassa con i paesi confinanti ai piedi dei colli molto gradevole e vivibile. Però questa mattina c’è qualcosa nell’aria che mi disturba. Sarà quel bicchiere di troppo che mi sono fatto ieri sera (ma come si fa a resistere al vino di questi vigneti?). Sarà che ho mangiato pesante. Oggi a pranzo mi faccio una bella scarola dei colli, così sto leggero. Adesso mi sgranchisco bene i raggi... ma?? Cosa mi tocca vedere!!! Cosa ci fanno nel parco quelle ruspe, quelle betoniere e quelle gru? Devo chiamare subito qualcuno. Dove ho messo il telefonino? Eccolo sul comodino. Oggi non sono per niente in forma.”. “Pronto! Chi mi sveglia così presto?”. “Sei la Gazza?”. “Sì, ma tu chi sei? Se non metto gli occhiali non riesco a leggere...”. “Sono il Sole. Non ti sei accorta di cosa sta succedendo giù da voi?”. “Ieri ho ho passato la giornata a fare shopping sul Sentierone e stavo ancora dormendo... ma ora metto 74

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Una mattina di sole


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il becco fuori... che disastro... se continua così mi tocca chiudere la gioielleria! Ora vado a chiamare il Tordo.”. Anche il Tordo sta donnendo. “Ti sei accorto che abbiamo le ruspe sotto casa?”. “Che disastro! Devo avvertire i miei fratelli perché rischiamo di finire in tavola con una polenta fumante.”. La Gazza e il Tordo informano immediatamente la Quercia e l’Acero i due alberi più vecchi del parco che cominciano a tremare per la paura. “Ci abbatteranno e bruceremo vivi nei caminetti! Che brutta fine e pensare che è una vita che facciamo il nostro dovere.”. Nel frattempo anche i coniglietti e i ricci ricevono un sms e da una tana all’altra è tutto uno squillo. Il più anziano dei conigli, esclama “Dobbiamo riunire in assemblea e prendere dei provvedimenti. Qui nel Parco dei Colli si sta veramente bene. Qui ho passato la mia lunga vita e quest’anno sono diventato anche bisnonno. Non me ne voglio andare!”. La Farfalla e la Libellula sono molto arrabbiate e sbattono le ali freneticamente, la Lucertola è furente “Mi sono comprata dei costumini nuovi per l’abbronzatura di quest’anno, ma quando mai li indosserò con tutto questo polverone?”. Interviene l’Orbettino “Io sono cieco. Non vedo con gli occhi ma con il cuore e il mio cuore mi dice che spesso gli uomini sono sciocchi e non si rendono conto della fortuna che hanno. Vivono in una bellissima città circondata dal verde e vogliono distruggere questa meraviglia. Nella mia taverna sottoterra ho ascoltato i loro discorsi. Vogliono costruire case che grattano il cielo e strade dove si muovono quei mostri che si chiamano automobili proprio qui dentro.”. La Civetta si presenta un po’ stravolta e con le occhiaie. Passa tutta la notte a guardare la tivù e non molla mai il telecomando né al Barbagianni né al Gufo. Il Picchio, che di solito comincia molto presto i suoi lavori di restauro mobili, non ha ancora aperto la 75

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bottega ed è molto preoccupato. Arriva trafelato anche il Ranocchio che continua a farsi baciare dalle principesse ma senza successo (secondo lui non ci sono più le principesse di una volta). “Scusate il ritardo. Ho visto solo ora il messaggino perché ero impegnato. Bisogna trovare qualcuno che faccia ‘cambiare idea’ a questi umani... Potremmo chiedere a quella secchiona di Tartaruga: ha letto tanti libri e ci potrà dare qualche consiglio.” . La Tartaruga non si è accorta di nulla perché è come sempre impegnata nella lettura. Le notizie che le portano gli abitanti del parco non la spostano di un centimetro ma comincia a frugare tra i libri della sua biblioteca e continua a scuotere la testa preoccupata. “Cari amici, non trovo nessun consiglio utile né sull’enciclopedia degli animali né su quella degli uomini, nemmeno sull’enciclopedia medica. So con certezza però che spesso sono i bambini che salvano il mondo: con la loro freschezza e ingenuità molte volte riescono a sconfiggere la stupidità che confonde gli adulti e fa commettere loro dei veri disastri...”. La Farfalla non perde tempo e chiama a raccolta tutte le sue coloratissime sorelle e sorellastre. Tutte assieme volano nella città e nei paesi ai piedi dei colli e bussano alle case dove vivono dei bambini e li invitano a seguirle nel Parco. Nel giro di poco tempo si radunano centinaia di bambini scortati da uno sciame di farfalle. La Quercia e l’Acero i due alberi più anziani e frondosi agitano minacciosi i loro rami e tutto il bosco li imita. La Gazza e il Tordo chiamano in aiuto le rondini, le cinciallegre e i fringuelli. I loro cinguettii riescono a coprire il boato delle ruspe. Il vecchio Coniglio si mette a capo degli altri conigli, dei tassi e dei ricci e tutti assieme scavano una trincea per impedire l’avanzamento dei mezzi. I bambini in coro gridano “Andate via: non potete farci questo! Noi vogliamo che tutto resti come prima! Vogliamo i nostri alberi e vogliamo che tutti gli animali del bosco siano rispettati!”. 76

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Una mattina di sole


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Ed ecco che, come per magia, tutti quei mostri manovrati dagli uomini prima si fermano improvvisamente e poi abbandonano ordinatamente il parco. Il Parco è libero: ancora una volta la salvezza è arrivata dai bambini. Il grido di gioia sale al cielo e fa sobbalzare il Sole che... in realtà... quella mattina... non si era mai svegliato! Aveva fatto un bruttissimo sogno, dovuto probabilmente alla stanchezza e alla cena. Si stropiccia gli occhi, sgranchisce ben bene i raggi e guarda giù su quella splendida città e i suoi magnifici colli e verifica che tutto è al suo posto: gli alberi e gli animali stanno ancora dormendo. Poi accende il telefonino, augura sogni d’oro alla Luna e borbotta “Oggi mi sa che devo fare l’orario continuato perché le nuvole vanno al mare a farsi un bagno. Mi capitano veramente cose strane: mi sa che sto diventando vecchio!” .

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Dedicato agli studenti della Scuola in Pigiama.

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I Racconti del Parco 3


Primo classificato Premio Speciale MIA

NATURA

di Elsa Finardi

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n questi ultimo periodo chiunque, ascoltando il telegiornale o parlando con i conoscenti, avrà affrontato un problema allo stesso tempo grave ed imponente perché la specie umana riesca a sopravvivere bene anche in futuro: il degrado dell’ambiente. Ma, a differenza di quanto si possa pensare, non tutti sanno cos’è l’ambiente. La risposta più semplice ed immediata potrebbe essere ‘La natura’ oppure ‘Il verde che ci circonda’, ma in realtà dietro tutto ciò si cela una realtà ben più complessa e della quale l’uomo deve rispettare le regole. L’ambiente è qualcosa che funziona insieme, un organismo, nel quale un singolo intervento locale ha conseguenze sull’intero sistema, poiché i vari elementi sono collegati tra loro da una stretta rete di relazioni; se si rompe questo equilibrio o il sistema viene distrutto o si crea un nuovo equilibrio. Anche l’uomo svolge un ruolo in questa interazione; la qualità della vita è infatti influenzata per buona parte dall’ambiente in cui l’uomo vive e alle caratteristiche che questo ha, adatte o non alla sopravvivenza della specie umana. Spesso gli uomini operano interventi locali che rovinano in modo irreparabile gli ecosistemi. In questi ultimi due secoli il ‘progresso’ ha influito pesantemente sull’ambiente, modificandolo o alterandolo con conseguenze anche drammatiche per la stessa sopravvivenza della specie umana; si è passati ad un mondo costituito per di più di cemento che di ‘verde’. Il degrado ambientale, infatti, è strettamente collegato al degrado della vita di tutti gli esseri viventi, uomo compreso. Il problema è complesso, molto più di quanto non sembri a prima vista, poiché fa capo a un duplice squilibrio: quello del rapporto uomo-natura e quello tra popoli avanzati tecnologicamente 80

I Racconti del Parco 3

Natura


Primo classificato Premio Speciale MIA

e popoli arretrati o in via di sviluppo. Fin dalla propria comparsa sulla Terra l’uomo ha segnato profondamente l’ambiente con la sua presenza per creare le condizioni della propria sopravvivenza e del proprio benessere. Per far ciò, ha però disboscato foreste, messo a coltura i terreni, spianato alture, addomesticato e ucciso animali; man mano il ‘progresso’, la scienza, la ‘tecnologia’ gli hanno fornito strumenti sempre più potenti ed efficaci per piegare la natura alle proprie esigenze. Tutto questo ha avuto un prezzo: più sofisticati si facevano gli strumenti del progresso, più alto diveniva il prezzo da pagare, fino alle drammatiche conseguenze che vediamo ogni giorno ai telegiornali e che rischiano di trascinarci in una catastrofe irreversibile. La natura è per l’uomo una fonte di sentimenti e forti emozioni. Tutti ci saremmo messi a fantasticare osservando il sole sorgere, o la luna brillare nel cielo buio circondata dalle stelle lucenti che sembrano quasi ballarle attorno. Oppure osservare le rondini volare nel cielo azzurro vicino al sole splendente, quasi giocassero a prendersi l’un l’altra, o la sera quando in gruppo volano a cercare un riparo più caldo. O ancora osservare il mare illuminato dalla luna, o un cavallo correre libero in mezzo alla verde prateria. Queste e ancora altre sono le immagini che rischiamo di perdere per sempre se non cercheremo di rispettare un po’ di più l’ambiente. Per non parlare delle malattie causate dall’inquinamento, tra i quali il più grave è certamente il tumore ai polmoni, provocato dall’eccessivo smog che il nostro organismo deve sopportare. Ma non sempre è l’uomo a danneggiare l’ecosistema. Spesso terremoti ed alluvioni alterano in modo irreversibile l’ambiente e l’uomo non può far altro che stare ad osservare tutto, impotente di fronte a calamità di questa portata. Se facciamo con la mente un salto nel passato ci possiamo ricordare dell’eruzione del vulcano Vesuvio sulle città di Pompei ed Ercolano, i cui danni sono tuttora Ma per non tornare troppo indietro si può pensare al terremoto in Giappone che ha distrutto le case delle famiglie portato gravosi 81

I Racconti del Parco 3


Primo classificato Premio Speciale MIA

problemi all’uomo e all’ambiente: come le radiazioni della centrale nucleare. Credo sia stato uno dei terremoti più violenti mai avvenuti. Oppure l’alluvione dell’anno scorso in Piemonte causata dalla rottura degli argini del Po; le sue acque hanno sommerso e riempito di melma i paesi piemontesi. Non di rado sui giornali leggiamo di frane sulle Alpi, vicino ai passi montagna o di valanghe che riescono a spegnere vite umane. Queste sciagure non avvengono soltanto in Italia, ma come qui in tutto il mondo. E di fronte a tutto ciò l’uomo non può far nulla se non cercare di salvarsi scappando. Ma prima o poi non potrà più scappare. Per fare in modo che questo momento arrivi il più tardi possibile, è necessario che l’uomo abbia rispetto dell’ambiente, tenti di salvaguardarlo e soprattutto provi a ricostruire dei sistemi laddove l’ambiente è stato distrutto.

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I Racconti del Parco 3


Secondo classificato Premio Speciale MIA

NATURA, ABILE INVESTIGATRICE di Giulia Gabrieli

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ra un ventilato e piovoso venerdì sera, le sette e mezza per l’esattezza, il buio era già sceso e David, abile investigatore privato, stava fumando la sua inseparabile pipa. Egli pensava che fosse questa a fornirgli intuizioni sui vari omicidi e rapine a cui stava lavorando, quando all’improvviso, una telefonata anonima lo informò che nel Parco protetto vicino alla città era avvenuto un omicidio. David, senza perdere tempo, indossò il cappotto stile Sherlock Holmes (ottimo per le brutte giornate…) che era appoggiato sul bracciolo del divano; prese per il manico in legno ben levigato l’ombrello nero riposto in un semplice e per niente elegante porta ombrelli; sfilò la catenella ferma-porte e uscì di casa assicurandosi di aver fatto due ‘mandate’. Salì di fretta sulla sua Rolls Royce rossa d’epoca; e partì di filato... Una volta giunto al parco; David si guardò intorno: non c’era nessuno ed il buio e una nebbiolina fresca predominavano sulla zona; nessuna luce illuminava quel luogo così triste e agghiacciante allo stesso tempo. Prese dalla tasca sinistra del suo cappotto una torcia e la puntò sull’entrata notò che la serratura del cancello non era stata forzata: era ancora chiusa con una catena che avvolgeva i due pali che si congiungevano e fermata da un lucchetto. In quel momento intravide una pianta rampicante la quale, come per magia, allungava i suoi rami scorrendo sul cancello, finché giunse al lucchetto e lo aprì. David entrò e in quel momento una pigna dell’abete accanto all’entrata cadde proprio sull’interruttore e si accesero tutte le luci del parco! Era un posto fantastico si percepiva in modo netto e chiaro la predominanza della natura sul luogo la quale regnava sovrana. Appena si riprese alla vista di questo meraviglioso posto, David iniziò a guardarsi attorno per cercare 84

I Racconti del Parco 3

Natura, abile investigatrice


Secondo classificato Premio Speciale MIA

qualsiasi cosa che lo conducesse al cadavere. Ad un certo punto un vento forte, formatosi all’improvviso, lo condusse nel mezzo del bosco nel parco, David cercò di contrastare questa forza della natura, ma essendogli impossibile trovò il coraggio di abbandonarsi a lei che lo guidò proprio sul luogo del delitto. Il vento sparì, come era venuto: improvvisamente. Il corpo giaceva a terra, senza vita, con tre pugnali inferti nel cuore. David non perse tempo, indossò dei guanti (per non confondere le eventuali impronte lasciate sul morto). Mentre prendeva dalla tasca interna del giubbotto una lente d’ingrandimento intuì facilmente che costui era stato una guardia del parco grazie al suo abbigliamento. L’ispettore iniziò a cercare un qualunque indizio che lo conducesse verso la soluzione del caso quando, una foglia ancora verde, si staccò dall’albero che velava il cadavere e cadde proprio sulla guancia di quella ex guardia. David spostò la foglia e l’impronta di labbra femminili spiccava grazie ad un rossetto rosso rubino. L’investigatore guardò nelle tasche della vittima: egli aveva con sé un portafoglio, delle chiavi (questo spiega il fatto che la serratura non fosse stata forzata), una torcia e il cellulare. David constatò che il portafoglio era intatto; nulla gli era stato portato via se non la vita. Dai documenti riuscì a risalire all’identità del deceduto: si chiamava Giorgio Manfoglia, aveva ventotto anni ed era nato nella zona. Separato dalla moglie Bernet Gloria aveva trascorso gli ultimi mesi collezionando precedenti penali. Poi guardò il cellulare quale fosse l’ultimo numero a cui aveva effettuato una chiamata, ce n’era solo una: quella di sua moglie! Ora gli venne spontaneo farsi una domanda: “Perché chiamare la propria moglie se si è separati e in attesa del divorzio?”. Compose subito il numero della donna e, in quel momento, di nuovo quel vento forte si alzò e lo condusse verso il luogo da dove proveniva un rumore che, man mano si avvicinava, riusciva a riconoscerne l’effetto acustico: era la suoneria di un cellulare! Il vento cessò dinanzi ad un albero secolare con attorno dei cespugli in fiore. Una radice dell’albero si mosse e spostò dei cespugli che misero in mostra una giovane donna sdraiata tra i ciuffi d’erba verde ai piedi di quell’imponente e maestoso albero. Si avvicinò a lei e notò con sorpresa che stava dormendo, era tutta 85

I Racconti del Parco 3


Secondo classificato Premio Speciale MIA

sporca di sangue e David con delicatezza la svegliò e l’ammanettò dichiarandola in arresto per l’omicidio del marito. Gloria affermò quanto sospettato da David e spiegò che suo marito, durante il matrimonio, l’aveva tradita tre volte. Ciò l’aveva ferita, umiliata e accecata dall’odio così trovò una scusa per incontrare Giorgio. L’appuntamento fu fissato per quella sera quando aveva già premeditato tutto. Si fece condurre dal marito fino al bosco dove, dopo avergli dato un bacio sulla guancia, estrasse dalla borsa uno dei tre pugnali e glielo conficcò dritto nel cuore. Ogni puntuale rappresentava la metafora della sua sofferenza ed andavano affondati dritti al cuore. Così gli fece sentire i tre più grandi dolori della sua vita: i tre tradimenti del marito. Quando si rese conto dell’atrocità che aveva commesso, Gloria chiamò David per avvisarlo dell’omicidio ma rimase nell’anonimato perché ancora non si sentiva pronta a confessare il crimine commesso. David rimase talmente colpito da questa storia che ne scrisse un libro in cui il grande aiuto ottenuto della natura fu fondamentale. Egli sostenne che senza ‘la madre di tutti’ non avrebbe mai trovato il cadavere e non sarebbe riuscito a risolvere il caso! Da quella sera tutti i giorni si recò in quella meravigliosa oasi naturale per sentirsi in pace con se stesso e il mondo. In qualche modo sarà ancora la natura ad aiutarlo a risolvere i casi per cui David lavorerà e non sarà più la pipa a fornirgli intuizioni ma quel fantastico posto magico. Morale La natura tutti i giorni ci vuole comunicare qualcosa, se solo ci fermassimo un po’ potremmo notare che un seme, per esempio, se te ne prendi cura con amore, diventerà un meraviglioso fiore colorato come segno che le tue premure sono state ripagate. Al contrario, se non ti prendi più cura del fiore, questo appassirà come sintomo del tuo mancato lavoro. Fai come David ascoltala, affidati a lei ed ella ti ricambierà con la soddisfazione di aver fatto nascere il più bel fiore che si possa desiderare. 86

I Racconti del Parco 3

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I Racconti del Parco 3


Secondo classificato Premio Speciale MIA

NASTAGIO… A SPASSO NELLE OROBIE di Alessio Calandra

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eggendo la novella di ‘Nastagio degli Onesti’, tratta dal Decameron di Giovanni Boccaccio, mi soffermai a pensare e guardai fuori dalla finestra. Vidi Nastagio che vaga solo e addolorato in una pineta, che non è quella di Ravenna ma bensì del parco delle Orobie Bergamasche, un parco montano forestale che, con una superficie di circa 70.000 ettari, rappresenta la più grande area ad elevata naturalità tra i parchi regionali lombardi; è costituito da imponenti rilievi montuosi che si stagliano fino a oltre 3.000 metri d’altitudine con panorami mozzafiato. Improvvisamente gli appare una donna inseguita da un cavaliere nero e da… aquile e stambecchi che la spaventano nonostante i suoi tentativi di proteggerla. Questi animali sono presenti nel Parco insieme anche al camoscio, al capriolo, al cervo. Ancora tra i mammiferi, troviamo la marmotta, lo scoiattolo, la volpe, la donnola. Solo di recente è stato facile ammirare l’orso bruno, grazie ad un esemplare proveniente dal Trentino, il quale ha mostrato di trovarsi particolarmente a proprio agio nel Parco, grazie alle caratteristiche di elevata qualità ambientale e naturalità. Ritornando alla mia lettura della novella, ‘Nastagio rimane inorridito quando vede che il cavaliere strappa il cuore della donna e che poi miracolosamente la donna resuscita. Nastagio chiede al cavaliere chi sia e lui gli rivela di essere un suo avo, Guido, suicidatosi dopo essere stato respinto dalla donna che amava; la punizione divina lo costringe pertanto, insieme all’antica amata, a riapparire nello stesso luogo per tanti anni quanti mesi la donna ne aveva deriso il sentimento. Nastagio decide di invitare ad un banchetto nel luogo dell’apparizione i Traversari con la figlia, prossima sua sposa,. alla solita ora appaiono nuovamente il cavaliere e la donna e tutti gli ospiti inorridiscono 88

I Racconti del Parco 3

Nastagio... a spasso nelle Orobie


Secondo classificato Premio Speciale MIA

davanti alla scena. Nastagio ne spiega i motivi e la figlia del Traversari, impaurita dalle conseguenze del suo rifiuto, acconsente finalmente a sposarlo. Concludendo di leggere la mia novella posso affermare che per Boccaccio, l’amore, riceve una valutazione positiva: ciascuno ha diritto di amare e di essere riamato. Guardando dalla mia finestra il verde del parco mi sussurra: “Ama la natura e la natura amerà te”. E proprio come disse il Papa Giovanni Paolo II: “L’uomo sembra spesso non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo. Invece, era volontà del Creatore che l’uomo comunicasse con la natura come ‘padrone’ e ‘custode’ intelligente e nobile, e non come ‘sfruttatore’ e ‘distruttore’ senza alcun riguardo.

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I Racconti del Parco 3


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Premio Speciale “Nano racconto”

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Nano racconto Vincitori

Claudia Moietta Marica Brembilla Emma Lanfranchi Giusi Brasi Luigi Santarella Altri Nano racconti

Gaina Robert Sebastian Elisa Roncalli Cristina Velluti Alessio Calandra Thomas Carminati Francesco Carrara Annachiara Giacometti Giada Invernizzi Paola Longoni Chiara Mollica Andrea Pellegrinelli Elisa Piantoni Alice Testa Carola Tommasi Sara Zambelli Luciano Andreucci Giovanna Bacuzzi Marco Berrettini Agostino Buzzetti Fiorella Cannavacciuolo 91

I Racconti del Parco 3

Racconto ricordi, veloce. In silenzio. E, nel giardino, una civetta. Per questo ringrazio madre natura di vivere in questo parco. Lieto fine per il marito della mantide. E vissero tutti. Sulla cima. Croce silenzio neve. Guardo il parco e sogno. Le finestre si chiudono: i bambini aspettano l’appuntamento con il fantastico. Solo chi ama la terra capisce il senso della vita! Nel parco fuori città assaporando con il nonno vera felicità. Piccoli passi fanno la differenza per garantire un futuro migliore… Il parco del vicino non è sempre il più verde. Gli impatti più forti lasciano segni incancellabili. Quanto monotona sarebbe la faccia della terra senza montagne. Farfalla: scheggia di colore nel mare verdeggiante della nuova primavera. Verdi foglie mormorano, il Serio scorre, mai così solo. Anche un fiore può trasmettere gioia con la sua bellezza. Apri gli occhi: c’è sempre qualcosa di cui stupirsi. Perché mi rovinate il bosco? Non farlo è più facile. Quando gli alberi diventeranno viola, l’amicizia risolverà tutto. I fiori sono unici come le persone: vanno rispettati. Ci sono due caos, quello naturale e quello terrificantemente umano. La natura dona amore incondizionato… non sempre noi lo riconosciamo. Tavolozza e pentagramma: la sinfonia struggente del Parco dei Colli. Una musica, la collaborazione e… tanta speranza fanno miracoli. Abbracciati nel bosco, oltre civette e smarrimenti, fiduciosi e stretti. Parco dei Colli, profumo di calicanto, ma lui non c’è! Fronde di salice su manto fiorito cullano viola in tenero abbraccio.


Nano racconto Barbara Cannetti Cantini Aurora Tiziano Capecci Valentina Costa Concetta Di Stefano Clelia Foscari Gloria Gelmi Michele Godano Michele Godano Fabio Locatelli Guido Neri Massimo Nicoli Costanza Olmo Patrizia Paganelli Marino Pagnoncelli Stefania Petta Stefania Petta Sara Rocutto Fausto Sana Cristina Signorelli Tarenzi Patrizia Fiorella Tiraboschi Annamaria Vanacore Gianroberto Viganò Gianroberto Viganò Paola Vitali Maria Mercedes Zonca 92

I Racconti del Parco 3

È sui tronchi che vento e tempo incidono la storia. La roccia si fonde alla terra e genera l’eternità. Se ogni vita è preziosa, l’ambiente è l’unico suo scrigno. Stiamo attenti ai materiali, che non sono proprio uguali! Vivere una favola si può amando la natura un po’. Il bosco ha un’anima che soffre, un corpo ardente… Felicità è vivere nel presente, ‘benessere’ senza dover avere. Semplicemente. Un piccolo uovo volante lascia una scia di armonia dilagante. Silenzio, fruscio, battito d’ali: il sogno è già realtà. Si può obbedire solo alla natura. Quando la natura riconquista ciò che l’uomo ha creato. Spargimento di semi di gioia, speranza e pace. Grazie Gabriel. Colli di boschi, verde piccolo, verde grande, verde di verde. Un ghiro in apprensione, vince le olimpiadi contro ogni previsione. Bello alleggerire la malattia di un bimbo con la fantasia. Due innamorati e un amore indissolubile che sconfina nell’eternità. Primavera rapita! Indagini a tappeto portano all’arresto dell’inquinamento. Curiosità è trovare l’universo… cercando nel parco sotto casa. Primavera: contemplazione che ricomincia, speranza che infuoca, fiducia che rinsalda. Piccole cose possono cambiare il mondo. Inizia tu da ora. La mia casa ha le fondamenta nell’acqua. Esco a guardare la notte, attendo una nuova alba e mi immergo in un nuovo sogno. Siamo come alberi spogli, nudi e rami protesi al cielo. L’occasione fa il leone ladro. Ciò che gli uomini chiamano pietà, gli animali semplicemente solidarietà. I bambini fanno buh! E i grandi hanno tanta paura. La natura è misteriosa come i dedali del nostro cuore. Nano racconto



Giuria Paolo Aresi Scrittore

Bruno Bozzetto

Cartoonist

Franco Coda

Consulente aziendale e scrittore

Stefania Pendezza

Referente per l’educazione ambientale dell’Ufficio Scolastico Provinciale

Susanna Pesenti

Giornalista

Giuseppe Pezzoni

Dirigente Scolastico



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