Nunzio Michele Sfregola - Biografia

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"Non chi dice Signore, entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei Cieli"



Alla maggiore gloria di Dio

Sono nato il 30 maggio del 1924, alle ore 01:00, di venerdì. Sono stato battezzato l’8 giugno dello stesso anno. Sono il terzo Nunzio, nato da mia madre Angela Sfregola e da mio padre Francesco Saverio. Prima di me nacquero altri due miei fratelli a cui fu dato lo stesso nome, Nunzio, deceduti dopo pochi mesi di vita ciascuno. Intorno all’età di 4-5 anni iniziai a frequentare l’asilo infantile presso la “Casa degli Angeli”, dal sacerdote Don Raffaele Dimiccoli, in Barletta, alla Via Firenze. Ho frequentato re-

Francesco Saverio Sfregola

golarmente le scuole elementari, dalla prima alla quinta. I primi tre anni in un fabbricato in Via Bezzecca (palazzo Straniero-Sarecaro), oggi Via Mons. Dimiccoli, gli ultimi presso l’edificio Raffaele Musti, inaugurato nuovo proprio in quegli anni, in Via Raffaele Musti 1935. 5


I miei genitori, nati e cresciuti in una famiglia di religione cristiano-cattolica, tanto che loro stessi professavano la medesima fede, erano e sono stati sempre cristiani praticanti e difensori di tutto ciò che riguardava la fede, non escluso la stessa Chiesa Cattolica, come istituzione e come famiglia di Gesù Cristo. Ho fatto la Prima Comunione il 1° giugno del 1930, all’età di 6 anni, nell’oratorio San Filippo Neri in Barletta, dalle mani di Mons. Raffaele Dimiccoli. Fui preparato a ricevere questo sacramento dalla signorina Fiore, che abitava nell’allora Via Bezzecca, anche se a questa preparazione collaborarono la signorina Raffaella Corcella e Sabina Dargenio. Ho ricevuto la Cresima nei primi giorni del mese di Settembre del 1932, se non ricordo male il 4 Settembre. I miei genitori hanno dato ai loro 3 figli viventi, Nicola, Maria ed io, tutte le attenzioni possibili per la nostra migliore formazione ed educazione umana, spirituale e culturale; tutto quanto era necessario per la nostra salute fisica, spirituale, e per la nostra cultura profana e religiosa. Insomma per il nostro avvenire, il migliore possibile per quanto

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potesse dipendere da loro. La mia strada è sempre stata alla sequela di nostro Signore Gesù Cristo, nella Chiesa Cattolica, guidato dai miei genitori e dai tanti sacerdoti che ho incontrato lungo le strade della mia vita: Angelo Raffaele Dimiccoli, Giuseppe Dimatteo, Vincenzo Frezza, Francesco Spinazzola, Ruggiero Caputo, Ruggero Doronzo, Francesco Francia. Sono nato in Via San Samuele n°1 o in Via Regina Margherita n°4 (allora portava il numero 100). Completate le cinque classi elementari, fui indirizzato da mio padre a frequentare la Scuola Professionale Marittima che allora funzionava in Piazza Marina, ove attualmente sorge il Palazzo della Guardia di Finanza.

Scuola Marittima 1936 7


Fui indirizzato verso questa scuola perché qui non si pagavano tasse scolastica o di iscrizione, a differenza del Ginnasio o dell’Istituto Tecnico, poiché le condizioni economiche-finanziarie della mia famiglia impedivano quei costi. Nel giugno del 1938 completai i 3 anni del corso di questa scuola con regolare diploma. Mio padre mi iscrisse in tale scuola per la categoria di “motorista navale” affinché, nella vita in cui io mi affacciavo, ossia nel mio avvenire, potessi praticare attività lavorativa di meccanico, poiché in Italia già si prospettavano le condizioni per uno sviluppo industriale della nazione, cosa che poi, attraverso gli anni, si è realizzato, specialmente dopo la guerra 1939-45. Intanto arrivò per me il tempo per intraprendere una qualsiasi attività di lavoro. Mio padre pensò di farmi andare a lavorare presso lo stabilimento della Cementeria di Barletta, in Via Andria. Poiché mio padre aveva conoscenze ed amicizie col Commendatore Luigi Scuro, fondatore e presidente di quell’industria e di quella società, si rivolse a questi affinché mi avesse assunto a

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lavorare in quella fabbrica, in qualità di allievo meccanico, cosa che avvenne nei primi giorni del mese di Settembre 1938. Rimasi a lavorare in questo stabilimento soltanto tre mesi. Nei primi giorni di Dicembre dello stesso anno la ditta licenziò 40 operai e tra questi fui licenziato anche io. Così si pose nella mia famiglia, e soprattutto nei miei genitori, il problema del mio avvenire. Non prospettandosi altra soluzione che non fosse quella agricola, mio padre mi portò con lui a lavorare in campagna. Ordinò ad un fabbro ferraio una zappa con regolare stelo e, dal primo giorno, iniziai a zappare, naturalmente con tutte le rispettive, necessarie ed utili istruzioni, affinché fossi diventato un bravo operaio. A tal fine mi insegnò a potare il vigneto con la “ronca”, arnese che bisognava usare con “maestria” affinché i tagli risultassero “lisci”, quasi levigati in un solo colpo, cioè con un solo taglio. Dopo un periodo di tempo necessario per poter imparare i primi elementi base del lavoro agricolo, dal momento che la superficie dei terreni, nostri possedimenti, era molto limitata, non sufficiente per poterci lavorare per l’intero anno, noi due, ossia mio

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padre ed io, andammo per forza di necessità a lavorare presso datori di lavoro estranei. Così iniziai la vita vera e propria del bracciante agricolo (operaio agricolo alle dipendenze di altri). Tutti i lavori agricoli furono particolarmente pesanti e faticosi, sia perché allora erano lavori tutti manuali di per sé pesanti e usuranti (non esisteva ancora la meccanizzazione), sia perché per eseguirli si doveva operare sempre con la schiena curvata che portava il corpo a piegarsi in avanti a 90 gradi, e a volte a 180 gradi. Intanto si era in epoca (anni 1939 e successivi) in cui c’era grande disoccupazioni degli addetti in agricoltura. Trovare lavoro per tutti i giorni era difficile, difficilissimo, ma con l’aiuto e le conoscenze dei miei genitori, molto stimati nella società civile e tra i loro contemporanei, riuscì a trovare lavoro quasi fisso tra parenti e loro conoscenti (ricordo con molto piacere e riconoscenza la famiglia Cafagna, Distaso e maggiormente la famiglia Lombardi: Gaetano e Matteo). Naturalmente la riconoscenza maggiore e senza limiti va alla Divina Provvidenza, che oltre ad assicurarmi il lavoro quasi quotidiano (erano pochi i periodi stagionali in

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cui non lavoravo), mi diede la possibilità di trascorrere il mio “tempo libero” in attività ed impegni di carattere religioso e sociale. Attività ed impegni che contribuivano alla mia formazione umana, spirituale e culturale, nelle forme più svariate e molteplici che gli avvenimenti di ogni giorno comportavano. Così gli incontri frequenti con persone di ogni ceto e formazione furono di notevole aiuto alla mia formazione (credo equilibrata), umana, sociale e spirituale. Durante le vacanze estive, tra la terza, la quarta e la quinta elementare, al fine di non farmi vagabondare per le strade in compagnie poco raccomandabili, i miei genitori mi indirizzarono a frequentare botteghe di artigiani, avviandomi ad imparare un mestiere; così fui affidato prima al signor Michele Francavilla, bravo calzolaio, poi ad un altro artigiano calzolaio di cognome Santalucia in Corso Vittorio Emanuele, di fronte a Via Municipio. Alla vita di contadino man mano mi abituai, tanto che tale lavoro mi diventò familiare, poiché ero diventato esperto nei diversi lavori che l’agricoltura richiedeva e richiede.

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Negli anni 1935-38 balenò nella mia mente il pensiero, forse vocazione, di diventare sacerdote, quindi di entrare in Seminario. Ne parlai al mio direttore e confessore Don Raffaele Dimiccoli e ai miei genitori, trovando il consenso del primo e l’opposizione dei secondi, soprattutto di mia madre. Mia madre si oppose poichĂŠ sarei dovuto partire alla volta di Oria (Brindisi), tra i Padri Rogazionisti. Lei era contraria che fossi entrato in Ordini o Congregazioni religiose, ma sarebbe stata contenta, e non avrebbe avuto nessuna difficoltĂ , se fossi entrato nel Seminario Diocesano (Bisceglie), per poi diventare Sacerdote Diocesano. Lei non gradiva avere un figlio lontano, sia pure sacerdote.

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La seconda guerra mondiale

20 Maggio 1943: eravamo in pieno periodo bellico. Dovetti partire per il servizio militare di leva, cioè obbligatorio. La mattina di questo giorno mi presentai presso la Capitaneria del porto di Barletta, e, insieme ad altri nove miei coetanei, ci inviarono al Comando Marina di Brindisi. Qui, dopo gli adempimenti del regolamento militare, restammo per dieci giorni. In questo periodo ci fecero dimettere gli abiti civili per indossare la divisa da marinaio

Pola - Giugno 1943 In servizio militare nella Regia Marina presso le scuole C.R.E.M. Corpo Reale Equipaggi Marittimi

della Regia Marina Militare Italiana. 30 Maggio 1943 (sera): partÏ inquadrato con un gruppo di marinai (reclute, cioè ai primissimi giorni della vita militare) e ci inviarono a Pola (Istria, provincia 13


dell’allora Venezia-Giulia). La sera, anzi in piena notte (circa a mezzanotte), in un gruppo di dieci barlettani, scendemmo clandestinamente (approfittando della fitta oscurità) dal treno che ci portava a Pola quando questo si fermò nella stazione di Barletta, per trascorrere 24 ore ciascuno nella propria famiglia. È importante considerare che avevamo appena 19 anni di età e andando incontro alla guerra in corso non sapevamo quando e se fossimo ritornati. Ripartimmo alla volta di Pola il 31 Maggio con un altro treno alla medesima ora del giorno precedente. Arrivati a Pola ci condussero alle scuole C.R.E.M. (Corpo Reale Equipaggi Marittimi) per un corso di allievi motoristi navali poiché, avendo io frequentato la Scuola Professionale Marittima di Barletta, fui iscritto nelle liste “Leve di Mare” e nella categoria “Motorista Navale”. A Pola iniziai a pieno il servizio militare. 25 Luglio 1943: in nottata fummo svegliati poiché era stato arrestato Benito Mussolini (per ordine del Re Vittorio Emanuele III), fino ad allora capo del Governo Italiano, e ci fu ordinato di re-

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carci a presidiare edifici pubblici e sedi del partito fascista onde evitare rappresaglie da parte di chicchessia, presidio che durò pochi giorni. Poi ci fecero rientrare all’innanzi citate scuole. A sostituire Benito Mussolini, il Re Vittorio Emanuele III, nominò Capo del Governo, il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. 8 Settembre 1943 (ore 20:00): il giornale radio trasmette la notizia che il Governo Italiano ha deciso la sospensione delle azioni belliche nei confronti dei Governi Franco-Anglo-Americani, chiedendo l’armistizio. A seguito di questa decisione l’intero territorio italiano (fatta eccezione della Sicilia e della Calabria già occupati dagli anglo-americani) fu immediatamente occupato dalle truppe naziste della Germania in pochissimi giorni. 12 Settembre 1943: le truppe tedesche occuparono la città di Pola. A noi soldati italiani fu intimato l’ordine di deporre le armi. Dal comando tedesco ci furono emanate istruzioni circa la nostra decisione per il futuro nel proseguimento della guerra della Germania contro gli anglo-americani. Ci furono comunicate le condizioni per una nostra scelta: prigionia, lavoro o arruolamento nelle forze armate germaniche. Io scelsi di essere considerato

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prigioniero. Trascorsero tre-quattro giorni in un campo (all’addiaccio) di una grande caserma nella stessa città di Pola, nelle vicinanze dell’arsenale. Eravamo diverse migliaia di prigionieri. Intanto si diffuse tra noi la notizia che era stato liberato Benito Mussolini dai paracadutisti tedeschi. Ci fu detto che c’era la possibilità di non andare in Germania come prigionieri, ma di rimanere in Italia con la medesima divisa di marinai della Marina Italiana, al comando di Ufficiali e Comandi Militari Italiani. In parecchi di noi aderimmo, quindi fummo liberati e riprendemmo la vita militare italiana. Questo periodo, iniziato verso la metà di Settembre 1943, durò fino alla fine del mese di Aprile 1945. Intanto avvenne la resa dei tedeschi e l’occupazione di Pola con l’Istria e l’intera Venezia Giulia (Trieste-Gorizia, Pola e Fiume) da parte dei partigiani iugoslavi del Maresciallo Josif Brozo Tito, così anche noi deponemmo le armi nelle mani di questi partigiani. Per pochi giorni ci radunarono nell’edificio di una ex-caserma,

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in attesa di condurci in Iugoslavia, cosa che avvenne nei primi giorni del Maggio 1945. Imbarcati su diverse motozattere iugoslave, scortati da guardie militari-partigiane, iniziammo il viaggio via mare, lungo le coste adriatiche della Iugoslavia. Dopo 3 giorni dalla partenza da Pola arrivammo, nel tardo pomeriggio, nel porto di Zara. Qui, dopo 3 giorni di digiuno, ossia senza cibo e senza acqua, fummo finalmente rifocillati con una pagnotta di pane da 300/350 g. ciascuno. Il viaggio lungo le coste fu duro per la scarsitĂ di acqua e cibo, a cui si aggiunse il caldo del giorno e il freddo della notte, senza alcun riparo. Fortunatamente in quel percorso non ci furono piogge. Ogni sera facevamo sosta in qualche porto esistente lungo la costa dalmata, per riprendere il viaggio il giorno successivo. CosĂŹ arrivammo e facemmo tappa nel porto di Sibenik (Sebenico), porto molto importante della Iugoslavia. Qui avvenne un fatto apparentemente ordinario, normale, ma dopo diversi mesi apprendemmo una notizia che ci dette preoccupazione e successivamente immenso dolore e tristezza. Dal gruppo di prigionieri

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in viaggio, su diversi motozattere, composto da circa trecento persone, i capi del plotone di scorta estrapolarono circa cento prigionieri italiani affidandoli ai Comandanti del posto o del luogo, mentre a noi, la rimanenza (circa trecento), fecero proseguire il viaggio alla volta delle Bocche di Cattaro, ove arrivammo a Split (Spalato) facendo la dovuta sosta notturna. Il giorno successivo partimmo per le Bocche di Cattaro. Nelle Bocche di Cattaro ci fecero scendere, alloggiandoci in un edificio a Tivat (Teodo), nell’ultima decade dei mesi di Maggio 1945. Qui stetti per circa 3 mesi. Forse non ricordo con precisione le date e i periodi di permanenza nei diversi luoghi della Iugoslavia, pertanto ritengo utile riportare per sommi capi le tappe o le sedi di permanenza avvenute in ordine di tempo. Partenza da Pola: nell’ultima decade del mese di Maggio 1945. Tappe di fermata serali, ossia al tramonto, durante il tragitto lungo le coste dalmate: Zara (Zador), Sebenico (Sibenik), Spalato (Split), Tivat (Teodo), Kumbor (idroscalo e campo di aviazione), Ragusa.

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Sedi di permanenza per lunghi periodi: Tivat, Kumbor, Sibenik (Teodo, Kumbor, Sebenico). A Kumbor, sulla costa adriatica, mi capitò un felice incontro. Feci la conoscenza, che si tramutò prima in confortevole ed affettuosa amicizia, poi in fraterno scambio di idee e pareri, con un collega prigioniero: Fiorenzo Ghiringhelli, della provincia di Varese. Con questi trascorsi piacevole serate sulla riva del mare, nella recita del Santo Rosario e scambiandoci le diverse esperienze vissute nella gioventù di Azione Cattolica. Facevamo spesso riferimento alla vita della Chiesa e ad i suoi insegnamenti in perfetta relazione col Santo Vangelo di Gesù Cristo. Nei primi del mese di Settembre 1945, un gruppo di circa 100 prigionieri a bordo di una nave ci condussero alla città di Rijeka (Fiume), dicendoci che ci avrebbero fatti rimpatriare in Italia per poi proseguire per le nostre rispettive case. Invece non fu così. Dopo giorni di permanenza nel porto di questa città, riprendemmo il viaggio tornando in direzione sud, sempre lungo la costa

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per portarci a Sebenico (Sibenik). Qui fummo alloggiati in un grande edificio di una antica caserma proprio sulle rive del grande porto di Sebenico e stetti fino alla sera del 3 Giugno 1946 (circa 9 mesi) perché così ebbe inizio il mio ritorno in Italia. Cosa molto importante, al momento del nostro arrivo a Sebenico, nel campo di raccolta dei prigionieri, trovammo altri italiani, pure loro prigionieri dei partigiani iugoslavi. Dopo i primi scambi di saluti e convenevoli di rito, ci sorse spontaneo il ricordo di quel gruppo dei cento italiani lasciati nel Maggio precedente, e chiedemmo ai già ospiti di quel luogo se appunto nel periodo di tempo citato fosse giunto un gruppo di cento nostri concittadini. La risposta da parte di tutti purtroppo fu negativa, cioè non era arrivato nessun prigioniero da quel mese fino a quando arrivammo noi. Naturalmente la notizia ci rattristò moltissimo, perché si affacciò subito alla nostra mente che quei cento compatrioti fossero stati uccisi, forse infoibati.

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Di questo orrendo delitto ebbi conferma nei giorni del mio rimpatrio (Giugno 1946), quando, arrivato a Barletta, venni a sapere che non erano mai giunti due miei concittadini: Capolongo Francesco e Surdi Giovanni; il primo, figlio di un valente sarto, il secondo, figlio di colui che gestiva un negozio detto “Piccolo guadagno” su Corso Garibaldi, di fronte alla porticina di servizio della Basilica di Santo Sepolcro e fratello dei genitori dell’edicola per la rivendita dei giornali nella Stazione Centrale delle Ferrovie dello Stato a Barletta. La medesima triste ed orrenda fine fecero tanti altri miei amici e compagni di prigionia, portati altrove non fecero più ritorno alle proprie case, dalla propria famiglia (ricordo tra questi Dattola Giuseppe di Reggio Calabria). 2 Giugno 1946: nella mattinata di questo giorno, in Italia, gli italiani si recarono ad esercitare il loro dovere-diritto a votare per eleggere i deputati per una Costituzione del nuovo Stato Libero, perciò democratico e per pronunciarsi sul referendum Repubblica o Monarchia. Nella medesima mattinata fui chiamato, tramite un prigioniero italiano che abitualmente faceva da interprete,

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per recarmi presso l’ufficio del Comandante del Campo, cosa che feci appena terminai di farmi la doccia e la disinfezione del mio vestiario intimo personale. All’incontro del Comandante e dell’interprete appresi che sarei subito ritornato a casa mia, cioè rimpatriato. Ci fu un breve dialogo. Il Comandante rivolto verso l’interprete: “Digli che ancora due o tre giorni e andrà a casa”. Io, pure avendolo sentito in lingua slava capì subito di che si trattava, prima che l’interprete me lo avesse tradotto, così io stesso chiesi se la notizia fosse sicura, e il Comandante di rimando mi confermò dicendomi: “Sicuro, sicuro”. 3 Giugno 1946: come di consueto mi recai, assieme agli altri compagni di sventura, al raduno mattutino per essere condotti a lavorare. Speravo che mi avessero esentato poiché ero in attesa di partenza per l’Italia, stando alla lieta notizia del giorno precedente, invece inviarono anche me. A questo punto si affacciarono alla mia mente i primi dubbi e sospetti. Pensai ad una presa in giro. Per la verità non fu così e i dubbi si dileguarono. Infatti,

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dopo due-tre ore di lavoro, un militare partigiano fu inviato sul posto ove stavo a lavorare, a prelevarmi e condurmi al Campo presso l’ufficio del Comandante. Questi mi disse di tenermi pronto per partire in serata, anzi mi disse di recarmi presso il suo ufficio alle ore 22:00 di quel giorno (3 Giugno 1946), cosa a cui mi attenni e feci. Subito dopo partimmo (il Comandante ed io) col treno alla volta di Spalato (Split), ove arrivammo nella tarda mattinata del giorno successivo. Qui fui consegnato ai dirigenti di un altro grande Campo di prigionia ove c’erano prigionieri italiani e tedeschi. In questo campo stetti soltanto tre o quattro giorni. Dopo questa breve sosta mi fecero partire, accompagnato da una guardia militare iugoslava, in un Centro di “smistamento” di soldati prigionieri provenienti da fuori Iugoslavia e di prigionieri italiani destinati a rimpatriare in Italia. Presso questo Comando di Polizia rimasi soltanto ventiquattro ore. L’impiegato, a cui fui affidato, fu molto gentile, parlava bene l’italiano e mi fece consegnare una coperta e il posto dove passare la serata e la conseguente nottata, oltre a provvedere per

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il cibo dalla cucina di questo Centro di smistamento, di arrivi e partenze. Il medesimo funzionario mi disse di ritornare da lui alle ore 12:00 del giorno successivo, per ritirare i documenti necessari per lasciare il territorio della Iugoslavia, oltrepassare la frontiera e poter proseguire per l’Italia e, naturalmente, per casa mia, cioè per Barletta. Trascorsi quest’attesa tranquillo e sperando che veramente fosse stata l’occasione per rientrare presso la mia famiglia: i miei genitori, mio fratello Nicola e mia sorella Maria. Ho detto “tranquillo e sperando” si, perché qualche dubbio si affacciava ancora alla mia mente. Queste preoccupazioni sono state sempre presenti nella mia mente, poiché mi ricordavo l’ingannevole prima promessa al momento della nostra quasi spontanea presentazione, quando ci promisero che ci avrebbero mandati a casa appena ripristinate le vie di comunicazioni, ferroviarie e stradali. C’era anche un altro motivo che mi dava preoccupazione e paura. Alcuni mesi prima, forse all’inizio dell’anno 1946, ricevetti

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una lettera del mio carissimo amico e quasi coetaneo Antonio Gissi, seminarista (insieme alunni di San Filippo Neri), il quale mi comunicò che aveva ricevuto l’ordine del Diaconato nel Seminario regionale “Pio XI” di Molfetta. Da parte mia gli risposi con una lettera nella quale espressi il mio compiacimento e il mio sincero e affettuoso augurio per la prossima ordinazione sacerdotale. Aggiunsi nella lettera alcune considerazioni circa l’alta dignità del sacerdozio cattolico e di tutti i sacerdoti: alter Christus… Temetti che questa mia lettera fosse stata aperta dalle autorità incaricate all’ispezione della corrispondenza, per cui, scoprendomi cattolico, mi avessero accusato di un “tentativo di fuga”, creando uno scandalo, quindi creando una propaganda contro il “cattolico fuggiasco”. Cosa che a dire il vero non si verificò e per questo ringraziai nostro Signore Gesù Cristo. Finalmente arrivò il giorno in cui fui liberato, perlomeno non c’era più la guardia personalmente per me. Di buon mattino iniziai a passeggiare lungo il corridoio in cui si affacciava l’ufficio

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che mi avrebbe dovuto rilasciare i documenti per il viaggio verso l’Italia. Non avendo io l’orologio, mi servì di guardare spesso quello che stava proprio in quell’ufficio, poiché la porta di questo era con il vetro. Dieci minuti prima delle 12:00 mi recai dall’impiegato per ritirare i documenti. L’impiegato mi dette le necessarie spiegazioni per ciascun documento, nell’ordine: un documento per ottenere dalla stazione ferroviaria di Zagabria il biglietto fino all’ultimo paese della frontiera tra la Iugoslavia e il territorio controllato dagli anglo-americani, una busta color celeste da consegnare alla polizia iugoslava di frontiera (Divača) ed infine un altro documento scritto in lingua inglese da mostrare alle autorità anglo-americane della nuova frontiera tra la Iugoslavia e il territorio libero di Trieste. Così partì da Zagabria alla volta di Trieste e nel tardo pomeriggio di quel giorno feci tappa a Lubiana poiché non c’era il treno che proseguisse. Dovetti attendere nella stazione di Lubiana fino al mattino successivo.

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Mentre attendevo, seduto ad una panca nella stazione di Lubiana, mi accadde un episodio un po’ strano, ma confortevole e gioioso per me, provvidenziale. Transitò passeggiando una giovane, giovanissima ragazza. In quel tempo storico, anno 1946 e successivi, nel regime di Tito, tutti si qualificavano “compagni” (termine usato dai comunisti), “drugarizza” (compagna), “druse” (compagno). Questa “compagna” si avvicinò a me offrendomi un cartoccio di ciliegie che io accettai con piacere, e mostrai a lei la mia riconoscenza e la mia gratitudine dicendole un sincero “grazie”. Glielo dissi in lingua slava: “Fala, drugarizza”. Dopo questo la giovane ragazza proseguì il suo cammino. Le ciliegie furono veramente buone e salutari. Naturalmente rimasi sorpreso da questo strano, inusuale gesto, poiché fu rivolto a me prigioniero di un’altra nazione (italiano) e a lei completamente sconosciuto. Anche per questo episodio, per me molto incoraggiante, ringraziai la Divina Provvidenza. Fine giornata. Siamo ad un nuovo giorno. Alle ore 5:00 mi avviai verso il treno che era fermo alla stazione sin dalla sera precedente, diretto a

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Trieste. Non ricordo dopo quante ore (5 o 6 o meno) il treno arrivò a Trieste. Attraverso i finestrini vidi scritto su un muro della stazione a caratteri grandissimi “Qui è l’Italia”, e a poca distanza da questa “Trieste è italianissima”. Soltanto così scomparirono i miei timori, le mie paure, i miei incubi. Fui sicuro di essere già in Italia. Sceso dal treno mi imbattei in un piccolo Centro Ristoro per i profughi gestito da qualche Associazione Cattolica, che oltre a rifocillarmi gratuitamente, mi dettero un’immaginetta della “Madonna del buon ritorno”. Fui ospitato per una notte, mentre il giorno successivo proseguì per Udine, ma prima ero stato sottoposto ad un interrogatorio da una commissione anglo-americana, interrogatorio detto di “discriminazione”. Le domande riguardarono se lungo il percorso per arrivare a Trieste avessi visto postazioni di armamenti iugoslavi contro il territorio controllato dagli alleati. Non c’era nulla di questo genere, almeno per quanto mi fu dato

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di vedere. Questo particolare del racconto, preciso, non avvenne a Trieste ma a Udine, ritrovo gestito e organizzato dall’Azione Cattolica Udinese. Mi corre l’obbligo di far sapere che a Udine riprese ad organizzarsi, perciò a funzionare, una parte dell’Azione Cattolica Giovanile (G.I.A.C.) con una rappresentanza della presidenza nazionale. Durante la prosecuzione della guerra, dopo l’armistizio del 8 Settembre 1943, l’Italia si ritrovò improvvisamente divisa in due parti: il Centro-Nord occupato dall’esercito germanico e il Sud dagli anglo-americani. Al centro di Udine chiesi nel 1944 la mia adesione alla G.I.A.C. Dopo l’interrogatorio a cui fui sottoposto a Udine ripartì per Barletta ove arrivai nel tardo pomeriggio del 14 Giugno del 1946. Qui mi sorse spontanea una preoccupazione: ‘se mi presento così improvvisamente dai miei genitori, senza averli potuti avvisare prima’ pensai ‘potrei suscitare in loro una forte e naturale emozione, onde potrebbero subire danno alla loro salute’.

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Per cui, passeggiando all’interno della stazione di Barletta, speravo di incontrare qualcuno che conoscessi per inviarlo a casa mia ad avvisare i miei genitori, e così avvenne. Incontrai un giovane chiamato Francesco Filannino, figlio di Antonio Filannino, nostro conoscente di famiglia. Incrociammo gli sguardi e ci riconoscemmo vicendevolmente. Una volta salutati lo pregai di recarsi a casa mia ad avvisare i miei di casa dicendo che “Nunzio è arrivato a Barletta e si trova nella stazione ferroviaria”. Si trovò in casa anche mio fratello Nicola, il quale venne a rilevarmi e mi accompagnò a casa mia in Via Magenta 86. Così finalmente potetti abbracciare e baciare i miei genitori, mio fratello e mia sorella Maria. Siamo nel tardo pomeriggio del 14 Giugno dell’anno 1946. Quindi, come un lampo, si diffuse la lieta notizia tra i vicini di casa, i quali vennero subito a salutarmi. La notizia arrivò nell’Oratorio di San Filippo Neri e al direttore Don Raffaele Dimiccoli, il quale si recò immediatamente a salutarmi ed abbracciarmi. Appena entrò in casa feci la mia ge-

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nuflessione di rispetto e venerazione al cospetto del Ministro di Gesù Cristo, baciandogli la mano. La mia gioia, la mia emozione, fu indicibile poiché si aggiunse il racconto del mio ritorno improvviso, quindi senza alcun preavviso, reso ancora più emozionante dal fatto che ero rimpatriato da solo, non in gruppo con altri prigionieri. La giornata del 14 Giugno 1946 si concluse all’insegna dell’allegria e della riconoscenza a Dio e alla sua santissima madre Maria, ringraziandoli di tanta loro bontà e misericordia nei miei confronti. 15 Giugno 1946: di buon mattino mi recai presso l’Ufficio Annonario Comunale per ottenere i tagliandi per avere alcuni generi alimentari ancora razionati (pane e qualche altro che non ricordo). Nei giorni successivi mi recai presso la Capitaneria di Porto di Barletta per informare del mio rimpatrio e regolarizzare la mia posizione di cittadino italiano. Così gli organi preposti dalla Capitaneria mi dissero di recarmi al Comando Marina di Brindisi, Comando da cui dipendevo e

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da cui partì per il Servizio Militare di Leva, cioè obbligatorio secondo le leggi italiane allora in vigore. Qui fui sottoposto, ossia a Brindisi, ad un lungo interrogatorio, definito di “discriminazione”, tendente a conoscere tutto quanto fosse stato possibile conoscere, sin nei minimi particolari: i nostri movimenti e la nostra vita a cominciare dall’8 Settembre 1943 per finire al 14 Giugno 1946, giorno del mio ritorno a casa. Terminato l’interrogatorio mi fornirono il documento necessario per fare ritorno a Barletta, ma, nel frattempo, mi ordinarono di tenermi pronto per recarmi, di nuovo, presso il Comando Marina di Brindisi, al fine di approfondire l’interrogatorio di “discriminazione”, cosa che feci dopo alcuni giorni. Arrivato presso detto Comando mi chiesero di raccontare cosa avevo fatto e come avevo trascorso il periodo di tempo dall’8 Settembre 1943 al 14 Giugno 1946. Iniziai il racconto. Ogni tanto mi interrompevano ponendomi qualche domanda per conoscere eventuali particolari che per loro erano importanti. La cosa che più incuriosì l’interrogante fu, e lo rimase per parecchio tempo, il “fatto” veramente strano,

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inusuale, irrituale e inspiegabile, di essere rimpatriato da solo, su chiamata e scelta personale, quindi l’unico del gruppo di circa trecento persone presenti nel Campo prigionieri di Sebenico. Purtroppo a questa domanda: “Perché da solo e soltanto tu?” non sapevo rispondere, non conoscevo e non ho mai saputo o conosciuto la vera motivazione o il movente della decisione delle autorità governative iugoslave. Alle diverse insistenze dell’interrogante, mi rimaneva una sola risposta: “Non lo so neanche io, può essere stato un errore, una svista da parte di colui o coloro che inviarono l’ordine per mandarmi a casa, ma di certo io non lo so”. Terminato l’interrogatorio di qualche ora ritornai a Barletta, però mi dissero di ritornare a Bari presso il medesimo Comando Marina per proseguire l’interrogatorio, cosa che avvenne e che io osservai scrupolosamente. Ritornai a Bari: stesso racconto, altre domande, qualora avessi collaborato con i partigiani del Maresciallo Tito, presidente della Iugoslavia e principale ideatore e organizzatore della lotta partigiana per liberare la nazione dall’occupazione nazifascista.

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Feci presente ancora una volta che non avevo prestato alcuna collaborazione né con i partigiani e neanche con i tedeschi. In quest’ulteriore interrogatorio mi rivolgevano le medesime domande della volta precedente, tanto che ad un certo momento dissi: “Scusate, questa domanda me l’avete rivolta già nell’interrogatorio scorso, perché la ripetete ancora?”. Risposta: “Per vedere se tu dici sempre le medesime risposte” Domanda: “Ci puoi dare una tua interpretazione sul perché sei ritornato da solo?” Risposta mia: “Io sono un cattolico, credo in Dio e nella sua Divina Provvidenza. Sono convinto che qualcosa è successo nelle alte sfere gerarchiche del governo comunista di Tito o nelle decisioni di qualcuno addetto a questo compito, donde è scaturito l’ordine del mio rimpatrio che rimane inspiegabile, direi quasi misterioso, io stesso non lo so.” Nota: sto scrivendo oggi 16 febbraio 2015. Per quanto raccontato circa il misterioso rientro solitario a casa dalla prigionia, mi corre l’obbligo di riferire “alcuni particolari” a cui neanche mia madre, che ne fu la principale attrice, dette importanza e alcune

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“considerazioni e riflessioni� che sono sopravvenute col trascorrere degli anni.

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I particolari, anzi “il particolare”, di cui mia madre fu l’attrice principale

Mia madre era facilmente portata a scrivere lettere nelle diverse circostanze di famiglia a persone con le quali non era facile incontrarsi personalmente. Nella fattispecie della mia prigionia pensò (secondo me illuminata dalla Spirito Santo a cui era devota) di inviare una lettera al Maresciallo Tito, capo e presidente del governo della Iugoslavia. Così facendo, aiutata dalla cugina Angela Berardi (insegnante di scuola elementare), scrisse una lettera implorando Tito per la mia liberazione. Non ho mai conosciuto i termini e le parole usate da mia madre, però mi sorge spontaneo che saranno state “parole accorate di una mamma” che potettero far breccia nel cuore indurito di Tito o di chi per lui. A questa cosa non demmo mai una particolare importanza, ma io ho sempre pensato e creduto in un particolare intervento di

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Dio, poiché Dio per realizzare i suoi progetti si serve anche delle cosiddette “cause seconde”. In questo frangente, la lettera di mia madre. Qui mi corre un altro obbligo da fare e tenere presente a chi leggerà questa storia. Sono fermamente convinto e credo sinceramente all’effetto delle pressanti preghiere di mia madre, ma anche di mio padre, uomo di fede e grande devoto di San Michele Arcangelo. Ambedue i miei genitori erano cristiani, cattolici formati nel frequentare la parrocchia di San Giacomo Maggiore sin da tenera età. Alle preghiere dei miei si aggiunsero quelle del venerabile sacerdote Don Raffaele Dimiccoli, direttore e fondatore del “Nuovo Oratorio San Filippo Neri”, che io frequentavo e che ripresi a frequentare con assiduità ed impegno anche quando rimpatriai dalla prigionia iugoslava. Seppi da qualche giovane di San Filippo che Don Raffaele faceva pregare per me i ragazzi dell’Azione Cattolica dell’Oratorio, poiché ero stato per loro guida in qualità di delegato Aspiranti

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di A.C., oggi responsabile dell’A.C.R. A questo punto è utile per me, e maggiormente per coloro che verranno a conoscenza di questo racconto, sapere ciò che mi capitò durante una conversazione col parroco occasionale della Chiesa del Sacratissimo Cuore di Gesù in Borgo Libertà della diocesi Cerignola Ascoli Satriano, Don Sergio Di Giovine, alla quale era presente anche una catechista di questa parrocchia, Annamaria Ippolito. Capitò di raccontare la mia vita da prigioniero per sommi capi, in particolare alcuni episodi verificatisi durante quella permanenza forzata in Iugoslavia. In considerazione delle giornate che trascorrevamo, certamente non liete, ma sempre mortificate dalla mancanza di libertà, dalla pressante sorveglianza da parte delle guardie e soprattutto dall’assenza dei nostri genitori e parenti, mi venne un’ispirazione: che sarebbe stata una cosa utile invitare tutti i compagni prigionieri ad un incontro di carattere religioso, ove sottoporre alla considerazione di tutti “i nostri rapporti con Dio”. Frequentemente, nei momenti liberi dal lavoro, di sera in par-

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ticolare, capitava di intrattenerci in discussioni e dibattiti tra di noi su tantissimi argomenti e situazioni della vita nel mondo. Nelle conversazioni intrattenute con me capitavano sempre discorsi in riferimento proprio ai nostri “rapporti con Dio”. Una volta, tra l’altro, feci presente che senza l’aiuto di Dio non possiamo fare niente, al che un mio amico mi disse: “Dio che può far tutto, perché ci fa stare così mortificati? Può farci andare a casa?”, riposi: “Gesù stesso ha detto – è scritto nel Vangelo – che senza di lui non possiamo fare nulla”, poi aggiunsi: “Se Dio vuole ha la potenza di farci trovare in Italia senza farcene accorgere. A Dio nulla è impossibile, è il creatore di ogni cosa, ha stabilito tutto così e può modificare ciò che vuole a suo compiacimento, decidendo, se vuole, anche di farci trovare a casa nostra senza fare chiasso e senza azioni altisonanti”. Appena stavo terminando il racconto, il parroco Don Sergio Di Giovine esclamò: “Nunzio, qui sta la spiegazione del tuo misterioso ritorno a casa tua da solo e sei mesi prima del gruppo di cui tu facevi parte: Gesù ha premiato la tua fede.” Mi attraversò subito un baleno di emozioni. Sinceramente mi

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zittì per un momento, un baleno di immediata riflessione. Riconobbi e riconosco di aver ricevuto questo grande premio a cui non avevo mai pensato, ma da quel momento sono riconoscente a Gesù Cristo nonostante la mia indegnità. Queste sono le “cause seconde” di cui Dio si serve per il nostro bene e a cui ho fatto e faccio continuamente riferimento. Su queste considerazioni, ossia le “cause seconde”, mi viene spesso in aiuto una riflessione fatta da Carlo Carretto in un convegno di Azione Cattolica, ove, tra le tante cose, ci parlò delle “cause seconde” come un mezzo per conoscere la volontà, i progetti di Dio nella vita di ogni persona.

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Come ho trascorso la mia vita dopo il ritorno dalla prigionia

Ripresi il lavoro manuale di contadino come tutti e come sempre, ovunque e con chiunque trovavo da lavorare. Ripresi contatti con gli amici ed i conoscenti di prima. Parecchi di questi erano possibili datori di lavoro con i quali beneficiavo di un’occupazione quasi permanente, situazione provvidenzialmente fortunata, così da non avere l’ossessionante e tormentata preoccupazione ti dover “trovare lavoro” ogni giorno. Certo, questa mia posizione di favore mi spingeva ad essere riconoscente ai diversi datori di lavoro che incontravo, senza badare a qualche ora di prestanza lavorativa in più in confronto al contratto di lavoro conforme alle leggi. Mi corre l’obbligo di far sapere che questa situazione mi faceva comodo e mi fu molto utile per poter utilizzare le ore libere del pomeriggio e della sera ad attività di carattere spirituale, religioso e culturale, frequentando l’oratorio San Filippo ed altri am-

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bienti e organizzazioni cattoliche e sindacali. Anche quest’ultime hanno contribuito alla mia formazione civile e sociale. Dopo poche settimane dal mio rientro a Barletta, mi giunse una lettera del presidente e del segretario diocesano della G.I.A.C., Gioventù Italiana di Azione Cattolica (Gioventù maschile) con la quale mi invitarono a far parte del consiglio diocesano, proposta che accolsi con piacere. Quindi offrì la mia disponibilità a collaborare. Naturalmente ripresi a frequentare l’oratorio San Filippo Neri con Don Raffaele Dimiccoli, le catechiste, i giovani e i ragazzi che frequentavano. Man mano che trascorrevano i mesi e gli anni mi trovai sempre più inserito nella vita religiosa e organizzativa dell’oratorio e, soprattutto, dell’Azione Cattolica nell’oratorio e in diocesi, ma in qualche modo anche in Regione Puglia. Nel frattempo fui nominato delegato aspiranti, ossia collaboratore della formazione dei ragazzi (aspiranti) in associazione e delegato aspiranti diocesano.

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Così ripresi a vivere e a trascorrere i giorni, i mesi e gli anni in pieno regime di lavoro. E siamo giunti nell’anno 1948 con l’impegnativa campagna elettorale per eleggere il primo parlamento della Repubblica Italiana. Ho detto “impegnativa” perché si trattò di stabilire se in Italia ci sarebbe dovuta essere garantita la “vera” libertà con governi e parlamenti democratici, eletti democraticamente dal popolo, oppure se ci saremmo fatti dominare da governi dittatoriali, onde saremmo passati dalla dittatura fascista di Mussolini a quella comunista (altrettanto dittatoriale) di Togliatti e Stalin. Per l’occasione di queste elezioni anche la Chiesa cattolica, attraverso le diverse diramazioni organizzative, intervenne ad istruire il popolo all’uso del voto, facendo presente i programmi dei diversi partiti in gara. Per l’occasione fu istituito il comitato civico di ispirazione cattolica con diramazione centrale (Roma), zonale (cittadino) e parrocchiale. Anche io, con altri giovani, partecipai alla propaganda elettorale

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in favore della Democrazia Cristiana per sbarrare il cammino al partito comunista italiano (P.C.I.) e al partito socialista di Pietro Nenni, alleati in un’unica lista ed emblema: Fronte Democratico Popolare, con la fotografia di Giuseppe Garibaldi. Così l’Italia si sollevò dal rischio veramente pericoloso della dittatura comunista asservita a quella di Mosca. Nel 1947 fui nominato vicepresidente diocesano della G.I.A.C. (Gioventù maschile di Azione Cattolica), durante la presidenza del Rag. Cecchino (Francesco) Lanciano, mentre era assistenLoreto - Palazzo Apostolico Presidenti Diocesani G.I.A.C. 1949 - Gruppo Pugliese

te ecclesiastico diocesano, il sacerdote Don Francesco

(detto Ciccio) Spinazzola. Nei primissimi giorni del 1949 partecipai insieme a Nicola Rizzi e Michele Dimonte ad un corso per propagandisti di Azione Cattolica che si svolse a Venosa (PZ), presso l’Istituto Salesiano.

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Qui conobbi molti dirigenti della G.I.A.C., delle diocesi della Puglia e parecchi dirigenti nazionali che si alternarono a tenerci lezioni e istruzioni. Il corso fu diretto dal delegato regionale pugliese Emilio Lonero e dall’assistente regionale Don Giuseppe Lanove, divenuto poi Vescovo di Andria. Nel 1949 fui nominato, dal presidente centrale della G.I.A.C. Carlo Carretto, Incaricato Regionale per la Gioventù Rurale della Puglia. Nel medesimo anno fui nominato, dal vescovo Mons. Addazi, Presidente Diocesano della G.I.A.C. in sostituzione del Rag. Cecchino Lanciano, passato tra gli “uomini” di Azione Cattolica poiché aveva contratto matrimonio. Questa nomina mi fu comunicata dal Vicario Generale Mons. Angelo Raffaele Dimiccoli, oggi Venerabile. Sinceramente la mia nomina mi sorprese non poco, considerandomi non idoneo a tale nuovo incarico, in considerazione del mio grado di cultura ed istruzione (poco più della licenza elementare), tenendo conto che in Diocesi c’erano alcuni giovani

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formati e con grado di istruzione superiore al mio. Con l’Azione Cattolica e nell’Azione Cattolica trovai l’ambiente adatto e dirigenti regionali e nazionali bravi e competenti, formatori di giovani da lanciare nel futuro mondo italiano e mondiale. Così ebbi modo di beneficiare di tutti gli aiuti spirituali per la mia missione di “Laico Cattolico” impegnato nella Santa Madre Chiesa.

Udienza del Papa Pio XII - tra il 1949 e il 1950 Consulta nazionale dirigenti regionali juniores G.I.A.C. ricevuti dal Papa insieme ad atleti del C.S.I. (Centro Sportivo Italiano)

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I tantissimi incontri di formazione religiosa e di aggiornamenti mi “arricchironoâ€? culturalmente, spiritualmente e civilmente, cosĂŹ da poter mettere in pratica tutti i restanti anni della mia vita (che tuttora non sono pochi) a motivo dei diversi incarichi, cui ero stato chiamato e che mi investirono totalmente. Furono per me veramente salutari per essere il meno inadatto a svolgere la missione di apostolo tra i giovani in particolare, ma anche tra le persone che le vicende della vita quotidiana mi capitava e mi capita di incontrare lungo le strade della mia vita di novantenne nel mondo.

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La mia andata prima, poi il mio trasferimento e la conseguente permanenza a Borgo Libertà di Cerignola

Nell’ultima settimana del mese di Gennaio 1953 mi giunse una lettera dall’Ente Riforma e Trasformazione Fondiaria – Sezione Speciale per la Riforma Agraria, con la quale venivo assunto a lavorare presso tale Ente, con destinazione presso il Centro di Colonizzazione di Cerignola. Il 27 dello stesso mese e anno mi recai presentando la lettera di assunzione. Mi furono date le principali istruzioni che il caso richiedeva. Fui presentato al dirigente-capo azienda di Borgo Libertà, Dott. Gasparro. Così il giorno successivo, 28 Gennaio, raggiunsi Borgo Libertà che comprendeva le contrade Ragucci I e II, Torre Alemanna e Tre Titoli. Qui il capo azienda mi spiegò il lavoro da fare, ossia assistere

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e guidare i contadini-braccianti agricoli che l’anno precedente diventarono assegnatari dei terreni, appositamente quotizzati in singoli poderi di circa ettari 6,00 (sei) ciascuno. Era mio compito guidarli, assisterli ed eventualmente insegnare loro l’esecuzione dei lavori inerenti le varie colture stabilite dai “tecnici” dell’Ente in esecuzione allo spirito delle leggi per la Riforma Agraria. Uno dei principali obblighi-doveri a cui dovetti sottostare fu quello dell’obbligo della mia permanenza fissa in campagna, giorno e notte. La prima notte la trascorsi proprio nei locali superiori della Torre Alemanna. Il giorno successivo fui destinato presso la Masseria Ragucci (Centro dell’Insediamento dei nuovi piccoli proprietari – assegnatari) con le rispettive famiglie degli assegnatari nelle case coloniche già costruite e in costruzione. Intanto mentre trascorrevano i giorni, le settimane e i mesi mi inserivo sempre più nel mio compito di guida, facendo tesoro delle mie qualità umane e cristiane acquisite in famiglia (ricevute da Dio, dai miei genitori e dall’educatore Mons. Raffaele

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Dimiccoli nell’oratorio San Filippo Neri in Barletta e dall’Azione Cattolica). Nel frattempo i rapporti con gli assegnatari diventarono sempre piÚ stretti, non piÚ limitati ai rapporti Ente-contadini, ma amichevoli e confidenziali estesi financo alle loro famiglie che, man mano, si insediavano nelle nuove case coloniche.

Tre Titoli 1954

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Come trascorrevo il tempo libero dalle ore di lavoro dell’Ente di Riforma

Mi resi conto che le numerose famiglie insediatesi nelle case coloniche erano piuttosto prive di cultura religiosa (catechesi e similari). Forte della mia esperienza di apostolato pensai e progettai di incontrare giovani e adulti per parlare loro di Dio, di Gesù Cristo, ossia della “storia della nostra salvezza”, tenendo presente che già nell’Ente R.F. era funzionante anche un settore così detto di “assistenza sociale”, con impiegati addetti proprio con la qualifica di “assistenti sociali”. Nel frattempo ebbi occasione diverse volte di incontrare questi colleghi per uno scambio di conoscenze, di idee e, conseguentemente, di progetti, al fine di fornire ai nuovi abitanti della campagna, unitamente a quella propriamente tecnico-pratica, l’esecuzione dei lavori agricoli. Una formazione di cultura generale: sociale, civile e religiosa. A questi colleghi esposi il mio proposito di una serie di incontri

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per il capofamiglia e per i giovani (numerosi nella zona). Loro condivisero e li pregai di parlarne al direttore del Centro di Colonizzazione e al capoazienda (Dott. Sergio Solimini e Sig. Mentore Castellini). Purtroppo l’assistente sociale non informò il capoazienda, così da provocare il risentimento del dirigente che a sua volta mi rimproverò piuttosto severamente, pensando che fosse una cosa esclusivamente di iniziativa personale. A questo incontro, puramente casuale, si trovò presente anche il vice-capoazienda, P.A. Sig. Nicola Belpiede, il quale informò i responsabili della D.C. di Cerignola dell’incidente burocratico, mettendo in vista l’impedimento del Sig. Castellini a farmi svolgere l’attività nelle ore libere del lavoro istituzionale dell’Ente R.F. A questo punto, in serata, si recarono presso il direttore del Tre Titoli 1954

Centro in Cerignola per comuni-

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care l’accaduto e per autorizzarmi a svolgere quella missione orientata ad istruire le persone nella loro dignità di umanità, di civiltà e cristianesimo, comunque nelle ore libere dai doveri professionali propri dell’Ente di Riforma. In seguito a questa autorizzazione potetti organizzare incontri e feste religiose in piena collaborazione e consenso dei tanti sacerdoti e vescovi che, in oltre cinquant’anni, si erano avvicendati nella guida pastorale delle persone, che sempre più numerose si insediavano nelle case coloniche della Riforma Agraria e Fondiaria.

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Sacerdoti che ho incontrato sulle strade della mia vita

Dopo qualche mese dalla mia permanenza nell’azienda “Tre Titoli” dell’agro di Cerignola, Borgo Libertà, Marzo 1953, e dopo l’incontro con gli assistenti sociali dell’Ente Riforma Fondiaria, conobbi il primo sacerdote destinato a guidare spiritualmente, religiosamente e civilmente le tante famiglie insediate in campagna: Don Orazio Braschi, sacerdote attivo, zelante, soprattutto per fare attutire l’impatto delle persone, che dalla vita in città furono costrette a trasferire la loro residenza in campagna. Mi corre l’obbligo di fare alcune precisazioni. È importante sapere che l’azienda denominata “Borgo Libertà” è costituita da diverse contrade agricole o località: Ragucci, Tre Titoli, Torre Alemanna, Torretta, Gubito, Santa Clotilde. La località più popolata è Ragucci con 109 famiglie numerose (tra i 6 e i 12 figli) all’epoca delle assegnazioni, 1951, e fino al 1980 circa.

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Don Braschi sentiva nelle sue vene i molteplici problemi che condizionavano la vita delle famiglie nel nuovo ambiente. Con Don Orazio si celebrava la Santa Messa festiva in tre località: Pozzo Terraneo e Tre Titoli prima, e, successivamente, anche Torre Alemanna. L’incontro mio con Don Orazio fu per me incoraggiante e mi spronò a fare tutto quanto ritenessi possiTre Titoli 1955

bile e adatto per le persone

sul piano spirituale, religioso e civile. Con lui fu possibile dare inizio alle particolari feste religiose aziendali. Intanto il nome Tre Titoli dell’azienda fu sostituito con “Villa Immacolata”, in ricordo della prima assegnazione dei poderi ai contadini avvenuta l’8 Dicembre 1951, festa dell’Immacolata Concezione, con la presenza dell’allora sottosegretario al Ministro dell’Agricoltura “Amintore Fanfani”, che, per l’occasione, cambiò il nome

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Torre Alemanna in Borgo Libertà. Nel 1954, anno Mariano, organizzai le peregrinatio mariae, naturalmente con il consenso del cappellano Don Orazio e con la collaborazione

delle

suore

domenicane del SS.mo Sacramento, dette comunemente di Vasciaveo, che nel frattempo furono invitate ad insediarsi a Tre Titoli per l’istruzione e necessaria formazione dei fanciulli ed adolescenti. Le suore istituirono subito un 2-3 Giugno 1956 Borgo Libertà (Tre Titoli) Cerignola - IV° anno della festa patronale

laboratorio di taglio, cucito e ricamo per giovani ragazze che

ormai erano in vista della loro sistemazione personale nella società civile. E siamo al 1956. Così anche per me si presentarono nuovi problemi che con il passare degli anni mi correva il dovere di provvedere, cioè pensare e provvedere al matrimonio.

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Nel centro di Tre Titoli, dove avevo la mia residenza per lo svolgimento dei compiti per la Riforma Agraria, vivevano già alcune famiglie di coltivatori agricoli, ex mezzadri della ditta Pavoncelli di Cerignola, grande proprietario di terreni a cui furono espropriati molte centinaia di ettari in base alla legge della Repubblica Italiana 1950/51 quotizzati e concessi ai brac-

Tre Titoli 1960

cianti agricoli. I su accennati mezzadri (di Pavoncelli) rimasero nelle loro abitazioni del centro Tre Titoli perché anch’essi oggetto di assegnazione del terreno in questione. Intanto proseguivano i lavori di trasformazione agraria dei terreni secondo le disposizioni della Direzione Generale dell’Ente Riforma Fondiaria in Puglia, Lucania e Molise. Non più colture estensive ma specializzate. Infatti ogni pode-

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re fu dotato di una casa colonica per abitazione, circa un ettaro di vigneto-oliveto, mentre la rimanente superficie poderale era coltivata a cereali, legumi e erbai per il bestiame già fornito a ciascuno dal medesimo Ente di Riforma. A tutto questo lavoro che guidavo non mancavano le occasioni per colloquiare con i nuovi piccoli proprietari in conversazioni tendenti a riferirci a Dio, datore di ogni bene, occasioni e circostanze che favorivano incontri con le famiglie, ormai insediate nelle case coloniche. Così ritengo di essere diventato “catechista itinerante”, forse senza volerlo. Da allora ho messo in pratica il suggerimento di San Paolo (incoraggiato anche dai sacerdoti e dai vescovi che nel frattempo ho incontrato): annunziare e parlare in maniera opportuna o non Lourdes - Settembre/Ottobre 1977

richiesta di Gesù Cristo e del

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suo Vangelo in ogni circostanza favorevole all’ascolto altrui. Tuttora nel mio piccolo e modesto ambiente continuo ad essere catechista perenne ad onore e gloria di GesÚ Cristo. Gennaio 1959: le diverse capellanie rurali istituite dal vescovo diocesano del tempo, Mons. Donato Pafundi, furono trasformate in parrocchie dal vescovo Mario Di Lieto, successore di Pafundi. Queste parrocchie furono denominate extra-urbani o rurali, affidate ognuna ad un sacerdote parroco.

Loreto - Luglio 1965

La prima parrocchia fu proprio quella di borgo LibertĂ , intitolata

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al “Cuore Sacratissimo di Gesù”, affidata alle cure pastorali del sacerdote Don Antonio Occhionegrelli, sacerdote giovanissimo, attivo e zelante, tutto dedito alla cura delle anime a lui affidate delle diverse centinaia di persone abitanti, in un vasto raggio di chilometri, su una superficie di ogni un migliaio di ettari, realizzatore di molte iniziative atte ad agevolare alle persone di raggiungere il centro parrocchiale distante di oltre 5 chilometri. Con la restituzione della parrocchia fu possibile organizzare l’Azione Cattolica per tutte l’età e categorie: dai fanciulli cattolici fino alle donne e uomini, naturalmente con gli immancabili incontri di formazione spirituale e catechesi permanente alle diverse età e sesso. Fu lui, Don Antonio, a propormi di trasferire la mia abitazione da Tre Titoli al centro del borgo Libertà, cosa che avvenne in Novembre 1963. Così la mia collaborazione nelle diverse attività, celebrazioni liturgiche ed altro col parroco diventò piena e diretta. Tra Settembre e Ottobre 1963 ci fu il cambio di parroci: Don Antonio Occhionegrelli a Cerignola tra il Duomo e la curia ve-

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scovile, sostituito dal sacerdote Vincenzo Vino, proveniente dalla parrocchia extra-urbana San Giovanni Battista. Parroco, quest’ultimo, col quale incontrai difficoltà a collaborare: non molto attivo, si limitava alle normali attività e celebrazioni che aveva trovato e tramandate dal suo predecessore. Una volta ebbe a dirmi che loro, parroci di campagna, dovevano guardarsi bene a non fare molte cose per non mettere in difficoltà e per non scoraggiare e far fare brutta figura a quei confratelli che non riuscivano a fare meglio e di più. Ciò significava non strafare nelle attività ed iniziative pastorali per non mortificare qualche altro confratello che non riusciva. Anno 1967 circa. Alternanza di parroci: Don Vincenzo Vino alla nuova parrocchia intitolata “Sacri Cuori di Gesù e Maria” in Cerignola città, mentre Don Raffaele De Donato a borgo Libertà. Con la venuta di questo sacerdote si instaurò un’ottima collaborazione non soltanto con me, ma con le famiglie abitanti nel villaggio, qualcosa di più fattivo con quelle persone che frequentavano la parrocchia con maggiore presenza e fattività.

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Consiglio pastorale e Consiglio economico parrocchiale

Arrivò il tempo, su sollecitazione del Vescovo Di Lieto per la costituzione del Consiglio Pastorale e di quello Economico. Furono accolti con molto piacere e soddisfazione. Le diverse realtà parrocchiali funzionavano al meglio anche se ridimensionate in rapporto al numero degli abitanti del vastissimo territorio. L’attività di questo parroco, Don De Donato, non riguardò soltanto l’assistenza religiosa ma si estese anche a quella sociale, così come avevano operato il cappellano Braschi e il parroco Occhionegrelli. Mi preme mettere in evidenza il lavoro di formazione fatto dalle suore domenicane del Santissimo Sacramento (dette di Vasciaveo), operanti sull’intero territorio della parrocchia per bambini, adolescenti, giovani e anche adulti, in piena sintonia con i diversi parroci che si sono qui succeduti.

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Loreto - 24 Agosto 1971 Gruppo UNITALSI della sottosezione di Cerignola in Pellegrinaggio con gli ammalati

Siamo giunti a Settembre 1974. Con la particolare industrializzazione del nord Italia, moltissime famiglie contadine della zona che comunemente chiamiamo “assegnatari�, in rapporto alla loro nuova posizione sociale per aver avuto i terreni dall’Ente Riforma Fondiaria Agraria, da braccianti nullatenenti a piccoli proprietari coltivatori diretti, si trasferirono proprio al nord, ove trovarono lavoro relativamente subito. Naturalmente per loro si presentarono nuovi problemi, specialmente come conciliare la loro occupazione lavorativa e la posi63


zione sociale con la coltivazione del podere ricevuto tra il 1951 e 1954. In seguito a questo trasferimento dopo le naturali riflessioni decisero di passare ad altri (conoscenti e amici) i terreni, comprese le case coloniche. Quindi inizio lo “spopolamento della campagna”, l’alternanza degli abitanti, nuovi coltivatori. A questa trasformazione coincise, nel medesimo periodo storico, la diminuzione numerica dei sacerdoti con i conseguenti naturali inconvenienti delle attività parrocchiali, tanto che il Vescovo si trovò nella necessita di trasferire, mano a mano che si presentavano le sfavorevoli coincidenze, i parroci delle parrocchie rurali in città proprio per supplire alla diminuzione numerica del clero. Una di queste conseguenze la risentimmo in borgo Libertà, poiché al comunità delle suore residenti qui sin dal 1954 fu trasferita altrove. Iniziarono così problemi nuovi, per cui si dovettero escogitare provvedimenti e organizzazione adeguata. Con l’assenza permanente del sacerdote e delle suore mi trovai

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in prima persona impegnato per continuare a mantenere viva la frequenza e le attività parrocchiali con particolare premura per le celebrazioni: Santa Messa Festiva, Incontri formativi per gli aderenti all’Azione Cattolica, la Catechesi per i fanciulli e per gli adolescenti. I parroci venivano in parrocchia soltanto la domenica e i giorni festivi infrasettimanali. Spesso mi sentivo in dovere di sollecitare, spronare i sacerdoti a rendersi disponibili quanto più possibile. A Don Raffaele De Donato successero, in ordine di tempo, i sacerdoti: Biagio Diaferia, Vincenzo D’Alessandro, Patito Clemente, Gaetano Cafano (salesiano), Benito Mininno, Rocco Valente, Carmine Vietri, Michele Perchinunno, Ignazio Pedone, Giuseppe Russo, Rino Cota (salesiano) coadiuvato dal diacono permanente Gaetano Traversi. A tutti questi non è mai mancata la mia piena incondizionata e disinteressata collaborazione. A noi tutti sembrò una cosa strana che il trasferimento dei sacerdoti in città cominciasse proprio da Borgo Libertà, questo pro-

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vocò qualche commento non molto benevolo nei confronti del Vescovo (Mons. Mario Di Lieto). Pertanto inviammo un esposto alla Segreteria della Santa sede a Roma. Roma informò il nostro Vescovo il quale, tramite il suo segretario, ci comunicò il disappunto per quanto avevamo fatto. Credo importante portare a conoscenza il clima di rapporti tra gli abitanti del Borgo e il Vescovo del tempo (Mons. Mario Di Lieto); rapporti tesi, comunque di protesta, appoggiati sia pure indirettamente anche dal sacerdote-parroco. Correva l’anno 1975, venticinquesimo della prima assegnazione (primo atto) dei terreni della Riforma Fondiaria ai braccianti del comune di Cerignola. In collaborazione con l’incaricato della Pubblica Istruzione, Giovanni D’Alessandro, organizzammo la ricorrenza venticinquennale dell’inizio della “Riforma Fondiaria” e della prima distribuzione e quotizzazione dei terreni ai braccianti agricoli nel comune di Cerignola, che iniziò proprio da Borgo Libertà l’8 Dicembre 1951.

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Per l’occasione fu presente il direttore generale dell’Ente Riforma Puglia e Basilicata, Girolamo Cappiello, e, così come era solito fare, invitammo anche il Vescovo Mons. Mario Di Lieto per la celebrazione della Santa Messa a chiusura del convegno, ma

Il gruppo uomini di Azione Cattolica della parrocchia Sacro Cuore di Gesù in Borgo Libertà con S. Ecc. Mario Di Lieto (Vescovo) e Don Raffaele De Donato (Parroco)

anche perché il Vescovo Di Lieto seguiva con particolare attenzione il funzionamento delle parrocchie rurali, cosiddette “extra-urbane”. Per l’occasione, al momento del commiato col Vescovo, egli ebbe a dirmi: “Sfregola, ti ringrazio che mi hai dato

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l’occasione per ritornare a Borgo Libertà”. Da tutti i sacerdoti che si sono succeduti dopo il trasferimento di Don Raffaele Dedonato ho ricevuto grande stima, rispetto e riconoscimento della mia attività e attenta collaborazione (ad eccezione di Don Michele Perchinunno). Cito, non per mio vanto, ma per la verità e realtà, quanto mi disse un parroco, Don Potito Ferrante, al quale prospettai la mia intenzione di chiedere alla direzione generale dell’Ente di Sviluppo Agricolo della Regione Puglia (E.R.S.A.P.), un possibile

Loreto - Luglio 1966 Pellegrinaggio UNITALSI

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trasferimento a Barletta e dintorni. Don Potito mi pregò di rinviare tale richiesta a quando non ci sarebbe stato più lui. Preciso che l’idea del trasferimento balenava frequentemente nella mia mente ma non l’ho mai chiesto. Nell’anno 2003, 1 Novembre, finalmente arrivò un dono da parte del Vescovo diocesano Mons. Felice Di Molfetta, l’insediamento permanente del nuovo parroco nella persona del sacerdote Don Sergio Digiovine, permanenza che è durata per 8 anni. Così l’assistenza è stata più intensa perché continua, ossia quotidiana. Un carissimo e pio sacerdote dedito all’essenziale della vita cristiana per i fedeli a lui affidati. Una particolare attenzione l’ha rivolta per i ragazzi e per i giovani, tanto che è riuscito a sensibilizzarli ottenendo una frequenza e dedizione alla catechesi e ai sacramenti, oltre ad una operosa collaborazione col parroco per raggiungere le famiglie residenti nelle case coloniche distanti dal centro parrocchiale di parecchi chilometri. Anche per Don Sergio arrivò il tempo del trasferimento dopo

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circa 8 anni, essendo destinato a fare il parroco presso la concattedrale di Ascoli Satriano. Qui mi pare utile informare, per chi non lo sa, che la diocesi è denominata “Cerignola-Ascoli Satriano”. A Don Sergio è succeduto Don Leonardo Torraco, prete giovanissimo, un anno di messa. Per il suo temperamento e carattere non ha ingranato tanto bene, causando qualche disguido e qualche frattura. Dopo 2 anni è stato trasferito a Cerignola, presso la parrocchia “Maria SS.ma Addolorata”. A Borgo Libertà è subentrato il sacerdote Don Michele De Nittis, tuttora in carica. Giovanissimo pure lui, sembra intenzionato a prodigarsi per la guida verso il paradiso.

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8 Maggio 2016: Festa dell’Assunzione di nostro Signore Gesù Cristo al cielo

Inizio questa parte con un tratto del Deuteronomio poiché mi pare adatto per questo lungo tempo, a motivo della mancata residenza del sacerdote fisso in parrocchia: spero di aver messo in pratica quanto ordinato da Dio nel Deuteronomio (DT. 6,4-7). Credo di usare questo comportamento in ogni momento. Da parte mia non voglio una lode, credo di eseguire un ordine di Dio Padre e un incarico che Gesù ha dato ai suoi apostoli proprio prima dell’Ascensione al cielo. Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Cerco di fare tutto il possibile per realizzarlo. Da Settembre-Ottobre 1974 i sacerdoti, parroci o meno, incari-

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cati per la cura delle nostre anime, ma anche per contribuire a creare condizioni di vita più umane nel Borgo e nelle case coloniche, furono sempre meno disponibili a motivo dei molteplici impegni che avevano nel centro urbano, a cominciare dal primo, Don Biagio Diaferia. In presenza di tale nuova situazione ritenni doveroso, da parte mia, supplire alla insufficiente presenza dei sacerdoti. Così feci per le diverse pratiche religiose, nelle particolari ricorrenze liturgiche dell’anno: Immacolata Concezione (novena), Preparazione al Santo Natale di Nostro Signore Gesù (novena circolante nelle case, nelle famiglie con i presepi, da cui ci recavamo a gruppi itineranti). Per incoraggiare l’allestimento del presepe in ogni famiglia proposi a un gruppo di collaboratori e collaboratrici di indire un concorso con premio al migliore. Mi corre l’obbligo di precisare in questo momento per gli eventuali lettori della presente storia che il tutto, ossia qualsiasi iniziativa che intendevo realizzare nella comunità parrocchiale, la sottoponevo sempre e comunque all’approvazione dei rispettivi

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parroci del tempo. Soltanto con la loro approvazione la comunicavo all’intera comunità, oltre al fatto che spesso erano i medesimi sacerdoti a spiegare al popolo esortandolo alla partecipazione e collaborazione. Una particolare attenzione l’ho sempre rivolta (anche tutt’ora) alla catechesi dei bambini e dei ragazzi per Confessione, Comunione e Cresima. Purtroppo non sono mai riuscito a organizzare la catechesi post-cresima e tanto meno per gli adulti.

Saluto di benvenuto a S. Ecc. Mons. Vincenzo D’Addario, nuovo Vescovo di Cerignola per la prima visita fatta alla parrocchia di Borgo Libertà

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Oggi, domenica 25 Settembre 2016, nella Santa Messa celebrata da Papa Francesco per il Giubileo dei catechisti, il Papa tra l’altro ha detto: “Chi vive per se non fa la Storia. Il cristiano deve fare la Storia”. Nella mia vita, per una parte, ho fatto Storia inconsapevolmente, ma quando ho capito che facendo Storia miravo a diffondere Gesù Cristo, in qualsiasi ambiente e posto in cui mi sono trovato e con chiunque, ho voluto fare Storia per l’onore e la maggiore gloria di Dio, uno e trino, mio creatore, redentore, benefattore, mio tutto. In tutto questo mi ha spinto sempre l’idea che ho ricevuto quindi devo dare: “ho ricevuto gratis senza mio alcun merito, perciò ho il dovere di dare sempre, ovunque e a chiunque”. La frase sopracitata pronunziata dal Papa mi ha riempito di gioia e soddisfazione anche se immeritatamente.

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Domenica di Passione 1946 Discorso pronunziato in un’assemblea di soldati italiani prigionieri in Iugoslavia (Sebenico)

“I nostri rapporti con Dio. Siano lodati Gesù e Maria.” Compagni carissimi, questa sera ho desiderato riunirci per parlare un po’ degli affari che riguardano l’anima nostra, per esaminare un po’ i nostri rapporti con Dio. Siamo troppo assopiti nelle cose materiali, nelle cose che riguardano la vita del corpo e abbiamo dimenticato quasi completamente quella che è la sola cosa necessaria: “la salvezza della propria anima”. Dio ci ha creati col corpo e l’anima. Il corpo è la parte materiale, l’anima è la parte spirituale dell’uomo, per cui egli vive, intende, ragiona e distingue il bene dal male. L’anima che ognuno di noi ha costituisce la parte principale 75


dell’uomo. Essa è creata ad immagine e somiglianza di Dio e ogni qualvolta si commette un peccato, ossia ogni qualvolta si trasgredisce alla legge di Dio, ossia i dieci comandamenti, si offende gravemente Dio, si rinnova la passione a morte di nostro Signore Gesù Cristo, e si uccide l’anima. Difatti, secondo gli insegnamenti della nostra Santa Madre Chiesa, l’anima dopo il peccato è in stato mortale e si può riparare soltanto per mezzo del sacramento della Confessione, che ridona all’anima il perdono dei peccati, la vita e la pace. Tutti noi abbiamo il dovere di custodire gelosamente quest’anima e salvarla per presentarci al cospetto di Dio da cui siamo partiti. A questo riguardo Gesù parla molto chiaro nel Santo Evangelo dicendo: “Che giova all’uomo guadagnare tutto il mondo se poi perde l’anima sua?”. Dio ci ha creato per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e poi goderlo per sempre nell’altra in paradiso. Si conosce Dio per mezzo dell’istruzione religiosa. Quando si è conosciuto ciò che è Dio, quando si è conosciuto ciò che Dio ha fatto per amore nostro, e ciò che continua a fare, spontaneamen-

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te nasce l’amore verso questo Dio. Difatti egli creò l’uomo per amare, dopo averlo creato, l’uomo peccò e Dio stesso venne sulla terra prendendo un corpo e un’anima come l’abbiamo noi. Nacque in una stalla tra la più misera povertà, lavorò fino all’età di trent’anni e per ben tre anni predicò la sua dottrina insegnando con l’esempio e con la parola a vivere secondo Dio, confermò la sua dottrina con i miracoli e infine partì e morì in croce e resuscitò il terzo giorno. Tutto questo lo fece per amore nostro, per redimerci dal peccato e riacquistarci in paradiso. Sapendo noi e meditando tutto questo, spontaneamente nasce l’amore verso Dio che è l’amore infinito. “Dio è amore” dice l’apostolo San Giovanni, perciò offendere la sua bontà è l’offesa più grande. Chi si lamenta, chi brontola della cose come le dispone Dio, dicendo che Dio è ingiusto, che Dio è cattivo, reca a Lui la più grande offesa che gli si possa arrecare. Qualcuno a questo punto potrebbe dire: “Perché ci troviamo in queste condizioni?”. È bene che tutti sappiano che Dio non può volere il male, e se lo

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permette sa di ricavare il bene dal male. Non sta a noi discutere degli avvenimenti degli anni passati e degli avvenimenti quotidiani, non siamo all’altezza di scrutare i disegni di Dio, che sono imperscrutabili ed infiniti. Dio è infinitamente grande e noi siamo degli esseri piccoli, finiti, e dunque incapaci di giudicare i suoi disegni e tutto ciò che Lui dispone. Bisogna guardare tutto con l’occhio della fede e ad ogni avvenimento dire: “L’ha voluto Dio ed è ben fatto. Sia fatta la volontà di Dio”. Ricordate che le sofferenze le dobbiamo sopportare tutti o con le buone o con le cattive. La propria croce dobbiamo portarla tutti. Gesù disse: “Chi non porta la propria croce e non mi segue non è degno di me. Chi vuol seguire me prenda la sua croce di ogni giorno e mi segua”. In più l’esperienza quotidiana ci dimostra che la croce la portiamo tutti indistintamente, ognuno a seconda della propria capacità, però sta a noi farla diventare leggera o pesante. Se si porta guardandola e accettandola dalla volonta di Dio diventa legge-

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ra, invece se la si porta maledicendo e mormorando diventa pesantissima, e quanto più si mormora più pesante diventa. Non siamo stati mandati su questa terra per restarci in eterno, ma siamo solo di passaggio. Su questa terra siamo dei pellegrini in viaggio “dal tempo all’eternità”, dipende dalla nostra volontà procurarci un’eternità felice o infelice, l’eternità dipende dal nostro comportamento in questo viaggio, che ha una durata più o meno lunga. Solo chi fa la volontà di Dio, solo chi accetta tutto secondo la volontà di Dio si salva. A questo riguardo Gesù dice: “Non chi dice Signore, entrerà nel Regno dei Cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei Cieli”. Perciò anche le sofferenze più o meno gravi, se si sopportano con pazienza e rassegnazione, sono per noi mezzi efficacissimi per acquistare meriti per la vita eterna. Se si sopportano maledicendo e mormorando si soffre lo stesso, anzi si soffre di più e non si guadagna niente. Perciò, per voler sopportare le sofferenze secondo la volontà di Dio, per poter portare degnamente la

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propria croce quotidiana, dobbiamo chiedere aiuto al Signore, che non lo nega mai a nessuno. Lui stesso ci da i mezzi per poter terminare bene questo viaggio e i mezzi si ottengono con la preghiera. Perciò uniamo alle opere, alle sofferenze, alle umiliazioni, la preghiera. Essa è indispensabile, altrimenti non si può ottenere niente. In questi giorni che siamo verso la fine della Santa Quaresima, uniamo i nostri sacrifici al sacrificio supremo che Gesù compì sul calvario per la nostra redenzione, così acquisteremo molti meriti per la nostra anima ed anche grazie copiose per la necessità di questa vita terrena, e preghiamo molto Gesù e la nostra cara mamma celeste, la Madonna, che ci aiutino in ogni nostra necessità spirituale e temporale.

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Preghiera

Signore, Tu sei l’Eterno! Ed io che vivo nel tempo mi sento fatto per Te. Penso agli anni trascorsi, dono prezioso della Tua bontà. Ti voglio dire “grazie” per tutto il bene ricevuto e per le cose buone che ho realizzato, gioia e conforto di tante giornate vissute con Te. E se talvolta, tante volte, ho preferito la mia volontà alla Tua, Padre misericordioso che perdoni chi è pentito, cancella quelle pagine sbagliate del libro della mia vita. Ti prego conservami attento ai problemi del mondo, capace di capire 81


le nuove generazioni, pronto al servizio di tutti i miei fratelli. Concedimi, Signore, di continuare a vivere nella serenità e nella pace. Se l’infermità dovesse colprimi, aiutami ad accettarla con amore. Ti prego per coloro che mi vogliono bene e che non mi lasciano solo. Sii vicino a tutte quelle persone che sono abbandonate. Signore, mia speranza, io vengo incontro a Te.

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Sacerdoti che ho incontrato lungo le strade della mia VITA Don Raffaele Dimiccoli - Barletta Don Ruggiero Doronzo - Barletta Don Giuseppe Dimatteo - Barletta Don Vincenzo Frezza - Barletta Don Ruggiero Caputo - Barletta Don Francesco Spinazzola - Barletta Don Francesco Francia - Barletta Don Donato Cafagna - Barletta Don Michele Morelli - Barletta Don Antonio Gissi - Barletta Don Giuseppe Dargenio - Barletta Don Ruggiero Dargenio - Barletta Don Gaetano Nasca - Barletta Don Nicola Giannotti - Barletta Don Antonio Marano - Barletta Don Giuseppe Spera - Barletta Don Antonio Casardi - Barletta Don Sabino Cassatella - Barletta (Prevosto in San Giacomo) Don Pasquale Marchisella - Barletta (giĂ Padre Paolino) Don Tobia Mascolo - Barletta Don Romeo Russo - Barletta Don Sabino Lattanzio - Barletta Don Vittorio Graziani - Giuseppino in San Filippo Don Giuseppe Nebiolo - Direzione Cattolica Roma Don Arturo Paoli - Direzione Cattolica Roma Don Federico Sargolini - Direzione Cattolica Roma 83


Don Giuseppe Rosato - Direzione Cattolica Puglia Don Giovanni Tritto - Direzione Cattolica Acquaviva delle fonti Don Orazio Defidio - Barletta Don Orazio Braschi - Cerignola Don Antonio Occhionegrelli - Cerignola Don Vincenzo Vino - Cerignola Don Raffaele De Donato - Cerignola Don Biagio Diaferia - Cerignola Don Vincenzo D’Alessandro - Cerignola Don Gaetano Cofano (salesiano) - Cerignola Don Potito Clemente - Cerignola Don Benito Mininni - Cerignola Don Carmine Vietri - Cerignola Don Potito Ferrante - Cerignola

Vescovi Mons. Giuseppe Leo - Trani-Barletta Mons. Nicola Monterisi - Barletta (nostro parente) Mons. Francesco Petronelli - Barletta Mons. Reginaldo Addazi - Trani-Barletta Mons. Domenico Dellaquila - Barletta Mons. Donato Pafundi - Cerignola-Ascoli Satriano Mons. Mario DiLieto - Cerignola-Ascoli Satriano Mons. Vincenzo Daddario - Cerignola-Ascoli Satriano Mons. Giovanbattista Pichierri - Cerignola-Ascoli Satriano e Barletta Mons. Felice Di Molfetta - Cerignola-Ascoli Satriano 84


Mons. Nunzio Galantino - Cerignola-Ascoli Satriano Mons. Luigi Mansi - Cerignola-Ascoli Satriano Mons. Luigi Renna - Cerignola

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