arcireport
settimanale a cura dell’Arci | anno XIV | n. 11 | 24 marzo 2016 | www.arci.it | report@arci.it
L’Europa, tra fragilità e cattive politiche di Francesca Chiavacci Presidente nazionale Arci
L’idea dell’Europa unita è bella e affascinante. Ma forse ancora troppo fragile. Perché altrimenti non ci si potrebbe spiegare come in così pochi giorni sia potuto accadere che quell’idea conoscesse declinazioni terribili o profondamente sbagliate. L’Europa è stata colpita nel suo centro pulsante dagli attentati di Bruxelles. Ha deciso di chiudere le proprie frontiere a decine di migliaia di persone che scappano da guerre e persecuzioni approvando un accordo scellerato con la Turchia, che non rispetta le convenzioni sui diritti umani. Sulle sue strade si sono infranti i sogni di giovani cittadine europee (tra cui sette ragazze italiane). Ora più che mai, anche se noi lo diciamo da tempo, il progetto unitario che aveva segnato una rinascita del vecchio continente, sotto le insegne della pace e della prosperità, si trova di fronte a un bivio decisivo. Offrire al mondo una prova di maturità oppure restare intrappolato nella tragica spirale che ci ha portato ai drammi di questo tempo. In queste ore sentiamo evocare la necessità dell’unità europea, soprattutto a proposito di sistemi di intelligence e di sicurezza contro un terrorismo che pare trovare
linfa proprio tra cittadini europei, in una dinamica di radicalizzazione di sentimenti di odio e di rivendicazione. Sentiamo dire che è necessario recidere legami di complicità all’interno dei quartieri ad alta densità di immigrazione. Questioni importanti, indubbiamente. Ma certamente non sufficienti per sconfiggere la guerra che è tra noi (e che infiamma il pianeta) ed estirparne le radici. Non ci sembrano risposte esaustive per soddisfare un grande bisogno, quello di un’Europa che sappia ritrovare l’idea su cui venne fondata: quella di popoli riuniti in nome di una cultura della solidarietà, della democrazia, di diritti e libertà comuni. Per troppo tempo questa idea è stata trascurata, se non rinnegata, al punto che sono potuti riemergere, prima sommessamente, poi sempre più esplicitamente, chiusure e nazionalismi che oggi si sono tradotti nelle immagini-simbolo dei fili spinati, delle mani ‘timbrate’ dei profughi, dei controlli alle frontiere interne, del disinteresse verso le proprie periferie. Se vuole salvare se stessa, l’incolumità di chi la abita, sia nativo quanto migrante, l’Europa deve muoversi seriamente con i
mezzi della politica e con il linguaggio della verità. Evitando di dare credito a regimi che praticano al loro interno le più pesanti misure repressive, fino alla tortura e agli omicidi di stato. Sgombrando il campo da relazioni ambigue con governi ed elite che sostengono gruppi terroristici e lo stesso Daesh. Abbandonando l’idea che dai conflitti armati, dai bombardamenti indiscriminati che spesso colpiscono civili inermi e dalle possibili scomposizioni geopolitiche nel Medio Oriente possano derivare benefici e vantaggi economici. Lo ripetiamo ancora una volta: una risposta basata sull’accelerazione verso soluzioni di tipo militare non farebbe che dare respiro a una strategia terrorista e l’aiuterebbe a stringere le proprie fila. E, d’altro canto, la chiusura verso i processi migratori, con muri, filo spinato o ‘accordi’ di rimpatrio forzato, ovvero di deportazione, come quello con la Turchia, ottengono solo il risultato di accrescere la disperazione, contribuendo a creare un clima favorevole al terrorismo omicida. Dare forza a politiche di pace, di cooperazione sul fronte esterno e di integrazione e inclusione sul fronte interno ora è tanto più necessario, per salvare le idee di libertà e democrazia, quelle nostre e quelle degli ‘altri’. È facile predicare politiche di pace quando il pericolo è lontano. Assai più difficile è farlo di fronte a guerre che si estendono e a un terrorismo che agisce su uno scenario mondiale.