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c u r a
d e l l ’ A r c i
anno IX - n. 13 5 aprile 2011
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Un Governo di cui vergognarsi
L’Italia non accogliente
+ La Tunisia, piccolo paese alle prese con una difficile transizione politica e sociale, riesce ad accogliere con efficienza e umanità 140.000 profughi dalla Libia. Invece l'Italia, grande potenza europea, annaspa nell’emergenza per l’arrivo di poche migliaia di migranti. Basta questo paradosso a svelare il tragico fallimento della politica italiana sull’immigrazione, basata sui respingimenti e la chiusura delle frontiere. Il caos di Lampedusa è frutto di approssimazione e incapacità, ma anche della furia ideologica della Lega, che in questa vicenda ha cercato il proprio tornaconto elettorale. Si sono ostinati a distinguere fra profughi e clandestini per mostrarsi caritatevoli coi primi e inflessibili con gli altri, ma li hanno divisi in modo casuale e discriminatorio fra centri di espulsione e strutture per l’asilo. Hanno preteso di risolvere il problema militarizzando il territorio e hanno spostato l’inferno di Lampedusa a Manduria. Hanno allestito in tutta fretta mega tendopoli chiamandole centri di accoglienza ma in realtà sono centri di detenzione illegali per la stessa Bossi Fini. Strutture insostenibili, prive di servizi essenziali, che provocano esasperazione nei migranti e seminano paura nei territori coinvolti. Un errore dietro l’altro. Il ministro degli Interni è il primo responsabile di questa gestione folle, utile solo a fomentare la sindrome dell’invasione. Noi, fin dal primo giorno, abbiamo sostenuto che si dovesse fare altro. Esercitare le facoltà attribuite al governo dal Testo Unico sull’immigrazione, che prevede permessi temporanei per motivi umanitari. Ricorrere alla protezione temporanea prevista dalla Direttiva Europea del 2001, che oltretutto consente ai migranti di uscire dall’Italia ripartendo le responsabilità fra i paesi europei. E poi un piano di accoglienza diffusa: non grandi centri, ma piccoli gruppi distribuiti con la collaborazione di Comuni e Regioni, in rapporto coi servizi del territorio e con le associazioni. L’Italia, con una consolidata rete di società civile, è capace di gestire l’accoglienza. Lo fece con gli albanesi negli anni ’80 e durante la guerra nei Balcani, può farlo oggi. I circoli Arci ci sono, disponibili a collaborare con gli enti locali per un’accoglienza compatibile e correttamente inserita nei territori. Non ci tiriamo indietro, facciamo la nostra parte per risolvere i problemi, per difendere i diritti e la dignità dei migranti, per non doverci più vergognare del nostro paese.
foto: Toti Bello
Immagine della tendopoli di Manduria
Aquila chiama, Roma non risponde ono passati due anni da quel terribile 6 aprile 2009, quando il terremoto sconvolse l’Abruzzo e il suo capoluogo. Due anni inutili? No, purtroppo è andata peggio. Altre macerie si sono aggiunte a quelle non rimosse dell’Aquila. Non solo la spazzatura di Napoli o i rottami delle tendopoli e degli steccati dei centri di non accoglienza. Ma le macerie delle istituzioni, prese a picconate da un sistema di potere che ha fatto dell’emergenza la sua fortuna e la sua vittima. In questi due anni è poco dire che lo stato ha perso la partita della ricostruzione. Insieme ha perso la dignità. Quest’anno in Abruzzo è invitato solo il Presidente della Repubblica, l’unica istituzione rimasta in piedi. A L’Aquila, lo scrive su queste pagine Carmine Basile, si misura il dramma della lacerazione. Una
S
doppia condizione: una cittadinanza attiva, fatta di associazioni, di solidarietà, di volontariato, di coraggio; una passiva perché la città fisicamente non c’è ancora, le hanno impedito di ricostruirsi e di ricostituirsi. Un governo locale che sente appieno la propria responsabilità e l’angoscia di non potervi sempre fare fronte, fino alle dimissioni poi rientrate di un sindaco che mai si è tirato indietro, e uno centrale, tecnocratico a parole e a-democratico nei fatti, un governo ‘del fare’ senza la voglia e l’intenzione di farlo, pronto invece a lasciare strada libera a chi vuole trasformare la disgrazia in business con feroce cinismo. Se possiamo dare un consiglio: il Presidente Napolitano consegni una medaglia, anche solo virtuale, al popolo dell’Aquila. Perché continua a sentirsi italiano, nonostante tutto, in questo 150°.
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