arcireport
settimanale a cura dell’Arci | anno XIII | n. 40 | 19 novembre 2015 | www.arci.it | report@arci.it
Usare gli strumenti del dialogo e della conoscenza contro l’odio e il razzismo di Francesca Chiavacci presidente nazionale Arci
Gli attentati di Parigi suscitano dolore, sgomento, indignazione, dimostrazioni di solidarietà, interrogativi. Queste emozioni rischiano addirittura di risultare ipocrite se si pensa che a scatenarle sia stato necessario un colpo al cuore dell’Europa e non quanto è accaduto, per esempio, poche ore prima di Parigi a Beirut, alcuni giorni addietro nello spazio aereo egiziano e da troppo tempo ai danni di civili innocenti vittime di attentati e bombardamenti. Ma soprattutto queste emozioni e domande partecipano alla storia di un grande fallimento. Il potere terroristico devastante (e attraente per molti, troppi) del Daesh, nella sua doppia dimensione sovrana in Medioriente ed extra territoriale nella ‘civile’ Europa, non è frutto del caso. Ha fallito la sciagurata politica ultrabellica nata dalla reazione all’attentato dell’11 settembre, che dopo quindici anni può vantare il merito di aver consentito la scarsa diffusione di democrazie e l’espansione del fondamentalismo religioso islamista. Ha fallito la strategia di lasciare al proprio destino la
questione israelo-palestinese. Hanno fallito le ambiguità e complicità, tanto dell’Occidente e della Turchia quanto dei governi corrotti del Golfo col jihadismo, le cui conseguenze sono state pagate pesantemente dalle forze democratiche anti-Assad, continuano a essere pagate da milioni di curdi, e via via nel resto del Medioriente e in Africa. Hanno fallito, o si sono rivelate del tutto insufficienti, le politiche di inclusione e di promozione dei diritti nelle democrazie europee, se accade che i figli della nuova Francia e dell’Europa, in nome di un brutale totalitarismo teocratico, odiano e uccidono i loro fratelli francesi e partono per andare a combattere con lo Stato islamico. Il terrorismo che arriva nel cuore dell’Europa è il risultato di un conflitto in cui il nodo fondamentale delle guerre dentro l’Islam tra sunniti e sciiti è stato usato come uno strumento per mantenere equilibri e fare affari. Si è preferito lasciare che l’Is potesse contare su ingenti risorse finanziarie. E come bene ha scritto Etienne Balibar: «In questa guerra nomade, indefinita,
polimorfa, asimmetrica, le popolazioni delle ‘due sponde’ del Mediterraneo diventano ostaggi». Non vogliamo rimanere ostaggi e dobbiamo lavorare perchè gli errori commessi non si ripetano. Per questo è il momento di riflettere, di dare una mano per una lucida analisi. Per farlo, è necessario ricordare, essere solidali, conoscere, mettere in luce pezzi di verità. E questo numero di Arcireport, dal carattere monografico, vuole, nel suo piccolo, partecipare a fare questo. Abbiamo chiesto a esponenti della società civile del Mediterraneo e del mondo, alle voci dissonanti in Italia, a chi negli anni ha studiato e approfondito le questioni del disarmo, a tanti nostri compagni di strada un contributo di analisi e di informazione che in questi giorni ci è sembrato di non ritrovare nei media, tranne rare eccezioni. Perché sapere come è stato possibile ritrovarsi a questo punto è la prima condizione per combattere i rischi di una pericolosissima tripla spirale. continua a pagina 2