Lusaka, 12 marzo 2001
Cari Amici, ogni volta che mi metto a scrivere questa lettera mi si pone il problema di scegliere fra il grande numero di fatti e di persone che si presentano davanti ai miei occhi. La cosa più facile è offrire una descrizione di avvenimenti, molto più difficile cercare di cogliere in quei fatti, e soprattutto nelle persone che ne sono state protagoniste, ciò che li ha resi importanti e unici. Oggi vi scrivo da Lusaka, in Zambia, in una stanza che nella Koinonia originaria, nel 1982, era la veranda posteriore della vecchia casa di stile rural-coloniale che acquistammo da un'anziana vedova di origine inglese. I cambiamenti qui sono stati molto più lenti che in Kenya. Adagio adagio l'abbiamo ingrandita, si sono aggiunte nuove costruzioni tutte intorno al grande cortile, ma sempre in quello stile semplicissimo e un po' spartano, tipico dei contadini. Come vi scrissi lo scorso anno, in questa casa funziona dal gennaio del 2000 il Progetto Mthunzi, che ospita 12 ex bambini di strada, ne segue e sostiene a scuola altri 50 che vivono nel vicinato. C'è anche un laboratorio di falegnameria che l'anno scorso aveva 17 studenti e nel nuovo ciclo cominciato nel mese di febbraio ce ne sono 19. Tutt'intorno ci sono piccole fattorie, e la maggioranza dei bambini che aiutiamo a crescere sono figli di poverissimi braccianti agricoli, molto spesso orfani. L'AIDS qui ha devastato un'intera generazione, quella che adesso ha fra i 30 e 40 anni. In Zambia c'è un clima molto mite. Siamo ancora nella stagione delle piogge, ma non ha ancora finito di cadere l'ultima goccia che il sole appare in un cielo blu cobalto. Oggi c'è una grande pace. I bambini, un totale di 42 perché oltre ai dodici di Mthunzi le sette famiglie della comunità ne hanno altri 30, giocano nel cortile e nel campetto di calcio qui accanto. È lunedì, ma si celebra la Giornata della Gioventù, che in Zambia è festa nazionale. Poco lontano, a tiro di voce, riposano nel piccolo cimitero della comunità Clement, Lawrence e Jimmy, che ci hanno preceduti nella luce.
PORTA IL TUO CUORE IN AFRICA In viaggio verso i Nuba Il giubileo coi Nuba è stato per noi che vi abbiamo partecipato un grande evento. Il nostro gruppo era composto da persone molto eterogenee, ma ci si è affiatati subito, e l'accoglienza dei Nuba è stata, come sempre, straordinaria. Nonostante gli imprevisti e le difficoltà siamo riusciti a muoverci come previsto. Per chi non lo avesse letto, trovate allegato il breve articolo che ho scritto per Nigrizia. Il 30 marzo, magari mentre voi ricevete questa lettera, sarò a Vienna per la Marcia del Silenzio che ricorda i cristiani perseguitati. È un'iniziativa ecumenica che a Vienna si ripete tutti gli anni e che quest'anno è dedicata in modo particolare ai cristiani Nuba. Ho la responsabilità di fare l'omelia nella Cattedrale di Santo Stefano, che è sempre il punto d'arrivo della marcia. Ritornerò subito a Nairobi, ma ho accettato questo impegno che mi sembra un'occasione importante per preKizito Sesana
Amani significa Pace in Kiswahili. È una lettera di padre Kizito agli amici e un foglio di collegamento di Amani.
Derick e Onorine, le figlie di Valence
gare e far conoscere meglio i Nuba anche in Austria. Intanto il Sudan e i Nuba soffrono per la ormai cronica carestia che si ripresenta tutti gli anni in questi mesi, che sono in Sudan gli ultimi della stagione secca. La causa principale non è la siccità, ma la guerra che devasta questo paese da ormai 18 anni. La guerra causa spostamenti di migliaia di sfollati, l'abbandono dei campi, dei raccolti e delle mandrie per i ricorrenti attacchi da tutte le parti in conflitto. Rende difficile la ricostruzione e anche la distribuzione degli aiuti. Una guerra che si è sempre più incattivita con l'inizio dello sfruttamento, da parte governativa, dei giacimenti di petrolio, che hanno permesso al governo di comperare armi nuove e più sofisticate. Anche la nuova amministrazione americana si è accorta che esiste una guerra in Sudan. Colin Powell ha addirittura scoperto qualche giorno fa che la guerra civile sudanese è "la più grande tragedia umanitaria del nostro tempo". La paura è che se ne sia accorto per la ragione sbagliata, perché ha detto questo proprio nei giorni in cui si annunciavano scoperte di nuovi grandi giacimenti petroliferi. I Nuba soffrono in modo particolare perché il governo ha intensificato la pressione militare su tutto il loro territorio. Ci sono continuamente attacchi contro i villaggi per saccheggiare granai e mandrie e per rapire le persone. La gente è costretta sempre più a rifugiarsi sulle montagne, dove il terreno è meno fertile e c'è meno acqua. Per di più il leader dei Nuba, Yusuf Kuwa, che è anche uno dei leader dello SPLA più democratici e attenti ai diritti umani, è gravemente malato. Storie di bambini La cosa più avvilente, nei miei viaggi, è incontrarsi con le sofferenze dei bambini. L'altra sera, dopo aver condiviso una polenta enorme, mi sono seduto coi bambini di Mthunzi nel cortile illuminato da una luna ancora più grande della polenta. James ha dieci anni. Fino a sei anni ha vissuto con la mamma, il papà e' morto quando era piccolissimo. Poi è morta anche la mamma, probabilmente di AIDS, e James, sapendo che le famiglie dei parenti erano nella stessa situazione di estrema difficoltà, ha deciso di vivere in strada. All'inizio se la cavava bene, perché la gente, osserva James, aiuta chi è pulito e ben vestito. Ma più i vestiti diventavano stracciati e lui si presentava sporco ed emaciato, meno la gente lo aiutava. Anzi, ne aveva quasi paura, lo evitava. Allora in banda con altri della sua età aspettavano la notte per rubacchiare frutta dalle bancarelle. Una notte, dopo aver mangiato dei manghi rubati da un carico appena arrivato al mercato, si sono messi a dormire tutti insieme sotto un mucchio di vecchie scatole di cartone. Il padrone dei manghi li ha individuati e ha dato fuoco ai cartoni. Quando si sono svegliati sono scappati coi vestiti in fiamme. Nessuno è morto, ma alcuni sono rimasti gravemente ustionati, ed hanno continuato la vita in strada, curandosi le ustioni con succo di limo-
ne. Dove prendevano i limoni? Dalla bancarella del proprietario dei manghi… James ha ancora i segni di quelle ustioni su un polpaccio. Ricky e Tommy sono due gemelli di dodici anni. Vivevano a Kitwe, la cittadina nel nord della Zambia che è al centro delle miniere di rame. Il papà è stato licenziato quando erano ancora molto piccoli, per la grave crisi che ha colpito le miniere. La mamma ha incominciato a fare piccolo commercio per mantenerli, mentre il papà ormai era sempre ubriaco, bevendo i pochi soldi che riusciva a guadagnare con lavori occasionali. Poi la mamma è morta, probabilmente di polmonite da quello che i gemelli raccontano, e Tommy ha deciso di cercare una vita migliore… È andato a Ndola, dove ha vissuto in strada con una banda che gli ha insegnato piccoli trucchi di sopravvivenza, e poi, dopo qualche mese, una notte si è messo su di un treno merci che andava verso sud ed è arrivato a Lusaka. Ormai esperto della vita di strada è stato assorbito da un'altra banda di ragazzini. Intanto Ricky non si rassegnava alla perdita del fratello, e si è messo alla sua ricerca. La cosa gli è risultata abbastanza facile perché essendo i due gemelli quasi identici, trovava dappertutto bambini di strada che lo scambiavano per il gemello, e una volta spiegato l'equivoco, gli indicavano dove avevano visto Tommy o dove avevano sentito che fosse andato. Così Ricky è arrivato a Lusaka, e la sera stessa ha trovato Tommy, essendosi entrambi rifugiati in una stazione degli autobus abbandonata che coi suoi grandi capannoni serve da rifugio a molti bambini di Lusaka durante le notti di pioggia. Entrambi sono poi entrati in un programma di riabilitazione gestito da una ONG internazionale, ma ne hanno un ricordo tremendo, si sentivano in un campo di concentramento. Così sono tornati in strada, finché sono stati "pescati" da Mthunzi. Invece l'ultimo arrivato a Kivuli, Nairobi, è Derick. Ha dieci anni e proviene da un paesone a poche decine di chilometri da Nairobi. I suoi erano poveri e non è mai andato a scuola. Quando due anni fa è morta la mamma, il papà si è risposato con una donna che ha molti bambini e che, dice Derick, non lo poteva sopportare. Quando anche il papà si è messo a sgridarlo, a punirlo severamente, a picchiarlo Derick ha deciso di scappare di casa. L'ultimo ricordo che ha del papà è il segno di una bastonata sulla testa che deve essere stata tremenda e deve averlo lasciato tramortito per qualche tempo. In strada ha imparato quatto parole di inglese a memoria si è messo a tampinare i turisti cercando soldi. Avendo un istintivo senso degli affari, investiva i soldi per tenersi ben pulito e sfruttando il sorriso accattivante, riusciva a spillare diversi soldini. Di fatto ha vissuto così quasi un anno, ma poi ha deciso che per assicurarsi un futuro doveva andare a scuola. Qualcuno gli ha parlato di Kivuli e così è arrivato da noi chiedendo testardamente a tutti quelli che incontrava a Kivuli "buy for me a school" cioè "comprami una scuola". Evidentemente voleva dire "voglio andare a scuo-
la" ma l'unica frase in inglese che aveva imparato a dire ai turisti era "buy for me a bread", "comprami un pane". Nella casa di Anita, sempre a Nairobi, abbiamo da qualche mese anche Farid e Yohanne, due Nuba di 14 e 8 anni. Non sto a raccontarvi come sono arrivati a Nairobi giacché sarebbe troppo lungo. Una settimana fa, con l'aiuto di Paolino, ho cercato di intervistarli. Farid è alto e robusto per la sua età. Mi ha raccontato che tre anni fa era nel campo sul fondovalle, che per tutti i Nuba è la fonte principale di cibo, perché il campetto sulla montagna, vicino al capanna, serve solo per i consumi minori e immediati. Sono arrivati all'improvviso dei soldati governativi che li hanno fatti prigionieri, insieme ad un'altra trentina di persone che lavoravano nei campi vicini. Li hanno legati e li hanno fatti incamminare verso la più vicina guarnigione governativa, Delami. Il papà di Farid ha protestato, forse ha cercato di fuggire e senza pensarci un momento, i soldati lo hanno ucciso. Farid lo ha visto morire senza potergli andare vicino. A Delami lui e la mamma sono stati assegnati al servizio di un ufficiale. La mamma per un anno è stata usata come concubina, costretta ai lavori domestici più pesanti, come andare al pozzo, raccogliere la legna. Quando la mamma sfiancata dal lavoro ha cominciato ad ammalarsi l'ufficiale non ha voluto spendere neanche un soldo per curarla, e dopo due anni di prigionia è morta. Farid, che intanto era costretto in stato di schiavitù al lavoro nell'orto e nei campi, ha realizzato il progetto di fuga che aveva in mente da lungo tempo ed è riuscito a tornare al villaggio. Ma il villaggio non c'era più, e non c'erano più neanche i fratellini. Ha girato disperato per le montagne Nuba. Solo dopo qualche mese nella Casa di Anita, è riuscito a raccontarmi questa storia. Yohanne dimostra otto anni ma nessuno sa quanti ne abbia. Non parla quasi mai, ed è un'impresa strappargli un sorriso. E se gli si chiede qualcosa del suo passato china la testa si chiude in un silenzio assoluto. Solo nelle ultime settimane lo si vede qualche volta giocare con le bambine e Farid. Casa ha passato Yohanne? E cosa hanno le bambine della Casa di Anita che sembrano così allegre e spensierate ma si chiudono nel mutismo più assoluto se qualcuno per sbaglio fa un riferimento al loro passato? Sono storie che non interessano a nessuno, ma sono scritte sul palmo della mano di Dio. Qualsiasi strada percorreranno nella vita, quando arriveranno di fronte a Lui, anche se saranno diventati - speriamo di no! persone anziane magari permanentemente ubriache di birra o di potere, Lui saprà vedere nel loro intimo, vedrà in loro il bambino e la bambina che chiedono rispetto e amore. Beh, le loro storie interessano anche a noi, se no non ve le scriverei. Noi che crediamo e ci impegniamo per un mondo più giusto, più pulito in tutti i sensi, più rispettosi dei diritti di tutti, più umano.
A Koinonia non facciamo solo i "buon samaritani" che cercano di rimediare - tra l'altro senza mai riuscirci - le magagne di una società ingiusta. Il nostro Africanews vuole essere un aiuto a cercare di capire le cause, e tra l'altro quest'anno è dedicato particolarmente a presentare i problemi dei bambini africani. Le nostre attività per la pace e la riconciliazione, portate avanti principalmente da Africa Peace Point e Amani People Theatre, sono centrate sulle analisi delle situazioni e sulla ricerca di rimedi concretamente, politicamente possibili. Ora queste attività si intensificheranno con la costruzione di Shalom House, finanziata dagli amici de "La Goccia" di Senago. Ma questo sarà l'argomento della prossima lettera, perché questa sta diventando già troppo lunga. Kivuli esplode Intanto Kivuli cresce, anzi esplode. Non cercherò più di tenervi al corrente di tutti gli sviluppi, vi do solo qualche indicazione. La settimana prima di Natale abbiamo accettato che un club di giovani pugili del quartiere venisse ad allenarsi da noi. In gennaio qualcuno ha lanciato l'idea di un piccolo corso Biblico e adesso sono oltre venti giovani che si ritrovano una volta alla settimana, guidati da fratel Alex, un Piccolo Fratello del Vangelo che è venuto recentemente a vivere poco lontano da noi. Il corso è frequentato da giovani cattolici, evangelici, luterani, pentecostali e anche da musulmani. In febbraio finalmente qualcuno ha osservato: "ma come, a Kivuli si fa calcio, pallavolo, karatè, pugilato e non si fa atletica, specialmente fondo, in cui i Kenyani sono i migliori al mondo?". Detto fatto. La settimana dopo si è tenuta la prima riunione di un club di atletica, tutti giovani del nostro quartiere, tutta gente mai vista a Kivuli. Due settimane dopo il nostro club ha partecipato a dei campionati interprovinciali di crosscountry, e otto delle nostre ragazze sono arrivate fra la decima e la ventesima. I ragazzi hanno fatto meno bene. L'altra sera stavo guardando il gruppo di danze tradizionali in pieno allenamento, arriva Cheche, un ragazzo che fa batik da due anni, con altri cinque ragazzi mai visti. Mi dice "questi miei amici fanno sollevamento pesi e chiedono se possono usare il salone di Kivuli". Noi abbiamo deciso di dire sempre di sì a queste richieste, nei limiti del possibile. Tutto ciò che crea aggregazione è un preludio a creare amicizia, unità, a fare comunità. È parte della nostra vocazione di cristiani. Poi diamo la possibilità a chi lo vuole, quando lo vuole, di rispondere all'appello. "Se vuoi… Buona Pasqua! Davvero sto esagerando. Devo smettere. A tutti voi i più cari auguri di una buona Pasqua. Che Il Risorto ci apra gli occhi così che lo possiamo riconoscere e incontrare nel nostro prossimo
Matatu - in viaggio con l Africa Febbraio 2001 Porta con te il mio nome Un anno fa, lanciando l'idea di un pellegrinaggio di condivisione con le vittime della guerra sudanese, per riconoscere e venerare in loro il Cristo sofferente, pensavo che forse una decina di persone sarebbero state disponibili. Invece ho dovuto a malincuore rifiutare la partecipazione a molti e, nonostante ciò, lo scorso 21 dicembre ci siamo trovati in 27 sull'aereo che stava per partire per le Montagne Nuba: italiani, canadesi, austriaci, tedeschi e keniani. Il nostro viaggio aveva attirato anche attenzioni non richieste. L'aereo con i pellegrini e il suo carico di zappe e sementi aveva già acceso i motori sulla pista di Loki, da dove in Kenya partono i soccorsi per la popolazione civile sudanese, quando via radio abbiamo saputo che proprio in quel momento un aereo governativo stava bombardando la pista di Kauda che era la nostra destinazione. Altri segni facevano pensare che qualcuno ci aspettava a Kauda con intenzioni tutt'altro che positive. Non abbiamo avuto altra scelta che rientrare a Nairobi e passare il Natale con i bambini di Kivuli, facendo circolare la voce di aver rinunciato al viaggio. Intanto il governo bombardava ancora, il 24 dicembre. Il 27 abbiamo ritentato il viaggio, con successo. I Nuba, che non desistono facilmente, avevano immaginato che non ci saremmo arresi, e ci aspettavano. Ed abbiamo incominciato il pellegrinaggio vero, mettendoci in cammino sul sentiero che da Kauda va a Kerker. Sono stati giorni di cammino, di preghiera, di gioia condivisa con i Nuba. La fatica del camminare, la sete, il vento, la terra, il dormire sotto le stelle, ci hanno messo in contatto non solo con i Nuba, ma anche con noi stessi. A Kerker avevano organizzato le preghiere insieme e poi danze e lotte, con i giovani di due etnie che si sono sfidati in un'arena sabbiosa incorniciata dalle montagne che in questa stagione sono disseminate di fiori rosa. Soprattutto sono stati giorni di incontri con persone e giorni di silenzio, favorito dalle lunghe camminate. Volti di gente che pur vivendo nella precarietà più assoluta sa essere forte e tenera, ospitale e col sorriso sempre pronto. Una sera, al tramonto, mi sono appartato su una roccia da dove lo sguardo poteva raggiungere una catena di montagne che lentamente sfumavano nella pianura lontana. Niente faceva pensare alla presenza della guerra. Ad un certo punto mi sono accorto che c'era accanto a me un giovane con il mitra a tracolla. Non ha rotto il silenzio se non quando ha visto che stavo per muovermi. "Padre Kizito, ti ricordi il mio nome?" mi ha chiesto. Gli ho risposto di si, che mi ricordavo di aver parlato con lui, Kafi, il giorno prima, quando mi aveva portato nella sua capanna e fatto conoscere la moglie e i due figli. Mi ha detto serio e umile: "Non dimenticarti mai del mio nome, portalo sempre con te". Sono rimasto senza parole. Mi sono ricordato del Dio che ci conosce tutti per nome. Kafi, affidandomi il suo nome, si affidava a me, sentendosi troppo umile e povero per poter accedere a Dio in prima persona. A mia volta mi sono sentito portatore di una responsabilità troppo grande.
Kafi, non ti dimenticherò. Nel tuo sguardo c'era voglia di comunione, di pace. Mi hai fatto ricordare che se viaggiamo senza riconoscere nei luoghi e nelle persone la presenza di Dio, il nostro viaggiare non ha senso. Se ovunque vai non riconosci Dio e il fratello, non hai visto nulla. Marzo 2001 Tra violenza e compassione Una sera di dicembre, mentre Hector rientrava con la jeep di Kivuli, è stato fermato in un punto isolato della strada da quattro uomini armati che sono saliti e lo hanno costretto ad andare in un bosco dove lo hanno legato ad un albero, sparendo poi con la nostra auto. Pochi giorni fa Joseph e Ricky, un amico italiano, sono andati in città per fare degli acquisti e sono capitati in mezzo a una sommossa. Per qualche strana ragione la gente se l'è presa con loro, hanno tirato fuori Ricky dall'auto e lo avrebbero massacrato di botte se un fotografo non fosse intervenuto. Se la sono cavata con qualche giorno di ospedale, e l'auto è stata gravemente danneggiata. Da dove viene questa brutalità? Difficile rispondere, la crescente violenza nelle grandi città è un fenomeno mondiale. Qui sembra ci sia una una Nairobi che è rimasta legata alla sapienza antica, dove la solidarietà è un valore solido, insieme alla Nairobi in continua, fagocitante espansione, fatta di ricchi e di aspiranti ricchi, dove la ricchezza diventa una divinità onnipotente, al di sopra di tutto e per la quale si fa di tutto. È la Nairobi dei politici che quando sono stati nominati ministri possedevano una casetta e un gregge di capre e dopo cinque anni sono proprietari di grandi supermercati. Le culture che avevano resistito allo shock coloniale sembrano cedere di fronte al denaro. Nella tradizione occidentale la ricchezza è abbinata alla fatica, all'impegno, all'intelligenza. Qui è completamente decontestualizzata: ricchezza e basta. Per essere persone di successo bisogna diventari ricchi e subito. Lo spirito, l'anima e la società scompaiono. L'intreccio di solidarietà tipico del villaggio si sgretola. Il denaro genera come uno stato d'ipnosi temporanea che porta a dimenticare i propri valori. Per questa Nairobi la ricchezza è pesa e basta. Valore assoluto. A Kivuli abbiamo un bambino che si chiama così, Pesa che in kiswahili significa soldi. La persona ridotta a soldi. In questa Nairobi mancano luoghi pubblici dove i confini si attenuino, dove l'altro sia colto nella sua diversità e nella sua similarità. Non esistono spazi di confronto autentico, ogni voce è sola lungo queste strade e dentro questi autobus. Forse gli spazi più vitali sotto questo aspetto, sono gli slums, le baraccopoli. La stretta vicinanza, l'incombere continuo di difficoltà comuni, gli anni passati insieme nello stesso fazzoletto di terra, sono sempre più spesso collante per iniziative e lotte comuni. Noi qui a Kivuli vogliamo essere come sentinelle che attizzano il fuoco dei valori umani e africani più fondamentali: condivisione, compassione, comunione. A volte l'incoraggiamento viene in situazioni inaspettate. L'altro giorno il direttore della filale della banca dove teniamo i nostri soldi, un musulmano di origine indiana, mi ha visto ad uno sportello e mi ha chiamato nel suo ufficio. È
Matatu - in viaggio con l Africa partito da lontano, dicendo che legge i miei articoli, che condivide tutto quello che scrivo, anche se lui è di una religione diversa, perché ciò che scrivo, anche quando è apparentemente neutro, in realtà fa nascere una voglia di partecipazione alla vita degli altri, di "compassione". Mi ha letto una poesia sull'amore misericordioso e compassionevole di Dio che mi ha detto di aver scritto il giorno prima. Poi si è schiarito la voce: "Padre, mi pare che nelle ultime settimane abbiate avuto qualche difficoltà… posso permettermi di fare una piccola donazione personale e suggerirle di scrivere una lettera chiedendo alla nostra sede centrale un aiuto per rimettere in ordine la vostra auto?". La sua poesia diceva che la compassione ci rivela la più profonda verità circa noi stessi, ci fa riconoscere come creature che sono fatte per donarsi. La compassione è Dio. Un Dio, direi da cristiano, che per compassione si è fatto come noi. È vero, c'è qualcosa nella natura umana per cui rispondendo ai bisogni degli altri, cresciamo e diventiamo le persone che siamo. Le nostre scelte ci cambiano. La compassione sta alla radice di cosa vuol dire essere umani e implica il riconoscimento di una profonda vulnerabilità, l'ammissione che noi siamo fatti in modo da sentire le sofferenze degli altri. Il cristiano ha indicazioni precise per distinguere fra la retorica e la realtà della compassione, fra la falsa, mielosa espressione di vaghi sentimenti umanitari e l'impegno esigente. Il nostro Pesa, coi suoi sei anni di vita, queste cose non le sa dire, ma le ha capite, e si sta ampiamente vendicando contro una società che avrebbe voluto ridurlo a soldi. È una sentinella con gli occhi sempre aperti. La sera in cui ci hanno rubato l'auto mi ha visto passeggiare da solo nel cortile, pensieroso e probabilmente con aria sconsolata. Mi si è avvicinato e senza dire una parola mi ha preso per mano e trascinato a condividere la cena al tavolo dei più piccoli. Aprile 2001 Denise, 4 anni, e Onorine, 2 anni, sono le mie nuove vicine di casa. Sono sempre allegre e oggi ci vengono incontro battendo le mani quando rientro insieme al loro papà, Valence Kwitegetse. Il loro abbraccio rasserena il papà, che si stava sfogando dicendomi: "Nel migliore dei casi siamo considerati faciloni, incompetenti, infantili. Nel peggiore siamo irresponsabili, imbroglioni, violenti e "genocidari". Non solo noi ruandesi, ma tutti gli africani". Valence è andato per la diciottesima volta a far la coda all'ufficio di Nairobi dell' Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) e per la diciottesima volta, dopo aver atteso dalle nove del mattino alle cinque di sera, gli è stato detto di tornare un altro giorno. Valence è un Hutu di 25 anni e fino al maggio dello scorso anno lavorava come giornalista per "Imvaho", giornale del governo rwandese. Poi ha scoperto un grave caso di corruzione che coinvolgeva il capo della commissione
anti-contrabbando. Voleva denunciare la cosa, ma si è trovato a combattere da solo contro una forza troppo grande. È stato accusato di tradimento e minacciato di morte, ha dovuto scappare, prima a Kampala e poi a Nairobi. L'ho conosciuto lo scorso ottobre, che si trascinava disperato sul marciapiede di fronte agli uffici dell' ACNUR. Senza conoscenze, sopravviveva con il cibo che gli altri rifugiati condividevano mentre facevano la coda. Dormiva in un parco. Era già stato ascoltato dai funzionari dell' ACNUR che gli avevano fissato un altro appuntamento. Era angosciato al pensiero di Epiphanie, la moglie Tutsi rimasta a Kigali con le due piccole. L'essere riuscito a far venire a Nairobi la moglie e le due figlie lo ha tranquillizzato. Sta cercando di costruirsi un vita autonoma. Ma non è facile, la cosa migliore sarebbe se fosse accettato come rifugiato politico in Canada o in un paese francofono. Ma l'ufficio dell' ACNUR a Nairobi è infestato dalla corruzione. Molti funzionari - di ogni nazionalità - si fanno pagare dai rifugiati per esaminare il loro caso e alcune volte, quando hanno fra le mani un caso con documenti inoppugnabili che garantiscono l'accettazione in qualche paese occidentale, lo usano non a favore della persona in questione, ma per chi li paga di più. È lo sfruttamento della disperazione. Ho personalmente tentato di interessare al caso di Valence agenzie internazionali come Amnesty International e Reporters Sans Frontieres. Ho ottenuto solo risposte evasive, richieste di ulteriori informazioni e documentazione, un interessamento puramente formale. Se fosse coinvolto un giornalista europeo o americano - o, diciamolo pure, un bianco - la reazione sarebbe stata la stessa? "Anche questo è un segno della discriminazione con cui siamo considerati, e in cui ci siamo relegati anche per nostra colpa" commenta Valence amareggiato. I diritti umani sono solo per i ricchi? Mi avevano insegnato, molti anni fa, quando andavo alla scuola elementare, che i poveri vanno trattati con rispetto più grande degli altri, proprio perché vulnerabili. Era una romantica utopia? Il tempo dell'incertezza è il tempo di Dio. Contrariamente alla nostra tendenza di usare Dio come soluzione dei nostri problemi, il Dio di Gesù è silenzioso e assente quando abbiamo bisogno di lui, quando siamo sulla croce, come con Gesù un tempo, come con Valence oggi. È invece presente quando ci poniamo domande inquietanti. Domande che rimettono in questione l'ordine stabilito dagli uomini. Allora percepiamo la presenza di Dio nei piccoli gesti di libertà, di liberazione, di trasformazione. E ci accorgiamo che l'evento più importante delle storia del mondo, la resurrezione di Gesù, irrompe nella nostra storia attraverso le cose più quotidiane. Con il volto serio di mama Juliana, la cui baracca è bruciata la scorsa settimana e che tutte le mattine si mette a vendere la frutta ai margini della strada. O negli occhi di Chalse, già consumato dall'AIDS. O qui, nel sorriso di Denise e Onorine.
FORSE NON TUTTI SANNO CHE... . Gli incontri di Padre Kizito a Maggio:
Chi fosse interessato a partecipare agli incontri può contattarci per avere ulteriori dettagli (luogo, ora, ecc.).
. Africanews
Africanews è una rivista che presenta alcuni articoli sull'Africa scritti da giornalisti africani. L'edizione italiana di Africanews, curata da Amani, può essere ricevuta in abbonamento postale gratuito segnalando i propri dati alla sede di Amani. Africanews può essere ricevuta anche in formato e-mail iscrivendosi scrivendo un messaggio ad: • africanews1-subscribe@it.egroups.com (per l'edizione in lingua italiana) • africanews2-subscribe@it.egroups.com (per l'edizione in lingua inglese)
. African Scribe
Koinonia ha avviato un trimestrale "elettronico" che si interessa del dialogo fra il Cristianesimo a l'Africa. È intitolato African Scribe, dal nome dato a un famoso disegno di oltre tremila anni fa che si trova al Museo del Cairo e che rappresenta uno scrivano africano. African Scribe è in inglese e lo trovate a www.peacelink.it/africanscribe.html
. L'indirizzo E-mail di Padre Kizito
Padre Kizito ha cambiato l'indirizzo e-mail. "kizito@maf.org" non è più in funzione. Il nuovo indirizzo è kizito@maf.or.ke
. Le offerte ad Amani sono deducibili
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