2012
INTRODUZIONE DI
RICCARDO MUTI FOTOGRAFIE DI
SILVIA LELLI TESTO DI
MARCO AIME
THE ROADS OF FRIENDSHIP 2012 Q O uesto nostro viaggio dell’amicizia ci ha condotti per la prima volta nell'Africa
ur “friendship journey” led us to Sub-Saharan Africa and, for the first
subsahariana, dove abbiamo portato, lambendo i confini della savana e degli
time, we touched the endless savannah and the immense slums.
slums (entrambi sterminati), i nostri Verdi e Bellini affinché da oggi possano
We brought along our Verdi and our Bellini, so that from now on they could
diventare anche loro.
become theirs.
Ma nello scambio siamo stati noi a guadagnarci, perché se noi li abbiamo condotti
In the exchange, it was us who profited the most: we introduced them
nelle grandi e ancor vivissime memorie di uno straordinario passato loro ci hanno trasmesso
to the great, still living memories of our extraordinary past, and, in return, they gave us their
il senso attuale e necessario della speranza e del futuro, e questo in uno straordinario
present sense of necessary hope and of the future, in a wondrous continent whose resources,
continente, con enormi risorse, soprattutto umane.
especially human, are tremendous. I recalled the words of Albert Schweitzer, the man
Ho ripensato alle parole di colui che portò Bach in Africa, Albert Schweitzer: “L’africano è mio
who brought Bach to Africa: “The African is my brother but he is my younger brother
fratello. Ma è un fratello più giovane di parecchi secoli”. Così, se seguo lo sguardo luminoso
by several centuries.”
ed incredibilmente fiducioso di quei ragazzi, intravedo una direzione, un orizzonte ampio
In the bright, incredibly hopeful eyes of those African children, I can catch the glimpse
dove c’è spazio sia per la loro sapienza antica e profonda, in sintonia con la Terra e la Natura,
of a new direction, a wide horizon accommodating both their ancient wisdom in tune with
che per tutto ciò che di bello e buono la nostra civiltà ha generato.
the earth and nature and all the good, beautiful things Western civilization has managed
Tutto questo assieme a molto altro, ancora da inventare. I nostri fratelli africani possono dare
to create. I can see all this, together with much more still to be created.
un ulteriore senso al nostro passato insegnandoci a guardare avanti, contagiati da quella loro
Our African brothers can contribute further meaning to our own past: they can teach
incontenibile e gioiosa vitalità.
us to look forward, contaminating us with their unrestrainable and joyful vitality.
Non scontro bensì incontro di civiltà all’insegna di una multiculturalità che fa delle differenze
No clash, then, but rather an encounter of civilizations, characterized by a multiculturalism
una ricchezza e non un motivo di attrito. Un abbraccio fertile, una fusione da cui potrà scaturire
that sees difference as a treasure instead of a reason for friction. A fruitful embrace, a fusion
il nuovo. La musica, linguaggio universale per eccellenza, non può che propiziare tutto questo,
that might give birth to the new. Music, the universal language above all others, will propitiate
sotto il segno di una recondita ma insopprimibile armonia.
all this in the name of a hidden but irrepressible harmony.
Riccardo Muti
Riccardo Muti
Questo calendario è dedicato alla memoria di George Munyua Gathuru e Marco Colombaioni, scomparsi a Marina di Ravenna il 2 luglio 2011. Marco ha perso la vita in mare nel vano tentativo di soccorrere George dopo aver salvato altri quattro ragazzi che si trovavano in estrema difficoltà. Il ringraziamento di Amani va a tutti gli amici e ai giovani volontari che anche in questa triste circostanza hanno voluto dimostrare il loro affetto sincero e il loro impegno concreto, accorrendo da tutta Italia per stare vicini ai ragazzi del Koinonia Children Team e alla famiglia di Marco.
This calendar is dedicated to the memory of George Munyua Gathuru and Marco Colombaioni, who disappeared in Marina di Ravenna on the 2nd of July 2011. Marco lost his life at sea in a vain attempt to rescue George, and after having saved four other boys who were in extreme difficulty. Amani thanks all the friends and young volunteers that even in these sad circumstances have wanted to demonstrate their sincere love and their concrete solidarity, coming from all over Italy to stay close to the Koinonia Children Team and to the family of Marco. Amani ringrazia: Il Maestro Riccardo Muti Ravenna Festival Comitato Promotore “Le Vie dell’Amicizia 2011” Comune di Piacenza Comune di Ravenna Fondazione Piacenza e Vigevano Orchestra Giovanile Luigi Cherubini Orchestra Giovanile Italiana La Stagione Armonica Coro del Teatro Municipale di Piacenza maestri del coro Sergio Balestracci, Corrado Casati solisti Anna Kasyan, Anna Malavasi, Piero Pretti, Alessandro Luongo, Luca Dall’Amico Teatro Casa di Pulcinella per le fotografie Silvia Lelli l’autore del testo Marco Aime per la traduzione dei testi Prem Olsen per il progetto grafico e l’impaginazione Beppe Re Fraschini e Laura Guffanti, Ergonarte fotolito Articrom stampa Arti Grafiche Nidasio © Amani - Tutti i diritti sono riservati Ogni riproduzione anche parziale è vietata
PER ACQUISTARE QUESTO CALENDARIO Amani Onlus Ong Sede Legale e Amministrativa Via Gonin, 8 - 20147 Milano - Italy Sede Operativa Via Tortona, 86 - 20144 Milano - Italy Tel. 02 48951149 - Fax. 02 45495237 segreteria@amaniforafrica.it www.amaniforafrica.org
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AMANI PORTA IL TUO CUORE IN AFRICA
SILVIA LELLI
AMANI TAKE YOUR HEART TO AFRICA
SILVIA LELLI
Amani, che in lingua swahili significa “pace”, è un'associazione laica che ha iniziato la sua attività nei primi mesi del 1995 insieme al missionario comboniano Renato Kizito Sesana. Organizzazione non governativa riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri, orienta le sue attività seguendo due principi: privilegiare l’affidamento e la gestione di ogni progetto e iniziativa sul territorio africano a persone qualificate del luogo; garantire una struttura organizzativa snella per contenere i costi a carico dei donatori. L'impegno di Amani a favore delle popolazioni africane è rivolto in particolare alla cura, all’educazione e alla crescita dei bambini più soli in Kenya, Zambia e Sudan.
Silvia Lelli si laurea in Architettura a Firenze, e intraprende la carriera di fotografa seguendo le arti performative. Pubblica Storia di un soldato (1979) e Ritratti senza posa (1985). Tra il ‘90 e il ‘95 sperimenta grande formato e installazione intervenendo sulla superfice con graffi e mosaico, o inserendo elementi al neon. Altre mostre e/o pubblicazioni (1998-2009): Danza Dentro-Danza Oltre; Körper und Raum; In cammino, al bordo. Nel 2011 espone alla 54° Biennale di Venezia-Padiglione Italia. Fotografa ufficiale del Teatro alla Scala di Milano (1979-1996) con Roberto Masotti, realizza con lui (1991-2011): L’attimo prima della musica; SuoniSpazi-Silenzi; Note Sparse; trainCAGEtrain; Giuseppe Sinopoli attimi, sguardi; Bianco Nero Piano Forte; Passacaglia Alta; La Vertigine del Teatro. Dal 1981, anno della sua fondazione, segue la Filarmonica della Scala, e sull’orchestra pubblica Flying Music (2008). Coordinatrice e docente di master in fotografia presso le sedi dell’Istituto Europeo di Design di Milano e Venezia, Silvia Lelli è stata inclusa come fotografa nella Storia d’Italia - L’immagine fotografica 1945-2000, curata da Uliano Lucas (Giulio Einaudi Editore, 2004), costituendo questo un importante riconoscimento. Segue da lungo tempo il lavoro di Riccardo Muti, dell'Orchestra Cherubini e della Filarmonica della Scala, e ha interpretato a più riprese figure come Claudio Abbado, Leonard Bernstein, Maurizio Pollini, Placido Domingo, Carla Fracci, Luciana Savignano, e molti altri ancora. Collabora regolarmente con il Festival di Salisburgo. È rappresentata da Fratelli Alinari di Firenze.
Amani, “peace” in Swahili, is a lay association that began work in early 1995 together with the Comboni Missionary Renato Kizito Sesana. A non-governmental organization recognised by the Italian Ministry of Foreign Affairs, bases its action on two principles:
Silvia Lelli graduated in architecture in Florence and went on to work as a photographer specialising in theatre and the performing arts. Published Storia di un soldato (1979) and Ritratti senza posa (1985). Between 1990 and 1995 experimented with large format photography and installations, scratchingthe surface of the image and introducing neon elements. Other exhibitions and/or publications (1998-2009): Danza Dentro-Danza Oltre; Körper und Raum; In cammino, al bordo. In 2011 exhibited at the 54th Venice Bienniale-Italy Pavilion. Official photographer at Teatro alla Scala in Milan (1979-1996) with Roberto Masotti, together realising (1991-2011): L’attimo prima della musica; Suoni-Spazi-Silenzi; Note Sparse; trainCAGEtrain; Giuseppe Sinopoli attimi, sguardi; Bianco Nero Piano Forte; Passacaglia Alta; La Vertigine del Teatro. She has covered the Filarmonica della Scala orchestra since its foundation in 1981, publishing Flying Music (2008). Supervisor and teacher of the master's in photography at the Istituto Europeo di Design in Milan and Venice, Silvia Lelli received major recognition with inclusion as a photographer in Storia d’Italia - L’immagine fotografica 19452000, curated by Uliano Lucas (Giulio Einaudi Editore, 2004). She has long followed the work of Riccardo Muti, the Orchestra Cherubini and the Filarmonica della Scala, regularly photographing Claudio Abbado, Leonard Bernstein, Maurizio Pollini, Placido Domingo, Carla Fracci, Luciana Savignano, and many others besides. She regularly works with the Salzburg Festival. She is represented by Fratelli Alinari of Firenze.
LE PRINCIPALI ATTIVITæ SOSTENUTE DA AMANI SONO KENYA Kivuli Centre, progetto educativo che accoglie in forma residenziale 60 ex bambini di strada curandone la crescita e l’educazione, e copre le spese scolastiche di altri 70 bambini. Offrendo corsi professionali, una biblioteca, un dispensario medico, un progetto sportivo, un laboratorio teatrale, una sartoria, una scuola di lingue e di computer, Kivuli è diventato un punto di riferimento aperto e sicuro per tutti gli abitanti del quartiere. Casa di Anita, casa di accoglienza a Ngong (20 km da Nairobi) curata da due famiglie keniane. La Casa di Anita accoglie 40 ex bambine e ragazze di strada vittime di violenze di ogni genere, inserendole in una struttura familiare e protetta, permettendo una crescita affettivamente tranquilla e sicura. Ndugu Mdogo (Piccolo Fratello), casa di accoglienza a Kerarapon (15 km da Nairobi) che ospita in forma residenziale 40 ex bambini di strada accolti da tre famiglie keniane. Kivuli Ndogo e Ndugu Mdogo Rescue Centres sono centri di prima accoglienza e soccorso per tutti quei bambini che negli immensi quartieri di Kibera e Kawangware sono ancora costretti a sopravvivere in strada. Questi centri sono il primo passo di un percorso di recupero che potrà portarli poi a Kivuli, Ndugu Mdogo o alla Casa di Anita. Borse di Studio don Giorgio Basadonna, permettono a studenti meritevoli privi di possibilità economiche di proseguire nel percorso di studi superiore: un modo concreto per ricordare l’impegno di tutta una vita spesa da don Giorgio per la crescita dei giovani. Riruta Health Project, programma di prevenzione e cura dell'Aids che offre assistenza a domicilio a malati terminali e a pazienti sieropositivi delle baraccopoli. Geremia School, borse di studio in informatica per una formazione professionale di alto profilo, per contribuire a colmare il digital divide Nord-Sud. Families to Families, programma di sviluppo comunitario nato da un gruppo di famiglie italiane per sostenere gli ex ospiti dei centri nel percorso di reinserimento familiare e nella comunità locale. Diakonia Institute, corsi universitari in Scienze Sociali e Sviluppo Comunitario per formare a livello accademico figure in grado di lavorare nelle baraccopoli con professionalità. ZAMBIA Mthunzi Centre, (15 km da Lusaka), oltre ad accogliere in forma residenziale 60 ex bambini di strada curandone la crescita e l’educazione, è un punto di riferimento per gli altri abitanti dei centri rurali circostanti, con il suo dispensario medico e con i suoi laboratori di falegnameria e di sartoria per l’avviamento professionale. SUDAN Centro Educativo Koinonia, due scuole sui monti Nuba che garantiscono l’educazione primaria a circa 1200 ragazzi ed una scuola magistrale per selezionare e formare giovani insegnanti nuba per riattivare la rete scolastica gestita dalle popolazioni della zona.
www.lavertiginedelteatro.it www.bianconeropianoforte.com
LE VIE DELL’AMICIZIA 2011 PIACENZA - RAVENNA - NAIROBI È a Sarajevo che, nel 1997, è cominciata l’avventura delle ‘Vie dell’Amicizia’, il ponte di fratellanza attraverso l’arte e la cultura, divenuto da allora momento irrinunciabile di Ravenna Festival. Altri ponti sono stati gettati, altre vie tracciate, Beirut, Gerusalemme, Mosca, Erevan, Istanbul, New York… Oggi, come quindici anni fa, è stata ancora una chiamata, quella di Amani con Padre Kizito, a segnare il cammino del Festival che questa volta ha puntato al cuore dell’Africa per una grande festa della musica e dello stare insieme, celebrata il 9 luglio all’Uhuru Park di Nairobi con il concerto diretto da Riccardo Muti. Le fotografie di questo calendario sono il racconto per immagini del percorso di avvicinamento all’evento di Nairobi compiuto dal Koinonia Children Team, un gruppo di giovani artisti di Nairobi e Lusaka che, su invito di Ravenna Festival, ha trascorso una settimana in Italia per un gemellaggio artistico e umano ricco di incontri ed esibizioni. Il 4 luglio 2011 hanno presentato lo spettacolo “Simba na Mende” al Teatro Rasi di Ravenna (foto febbraio, marzo, aprile, giugno, luglio, agosto e settembre), mentre il 6 e 7 luglio hanno partecipato, con una festante esibizione fatta di canti, danze e acrobazie al ritmo dei loro tamburi tradizionali, ai concerti diretti da Riccardo Muti al Teatro Municipale di Piacenza (foto gennaio, maggio e ottobre) e al Palazzo De André di Ravenna (foto novembre e dicembre).
where possible to entrust the running of each project in Africa to qualified local personnel; ensure a lean organizational structure in order to contain the costs borne by donors. Amani's work in Africa is focused in particular on the care, education and development of some of the most vulnerable children in Kenya, Zambia and Sudan.
THE PRINCIPLE ACTIVITIES SUPPORTED BY AMANI KENYA Kivuli Centre, provides shelter, care and education for 60 former street children and covers the costs of schooling for a further 70 children. Providing vocational courses, a library, a medical dispensary, sports activities, a theatre workshop, a tailoring workshop and a language and computing school, Kivuli has become a safe, open reference point for the inhabitants of the nearby shanty town. Anita’s Home, at Ngong (20 km from Nairobi), run by two Kenyan families, for 40 former street girls, victims of violence of all kinds, offering the protection of a family and an emotionally safe and peaceful environment in which to grow. Ndugu Mdogo (Little Brother), an home at Kerarapon (15 km from Nairobi) that provides care and education to 40 former street children with three Kenyan families. Kivuli Ndogo and Ndugu Mdogo Rescue Centres, in the huge Kibera and Kawangware districts, offer immediate support and shelter to children who live in the streets. These centres are the first step towards recovery and may lead to Kivuli, Ndugu Mdogo or the Anita’s Home. Don Giorgio Basadonna Scholarships, enabling able but poor pupils to go on to high school, a concrete way to remember a lifetime's commitment to children's education. Riruta Health Project, a prevention and treatment programme for AIDS sufferers that offers home medical attention to terminally sick and sieropositive patients in the shanty towns. Geremia School, providing high quality professional computer scholarships to help bridge the North-South digital divide. Families to Families, a community development program promoted by a group of Italian families to support the beneficiaries during the re-integration process to their communities. Diakonia Institute, which offers university courses in Social Sciences and Community Development to give local people the necessary professional skills to work in the shanty towns. ZAMBIA Mthunzi Centre, (15 km from Lusaka), providing a home, care and educational support for 60 former street children, as well as a medical dispensary and carpentry and tailoring workshops offering vocational training for the inhabitants of surrounding rural areas. SUDAN Centro Educativo Koinonia, two schools in the Nuba mountains offering primary education for around 1200 children and a teacher training college for young Nuba teachers to provide personnel for the local educational system.
www.lavertiginedelteatro.it www.bianconeropianoforte.com
LE VIE DELL’AMICIZIA 2011 PIACENZA - RAVENNA - NAIROBI It was in Sarajevo in 1997 that the ‘Vie dell’Amicizia’ began, an artistic and cultural bridge of friendship and fraternity that has since become an integral part of the Ravenna Festival. Other bridges have been laid, to Beirut, Jerusalem, Moscow, Erevan, Istanbul, New York… Today, just as fifteen years ago, it was a call, from Amani and Father Kizito, that marked the Festival’s destiny, this time to the heart of Africa for a great party of music and celebrations on July 9 at Nairobi's Uhuru Park with a concert directed by Riccardo Muti. The photographs in this calendar tell the story of the preparations for the Nairobi event by the Koinonia Children Team, a group of young artists from Nairobi and Lusaka who, on the invitation of the Ravenna Festival, spent a week in Italy as part of an artistic and human exchange with a series of meetings and performances. On 4 July 2011 they presented the show “Simba na Mende” at the Teatro Rasi in Ravenna (photos February, March, April, June, July, August and September), while on 6 and 7 July they took part – with a thrilling exhibition of song, dance and acrobatics to the rhythm of their traditional drums – in concerts directed by Riccardo Muti at the Teatro Municipale in Piacenza (photos January, May and October) and Palazzo De André in Ravenna (photos November and December).
LA MUSICA UNISCE IL MONDO di Marco Aime
THE ROADS OF FRIENDSHIP 2012
Marco Aime insegna Antropologia Culturale all’Università di Genova. È autore di numerosi libri − scientifici, divulgativi e di narrativa − tra cui La macchia della razza (Ponte alle Grazie, 2009), Timbuctu (Bollati Boringhieri, 2008), Gli stranieri portano fortuna (Epoché, 2007), Eccessi di culture (Einaudi, 2004). Per i più giovani ha scritto Fiabe nei barattoli (Emi, 2011) e Una bella differenza (Einaudi, 2009).
Marco Aime teaches Cultural Anthropology at the University of Genoa. He is the author of numerous books – scientific, educational and fiction – including La macchia della razza (Ponte alle Grazie, 2009), Timbuctu (Bollati Boringhieri, 2008), Gli stranieri portano fortuna (Epoché, 2007), Eccessi di culture (Einaudi, 2004). For the younger wrote Fiabe nei barattoli (Emi, 2011) and Una bella differenza (Einaudi, 2009).
A tutti i sostenitori, e sono sempre più numerosi, purtroppo, dello scontro di civiltà e dell’incompatibilità delle culture, bisognerebbe spiegare che ci sono linguaggi che attraversano le frontiere, che se ne infischiano dei passaporti e delle leggi, riuscendo a fondersi con altri linguaggi simili per dare vita a forme nuove di comunicazione. Tra questi linguaggi ci sono le arti, e tra le arti musica e danza sono tra i più assidui e incalliti viaggiatori. Percorrono rotte assurde, a zigzag, imprevedibili, perché sono legati alla creatività e alla fantasia umana. Nascono diversi, ciascuno con una sua storia, con una sua estetica, un suo stile, eppure riescono a intrecciarsi con altre storie, altre estetiche, altri stili. La musica è un linguaggio che si nutre proprio dell’incontro e dello scambio. Non ha paura dei confini, non si pone limiti. Vive di continua e costante innovazione. Pensiamo al viaggio dei canti e dei ritmi africani, stipati nelle stive delle navi negriere, nei corpi e nelle menti di quei milioni di giovani deportati e poi rinati al di là dell’oceano, per dare vita a moltissimi generi musicali che hanno pervaso le nostre vite. Perché bisogna riconoscerlo: l’Africa ci ha colonizzato musicalmente. Gli africani, mescolando i loro suoni con altre musiche, hanno creato nuove piste, nuovi viaggi che si chiamano blues, jazz, salsa, rumba, hip hop, soul. Nomi che ci suonano familiari, sui quali abbiamo forse ballato o che abbiamo ascoltato, ma che affondano tutti le loro radici in quei canti neri d’Africa, strappati ai villaggi natii e sbattuti su spiagge straniere. C’è poi uno strumento che accomuna tutti noi umani, il corpo, e quando danziamo è come lo suonassimo, per produrre una melodia. Una melodia visiva, fatta di gesti, movimenti, che lasciano tracce invisibili nell’aria, ma profonde in chi guarda, indelebili in chi danza. Le immagini di questo calendario ripropongono volti e corpi di danzatori africani, in contesti diversi da quelli originali: proprio per questo sono vive, non sono immagini “da museo”, ci dimostrano come l’incontro non sia necessariamente scontro, e possa invece generare novità. Viziati da un certo etnocentrismo, siamo abituati a pensare che le culture e le società africane siano spesso ingessate nelle loro tradizioni, statiche, immutabili nel tempo. Cosa dire allora di fronte alle danze dei tirailleurs senegalesi? Uomini che danzano con finti fucili di legno, ricordando le battaglie combattute in Europa o in Indocina nella Seconda Guerra Mondiale e anche dopo. Sono danze tradizionali? Sì, certamente, ma di una tradizione che sa rinnovarsi. I giovani che dai villaggi del Mali emigrano in Ghana per lavorare nelle piantagioni, tornano portando ritmi, passi e posture nuove, e queste entrano a fare parte del patrimonio tradizionale. Quando negli anni Sessanta-Settanta in Occidente i giovani si dividevano in fan dei Beatles e fan dei Rolling Stones, i loro coetanei dello Zaire, il paese musicalmente più significativo del continente africano, erano divisi dalla passione per James Brown e Otis Redding. Quella che chiamiamo musica “tradizionale” congolese è anche influenzata da quei due grandi musicisti soul. La maschera è un elemento importante della tradi-
THE MUSIC UNITES THE WORLD by Marco Aime zione e della danza africana, è legata al rituale, al mondo del sacro. Con il suo campionario di segni, la maschera è un codice, esprime un linguaggio. Indossata, diventa un’estensione del corpo e lo aiuta a comunicare. Nel museo etnografico di Porto Novo, nel Benin, sono conservate numerose maschere bellissime, dalle fogge bizzarre, vere e proprie sculture a soggetto. Alcune, le più vecchie, rappresentano simboli religiosi, mitici, altre, più recenti, raffigurano motti e proverbi. La maggior parte di queste sono a carattere satirico. C’è il fanfarone con una grossa pancia, un missionario sospettato di frequentare donne scolpito in pose equivoche, il colono con aria tronfia e ridicola, il pagano convertitosi al cristianesimo, la donna che accompagna due bambini vestiti da coloni e l’adultero con un viso che ricorda la parte del corpo che più utilizza per meritarsi l’accusa di libertino. Poi, seguendo il cammino delle maschere, ne appare una bellissima, sulla cui cima c’è un dottore in camice bianco, con una siringa in mano e una paziente sdraiata sul lettino. Viene utilizzata in performance eseguite nei villaggi al fine di sensibilizzare la gente sulle vaccinazioni. Funziona perché la maschera appartiene all’immaginario locale, è percepita come una cosa familiare, se ne comprende il linguaggio. Solo attraverso un codice condiviso e tradizionale come quello è possibile veicolare un messaggio attuale come una campagna di vaccinazione. Ecco l’incredibile capacità d’innovazione e l’ironia della tradizione africana. Capacità che era già stata messa in luce dall’etnologo Marcel Griaule che, dopo aver pubblicato nel 1938 un corposo volume dal titolo Masques dogons, recandosi in un villaggio vide comparire una maschera mai vista prima: aveva un bastoncino in una mano, una foglia nell’altra, e imitava una persona che scriveva su un foglietto. Era lui, l’etnologo, figura nuova per i dogon e subito entrata a far parte del loro corpus di maschere, destinate a raccontare la realtà seppur attraverso le deformazioni del volto e della metafora. La tradizione si evolve, perché cambiano le realtà attorno agli uomini. Le novità, gli scambi, gli incontri pongono nuovi problemi e portano nuove idee. Quando il grande trombettista jazz Winton Marsalis disse: «La forza del jazz sta proprio nella sua tradizione», un altro grande maestro, Lester Bowie gli rispose: «Sì, ma la forza della tradizione sta nell’invenzione». Tutte considerazioni che trovano ulteriore conferma e – più ancora – un angolo visuale nuovo quando assistiamo all’incontro, sul medesimo palcoscenico, a Nairobi come a Piacenza e Ravenna, tra compiti strumentisti classici con viole e violoncelli, e acrobatici danzatori africani. Il maestro Muti è lì, al cuore di questa esperienza, consapevole eppure quasi stupito, egli stesso, della forza della musica e della danza, che di nuovo sa fare incontrare le realtà più diverse, impastarle e farle rivivere. In altre parole: creare convivenza.
To the growing number of people who, sadly, still believe in the clash of civilizations and the incompatibility of different cultures, we need to explain that there are languages that can cross frontiers, heedless of passports or laws, that interact with similar languages to produce new forms of communication. Among these languages are the arts, and among the arts music and dance are two of the most assiduous and hardened travellers. The journeys they take are eccentric and unpredictable because they have to do with creativity and human imagination. They are born apart, each with their own history, aesthetic and style. And yet they are able to talk to other histories, other aesthetics, other styles. Music is one language that feeds off exchange and interaction. It fears no boundaries, it poses no limits. It lives in continual and constant innovation. Consider the journey made by African songs and rhythms, packed into the holds of the slave ships, in the bodies and minds of millions of young people deported and reborn across the ocean, giving life to a countless musical genres that have become part and parcel of all our lives. Because we have to acknowledge that Africa has colonized us musically. Africans have mixed their music with other sounds to open up new directions, new journeys called blues, jazz, salsa, rumba, hip hop and soul. These are familiar names, and we have probably all heard and danced to them, but their roots lie in the songs of black Africans, torn from their villages and thrown onto foreign beaches. Then there's the instrument we all share, the body. When we dance it is as if we are playing a melody on it, a visual melody made up of gestures and movements, that leave no visible traces in the air, but profound marks on the audience and indelible in the dancer. The images in this calendar present the faces and bodies of African dancers outside their original contexts. This is precisely what makes them living images, not museum pieces. They show us how encounter does not necessarily mean conflict, but can instead generate something new. Corrupted by a certain ethnocentrism, we are used to thinking of African cultures and societies as stuck in their traditions, static, immutable in time. So what can we say about the dances of Senegalese tirailleurs? These men that dance with wooden replicas of rifles that recall their battles in Europe and Indochina during the Second World War and later. Are these traditional dances? Yes, certainly, but it is a tradition that is able to renew itself. The young people who emigrate from the villages of Mali to Ghana to work in the plantations, return with new rhythms, steps and postures which are then absorbed to become a part of their traditional heritage. In the Sixties and Seventies kids in the West were split into two camps: there were fans of the Beatles and fans of the Rolling Stones. Meanwhile, in Zaire, Africa's most important country musically speaking, their peers were split between a fans of James Brown and those of Otis
Redding. What we call “traditional” Congolese music in fact bears the influence of these two great soul singers. The mask is an important part of African tradition and dance, linked to ritual and the world of the sacred. With its catalogue of signs, the mask is a code and expresses a language. When worn it becomes an extension of the body and helps it to communicate. The ethnographic museum in Porto Novo, Benin, has a fabulous collection of wonderful masks in the most bizarre shapes, genuine sculptures in their own right. A few of the older ones portray religious and mythic themes, the more recent examples represent mottoes and proverbs. The majority of these are satirical in character. There's the braggart with a swollen belly, a missionary suspected of going with women shown in dubious poses, the colonial settler with a pompous and ridiculous air, the pagan convert to Christianity, a woman with two children dressed as colonials and an adulterer with a face that resembles the part of the body that has most earned him his reputation as a libertine. Then, there is a particularly beautiful mask which shows a doctor in a white coat with a syringe in his hand and a patient lying on the table. This is used for performances in the village to teach people about vaccinations. It works because the mask belongs to the collective imagination of the local people, it is perceived as something familiar, a language that it understood. Only through such a shared and traditional code is it possible to transmit a modern message such as that of the vaccination campaign. Here then is the incredible capacity for innovation and irony of African tradition. This capacity was revealed long ago by the ethnologist Marcel Griaule. After publishing his great work on Masques dogons in 1938, he was visiting a village when he saw a mask he had never seen before: the figure had a little stick in one hand, a leaf in the other, and looked like someone writing on a sheet of paper. It was himself, the ethnologist. The dogon had immediately incorporated this new figure into their repertoire, retelling reality through metaphor and the stylizations of the face. Traditions evolve as a people's environment changes around them. New discoveries, encounters, exchanges pose new problems and introduce new ideas. When the great jazz trumpeter Winton Marsalis remarked: "The strength of jazz lies in its tradition", another jazz master, Lester Bowie responded: "Yes, but the strength of the tradition lies in invention." Such considerations find further confirmation and above all a new vantage point in the encounter, on the same stage, in Nairobi or in Piacenza and Ravenna, of classical musicians with violas and cellos and acrobatic African dancers. Maestro Muti is there at the heart of this experience, aware and yet amazed at the power of music and dance to bring together widely differing cultures and blend them into exciting, vigorous new forms. In other words: to create new lives together.
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