Foreste

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E T S E R O F

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FORESTE

LA RISORSA FORESTALE – LO STATO ATTUALE La Regione Piemonte dispone di informazioni molto dettagliate sull’intero patrimonio silvo-pastorale, conoscenze derivate da approfonditi studi di settore redatti tra il 1999 e il 2004. I boschi piemontesi sono stati inquadrati in Tipologie Forestali corrispondenti ad unità floristico-ecologico-selvicolturali utili alla pianificazione. Detti elementi hanno inoltre permesso l’elaborazione di una dettagliata “Carta forestale e delle altre coperture” riferita all’intero territorio.

Su una superficie territoriale complessiva di 2.538.297 ettari, i boschi piemontesi ne occupano circa 874.660, ai quali si aggiungono ulteriori 48.000 ettari dedicati all’arboricoltura da legno. In base ai diversi tipi di occupazione del suolo sono state così quantificate le superfici afferenti alle principali categorie; la Figura 1 mostra una sintesi delle informazioni: si evidenzia che la superficie forestale occupa più di 1/3 del territorio regionale, con un indice di boscosità medio pari al 36% (34% boschi e 2% arboricoltura da legno). Tra gli altri tipi di occupazione del suolo una notevole estensione raggiungono le aree agricole (37%), e quelle di interesse pastorale (prateria praterie e prato-pascoli montani). I boschi sono concentrati per l’80% in montagna, per l’11% in collina e per il 9% in pianura. La proprietà forestale è prevalentemente privata e quella pubblica, che costituisce mediamente il 30%, è più frequente in montagna, dove incide per il 34%; in pianura e in collina la sua presenza si riduce rispettivamente all’1 e allo 0,5%. Tra le Province, Cuneo e Torino da sole comprendono oltre metà dei boschi; Alessandria e il Verbano superano entrambe i 100.000 ha.

FIGURA 2 Suddivisione percentuale delle principali categorie di coperture del territorio

Le quattro categorie forestali prevalenti corrispondono ai castagneti, che occupano il 23% della superficie forestale, le faggete con il 16%, i boschi di robinia con il 12%, e da quelli di larice e cembro che, nel loro insieme, valgono il 9%. Tali dati, riferiti alla superficie, non corrispondono tuttavia alla consistenza delle masse legnose; i lariceti, ad esempio, in termini di volume superano consistentemente la massa legnosa dei boschi di robinia.

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la risorsa forestale

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lo stato attuale


PROVINCIA

SUPERFICIE

SUPERFICIE

INDICE DI

TERRITORIALE [ha]

FORESTALE [ha]

BOSCOSITÀ

Alessandria

355.622

106.138

30%

Asti

150.928

42.847

28%

Biella

93.780

46.815

50%

Cuneo

689.090

242.286

35%

Novara

134.061

34.228

26%

Torino

682.780

220.164

32%

Verbano-Cusio Ossola

225.540

124.798

55%

Vercelli

206.498

57.384

28%

2.538.297

874.660

34%

Regione

FIGURA 3 Ripartizione per province dell’indice di boscosità

FIGURA 4V Ripartizione per province dell’indice di boscosità

Come conseguenza all’abbandono delle terre agricole marginali, evento verificatosi soprattutto nelle zone montane e collinari, negli ultimi 20 anni si è assistito alla progressiva espansione del bosco che è avvenuta in misura di quasi 10.000 ettari/anno.

La multifunzionalità delle foreste Nel loro insieme, le foreste, i pascoli, e l’arboricoltura da legno coprono il 52% della superficie territoriale del Piemonte. Tra loro combinati, questi ambienti rappresentano un elemento essenziale del paesaggio storicamente consolidato e rivestono un importante ruolo multifunzionale. Le funzioni dei boschi, infatti, sono oggi molteplici e prevaricano gli aspetti puramente produttivi e protettivi, un tempo considerati prevalenti. Com’é ormai largamente riconosciuto, oggi assumono sempre maggiore importanza le funzioni più propriamente sociali ed ambientali, tra le quali il valore estetico-paesaggistico, la funzione igienico-ossigenante e di riduzione dell’effetto serra, la fruizione turistica, per escursionismo e ricreazione, senza dimenticare gli aspetti naturalistici di conservazione della biodiversità e scientifici, essendo, i boschi in particolare, tra gli ecosistemi più complessi e naturali presenti sul territorio. Anche l’approccio alla pianificazione e alla gestione forestale e pastorale, nella realtà attuale, non può quindi che essere quello multifunzionale, indipendentemente dall’ubicazione e dal regime patrimoniale. Tuttavia, in particolare per le foreste, affinché queste possano assolvere alle funzioni attese, attraverso la definizione di modelli gestionali e colturali mirati ed efficaci, è necessario che vengano di volta in volta evidenziate le funzioni e le relative destinazioni prioritarie. Gli studi di settore riferiti alla pianificazione forestale territoriale hanno quindi individuato, per ciascuna superficie forestale omogenea, la funzione prevalente: protezione generale (boschi a la risorsa forestale

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lo stato attuale

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destinazione protettiva); conservazione naturalistica (destinazione naturalistica); produzione di legno associata a protezione del territorio (destinazione produttiva-protettiva); produzione diretta di legno e altri prodotti (destinazione produttiva); fruizione pubblica turismo e ricreazione (destinazione fruizione); ambientale generale senza possibilità di benefici diretti (destinazione evoluzione libera). In seguito alla definizione delle funzioni prevalenti, e quindi delle destinazioni, che i complessi forestali sono chiamati a svolgere, e in base agli assetti-evolutivi delle diverse categorie, si è giunti alla definizione degli obiettivi gestionali e dei conseguenti interventi selvicolturali.

FIGURA 5 Ripartizione delle destinazioni dei boschi a livello regionale

La precisa definizione degli interventi selvicolturali (valida anche ai fini paesaggistici) è stata quindi esplicitata nell’ambito del Regolamento forestale di attuazione della Legge regionale n. 4 del 10 febbraio 2009 – Gestione e promozione economica delle foreste – con modelli colturali che non potevano prescindere, ovviamente, dal ruolo multifunzionale che tutti i boschi del Piemonte sono chiamati a soddisfare, seguendo i principi della selvicoltura naturalistica, basata sulla conoscenza dei cicli e delle dinamiche naturali che rappresentano la base su cui impostare modelli gestionali capaci di assecondare la dinamica evolutiva delle cenosi boschive, nell’intento di perseguire un sufficiente equilibrio tra ecologia ed economia.

La risorsa legno Nella Regione Piemonte, i boschi che, potenzialmente, si stima possano essere sottoposti ad utilizzazione, corrispondono a circa 542.700 ettari, vale a dire che, nel prossimo quindicennio, si potrebbe intervenire mediamente su 36.000 ettari all’anno. Dalle utilizzazioni, per la maggior parte eseguibili nei boschi cedui (per circa il 60%), e dai tagli intercalari e di miglioramento boschivo (30%), si potrebbero ricavare soprattutto assortimenti legnosi per usi energetici e industriali, tronchetti da ardere e paleria. Il così detto tondame da lavoro deriverebbe invece, principalmente, da boschi a fustaia che, in tal senso, rappresentano il 10%. In termini di volume, nell’arco del quindicennio potrebbero essere utilizzati circa 2 milioni e mezzo di metri cubi all’anno. Il prelievo sarebbe comunque inferiore all’incremento: vale a dire che il volume di legno prodotto dai boschi sarebbe superiore a quanto si utilizza. I Castagneti rappresentano la categoria che concorre in misura maggiore alla produzione di biomassa (47% del totale e a quasi 2/3 del materiale di triturazione). Robinieti, Faggete e Querceti concorrono globalmente con circa il 40%. I Castagneti, sebbene i 3/4 della massa risultino destinati a triturazione e legna da ardere, forniscono potenzialmente anche il maggior quantitativo di paleria e assortimenti da lavoro, rispettivamente con il 75% e il 35% del totale. Quasi la metà degli assortimenti da lavoro è fornita nell’ordine da Lariceti, Querceti, Pinete e Faggete . Le biomasse attualmente disponibili nei boschi piemontesi sono prevalentemente destinate a uso energetico o alla triturazione (77%) mentre solo il 13% può essere utilizzato per produrre assortimenti di maggior pregio a uso durevole. 4|

la risorsa forestale

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lo stato attuale


Con l’applicazione delle migliorie boschive, a medio termine tale percentuale potrebbe decisamente aumentare.

LE LINEE DI AZIONE Le attività di pianificazione e gestione forestale della Regione Piemonte sono orientate a disciplinare gli interventi nel bosco, prevenire e limitare l’abbandono delle superfici boschive, regolare, diffondere ed incentivare la pratica delle attività selvicolturali, e innestare un circolo virtuoso di valorizzazione dei prodotti forestali. Sono orientate, inoltre, ad individuare macro-aree di intervento, che contengono svariate attività finalizzate a formare la cultura della “gestione” del patrimonio boschivo, attraverso lo sviluppo di alcuni concetti chiave come “gestione associata”, “uso multifunzionale delle foreste” e “realizzazione di progetti di filiera” in grado di incentivare le potenzialità del bosco come “risorsa” anche economica oltre che ambientale, così come previsto dalla Legge regionale 4/2009 e nei suoi regolamenti di attuazione.

FIGURA 7 Bosco del Vaj

L’obiettivo strategico è quello di sostenere e diffondere pratiche gestionali innovative e sostenibili dei boschi piemontesi che ne incrementino resistenza alle avversità e produzione, ottimizzandone la capacità di stoccaggio del carbonio, conservando e recuperandone la biodiversità. Questo obiettivo generale si persegue attraverso una serie di obiettivi operativi di seguito elencati i quali prevedono a loro volta lo sviluppo di azioni specifiche collegate: 1. Tutelare il patrimonio forestale pubblico e privato e promuoverne la gestione attiva attraverso --una gestione forestale in grado di assicurare la multifunzionalità del sistema forestale regionale; --una selvicoltura sostenibile; 2. Szvvvvluppare le filiere del legno derivato dalle foreste e dall’arboricoltura attraverso --l’aumento del valore aggiunto dei prodotti derivanti dal bosco (primari: legno; secondari: frutti del sottobosco, tartufi, funghi, ecc.) --il miglioramento delle condizioni del mercato dei prodotti forestali le linee d ’ azione

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--promuovendo l’impiego del legno come materia prima rinnovabile con una valorizzazione energetica del legname in sostituzione di fonti energetiche clima-alteranti e con l’uso strutturale del legno per manufatti durevoli; 3. Promuovere le funzioni extraproduttive del patrimonio forestale --tutelando la stabilità del territorio, contrastando i fenomeni di erosione dei suoli e contribuendo alla regolarizzazione del ciclo dell’acqua --contribuendo ad attenuare i cambiamenti climatici in atto anche con il Potenziamento delle funzioni di sink di carbonio degli ecosistemi forestali e dei prodotti legnosi --conservando la biodiversità forestale; 4. Incentivare la gestione associata delle foreste; 5. Migliorare le condizioni socio-economiche delle aree rurali favorendo ed incentivando le fonti di reddito e occupazione indotte dalla risorsa bosco; 6. Promuovere la crescita e qualificare la professionalità delle imprese e degli addetti forestali attraverso politiche di sostegno alle imprese forestali anche favorendo la costituzione e qualificazione di imprese di servizio specializzate con maestranze qualificate e dotate di attrezzature tecnologicamente aggiornate caratterizzate da adeguati standard di sicurezza; 7. Accrescere le conoscenze scientifiche e tecniche in campo forestale, promuovendo la ricerca e l’innovazione in materia; 8. Aumentare la sensibilità e la consapevolezza sociale circa il valore culturale, ambientale ed economico delle foreste e degli alberi. FIGURA 8 Granbosco di Salbertrand

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le linee d ’ azione


RIFERIMENTI Tutte le informazioni sul tema forestale, comprensive degli eventi e delle iniziative regionali realizzate nel 2010 ed in programma per il 2011 sono consultabili sulle pagine del sito regionale all’indirizzo: http://www.regione.piemonte.it/montagna/index.htm. In particolare al sito http://www.regione.piemonte.it/montagna/operai_vivai/vivaistica/index.htm è possibile trovare tutte le informazioni relative ai vivai forestali regionali.

riferimenti

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APPROFONDIMENTO

IL RUOLO DEI VIVAI FORESTALI DELLA REGIONE PIEMONTE NELLA TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ La tutela della biodiversità, baluardo contro l’impoverimento di variabilità genetica provocato anche dall’utilizzo incauto di specie e/o ecotipi di specie forestali “sbagliati” negli interventi di forestazione, è uno dei principali obiettivi delle attività svolte nei vivai forestali della Regione Piemonte. I vivai forestali, strutture ereditate dalla Regione Piemonte negli anni ’70 del secolo scorso nel passaggio di consegne delle competenze in materia forestale da Stato a Regioni, erano stati allestiti dal CFS a partire dai primi anni del ‘900 per la produzione di materiale vivaistico da destinare a interventi di rimboschimento di vasti comprensori montani; negli ultimi anni si sono ridotti di numero, per le mutate richieste di piante forestali, passando da 13 a 3, e la strategia produttiva ha subito un radicale cambiamento, sia per la tipologia di specie prodotte, sia per l’attenzione alla provenienza del materiale forestale di moltiplicazione utilizzato. Le piante allevate appartengono a decine di specie arboree e arbustive tipiche della flora piemontese, sia della fascia montana e pedemontana, sia di quella collinare e planiziale; gli utilizzi principali spaziano dall’imboschimento/rimboschimento, al ripristino ambientale, agli interventi di ingegneria naturalistica. Si può ben capire come questi siano interventi in cui la scelta del materiale vegetale è cruciale non solo per l’aspetto colturale, ma ancora di più per quello della corretta valutazione di specie e, soprattutto, di ecotipi adatti agli ambienti di messa a dimora. È infatti dimostrato dai numerosi studi sulle field performance del materiale vivaistico utilizzato negli impianti di arboricoltura realizzati con il contributo europeo negli ultimi 20 anni, che molto spesso il fallimento di questi impianti va in parte attribuito alle scelte sbagliate di specie in relazione al sito d’impianto, ma in particolare si è riscontrato che, a parità di specie, determinante è stato l’utilizzo di materiale di provenienza locale. Laddove le piante utilizzate sono di provenienza lontana, geograficamente ed ecologicamente, dalla realtà d’impianto si sono verificati i maggiori problemi di incapacità di adattamento, mentre materiale vivaistico appartenente alla stessa specie, ma di provenienza locale, si è dimostrato molto più reattivo e in grado di superare le inevitabili avversità che un impianto arboreo deve affrontare nell’arco della sua lunga vita. Proprio per rispondere all’esigenza di disporre di materiale vivaistico adatto ai vari utilizzi forestali, nei vivai della Regione Piemonte le piante vengono prodotte a partire da materiale di moltiplicazione (semi, parti di pianta) prelevato da popolamenti di raccolta individuati in ambito regionale, spesso raccolto direttamente da personale tecnico interno appositamente formato; solo nel caso in cui non sia possibile procurarsi in aree piemontesi tutto il materiale di moltiplicazione necessario a soddisfare le esigenze produttive, si acquista seme proveniente da boschi del Nord Italia per garantirne comunque una buona adattabilità alle situazioni locali. Oltre alla scelta oculata della provenienza delle sementi, le diverse specie vengono allevate in uno o più dei tre vivai regionali, che si trovano in ambiti geografici ben differenziati (monapprofondimento

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tagna, collina, pianura), assecondandone le specifiche esigenze climatiche. La maggior parte delle conifere, appartenenti alla flora alpina, vengono cosÏ prodotte al vivaio Carlo Alberto di Fenestrelle (TO), sito a 1.100 m s.l.m. in Val Chisone, mentre le latifoglie arboree della fascia montana e pedemontana sono allevate nel vivaio Gambarello di Chiusa Pesio (CN), che si colloca all’imboccatura della Valle Pesio. Infine al vivaio Fenale di Albano V.se (VC), situato in piena area risicola vercellese, sono coltivate decine di specie arbustive e arboree tipiche delle zone planiziali. Questa suddivisione consente di rispettare le naturali richieste fisiologiche delle specie allevate, garantendo la produzione di postime perfettamente adattato alle condizioni climatiche locali. Le piante prodotte vengono distribuite gratuitamente, in autunno e in primavera, a soggetti pubblici e privati che ne facciano richiesta.

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FORESTE

APPROFONDIMENTO

I BOSCHI DI PROTEZIONE IN PIEMONTE I boschi e, in misura diversa, altre forme vegetali di copertura del suolo (erbe e cespugli) svolgono un ruolo fondamentale di protezione del territorio contro gli agenti meteorici destabilizzanti grazie all’azione degli apparati radicali e delle parti epigee. In particolare i boschi possono contribuire a prevenire o mitigare l’erosione diffusa, i dissesti, la caduta di massi, valanghe e, lungo i corsi d’acqua, le lave torrentizie e l’erosione spondale. I boschi di protezione evidenziati nell’ambito dei Piani Forestali Territoriali, avendo un ruolo di tutela diretta degli insediamenti, manufatti o di tutela generale delle aree più vulnerabili (versanti franosi fasce fluviali), rivestono sempre maggiore importanza, per il progressivo diffondersi delle attività umane o di eventi meteorologici intensi sul territorio, pertanto devono essere prioritariamente identificati e opportunamente gestiti. Da sempre l’uomo attribuisce alle foreste un’importante funzione protettiva, svolta con diverse modalità e indirizzata a diversi aspetti e componenti sia dell’ecosistema forestale, sia delle attività umane. Una prima modalità di protezione (funzione di protezione generica o indiretta) è quella che la foresta svolge nei confronti della , diffusa o incanalata. Questa è svolta da tutti i popolamenti forestali, ma è più o meno importante in funzione di giacitura, pendenza, morfologia e condizioni geopedologiche. In conseguenza di questo ruolo generico di protezione, oltre che della maggiore importanza che la funzione produttiva aveva nel passato, in Italia si è spesso utilizzato il termine “foresta di protezione” per tutte le foreste che non svolgono una prioritaria funzione produttiva. In questi popolamenti di solito non si prescrivevano interventi selvicolturali oppure questi erano prudenti e localizzati. Nelle foreste di montagna, proprio in conseguenza del valore economico dei boschi, si assegnava una funzione produttiva ai popolamenti forestali localizzati più a bassa quota e più accessibili, e una funzione protettiva a quelli localizzati più ad alta quota o meno accessibili. Una seconda modalità di protezione (funzione di protezione diretta) è quella che la foresta svolge nei confronti dei pericoli naturali: valanghe, caduta massi, scivolamenti superficiali e lave torrentizie. In questo caso la foresta agisce sia impedendo il verificarsi dell’evento sia mitigandone l’effetto. Il ruolo della foresta non ha la stessa importanza e non agisce nello stesso modo nei confronti di tutti i pericoli naturali. In assenza dell’uomo i pericoli naturali possono essere considerati normali fattori di disturbo che agiscono nell’ambito della dinamica dell’ecosistema. La presenza umana è il fattore discriminante in quanto, in questo caso, la foresta protegge direttamente l’uomo, le sue attività e i suoi interessi. La “funzione di protezione diretta” si compone quindi di tre elementi: 1. un pericolo naturale 2. un popolamento forestale in grado di impedire il verificarsi del pericolo naturale o di mitigarne gli effetti 3. la presenza dell’uomo (insediamenti, attività economiche e vie di comunicazione).

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Al contrario della protezione generica, che è assolta dalla foresta con la sua stessa presenza (ma può variare con il grado di copertura degli strati arboreo, arbustivo ed erbaceo), la protezione diretta può essere svolta efficacemente solo da popolamenti forestali aventi determinate caratteristiche (tra gli altri di composizione, densità, stratificazione, tessitura) in funzione dei pericoli naturali presenti. Il mantenimento, efficace e sostenibile, della protezione diretta è quindi possibile solo attraverso l’applicazione di trattamenti selvicolturali continui e specifici. Per le foreste cui è assegnata la funzione di protezione diretta, gli interventi finalizzati ad ottenerla costituiscono una priorità nell’ambito della pianificazione e della gestione selvicolturale. La gestione dei boschi di protezione deve mirare all’aumento della stabilità dei popolamenti, con un approccio attivo e consapevole, ricorrendo ove necessario anche alla ricostituzione boschiva e a opere e manufatti ausiliari, soprattutto per contenere la caduta di massi e il distacco di valanghe. Nelle foreste di protezione diretta vengono inoltre incluse le porzioni di foreste ripariali cui è attribuito un ruolo di contenimento dell’erosione spondale lungo i corsi d’acqua caratterizzati da un’elevata instabilità idraulica e/o da natura spiccatamente torrentizia. Le foreste di protezione in Piemonte occupano circa il 15% (quasi 100.000 ha) della superficie forestale montana, si distribuiscono per il 40% su terreni di proprietà pubblica, mentre il restante 60% è privato. Le principali categorie forestali con funzione di protezione sono: Larici-cembrete, Faggete, Castagneti, Boscaglie pioniere e d’invasione e Acero-tiglio-frassineti. Attraverso la partecipazione a progetti di cooperazione europei è stato possibile migliorare la cooperazione tra i gestori forestali delle Alpi occidentali e produrre documenti di gestione pratica (manuali di selvicoltura, carte di zonizzazione, documenti di divulgazione) per localizzare e gestire meglio i popolamenti a funzione prioritaria di protezione. In particolare con il progetto Interreg III A Alcotra 2000-2006 “Gestion durable des forêts de montagne à fonction de protection” (2003-2007) sono stati elaborati, per le Alpi francesi la “Guide de sylviculture de montagne - Alpes du Nord” e per la Valle d’Aosta ed il Piemonte il manuale “Selvicoltura nelle foreste di protezione. Esperienze e indirizzi gestionali in Piemonte e Valle d’Aosta”. Attualmente è in corso un nuovo progetto Interreg Alcotra 2007-2013 “Foreste di protezione” (vedi dettagli al capitolo “La cooperazione internazionale”) che sulla scorta dell’esperienza maturata durante il precedente periodo di programmazione, si propone di raggiungere i seguenti obiettivi generali: 1. verificare i costi e l’efficacia degli interventi selvicolturali nelle foreste di protezione; 2. confrontare le metodologie, le tecniche e gli strumenti già a disposizione nei tre Paesi, (3) integrare le conoscenze scientifiche nelle pratiche di gestione di questi popolamenti.

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APPROFONDIMENTO

I BOSCHI PLANIZIALI CONOSCENZA, CONSERVAZIONE E VALORIZZAZIONE Nel 2010, nell’ambito della collana avviata nel 2000 con l’editore BLU Edizioni, è uscito il volume n. 9, dedicato ai Boschi planiziali. Il manuale, curato dall’IPLA, descrive nel dettaglio le formazioni forestali presenti nella pianura piemontese (categorie e tipi forestali, habitat, avversità), le funzioni e i moderni orientamenti gestionali, improntati alla multifunzionalità e alla sostenibilità. Oggi delle antiche foreste che coprivano quasi interamente la Pianura Padana, permangono pochi lembi residui; infatti, a partire soprattutto dall’epoca romana, l’uomo ne ha man mano ridotto la superficie a favore dell’agricoltura, per arrivare infine a trasformare in maniera irreversibile porzioni sempre più significative del territorio, con una crescita esponenziale negli ultimi 50 anni, a favore di insediamenti urbani, industriali e commerciali e relative infrastrutture di comunicazione. In Piemonte rispetto alle altre regioni la situazione è relativamente migliore: in pianura (e nei grandi fondovalle) si colloca solo il 10% delle foreste piemontesi, ma ben la metà della superficie dei boschi planiziali del Nord Italia (90.000 su 175.000 ettari). La gran parte delle foreste planiziali piemontesi è oggi tutelata da Aree protette, che includono realtà di particolare rilevanza naturalistica e storica, quali i complessi boscati annessi alle dimore storiche sabaude (come Stupinigi e La Mandria), le più importanti fasce fluviali (Po, Ticino, Sesia) e il Bosco della Partecipanza di Trino. Negli ambienti antropizzati e spesso banalizzati della pianura, le formazioni boscate sono il più importante nucleo di biodiversità, caposaldi della rete ecologica, il cui ripristino è obiettivo di piani e programmi regionali, anche tramite i fondi messi a disposizione dal Programma di Sviluppo Rurale 2007-13 (in particolare tramite le misure agroambientali – 214.7 e 216 – e di imboschimento dei terreni agricoli –221). Accanto al fondamentale ruolo naturalistico, non vanno sottovalutate la funzione produttiva, considerando la buona accessibilità e fertilità, e la funzione di protezione, con la tutela dell’assetto spondale dei corsi d’acqua. Né vanno ignorate, infine, la funzione di assorbimento della CO2 atmosferica e il ruolo fruitivo, di “polmone verde”, per la popolazione delle aree urbane.

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APPROFONDIMENTO

FORESTE E DEPOSITI DI CARBONIO (CARBON SINK) Il ruolo delle foreste nel bilancio globale del carbonio per quanto riguarda gli ecosistemi terrestri è stato sancito formalmente a livello internazionale dal protocollo di Kyoto (1997) con gli articoli 3.3 e 3.4 . L’ecosistema suolo-bosco scambia in continuo con l’atmosfera vapore acqueo e CO2, fissando o liberando quantità variabili di CO2 in base al suo ciclo fisiologico e biologico. In genere la tendenza di un bosco in crescita è quella di assorbire più CO2 attraverso l’attività di fotosintesi rispetto a quella che emette via respirazione, portando il sistema ad assorbire sia nelle biomasse sia nel suolo quantità significative di carbonio, nell’ordine di qualche unità in tonnellate ad ettaro. I numerosi dati, che provengono dai monitoraggi dei flussi di CO2 in questi ecosistemi, indicano che anche per boschi maturi come sono, ad esempio, i querco-carpineti dell’alta pianura piemontese, la funzione di assorbimento prevale in genere su quella di emissione sul bilancio globale annuo. In realtà il saldo positivo di assorbimento del carbonio per le piante caducifoglie si origina in gran parte nei mesi primaverili-estivi in cui il ciclo biologico spinge la pianta alla ripresa vegetativa sotto l’impulso della crescita termica e della radiazione fotosinteticamente attiva. Nel resto della stagione prevalgono fenomeni respiratori, anche dal suolo, ma alla fine dell’anno il bilancio indica quasi sempre un aumento del carbonio assorbito rispetto a quello emesso. In tale ciclo di grande importanza è la frazione di carbonio che la pianta è in grado di traslocare in modo stabile negli orizzonti profondi del suolo, poiché le altre frazioni presenti nelle biomasse e nell’humus presto o tardi finiranno per essere reimmesse nel ciclo sottoforma di anidride carbonica. Un altro fattore importante che influenza l’assorbimento è la gestione forestale: il bosco ceduo porta ad incrementi elevati del carbonio soltanto in certe fasi del turno, mentre l’alto fusto è da considerare con una maggiore capacità di assorbimento, anche se con progressioni temporali più lente. In genere nel regime a ceduo sono di gran lunga preferibili i tagli selettivi ai tagli intensivi o a raso che portano l’ecosistema a bilanci di carbonio in cui per qualche anno prevalgono nettamente le emissioni agli assorbimenti. Il quadro forestale regionale fa ben sperare nella possibilità di aumentare ancora significativamente l’assorbimento di CO2 delle foreste. A tal proposito occorre rammentare l’incremento della superficie forestale che, in 20 anni, è passata da circa 714.000 - 743.0001 ettari a 915.000 ettari (Carta forestale del Piemonte, IPLA 2004) (circa il 38% della superficie territoriale regionale) con una media di circa 10.000 ettari all’anno. Tale fenomeno, che deve essere valutato come un’importante ampliamento della capacità di assorbimento della CO2, deriva dal imboschimento, naturale (almeno 90%) o guidato, di terre agricole marginali abbandonate, messe a riposo o imboschite con indirizzo di arboricoltura da legno o 1

Fonti: Carta forestale del Piemonte, 1981 e IFNI,1985 approfondimento

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FORESTE

bosco preesistente, grazie a finanziamenti nazionali e comunitari (Reg. CEE 2080/92, Reg. 1257/99). L’articolazione dell’inquadramento di superfici forestali su basi ecologiche, secondo la tipologia forestale, abbinato ad un inventario forestale regionale con oltre 15.000 aree di saggio rilevate, consente di conoscere in modo assai dettagliato le caratteristiche attuali, dinamiche e la potenzialità delle foreste piemontesi, almeno relativamente all’assorbimento del carbonio. Inoltre l’adeguamento delle definizioni di superficie forestale adottata, omogenea a quella IFNI 1985, agli standard attuali adottati per l’INFC e l’applicazione del protocollo di Kyoto (FAO FRA2000-Regolamento UE Forest Focus) consentirà di rivalutare indubbiamente in aumento le superfici di riferimento. Il quadro completo attuale degli assorbimenti è riassunto in un database (For-est Piemonte) residente presso IPLA, ISPRA-APAT, Assessorati Foreste e Ambiente della Regione Piemonte, attualmente in corso di implementazione nel sistema informativo INEMAR (Inventario Emissioni Aria).

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