La solitudine di uno juventino a napoli

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Racconto semiserio di vita vissuta da straniero in patria

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GIUSEPPE AMMIRATI

La solitudine di uno juventino a Napoli Racconto semiserio di una vita vissuta da straniero in patria

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Dedicato a tutti i napoletani d’Italia perché possano sapere come ci si sente a vivere da juventini … E a tutti gli juventini d’Italia perché possano capire come ci si sente a vivere da juventini a Napoli.

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PROLOGO

Ore 22.45 del 18 Ottobre 2008 e la sensazione che provo da un quarto d‟ora a questa parte non è facile da spiegare se non la si vive di persona, da poco si è conclusa forse la partita più attesa della stagione, di sicuro per coloro che non tifano per la Vecchia Signora. Io juventino da una vita in mezzo ad un‟orda di napoletani esultanti per la pur meritata vittoria. Il pub dove ci eravamo dati appuntamento con degli amici era già pieno da un‟oretta, tutti in trepidante attesa del fischio d‟inizio. Nel frattempo scambiamo saluti e ci accingiamo ad ordinare. La settimana in sé prima della partita è di quelle che non dimentichi. 9


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L‟Italia è in trepidante attesa di conoscere chi sarà il fortunato che si porterà a casa quasi cento milioni di euro al Superenalotto. Ovunque tu vada, nei bar o perfino in chiesa, nessuno si esime da accennare o fare domande su come sarebbe la vita di ognuno con tutti quei soldi. Quindi anche noi al tavolo non ci tiriamo indietro dal discorso, ma adesso tutti in silenzio. Inizia la partita e il mio pensiero va ai miei campioni che si dannano l‟anima per riuscire a prendere palla ai partenopei. La prima vera occasione da gol arriva su calcio piazzato. È la stessa zolla di terreno dalla quale Capitan Del Piero ha segnato contro i russi dello Zenit San Pietroburgo nella prima partita al ritorno alla Champions League. Memore di quella stupenda parabola, Alex ne disegna una nuova che solo la santa mano di Gennaro Iezzo riesce a deviare oltre la traversa. 10


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Altra occasione, stavolta per il danese, nuovo arrivato, Poulsen, che molti ricordano per il “caso Totti” agli europei portoghesi, e ancora una volta la palla non vuole saperne di entrare, deviata di nuovo in angolo da Iezzo che recupera sulla deviazione fortuita del nostro Amauri. I partenopei riescono comunque a pungere la sguarnita retroguardia bianconera e Manninger fa rimpiangere il nostro portierone con un intervento in due tempi. L‟arbitro fischia la fine del primo tempo e fa rifiatare anche me che di emozioni ne avevo vissute fin troppe, non ancora conscio di quello che mi avrebbe aspettato di lì a poco. Intanto butto giù due sorsi di Coca-Cola per mandar giù quei “Gooooool!!!” strozzati in gola. Non ho neanche il tempo per gustarmi quello che il cameriere ha portato (finalmente!!!) al nostro tavolo che mi tocca guardare il maxischermo e vedere il 11


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nostro brasiliano tirare di destro e trafiggere il portiere partenopeo. Esulto in maniera pacata giacché ero circondato. Neanche il tempo di godermela e un brivido freddo alla schiena mi preannuncia la catastrofe. Punizione per il Napoli, battuta in tutta fretta verso Lavezzi sulla fascia che trova una parabola diabolica verso il centro dell‟area dove non vedo colori amici ma solo l‟azzurro del mare e un “moicano” partenopeo che segna il suo ormai classico gol di testa da rapace d‟area di rigore. Festa grande nel pub, ma io mi dispero per com‟è stata presa la rete e inveisco contro i miei, sapendo che non potevo farci più niente. Girandola di cambi dopo i gol e il Capitano è sacrificato per difendere il risultato. Purtroppo “el Pocho” Lavezzi, favorito da un rinvio sbagliato, ci punisce di nuovo: 2-1. Vedere quel risultato sullo schermo mi fa male, di più però vedere la mia squadra che

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potrebbe affondare definitivamente se non fosse per Denis, che su contropiede, sbaglia il pallonetto sul nostro portiere. Sospiro di sollievo, tragedia evitata. A pochi secondi dalla fine Giorgio Chiellini potrebbe darmi la gioia almeno di un punto “bugiardo”, ma spedisce la palla alta oltre la traversa. “Onore ai vincitori e ora ci aspetta il Real” pensai. Nervoso e per niente affamato restai al tavolo finché non lasciammo il locale per andare in giro e dimenticarmi di quella bruttissima serata.

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Capitolo 1 La nascita di un grande amore

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Di quei campioni che vedevamo in TV a 90° minuto, ascoltavamo le radiocronache alla radio o dei quali collezionavamo le figurine, come spesso capita quando si è poco più che bambini, ci s‟immagina a fare le medesime prodezze in strada tra le auto in sosta o su campetti improvvisati in una piazza o in spiaggia e ci s‟inizia ad affezionare anche alla squadra che in quel momento sembra più forte. Nonostante gli inizi degli anni „90 il campionato italiano e la neonata Champions League erano monopolizzate da uno stratosferico Milan “olandese” diretto da un giovane Fabio Capello e benché mio padre, da buon napoletano, mi avesse indirizzato durante la mia infanzia alla fede partenopea (della quale la leggenda narra esista anche una foto custodita su un vascello pirata nella

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pancia di una balena preistorica), considerato il periodo d‟oro di fine anni ‟80 con Maradona, la favola con Nostra Signora del Calcio nasce in un altro modo. Ricordo ancora le “Notti Magiche” cantate da Bennato e dalla Nannini per i mondiali italiani nel ‟90, ed è proprio in una di quelle sere magiche che la mia attenzione è richiamata da un “folletto” siciliano di nome Totò. Devo proprio alle magiche prodezze dell‟indimenticato Totò Schillaci la nascita della mia passione per la Vecchia Signora. I gol contro l‟Austria del mitico Polster e la Cecoslovacchia del genoano Skuhravý e le sue corse pazze da un lato all‟altro del rettangolo di gioco aspettando con ansia di poterlo vedere da vicino, o almeno dal vivo. Quel giorno non tarda ad arrivare. L‟Italia si qualifica alle semifinali battendo il buon Uruguay di un certo Ruben Sosa, agli ottavi, e l‟Irlanda allenata dal mitico Jackie Charlton, 18


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campione del mondo con l‟Inghilterra nel lontano „66. La partita si giocherà a Napoli, mezz‟ora di macchina da casa mia. Sappiamo tutti com‟è andata purtroppo e non racconterò la cronaca ma le impressioni di un bimbo di 7 anni a una partita così importante. Siedo allo stadio con i miei genitori e mio zio. Lo stadio è stracolmo, non sapevo se per la nostra nazionale o per il clamore di vedere l‟Argentina del loro idolo Maradona. La partita incomincia e mi sembra ancora di sentire la voce del grandissimo Bruno Pizzul che incita i nostri nella videocassetta che ho a casa. Alla prima vera occasione, Schillaci si libera di 4 avversari sulla fascia, da al centro per Di Napoli, scambio di prima per Vialli che passa al “Principe”, pallonetto a un difensore, torre per Vialli che scocca il tiro, Goycoechea respinge ma come un rapace il Totò nazionale butta la palla in

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fondo al sacco. A parte contro gli Stati Uniti sempre a sempre a segno. Lo stadio esplode e nonostante fossimo a Napoli, parte del pubblico dimentica il suo idolo e festeggia a più non posso i suoi ragazzi. Dopo un primo tempo fatto di emozioni altalenanti si passa al secondo tempo che vede un‟Argentina molto più spavalda che nel primo tempo. La partita si trasforma in una battaglia con colpi duri e molto nervosismo. Nervosismo che non aiutò gli azzurri tant‟è che al 20‟ su un contropiede innestato da un redivivo Maradona la palla arriva ad Olarticoechea che crossa e il nostro Walterone Zenga sbaglia l‟uscita sul capellone Caniggia che ci beffa e insacca di testa. Dopo il gol, l‟Italia si risveglia e le prova tutte per chiudere definitivamente questa partita, ma il portiere argentino si dimostra un muro e para tutti i palloni che i nostri tirano verso

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la sua porta. Si va ai tempi supplementari e inizia a farsi davvero dura… Il primo tempo supplementare inizia come si sono conclusi i due precedenti; Italia in attacco e l‟Argentina che si difende. Al 10‟ del tempo punizione dal limite per i nostri. Batte un ragazzo che sarà per sempre ricordato a Torino, Roberto Baggio. La sua parabola sembra voler entrare ma ancora una volta c‟è un muro davanti alla porta, Goycoechea vola a deviare in angolo. La partita sembra stregata e una brutta aria tira in tutto lo stadio. I giocatori argentini continuano a picchiare duro e chi ne fa le spese è il povero Baggio. Neanche l‟arbitro ci aiuta. Dezotti già ammonito non fu espulso. Purtroppo non c‟è niente da fare gli argentini si chiudono sperando di riuscire ad arrivare ai calci di rigore. Ai quarti l‟Argentina era passata contro la Yugoslavia proprio ai rigori grazie alle 21


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parate del suo portiere. Sperando che ogni partita sia diversa i nostri si apprestano a battere. Purtroppo la sorte c‟è ancora avversa. Baresi, Baggio e De Agostini insaccano, ma su Donadoni e Serena il portiere argentino si oppone decretando la fine della partita. Argentina sull‟A1 verso Roma, Italia sull‟A16 per Bari. Da quei mondiali, comunque, l‟Italia usci a testa alta riuscendo a vincere la finalina contro l‟Inghilterra, con due gol di Baggio e del solito Schillaci. La favola dello spiritello palermitano in serie A dura per altri 4 anni tra Juve e Inter, ma con sempre meno successi e partite da titolare, concludendosi nel lontano Giappone nelle fila dalla compagine dello Jubilo Iwata, dove diventò una star. Intanto in quell‟anno la Juve acquista dalla Fiorentina quello che sarà uno degli assoluti protagonisti della storia bianconera: Roberto Baggio. 22


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Quando lo vidi in azione a Napoli in coppia con Schillaci o Vialli ero sicuro che ci avrebbe potuto dare una grossa mano. I primi anni del mio tifo purtroppo non furono dei più felici sia in campo nazionale sia internazionale. Diciamocela tutta in quel periodo imperversava il fantastico Milan di Fabio Capello, che annoverava tra le sue fila giocatori del calibro di Rijkaard, Baresi, Van Basten e un giovane destinato ad entrare nella storia come uno dei migliori difensori di tutti i tempi, Paolo Maldini. Il ricordo più bello di quel periodo è legato di sicuro all‟estate del ‟94. Ancora una volta anno mondiale e ancora una volta una delusione, sempre ai rigori. Ricordiamo tutti come sono andati meglio metterci una pietra sopra … All‟inizio della stagione 94-95 con la famiglia eravamo a Torino. Siccome mia madre ha lavorato in polizia a Torino per

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qualche anno e aveva ancora degli amici provammo a chiedere se fosse stato possibile andare a vedere un allenamento. Riuscimmo ad avere in permesso e un agente della questura ci accompagnò. All‟epoca la Juve si allenava ancora al vecchio Comunale e ricordo che fu un‟emozione immensa riuscire a vedere i miei idoli da vicino. Al gruppo in quegli anni intanto si erano aggregati i talenti puri di Vialli, Ciro Ferrara, Fabrizio Ravanelli, in seguito rinominato “penna bianca”, e un giovane ragazzo di futuro successo proveniente dal Padova. Li aspettammo fuori dagli spogliatoi in ansia per farci fare un autografo e la tradizionale foto di rito. I primi furono Vialli, Ferrara e Paulo Sousa, nuovo portoghese proveniente dallo Sporting Lisbona. Finalmente è il turno del capitano, peraltro idolo all‟epoca di mia sorella, definita a casa “baggista” più che 24


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juventina. Due foto e poi la richiesta del capitano a mia madre di lasciarlo libero poiché doveva andare a casa. Dopo quella grandiosa esperienza la sera arrivò anche il pallone ufficiale della squadra, regalo di un giornalista amico di mia madre. Fino ad allora fu una delle pagine più belle della storia da tifoso della squadra, ancora ignaro di quanto sarebbe successo di lì a poco. La stagione che stava per iniziare fu forse quella più spettacolare, un po‟ perché era la prima che avrei vissuto di più giacché all‟epoca avevo 11 anni, essendo quindi più grande avrei iniziato anche ad appassionarmi di più al calcio e anche a capirne. Dopo anni di delusioni, la Juve si presentò all‟avvio del campionato con una nuova dirigenza, la famosa Triade composta da Luciano Moggi, Antonio Giraudo e l‟ex bandiera Roberto Bettega, con l'arrivo in panchina di Marcello Lippi, 25


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che con uno spregiudicato modulo a tre punte rese la squadra bianconera fortissima fisicamente e atleticamente, e una campagna acquisti puntata a rafforzare difesa e centrocampo, nacque una vera e propria "macchina da gol" che seppe approfittare appieno della non brillante stagione delle altre "grandi". Quell‟anno si assistette ad una durissima battaglia con il Parma di Scala che, nonostante fosse da pochi anni approdata alla massima serie, fin dagli esordi e con l‟aiuto economico del suo presidente, l‟industriale Callisto Tanzi patron della Parmalat, riesce ad aggiudicarsi una Coppa delle coppe, una supercoppa europea e ad arrivare a contendere la seconda finale consecutiva di Coppa delle Coppe all‟Arsenal. L‟inizio fu in sordina e la classifica vedeva alternarsi in vetta la squadra di Scala e la Roma di Carletto Mazzone, ma 26


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con il passare delle settimane tutti si accorsero che qualcosa era cambiato. La Juve iniziò a suonare la carica e già a dicembre riuscì a conquistare il primo gradino e il susseguente titolo d‟inverno. Con l‟inizio del girone di ritorno le cose non cambiarono molto. Nonostante le sconfitte nei due derby con Toro e con lo scricchiolante Padova, nel girone di ritorno, anche grazie alla nuova regola dei “3 punti”, la Juve amministra il vantaggio e riesce a cucirsi sul petto il 23° scudetto nello scontro diretto del 21 maggio vinto per 4-0. La storia di questo campionato però intreccia a doppio filo le sorti di Juve e Parma e sarà ricordato anche per questo. Quella del campionato è solo una pagina che però si ripete anche nelle finalissime di coppa Italia e in quella di Coppa UEFA dove le due società si scontrano aggiudicandosi un trofeo a testa.

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Durante il campionato Roberto Baggio, che alla fine della stagione avrebbe lasciato la squadra direzione Milano, subì un bruttissimo infortunio che aprì la strada a quello che poi diventerà l‟idolo di tutti i tifosi bianconeri fino ad oggi, checché ne abbia detto l‟“Avvocato” durante i suoi periodi no, nonostante lo ammirasse. Alex “Pinturicchio” Del Piero in quella stagione segnò forse uno dei gol più belli della sua carriera. La squadra stava perdendo in casa con la Fiorentina per 0-2. Al 73° Gianluca Vialli riesce ad accorciare le distanze e nonostante l‟affetto dei suoi compagni dopo il gol, l‟unica cosa cui pensò fu riprendere il pallone dal fondo della rete e riportarlo nel cerchio di centrocampo per riuscire a ribaltare la situazione. Ed è proprio quello che succede. Tre minuti più tardi proprio Vialli riesce a ristabilire la parità. Allo stadio si continua a sperare e io casa con

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l‟orecchio teso alla radio pure. A poco meno di 10 minuti dal termine ecco che il giovane talento scatta sulla fascia ed entra in area, aggancia una palla lunga che gli arrivava da destra e con una parabola sormonta il portiere viola di nome Toldo. Confermò di essere un giovane di talento. A soli 20 anni mette sulle sue spalle la maglia numero 10, meritandosi un posto nella leggenda, e dalla quale non si separerà più. Il mio primo scudetto da tifoso juventino arriva quando meno me lo sarei aspettato. Fu l‟anno dopo la mezza delusione mondiale nel quale avevo visto uno dei miei idoli sbagliare il rigore decisivo, dopo averci fatto arrivare in finale a suon di gol e che avrebbe fatto nascere in me un‟idiosincrasia, col senno di poi abbastanza immotivata e dettata più che altro dalla delusione, nei confronti di tutto quello che era brasiliano, cosa che mi 29


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sono portato per qualche tempo. Fu l‟anno della mia prima visita a Torino da tifoso a vedere i miei idoli, nel quale ho potuto toccarli e scambiarci qualche parola, farmi fotografare e farmi autografare il gagliardetto che custodisco gelosamente come una reliquia nella mia camera. Fu anche l‟anno nel quale potei confrontarmi attivamente con dei tifosi napoletani e conoscerne di juventini. Ricordo ancora una giornata in classe nella quale venne a farci supplenza una professoressa sfegatata tifosa del Napoli, perdi più grandissima amica di “Palommella”, all‟epoca capo tifoso della Curva B. Non appena venne a sapere da un mio compagno che io, come anche due altri miei compagni di classe, tifavamo per Madama si lanciò in un attacco a quello che forse aveva visto come uno “scherzo della natura”. Uno juventino che vive nell‟hinterland napoletano, mai cosa fu più

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grave. E allora giù con discorsi del tipo che essendo io napoletano (fino ad un certo punto dico io, visto che vivo a 30 chilometri dal capoluogo) non potevo tifare per una squadra del nord, tanto più la Juventus. Mi chiese più e più volte il perché e il per come fossi diventato juventino e mi disse che mio padre avrebbe dovuto diseredarmi per questo (a volte su questo ci scherza su anche mio padre, ma non ha mai messo in pratica la minaccia … grazie babbo!!!). Fortunatamente quella giornata finì e non ebbi più modo di avere uno scambio di battute con quella simpatica professoressa (meno male!). Fu l‟anno della mia prima partita da tifoso juventino dichiarato allo stadio San Paolo. Partita alla quale letteralmente costrinsi mio padre a portarmi. Si raccomandò caldamente di non portare con me oggetti o indossare qualcosa che avesse i colori bianconeri o che ricordassero in qualche

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modo la mia appartenenza alla fede juventina, non perché si vergognasse ma perché nonostante fossimo seduti in tribuna Posillipo e fossi in sua compagnia, sarebbe potuto succedere qualcosa, cosa che non fu. Ricordo soltanto che al gol della Juve esultai mentre mio padre strinse le spalle guardandosi in torno come a dire “non è colpa mia, è capitato”, non finirò mai di ringraziarlo per la sua comprensione in quegli anni. Nonostante alla fine di quella stagione festeggiai con i miei compagni lo scudetto e la Coppa Italia, vedevo le immagini della festa dei tifosi juventini a Torino e pensai che mai avrei potuto festeggiare in quel modo, con caroselli di auto e bandiere fatte sventolare senza che nessuno potesse guardarmi male, almeno non nel mio paese.

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Capitolo 2 Quando si ritorna grandi

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Gli anni ottanta avevano visto la Juve dominare in campo nazionale e, dopo molti anni, anche in campo internazionale con la conquista della Coppa delle Coppe e la Coppa Campioni. Purtroppo di quelle partite ho solo sentito parlare oppure ho visto le immagini in videocassetta o in qualche servizio ai TG. Ăˆ da quando ho iniziato a tifare Juve che ho sempre invidiato quelle persone che mi parlavano dei vari Zoff, Scirea, Cabrini o Tardelli come di mostri sacri del calcio e dei quali nessuno alla Juve avrebbe potuto mai eguagliare le gesta oppure che conoscevano a memoria la formazione o ricordavano per filo e per segno tutto quanto accadde nella tragica finale dellâ€&#x;Heysel nellâ€&#x;85.

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Durante i primi anni novanta il dominio italiano nelle coppe europee non era quasi mai stato scalfito seppur ci fossero all‟epoca squadroni come il Barcellona allenato da Johan Cruyff. Il Milan di Van Basten e Gullit di sicuro fu il dominatore del trofeo più importante vincendone ben 3 nell‟arco sette anni e arrivando 5 volte in finale. Un giorno, credevo, sarebbe successo anche a me di vedere la mia squadra giocare in una competizione del genere, sarebbe stato il massimo vederla vincere. Non potevo sapere che il tutto sarebbe capitato nell‟arco di un anno dalla vittoria dello scudetto, anno che vide la vittoria dell‟Ajax proprio ai danni del Milan. Quell‟anno era il mio ultimo anno di scuola media e mi stavo preparando per l‟esame e come tutti gli studenti ero abbastanza impegnato nello studio, ciò non m‟impedì, però, di seguire il campionato 37


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quasi ogni domenica ma soprattutto non mi persi nessuna partita della Juve in coppa, ansioso com‟ero di vederla alzare il trofeo dalle grandi orecchie. Il campionato quell‟anno lo vinse il Milan dell‟ultimo Fabio Capello che sarebbe emigrato in Spagna ad allenare i Blancos del Real Madrid. La Juve rispetto all‟anno precedente sembrò giocare un po‟ più in sordina, forse a causa degli impegni in Europa, tant‟è che concluse seconda a otto punti dalla squadra milanese tentando una rimonta nelle giornate finali. La storia di quell‟anno però è un‟altra. Ai sorteggi di agosto la Juve pesca dall‟urna tre delle squadre più forti di quel periodo o che hanno fatto la storia della competizione: Glasgow Rangers, Steaua Bucarest e Borussia Dortmund, incontrata qualche anno prima nella finale di Coppa. Gli incroci erano già stati decisi senza successivi sorteggi, per cui non ci sarebbe 38


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bastato il primo posto per evitare i campioni uscenti dell‟Ajax o la storia personificata della Coppa Campioni, i madrileni del Real, sicuri entrambi del passaggio del turno. La prima partita al ritorno in Coppa Campioni, ora rinominata Champions League, si giocò fuori casa al Westfalenstadion, lo stadio definito da Caressa qualche anno più tardi come lo stadio più inglese della Germania. Una muraglia giallo nera aspettava la squadra al suo interno, così vicina al campo che si potevano vedere le pupille o sentire anche il minimo bisbiglio. Fu la partita nella quale i miei occhi s‟illuminarono d‟immenso vedendo Del Piero esplodere definitivamente dando il via a una serie di reti che saranno soprannominate con il suo nome in pratica una parabola a rientrare sul palo più lontano dal vertice destro dell‟area di rigore, facile a dirsi ma in quanto ad 39


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eseguirlo ne passa. Nella fase a gironi ormai ne fa quasi un marchio di fabbrica per mettere la sua firma sulla partita, segnandone quasi uno a partita. Alla fine la Juve si qualifica vincendo le prime quattro partite largamente, perdendo e pareggiando le due rimanenti. Si arriva ai quarti e incrociamo il Real Madrid, una finale anticipata visti i nomi delle squadre in campo e quelli dei giocatori: Ferrara, Del Piero, Vialli, Ravanelli, Zamorano, Raul, Hierro. Nella partita di andata al Bernabeu si uscÏ sconfitti soltanto per 1-0, tutto il tempo per recuperare nella partita di ritorno. Ancora una volta è Alex Del Piero che con una magica punizione sblocca il risultato consentendo poi alla Juve, con un gol di Padovano, di vincere 20 e di qualificarsi alle semifinali contro i campioni di Francia del Nantes. Due partite estremamente tirate che si concludono con un 4-3 nel risultato

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complessivo consentendo alla Juve di accedere alla finale di Roma, dopo ben 11 anni di attesa. Ci sarebbero voluti due Maracanà per contenere tutti tifosi juventini che fin dal fischio finale della partita contro il Nantes, e anche prima credo, erano alla caccia di un biglietto per quella partita. Una finale di Champions League o di Coppa del Mondo dove gioca la tua squadra non è uno spettacolo da vedersi alla TV risparmiando soldi e tempo, bisogna esserci anche a costo di dilapidare un capitale. Bisogna esserci perché tifare per una squadra di calcio è come sentirsi parte di una grande famiglia che va oltre i legami di sangue, è una fede, con rispetto per tutte le religioni ma è cosi. Bisogna esserci perché dopo aver sofferto e gioito per una stagione intera incollato alla televisione o sui seggiolini di uno stadio anche con 10 sotto zero, bisogna soffrire e 41


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gioire con i propri campioni, far sentire che si è presenti con la voce, la mente e il cuore. Come scriveva Giorgio Tosatti in un articolo d‟introduzione alla partita sulle pagine del Corriere della Sera la Coppa Campioni/Champions è sempre stata croce e delizia dei bianconeri. La Juve era alla 15 partecipazione alla competizione ma è riuscita a raggiungere la finale solo 4 volte, vincendo solo una volta nella tragica notte dell‟Heysel, da molti considerata una vittoria “amara”, raccontata con abile maestria nel libro “Un sogno chiamato Juventus”di Gianpiero Mughini, e forse anche un po‟ “bugiarda” visto che il fallo su Boniek che l‟arbitro battezzò come rigore era in realtà fuori area di un metro almeno. Ora 11 anni dopo quella tragica notte, la Juve si ritrovava di nuovo in finale con un‟altra pagina della sua storia da scrivere. Di fronte aveva i lancieri dell‟Ajax “signori dell‟Europa e del

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mondo” - scrive ancora Tosatti – “massimo di programmazione calcistica, di allevamento, di squadra orchestra in cui tutti conoscono perfettamente lo spartito perché lo studiano sin dalle elementari e, salendo di classe in classe, suonano sempre la stessa musica”. Basta questo credo a descrivere gli avversari che affrontammo quel giorno. Una squadra votata all‟attacco ma al contempo capace di difendersi efficacemente. Io quella partita purtroppo fui costretto a vederla a casa, un po‟ perché a 13 anni andare da solo a Roma non sarebbe stato il caso (fosse stato per me, sarei salito sul primo treno, ma poi chi lo diceva ai miei genitori che ero scappato da casa per una partita di pallone!!!) e poi perché i biglietti, già introvabili, erano venduti a peso d‟oro. Fin dalla mattina mi organizzai con un mio compagno di classe per vederla a casa. Ricordiamo tutti quanti 43


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come andò ma cercherò di raccontarvi solo le emozioni provate durante quell‟interminabile serie di rigori. Il primo e il secondo tempo li seguimmo seduti sul divano in cucina e ricordo come fosse ieri quella palla spiovente diretta verso l‟area dell‟Ajax dove Frank De Boer ed Van Der Saar pasticciano e Ravanelli ne approfitta riuscendo a toccare appena la palla e allungarla, ma prima che uscisse sul fondo del campo inventa una scivolata facendo rotolare la sfera oltre la linea di porta rendendo invano anche il recupero di un giocatore biancorosso, un colpo da biliardo che neanche un giocatore professionista sarebbe riuscito a concepire. Palla 8 in buca d‟angolo!!! Purtroppo a pochi minuti dal termine del primo tempo Jari Litmanen, folletto finlandese, ci castiga e riporta in parità l‟incontro. Nonostante la veemenza dell‟azione juventina, la partita non si 44


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sblocca neanche nei tempi supplementari, nei quali si era stati lì lì per sopraffare gli olandesi. Si va inevitabilmente alla lotteria dei rigori, che qualche anno più tardi ci sarebbe stata fatale in una finale tutta italiana della quale parleremo in seguito. I rigori come spesso mi capita preferivo vederli, o meglio ascoltarli, da solo, allora mi rifugiai nella mia camera e alzai il volume della TV per assaporare meglio il commento della telecronaca. Il primo rigore è per i lancieri, va Edgar Davids chiamato “pitbull” dal suo allenatore Van Gaal, futuro acquisto poi della società bianconera. La fortuna sembra arriderci, il nostro portierone Angelo Peruzzi para. Da parte nostra, prima Ciro Ferrara, poi Pessotto e Michele Padovano, batterono Edwin Van der Saar, che di lì a qualche anno avrebbe indossato la casacca bianconera. Ricordo ancora il quarto rigore degli olandesi, 45


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Sonny Silooy aveva la faccia di chi veniva mandato al massacro, di chi diceva “perché il mister ha scelto me, perché non qualcun altro?”. La sua espressione tradiva le emozioni e forse anche il lato verso il quale avrebbe spedito la palla. Peruzzi se ne accorse tant‟è che parò anche questo e si andò al rigore decisivo. Io mi accovacciai come un arabo in preghiera stringendomi la testa tra le mani perché non volevo vedere assolutamente quello che sarebbe successo. Il rigore decisivo che avrebbe deciso il nostro destino in Europa quell‟anno l‟avrebbe battuto Vladimir Jugovic, che in Juve fece due splendide annate. Poco prima che Jugovic battesse il rigore ricordo che mi alzai di scatto perché mi dissi che se l‟avesse sbagliato o segnato volevo vederlo. Non lo sbagliò. Tiro sicuro a fil di palo dove neanche il lunghissimo Edwin poté arrivare. Mentre Vialli alza al cielo di

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Roma la nostra seconda Coppa dei Campioni, questa volta senza macchie o dolori, solo la gioia dei giocatori e dei tifosi che l‟aspettavano da ormai troppo tempo, Di Livio festeggia in mutande andandosi anche a prendere la medaglia in quello stato. Ancora una volta niente festeggiamenti e niente caroselli per la strada, chissà fino a quando durerà questa storia. Di lì ad un mese alcuni degli eroi di Roma furono ceduti ad altre società. Vialli e Ravanelli emigrarono oltre manica al Chelsea e al Middlesbrough, mentre il portoghese Paulo Sousa andò in Germania nelle fila dei freschi campioni di Germania del Borussia Dortmund per la seconda volta consecutiva. In compenso arrivarono un giovane francese proveniente dal Bordeaux, Zinedine Zidane, e un uruguaiano roccioso a far coppia con Ciro Ferrara in difesa, Paolo Montero, giusto in 47


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tempo per alzare la Supercoppa Europea in due gare strabilianti nelle quali la Juve s‟impose per 9-2, umiliando i francesi del Paris Saint Germain per 1-6 davanti al loro pubblico nella partita di andata. Dopo quei due successi in così poco tempo credetti che nessuno avrebbe più fermato la Juve di quegli anni. La stagione che cominciava sarebbe stato una delle più esaltanti che ebbi mai vissuto non fosse altro per il fatto che lo scontro con uno dei nostri rivali più acerrimi in campionato, il Milan che vedeva sedere sulla sua panchina di nuovo il maestro Sacchi, si concluse a nostro favore con un tennistico 6-1, ma perché a dicembre pochi giorni prima di Natale, la mia squadra si recò a Tokyo per disputare la seconda finale di coppa intercontinentale della sua storia, dopo averne vinta una ai calci di rigore nel lontano 85. La partita era stata programmata in TV per le quattro di notte.

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Chiesi a mio padre di registrarla così avrei potuto rivedermela la mattina seguente appena tornato da scuola. Molti di voi si scandalizzeranno perché non è logico per un tifoso non vedere una partita di Intercontinentale anche se alle 4 di notte. Vi devo dar ragione, me l‟hanno ripetuto in molti e a volte penso anch‟io lo stesso, sarebbe stato più logico perdere un giorno di scuola e godersi lo spettacolo di Del Piero che insacca all‟80‟ la palla che ci diede il titolo di Campioni del Mondo. Andò cosi che volete farci. Però ho ancora la sciarpa acquistata subito dopo ancora in bella mostra sul muro della camera assieme a tutti i cimeli bianconeri. La stagione stava promettendo bene sotto il punto di vista delle vittorie e delle prestazioni in campo. Eravamo primi in campionato, avevamo vinto due trofei internazionali importanti, Del Piero aveva siglato uno splendido gol contro il Napoli 49


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al San Paolo ed eravamo avviati verso uno storico “double” vincendo il campionato, come poi fu, e la Champions League. Alla seconda finale consecutiva dopo una cavalcata vincente senza sconfitte subendo pochissime reti (4) e segnandone a caterve (20) la finale si sarebbe prospettata tutt‟altro che una passeggiata e questa volta eravamo noi i campioni in carica e ci si aspettava una conferma. A differenza dell‟anno precedente la partita si giocò in casa dei nostri avversari. Il Borussia Dortmund, che avevamo strapazzato l‟anno prima nei gironi, si presentò all‟appuntamento forte e spavaldo e deciso a far sua la coppa in casa, benché giocassimo a Monaco di Baviera e che tra le sue fila accoglieva ben 4 ex-juventini. L‟Olympiastadion era già gremito in ogni ordine di posti con le due tifoserie già pronte le une di fronte alle altre a darsi battaglia a colpi di tamburo e cori. Inizia

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la partita e alla prima occasione in contropiede Vieri fa partire un tiro centra la ma che cogliendo sfortunatamente il lato esterno facendo strozzare il grido di esultanza in gola a tutti i tifosi sugli spalti. Subito pochi minuti più tardi è una vecchia conoscenza del calcio italiano che ci fulmina. “Kalle” Riedle, al secolo KarlHeinz, gloria romana sponda biancoceleste, ci fulmina con un uno-due che avrebbe messo in ginocchio qualsiasi squadra. Un gol di testa e uno di rapina in area mettono la firma ad un primo tempo dominato per larga parte dai tedeschi. All‟avvio del secondo non cambia la musica, ma ecco che su un cross del redivivo Alen Boksic si avventa ancora una volta Alex Del Piero siglando un gol che rimarrà negli annali. Come un falco si avventa su quella palla tesa e con un tocco felpato di tacco spedisce la palla alle spalle dell‟incolpevole Klos. Io esultai

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come mai avevo fatto per un gol e pensai che finalmente eravamo tornati in partita e che potevamo portarcela a casa davvero quella coppa. Ma il Fato aveva altre carte da giocare prima che finisse la partita. Lars Ricken al 70‟ entra al posto di uno stanco Stéphane Chapuisat. Lì si decise la partita e a distanza di tempo credo che fosse stato l‟inizio della fine di un ciclo, nonostante avremmo vinto un altro scudetto l‟anno successivo di cui parleremo. Pochi secondi dopo che ci fu la sostituzione il Borussia recuperò palla sulla trequarti e con un lancio lungo Ricken venne smarcato, due tocchi di destro e un tiro che scavalcò l‟incolpevole Peruzzi che vedeva il pallone andare ad insaccarsi sotto la traversa mettendo fine definitivamente a quella partita e alle mie speranze di vedere di nuovo la Juve sul tetto d‟Europa.

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Quella partita, memore della finale vinta a Roma, la registrai, come pure feci per quelle in Supercoppa e Intercontinentale. La rividi molte volte nel corso dei giorni successivi, forse per farmi del male o anche per capire meglio quali fossero stati i nostri errori e mitigare la delusione. Mi portai dietro quella delusione per lungo tempo tentando di farci l‟abitudine e pensando che prima o poi sarebbe cambiata la musica. Mi portai dietro quella delusione per lungo tempo tentando di farci l‟abitudine e pensando che prima o poi sarebbe cambiata la musica. C‟è da dire però che in quella partita molte cose non andarono bene, ma l‟arbitro ci mise del suo negando un gol regolarissimo a Vieri e utilizzando un metro di giudizio totalmente diverso tra noi e il Borussia. Ormai è inutile recriminare non vi pare?

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A quella finale ne seguì una terza la stagione successiva che vide la Juve vincere, come detto, il suo 25° titolo in 100 anni di storia. Quella stagione però, come dice il già citato Mughini nel suo libro già, “gli arbitri furono benigni assai nei confronti di Madama”. Molte decisioni dubbie in vero ci furono quella stagione, la palla recuperata da Ferrara oltre la linea in Udinese - Juve o il gol non concesso all‟Empoli con palla ribattuta da Peruzzi quando ormai era ben al di là della linea gessata. In fine lo ricordiamo tutti lo scontro in area tra Ronaldo lanciato a rete e Iuliano. “Il rigore è un‟opinione non un fatto” scrive ancora Mughini, ma sull‟azione successiva il rigore su Del Piero non doveva essere concesso, benché esultassi allegramente infischiandomene di quello che diceva mio padre sull‟accaduto. A quel campionato vinto un po‟ così fece eco la terza finale consecutiva di Coppa

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Campioni, ancora una volta persa contro uno splendido Real Madrid, che di lì a qualche anno se ne sarebbe portate via altre 2 cosi come avrebbe portato via per la cifra più alta mai pagata per un calciatore (150 miliardi di lire) il nostro Zinedine Zidane, che mise poi la firma sulla finale vinta contro il Valencia nel 2002 con un grandissimo gol. E dire che a quella finale siamo giunti nonostante ci fossimo qualificati ai quarti come secondi grazie ad una nostra vittoria contro il Manchester United e ad un gol all‟ultimo minuto dell‟ultima giornata di Djordjevic dell‟Olympiakos Pireo che, di fatto, eliminò i Norvegesi del Rosenborg che vincendo sarebbero stati qualificati, fortunatamente quel pareggio ci qualificò. Qualche giorno dopo c‟era compito in classe d‟italiano e capitò tra le tracce l‟articolo giornalistico, pensai bene di scrivere di quella partita e ringraziare

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ancora una volta. Per inciso a quel compito presi 7+. Nonostante le sconfitte in Champions la mia fede juventina in quegli anni era più viva che mai e con gli anni di liceo iniziarono anche le prime serene discussioni con i compagni e le compagne napoletane e non sempre con il solito leitmotiv della professoressa di prima. Alle loro battute potevo comunque rispondere a testa alta data la nostra superiorità sul campo. Non dimenticherò mai le battaglie a colpi di scritte fatte di nascosto sul diario di una mia compagna di classe milanista nella quale ci scambiavamo battute se una o l‟altra squadra avevano un rendimento poco esaltante la domenica prima. Ricordo ancora, con un pizzico di piacere proprio il giorno dopo lo storico 1-6 a Milano. Io fui uno dei primi ad entrare e sedevo al primo banco, lei entrò e senza che io avessi la possibilità di parlare mi bloccò dicendomi 56


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con un sorriso amaro stampato in faccia “non mi parlare per tutta la giornata sono arrabbiataâ€?. Alla fine del liceo per riconoscenza e a ricordo di quegli anni le regalai una delle mie magliette della Juve. Da questo campionato in poi devo dire la veritĂ mi avrei sempre dovuto difendere oltre che dagli sfottò anche da coloro che vedevano, anche a causa delle dichiarazioni dei giornali e di alcuni presidenti, un grande sistema di controllo delle decisioni arbitrali gestito dai dirigenti della Juve.

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Capitolo 3 A volte ritornano

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La sera del 7 febbraio 1999, a seguito della figuraccia rimediata con il Parma in casa, Lippi diede le dimissioni in una conferenza stampa frettolosa, ma che sancì definitivamente la fine di un matrimonio durato 4 anni nei quali era riuscito a portare la squadra di nuovo tra le grandi. Io in primis ci rimasi davvero male e come me credo tutti i tifosi juventini che avevano amato in quegli anni sia l‟uomo sia l‟allenatore. Al suo posto arrivò Carlo Ancelotti per quella fine di stagione che ha dell‟assurdo per come si era conclusa. Dopo un anno eravamo ancora ad un passo dal disputare una finale di Champions. In semifinale s‟incontra il Manchester United del grande Giggs e del giovane Beckham. Riusciamo a pareggiare in casa dei Red Devils grazie ad un gol di

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Antonio Conte impattato in “zona Cesarini” dagli inglesi. Basterebbe uno 00 per accedere di nuovo alla finale. Il ritorno però è tutta un‟altra storia. Si mette bene fin dall‟inizio grazie a un gol e mezzo di Inzaghi si va presto sul 2-0 e c‟è chi spera che l‟arbitro fischi con largo anticipo la conclusione della partita. Purtroppo per noi il Manchester non aveva neanche iniziato a giocare. E in poco meno di 10 minuti siamo 2-2. Nel secondo tempo riusciranno anche nel fare il terzo mettendo fine alle nostre speranze di disputare una quarta finale consecutiva. Vinta per inciso dal Manchester nel giro di due minuti tra il 90° e il 92° mettendo in ginocchio il Bayern Monaco. Finimmo settimi quell‟anno lontanissimi dal primo posto ma ad appena due punti dal quarto posto, che con le nuove regole avrebbe concesso di disputare un‟altra stagione in Champions 61


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League. Mai come quell‟anno non avrei potuto festeggiare per com‟era andata. Purtroppo l‟anno dopo non sarebbe andata meglio. In vantaggio di 9 punti fino a quel momento all‟ultima giornata la Juve si ritrova la Lazio a -2 con una partita da giocare fuori casa, mentre i romani avrebbero giocato all‟Olimpico. Non c‟erano altre alternative. Se si fosse vinto, lo scudetto sarebbe stato nostro, con il pareggio si sarebbe andati allo spareggio, con la sconfitta, dando per scontata la vittoria laziale, beh sappiamo cosa sarebbe successo. La Juve viene sconfitta 1-0. Seppure Roma e Perugia distino pochi chilometri l‟una dall‟altra, sulle due città le condizioni meteorologiche erano completamente diverse. All‟inizio della partita a Roma splendeva un bellissimo sole mentre a Perugia diluviava. Sul campo piuttosto che a calcio si sarebbe potuto giocare a pallanuoto, cosi mentre i

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giocatori e i tifosi sugli spalti attendevano che spiovesse, Pierluigi Collina fece più di una sortita verso il campo ad accertarsi delle condizioni. Una, due, tre e il pallone non ne voleva sapere di rimbalzare. Ad ogni splash si avvicinava lo spettro della sospensione e rinvio della partita. Questo avrebbe voluto dire che mezza Italia sarebbe insorta, ma i motivi potevano essere spiegati facilmente. La domenica precedente contro il Parma la Juve sta vincendo per 1-0 quando da un tiro d‟angolo, svetta Cannavaro che insacca e ristabilisce la parità, ma il gol viene annullato. Non si riesce a capire il motivo, mai come in quel caso nessuno in area si sta sfiorando. Gol regolare ma De Santis fischia. “Fallo di confusione”, verrà definito. Per una settimana non si fa altro che parlare e rivedere alla moviola quell‟azione provocando un‟ondata antijuventina in tutto il paese. Collina

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avrebbe mai potuto sospendere la partita e farla ripetere concedendo una seconda chance alla Juve dopo quello che era successo? Si sarebbe gridato allo scandalo per anni e manifestazioni di ogni genere avrebbero di sicuro riempito le piazze italiane. Quando la partita all‟Olimpico ormai si era conclusa come volevasi dimostrare con la vittoria della Lazio, Collina decise che a Perugia si poteva continuare. A pochi minuti dall‟inizio del secondo tempo il Perugia è in vantaggio. La Juve cerca insistentemente di ribaltare il risultato o almeno di impattare per andare allo spareggio ma tutti gli sforzi furono vani. Si esce sconfitti da Perugia e la Lazio vince il suo secondo scudetto. L‟anno dopo da secondi in classifica si assisté allo spogliarello della Ferilli, promesso ai tifosi ad inizio stagione per la vittoria dello scudetto, meritato senz‟altro.

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L‟era Ancelotti si concluse sfortunatamente con due secondi posti e nessun trofeo internazionale in bacheca, a parte la coppa Intertoto. Cosi alla fine della seconda stagione gli venne dato il ben servito (avrà modo di “vendicarsi” un paio di anni dopo) e fu chiamato dal Milan. Nell‟estate di quella stagione andò via anche quello che era diventato uno degli idoli della Juve e sarà ricordato come un secondo Platini. Zinedine Zidane, si vocifera su pressioni della moglie, s‟imbarca per Madrid sponda Real, che lo paga la cifra straordinaria di 150 miliardi di lire che ne fa l‟acquisto più oneroso della storia del calcio. Con quei soldi la Juve però riuscì a permettersi di comprare 4 giocatori di sicuro futuro: Buffon, Thuram, Pavel Nedved e David Trézéguet. Più di tutto però mi consolò il ritorno in panchina dell‟amato mister Lippi. La società, mi dissi, si è data da fare per farci

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vivere di nuovo i fasti di qualche anno prima. Come per l‟antologia dei libri di Stephen King “A volte ritornano” può essere il titolo degno di questa nuova pagina che mi accingevo a vivere da tifoso juventino e sarebbe stata anche la pagina più entusiasmante e inaspettata. Una stagione abbastanza disastrosa per la Champions che ci vide fuori al secondo turno, ma le sorprese arrivarono tutte dal campionato. Come accadde al primo anno di panchina Lippi seppe schierare una squadra in campo che tutti davano un gradino sopra le altre, nonostante la Roma, in quanto campione d‟Italia, e l‟Inter con Ronaldo alla sua ultima stagione fossero anch‟esse date per favorite. Alla fine della penultima giornata la classifica era la seguente: Inter 69, Juventus 68, Roma 67. Senza saper ne leggere ne scrivere, chiesi ai miei se fossi potuto andare ad Udine per vedere

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l‟ultima partita. In cuor mio sapevo che sarebbe potuto accadere qualcosa, ma scaramantico, mi dicevo che avrei comunque visto una partita della Juve e mi sarei divertito anche se non avessimo vinto lo scudetto. Già il giovedì avevo tutto pronto per partire: biglietto aereo, valigia, sciarpa e tutto l‟occorrente per ascoltare le notizie provenienti da Roma dove l‟Inter giocava con la Lazio e avrebbe trovato un ambiente ottimale dato che la stessa tifoseria biancoceleste, un po' per gli stretti rapporti d'amicizia con i meneghini, un po' in odio alla Vecchia Signora e ai cugini giallorossi, era chiaramente disposta a sacrificare l'ingresso in zona Uefa pur di vedere vanificati gli sforzi dei bianconeri. Il biglietto per la partita riuscì a procurarmelo un amico di mia zia. Tribuna d‟onore, posto di lusso. Il campo si vedeva una meraviglia e gli spalti gremiti come non mai, per metà bianconeri dell‟Udinese

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e per l‟altra juventini. Il tempo di sedermi e con una grande azione David riesce a portarci in vantaggio e otto minuti più tardi ci pensò Del Piero a chiudere la pratica. A Roma intanto l‟Inter e la Lazio stavano dandosi battaglia con gol a ripetizione durante il primo tempo che si concluderà 2-2, ma s‟iniziava a pensare che probabilmente la Lazio avrebbe ceduto nel secondo. Così non fu. A quindici minuti dall‟inizio del secondo tempo la curva juventina ad Udine prese ad esultare senza misura e capimmo che la Lazio aveva segnato ma non capimmo chi né in che modo. Tant‟è che ancora di più tutti guardavano l‟orologio sperando che il tempo passasse più in fretta. Pochi minuti dopo la curva esplose di nuovo, la Lazio si era portata sul 4-2. Inzaghi junior aveva ormai chiuso la partita e quello che era quasi impensabile all‟inizio di quella partita si concretizzò. La Juve vinse il suo

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26° scudetto e oltre alle facce festanti dei nostri e i cori inneggianti a Capitan Conte ricordo con un pizzico di piacere le immagini che ritraevano un Ronaldo disperato in lacrime. Non avrei mai pensato dopo anni di festeggiamenti “casalinghi” di poter festeggiare dal vivo un successo della mia squadra. Tornai soddisfatto e felice come non mai a Napoli con il treno notturno pronto l‟indomani per andare all‟università e raccontare l‟esperienza vissuta ai miei colleghi, alcuni di loro juventini. “Nel destino di ogni uomo può esserci una fine del mondo fatta solo per lui. Si chiama disperazione”. Quest‟aforisma di Victor Hugo credo possa essere il sunto alla situazione che si era venuta a creare quest‟anno, come pure si adattava a quello che era accaduto alla Juve due anni prima. Il secondo ciclo Lippi fortunatamente per noi era incominciato come si era 69


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concluso il primo. Avemmo tempo l‟anno dopo di vincere un altro campionato ma cosa più importante il mister ci aveva portati ancora una volta in finale di Champions League. Il cammino non fu più agevole di quello che trovammo prima delle tre finali consecutive, anzi. Ai quarti incontrammo un Barcellona che era considerata da tutti come una delle pretendenti al titolo. La prima partita la giochiamo a Torino e dopo una battaglia, la sfida si conclude 1-1, punteggio che non ci favorisce poiché avremmo dovuto affrontare non solo la squadra ma anche centomila tifosi nella bolgia del Nou Camp. Il colpo d‟occhio dello stadio è impressionante coriandoli e bandiere blaugrana che sventolano e centomila persone che intonano ad una sola voce cori di sostegno alla loro squadra. I tempi regolamentari si concludono com‟era finita la partita d‟andata. Il tempo di

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riprendere fiato e si parte con l‟extra time. Il Barcellona si dimostra gagliardo ma su una palla persa dai blaugrana una palla profonda verso “El panteron” Zalayeta che brucia la difesa e insacca. Ricordo ancora la mia esultanza girando per casa con la maglietta della Juve, con la quale guardo quasi tutte le partite importanti sia di Champions sia di campionato, e rivedendo il replay del gol anche a distanza di anni provo sempre la stessa emozione e gli stessi brividi alla schiena. Si va in semifinale dunque dove incontreremo il Real Madrid dell‟ex Zidane e degli altri Galacticos come Beckham e Figo che l‟anno prima vincevano per la nona volta il trofeo continentale con un grandissimo gol proprio di Zinedine. La prima si gioca al Bernabeu e come per la partita contro il Barcellona anche le semifinali non iniziano granché. Usciamo da Madrid con una

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sconfitta e con la consapevolezza che avremmo dovuto segnarne almeno tre a quella squadra, considerando che era impossibile che i Blancos non avessero segnato almeno una rete. Quella sera fu come in una favola, probabilmente meglio che in una favola. Uno stadio Delle Alpi gremito come sempre per le partite importanti che non aveva niente da invidiare in termini di spettacolo del tifo al Nou Camp e al Bernabeu, anzi probabilmente era superiore. Quella sera del 14 maggio i Galacticos portavano i colori di Madama. In avvio il gol di TrÊzÊguet inizio a farci sognare una serata magnifica che continuò con lo splendido gol di Alessandro Del Piero che con due finte inganna i difensori madridisti e insacca sul primo palo prendendo in controtempo Casillas, partita che si chiude con il gol di un Nedved stratosferico che di potenza insacca la palla per la terza volta.

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C‟è da dire che il gol del Real era nell‟aria già prima della rete del ceco e si concretizzò l‟occasione quando Montero uncinò in area un Ronaldo appena entrato e lanciato a rete. Un rigore netto e ineccepibile. Va a batterlo Figo, e Gigi Buffon aspetta concentrato un tiro che deve assolutamente parare. Un ex pallone d‟oro contro il più grande portiere al mondo. Figo parte e lo coglie una piccola indecisione prima del tiro, indecisione cruciale che fa uscire un tiro né forte né angolato, Buffon si butta sulla destra e devia il pallone mantenendo il punteggio sul 2-0 poco prima che Nedved segnasse il terzo e decretasse la fine della partita. Dopo quelle due splendide partite in me vi era la certezza che come alla prima esperienza “lippiana” il secondo anno avrebbe potuto portare un trofeo internazionale. Quella finale si sarebbe giocata nel “Theater of football”, l‟Old

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Trafford di Manchester contro i diavoli rossoneri del Milan giunti in finale grazie al gol di Shevchenko segnato “fuori casa” nei due derby contro l‟Inter in semifinale. La prima finale italiana della storia della Champions League. Avrei preferito esserci visto e considerato che dopo anni sognavo un‟altra notte così. In seguito seppi che un mio ex-collega di università, milanista peraltro, era riuscito a esserci e mi mandò un messaggio tanto per farmi rodere il fegato. Come per la finale di Monaco di Baviera, le immagini televisive non rendevano per niente l‟atmosfera che si respirava, con le due tifoserie festanti da un lato e dall‟altro del campo cosi terribilmente vicino al campo. Quello che mi colpì più di ogni altra cosa prima che la partita iniziasse fosse che dagli spalti si sentivano solo cori e si vedevano solo bandiere e sciarpe che sventolavano, niente fumogeni e niente petardi che

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assordavano. Forse non ero più abituato a vedere quel tipo d‟immagini che facevano bene al calcio e avrebbero potuto far bene al nostro calcio soprattutto. Le squadre entrarono in campo per ascoltare l‟inno della Champions e a me scese un brivido per la schiena, non sapevo ancora se per il fatto di vedere di nuovo la mia squadra in una finale europea dopo cinque anni o fosse un presagio di sventura. Presto mi resi conto che la seconda ipotesi fu quella esatta. Per tutta la partita non vidi quella Juve che era scesa in campo contro il Barcellona e il Real Madrid. Il Milan dominò per larghi tratti della partita vedendosi annullare un gol per fuorigioco ma la Juve dal canto suo riesce forse ad avere l‟azione più pericolosa della partita con Antonio Conte che imbeccato da Del Piero di testa spedisce la palla sulla traversa a Dida battuto. La partita si fece intensissima ma 75


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nessuna delle due squadre riuscì a sbloccarsi. In me si faceva sempre più forte la sensazione che, nonostante avessimo provato per tutta la partita, la porta sembrava stregata. Con questa convinzione continuai a vedere la partita e notavo negli occhi dei miei giocatori una luce che si spegneva. Come se sapessero anche loro in anticipo che non c‟era più nulla da fare, la coppa anche quest‟anno non sarebbe andata a Torino. Si andò ai rigori. Buffon fece tutto il possibile per rendere ancora vive le speranze di vittoria ma Dida fu più bravo parando i rigori a Trézéguet, Zalayeta e Montero. Il rigore decisivo lo batté Shevchenko, un‟immagine che porto ancora nella mia memoria nonostante tutto. Quell‟anno la delusione almeno in parte venne mitigata dalla vittoria del 27° titolo nazionale a sole 3 lunghezze dal potersi cucire sulle maglie la terza stella

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quella che Mughini inserisce “nei sogni di una vita”. Dopo anni di sconfitte e sfottò vedevo di nuovo la mia squadra campione d‟Italia e competitiva anche in Europa. Gli anni di quei due scudetti furono importanti per rafforzare la mia fede juventina. Di più lo fu quello che accadde l‟anno del primo scudetto al ritorno di Lippi. Fu la prima volta che ebbi modo di vedere in diretta allo stadio una partita di Champions. Visto il tipo di università che frequentavo ne approfittai per unire l‟utile al dilettevole. Ancora una volta grazie all‟amica di mia madre a Torino riuscii ad ottenere un colloquio per uno stage alla Juve da effettuarsi alla fine dell‟anno accademico. Ricordo che ero emozionatissimo all‟idea di entrare nella sede della mia squadra, vedere da vicino le persone che lavoravano con e per i miei campioni. Il giorno non era dei migliori perché la sera prima 77


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avevamo perso malamente contro il Manchester. Attesi la persona che dovevo incontrare per il colloquio nella sala dei trofei. Chi non lo vive non può capire, ma trovarmi accanto a quelle coppe che trasudavano storia e successi mi dava un senso di appartenenza a quei colori che mai nessuno avrebbe mai potuto provare. Vedere quelle due Coppe dei Campioni lì in alto nella bacheca e poterle sfiorare con le mie mani…beh un‟emozione che non si può spiegare con parole. La giornata non finì lì però, nel pomeriggio mi avrebbe atteso anche la visita al centro sportivo per vedere gli allenamenti. All‟uscita dagli spogliatoi ero lì in attesa come un bimbo attende il regalo per Natale, con la maglietta acquistata la sera prima (ancora una reliquia in bella vista nell‟armadio di casa) per farla riempire di autografi. Aneddoto curioso quando arriva il turno di mister Lippi. All‟arrivo gli chiedo come

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per gli altri l‟autografo e gli dico che mia madre gli manda un bacio, lui sorride e si fa rosso. Il mio unico rammarico di quel giorno fu che quando arrivò Del Piero dopo gli autografi non mi venne in mente di chiedergli se poteva “prestarmi” la sua maglietta. Chiunque avrebbe fatto lo stesso, no? Ebbi modo di visitarla ancora una volta la sede della Juve, un paio di anni dopo durante la preparazione della mia tesi, poi di abitarci praticamente di fronte durante il mio soggiorno a Torino per le Olimpiadi. Ma l‟emozione che provai quel giorno forse non poteva essere eguagliata.

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Capitolo 4 Meglio di un film dellâ€&#x;orrore

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L‟anno che seguì la vittoria del 27° scudetto fu l‟ultimo anno di Lippi alla Juve, e sapevamo che sarebbe stato per sempre. Fu chiamato per un incarico che nessun allenatore al mondo avrebbe mai rifiutato, come dargli torto. La nazionale veniva da un deludente europeo giocato in Portogallo, uscimmo come tutti ben ricordano grazie al “biscotto nordico” che mi fece felice in qualche modo, prima di andare a vedere la partita con degli amici a Londra ci fermammo a giocare il 2-2 tra Danimarca e Svezia, unico risultato che ci avrebbe eliminato, così alla fine della cena ci trovammo in tasca quarantacinque sterline vinte. La guida era stata affidata a Fabio Capello, che qualche mese prima

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allenava la Roma e che mai e poi mai avrebbe allenato la Juventus (parole sue in una conferenza stampa). Non c‟è bisogno di dire che in quel periodo venne considerato come un traditore della patria nella capitale e noi ne facemmo le spese, come se non ci bastasse l‟atavica rivalità. L‟arrivo di Capello alla corte di Madama non mi entusiasmo moltissimo, un po‟ per i suoi pensieri mai celati negli anni di diffidenza verso quell‟ambiente che veniva considerato da qualche anno come il demonio del calcio italiano, una squadra capace di vincere solo grazie alle macchinazioni della sua dirigenza. Essere cresciuto da tifoso durante i successi di Lippi aveva fatto nascere in me il pensiero che non ci sarebbe stato nessun altro allenatore che sarebbe potuto sedere su quella panchina. La storia di quegli anni era indissolubilmente legata a doppio filo con quel Paul Newman di Versilia, i suoi 84


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modi avevano mi conquistato fin dall‟inizio. Era come essersi fidanzati con una persona con la quale si era cresciuti credendo che non sarebbe finita ed essersi lasciati all‟improvviso per un motivo che ancora non riuscivo a capire. Feci buon viso a cattivo gioco e nonostante tutto mi convinsi che l‟importante era che la squadra continuasse a vincere o almeno essere competitiva. In effetti, come per Lippi, Capello in quell‟anno riuscì a riportare a Torino lo scudetto, scucitogli un anno prima dal petto da uno stratosferico Milan. Proprio contro il Milan avemmo la certezza di aver conquistato il 28° titolo grazie ad uno splendido Del Piero che a San Siro scodellò una palla in rovesciata al centro dell‟area per Trézéguet il quale anticipa Dida in uscita, insaccando la rete decisiva, lasciando al Milan, che avrebbe perso a Istanbul una spettacolare finale contro il

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Liverpool, soltanto campionato.

le

briciole

del

La stagione successiva, come tutti ben ricordano, fu caratterizzata dallo scandalo che colpì il calcio. Fino a quel tragico aprile del 2006 la Juve aveva dominato il campionato, ma da quel mese in poi tutto cambiò. Tutte le dichiarazioni fatte da vari presidenti nel corso degli anni, senza che fossero supportate da prove, furono improvvisamente messe in piazza grazie al lavoro della magistratura che riuscì a reperire le intercettazioni avute dai dirigenti della Juve con altri personaggi nel corso di quell‟anno e di quello precendente. Il tutto accadde quando la Juve stava avviandosi a vincere lo scudetto più strameritato della storia. Nessuna polemica vi era stata che potesse infangare quel titolo, i giornalisti anche i più accaniti contro la Juve negli anni precedenti ammisero che nonostante tutto quello di 86


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quell‟anno era lo scudetto più pulito che la Juve avesse mai vinto da qualche anno a questa parte. Io che vivevo come tutti gli juventini momenti di apprensione su quali erano le notizie che trapelavano dai tribunali mi chiedevo e m‟informavo su quale sarebbero potute essere le sentenze e di conseguenza i provvedimenti adottati una volta concluso il campionato. Nel mentre mi accingevo a vivere un‟ulteriore pagina importante, nonostante tutto l‟ultima di campionato salii in macchina e mi diressi alla volta di Bari per assistere alla partita contro la Reggina giocata in campo neutro. Misi tutto l‟occorrente in macchina: magliette e sciarpe, passai a prendere il fratello della mia ragazza con un amico e via verso l‟autostrada. Come qualche anno prima a Udine, lo stadio era festante, bandiere juventine sventolavano in ogni dove e i cori assordavano le nostre orecchie. Tutto era pronto per la festa che

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di lì a 90‟ sarebbe scattata. Tutta la tifoseria, me compreso, era certa che qualcosa di brutto sarebbe successo alla fine di quella stagione, ma in quel momento nessuno ci pensava, tutti eravamo concentrati nell‟incitare la nostra squadra per vincere il 29° titolo ad un passo dalla terza stella da cucirci sul petto, a nessuno importava se ci avrebbero squalificato o tolto i titoli vinti, l‟importante era esserci per testimoniare la propria appartenenza e fare quadrato attorno alla squadra. Comincia la partita: diversi giocatori bianconeri, tra i quali Del Piero, hanno la testa rasata. Al 23' il gol di Trezeguet fa esplodere in un boato il San Nicola. Tutta la panchina della Juve, compresi i massaggiatori, si precipitano in campo per un lungo abbraccio collettivo che ha un sapore speciale e forse per molti di loro è un addio. Quando al 45' Del Piero mette il sigillo alla partita e alla

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stagione, l'abbraccio è ancora più irreale e per questo fortissimo. Tutta la squadra festeggia l‟ultimo titolo conquistato insieme in cuor loro sapendo che probabilmente molti di quelli che erano lì l‟anno prossimo non ci sarebbero stati. Le sentenze arrivarono velocemente, come non succede quasi mai in Italia, nonostante si parli di giustizia sportiva, e decretano la retrocessione d‟ufficio della Juventus in Serie B con una penalizzazione di 9 punti da scontarsi l‟anno successivo, la revoca dello scudetto vinto l‟anno prima. Lo “scudetto di cartone” vinto quell‟anno dall‟Inter fu per me e per altri tifosi la ciliegina sulla torta di una stagione da dimenticare. Stagione che culminò con la vittoria della nostra nazionale ai Mondiali di calcio di Germania, ma naturalmente questa è un‟altra storia. Ad agosto a causa di quello che era successo, vidi partire molti di quelli che 89


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erano state le colonne portanti della Juve di Capello. Fabio Cannavaro ed Emerson partirono alla volta di Madrid, sponda Real, Zambrotta e Thuram, attraccarono in Catalogna alla corte del Barça; Ibragol andrà invece dagli odiati interisti. Insomma la Juve di quell‟anno fu un autentico supermercato per tutte le squadre che ne facessero richiesta, anche data l‟esiguità economica che seguì quei fatti…ce servivano li sordiiiiii!!!!! A differenza di quei giocatori che nonostante tutto fecero la storia di quegli anni, alcuni accettarono di rimanere per far rinascere la società dalle sue ceneri, giocatori che non nomino perché ogni tifoso sa chi sono e a chi si deve la nostra rinascita…dovrebbero erigergli un monumento o dargli un Oscar per l‟attaccamento alla maglia. Da quel momento in poi, per noi tifosi, smisero di essere idoli ma si guadagnarono sul campo

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il passaggio al livello di leggende. Con la nuova squadra da riformare e la nuova stagione alle porte c‟era bisogno anche di un allenatore che conoscesse bene l‟ambiente e anche i giocatori. Fu chiamato una vecchia conoscenza della squadra, arcigno centrocampista e buon allenatore: Didier Deschamps. L‟esordio non fu dei più promettenti, il pareggio di Rimini colse un po‟ di sorpresa un po‟ tutti, tifosi compresi ma sapevamo che non sarebbe stata una passeggiata. Dopo l‟avvio incerto la marcia dei bianconeri non si ferma e alla fine del girone di andata la Juve conquista saldamente il primo posto. La lotta ormai si era ristretta a tre delle squadre più blasonate di quel campionato: la Juve, il Genoa e il Napoli risorto dalle ceneri della vecchia società. Proprio le due partite con il Napoli sono quelle che per la mia condizione non si possono mancare, 91


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almeno quella al San Paolo. Purtroppo non potei essere presente ancora una volta alla partita dei miei idoli. La partita finì in pareggio comunque. Partita dopo partita mi resi conto che non sarebbe trascorso più di una stagione al nostro ritorno trionfale nella massima serie, che vedeva il dominio dei nerazzurri che, con rispetto parlando per le altre squadre, erano nettamente superiori, anche tenendo conto del fatto che molte delle pretendenti al titolo o presunte tali avevano subito tali penalizzazioni l‟anno prima, che sarebbe stato quasi impossibile competere con quella squadra che considerando le riserve avrebbe potuto far giocare 4 squadre di buon livello nello stesso campionato. L‟ultima giornata a risultato ormai ottenuto mi focalizzai sul “derby” tra Genoa e Napoli al Marassi. Come tutti i tifosi napoletani ben sanno, esiste un gemellaggio con i tifosi genoani, per cui

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come nel lieto fine di una favola quella partita sarebbe stata una festa comune per il ritorno in Serie A per due società che sembravano aver percorso il medesimo cammino negli anni precedenti tra penalizzazioni e retrocessioni. Alla fine della partita sotto casa si scatenò il putiferio, più di quanto normalmente succeda durante gli altri giorni della settimana. Motorini e auto tutti imbandierati che strombazzavano e urla di giubili per l‟avvenuta promozione. Dal mio balcone vedevo quella scena e avrei voluto essere in mezzo alla confusione che ci fu a Torino per il ritorno in A. Così mi dissi che una volta che fossero stati definiti i calendari dell‟anno successivo mi sarei organizzato per non perdermi le partite più importanti. Da poco avevo iniziato a lavorare con mio padre e mio zio e già alla fine di quel campionato iniziavo ad avere ogni tanto 93


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degli scambi di battute con i miei colleghi riguardo le nostre rispettive squadre e soprattutto su quanto era successo l‟anno prima, anche perché credo di riuscire a conoscere meglio una persona anche dal modo in cui parla della propria squadra del cuore. Ognuno naturalmente rimaneva sulle su posizioni, nonostante io ammisi più e più volte che forse la punizione data alla Juve ce la fossimo ampiamente meritata, ma non avrei mai rinnegato gli anni che furono. A maggio quando vidi i miei festeggiare per il ritorno meritato in serie A pensai che finalmente dopo un anno di purgatorio saremmo potuti “uscir fuori a riveder le stelle” e ritornare al posto che più ci competeva, e l‟emozione che mi prese in quei giorni di agosto prima che iniziasse la nuova stagione era indescrivibile. Subito dopo la stesura dei calendari mi ero già segnato su un foglietto tutte le date delle partite che sarei

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voluto andare a vedere. Al primo posto figurava la sfida con la Roma di Spalletti già alla quarta giornata. Vista la distanza cercai di convincere la mia dolce metà, che di calcio non s‟interessa più di tanto se non quando mi deve bonariamente criticare, a seguirmi in quella trasferta. Per ragioni di portafoglio fummo costretti ad acquistare i posti vicini alla Curva Sud romanista, notoriamente una tra le più calde tra le tifoserie italiane, però mi dissi che non avremmo avuto problemi. Prima di partire mi premurai di non portarmi né sciarpe né tantomeno indossare colori che potessero in qualche modo far capire che ero tifoso juventino, non tanto perché non avessi voluto ma per portare al minimo il rischio di incontrare qualche testa calda. La giornata si preannunciava soleggiata e nonostante la radio annunciasse traffico nella zona dell‟Olimpico riuscimmo a trovare parcheggio e ci dirigemmo verso lo

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stadio. Di partite della Juve dal vivo ne avevo viste poche, sfortunatamente ma a quelle veramente importanti, escluse le trasferte per motivi di studio o di età, avevo sempre partecipato. E quella con la Roma era di sicuro una di quelle. Trovammo facilmente i posti e un po‟ intimoriti dallo stadio e dall‟atmosfera iniziammo a parlare tra noi. Una volta iniziata la partita Emilia non fece altro che raccomandarmi, più per timore che per altro forse, di non esultare o lasciarmi andare a insulti o gesti inconsulti durante la partita. Ma come avrei potuto ditemelo voi. Rivedere la mia squadra che giocava di nuovo nel massimo campionato, per di più contro la Roma. Feci come al solito mio naturalmente, sempre considerando il posto in cui mi trovavo. Io sono sempre stato dell‟avviso che se si riesce a parlare o discutere con calma allo stadio nulla mai può accadere. Durante l‟intervallo

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facemmo conoscenza con dei ragazzi romanisti che sedevano affianco a noi, scambiando battute sulla partita e parlando del più e del meno. Non so se capirono subito che io fossi lì per i bianconeri, ma me ne resi conto qualche minuto dopo quando uno di loro si fece sentire, gridando in maniera simpatica “Fori i juventini d‟a Curva sud”. Noi li guardammo e sorridemmo. Nonostante tutto e i piccoli crucci che avevo prima di andare, la giornata trascorse tranquilla e senza che avessimo avuto da ridire con qualcuno. Le giornate di campionato passavano e mi resi conto che quello che era accaduto alla mia squadra appariva come un lontano incubo dal quale ci eravamo risvegliati. Alla fine del campionato di B l‟allenatore era cambiato, Didier Deschamps, nonostante l‟avessi preso in simpatia e mi pareva potesse guidare la 97


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squadra nella massima serie, fu rimpiazzato da un allenatore con più esperienza, Claudio Ranieri, che però di primo acchito non mi sembrava da Juve, ma dovetti ricredermi man mano che il campionato andava avanti. L‟anno prima era riuscito a salvare un Parma che si avviava verso la retrocessione, e nel suo curriculum poteva vantare di aver allenato alcune delle squadre più forti degli ultimi anni quali il Valencia e il Chelsea. Sarà stato per gli anni passati tra serie C e serie B, saranno le grandi sfide tra l‟ultimo Platini e Maradona degli anni ‟80, sarà anche stato la voglia di riscatto di una città che in quel periodo non viveva certo una delle sue pagine migliori della sua storia, ma la sfida che si andava a delineare di lì a qualche settimana aveva dell‟epico. La sfida con i partenopei ha sempre avuto qualcosa di affascinate, ma mai come quell‟anno infatti quella partita 98


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aveva il senso della vera sfida tra due società così diverse tra loro. A mia memoria mai negli ultimi anni, cioè da quando si concluse la gloriosa storia della Società Sportiva Calcio Napoli con un catastrofico fallimento che portò alla costituzione di un nuovo Napoli partendo dalla serie C e anche andando indietro di qualche anno, la città aveva avuto una squadra così forte. Da tifoso di calcio e da juventino devo dare il merito ai dirigenti partenopei di aver saputo creare dal nulla questo” miracolo”, che ha saputo riconquistarsi l‟affetto dei tifosi e un posto che merita nell‟olimpo del calcio. Il progetto di rinascita è partito sicuramente dalla voglia del presidente De Laurentis di dare alla città una squadra che potesse meritarsi, gli acquisti di giocatori giovani e di promettente futuro fu la mossa più importante. Un giovane argentino di 23 anni che ha saputo con pochi tocchi

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conquistarsi la folla e assurgere a simbolo di questa rinascita mi fa ripensare al Maradona dei tempi andati che solo palleggiando al centro del campo seppe far brillare gli occhi ad una cittĂ intera. Senza indugi e prima che potessi vedere esauriti i tagliandi acquistai due posti in tribuna. La sera della partita, come di solito accade per le partite del Napoli, ci misi piĂš tempo per trovare parcheggio che per arrivare allo stadio da casa. Trovato il posto ci attendeva soltanto la partita. I posti non erano dei migliori, ma considerato lâ€&#x;evento andavano bene. Di fianco avevo la tribuna stampa e poco sotto di me i commentatori di Sky, tutto sommato avrei potuto seguirla a casa la partita ma sarebbe stata unâ€&#x;altra emozione, come ho detto prima certe partite bisogna viverle in diretta.

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Fin dall‟inizio la partita non prometteva bene. Il Napoli era più spavaldo del solito spinto anche dal proprio pubblico che, come un toro che vedeva il colore rosso, quando vedeva bianconero moltiplicava le forze per sostenere la propria squadra. Nonostante tutto riuscimmo ad avere un paio di buone occasioni con Palladino e Almiron, ma la partita della Juve quasi tutta lì. Il meglio e il peggio erano ancora di là da venire. Il secondo tempo si apre con il gol della Juve ed io tento di contenere la mia esultanza, ma non riesco. Pochi minuti dopo però il Napoli pareggia ed io pensai che sarebbe stato giusto così, un punto ciascuno e tutti a casa contenti. Come a Roma anche al San Paolo trovammo qualcuno con cui parlare affianco a noi. Discutemmo della partita e quando l‟arbitro iniziò il suo show concedendo un rigore inesistente a Lavezzi atterrato da un intervento, che dire

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pulito era poco, di Chiellini, data la nostra vicinanza ai monitor della tribuna stampa rivedemmo chiaramente che il fallo non esisteva neanche lontanamente. In quel momento capii che saremmo usciti dal San Paolo con una sconfitta, certezza che venne confermata dal rigore successivo, ancora una volta riveduto alla moviola accanto a noi. Zalayeta subisce una lieve trattenuta da Legrottaglie ma continua a giocare il pallone allargandoselo per evitare Buffon in uscita e compiendo un volo acrobatico al di sopra del nostro ultimo difensore ingannando lâ€&#x;arbitro che era a due passi. Altro rigore fantasma, non me ne vogliano i napoletani ma era cosĂŹ, e ancora una volta Domizzi spiazza Buffon, portando il risultato sul 3-1 e chiudendo, di fatto, la partita. Mi arresi senza protestare piĂš di tanto accettando il risultato bugiardo e presi la via delle scale per ritornare alla macchina quando, con

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mio sommo dispiacere, sentii qualcosa che in nessun altro stadio avevo mai sentito. Un grosso e grasso tifoso napoletano dileggiava la mia squadra e si chiedeva quanti fossero i tifosi juventini che stavano scendendo con “la capa calata” le scale in quel momento (non ripeto letteralmente quello che disse per non sembrare volgare e non far sembrare gli altri tifosi napoletani tali). Io ho sempre potuto sopportare gli insulti e tutti gli sfottò in quegli anni, simpatici o meno che fossero, ma, complice la partita appena conclusa e il mio evidente stato d‟animo dopo quella, mi girai e gli risposi per le rime chiedendo rispetto per me e per la mia squadra e chiedendogli di preoccuparsi della sua piuttosto che dileggiare i tifosi avversari. Con il braccio della mia ragazza che mi tirava per portarmi via, anch‟essa comprensibilmente turbata dal mio impulso, prima che potesse succedere

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dell‟altro, mi avviai verso l‟uscita dello stadio. Come mi disse anche mia sorella, complice di molti dibattiti a casa all‟ora di pranzo, non potevo di fare di tutta un‟erba un fascio per quello che mi era successo. Io non penso assolutamente che tutti i tifosi napoletani siano così, come credo che di quel tipo ne esistano certamente anche tra quelli bianconeri, ma durante la mia vita e da tifoso e da appassionato di sport, ho imparato, soprattutto quando le decisioni erano avverse, il rispetto per gli avversari anche nella sconfitta e non mi sarei mai sognato di comportarmi in quel modo. Sbollita la rabbia con una bella dormita l‟indomani mi avrebbe aspettato una dura giornata perché mia sorella non mi avrebbe dato tregua con gli sfottò. C‟è da dire che da quella partita in poi la rivalità e le discussioni tra me e mia sorella si fecero sempre più accese, essendo noi uguali per l‟intensità della fede sportiva

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che ci divideva, scatenando anche le ire dei miei dato che ci facciamo prendere un po‟ la mano. L‟anno trascorso probabilmente fu uno dei più belli, se non il più bello. I sentimenti nei confronti dell‟adorata Vecchia Signora erano cambiati da quando avevo iniziato a tifare, come in una storia d‟amore all‟inizio c‟è passione pura con il passare del tempo tutto si trasforma e si tramuta in un legame che va al di là dell‟aspetto estetico, nel caso di una squadra di calcio al di là dei giocatori che ne formano la rosa. Per un tifoso, l‟amore che si prova per la propria squadra del cuore certe volte è più forte anche di quello che si può provare verso la propria moglie, anche se qualche volta può deluderci o farci arrabbiare. Ma il fatto resta, come ebbe a dire un mio professore, l‟appartenenza a dei colori sportivi, siano essi calcistici o meno, non muta durante 105


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tutto lâ€&#x;arco di una vita differentemente da come potrebbe accadere con una compagna di vita o un partito politico, e in Italia ne sappiamo qualcosa di questâ€&#x;ultima ipotesi. Spiegare con parole semplici cosa si prova a essere tifoso della Juventus, come di qualsiasi altra squadra di calcio, non è assolutamente semplice. Posso solo dirvi che da quella volta che varcai la soglia della sede dei bianconeri o vidi per la prima volta una partita dal vivo mi sentii come se stessi baciando per la prima volta una persona che amavo, e quel brivido freddo lungo la schiena o la sensazione della mente che si svuota del tutto non mi lascia mai quando sento o vedo la mia squadra giocare.

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Postscritto

Con il passare delle settimane l‟amarezza per quella partita con il Napoli mi lasciò, anche se il lunedì successivo in ufficio non mancarono le prese in giro dei miei colleghi, specialmente dell‟Ingegnere. Quella che dopo la partita si andava profilando era forse la settimana più dura che la Juve andasse a incontrare in un periodo di crisi che durava da ormai diverse gare. Il Real Madrid in Champions League e il sabato successivo ci sarebbe stato il derby della Mole, partita che a Torino come nelle altre città che ospitano due squadre è particolarmente sentito e che rappresenta una “battaglia” che si ripete ogni volta per la supremazia 108


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sportiva della città. Quando ho iniziato questo libro di certo non credevo che mi avrebbe preso la voglia di continuarlo e di finirlo. L‟ho iniziato un pò per gioco, dovuto alla delusione di quel 18 ottobre. Ho passato le serate dopo il lavoro a cercare notizie e a scervellarmi su cosa scrivere, ma soprattutto su come mettere su carta le emozioni di questi diciotto anni di vita bianconera. Non m‟illudo di esserci riuscito appieno tanti sono i fatti e le emozioni che non ho potuto provare o che non sono stato in grado di tramutare in parole. I pensieri che avete trovato e letto sono spero siano riusciti a farvi comprendere anche in minima parte quello che si può provare a essere juventini, a comprendere cosa si è provato ad essere gli “avversari” delle proprie squadre. Una mia cara amica mi ha chiesto quale fosse il vero senso di questo libro, quale sarebbe la soluzione a questa solitudine. Le

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rispondo che la soluzione sarebbe il mio trasferimento a Torino ma credo che una volta lì le mie emozioni nei confronti della Signora non sarebbero le stesse. Il bello di vivere lontano da una persona che si ama è che quando la si rivede si prova un‟emozione speciale che ravviva sempre di più l‟unione dei due cuori. Ore 23.00 del 5 Novembre 2008, si è appena conclusa la partita più importante del nostro primo anno in Champions League dopo la serie B. Vedo Del Piero uscire dal Bernabeu con una standing ovation del pubblico madrileno dopo una partita memorabile, lui, che non aveva mai segnato in quello stadio, era riuscito addirittura a marcare due reti, e ci sarebbe anche stata la possibilità di una terza ma forse sarebbe stato troppo anche per lui. I giorni che seguono quella magica notte sono storia attuale.

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« [...] Perché la Juventus, dopo già un secolo di storia, è diventata una leggenda. Una leggenda che esorta il cielo di Torino e che ha finito per conquistare nove, dieci milioni di tifosi in Italia e, certo, altre tanti all'estero con un nome, una maglia di colori conosciuti in tutto il mondo. » Avvocato Gianni Agnelli

Campionati italiani Serie A: 29 Coppa Ali della Vittoria: 1 Coppe Italia: 9 Supercoppa italiana: 4 Coppa UEFA: 3 Coppa delle Coppe: 1 Coppa dei Campioni: 2 Supercoppa europea: 2 Coppa intercontinentale: 2 Tifosi: 170 milioni nel mondo

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