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Donne e conflitti armati /Editoriale

DONNE E CONFLITTI ARMATI

di Chiara Di Maria

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Questa edizione della rivista denuncia gli abusi dei diritti umani che le donne subiscono nei conflitti armati. Amnesty International è impegnata da anni in campagne che hanno l’obiettivo di porre fine alle uccisioni illegittime, alla tortura (inclusa la violenza sessuale) e ad altri abusi che devastano le vite di uomini, donne e bambini nei conflitti armati.

Oggi porremo l’attenzione sul duplice ruolo assunto dalle donne nei conflitti armati, ovvero, da un lato, il ruolo di vittime di situazioni di crisi nelle quali le donne, al pari del resto della popolazione, vengono attaccate con l’uso della violenza armata; dall’atro lato, il ruolo di parte attiva della società civile quali difensore dei diritti umani, voci di denuncia delle ingiustizie, proprio in contesti di forte allarme sociale come i conflitti armati e i territori di occupazione.

In generale, l’espressione “violenza sulle donne” indica qualsiasi atto di violenza basata sul genere che provochi danni o sofferenze fisici, sessuali o psicologici sulle donne e bambine. La violenza di genere comprende atti che sono diretti contro una donna in quanto tale, o che affliggono in modo sproporzionato le donne e si manifesta nelle diverse forme: della violenza in casa o in famiglia (come la violenza domestica, lo stupro coniugale e le condizioni assimilabili alla schiavitù); della violenza nella comunità (come la prostituzione coatta o i lavori forzati); della violenza perpetrata o condonata dallo Stato (come lo stupro da parte di funzionari statali, la tortura in custodia, la violenza da parte del

personale addetto ai controlli sull’immigrazione, e la stigmatizzazione); della violenza durante i conflitti, commessa sia dalle forze governative che dai gruppi armati (come gli attacchi ai civili, lo stupro e altre forme di violenza sessuale).

Come spesso accade in situazioni di emergenza e scarsa sicurezza, quali sono per definizioni le situazioni di crisi e di conflitti armati, secondo il primo profilo, le donne, come i bambini, in quanto soggetti per sé vulnerabili, pagano il prezzo più alto.

La violenza perpetrata sulle donne in aree di conflitto è considerata, quasi come a volerla minimizzare, un “effetto collaterale”, perpetrata dalle milizie che danno libero sfogo ai propri istinti più bassi liberati dalla violenza dei combattimenti, e consentita anche con un generale clima di impunità e da un’implicita accettazione di questi comportamenti come se fossero inevitabili. Gli eventi drammatici che hanno visto mettere in atto stupri di massa, organizzati e pianificati a tavolino come vere e proprie operazioni militari nel corso delle quali la violenza sulle donne è rientrata come elemento integrante di campagne di pulizia etnica, ci fanno capire, non soltanto che si tratta di veri e propri crimini di guerra, ma che ci troviamo davanti a vere e proprie armi di distruzione di massa.

Sono queste armi che, come le mine antipersona, rimangono innescate per decenni anche alla fine del conflitto: le donne porteranno sul loro corpo e nella loro mente per tutta la vita i segni della violenza subita, si troveranno a partorire i figli generati dal nemico, magari lo stesso che ha ucciso loro il marito, i figli o i genitori. Spesso queste donne devono poi subire un’altra violenza da parte delle loro comunità d’origine: una donna violentata è considerata impura, se non addirittura connivente o colpevole della violenza subita. Perciò molte vittime di stupro vengono ripudiate dal marito e dalla famiglia ed emarginate dalle loro comunità, diventando così vittime per una seconda volta e trascinando in questa spirale di esclusione e colpevolizzazione anche i figli nati a seguito della violenza.

Va sottolineato, inoltre, che la distruzione delle comunità, della terra, delle risorse e delle infrastrutture colpisce tutti. Ciononostante, a pagare il prezzo più alto sono le donne quando il loro ruolo all’interno della famiglia o della comunità implica la loro dipendenza nei confronti dei beni andati perduti. L’impatto sui diritti economici e sociali delle donne rappresenta, dunque, al tempo stesso una minaccia e una violenza nei loro confronti. Vivere i luoghi soggetti ad occupazione militare, quindi, costringe tutti i soggetti maggiormente vulnerabili ad una condizione estremamente precaria e ciò in quanto le questioni relative alla sicurezza confinano le donne, più degli uomini, a una dimensione chiusa, a una mobilità ridotta, e ad uno scarso accesso ai bisogni primari.

Il secondo profilo annunciato sottolinea come sempre di più negli ultimi anni ci siano donne difensore dei diritti umani, giocando un ruolo vitale prima, durante e dopo un conflitto. Informano la comunità internazionale sulle situazioni critiche incombenti, osservano la condotta delle ostilità, forniscono assistenza di emergenza e denunciano i crimini.

Le donne HRD però subiscono forme di violenza di genere, che si aggiungono agli attacchi che gli altri difensori dei diritti umani devono affrontare, compresa la violenza sessuale, le minacce, le molestie, le campagne diffamatorie legate al loro essere donne. Le donne che difendono i diritti umani, infatti, sono spesso prese di mira non solo per il loro attivismo, ma anche per il genere cui appartengono e le loro attività sono costantemente delegittimate e denigrate. Considerato, poi, che la retorica della guerra spesso invoca attitudini retrograde verso la sessualità delle donne, le attiviste per i diritti umani che concentrano le loro attività su tematiche quali l’orientamento sessuale o i diritti riproduttivi sono particolarmente a rischio di ostilità e violenza.

Per tali ragioni Amnesty International ha sempre chiesto e continua a chiedere agli attori internazionali, statali e anche indipendenti, un’assunzione di responsabilità per i crimini perpetrati con la punizione di chi li ha commessi; e chiedere di mettere in atto oltre che normative anche azioni politiche e di governo che tutelino i soggetti vulnerabili, tra cui anche le donne, i cui diritti umani sono maggiormente a rischio in situazione di conflitto.

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