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Le donne nei Caraibi: pochi diritti, molte violazioni /Isole Caraibiche

LE DONNE NEI CARAIBI: POCHI DIRITTI, MOLTE VIOLAZIONI

di Bruno Schivo

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Si è appena concluso a Lima, in Perù, l’Ottavo Summit delle Americhe, un consesso internazionale a cadenza triennale destinato alla promozione del dialogo fra le varie nazioni del nuovo continente. Il focus dell’organizzazione era proprio nella promozione coordinata nelle politiche continentali della difesa dei diritti umani, stante la drammatica situazione che si è venuta a creare soprattutto negli ultimi anni in conseguenza della crisi economica mondiale, che ha ulteriormente eroso le già scarse risorse deputate a garantire giustizia ed equità soprattutto alle categorie più deboli.

In questo scenario la protezione dei diritti delle donne nei paesi caraibici appare gravemente compromessa, quando non addirittura sotto scacco; in tutta la regione le discriminazioni e le ineguaglianze persistono ed anzi si accrescono, esacerbate dall’altissimo livello della violenza, favorito a sua volta dalla capillare diffusione delle armi illegali, della crescita delle organizzazioni criminali, ma anche dagli abusi delle forze armate, dalle politiche repressive e dalle sparizioni, nonché dalla pressochè totale impunità per gli autori, fattori che rendono la zona la più violenta al mondo per le donne. A ciò si aggiunge la nuova incalzante retorica apertamente discriminante, avversa ai rifugiati ed apertamente xenofobica perseguita pubblicamente in primis dal presidente U.S.A. Trump - ma non solo - che avalla sui media globali e nell’opinione pubblica una regressione anche nella tutela dei diritti femminili sempre più evidente, e fa da scudo a comportamenti ancor più apertamente repressivi.

Nei paesi caraibici, così come in gran parte dell’America latina, tutto ciò si traduce nella più alta percentuale di violenza contro le donne per mano di individui senza legami famigliari ed al secondo posto per violenza da parte del partner.

In generale in tutto il nuovo continente le popolazioni indigene sono spesso fatte oggetto di attacchi ed intimidazioni, facilitate dalla discriminazione storica della quale sono stati oggetto e dalle loro minori possibilità di accedere ai processi politico-decisonali. Ciò li rende particolarmente inermi rispetto alle iniziative di grandi multinazionali o di governi che hanno adottato politiche illegali di spostamento di intere popolazioni dal loro territorio nativo per consentire azioni di sfruttamento delle risorse. In altri casi le popolazioni non vengono interpellate in merito a decisioni che incidono pesantemente sull’ambiente nel quale vivono, e si trovano costrette a subire le conseguenze di decisioni prese senza considerare in alcun modo i loro legittimi interessi nonostante le obbligazioni contratte dalle varie nazioni proprio in merito ai diritti collettivi dei nativi. Il fulcro della loro lotta è quindi la tutela ed il controllo delle risorse naturali e del proprio territorio, nonché il mantenimento dell’identità culturale e delle tradizioni autoctone.

Specialmente a rischio risultano essere le donne native, spesso coraggiose esponenti nella lotta per i diritti e la giustizia in merito al controllo delle risorse naturali e dei propri territori tradizionali; per loro le conseguenze sono spesso ancora più gravi, in quanto oggetto anche di ulteriore discriminazione e specifica oppressione di genere.

In Nicaragua l’attivista Maria Luisa Acosta ha perso il marito, Francisco Garcia, come ritorsione per la sua attività in difesa dei diritti degli indigeni; la corte Interamericana dei diritti umani con una sentenza storica ha riconosciuto nel 2017 lo stato del Nicaragua come responsabile per la violazione di diritto di accesso alla giustizia e per la mancanza di indagini esaustive sull’omicidio, e per porre fine all’impunità dei colpevoli.

Scendendo nel dettaglio delle varie realtà regionali però il panorama si arricchisce di particolari e si fa ancora più preoccupante.

Nella Repubblica Dominicana il primo semestre del 2017 ha registrato un incremento del 21% del numero di femminicidi rispetto allo stesso periodo del 2016. Nel paese rimane drammatica ed anacronistica la situazione relativa al divieto assoluto di aborto in ogni situazione, previsto dal Codice Criminale esattamente così come era stato introdotto nel lontano 1884.

In Giamaica nella primavera del 2017 attiviste di movimenti femminili hanno pubblicamente manifestato nella capitale contro l’impunità nei casi di violenza sessuale, agevolate dalla legislazione che non tutela ad esempio la donna nel caso che lo stupro sia da ricondurre al marito, ma i motivi di preoccupazione per le donne nel paese sono purtroppo anche altri.

Nel 2014 il fratello di Shackelia Jackson, Nakiea, è stato ucciso dagli agenti in base ad una quantomeno sommaria somiglianza con un ricercato mentre cucinava, e per perseguire gli autori della brutale uccisione - una delle circa duemila operate dalle forze armate negli ultimi dieci anni - Shackelia si è battuta con grande determinazione, riunendo i famigliari di altre vittime decedute in circostanze simili, ed affrontando con coraggio anche le minacce dirette sia a lei che alla sua famiglia. La dimensione del problema diventa drammatica se si pensa che nel 2015 ben l’8% delle uccisioni perpetrate in Giamaica sono risultate ascrivibili all’operato delle forze armate.

Le preoccupazioni di Amnesty nel paese sono da ricondurre all’impunità delle forze di polizia, e per appoggiare la lotta di Shackelia e di tutti i difensori dei diritti umani in Giamaica Amnesty aveva lanciato un’azione lo scorso anno a gennaio.

Nella Repubblica di Haiti gli episodi di violenza sessuale contro donne e ragazze anche giovanissime sono largamente sottostimati; secondo le stime di Medici Senza Frontiere più della metà delle pazienti assistite dopo una violenza sessuale non è neppure maggiorenne.

Saniéce Petit Phat, coordinatore dell’associazione MOFALAK per la tutela delle donne e delle ragazze soggette a violenze, è stata pesantemente minacciata di morte a giugno del 2016 da un vicino; un anno dopo suo nipote, che vive con lei, è stato aggredito. L’incredibile motivazione fornita dall’aggressore, già accusato dalla moglie di violenza domestica, è che si sentiva minacciato dal lavoro dell’associazione. È stato arrestato su denuncia di Sanièce, ma rilasciato dopo pochi giorni senza una chiara motivazione. Anche per questa donna coraggiosa che continua la sua lotta al fianco delle donne abusate, e per tutti i difensori dei diritti ad Haiti, Amnesty aveva lanciato un’azione urgente.

Con il 19 aprile si è chiusa a Cuba l’epopea della famiglia Castro al potere, ma il nuovo presidente Miguel Diaz- Canel appena insediato non presenta alcun carattere di rottura o novità in quanto storico collaboratore della precedente leadership. In vista dell’avvicendamento tuttavia Amnesty, che non ha alcun accesso al Paese da quasi trent’anni, ha stilato un’agenda per i diritti umani, una vera e propria roadmap che focalizza le principali preoccupazioni in merito. Nell’isola ad esempio vengono sistematicamente perseguitate le Donne in Bianco, un gruppo che accoglie i familiari di prigionieri detenuti per motivi politici; fra i punti proposti nell’agenda figura anche la protezione della libertà di espressione e di associazione.

Nel mondo i difensori dei diritti umani sono conosciuti con l’acronimo HRD, e sono tutti coloro che si schierano in prima fila nella difesa di un’ampia gamma di diritti, come il diritto alla salute, all’educazione, al lavoro ed alla protezione sociale, ma anche alla giustizia, all’ambiente e per chiedere alle imprese di rispettare i diritti umani; l’acronimo WHRD si riferisce in particolare alle donne che difendono gli stessi diritti, ma anche a chi si occupa dei loro diritti.

Mai come oggi c’è da augurarsi che nei paesi caraibici le donne, WHRD per scelta e per necessità, riescano a far sentire la loro voce a tutela non solo della loro specificità, ma anche della giustizia e dell’equità per tutti.

Shackelia Jackson, HRD in Giamaica. © Privato

Maria Luisa Acosta, attivista in difesa dei diritti degli indigeni in Nicaragua - Ph.: radiouniversidad.uca.edu.ni

Saniéce Petit Phat, coordinatrice dell’associazione MOFALAK per la tutela delle donne e delle ragazze soggette a violenze. Repubblica di Haiti.

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