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Le nostre reazioni all’immigrazione /Sociologia

LE NOSTRE REAZIONI ALL’IMMIGRAZIONE

di Aristide Donadio

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“L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura”

M. Horkheimer, T. W. Adorno “Dialettica dell’illuminismo”

Cercare di fornire motivazioni etiche e spiegazioni razionali a quanti, dalle singole persone ai grandi raggruppamenti, mostrino atteggiamenti e condotte intolleranti o razziste, è inutile e può addirittura sortire effetti controproducenti, inducendo non certo dei ripensamenti, ma ulteriori difese come la costruzione di nuovi alibi.

Erich Fromm [1] sostiene che, per poter aggredire altri esseri umani, sono necessarie due condizioni: deumanizzarli e deresponsabilizzarsi. E’ necessario de-umanizzare le prossime vittime poiché, altrimenti, il percepirle come simili a sé indurrebbe inevitabilmente sentimenti di colpa con tutte le possibili conseguenze, come sintomi psico-somatici ed altro; per evitare l’innesco di percezioni sim- patiche va ridotta, se non annullata, la co-specificità, l’idea dell’appartenenza alla stessa specie, e, quindi, allo stesso destino. Per questo motivo Goebbels, responsabile della propaganda nazista, diffuse immagini di due figure, quella di una capra e quella di un ebreo, che lentamente convergevano, sino a indurre nel pubblico la conclusione della somiglianza fra i due e, quindi, della lontananza degli ebrei dalla specie umana. Allo stesso modo si evita di usare il termine, con tutti gli inevitabili rimandi che esso può avere, di -persone- quando ci si riferisce a quanti scappano da guerre, calamità o carestie, preferendo espressioni asettiche, neutre e giuridico-burocratiche come -clandestini-. La de-responsabilizzazione punta invece a ridurre o eliminare la percezione di sé come causa o fonte dell’atto distruttivo. Esempio tipico, almeno fino a non molti anni fa, veniva dato dalla presenza di tre diversi agenti di polizia penitenziaria, che premevano tre diversi pulsanti, ignorando quale dei tre effettivamente avrebbe dato la scossa letale al condannato a morte per sedia elettrica negli U.S.A. Allo stesso modo è possibile non sentirsi in colpa nel determinare il “reato di solidarietà” (favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, nda), come lo definisce Roberto Escobar [2] all’interno di ciò che Mimmo Lucano definisce il “decreto della disumanità” [3] (il decreto sicurezza, nda) che criminalizza e condanna chi chiede e chi offre aiuto, magari instillando dubbi sull’integrità di chi aiuta o sulle reali necessità di chi scappa, diffondendo immagini di immigrati sorridenti con telefonini a bordo di piscine, oppure convincendo l’opinione pubblica che gli stupri vedano protagonisti gli stessi immigrati, o che siano in corso delle vere e proprie ‘invasioni’ e che a rischio sia la nostra stessa civiltà, il tutto evitando accuratamente di indagare le cause profonde alla base di guerre, calamità e carestie.

Lo stesso Escobar [4] , docente di filosofia politica dell’Università di Milano, individua nell’affermazione del modello di società dell’homo oeconomicus, per cui non esiste società, relazione o solidarietà se non all’interno della famiglia, e nel dilagare del dogma neoliberista, che vuole il predominio dell’economia capitalista sulla politica, le cause profonde dello sviluppo d’una società totalmente anaffettiva, quindi svuotata di senso; ad analoghe conclusioni, del resto, erano giunti gli esponenti della Scuola di Francoforte [5] .

E’ necessario, per cogliere le cause profonde dell’intolleranza come di qualsiasi condotta distruttiva o asociale, armarsi di pazienza e tentare di cogliere la logica sottesa alle razionalizzazioni e intellettualizzazioni che, di volta in volta, vengono sviluppate per legittimare comportamenti manifestamente aggressivi.

In genere troviamo alla base di una condotta un atteggiamento che rappresenta un orientamento favorevole/sfavorevole verso cose, persone, situazioni. Ma l’atteggiamento è certamente qualcosa di più complesso e attiene al sistema di emozioni, credenze, nozioni che costituiscono parte integrante e fondante della personalità di ogni individuo.

Partiamo dalle emozioni. Molto dipende dalla primissime esperienze, dai vissuti che hanno agito da ‘imprinting’ negli atti iniziali della formazione della costituenda personalità, sin dalle prime sensazioni registrate in fase intrauterina. Erik Erikson individua, per ogni fase dello sviluppo psico-sociale dell’individuo, ciò che egli stesso definisce un ‘dilemma’, una sorta di posizione esistenziale in cui collocarsi nel delicato rapporto che l’individuo di volta in volta costruisce con la realtà interna ed esterna a sé. Il dilemma della prima fase, dalla nascita (ma certo molto proviene già da quanto vissuto dal feto nella vita intrauterina [6] ) e lungo tutto l’arco del primo anno di vita dell’individuo, viene denominato “fiducia-sfiducia”, posizioni che rappresentano i due poli estremi del continuum di “scelte” in cui trovare la propria collocazione. E’ come se, il feto, prima, e l’infante poi, si chiedesse: è possibile fidarsi dell’universo in cui fluttuo e che mi schiuderà altri campi esistenziali? E’ davvero possibile fidarsi, affidarsi, lasciarsi andare? Che relazione posso costruire con questo possibile prolungamento di me all’interno della diade madre-figlio? E quale incontro/ scontro potrò mai avere con questo primo esemplare di altro da me, che tanto determinerà nei rapporti che avrò con futuri ‘altri-da-me’, con questo -prototipo di Altro- che è mio padre?

A partire da questi primi significativi incontri, dalle costellazioni di rapporti ed esperienze e le relative plastiche rappresentazioni psichiche, l’individuo costruisce una sorta di mantra esistenziale che segnerà il senso da dare a se stesso ed all’altro-da-sé. Ciò che Bollnow [7] definisce ‘tonalità emotive’: ‘sonorità’ basse o alte che determineranno la sua visione del mondo, il livello di umore medio e il grado di apertura/chiusura verso il mondo intra/inter individuale. Queste tonalità emotive rappresentano l’humus da cui traggono origine tipologie di ragionamenti che, a ben vedere, non sono altro che razionalizzazioni a posteriori della tonalità emotiva di base. Tonalità bassa-depressione/ chiusura/paura costituiscono in tal modo il contraltare alla tonalità alta-gioia/ apertura/curiosità. Il livello di tonalità quindi precede i ragionamenti e li contrassegna, stabilendo persino la scelta di valori di riferimento: “Gli stati emotivi non solo determinano, ma costituiscono all’origine l’intenzionalità in quanto apertura che rivela l’essere nel mondo” [8] , ma anche: “il sentire è sempre intenzionale e dischiude il mondo dei valori [...] l’intelligenza degli atti emotivi consente alla coscienza di percepire le qualità di valore del mondo [...] il sentimento vitale (o tonalità affettiva, nda) non reagisce ma anticipa il valore di eventuali stimoli, rappresentando l’orizzonte di riferimento affettivo in cui vengono percepiti e nel quale si verificano i vissuti [...]” [9] . Quindi la qualità dei primi vissuti e dei primi incontri determina il tipo di ‘dilemma’ o di posizione esistenziale di cui ci parla Erikson ma anche, e consequenzialmente, la tonalità emotiva che ciascuno di noi inconsciamente adotta come ‘colonna sonora’ della propria esistenza: cupa e quindi in difesa da un mondo percepito come ostile e minaccioso, o luminosa e quindi protesa verso l’altro e il mondo in genere; i valori positivi o negativi da attribuire all’altro, diversi e migranti inclusi, non sono che il riflesso di questo retroterra. “Le tonalità emotive sono il substrato fondamentale di tutta la vita umana, la forma più semplice e originaria in cui la vita percepisce se stessa e diviene cosciente di sé, determina i modi di essere e con-essere che caratterizzano l’esperienza umana. Nella tonalità emotiva, l’esserci diventa autosentimento situazionale che prepara la consapevolezza chiara e distinta della riflessione. Dalla tonalità emotiva dipende la qualità con cui è percepita e rappresentata l’esistenza. [...] L’effetto rivelatore della felicità, a differenza dell’angoscia e delle altre tonalità tristi o depressive, apre alla contemplazione fiduciosa del mondo e degli altri e predispone all’esperienza della propria compiutezza e della perfezione della realtà. [...], per penetrare l’essenza intima delle persone e delle cose è dunque necessaria una disposizione calma e felice, che essendo sicura in se stessa ha anche la tranquillità (capacità, nda) di prendere le cose per ciò che sono.” [10]

Già nel 1939 Sartre afferma: “In ogni atteggiamento umano [...] ritroveremo il tutto della realtà umana poiché l’emozione è il tutto della realtà umana che si auto-assume e si ‘dirige commossa’ verso il mondo” [11] . Esiste, evidentemente, un’intelligenza delle emozioni, che è altra cosa rispetto all’intelligenza emotiva intesa come alfabetizzazione e controllo. Le emozioni hanno una propria grammatica che ha bisogno di essere riconosciuta e adoperata per potersi dispiegare e per poter liberare creatività costruttiva, energia vitale, essere al servizio dell’autorealizzazione e della generatività. Non riconoscere le emozioni significa non dare loro dignità e senso, negarle significa comprimerle, e deformare le nostre emozioni non può che comportare delle involuzioni, delle deviazioni pericolose per il nostro e altrui benessere. Le emozioni vanno ‘suonate’ e agite, solo in tal modo potremo ritrovare unità ed armonia, solo in tal modo sarà possibile perseguire la sanità in luogo della normalità.

Interessanti le analisi di Krishnananda [12] (Thomas Trobe) sul ruolo delle emozioni. Paura, vergogna, shock da trauma emotivo, ferite da abbandono e privazione risultano centrali, se non riconosciute ed elaborate, nella costruzione di corazze caratteriali e falsi Sé che, nel tempo, risultano impenetrabili. Le reazioni a questi vissuti negativi e le strategie che inconsciamente adoperiamo per evitare di imbatterci in essi, condizionano inevitabilmente la nostra vita, impedendo la costruzione di relazioni autentiche con noi stessi e con l’altro in generale: anche qui ritroviamo un passaggio fondamentale per la costruzione del desiderio dell’altro, quindi anche del diverso e del migrante. E’ infatti indispensabile, afferma Krishnananda, riappropriarsi del proprio Sé emotivo restituendo cittadinanza a paure e vergogne, agli shock emotivi subiti, alle sensazioni corporee, a sentimenti, impulsi e compulsioni, smontando schemi relazionali negativi, smettendo di censurare la nostra creatività, negando comportamenti di dipendenza e riconoscendo tutti quei condizionamenti che ci hanno allontanato dal salutare incontro con noi stessi e con la realtà circostante.

Le emozioni sono anche inevitabilmente legate e significate dalle tante rotture, lacerazioni e separazioni, lutti che costellano la nostra esistenza. “Al fondo di ogni vissuto sta una rottura. La vita è un incessante rompersi, anche se abitualmente inavvertito [...] Si mostra qui l’umanità originaria dell’emozione, la falda profonda di ogni emozione propriamente umana. Ci si trova, per essa, presi nella dinamica esistenziale [...] solamente nel patico si esiste”. [13] Il patico, afferma Masullo, è il ‘sentir-si’ che accompagna inevitabilmente ogni vissuto rendendolo un sentire mediante una rappresentazione mentale, la paticità è l’essenza intima di ogni vissuto, coscienza riflessiva autocentrata che qualifica il vissuto, prima ancora di diventare il linguistico -Io- e precedente alle sue determinazioni logico-concettuali. Masullo definisce questo modo di percepire e di percepirsi, di cogliere, anche emotivamente, ciò che mi accade, questo fenomeno della nostra coscienza, l’Arcisenso, qualcosa di difficilmente comunicabile all’esterno. All’autocentramento concorre anche ciò che Masullo definisce “la bruciante inquietudine dell’incontro con l’altro” [14] che sollecita, interpella, innesca un gioco di proiezioni e di vissuti simpatetici o antipatetici. Un incontro in cui ognuno anima del suo sé la percezione dell’altro e nel quale ognuno si sovradetermina individuando sé come l’io e l’altro come tu. Perché l’altro, nel nostro caso il migrante, sia vissuto come opportunità è allora necessario che vi siano adeguate tonalità di base ed un ambiente immediato che dia la stura alle naturali e innate tendenze pro-sociali, ludiche ed alla curiosità, altrimenti il rischio, tutto necrofilo, risiede nello sviluppo di pericolose cristallizzazioni esistenziali nella forma di egocentrismi ed etnocentrismi.

Ugo Morelli [15] parla di ‘terrore pacificato’, per indicare quella sorta di autocensura che inconsciamente molti si infliggono per scongiurare il rischio dell’isolamento e della condanna sociale. Ci si adegua a ciò che Fromm definiva ‘patologia della normalità’ evitando di agire e persino pensare in modo dissonante rispetto al pensiero dominante per non subirne le conseguenze. Una finta ‘pace sociale’ ottenuta grazie alle autocensure indotte dai condizionamenti sociali del pensiero unico dominante che fa ritenere che un altro mondo semplicemente non possa esistere. Il post-panopticismo di Bauman è la realtà in cui siamo immersi, per cui non è più necessario vi sia un controllo (solo) esteriore, quel controllo pervasivo di cui narra Foucault [16] , non abbiamo più bisogno di fattori correttivi esterni perché siamo manipolati alla nascita, i nostri stessi desideri, come dimostra Recalcati [17] , sono stati sostituiti da bisogni indotti e devitalizzati nella loro carica erotica da una società ormai senza più padre, è la stessa specie umana ad uscirne modificata, forse irrimediabilmente [18] .

Le credenze hanno a che fare con la cultura in cui si è immersi, con i suoi miti e le sue narrazioni. Fromm afferma che le famiglie costituiscono “l’agente psichico della società”, vale a dire il ripetitore naturale di valori e idee dominanti in una determinata società e in un dato periodo storico. La questione drammatica sta nel fatto che il ‘ripetitore’ quasi sempre è del tutto inconsapevole sia della sua funzione vitale che della reale natura e portata di valori e idee che trasmette, con effetti catastrofici sulle vite delle generazioni successive. Non esiste alcuna possibilità di una trasmissione consapevole e critica delle narrazioni dominanti, saltano inesorabilmente tutti i necessari filtri e fattori protettivi rispetto alle inevitabili contraddizioni che società sempre più complesse e anomiche presentano. Genitori sovraccarichi rispetto al venir meno del Welfare, alienati in lavori sempre più precari e frustranti all’interno di costellazioni familiari sempre più traballanti e implodenti, non possono essere all’altezza di un incarico così grave e denso come quello genitoriale e, sempre per riferisi a Fromm, ‘catene nevrotiche generazionali’, si espandono nel corso dei secoli, con effetti perversi nella determinazione delle cittadinanze e delle politiche sociali. Ma anche le nozioni, le informazioni, l’aspetto cognitivo, apparentemente neutrale, risultano viziate dalle considerazioni precedenti. L’euristica cognitiva, la nostra rappresentazione mentale del reale, si basa necessariamente su una serie impressionante di deformazioni e approssimazioni su quanto ci circonda. E non potrebbe essere diversamente, considerando la complessità delle società contemporanee e il numero impressionante di situazioni in cui siamo costretti a fornire valutazioni in tempo reale su quando ci accade intorno. Un serie di ‘si’/’no’ per una sorta di sistema binario in cui siamo costretti a muoverci. Delle vere e proprie scorciatoie cognitive che, inconsapevolmente, percorriamo e che segnano la qualità delle nostre scelte e della nostra stessa esistenza. A chi ci chiede se sia più ad est Napoli o Venezia non ci pensiamo due volte e rispondiamo ‘Venezia’, mentre Napoli si trova oltre 100 km più ad est di Venezia, perché la nostra euristica cognitiva ci conduce a dei ‘biases’, delle distorsioni o semplificazioni per cui, nella fattispecie, ci rappresentiamo mentalmente la Penisola perpendicolare rispetto all’Africa, mentre è situata diagonalmente. Sono ‘Biases’ anche gli stereotipi e i pregiudizi che tante volte condannano intere categorie di persone o persino intere etnie. La percezione sociale è figlia di queste distorsioni cognitive che, a loro volta s’inseriscono nell’alveo di Sé emotivi immaturi, di agenzie di socializzazione inadeguate o implose e di società necrofile. [19]

La manipolazione e il controllo politico-partitico dei media e delle istituzioni stabilisce quali informazioni debbano circolare e quali vadano censurate, telegiornali e agenzie di informazione omologate riferiscono le stesse veline uniformate mentre circolano su scala planetaria format identici di intrattenimento per un pubblico sempre più grossolano e incapace di scelte e consumi critici. Lo stesso pensiero definito ‘scientifico’ appare, ad un’attenta analisi [20] per nulla obiettivo ed affidabile, eppure televisione e scienziati godono della fiducia incondizionata della quasi totalità della popolazione. Persino le istituzioni formative pubbliche sono al servizio degli interessi economicopolitici e del pensiero unico e dell’ideologia iperliberista dominanti.

La deriva culturale attuale, che vede nella fuga da guerre e carestie dei migranti (non importa affatto se ‘economici’ o altro) in larga parte determinate proprio dalle politiche e dagli stili di vita occidentali, solo una minaccia o un pericolo, non è che uno dei tanti tristi esiti della situazione psicologica, sociale, politica e culturale sin qui appena tratteggiata. L’Occidente va trasformandosi in una miriade di piccoli fortini assediati il cui destino, nel lungo periodo, non potrà che essere lo stesso delle civiltà che non hanno saputo cogliere i segni del proprio declino ponendovi rimedio quando era ancora possibile farlo.

Aristide Donadio: Psicosociologo e docente di Scienze umane presso i licei

Ragazze etiope-israeliane con il volto dipinto a una manifestazione contro il razzismo e la discriminazione a Gerusalemme, Israele, nel 2012.

Israele 2012 © SEBASTIAN SCHEINER / AP Photo

Note:

[1] - cfr. E. Fromm, Anatomia delle distruttività umana, Mondadori, Milano, 1978

[2] - AA.VV, E’ stato il vento, Novanta, Roma, 2019, p. 144

[3] - op. cit., p. 138

[4] - cfr. R. Escobar, Il buono del mondo, le ragioni della solidarietà, Il Mulino, Bologna, 2018

[5] - cfr. E. Fromm, Psicanalisi della società contemporanea, Mondadori, Milano, 1995, ma anche, dello stesso autore “Avere o Essere?” e “Fuga dalla libertà”

[6] - Cfr. S. R. Petrosino, Donna e feto, Loffredo, Napoli, 1988

[7] - Cfr. O. F. Bollnow (1956), Le tonalità emotive, Vita e Pensiero, Milano, 2009

[8] - V. Costa, Vita emotiva e analisi trascendentale, in V. Melchiorre (a cura di), I luoghi del comprendere, Vita e Pensiero, Milano, 2000, p. 102

[9] - D. Bruzzone, cit. in O. F. Bollnow (1956), Le tonalità emotive, Vita e Pensiero, Milano, 2009, pp. XV-XXIV

[10] - D. Bruzzone, cit. in O. F. Bollnow (1956), Le tonalità emotive, Vita e Pensiero, Milano, 2009, pp. XXV-XXXI

[11] - J. Sarte, L’immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni, Bompiani, Milano, 2004, p. 163

[12] - cfr. Thomas Trobe (Krishnananda) e Gitte Demant Trobe (Amanda), A tu per tu con la paura, Feltrinelli, Milano, 2013

[13] - A. Masullo, L’Arcisenso, Macerata, Quodlibet, 2018, pp. 14,15

[14] - op. cit., p. 16

[15] - cfr. Ugo Morelli, Conflitto, Milano, Meltemi, 2006

[16] - cfr. Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 2014

[17] - cfr. Massimo Recalcati, Cosa resta del padre?, Milano, Cortina, 2017; idem, L’uomo senza inconscio, Milano, Cortina, 2010

[18] - Qualcosa di analogo ai ‘dispositivi governamentali’ di Agamben riferiti da Valeria Pinto nella sua opera ‘Valutare e punire’ o al ‘Poliziotto nella testa’ di Augusto Boal o, ancora, al concetto di ‘Fuga dalla libertà’, come dal titolo dell’opera, di Erich Fromm

[19] - Eric Fromm, Anatomia della distruttività umana, Milano, Mondadori, 1978 [20] - Horkheimer, La dialettica dell’illuminismo, cfr. pure P. K. Feyerabend, Contro il metodo, Milano, Feltrinelli, 2013

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