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Uomini in fuga /Approfondimento

UOMINI IN FUGA

di Giuseppe Provenza

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Quella in cui viviamo può essere legittimamente definita l’età delle migrazioni, 271 milioni di persone, secondo l’ONU, oggi vivono fuori dal proprio luogo d’origine, il 3,50% della popolazione mondiale. Certamente molto sia in termini assoluti che relativi.

Le migrazioni sono un fenomeno fisiologico che si è sempre verificato nella storia dell’umanità. Tuttavia le attuali dimensioni costituiscono un’anomalia che ha certamente cause ed effetti molteplici su cui molto si sta dibattendo sia per comprendere e cercare soluzioni, e quindi in termini positivi, sia per speculare, e quindi in termini negativi.

In realtà, dentro quello che spesso viene visto come un unico fenomeno, ne coesistono due che vanno osservati, valutati ed affrontati distintamente: nell’ambito di quei 271 milioni di persone rientrano sia i migranti economici, sia i rifugiati ed i richiedenti asilo.

I primi emigrano per scelta, sia pure spessissimo per scelta obbligata, per fuggire dalla povertà.

I secondi, i richiedenti asilo e coloro a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato, sono invece le persone che l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR) chiama i “forcibly displaced people”, letteralmente “persone forzatamente sfollate”. Queste persone, secondo l’UNHCR, al 19 giugno 2019 erano 70,8 milioni. [Fig. 1]

Fig. 1

fonte: https://www.unhcr.org/figures-at-a-glance.html

Un dato salta subito agli occhi: 41,3 milioni di persone costrette alla fuga, ossia il 58,3%, sono rimaste nel proprio paese (IDP: Internally Displaced People).

Si tratta di paesi con terrificanti guerre civili che costituiscono il motivo prevalente di fughe forzate, e di cui spesso l’opinione pubblica mondiale non ha sentore se non in occasione di qualche episodio clamoroso che coinvolge, spesso tragicamente, europei o americani.

Questi paesi sono la Colombia, con 7,7 milioni di sfollati interni, la Siria con oltre 6 milioni, la Repubblica Democratica del Congo con 4,4 milioni e l’Iraq con 2,6 milioni a cui si aggiungono, con circa due milioni di sfollati interni ciascuno, in Asia l’Afghanistan (1,8), e lo Yemen (2,0), in Africa il Sudan (2,0), il Sud Sudan (1,9), la Nigeria (1,7), e la Somalia (2,1), e in Europa l’Ucraina (1,8).

Queste tragedie, quindi, il più delle volte si consumano all’interno dei paesi di origine. Fanno eccezione i tre casi riportati nel grafico dell’UNHCR con grandi quantità di rifugiati all’estero: Siria con 6,7 milioni, Afghanistan, con 2,7 milioni, e Sud Sudan con 2.3 milioni, a cui va aggiunta la Somalia con 1 milione.

In totale coloro che sono fuggiti in altri paesi sono circa 29,4 milioni (25,9 milioni di rifugiati e 3,5 milioni di richiedenti asilo).

Verso quali paesi in prevalenza? La maggior parte delle persone in fuga si ferma in paesi vicini, il più delle volte confinanti con quelli di origine.

Dal grafico dell’UNHCR si rileva che i paesi che hanno ospitato il maggior numero di rifugiati sono:

La Turchia, con 3,7 milioni di rifugiati dalla Siria, il Pakistan, con 1,4 milioni dall’Afghanistan, l’Uganda, con 1,2 milioni da Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan, il Sudan, con 1,1 milioni dal Sud Sudan, la Germania, con 1,1 milioni da varie origini, a cui va aggiunto il Libano che con il suo milione di rifugiati dalla Siria costituisce un caso particolare in relazione alla propria popolazione di soli 4,5 milioni di persone. I rifugiati in Libano sono quindi oltre il 22% rispetto alla popolazione residente. Un profugo siriano ogni quattro libanesi!

In confronto a queste cifre, appare poca cosa il numero di rifugiati e richiedenti asilo in Italia. In atto l’Italia accoglie circa 170 mila rifugiati, a cui si aggiungono circa 150 mila richiedenti asilo. Una percentuale irrisoria, quindi, rispetto ai sei milioni di immigrati in Italia, quasi totalmente migranti economici.

Sempre restando nell’ambito della guerra, va sottolineato che una frequente causa di fuga è costituita dalla persecuzione religiosa che si manifesta il più delle volte sotto forma di guerra civile.

Le persecuzioni religiose sono una calamità presente in varie parti del mondo. Dalla Repubblica Democratica del Congo, dalla Repubblica Centro Africana, dalla Nigeria, dal Pakistan, centinaia di miglia di persone fuggono da persecuzioni religiose che mettono a repentaglio la loro vita.

La Repubblica Centrafricana, ex colonia francese, si trova in permanente stato di guerra civile dopo che nel 2013 il presidente Francois Bozize è stato rovesciato da un gruppo ribelle musulmano, denominato Seleka. Gli abusi di Seleka contro la popolazione cristiana hanno portato alla nascita di gruppi di autodifesa (anti-Balaka) che, a loro volta, si sono macchiati di violenze inaudite.

Di tale stato di cose riferisce il rapporto 2017-2018 di Amnesty International.

“Tra il 27 e il 30 giugno, almeno 22 persone sono morte quando forze anti-balaka hanno attaccato i quartieri a predominanza musulmana della città di Zemio.”

“Il 10 ottobre, almeno 25 persone sono state uccise in una moschea quando gli anti-balaka hanno attaccato la città di Kembe, nella provincia di Basse-Kotto.”

Guerra quindi fomentata o, probabilmente, mascherata dall’odio per motivi religiosi, da guerra religiosa. In questo caso si tratta dell’antico scontro fra cristiani e musulmani, in altri, come in Siria ed Yemen di guerra interna all’Islam, fra Sciiti e Sunniti.

A chi giovano le guerre? Certamente non alle popolazioni locali. Giovano ai pochi capi, o capetti, che riescono a far trionfare le proprie ambizioni di potere, ma giovano soprattutto a chi rifornisce questi gruppi, e le forze armate statali, di armi e munizioni, di mezzi di locomozione, di abbigliamento. Attrezzature certamente non prodotte localmente ma provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti, dove certamente non esiste alcun interesse a far cessare questo stato di cose.

Tuttavia le cause di fuga non si esauriscono nelle guerre variamente giustificate.

Da varie zone del mondo si fugge per le violenze nei confronti delle donne e l’imposizione di matrimoni forzati.

Si veda l’esempio della Nigeria.

In proposito sul rapporto Amnesty 2017-2018 si legge: “Donne e ragazze sfollate internamente nel nord-est del paese hanno denunciato di essere state vittime di episodi di violenza legata al genere, come stupri e forme di sfruttamento sessuale, spesso in cambio di cibo e altri beni di prima necessità, da parte di ufficiali militari e membri della task force civile congiunta.”

Da altri paesi si fugge anche per la persecuzione etnica. Un caso limite è rappresentato dal Myanmar, dove è da tempo in atto la persecuzione, da parte dello stato, delle popolazioni rohingya, come si legge in proposito sul rapporto Amnesty 2017-2018: “Lo stato di Rakhine è precipitato nella crisi quando le forze di sicurezza hanno scatenato una campagna di violenze contro la minoranza etnica rohingya a prevalenza musulmana, nella parte settentrionale dello stato, in risposta agli attacchi coordinati compiuti a fine agosto dal gruppo armato Esercito della salvezza dei rohingya di Arakan (Arakan Rohingya Salvation Army – Arsa), contro circa 30 posti di blocco.” I Rohingya fuggiti in Bangladesh si valuta siano circa 1,2 milioni.

Altra causa di fuga è l’omofobia.

Parecchi paesi, negli ultimi anni, hanno visto fuggire migliaia di persone LGBTI. Si tratta soprattutto del Brasile, della Nigeria, del Camerun, del Bangladesh, del Pakistan, della Cecenia, stato della Federazione Russa.

Caso emblematico di persecuzione di una persona LGBTI è stato quello della brasiliana Marielle Franco, difensora di emarginati ed LGBTI, tragicamente uccisa in un agguato nel marzo del 2018.

Marielle Franco, HRD e consigliera comunale, uccisa il 14 marzo 2018 nel centro di Rio de Janeiro, Brasile.

© MÍDIA NINJA

Riguardo alla persecuzione in Brasile di persone LGBTI, il rapporto 2017-2018 di Amnesty così si esprime: “Secondo il Bahia Gay Group, tra il 1° gennaio e il 20 settembre in Brasile sono state uccise 277 persone Lgbti, il numero più alto mai registrato da quando il gruppo aveva iniziato a raccogliere i dati nel 1980. Il 15 febbraio, Dandara dos Santos, una donna transgender, è stata percossa a morte nel quartiere di Bom Jardim, nella città di Fortaleza.”

Una persona su 100 nel mondo, dunque, è oggi in fuga per un motivo o per un altro.

Attrezzatura da cucina in campo profughi nel centro di Port au Prince (IDP Camp). Haiti, febbraio 2010

© CLAUDIAD/Foto stock/Getty Images

Se appare, ed è, elevata quella percentuale del 3,50% di persone che emigrano nel mondo, è mostruoso che fra queste un terzo circa fugga forzatamente per salvare la vita! Che l’1% dell’umanità oggi fugga, nel 21° secolo, in un’epoca che qualcuno, illudendosi, giudica civile è decisamente inaccettabile.

Eppure non si fa nulla di veramente efficace per modificare questo stato di cose, anzi si fermano e si respingono sia coloro che hanno fatto la scelta di migrare, sia coloro che questa scelta non l’hanno fatta ma sono in fuga per la salvezza della vita propria e dei familiari.

Eppure c’è chi specula e si arricchisce sulla pelle di quelle popolazioni in paesi ex colonie europee, mettendo in atto un vergognoso neo colonialismo, sfruttando economicamente e mantenendo condizioni di sottosviluppo sociale che permettono il divampare di guerre senza senso e di visioni ottuse della vita fondate sull’odio.

Come far uscire questi paesi da tali condizioni è l’interrogativo di tutti coloro, che per fortuna sono molti, che hanno a cuore la dignità inviolabile dell’essere umano.

Si professa l’autodeterminazione per sostenere che quei paesi debbano crescere da soli e non si debba far nulla per aiutarli. L’interrogativo che nasce spontaneo è se sia possibile che i paesi che oggi sono oppressi e depressi dalle ex potenze coloniali possano realmente liberarsi dalla speculazione di queste ultime, o se ciò sia invece impossibile finché il cambiamento non avvenga nel così detto mondo occidentale che finalmente intraprenda la strada di una reale civiltà basata sul rispetto della dignità di tutti gli uomini, ovunque si trovino.

Giuseppe Provenza: Membro del Comitato direttivo di Amnesty International Italia, Membro del Gruppo Amnesty Italia 233

Rifugiati rohingya si radunano nel campo profughi di Kutupalong in Bangladesh per commemorare il secondo anniversario della crisi del 2017 quando furono costretti a fuggire dalle loro case nello stato del Rakhine in Myanmar per sfuggire a una brutale persecuzione statale. I Rohingya fuggiti in Bangladesh si valuta siano circa 1,2 milioni.

KUTUPALONG, COX’S BAZAR, BANGLADESH. 25 agosto 2019 © K M ASAD/LightRocket/Getty Images

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