Dialogo - Paul Goodwin

Page 1



DIALOGO

PAUL GOODWIN nelle sale della GIPSOTECA GIULIO MONTEVERDE DI BISTAGNO a cura di Chiara A. Lanzi

CON LA TESTIMONIANZA FOTOGRAFICA DI ANDREA REPETTO


Dialogo: Paul Goodwin nelle sale della Gipsoteca Giulio Monteverde di Bistagno Catalogo dell’ esposizione Testi di Eugenio Alberti Schatz, Paul Goodwin, Chiara Lanzi e Elisabetta Longari Foto dell’allestimento Andrea Repetto Foto delle opere singole Paul Goodwin Foto “Tower” pagina 6 e locandina Mark Cooper Foto dell “Angelo Oneto” G. Mariotti Foto di Paul Goodwin Daniela Ramon Progetto grafico Paul Goodwin, Chiara A. Lanzi e Andrea Repetto

indice / contents:

Traduzioni e redazione testi Eugenio Alberti Schatz, Paul Goodwin Stampa; Pixart Printing Gipsoteca Giulio Monteverde Corso Carlo Testa 3, Bistagno (AL) 27 Giugno- 25 Ottobre 2015

Un ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito all’organizzazione della mostra, in particolare a / special thanks to: Anselmo Basso, Morgana Caffarelli e Simone Pera. Con il contributo di / with the support of

3.

Chiara A. Lanzi Un dialogo

6.

Elisabetta Longari Ascolto

52.

Eugenio Alberti Schatz Piccole profezie

54. Paul Goodwin A subliminal criminal 56. Traduzioni / translations 60. Paul Goodwin, principali esposizioni / selected exhibitions 62. Elenco delle opere esposte / list of works in exhibition


Chiara A. Lanzi Un dialogo Un dialogo, fatto ora di richiami, ora di contrasti, tra i gessi di Giulio Monteverde e la pittura di Paul Goodwin. La qualità quasi scultorea e tridimensionale delle masse pittoriche sui fondi in acciaio inox, così come la potenza del gesto e dei colori sulle tele dipinte possono rimarcare il vigore monumentale dei gessi, possono rifletterne le sofferte torsioni o, più semplicemente, trarre esaltazione dal contrasto con il loro candore o con la fragile consistenza della loro materia. Paul Goodwin è un pittore inglese dal curriculum internazionale che ha scelto di abitare nell’aspro territorio della Langa astigiana per vivere in maniera più completa, complessa e coinvolgente la propria esigenza di paesaggio, per percepirlo e dipingerlo in una costante ricerca di disvelamento e profondità, quasi lento e meditato scavo di masse sedimentarie per trovare un senso geologico alle sembianze dei tumuli della natura: queste colline, queste valli, questi fiumi, questi lentissimi spostamenti delle masse, dei vuoti, il basso profondo del tempo geologico, poi... un soprano battere da’li di una farfalla di notte nel mio studio... queste cose dipigono me. In queste premesse visive ed emotive si è determinato DIALOGO. Esposizione personale di Paul Goodwin nelle sale della Gipsoteca Giulio Monteverde di Bistagno, prima concretizzazione di un progetto con cui si intende dare una scossa di vitalità alle valenze storico-artistiche del museo, partendo dal presupposto che il patrimonio culturale – oltre alla messa in atto delle necessarie azioni di studio e ricerca rivolte al “passato” - necessita di specifiche attenzioni per renderlo fruibile adeguatamente al “presente”, di scelte capaci di attualizzarlo e attribuirgli significati nel quotidiano, di chiavi narrative e interpretative sempre rinnovate,

di forze che possano stimolare creatività e processi partecipativi e identitari. Con questo catalogo si intende serbare memoria del dialogo svoltosi nelle sale della Gipsoteca. E si è trovata, in questo caso, l’alleanza preziosa di una serie di scatti del fotografo Andrea Repetto che si è messo all’ascolto della conversazione immaginaria tra opere lontane fra loro per tempo, tecnica, forma e ragione di esistere. Repetto ha scoperto in questa esposizione il fascino di potersi perdere tra i vari elementi dell’allestimento arrivando in alcuni momenti - lo racconta lui stesso - a perdere il senso delle proporzioni e della delimitazione (fisica) del quadro stesso. E la domanda che si è posto spesso è stata la medesima: dove finisce il quadro? Dove non c’è più la tela, l’acciaio? Se così fosse, allora questa o quest’altra ombra non dovrebbero esistere, perché assieme alle forme ed ai colori del dipinto formano una nuova immagine… E i riflessi? Se mi sposto di mezzo metro, quel quadro mostra immagini differenti, nuove, con mia grande sorpresa… ma un quadro non dovrebbe essere statico? Invece scopro figure nuove, in movimento. È un continuo moltiplicarsi delle impressioni, che si contraddicono anche a seconda del percorso di visita seguito: ciò che sembra “all’andata” si rivela tutt’altro, invece, “al ritorno”, allo stesso modo iniziare ad osservare un’opera da un lato ed accorgersi di come cambia, quando lo sguardo si interrompe per seguire un altra possibile strada. Noi constatiamo che queste foto non sono semplice documentazione del dialogo avvenuto, ma un risultato nuovo, dotato di vita propria e, quindi, di ulteriore forza vitalizzante per il museo. E constatiamo anche che nell’accettazione di questo dono inatteso e fatale potrebbe essersi creato un “modello” da trasformare in metodo per trasmettere nuove e auspicabili esperienze di dialoghi futuri. 3


sinistra / left: sala 6 vista dell’allestimento / exhibition view destra / right: sala 5 vista dell’allestimento / exhibition view



Elisabetta Longari Ascolto La diversa attitudine degli artisti nei confronti degli “antichi maestri” e degli stili precedenti è certamente uno degli effetti collaterali più vistosi del pensiero postmoderno, anzi, si può dire che funzioni proprio come indicatore di alcuni cambiamenti sostanziali verificatisi nelle pratiche artistiche. L’ottica appare decisamente ribaltata se si considera quanto i moderni desiderassero una frattura con il passato e ne enfatizzassero la sottolineatura, come è particolarmente evidente nel caso dei Futuristi e dei Dadaisti, e quanto invece i nostri contemporanei vivano con grande disinvoltura il rapporto con la tradizione, che secondo Gustav Mahler “ è custodia del fuoco e non adorazione delle ceneri”, attingendo liberamente alla storia dell’arte, delle forme e delle immagini, come a un grande repertorio dispensatore tanto di spunti stilistici e iconografici quanto di riflessioni teoriche, senza inibizioni né di ordine spaziale né temporale. È interessante inoltre notare quanto spesso attualmente gli stessi artisti, non soltanto pratichino volentieri un diretto confronto di ordine concettuale con il passato, ma ricerchino propriamente un dialogo preciso anche sul piano espositivo, inserendosi in contesti fortemente connotati dal punto di vista storico. Un clamoroso e felice esempio tra tanti è quello della mostra di Jeff Koons al Castello di Versailles nel 2008, dalla memorabile intelligenza spaziale rivelatasi in modo spettacolare soprattutto nell’efficace strategia di occupazione dell’ambiente della Galleria degli specchi. Con le dovute differenze, anche la mostra di Goodwin alla Gipsoteca Monteverde di Bistagno si avvale di una sapiente dislocazione, che crea echi, fratture e punti di snodo complessi con i preziosi materiali ivi conservati. Le opere di Paul Goodwin poste in dialogo con i gessi di Giulio Monteverde, fanno un ottimo servizio in primis a se stesse, risultando potenziate dal confronto, oltre che ai gessi ivi raccolti, nei confronti dei quali 6

svolgono una funzione di “cassa armonica”. Dislocate sapientemente nello spazio, come contrappunti visivi, le superfici di Goodwin fronteggiano gruppi statuari dal movimento virtuoso, statue acefale in abiti ottocenteschi, teste e busti, questi ultimi conservati per lo più sotto teche che moltiplicano i giochi dei riflessi e degli sfondamenti introdotti dal supporto in acciaio della maggior parte dei lavori del pittore inglese. La maggior parte, non tutti, il gioco, infatti, è sensibilmente variato anche dalla diversa reattività dei supporti, l’opacità della tela, la traslucidità delle lastre metalliche. I segni, prevalentemente monocromi, che si accampano nello spazio delle superfici, a volte assecondano le sculture, di cui sembrano riprendere i gesti, altre volte invece paiono contrastarne peso e forma, contraddirle. Visitare la mostra significa assistere a una complessa orchestrazione di movimenti e contro-movimenti. La vivace alternanza di torsioni drammatiche e gesti distesi delle statue si riverbera nei tocchi cromatici di Goodwin, che possono richiamarsi a un particolare decorativo di una divisa di un personaggio storico effigiato dallo scultore o riprendere un drappeggio di una figura, come restituire la sagoma dell’ingombro totale di una scultura vicina, o invece mimare in modo minimale un uomo che cammina, motivo assai frequente nella storia dell’arte. In una sala un crocifisso si confronta con un insieme di cinque pannelli disposti a formare una croce che ospitano grumi monocromi avviluppati su se stessi in modo da assumere forme stilizzate che ricordano tanto dei teschi quanto dei pianeti in formazione. Le opere su superficie di acciaio ricercano per la natura stessa del supporto una relazione e un dialogo con l’ambiente, anzi, in questa disponibilità allo scambio consiste una delle loro principali caratteristiche che imprime un singolare vitalismo al lavoro. Le sculture di Monteverde riflesse nelle superfici d’acciaio, specchianti, ma non troppo, acquistano sangue e concretezza pur mantenendo la loro sottile eleganza o la loro eloquenza, insomma risultano potenziate



nelle proprie peculiarità invece che subire una smorzatura o addirittura un tradimento. Questo strano e felice connubio è largamente basato sugli opposti, su una sorta di necessità reciproca: la bidimensionalità della superficie mobile di Goodwin, la tridimensionalità squisita e articolata delle sculture; il colore compatto ma anche sfrangiato, memore del proprio percorso formativo sempre leggibile, applicato di getto dalla mano del pittore ottenendo risultati vicini all’estetica informale, la politezza delle forme candide delle sculture. Funziona, anzi irretisce lo spettatore in una fantasmagorica danza data dai gesti delle figure che si riflettono senza posa come un eco nelle opere di Goodwin, i cui segni sulla superficie specchiante svolgono un’azione direzionale, spesso dinamizzante, a volte invece sbarrano la strada al gioco, impongono un arresto.

Incanto / Hex (Milarepa) 2004 olio su acciaio inox / oil on stainless steel cm 134x128

8


Testa verde di pescatore che pensa / Green fishing head, thinking 2011 olio su acciaio inox / oil on stainless steel cm 115x128

9



destra / right: Hex (Milarepa) 2004 in sala 1 con riflesso dell’ autoritratto di Monteverde / Hex with reflections of self-portrait bust by Monteverde. sinistra / left: sala 1 con autoritratto di Monteverde e Hex / with Monteverde’s self-portrait. pagine seguenti / following pages: sinistra / left: Marsia Limone 3 (teschio) / Lemon Marsyas 3 (skull) 2003 (particolare / detail) destra / right: sala 1 con Marsia Limone 1 / with Lemon Marsyas 1 2003 olio su acciao inox / oil on steel cm 59x63





Torre / Tower (Milarepa) 2004 olio su acciao inox / oil on stainless steel cm 134x128 Foto Mark Cooper sinistra /left: sala 5 con / with Montagna rossa che si stringe / Clenched red mountain






destra / right: sala 5 Lo stagno di Narciso / Down boat dog star man 2009 acrilico su lino / acrylic on linen diam cm 140 pagina precedente / previous page: Piede di Bellini con Figura che si gira a metà passo / Bellini’s foot with Turn-stepping figure / 2009 acrilico su lino / acrylic on linen cm 130x110.

20




destra / right: La Torre di Mila / Milarepa’s Tower 2004 con gli angeli di Monteverde / with Monteverde’s angels sinistra / left: Imbarcazione su fondo rosso / Boat on a red ground (particolare / detail) 2011 acrilico su lino / acrylic on linen cm 76x73. (foto PG) Pagine seguenti: Gambe / Legs 2009 acrilico su lino / acrylic on linen cm130x110; Imbarcazione su fondo rosso / Boat on a red ground 2011 acrilico su lino / acrylic on linen cm 76x73; Barcaiolo / Boatman 2011, olio su alluminio / oil on aluminium cm 80x45





sinistra / left: La croce di Acca / Acca’s cross 2007 olio su acciao preverniciato ognuno dei 5 panelli / polyptych each panel cm 76x73. destra / right: Figura che si piega / Bending figure 2009, acrilico su lino / acrylic on linen cm 130x110



Cliff 2 2006 olio su alluminio, dittico / oil on aluminium, dittico / diptych cm 150x100,5. Il titolo ha un doppio senso: cliff come strapiombo, scogliera, ma anche come dedica al pittore americano Clyfford Still. The painting’s title has a double sense: cliff as in thing you fall off, also as a dedication to the american painter Clyfford Still. sinistra / left: Lo stesso Cliff, con Barca saggia che cammina / Boatwise-Wise Boat 2012 acrilico su lino / acrylic on linen cm 195x115. Affiancano elementi del monumento funerario per l’architetto Carlo Sada / they flank figures for the base of Monteverde’s monument to the architect Carlo Sada.






da sinistra a destra / in order across the 2 pages: Blue umber bricco 2007 olio su alluminio anodizzato / oil on anodised aluminium cm 15x50. Greengeld 2013 olio su acciaio inox lavorato / oil on worked stainless steel cm 150x50. New Large Ship / Departement pour Cythère 2011 with river rock, fotografato nello studio a Docks Dora, Torino (PG) Bormida materica 2012 olio su alluminio / oil on aluminium cm 150x50


35



Nave dei folli senza timone che sbatte disperatemente: vista da sotto / Wildly flapping, rudderless ship of fools: seen from below 2008 acrilico su lino / acrylic on linen cm 210x195


destra: Giuseppe Nervi che tocca la sua schiena / Giuseppe Nervi touching his back 2013 olio su acciao inox /oil on stainless steel cm 148x88x6. 38





sinistra: Soft grey sheep slide revisited 2006-2014 olio su alluminio / oil on aluminium cm 76x73 (foto PG) destra: sala 7 con / with Vittorio Emanuele II, Small green sitter 1996, Giuseppe Nervi e / and Giuseppe Saracco








Uomo che cammina forte con baggaglio di navi / Fast walking man with baggage of ships 2008 olio su alluminio / oil on aluminium cm 124x150.


50



Eugenio Alberti Schatz Piccole profezie Le vele dell’illusione Ci sono tanti fili rossi in questa magnifica mostra-mondo di Goodwin versus Monteverde. Provo a tirarne qualcuno. Innanzitutto il gesso. La gipsoteca è come l’archivio dei disegni di un pittore, solo più tridimensionale e più grande. Ci troviamo per incanto nello studio dell’artista. Il candore del materiale evoca le statue elleniche, che un tempo venivano replicate in caso di successo come faceva lo stesso Monteverde con alcuni suoi blockbuster. Ma il gesso è friabile, umano, provvisorio, non è marmo pario. Da alcuni tronconi e sbrecciature spuntano pezzi di ferro arrugginiti: l’armatura. Fili che dialogano – appunto – con le strutture filiformi e le imbastiture cromatiche di Goodwin sul bianco e sull’acciaio. Cercare di assegnare Goodwin al campo figurativo o a quello astratto è uno sforzo vano. Ci prendiamo però l’arbitrio di interpretare le sue forme in modo funzionale. Le forme umane in piedi o sedute, le barche se sono barche o simboli di barche, la scimmia, i pianeti, insomma tutto il bestiario di Goodwin dislocato nelle sale misteriose, sono capostipiti, essenza dell’idea di ciò che evocano. Insomma, idee platoniche a cui tendere in modo nobile per sfuggire all’inquinamento visivo e alla stanchezza di avere a che fare solo con simulacri e replicanti. Le tele d’acciaio, i grandi quadri che si slargano a perdita d’orizzonte in modo munificente, come New Large Ship with River Rock on Yellow Ground (che ricorda a chi scrive un personalissimo mito dell’infanzia, Ra, la barca di papiri del norvegese Thor Heyerdahl copiata dagli antichi egizi) possono essere calchi virtuali in attesa di diventare sculture? Certamente particolarità dei segni e delle galassie di colore di Goodwin stesi sul bianco o sul neutro è la tensione a sganciarsi dalla bidimensionalità, a diventare oggetti in movimento nello spazio e realtà immersive. Quindi, il dialogo è autentico. Bello quando non ci sono le folle a vedere i piccoli musei, perché ti vengono ogni sorta di pensieri. “Cut casts. Il 52

gesso/calco tagliato che scopre la struttura, le ossa crude costruttiviste sotto la pelle dell’illusione.” Le navi dei folli Camminare fra i personaggi silenziosi di Monteverde è come camminare su un cornicione che si sporge sulla follia. Dante Gabriel Rossetti, Arnold Böcklin e altri simbolisti hanno rappresentato le tensioni dell’inconscio in modo indiretto, come se raccontassero la crisi un attimo prima della sua esplosione. Dietro la quiete gessosa si respira inquietudine. Una corda di violino prima di autorecidersi. Una freccia prima di essere sganciata. È l’inquietudine del crepuscolarismo che diventerà poi, all’alba di un secolo tragico, la premonizione della Belle Époque. Proprio le immagini e le espressioni più celestiali, alla luce delle tragedie che incombevano, ci trasmettono oggi il senso di una rimozione. Non fatevi ingannare da quei gessi, da quelle sculture belle e perfette: sono anacronistiche non perché guardano al passato attraverso il frullatore dell’eclettismo, ma perché si tappano le orecchie al suono dei tamburi della catastrofe. Ho un pensiero distopico e provo a girare la clessidra: e se Monteverde, a una riunione del Senato o sul ponte di un transatlantico o in un cimitero in cui stava eseguendo una commissione, si fosse immaginato il futuro, lontano dalla piccola scena umbertina, dalla nazione nascente ma già claudicante per gli scandali, in un futuro di robot e servi meccanici, come avrebbe visto l’arte? Sarebbe riuscito a immaginare che gli artisti un giorno si sarebbero distaccati dal reale come da una pellicola inutile? Avrebbe potuto immaginare che dei suoi gessi in un museo si facesse quinte per dialogare con pitture su acciaio? Non è qui per rispondere. Ma l’arte è più spesso di quanto si creda profezia. La sala giochi Non mi è sfuggita una leggera nube di ironia che pare aleggiare e spostarsi da una sala all’altra. Monteverde, che si vestiva


da artista rinascimentale con tanto di berretto mediceo per la gioia delle mecenati americane e che non seppe resistere alle tentazione di una carriera politica dopo quella economica, aveva interpretato il gusto della borghesia a Roma, a Genova, e oltre Atlantico a Buenos Aires e New York. Il gesso ha un suo côté ironico fisiologico: è parodia del marmo, è friabile, deperibile, sporchevole. Arrivato all’ultima sala, l’imponente re a cavallo, forse dovrei dire il Barone di Münchhausen, che nonostante l’imbragatura di legno precipita inesorabilmente nello stagno della storia, mi ha strappato un sorriso. Così raggruppo le figure di gesso che ho visto in tre tipologie: lavoratori, senatori e angeli. Da dove veniamo, dove vogliamo andare, e di chi abbiamo bisogno per non cadere strada facendo. Sorrido anche perché nell’eclettismo di Monteverde i lavoratori passano dal verismo al realismo socialista. Anche nel lavoro di Goodwin c’è un tocco ironico, di cui si è detto poco, mi pare. Io lo percepisco nitidamente. Queste figure giacomettiane pronte a staccarsi dal fondo e lasciarti di gesso al motto Alzati e cammina non sono affatto depresse, sono piuttosto impertinenti. I loro colori sono l’espressione di un’opposizione intelligente e allegra agli attacchi feroci della vita. E si trovano a loro agio dappertutto. Anche di fronte al dog sitter di un ambasciatore indiano. In queste sale, sempre che si trovi un nuovo Peter Sellers, potremmo tranquillamente girare il remake di Hollywood Party. È la regola del crossing, ossia del dialogo fra tempi e stili diversi: ogni scherzo vale.

risonanze ai volumi (spazi negativi?) delle valli dell’Alta Langa, ai movimenti lentissimi delle colline in tempo geologico. Come un’eco in retromarcia. O meglio, come un nodo. O meglio ancora, come una membrana fra le due direzioni o dimensioni tempo e spazio.” Peter Foster ha colto nel segno quando scrive: “For Goodwin, feeling for nature becomes an abstract form-sign. Goodwin is not standing in front of a landscape, to assimilate it into his art. Rather he finds himself in Landscape, dwells within her and from that position digests the manifold impressions from his journeys.” Non ammira il paesaggio ma lo assorbe. Così come ha assorbito con esiti sorprendenti lo spazio e le creature di gesso del maestro bistagnino. “I love being in the world and I try to celebrate that.” L’attitudine giusta è entrare dentro, non rimanere di fronte. (Tutti i virgolettati nel testo sono di Paul Goodwin, tranne la citazione di Peter Forster.)

Eco in retromarcia Alla fine non è però l’ironia il sentimento saliente di DIALOGO. Piuttosto un’avvolgente senso di decantazione del paesaggio, venato di una dolce e sottile malinconia. La dolce malinconia del Piemonte, delle sue tante (abbiamo scoperto) gipsoteche, di Pavese e dei vitigni antichi. Chissà se è corretto definire Goodwin un paesaggista interiore. “I miei concentrati/concentrazioni – grumi – (lumps, clumps, concentrates) su accaio sono nati come risposte, 53


Paul Goodwin A subliminal criminal A subliminal criminal lurks elephantine in each sala: the pachyderm in the room Theatrical, anecdotal, narrative Memorial, traditional, celebrative Referential, objective, objectual Contentual. All the above are dirty words to purist analytical painting. I like them… though I like analytical painting too. And then… Infuse, confuse, fusional, fuse Confound, found, foundry Inform, transform, transition Transubstansiate, sublimate Skin, blood, meat, matter, substance.. Substantial idea… Unique act Lime, sublime. Gesso. Liken, lichen. Grows on you. I started placing paintings in the gipsoteca on a purely visual, sensual basis. Colour, steel, gesso. Transparent, opaque. The formal occupation of space. Choosing paintings I already had, from my own collection that just seemed right, sang or made sing the figure-inhabited spaces of the gipsoteca. I could have set out to conjure new and site-specific work, perhaps relating to the fascinating x-ray photos I’d seen of the interior structure of the gessi. Time and circumstances would not permit; the call of the gesso-steel-colour relationship was so strong anyway.

54

Hanging, though, some rough thematics, narratives almost, began to emerge and make a certain sense. Old touchstones in my work began to resonate with not only the form but different layers of content in that of Monteverde: and not just the allegorical and symbolic personal pieces, but the memorial and celebrative commissions too. Transformation and transition. For me… the flayed body of Marsyas, painted skin membrane between art and nature, non-aspiration challenged, punished, eternalised. Titian. The tower of Milarepa, on the instructions of his master repeatedly built, destroyed and then painstakingly rebuilt. The ship, floating container of thought. Wise boat. Boat-wise. The foolish boat, der narrenschiff adrift to nowhere, departed for Cythera from Watteau’s fètes champètres. The figure: walking, doing. Image and icon… materialised thought. Art, the articulated material thought. My “work” is what art is. In the end only about itself. But materialised thanks to a lot else. My “marks” may seem to some “informale”. For me they are, rather, “informed”. In the dual sense of “infused with form” and informed as an articulation of painting distilled from my experiences and awareness of its past, Tradition, but equally, perhaps primarily, by Nature. I am it, I live in it: These hills and valleys of the Alta Langa, these slow shifts of mass and space, the deep bass-line of geological time… and then the wing-beat of a moth in my studio at night… these things paint me. BUT....I am a picture-maker. I make Pictures. I like pictures, I look at pictures. Pictures look at me. “Looking-like” is another country.


One of the first things that excited me about realising this exhibition was the idea of making a picture and being in one at the same time. A three-dimensional one and a narrative one. All those dirty words for painting which is not “analytical”, “nonobjective”, all those eminent things about angels dancing on pin-heads till the cows came home (and the heirs of certain noisy balding green mountains went to bed)....I actually rather like. I suppose the word “theatrical” can’t quite be avoided, either. In a recorded conversation with a friend painter who hates the theatre and the theatrical I tried to explain –for myself, probably- what I meant by enjoying a sense of theatre somewhere in the existential smell of painting. It is not that artifice, that scenografia, set-up stage design so (self?) evident in a Watteau or a Bacon. I think it is this: the moment of making that mark is performance… but not recitation… it is a unique act (though even that term, too, has become history, smeared to a gone-sense term, like action painting or the informale). As is precisely and still the making of these sculptures, the original gessi, before they were “likened” by casting in bronze or copying in marble for the world at large. In the moment is the distillation of all that other stuff, the everything else which is what made the what. And here stories do lie.

55


Chiara A. Lanzi, A dialogue A dialogue, made sometimes from echoes, sometimes from contrasts, between Monteverde’s gessi and Paul Goodwin’s painting. The almost sculptural quality of the coloured mass on a stainless steel ground, as indeed the power of gesture and coloured line on canvas, can work to emphasise the monumental vigour of the gessi, may reflect their deeply felt torsion, or, more simply, derive exaltation in contrasting their candour, or the fragile consistency of the material. Paul Goodwin is an english painter of international reputation who has chosen to live in the harsh territory of the Alta Langa Astgiana in order to experience in a more complete, complex and involved manner his own need for landscape: to perceive it and to paint it, in a constant search for disclosure and depth, a slow and meditative digging into sedimentary rock, to find geological sense in the outward appearance of nature’s tumuli: these hills and valleys, these slow shifts of mass and space, the deep bass-line of geological time… and then the wing-beat of a moth in my studio at night… these things paint me.

We ascertain that these photographs are not just a documentation of the dialogue which has taken place, but a new element, with its own life, and hence bestowing further vital strength to the museum. And we ascertain too, that accepting this unexpected and fateful gift a “model” has been created which may become method: in the transmission of new and hoped for experiences in future dialogues.

DIALOGO has come about in this felt, visual context. A one person exhibition by Paul Goodwin in the halls of the Gipsoteca Giulio Monteverde di Bistagno, the first realisation of a project intended to give a lively jolt to the historical and artistic valency of the museum, setting out from the assumption that cultural heritage – beyond the necessary activities of study and research of “the past” – requires a particular attention in order for it to be adequately enjoyed in the present, choices capable of bringing it up to date and giving it meaning today, of continually renewed narrative and interpretative keys, of a strength to stimulate creativity and a feeling of participation and identity.

The changed attitude of artists towards the “old masters” and preceding styles is surely one of the most noticeable side effects of postmodern thought; one might indeed say it functions precisely as a pointer to certain fundamental changes which have taken place in artistic practice. The viewpoint seems to have been actually reversed if one considers how much the moderns craved a complete break with the past and doubly declared this, most obviously in the case of the futurists and dadaists, and the extent to which by comparison our contemporaries have a very comfortable relationship with tradition; that tradition which for Gustav Mahler “is the guardianship of fire, not the adoration of ashes”, and draws freely on the history of art, forms and images as a great dispensary reserve: as much for stylistic and iconographic cues as for theoretical reflections, with no inhibitions as to either temporal or spatial order. It is interesting to further note how often at the present time the artists themselves not only willingly practice direct conceptual comparison with the past but actually seek a specific dialogue on an expository level, placing themselves in what are, from a historical point of view, extremely determined contexts. One clamorous but successful example amongst others was Jeff Koons’ exhibition at the Chateau de Versailles in 2008, in which a memorable spatial intelligence revealed itself in spectacular fashion, most particularly in the strategically effective occupation of the Gallery of Mirrors. With all due difference, Goodwin’s exhibition at the Gipsoteca Giulio Monteverde also carries out a masterly dislocation, creating echoes, fractures and complex points

With this catalogue we intend to keep safe a memory of the dialogue which took place in the halls of the gipsoteca; and we have found ourselves in precious alliance here with a series of photographs taken by Andrea Repetto, who set himself to listen to the imaginary conversation between works far from each other in terms of time, technique, form and reason for being. In this exhibition Repetto discovered the fascination of losing himself amongst the different elements its staging, getting at times – in his own words – to the point of losing all sense of the proportions and physical limits of the painting itself. And the question he often asked himself was the same: where does the picture end? Where there is no more canvas or steel? If it were really like that, then this or that shadow should not exist, because together with the forms and the colours of the painting they create another image…. And the reflections? If I change

56

position by only a foot or so to left or right that picture shows new, different images, to my great surprise….should a picture not remain static? Instead I find new figures, in movement. There is a continuous multiplication of impressions, contradicting themselves even according to the route chosen by the visitor: what seems to be the case “going” turns out to be quite other “coming back”, in the same way as starting to observe a work from one point of view and then realising how it changes when the gaze shifts to follow another path.

Elisabetta Longari Listen


of articulation with the precious material conserved here. Goodwin’s pieces placed in dialogue with Monteverde’s gessi first of all do themselves excellent service, emerging empowered by the confrontation, but as does the collection itself, with the paintings working as a kind of sounding board for the individual sculptures. Intelligently placed within the space, as a visual counterpoint, Goodwin’s surfaces come face to face with statuary groups of virtuoso animation , acephalous statues in 19th century dress, heads and busts, some of the latter in glass cases which multiply the play of reflections and depths already set off by the steel supports employed in a large part of the english painter’s work here. Most but not all: the play is in fact sensitively varied by the differing reactivities of the supports, the opacity of canvas and the translucence of metal sheet. The mainly monocromatic marks that set up camp in the space of the surface fields at times back up the sculptures, seeming to follow their gestures, at others apparently contradict them, contrasting weight and form. To visit the exhibition means to take part in a complex orchestration of movement and counter-movement. The statues’ lively alternation of dramatic torsion and extended gesture reverberates in Goodwin’s chromatic touchings, which may at times speak to a detail in the uniform of a historic personage portrayed by the sculptor, take up from a figure’s drapery to restore outline to the overwhelming mass of a nearby sculpture or in a minimal way mime a man walking, a recurrent motif in the history of art. In one sala a crucifixion sees itself mirrored by a poliptych of five panels assembled in the form of a cross, each hosting a lump-mass so involuted as to take on stylised form suggestive as much of skulls as planets in formation. The paintings on steel surfaces, by the very nature of the support, seek dialogue and relationship with their surroundings, indeed, this willingness for exchange is one of the principal characteristics which bestow upon the work its singular vitality. Monteverde’s sculptures, reflected in the steel surfaces, mirrored but not too much, acquire blood and concreteness while retaining their slim elegance, or eloquence and above all come out strengthened in their own peculiarity, not at all toned down, let alone betrayed. This strange and successful marriage is largely founded on opposites, a kind of reciprocal need: the two-dimensionality of Goodwin’s shifting surface, the exquisite and articulated three-dimensionality of the sculptures; the compact but frayed masses of paint, bearing the always leggible traces of their own coming into being, gesturally applied with results close to an informal aesthetic: the polish of the sculptures’ candid forms. It works to entrap the viewer in a phantasmagoric dance given by the figures gestures restlessly reflected, like echoes, in Goodwin’s paintings, the shapes on whose reflective surfaces perform a directional function: often continuing to dynamically unfurl, but

then at times blocking the road, to call a halt. Eugenio Alberti Schatz Small prophecies Veils of illusion There are a lot of red threads in this magnificent world-exhibition of Goodwin versus Monteverde. I’ll try to tease some of them out. In the first place the gesso. The gipsoteca is like a painter’s drawing archive, only more three-dimensional and bigger. As if by magic we find ourselves in the artist’s studio. The material’s candour evokes those hellenistic statues which were at one time replicated in the case of success, as did Monteverde himself with several of his blockbusters. But gesso is friable, human, provisory, it is not Parian marble. From certain stumps and chipped edges protrude pieces of rusty iron: the armature. Threads which hold a dialogue – precisely – with Goodwin’s filiform structures and chromatic bastings on white and on steel. To attempt to assign Goodwin to the figurative or the abstract camp would be a wasted effort. We shall however take the liberty of interpreting his forms in a functional way. The standing or seated human figures, the boats, be they boats or boat-symbols, the ape, the planets, in a word the whole of Goodwin’s bestiary deployed in the mysterious sale are the original ancestors, essence of the idea they evoke. Platonic ideas, in short, to be bowed to in a noble way, fleeing the visual pollution and the weariness of having to deal only with simulacrums and replicants. The steel pieces and the large paintings which stretch out munificently beyond the horizon, such as New Large Ship – Departement pour Cythère, (which for this writer recalls a personal childhood myth, Ra, the papyrus boat built by the norwegian, Thor Heyerdahl, copied from the ancient egyptians) might they not be virtual moulds waiting to become sculptures? Certainly the peculiarity of Goodwin’s sign-symbols and coloured galaxies spread out on the white or neutral ground lies in the tension of cutting loose from two-dimensionality to become objects moving in submersive space and reality. Hence, the dialogue is authentic. Visiting small museums is nice because not having the crowds, all kinds of thoughts come to you. “Cut casts. The sliced gesso/mould revealing the structure, the raw constructivist bones beneath the skin of illusion.” Ships of fools Walking amongst the silent figures of Monteverde is like walking a ledge leaning out over madness. Dante Gabriel Rossetti, Arnold Böcklin and other symbolists have represented the tension of the unconscious in an indirect way, as if recounting the crisis a moment before it’s explosion. Behind the plaster scenery one breathes apprehension. A violin string before cutting itself. An arrow just before being released. It is the apprehension of the twilight-ism which will then become, in the dawn of a tragic century, the premonition of the Belle Epoque. Precisely the most

57


heavenly images and expressions, in the light of the looming tragedies, today transmit to us a sense of removal. Don’t let these gessi, those beautiful, perfect sculptures fool you: they are anachronistic not because they gaze at the past through the mixerblender of eclecticism, but because they block their ears to the drums of catastrophe. I have a distopian thought and try to upturn the hour-glass: and if Monteverde, in a senate meeting or on the deck of a transatlantic liner, in a cemetery where he was working on a commission, should have imagined the future, far from the little Umbertian set-piece, from the dawning nation already limping from its scandals, in a future of robots and mechanical slaves, how would he have seen art? Could he have imagined that the artists would one day have detached themselves from the real as if it were a useless skin? Might he have been able to imagine his gessi in a museum made into backdrops for a dialogue with paintings on steel? He is not here to answer. But art is thicker than prophecy believes itself to be. The games room A slight cloud of irony which seems to blow softly from room to room has not escaped me. Monteverde, who dressed as a renaissance artist with much Medici hat to the joy of American merchant princes, who could not resist the temptations of a political career after an economic one, played to the tastes of the bourgeoisie in Rome, Genoa and the other side of the Atlantic, in Buenos Aires and New York. Gesso has a physiologically ironic side to it: it is a parody of marble, it is crumbly, perishable and dirty. Getting to the last sala, the imposing king on horseback, perhaps I should say Baron Münchhausen, who, wooden safety harness notwithstanding falls inexorably into the pond of history, I could not help a smile. I group the gesso figures I have seen into three typologies: workers, senators and angels. Where we come from, where we’d like to go and who we need on the way to make sure we don’t fall over. I smile also because in Monteverde’s eclecticism the workers go from verism to socialist realism. There is an ironic touch in Goodwin’s work too, of which not so much is said, it seems to me. I perceive it clearly. These Giacomettian figures ready to jump off their grounds and leave you in plaster with the maxim get up and walk are by no means depressed, they are impertinent rather. Their colours are the expression of an intelligent and happy opposition to life’s ferocious attacks. They are at their ease anywhere. Even in front of an Indian ambassador’s dog-sitter. In these rooms, as long as we find another Peter Sellers, we could easily shoot a remake of Hollywood Party. It is the rule of crossing, or the dialogue between different times and styles: every joke is valid. Echo in reverse In the end though, irony is not indeed the salient feeling of DIALOGO. Rather, it is an enveloping sense of decanted landscape, veined with a sweet and subtle melancholy. The sweet melancholy of Piemonte, it’s many (as we have

58

discovered) gipsotecas, of Pavese and antique vines. Who knows if it’s right to define Goodwin as an interior landscape artist. “My lumps, clumps, and concentrates on steel start off as replies to, as resonance with the volumes (negative spaces?) of the valleys of the Alta Langa, the very slow movement of the hills in geological time. Like an echo in reverse. Or better, a knot. Or better still, a membrane between the two directions, or dimensions of time and space.” Peter Forster hit the mark when he wrote “For Goodwin, feeling for nature becomes an abstract form-sign. Goodwin is not standing in front of a landscape to assimilate it into his art. Rather he finds himself in Landscape, dwells within her and from that position digests the manifold impressions from his journeys” He does not admire landscape, he absorbs it. Just as he has absorbed, with surprising results, the spaces and the gesso creatures of the Bistagno-born master. “I love being in the world, and I try to celebrate that.” The right attitude is to get inside, not stay out in front. (All quotations in the text are from Paul Goodwin, apart from that of Peter Forster.) Paul Goodwin Un criminale subliminale Un criminale subliminale si annida elefantiaco in ogni sala: il pachiderma in camera Teatrale, aneddotico, narrativo. Memoriale, tradizionale, celebrativo. Referenziale, oggettivo, oggettuale. Contenutistico. Per quelli della pittura analitica purista, queste sono parolacce, ma a me piacciono, anche se mi piace pure la pittura analitica. E allora… Informare, trasformare, transizione. Transustanziare, sublimare. Pelle, sangue, carne, materia, sostanza. Idea sostanziale. Atto unico. Calce, sublime. Gesso. Paragonare, licheni.. ti crescono adosso Ho iniziato a installare i dipinti nella gipsoteca seguendo un criterio puramente visivo,


sensuale. Colore, acciaio, gesso. Trasparente, opaco. Occupazione formale dello spazio. Scegliendo fra quadri che esistevano già e che semplicemente mi sembravano giusti, capaci di dare voce agli spazi abitati da figure della gipsoteca. Avrei potuto mettermi a fare apparire per incanto un lavoro nuovo e site specific, forse in relazione con le affascinanti foto a raggi X della struttura interna dei gessi che avevo visto. Il tempo e le circostanze non l’hanno permesso, ma già di per se il richiamo del gessoacciaio-colore era assai forte. Tuttavia, via via che appendevo, alcuni temi di fondo, quasi delle narrazioni, hanno cominciato a emergere e a prendere senso. Alcune pietre miliari del mio lavoro hanno cominciato ad andare in risonanza non solo con le forme ma anche con i contenuti di Monteverde: e non mi riferisco solo al lavori allegorici e simbolici, ma anche a quelli su commissione alla memoria e celebrativi. Trasformazione e transizione. Per me, il corpo scorticato di Marsia, membrana di pelle dipinta fra arte e natura, sfidato senza speranza, punito e infine immortalato. La torre di Milarepa, continuamente costruita, distrutta e poi faticosamente ricostruita di nuovo. La nave, fluttuante contenitore di pensiero. Barca-saggio. Saggio-barca. La nave dei folli, un Narrenschiff alla deriva verso il nulla, partito per Citera dalle fêtes champetres di Watteau. La figura: camminare, fare.

I am a picture-maker. I make pictures. I like pictures, I look at pictures. Pictures look at me. Looking-like is another country.* Una delle prime cose che mi ha intrigato di questa mostra è stata l’idea di poter dare vita a un dipinto e allo stesso tempo di trovarmici dentro. Di essere tridimensionale e allo stesso tempo una narrazione. Tutte quelle parolacce sulla pittura che non è “analitica”, “non-oggettiva” e le altre cose di quel tipo che menano il can per l’aia. Suppongo che la parola “teatrale” non possa essere evitata del tutto, oltre tutto. In una conversazione registrata con un amico pittore che odia il teatro e tutto ciò che è teatrale, ho cercato di spiegare – a me stesso prima di tutto – cosa intendessi con assaporare un senso del teatro, da qualche parte, dentro un profumo esistenziale della pittura. Non è proprio quell’artificio, quella scenografia, quell’impostazione così evidenti in Watteau o Bacon. Penso che sia piuttosto questo: il momento in quale si nasce un segno è in un senso performance, ma non la recitazione. Si tratta di un atto unico (sebbene anche questo termine sia diventato storia, e si sia dilatato fino a perdere forza, come action painting o informale). Esattamente come succede con la realizzazione di queste sculture, i gessi originali, prima che siano stati replicati per fusione in bronzo o copiati nel marmo per il grande mondo.

Immagine e icona, pensiero materializzato. Arte, materiale-pensiero articolato. Il mio “lavoro” è ciò che è l’arte. Alla fine, si tratta solo di se stessa. Ma materializzata grazie a molto altro.

Ma il momento è la distillazione di tutte quelle altre cose, il tutto-il-resto che ha reso la cosa ciò che è.

I miei “segni” possono sembrare un po’ “informale”. Io direi piuttosto “informati”. Nel duplice senso di “infuso con la forma” e informato come articolazione della pittura distillata dalle mie esperienze e dalla consapevolezza del suo stesso passato, della Tradizione, ma allo stesso modo, forse soprattutto, della Natura. Io lo sono, io vivo in essa.

* impossibile a tradurre in modo breve Il senso multiplo della parola inglese picture in italiano: comprende quadro, pitturato, dipinto, pitturare, ritrarre, figurare ecc. Poi “looking like”: assomigliare, ma: “L’assomigliare apartiene ad un altro paese” (un altro discorso, come “Il passato è un altro paese”.

E qui sotto ci sono delle belle storie.

Queste colline, queste valli, questi fiumi, questi lentissimi spostamenti delle masse, dei vuoti, il basso profondo del tempo geologico, e poi… Un soprano battere d’ali di una farfalla di notte nel mio studio… Queste cose dipingono me. Ma.........

59


Paul Goodwin Mostre personali / one person exhibitions 2015 “Dialogo” Esposizione personale di Paul Goodwin nelle sale della Gipsoteca Giulio Monteverde, Bistagno, (AL) 2014 “Boscaglia - goat morning”: 2 room solo exhibition in ex-macelleria del Comune, “Arte nel Borgo”, Spigno Monferrato (AL) “Goat Morning”, Cooperativa La Masca, Roccaverano, (AT) 2013 “Wind Shadows” Scarampi Foundation, Oratorio dell’ Imaccolata, San Giorgio Scarampi (AT). (Concerto inaugurale di Jean René) “Clouds and Water”, Galleria La Contemporanea, Torino; a cura di Michele Bramante. 2011 “Risonanze”, studio di P.G. Docks Dora in associazione con Galleria Raffaella De Chirico, Torino. 2010 “Il paesaggio abitato e no” Associazione Culturale Vallon, Roccaverano, Asti 2009 “Journeys” (malerei) Bergner + Job Galerie, Mainz (Curated by Peter Forster). 2008 Fenderesky Gallery, Belfast. “Rudderless ships of fools / Navi dei folli senza Timone” , MuDi – Museo Diocesano di Milano, a cura di Paolo Biscottini. 2007 “Paul Goodwin” SpiraleArte Contemporanea, Verona. BCA Gallery, and Mint Design, London. Galleria Rosso 27, Roma. 2006 “Touch”, SpiraleArte Contemporanea, Milano. “Territori dello sguardo” (con Mark Cooper) Palazzo del Comune, Tortona . 2005 Bergner + Job Galerie, Mainz. (Curated by Anne-Marie Bonnet). 2004 Scarampi Foundation, S. Giorgio Scarampi, Asti. 2003 Kunsthistorisches Institut der Universitat, Bonn. ( curated by Anne-Marie Bonnet). Lorenzelli Arte, Milano. Galerie Pudelko, Bonn. 2002 BCA Gallery, London. 2000 “Paul Goodwin - recent work”, Villa Pomini, Castellanza, (VA) “Paul Goodwin”, Galleria “Il Chiostro”, Saronno, (MI) 1999 Art Felchlin, Zurich. 1998 “Dramatis Personae”, Galleria Fontanella Borghese, Roma. “Sitter con tre Paesaggi”, La Bottega d’Arte di Repetto e Masucco, Acqui Terme (AL). “Seduti in Alto / Sitters on High”, Scarampi Foundation, S. Giorgio Scarampi, (AT).

60

1997 1996

1994 1993 1992 1991 1990 1989 1987 1986 1984 1983

“Sitters and Signori Seduti, 1993-96”, Lorenzelli Arte, Milano. “Sitters and Seduti”, Spazio Cesare da Sesto, Sesto Callende. Cantine di Gigi Rosso & Comune di Castiglione Falletto, Cuneo. “Quadroconcerto”, Lorenzelli Arte, Milano. (A performance - recital - exhi bition devised and directed by Goodwin and the harpsichord maker Olivier Fadini, with music composed and played by Ruggero Laganà and Ottavio Dantone. Goodwin’s “signori seduti” are demonstrated in public for the first time by mimes Rosi Bulgarini and Pino Urbano) “Duello Pittorico”, with Luca Bertolo and performance by poet-composer Giuliano Zosi: Associazione Culturale 89/A, Milano. Castello di Costigliole d’Asti, (AT). Italiana Arte, Busto Arsizio (VA). “Paul Goodwin - a Decade in Milan”, The University Gallery, Leeds, U.K. Galleria Seno, Milano. La Nuova Tavolozza, Palermo. Galleria Trimarchi, Bologna. Galleria Italiana Arte, Busto Arsizio, (VA). Galleria La Tavolozza, Palermo. Lorenzelli Arte, Milano. Galleria Seno, Milano. Galleria Italiana Arte, Busto Arsizio, (VA). Gallery Delta, Harare, Zimbabwe. Galleria Decalage, Milano. Commonwealth Institute, London. “Between Europe and Africa”, Bolton Museum and Art Gallery, U.K. Gallery Delta, Harare, Zimbabwe. Bulawayo City Art Gallery, Zimbabwe.

Premi, Awards, commitenze pubbliche 1981 Ministry of Health (Matabeleland), Bulawayo, Zimbabwe : Two large paintings and a mural / Due quadri di grandi dimensioni e un murales. 1982 Government of Zimbabwe : direction of various mural projects for the “Education for Production” initiative / direzione di vari progetti per murales. 1984 Commonwealth Institute and Greater London Council (Comune di Londra) : Very large paintings on flexible grounds for the African Music Festival, Holland Park, London. /dipinti molto grandi su fondi flessibili per il Festi- val di Musica Africana. Tower Hamlets Arts Committee, London. Award for purchase of materials. Northern Arts (ACGB), Manchester. Award to prepare exhibition for the


Bolton Museum and Art Gallery. British Council: award to assist with catalogue expenses for first exhibition in Milan / spese monografia in occasione della mostra personale a Milano. 1995 Museo d’Arte Contemporanea Paolo Pini, Milano: large mural painting/ grande murales. 1996 Ministero delle Opere Pubbliche della Puglia: paintings for the Nuova Casa Circondariale e / Aula Bunker, Lecce./ concorso, acquisto opere. Royal Academy, London. AGBI cash award. 1997 La Civica Raccolta del Disegno di Salò: acquisition of drawings/ acquisto disegni. 1998 Regione di Piemonte / MACAM: group of bronze sculptures for the Museo d’ Arte Contemporanea all’Aperto, Maglione. 2007-08 Commission “Orion Quintet”, five part painting for the cruise liner “Independence of the Seas”. Royal Caribbean International. 2014 Premio della Giuria / Special Jury prize Premio Pittura XXV Cesare Pavese,CEPAM, Santo Stefano Belbo (CN). 1986

In Italia, del suo lavoro hanno scritto, per cataloghi o riviste d’arte Eugenio Alberti Schaz, Antonio D’Avossa, Riccardo Barletta, Emanuele Beluffi, Michele Bramante, Stefano Crespi, Ettore Ceriani, Chiara Canali, Claudio Cerritelli, Alberto Fiz, Marco Meneguzzo, Chiara A. Lanzi, Elisabetta Longari, Marco Senaldi, Dominique Stella. All’ estero: Anne-Marie Bonnet, Ulrike Brandenburg, Guy Brett, Phillipe Daubry, Peter Forster, Alan Friedman, Irene McManus, Phoebe Tait, Chris Till.

Collezioni pubbliche e permanenti: Commonwealth Institute,London. Bolton Museum and Art Gallery. Leeds University Collections and Gallery. National Gallery of Zimbabwe, Harare. Bulawayo City Art Gallery, Zimbabwe. Matabeleland Ministry of Health, Bulawayo, Zimbabwe. Museu Nacional do Moçambique, Maputo. Nunose Shrine, Osaka, Japan. MAPP, Museo d’Arte Contemporanea Paolo Pini, Milano. MACAM, Museo d’Arte Contemporanea all’Aperto di Maglione, Torino. La Civica Raccolta del Disegno di Salò. Pinacoteca Cesare da Sesto, Sesto Calende (VA). Università di Castellanza (VA). Prefettura di Siracusa. Nuova Casa Circondariale / Aula Bunker, Lecce. Scarampi Foundation. Banca Popolare di Bergamo. Creditanstalt Finanziaria SpA, Milano e Vienna. Banca di Austria, Milano. Massinvest, Mendrisio, CH. Royal Caribbean International. Oslo and London.

61


Elenco delle opere esposte: Sala 1 Hex / Milarepa 1 (L’incanto: Milarepa 1) 2004 olio su acciao inox cm 134x128 2. Lemon Marsyas (skull) 3 ( Marsia 3) 2003 olio su acciaio inox cm 59x63 3. Lemon Marsyas 1 (Marsia 1) 2003 olio su acciaio inox cm 59x63 Sala 2 4. Blue Umber Bricco 2007 olio su alluminio anodizzato cm 150x50 5. Boat on a red ground /Imbarcazione su fondo rosso 2011 acrilico su lino cm 76x73 6. Greengeld 2013 olio su acciao inox cm 150x50 7. Boatwise (Batello saggio – saggio batello) 2012 acrilico su lino cm 195x115 8. Cliff 2 (Dirupo) 2006 olio su alluminio dittico cm 150x100,5 9. Yellowslide (Frana gialla) 2006 olio su alluminio cm 73x76 Sala 3 10. The Christ of Zephania Tschuma (uomo che pende) 2009 acrilico su lino cm 110x130 11. Legs (Gambe) 2009 acrilico su lino cm 130x110 12. Braced and waiting figure (Figura bracciato che aspetta) 2009 olio su lino cm 60x73 13. Turn-stepping figure 2009 acrilico su lino cm 130x110 Sala 4 14. Boatman (Barcaiolo) 2011 olio su alluminio cm 80x45 15. Acca’s cross (La croce di Acca) 2007 olio su 5 lastre di acciao preverniciato ognuno cm 76x73 Sala 5 16. Down boat dog star man (Lo stagno del Narciso) 2012 olio su lino tondo diam. cm 140 17. Tower (Torre) / Milarepa 2 2004 olio su acciao inox cm 134x128 18. Clenched red mountain (Montagna rossa che stringe) 2006 olio su alluminio cm 76x73 Sala 6 19. Green fishing head, thinking (Testa verde di pescatore che pensa) 2011 olio su acciao inox cm 115x128 20. Wildly flapping rudderless ship of fools (Nave dei folli senza timone che sbatte disperatemente 2008 acrilico su lino cm 210x195 21. Bormida Materica 2012 olio su alluminio cm 150x50 1.

62

22. Fast walking man with baggage of ships (Uomo che cammina forte carico di navi) 2008 olio su alluminio cm 124x150 Sala 7 23. Soft grey sheep slide revisited (head-scape) 2006-2014 olio su alluminio cm 76x73 24. Giuseppe che tocca la sua schiena 2013 olio su acciao inox cm 148x88x6 25. Five easy pieces quintet: 2 heads and orion’s 3 dogs (5 pezzi facili, quintetto: 2 teste e tre cani di Orione) 2008 olio su 5 fogli di acciao preverniciato ognuno cm 80x45 26. New Large Ship / Departement pour Cythère 2011 acrilico su lino cm 230x220 27. Sitter on a green ground 1996 acrilico su tela cm 80x70 28. Bending figure 2009 acrilico su lino cm 130x110


I 26 modelli preparatori in gesso della gipsoteca di Bistagno, assieme ad alcuni altri gessi conservati presso la GAM di Genova-Nervi, provengono dall’atelier romano di Giulio Monteverde. Dopo la sua morte, nel 1919, vennero donati dalle figlie alla città di Genova, dove lo scultore aveva studiato tra 1857 e 1865. La Gipsoteca di Bistagno si è formata grazie a diverse donazioni e comodati da parte del Comune di Genova: dal 2001 è allestita secondo l’attuale criterio espositivo presso l’edificio che nel 1881 era stato progettato dall’ingegner Leale per ospitare le scuole locali

SALA I. L’Autoritratto di Monteverde (1), donato da Genova a Bistagno nel 1937, centenario della nascita dello scultore, è datato 1917, anno della sua morte, e mostra l’anziano artista con il berretto di foggia cinquecentesca che era solito indossare durante il lavoro. Di particolare interesse è la scultura Il Fabbro (2) del 1875, parte del gruppo Volere e Potere, mai tradotto in materiale durevole: rappresenta un giovane fabbro che, gettate a terra le carte da gioco, riprende il lavoro all’incudine. Il piccolo modello acefalo (3), grande 1/3 del vero, raffigura invece il commerciante Giacomo Moresco, munifico finanziatore di diversi istituti di beneficenza genovesi. In sala si conservano anche tre piccoli busti in terracotta datati tra 1872 e 1874, recentemente acquisiti. SALA II. Il Tessitore (4), datato 1878, è il modello per la statua in marmo che Alessandro Rossi, titolare del celebre Lanificio di Schio, volle dedicare ai suoi dipendenti: raffigura un operaio che osserva la spoletta per la tessitura, con ai piedi accatastate tre pezze di stoffa. Gli altri gessi corrispondono ad altrettanti monumenti funerari, rispettivamente per Carlo Sada (6) architetto di Casa Reale morto nel 1873, per alcuni membri della famiglia Gallenga Stuart (7) morti di difterite nel 1878 e per il conte Angelo Massari (5) che, nella versione definitiva e completa, presso il cimitero della Certosa a Ferrara, raffigura la salma distesa sul letto funebre, vegliata dall’angelo custode. SALA III. La sala è dedicata ai modelli preparatori del monumento a Vincenzo Bellini, inaugurato nel 1883, in piazza Stesicoro a Catania. Le due figure femminili esposte alle spalle del compositore (8) rappresentano rispettivamente La Norma (9) e La Sonnabula (10), personificazioni di due sue celebri opere. Nel marmo definitivo si possono ammirare anche le figure de Il Pirata e de I Puritani, i cui gessi sono andato perduti dopo il 1919.

SALA IV. In questa sala, che originariamente ospitava la cappella per l’istituto scolastico di Palazzo Leale, sono collocati il modello della Madonna con il Bambino per il monumento funebre di Domenico Balduino al cimitero genovese di Staglieno (13) e quello per il crocifisso commissionato dal Municipio di Buenos Aires per la cappella del cimitero cittadino (12). Un’altra versione in marmo della Madonna venne donata dallo stesso Monteverde alla comunità di Bistagno nel 1914 e si può tutt’oggi ammirare presso la chiesa parrocchiale. SALA V. I tre monumenti funerari, diversissimi per idea compositiva, sono rispettivamente dedicati al Generale Medici del Vascello (14), al banchiere genovese Francesco Oneto (15) e alla famiglia madrilena La Gandara (16). Il celebre volto dell’Angelo Oneto (qui frutto di un calco recente), del 1882, è stato definito “testimone dell’ambiguo mistero del nulla”: l’opera sarà replicata e copiata innumerevoli volte e verrà scelta dallo stesso Monteverde come custode della propria cappella funeraria al Cimitero del Verano a Roma. SALA VI. Il monumentale gruppo al centro della stanza, intitolato Idealità e Materialismo (21), è datato 1908 e fu realizzato dal Monteverde “per isfogo dell’animo amareggiato”: la versione definitiva in marmo si conserva alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Ai monumenti funebri Levi-Colucci (17), Camerini (18) e ValenteCelle (20) – rappresentante quest’ultimo una danza macabra e sensuale tra la vita e la morte – si affianca la parte inferiore del modello per il monumento ad Alessandro Rossi (19), titolare del Lanificio di Schio, già committente de Il Tessitore (4): come si comprende dal bronzo definitivo, inaugurato a Schio nel 1902, il bambino sorretto dalla figura femminile e avvolto nel lembo di stoffa, porge una rosa all’industriale, raffigurato in alto, sopra una ruota dentata, ingranaggio delle macchine per la tessitura. SALA VII. La struttura lignea sorregge i resti sopravvissuti dell’enorme modello in gesso per la statua equestre di re Vittorio Emanuele II (22) inaugurata in piazza Maggiore a Bologna nel 1880 e oggi collocata presso i Giardini Margherita della stessa città. Il sovrano è ritratto anche nel piccolo busto informale datato 1875 (25) e collocato sulla mensola, tra la testa del monumento bolognese a Marco Minghetti (24) e il Busto di donna (26). La figura in piedi (23) rappresenta invece il senatore Giuseppe Saracco, anch’egli nato a Bistagno, nel 1821, e legato da amicizia al Monteverde: la statua, del 1917, fu l’ultima fatica dello scultore. La versione definitiva in bronzo venne collocata postuma presso i giardini di Piazza Italia ad Acqui Terme. Completa l’allestimento una copia in bronzo del ritratto del padre dello scultore, Vittorio Monteverde.

63


Š 2015 Gli autori Tutti i diritti riservati Finito stampare ottobre 2015




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.