UN_FINISHED Master's of Science Thesis by Andrea Benincasa

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UNFINISHED

ANDREA BENINCASA


IT Questo documento è un estratto della Tesi di Laurea Magistrale in Ingegneria Edile - Architettura di Andrea Benincasa dal titolo: Il depuratore incompiuto alle Cave di Cusa, progetto per la ricezione turistica. L’elaborazione di tale lavoro è stata svolta nel corso dell’A.A. 2015-2016 presso l’École Nationale Supériere d’Architecture Paris-Malaquais e l’Università degli Studi di Palermo.

EN This document is an excerpt of the Master’s of Science Thesis in Building Engineering and Architecture by Andrea Benincasa entitled: The unfinished purification plant by the Cusa Quarries, a project for the lodging industry. The delovepment of this work has been carried out along the A.Y. 2015-2016 at the Ecole Nationale Superieure d’Architecture Paris-Malaquais and the University of Palermo.

Relatori: Prof. Luca Merlini Prof. Antonino Margagliotta Correlatore: Prof.ssa Rossella Corrao

Ecole Nationale Superiéure d’Architecture Paris Malaquais Università Degli Studi Di Palermo Università Degli Studi Di Palermo




INDICE

Introduzione

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1. L’Incompiuto. Un tema per il progetto contemporaneo 1.1 Quale compiuto?

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1.2 In costruzione

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1.3 L’idea e la forma

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1.4 L’obsolescenza programmata dei luoghi

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2. Il luogo del progetto 2.I

3. Il progetto

Bibliografia

Il genius loci

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2.2 Le tre cave selinuntine

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2.3 I viaggiatori del ‘700

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2.4 Le Cave di Cusa

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2.5 2.6 2.7 2.8

I Bagli Ingham e Florio Il Pantano Leone Il vecchio impianto di depurazione di Campobello di Mazara disegni dello stato di fatto

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3.1 3.2 3.3 3.4 3.5

Finalità Analisi delle strategie Riferimenti progettuali Descrizione del progetto Elaborati Grafici

90 92 98 118 130 170


INTRODUZIONE

Come può mai qualcosa presentarsi a noi per quello che è veramente fintantoché la sua sintesi non è mai completa? Come avrei mai potuto acquisire l’esperienza del mondo, dal momento che nessuna delle viste o percezioni che ho di esso può ritenersi esauriente e gli orizzonti rimango sempre aperti?1

La riflessione di Merleau-Ponty sulla incompletezza è il punto di partenza in questa ricerca sul non finito in edilizia. La sua tesi secondo la quale è impossibile ottenere una ‘immagine’ completa del mondo, a causa dell’inesauribilità delle nostre percezioni ed esperienze, ci spinge a mettere in discussione l’ipotesi di un’architettura ‘chiusa’, rispetto al suo processo creativo. Cos’è il non finito e come si esprime in architettura? È un atteggiamento, una dichiarazione, un fenomeno, uno stile, una data o un risultato? Diverse sono state nel corso della storia le accezioni e le caratteristiche di questo fenomeno, spesso anche paradossalmente opposte fra loro. Allo stesso tempo le molteplici cause che lo hanno prodotto ci impongono di riconoscere come ogni vicenda meriti un’analisi specifica. Questo lavoro vuole quindi essere innanzitutto 6

una riflessione sul concetto d’incompiuto in architettura e si sviluppa intorno all’idea che un progetto architettonico possa sempre -e allo stesso tempo mai- essere considerato finito. L’architettura che viene fatta dagli architetti rappresenta solo un momento della vita di un edificio, e il progetto è loro solo per il tempo in cui si sta lavorando su di esso. Se si guarda ad un edificio nel corso del tempo, si capisce che un progetto è una storia che deve essere continuata da altri. O forse è l’architetto stesso che ha la possibilità di continuare una storia cominciata da qualcun altro. Se davvero il disegno di un’opera volesse rimanere fedele ad essa nel corso del tempo la matita non si staccherebbe mai dal foglio. La graffite continuerebbe incessantemente nel suo lavoro ripercorrendo tratti già segnati, aggiungendone di nuovi, sovrapponendo gli uni agli altri.


7 Riccardo Dalisi, Rione Traiano a Napoli, 1975


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1. L’INCOMPIUTO UN TEMA PER IL PROGETTO CONTEMPORANEO

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1.1 QUALE COMPIUTO? Quando si può dire finito un edificio? O meglio, quando un edificio inizia o cessa di essere compiuto? Si può davvero immaginare che l’architettura raggiunga un punto ‘finale’ fra diversi momenti della sua vita? Forse l’architettura non ha una forma compiuta ideale che sia valida in qualsiasi momento. Nonostante esista ad un certo punto nel tempo un presumibile raggiungimento di un “completamento”, l’edificio continuerà comunque a cambiare, e il contesto che lo avvolge -base di qualsiasi soluzione architettonica- cambierà anch’esso. Allo stesso modo in cui una risposta chiusa, seppur rassicurante, soffoca la dialettica di una domanda aperta, lo stato di ‘completamento’ genera un momento di soddisfacimento limitato nel tempo in quanto non produce alcuna tensione intellettuale. Robert Venturi in complessità e contraddizione in architettura, scrive sulla percezione di ciò che a suo avviso, rende una forma architettonica intellettualmente stimolante. Un elemento chiave in tal senso è l’aspetto di ambiguità; la complessità e le contraddizioni possono trapelare attraverso la giustapposizione di ciò che un’immagine è e ciò che sembra. In particolare, un progetto d’architettura può presentare una certa ambiguità tra finito e non finito; ciò che l’edificio è e che cosa può ancora diventare. 10

« la tensione verso la completezza di un’architettura non esclude un edificio irrisolto. Poeti e drammaturghi riconoscono dilemmi senza soluzioni. [ ... ] Un edificio può anche essere più o meno incompleto nell’espressione del suo programma e nella sua forma. » 2 Secondo Venturi, l’incompiutezza, la giustapposizione di elementi diversi senza la fusione del tutto in un’unità armonica, esprime vitalità e validità; la forma incompiuta non implica che l’architettura sia stata meno raggiunta. Al contrario, la complessità che questa ambiguità rappresenta, sfida l’intelletto nella lettura dell’architettura più di quanto non faccia un edificio “risolto”. Ogni edificio possiede una propria personalità, plasmata dagli eventi passati. Ogni volta che un edificio arriva a un nuovo punto di ‘completamento’, tutti gli strati precedenti saranno più o meno visibili, come note o memorie di certi momenti nel tempo. Certi segni sono ancora visibili e leggibili sulla materia dell’edificio. Altri lo sono solo nella memoria. Anne Lacaton parla della sovrapposizione di strati e di come questa arricchisce l’esperienza architettonica: «Il progetto rappresenta la definizione di un nuovo strato, arricchito da tutte le storie precedenti e da tutti i livelli esistenti. Il concetto di sovrapposizione in architettura e urbanistica è di primaria importanza, più uno spazio genera combinazioni multiple fra dimensioni temporali diverse, più la vita in esso sarà stimolante.» 3 Il verificarsi degli eventi è principalmente un risultato del caso, ed è in grado di produrre situazioni


impreviste, ambigue e talvolta anche paradossali. Nonostante ciò la sovrapposizione di tracce attraverso il tempo può portare ad una certa qualità architettonica, se trattata in modo intelligente. Se è vero che tutta l’architettura evolve e cambia con ritmi diversi nel corso del tempo questo significa che in ogni edificio è sempre presente un potenziale da esprimere. La realizzazione di questo potenziale però, dipende unicamente dalla capacità di rintracciare un qualsivoglia tipo di valore nell’esistente. La qualità architettonica dipende dal modo in cui gli strati del tempo s’intrecciano, dal modo in cui i frammenti del passato vengono riorganizzati in un nuovo significato, dalla capacità infine di aggiungere nuovi segni e di raccontare una nuova storia.

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Piscina comunale, Giarre.

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Palais de Tokyo, Parigi.

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1.2 IN COSTRUZIONE Quando si parla di non finito in architettura, una delle prime immagini che spesso viene in mente, è quella di un edificio incompiuto. L’edificio non finito è, naturalmente, l’interpretazione più letterale del non finito in architettura, tuttavia tale definizione non sembra essere esauriente in quanto il concetto di incompiuto risulta ancora oggetto di un certo fascino astratto. Quando un edificio è ancora in fase di costruzione, anche se impigliato nei ponteggi, comincia a mostrarsi nei contorni della sua essenza. Esiste un momento di passaggio tra la percezione di elementi sparsi di materiale - reticoli di legno, sacchi di cemento, barre di acciaio - e la percezione di un lavoro compiuto di architettura, perfettamente pulito e definito. Questa è la fase in cui un edificio diventa propriamente tale; non più una selezione di materie prime messe insieme, ma all’improvviso inizia ad avere un senso in sé stesso. Forse il fascino per la fase di costruzione deriva dal fatto che in questo momento il lavoro mantiene un’astrattezza che si perde nel momento in cui l’edificio entra in servizio. Questo si staglia nel paesaggio come una scultura, come una forma pura, come uno schizzo in cui possiamo liberamente immaginare il compimento del lavoro, o semplicemente lasciare che il limite dello sconosciuto giochi nel nostro subconscio. Molti architetti esprimono un certo fascino per il cantiere, nel vedere il loro lavoro diventare reale. 14

Fra questi, l’architetto Jan De Vylder, parlando del suo fascino per il lavoro in cantiere, scrive: « Mi piace sempre andare in cantiere; ci vado spesso perché durante le fasi di costruzione ci sono tante importanti opportunità per cambiare e migliorare il progetto. Io non lavoro con l’idea di raggiungere il momento del compimento dell’opera. Noi continuiamo ad andare avanti, fino al giorno della consegna, modificando il progetto. La fine non rappresenta un obbiettivo in quanto tale. […] Non credo che la questione riguardi la compiutezza o meno dell’opera, questa si dichiara finita solo l’ultimo giorno, ma allo stesso tempo lo è sempre stata, anche quando era soltanto una struttura grezza considerata appunto incompiuta. » 4 Questo processo di disegno costante, fatto di retroazioni e passi indietro, cercando nel lavoro già fatto nuove opportunità e potenzialità del progetto, può essere assimilato ad una forma di artigianato su grande scala, e può essere possibile solo se l’attenzione dell’architetto non è incentrata solamente sul completamento dell’opera. Questo particolare momento prima del completamento è parallelo a quello successivo alla fase del “compimento”, quando l’edificio non serve più allo scopo per cui è stato pensato, e di esso rimane solo la forma segnata dalle tracce della sua vita precedente. Louis Kahn usa l’immagine della rovina come un esempio tangibile dell’idea concettuale dell’incompiuto, creando un collegamento tra il prima e il dopo l’architettura. Quando è percepito come un oggetto incompleto, l’e-


dificio rivela il proprio spirito e svela la sua storia. «Penso che quando un edificio viene costruito, e non è ancora in servizio, manifesti il punto più alto della sua essenza. Quando viene completato ed entra in uso, sembra voler raccontare a chi lo guarda la sua storia, le avventure che hanno portato alla sua realizzazione. Ma le sue parti, imprigionate nella loro funzione, rendono di scarso interesse questa storia. Quando l’edificio perde la sua funzione, diventa spesso una rovina; la meraviglia della sua origine appare di nuovo. [ ... ] Chiunque passa è in grado di sentirlo raccontare la storia della sua realizzazione. L’edificio non è più schiavo della sua funzione; il suo spirito è riapparso. » 5 Secondo Kahn, l’architettura rivela la sua vera identità quando è libera dalla sua funzione quotidiana. Questo stato è proprio della fase di costruzione, ma anche di quando l’edificio diventa una rovina. In entrambe le situazioni esso rappresenta il non finito. L’incompiutezza potrebbe essere quindi un modo di esprimere l’essenza di un edificio, la definizione della sua essenza appare quando l’architettura prescinde dalla sua funzione. L’antropologo francese Marc Augè in “Rovine e macerie. Il senso del tempo” teorizza come la vista delle rovine ci fa intuire l’esistenza di un tempo che non è quello di cui parlano i manuali di storia o che i restauri cercano di resuscitare. È un tempo puro, non databile, assente dal nostro mondo d’immagini, di simulacri e di ricostruzioni. «Le rovine parlano di una molteplicità di passati

che non rimandano a nulla, non sono il tempo della storia o delle date, ma sono un tempo “puro”. »6 Le rovine della contemporaneità sono però scheletri di cemento armato, sono i ponti interrotti, sono edifici fantasma prodotti di una logica del fare marcia e irrazionale. Sono ciò che Rem Koolas definisce come junkspace (spazio spazzatura): «il prodotto costruito dalla modernizzazione non è l’architettura moderna, ma il junkspace ovvero ciò che resta dopo che la modernizzazione ha fatto il suo corso, o meglio ciò che coagula mentre la modernizzazione è in corso»

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A. Siza, biblioteca della FAUP in costruzione. Foto: Luis Ferreira Alves

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A. Siza, FAUP in costruzione. Foto: Luis Ferreira Alves

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1.3 L’IDEA E LA FORMA L’incompiuto può essere inteso come espressione della difficile transizione tra l’idea e la forma. L’idea incarna un’entità completa, complessa e perfetta, spesso presente solo nella mente dell’artista o un mondo parallelo e perfetto. La rappresentazione fisica è il nostro modo di dare forma a questa idea, questa è un’espressione che può essere solamente incompleta e incompiuta, in quanto non siamo in grado di ricreare la complessità e la perfezione che l’idea rappresenta. Una celebre storia che riguarda probabilmente la prima opera incompiuta conosciuta nella tradizione letteraria occidentale, è quella della Torre di Babele, tratta dal libro della Genesi. Secondo la storia, il popolo di Dio con una grande fiducia nelle proprie capacità e conoscenze, era convinto di poter costruire una torre così alta da poter raggiungere i cieli. Il Signore interruppe la costruzione della torre, considerandola una minaccia per la fede del suo popolo. Poi confuse gli uomini dando loro lingue diverse, in modo che non fossero in grado di comunicare, e li disperse su tutta la terra, in modo che non fossero in grado di continuare la costruzione della torre.7 La torre è stata ampiamente rappresentata nelle arti, per lo più come una forma perpetua, costantemente in costruzione, mai vicina al completamento. Anche se la storia è stata usata per spiegare il gran numero di lingue e la diffusione dell’insediamento dell’uomo sulla terra, la mo18

rale di fondo è che il Signore è l’unico che ha la capacità di immaginare, concepire e creare qualcosa di completo; qualcosa di perfetto. Le costruzioni dell’uomo saranno sempre imperfette, insufficienti o incomplete, perché non siamo in grado di comprendere a pieno, né creare qualcosa che è più complesso del nostro intelletto. Non è solo nella religione che troviamo la teoria secondo la quale la nostra comprensione del mondo è una versione incompleta e semplificata di qualcosa più grande, qualcosa di ideale. La teoria delle idee formulata da Platone afferma che il mondo così come lo conosciamo, è solo una ‘copia’ o un’immagine del mondo delle idee. Le idee non sono solo gli esempi ideali e completi di ciò che popola il mondo materiale; le idee sono archetipi, e le forme terrene sono semplici copie semplificate e non compiute delle idee. L’uomo inoltre, non è in grado di comprendere pienamente il mondo delle idee con i suoi sensi. Anche in questo caso, si ripresenta il principio secondo il quale l’uomo, con i suoi mezzi materiali e intellettuali non sia immediatamente in grado di comprendere a pieno il mondo che lo circonda. Secondo Platone, l’intuizione per capire il mondo ideale potrebbe essere raggiunta, se non completamente, almeno in parte, attraverso quello che lui chiama il buon senso, che può ancora una volta essere ottenuto con lo studio e la pratica della filosofia.


Pieter Bruegel the Elder, La torre di Babele. Olio su tela, 1563.

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L’idea che le creazioni dell’uomo siano solamente un’incompleta rappresentazione di idee più complesse, che non siamo in grado di comprendere a pieno, ha fatto si che l’incompiuto diventasse un tema concettuale che attraversa le arti, l’architettura e la scrittura. L’immagine dell’artista afflitto, alla disperata ricerca della perfezione ma incapace di raggiungerla è ben nota nella storia. Nel Rinascimento, il termine “incompiuto” è stato usato per descrivere le opere d’arte che volutamente non sono state portate a compimento. Michelangelo, essendo la figura spesso più associata a questo tema, è noto per aver affrontato in molti momenti della sua carriera la difficoltà di portare i suoi lavori a compimento. Egli vede lo scultore come uno strumento di Dio, destinato a rivelare nella pietra figure che sono già latenti nel 20

materiale. Tra le sue opere più comunemente legate al tema del non finito, troviamo la serie di sculture degli ‘schiavi’ e dei ‘Prigionieri’.8 In linea con questa concezione appare anche il pensiero di Luis Kahn secondo il quale: “Non finito” significa creare volutamente un’immagine imperfetta o incompleta di qualcosa di simile ad una scultura o ad un dipinto, in quanto nessuno è in grado di esprimere o di comprendere a pieno il vasto e complesso pensiero dell’artista nel suo lavoro materiale.9 L’incompiuto diventa un segno di suggestione, di sottigliezza, di ambiguità e di soggettività. Secondo questo approccio di lavoro l’opera incompiuta ripercorre l’impressione di una forma o un’idea, che può essere completata e interpretata solo dalla nostra intelligenza e immaginazione.


Michelangelo Buonarroti, incompiuto, 1515. 21


1.4 L’OBSOLESCENZA PROGRAMMATA DEI LUOGHI La genesi del fenomeno dell’incompiuto è legata a moltissimi fattori di diverso ordine che richiedono un approccio multidisciplinare adeguato ad indagare opportunamente aspetti di tipo economico, sociale, politico, amministrativo, normativo, geografico, storico. In tale analisi bisogna inoltre considerare le opportune differenze che sussistono fra le vicende degli edifici privati e quelli pubblici. Questa varietà e molteplicità di fattori rende assai complessa la trattazione delle cause che hanno prodotto il fenomeno dell’edilizia incompiuta. Ogni vicenda infatti meriterebbe uno specifico approfondimento riguardo alle ragioni che l’hanno resa tale. Tuttavia fra i motivi che hanno portato all’interruzione della costruzione di un edificio se ne possono individuare alcuni comuni alla maggioranza delle opere incompiute. Nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2010, Mario Ristuccia, allora procuratore generale della Corte dei Conti, ne riassume efficacemente alcuni dei più frequenti: «Le cause di questo fenomeno sono molteplici e da annoverare nella carenza di programmazione, eccessiva frammentazione dei centri decisionali, complessità delle procedure di progettazione, dilatazione dei tempi di esecuzione imputabili alle imprese committenti ed alle amministrazioni 22

aggiudicatrici, carenze ed inadeguatezze dei controlli tecnici ad amministrativi. L’eterogeneità di tali fattori casuali è tale da determinare una oggettiva difficoltà nell’accertamento delle responsabilità il più delle volte, ascrivibili a vari livelli decisionali coinvolti nelle varie fasi della programmazione, della progettazione, del finanziamento dell’opera, della scelta del contraente, dell’esecuzione e del collaudo finale.» 10 Una conferma di ciò si ha nelle parole di Bernardino Romano, professore di Pianificazione e Valutazione ambientale all’Università dell’Aquila, che riferendosi al fenomeno dei lavori pubblici italiani, scrive: «Ha trionfato la logica del fare [...] politici ed imprenditori hanno raccolto finanziamenti ovunque, a livello europeo e nazionale, costruendo nel loro interesse e non in quello della collettività. Risultato: la spaventosa debolezza dei progetti che franano al primo intoppo: un cambio di giunta, la crisi di un’impresa appaltatrice, il banale prolungarsi dei lavori.» 11 Un altro fenomeno spesso legato all’interruzione del processo costruttivo di molti edifici soprattutto privati, è quello dell’abusivismo edilizio che Giancarlo De Carlo così descrive: «L’abusivismo [...] è spregiudicato, dissociato e truffaldino [...] tra le sue prevalenti intenzioni predatorie nasconde alcune motivazioni legittime [...] la tendenza a voler partecipare allo svilup-


po della città rompendo il monopolio dei gruppi finanziari e imprenditoriali [...] L’insofferenza per un apparato normativo che non ha fondamenti qualitativi e perciò è arbitrario [...] La rivendicazione del diritto di risolvere nel modo più personale possibile la propria esigenza di abitare e di autorappresentarsi nello spazio fisico. Per questi aspetti l’abusivismo va indagato con attenzione e senza preclusioni moralistiche.» 12 Osservando adesso il fenomeno dell’incompiuto da un punto di vista più amplio, allontanandosi dalla specificità delle diverse cause che lo hanno generato, soprassedendo le differenze geografiche e le caratteristiche proprie di ciascun’opera incompiuta, si può notare come il meccanismo che produce questo fenomeno sia alimentato dalla stessa rovinosa visione. Il processo costruttivo, alla maniera di quello industriale, appare qui affetto da una smania consumistica che impone la continua produzione di nuovi spazi spesso predestinati già al momento del concepimento ad un prossimo abbandono. I luoghi, come ogni cosa soggetta al divenire dello spazio e del tempo, mutano, cambiano e si può dire invecchiano. Questo processo viene spesso tradotto, soprattutto in termini economici e in riferimento alle merci e agli oggetti, con il termine di obsolescenza. I luoghi stessi vengono usati e sostituiti, di volta in volta, quando questi per qualsiasi causa divengono obsolescenti. L’uso e il consumo dei luoghi porta ad una ricerca costante di

nuovi spazi da conquistare al fine di non fermare la macchina economica e tecnica che sta alle spalle della costruzione di questi. C’è da chiedersi come avvenga, in epoca moderna, il compimento del processo di obsolescenza. Per rispondere a questo problema, si può usare un termine ben analizzato da Serge Latouche: “Obsolescenza programmata”. Questo processo viene accostato dall’economista francese alle merci, ma si ritiene che questo concetto ben si applichi, per quanto detto e quanto si dirà, anche ai luoghi. L’obsolescenza programmata è un’invenzione del mondo moderno e quindi della Globalizzazione, che prendendo le mosse dalla naturale obsolescenza delle cose, ne implementa e ne programma il processo al fine di accrescere le potenzialità economiche di un mercato. Giles Slade definisce l’obsolescenza programmata quale “espressione-contenitore utilizzata per descrivere un insieme di tecniche messe in opera per ridurre artificialmente la durata di un bene manifatturiero, in modo da stimolare il rinnovo del suo consumo”. 13 Scrive bene Günther Anders nella sua opera più celebre, L’uomo è antiquato, affermando che “l’effettiva immortalità di questi prodotti avrebbe per conseguenza la morte della produzione; perché la produzione vive della morte dei prodotti singoli”. 14 Serge Latouche fa sorgere l’idea dell’obsolescenza programmata con l’avvento delle merci usa e getta, le quali nascono da un impostazione di cultura economica quale “l’ossessio23


Sam Laughlin, Framework #18

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Sam Laughlin, Framework #4

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ne di vendere” e quindi di crescere. I prodotti così vengono creati per essere consumati in breve tempo e dunque riacquistati, al fine di continuare a sostentare il ciclo del capitale. Questo processo porta con se il problema della costruzione e dell’abbandono, dunque dell’obsolescenza dei luoghi che, portati a compimento o meno, non vengono più “aggiustati”, ma gettati quali prodotti usa e getta della macchina economica. Ovviamente questo fatto, unito alla standardizzazione urbanistica, reca come conseguenza l’aumento del consumo di suolo. L’obsolescenza programmata dei luoghi crea rifiuti, e quella dei luoghi degli scarti evidenti, a volte mastodontici; trasforma i territori in discariche e aumenta esponenzialmente lo spreco di risorse naturali. I luoghi fatiscentemente obsolescenti vengono così, dopo lo scarto, spesso abbattuti al fine di crearne altri, al fine di produrre nuove terre da pubblicizzare. Emblematica e contingente è l’immagine riportata da Latouche, dove dice, sulla scorta di Vance Packard, che le future generazioni vedranno le popolazioni scavare attraverso i loro rifiuti per recuperare vecchi oggetti - in questo caso luoghi - arrugginiti e dimenticati. L’obsolescenza programmata può essere inoltre ben rappresentata dalla città di Leonia, descritta da Calvino nelle sue Città Invisibili; questa “rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra le lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae 26

dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio”. 15 Leonia accumula strati su strati di vecchiume obsolescente che viene ammonticchiato e sedimentato; rifiuti della propria opulenza culturalmente radicata che lentamente non può che venire sommersa dai propri rifiuti fino ad essere spianata distruggendo il territorio per essere rimpiazzata anch’essa come un rifiuto. Questa città invisibile è probabilmente il miglior esempio letterario in grado di mostrare il problema dell’obsolescenza programmata applicata ai luoghi, in grado di mostrare anche i risultati e i danni che questa forma culturale può recare. Lo spreco di risorse produce danni ambientali attraverso la sedimentazioni di rifiuti di cui non si sa più cosa fare che forse, come suggerisce Latouche per altri tipi di merci, andrebbero reinseriti in processi di produzione circolare non fedele all’idea della crescita. Le opere incompiute sono figlie di un’epoca di grande ottimismo positivistico in grado di dare fondo e sviluppo alla “fantasia finanziaria” delle menti speculative, che in più occasioni si è prodotta nella progettazione di opere decontestualizzate e molto spesso surreali. Nelle opere dell’Incompiuto le strutture riprendono vita attraverso i loro difetti, attraverso la de-funzionalizzazione che apre nuove possibilità d’essere e d’agire: “un atteggiamento che si risolve in architetture pubbliche e private prive di una funzionalità dichiarata ma aperte alla


fantasia di chi le abita. Le opere Incompiute riflettono i sintomi della società contemporanea”.16 Riflettendo i sintomi della società contemporanea, perfettamente rappresentano il problema dell’obsolescenza quale manifestazione dell’illimitata crescita, che trova una nuova via all’interno dei problemi. Il processo di obsolescenza programmata, nello sprecare risorse, forse ne crea. Sembra una forte contraddizione quella appena espressa, ma ci sono casi in cui l’obsolescenza programmata dei luoghi, che in alcuni casi si ferma ben prima della conclusione della realizzazione completa di un luogo, invece di apporre la parola fine su di un progetto e la sua funzionalità ne ricrea di nuove. L’incompiuto - di per se sconfitta del processo produttivo - diventa allo stesso tempo una chance per chi ha voluto vedere in questi luoghi non un fallimento, o meglio non solo, ma anche una possibilità relativamente sostenibile di riuso di questi luoghi che sembrano essere chiaramente l’esempio più cogente dell’obsolescenza programmata dei luoghi e dei paesaggi. È questa la sfida che offre l’incompiuto alla società contemporanea e che questo lavoro si prefissa di cogliere, l’inversione del problema.

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Stazione ferroviaria, Matera

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Stazione San Cristoforo, Milano.

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NOTE 1.

M. MERLEAU PONTY, Fenomenologia della Percezione, Parigi, 1945, pp.381. citato in U. Eco, Opera Aperta, Bompiani, Roma 1989.

2.

R. VENTURI, Complessità e Contraddizioni nell’architettura. Edizioni Dedalo, Bari, 1966, p. 20.

3.

A. LACATON, Reinvent. Conferenze di Novembre al Politecnico di Milano, 10 Dicembre 2013.

4.

J. DE VYLDER, Difficult Double: Eric Owen Moss and De Vylder Vinck Tallieu. Conferenza alla EPFL, 25 Marzo 2014.

5. 6.

B. BERGDOLL, Fragments, architecture and the unfinished: essays presented to Robert Middleton. Londra, Thames & Hudson, 2006, p. 323. M. AUGÈ, Rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati Borringhieri, Parigi 2004.

7.

Passaggio della Bibbia, Gen. 11. 3-9

8.

S. DAVID, Michelangelo e il linguaggio dell’arte. Citato in: Fragments, architecture and the unfinished: essays presented to Robert Middleton. Londra, Thames & Hudson, 2006, pp. 323-340. L.NEIL, ‘The architecture of the unfinished and the example of Louis Kahn.’ Citato in: Frag ments, architecture and the unfinished: essays presented to Robert Middleton. Londra, Thames & Hudson, 2006 pp. 324.

9.

10.

Cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2010. Relazione scritta del Procuratore Generale Mario Ristuccia.

11.

R. BOCCA, L’Italia incompiuta, L’espresso, 18 marzo 2010.

12.

G. DE CARLO, Prima il progetto, poi le norme, “Progettare”, giugno 1987, p. 20.

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13.

G. SLADE, Made to Break. Technology and Obsolescence in America, Harvard University Press, Cambridge,2006, p. 5. Per la trad. It. si veda la citazione riportata in S. Latouche, Usa e getta, p. 37.

14.

G. ANDERS, L’uomo è antiquato, vol. I: Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, trad. it. L. Dallapiccola, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 30.

15.

I. CALVINO, Le città invisibili, Mondadori, Milano 2002, p. 29. 388.

16.

W. MING, Fenomenologia dello stile, Abitare, Ottobre 2008.

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2. IL LUOGO DEL PROGETTO

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Oggetto di questa tesi di laurea è il risanamento ambientale ed architettonico di una vasta area sita nel territorio del Comune di Campobello di Mazara, posta in prossimità del rilevante sito archeologico delle Cave di Cusa, e già destinata, negli anni ‘70 dello scorso secolo, a luogo di impianto del locale depuratore delle acque reflue comunali. L’area, sia per le sue peculiarità ambientali e paesaggistiche, sia per le trasformazioni antropiche subite nel tempo, possiede invero caratteristiche di assoluto interesse e stimola un appassionante approccio progettuale. Essa si trova infatti sulla breve strada che, staccandosi dalla Provinciale n. 51 Campobello-Tre Fontane, conduce alle Cave di Cusa, ed è posta proprio fra i due “bagli”, in passato appartenuti alle famiglie Ingham e Florio, lentamente andati in decadenza quando l’enorme potere economico delle due famiglie venne a scemare. Singolare è il raffronto con l’area delle cave, che, utilizzate sin dal VI secolo a.C. , vennero improvvisamente e precipitosamente abbandonate nel 409 a.C. a causa della travolgente avanzata delle truppe cartaginesi al comando di Annibale, lasciando incompiuta l’estrazione e lavorazione dei manufatti lapidei destinati al cosiddetto “Tempio G” della vicina Selinunte, che difatti non venne mai più completato. In questo impareggiabile contesto paesaggistico-storico-archeologico-architettonico, intorno al 1970 si pensò bene di ubicare il depuratore comunale di Campobello di Mazara. Scelta che 34

oggi appare inspiegabile, ma che venne comunque vanificata a causa di alcune deficienze tecniche dell’impianto che ne impedirono di fatto la completa e funzionale messa in esercizio. Destino in qualche modo simile, dunque, quello del depuratore e quello dei luoghi circostanti, come se l’intera area fosse afflitta da una millenaria vocazione all’incompiutezza ed all’abbandono. Fortunatamente l’interesse per l’area archeologica delle cave è andata via via crescendo sin dai tempi dei settecenteschi “Grand Tour” ed oggi il sito è frequentato sia da studiosi della materia che dagli amanti di quel turismo colto che sempre più risorse potrebbe apportare all’immenso patrimonio culturale della nostra isola. Parimenti, si avvia verso una fruizione legata all’escursionismo culturale la sorte dei bagli Florio ed Ingham, il primo acquisito al patrimonio comunale e recentemente restaurato, il secondo, ancora di proprietà privata, destinato all’ospitalità turistica. Rimane da definire il ruolo che può oggi assumere, in tale contesto, l’area del depuratore incompiuto ed è proprio questo l’obiettivo cui questa tesi si prefigge di pervenire. Prima della descrizione degli interventi proposti, si passa quindi ad una sintetica descrizione delle aree e dei manufatti al contorno dell’area di intervento.


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lo spazio interstiziale nei rocchi in fase di estrazione

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2.1 IL GENIUS LOCI “Il genius loci è una concezione romana; secondo un’antica credenza ogni essere “indipendente” ha il suo genius, il suo spirito guardiano. Questo spirito dà vita a popoli e luoghi, li accompagna dalla nascita alla morte e determina il loro carattere o essenza [...] Il genius denota così che una cosa “esiste” o che “essa vuole esistere”, per usare le parole Luis Kahn”.1 “Le cave di Cusa, il luogo che da oltre ventiquattro secoli, sospeso nel tempo, custodisce le materie e gli artifici dai quali traeva origine la costruzione dei templi dì Selinunte. [...] E’ un luogo nel quale natura e memoria recitano un dialogo di altissima densità. E’ un segno che corre tortuoso per due chilometri nella campagna siciliana, a sud-ovest di Campobello di Mazara.. Tutto è qui disposto affinchè il luogo possa raccontare il lavoro del cantiere, la schiavitù degli uomini, la bellezza delle pietre, l’improvvisa drammatica interruzione avvenuta in una giornata dell’anno 409 a. C”.2 Indubitabilmente il luogo di cui ci occupiamo è fortemente caratterizzato dalle presenze storiche delle cave, dai due bagli Florio e Ingham, della vicina Selinunte, dalla vicinanza alla costa marina che si affaccia sul canale di Sicilia, dai banchi calcarenitici degradanti verso il mare, dagli elementi naturali che costituiscono il sistema di appezzamenti di terreno coltivati ad 38

oliveti e vigneti, la macchia mediterranea e la vegetazione palustre che circonda il Pantano Leone.

2.2 LE TRE CAVE SELINUNTINE L’importante città di Selinunte utilizzava per le proprie costruzioni materiali lapidei provenienti sostanzialmente da tre luoghi di prelievo: le Cave Latomie Landaro, le Cave di Cusa e le Cave di Misilbesi, queste ultime particolarmente adatte alla modellazione di sculture e metope, mentre quelle di Cusa offrivano rocce molto affidabili per cementazione, granulometria, colore e caratteri chimici. Si tratta di affioramenti di calcareniti, rocce nelle quali predomina il carbonato di calcio, che hanno assunto un ruolo fondamentale nell’edilizia siciliana, almeno fin quando l’uso del calcestruzzo cementizio ne determinò il progressivo abbandono. 2.3 I VIAGGIATORI DEL ‘700 “Visitare non è solo vedere. È compiere un viaggio insieme nello spazio e nel tempo. È ricostruire, attraverso quello che rimane e che ancora si vede, quello che invece il tempo ha distrutto e cancellalo. Visitare è, perciò, osservare, cu-


riosare sul particolare, fermarsi ad ammirare, immaginare e completare con la fantasia quel che non si vede, interrogare i muti avanzi delle opere dell’uomo, pensare e meditare, tornare indietro nel tempo e farsi contemporaneo di altre epoche. Visitare è esperienza della mente e dello spirito, dei sensi e dell’anima. Visitare richiede capacità di osservazione, di immaginazione e di contemplazione. Visitare richiede libertà e tempo a propria disposizione. Non si può visitare in fretta. Ogni luogo, ogni città, ma soprattutto una città antica e Selinunte è antica di 26 secoli. “ 3 Sin dagli inizi del ‘700 i giovani aristocratici del tempo cominciano ad intraprendere quei viaggi di istruzione che ne completano la formazione intellettuale ed umanistica e che diventeranno noti col nome di “Grand Tour”. E in tale contesto, la straordinaria combinazione di archeologia, architettura e paesaggio esistenti in Sicilia, renderanno l’isola una meta imprescindibile di quei viaggi, i cui resoconti contribuiranno a rivelare all’intera Europa lo straordinario patrimonio culturale siciliano e segneranno di fatto la nascita del turismo. In particolare sono proprio i luoghi della classicità greca e romana a destare l’interesse dei visitatori che ancora oggi vengono attratti dalle rovine millenarie, che nonostante l’abbandono e l’incuria patite per secoli, imprimono ancora ricordi indelebili. Le cave di Cusa fanno parte a pieno titolo di questi itinerari e notevoli sono le testimonianze che di esse ci han-

no lasciato vari intellettuali da Jean Houel a Dominique Denon Vivant. 2.4 LE CAVE DI CUSA “Le cave di Cusa sono il condensato della trasformazione della continuità: i pezzi di calcare semilavorato sono già le parti di un edificio ma ancora la geografia di quel paesaggio. Questi pezzi di architettura conservano le loro radici nella terra, sono ancora rocce.”4 Secondo l’archeologa Annelise Peschlow-Bindokat, le cave di Cusa si possono suddividere in quattro settori, ove possono osservarsi le varie fasi delle lavorazioni e la progressione degli interventi dallo scavo nella roccia fino all’avvio verso il cantiere di destinazione dei rocchi già ultimati. “La cava era quasi totalmente adibita all’estrazione di elementi cilindrici generalmente identificati come colonne o parti di esse. I vari tamburi, si trovano ancora in cava nelle varie fasi di lavorazione quasi come se il lavoro si fosse interrotto da un giorno all’altro. Troviamo tamburi appena segnati nella circonferenza superiore sulla superficie del banco roccioso. Ne troviamo alcuni in avanzato stato di cavatura; altri quasi completamente staccati ed altri già rovesciati sul piazzale antistante, pronti per intraprendere il lungo viaggio verso Selinunte. Altri, infine, dovevano trovarsi lungo la strada che conduceva alla città, come ci è testimoniato da vari autori 39


rocchio in fase di trasporto

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rocchio in fase di trasporto

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rocchio in fase di estrazione

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rocchio in fase di estrazione

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Jean Houel, planimetria delle Cave di Cusa

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Francesco Cornini, le fasi di estrazione delle colonne.

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del passato, da Fazello in poi.”5 Al momento dell’abbandono l’attività estrattiva doveva essere intensa, prova ne sia la presenza di circa sessanta rocchi di colonne, le cui notevoli dimensioni possono essere giustificate soltanto da una loro destinazione ad un grande ed imponente edificio quale poteva essere solo il Tempio “G” di Selinunte la cui costruzione è rimasta infatti per sempre incompiuta. Questo tempio, il più grande di Selinunte ed uno dei maggiori del mondo greco, presenta infatti i tratti della sua incompiutezza anche in alcune colonne già trasportate in situ ma rimaste prive di scanalature, cosa che ne segnala appunto l’incompletezza. L’importanza e l’unicità delle cave di Cusa (solo di recente in parte sminuita dalla scoperta delle cave di Mileto in asia Minore) sta quindi nella loro insolita sorte che volle la loro chiusura, istantanea ed inaspettata, dovuta non già all’esaurimento delle sue vene rocciose ma agli esiti imprevisti degli eventi bellici che determinarono la sconfitta di Selinunte, ed il temporaneo dominio cartaginese. Quello che rimase delle cave cusane, e che sfidando le ingiurie naturali ed atmosferiche è pervenuto sino a noi, è come un fotogramma che abbia fissato l’immagine di un cantiere operoso in cui le varie attività si susseguono senza sosta, mostrandoci tecniche, regole, esperienze, capacità che il tempo forse avrebbe cancellato per sempre. “Così nelle cave dei templi di Selinunte i roc46

chi giganteschi, appena cavati alla luce della notte solida, appaiono fermi per sempre nel lento viaggio di trasferimento verso i cantieri sul mare. Un evento imprevedibile ce li ha resi, appena cavati, già materiale di spoglio, definiti per un programma mai messo in atto e pronti a collaborare a un programma nuovo, non ancora determinato, che li accolga come già sono, frammenti di un edificio virtuale indecifrabile”6 (Francesco Venezia) Il processo di scavo, estrazione, lavorazione, trasporto ha impresso nel terreno l’impronta, come al negativo, del materiale estratto, creando crateri e cavità circolari di suggestiva bellezza, che in qualche modo (se il paragone non risulta azzardato!) ci rimandano alle cavità nella roccia eseguite per la costruzione di quel depuratore, incompiuto e abbandonato, ma che oggi vogliamo immaginare “pronto a collaborare a un programma nuovo….” 2.5 I BAGLI INGHAM E FLORIO L’area del trapanese è caratterizzata dalla presenza di numerosi bagli, importanti perché si possono considerare i monumenti della civiltà contadina e splendidi esempi di architettura rurale. Il termine “bagghiu” deriva probabilmente da una parola araba che significa cortile. In origine, quindi, il baglio indicava lo spazio interno, a cielo scoperto di una costruzione che lo circondava da ogni lato, una tipologia che riscon-


triamo nelle superstiti vecchie case a corte del centro storico di Campobello di Mazara. Successivamente il termine “baglio” è stato usato per indicare l’intera costruzione rurale, ed è in questo senso che sono intesi i bagli solitari e abbandonati che si trovano nel territorio circostante le cave di Cusa. Essi sono ubicati ad est del costone roccioso, in prossimità del primo tratto di strada che conduce all’ingresso delle cave. Il primo, ad angolo tra la strada provinciale e la strada comunale, che porta al già citato ingresso, è baglio Ingham, mentre il secondo, superato l’impianto di depurazione, a sinistra sullo stesso lato di baglio Ingham, è baglio Florio. La costruzione del baglio Ingham si fa risalire al 1832, come risulta da una iscrizione incisa sul portale del magazzino. Tipologicamente costituisce un baglio a corte chiusa delimitata da corpi bassi. La corte è caratterizzata da un portico che è presente soltanto per due lati del suo perimetro e, dalla presenza di due scale, che portano ad un ambiente sotterraneo che serviva per la conservazione dei prodotti agricoli. All’interno della corte vi è l’accesso agli ambienti che erano destinati a magazzini e agli alloggi per il proprietario ed i coltivatori del fondo. L’ingresso, incorniciato da un portale in pietra con arco, rappresenta l’unico tramite esterno-interno. Le coperture, ove presenti, sono a falde inclinate, e sorrette da archi ogivali Permettendo così agli ambienti di raggiungere notevoli dimensioni. Il baglio Florio risale alla prima metà del XIX secolo. Versava in uno stato di totale abbando-

no essendo ridotto ad un rudere. Della struttura originaria rimanevano solamente parte delle mura perimetrali costruite con pietra locale, ed un arco ogivale in pietra interno ad un magazzino. Entrato nella disponibilità del Comune di Campobello di Mazara il baglio, dopo un lungo intervento di recupero e di riprogettazione degli ambienti interni, è stato inaugurato nel 2009 ed affidato in gestione associata alla locale Pro Loco. 2.6 IL PANTANO LEONE Il pantano Leone è uno specchio d’acqua perenne che, nonostante sia considerato una palude inquinante, per i danni causati all’ambiente, ha contribuito a creare quasi per magia, un paesaggio pittoresco e straordinario con l’acqua che l’ambisce gli uliveti impiantati nella zona e con una vegetazione palustre che nelle annate più piovose, oltre a dare colore all’ambiente, diventa il rifugio di uccelli acquatici di rara bellezza. Le acque reflue di origine urbana ed industriale, per anni hanno alimentato la depressione naturale del terreno, dando origine a un lago la cui superficie, escluso il canneto palustre, varia stagionalmente tra i 4 ed i 7 ha, con una profondità massima variabile fra 1,50 m (periodo estivo) e 2.70 m (periodo che va dall’autunno inoltrato alla primavera in cui si concentra la 47


Baglio Ingham

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Baglio Florio

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il Pantano Leone

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maggior parte delle precipitazioni. Nel corso degli anni si sono alternati esperti del settore per trovare la soluzione migliore per risolvere il problema ambientale e poter bonificare il sito, enormemente alterato dalla presenza delle acque provenienti dalla rete fognaria. Ma fra le varie proposte certamente la più concreta fu offerta dalla Natura stessa, che, come spesso succede, risolve o quanto meno attenua i danni causati dalla superficialità umana. Inizialmente non vi era nulla, solo una grande fogna a cielo aperto, ma la natura sa come riprendersi i suoi spazi e così, spontaneamente, cominciò a crescere una nuova vegetazione, in particolare canneti palustri attorno allo stagno, formando delle grandi distese di “fragmiteti” le cui radici immerse riescono a filtrare l’acqua trattenendo le sostanze contaminanti. Ben presto così la natura diede vita ad una “fitodepurazione naturale”, che iniziò a modificare le caratteristiche organolettiche dell’acqua dello stagno, permettendo la nascita di nuova vegetazione e le condizioni per la vita della fauna. Lo stagno, fin dalla sua nascita conosciuto come “acqui fitusi”, il 9 aprile 2000 venne ribattezzato “Pantano Leone” dall’ornitologo Vincenzo Sciabica, con l’approvazione della comunità scientifica internazionale. Le acque, ricche di nutrienti, hanno dato così vita a una rigogliosa vegetazione, che con le proprie qualità depurative hanno permesso allo stagno di diventare luogo di rifugio, alimentazione e riproduzione dell’avifauna acquatica e

migratoria proveniente dall’Africa. La presenza di una flora e di una fauna di rilevante importanza ecologica per la conservazione di specie rare ha fatto si che il pantano diventasse a tutti gli effetti una fonte di attrazione per la comunità scientifica europea, fino ad avere i riconoscimenti di “Sito di interesse Comunitario” (SIC) prima, “Zona di Protezione Speciale” (ZPS) dopo e infine di “Zona umida di interesse internazionale” secondo la convenzione di Ramsar. Tuttavia l’equilibrio che si è venuto a creare nell’ecosistema del Pantano Leone è stato seriamente messo a repentaglio nel 2008 quando il Comune di Campobello di Mazara si è dotato di un nuovo impianto di depurazione comunale collocato a valle del Pantano Leone che, se da un lato risolve i problemi di gestione delle acque reflue urbane con una moderna depurazione, dall’altro impedisce l’approvvigionamento idrico del pantano stesso, in quanto scarica le acque depurate direttamente in mare, mettendo seriamente a rischio sia la vegetazione che i flussi migratori che caratterizzano da anni il sito. 2.7 IL VECCHIO IMPIANTO DI DEPURAZIONE DEL COMUNE DI CAMPOBELLO DI MAZARA Per la gestione delle acque reflue urbane il Comune di Campobello di Mazara, nei primi anni ‘70, curò la realizzazione della rete fognaria e di un impianto di depurazione delle acque reflue urbane. Tale progetto diede vita alla rete 51


fognaria comunale tuttora esistente che veicola sia le acque “nere” provenienti dagli scarichi, che le acque “bianche” di origine meteoriche in un unico canale emissario the alimenta l’impianto di depurazione. Basandosi sugli standard previsti prima del ‘76, si realizzò così un impianto di depurazione completo a fanghi attivi, comprensivo di sedimentazione primaria e secondaria, con una digestione anaerobica dei fanghi e conseguente utilizzo a scopi energetici del biogas prodotto durante la digestione. L’impianto era formato da una linea-acque, costituita da diverse unità attraverso le quali vengono progressivamente rimossi gli inquinanti dalla fase liquida dei reflui mediante trattamenti “meccanici” e “biologici”, con la produzione di sedimenti a elevato contenuto di umidita, (fanghi) e da una linea-fanghi per il trattamento dei prodotti della linea-acque, mediante meccanismi “biologici” al fine di operarne la stabilizzazione e la disidratazione per permettere il successivo smaltimento in discarica. Linea acque La linea acque è composta dalle seguenti unità: 1. Grigliatura, che ha il compito di rimuovere i solidi grossolani, che possono intasare e danneggiare apparecchiature e condotte; 2. Dissabbiatore a canale, per la rimozione dei solidi sospesi sedimentabili di natura inerte, che possono determinare l’abrasione dei successivi comparti; 3. Sedimentatore primario, per la rimozione dei 52

solidi sospesi sedimentabili, di natura inerte e organica, dotata di lama di sfioro Thompson per raccogliere il chiarificato nella canaletta perimetrale e di ponte raschiatore per rimuovere i sedimenti che si depositavano sul fondo della vasca; 4. due Vasche in serie, che avevano lo scope di “laminare e decelerare” il flusso delle acque provenienti dalla sedimentazione primaria; 5. Ossidazione biologica a fanghi attivi, dove sei vasche rettangolari funzionanti in parallelo avevano lo scopo di rimuovere la sostanza organica sfruttando il metabolismo delle biomasse in condizioni aerobiche, producendo nuova materia cellulare in forma sospesa (rimovibile mediante sedimentazione) e cataboliti stabili; 6. Sedimentatore secondario, per la rimozione dei solidi presenti nella vasca a fanghi attivi. 7. Vasca di accumulo che confluisce nella condotta the porta il refluo trattato al recapito. Linea fanghi La linea fanghi era così costituita: 1. due vasche di pre-ispessimento, che hanno lo scopo di aumentare la concentrazione dei solidi nei fanghi, previste a monte della fase di stabilizzazione per ridurre le dimensioni del digestore, ma con lo svantaggio di trattare fanghi ancora non stabilizzati, dotate di lama di sfioro e passerella di ispezione; 2. Digestione anaerobica, per la stabilizzazione dei fanghi, con la produzione di biogas, che, avendo elevato contenuto energetico, è utilizza-


bile per la produzione di energia termica e/o elettrica; 3. Disidratazione fanghi, dotato di -Centrifuga, che ha il compito di diminuire il contenuto di acqua (cioè l’umidita) presente nei fanghi già stabilizzati dal digestore per permettere il loro smaltimento in discarica unitamente ai rifiuti solidi urbani; -Letto di essiccamento naturale, costituito da un letto drenante con lo stesso scopo, della centrifuga. Annesso al digestore vi è inoltre un gasometro per lo stoccaggio del biogas all’intero stesso dell’impianto. Problemi funzionali dell’impianto L’impianto di depurazione prima descritto, fin dalla sua progettazione, presentava i seguenti problemi di natura economica e strutturale: PROBLEMI DI NATURA ECONOMICA: un impianto a schema “completo”, dotato di sedimentazione primaria e digestione anaerobica per produrre ed utilizzare di biogas come fonte di energia, è opportuno per impianti di potenzialità medio-grandi (superiori a 70.000/100.000 abitanti equivalenti) e non per piccole comunità come quella in questione. In questo caso la maggiore complessità impiantistica e di gestione che tale schema comporta, con elevati costi di mantenimento e gestione, non è compensata dal ricavo di esercizio dovuto alla produzione di biogas.

PROBLEMI STRUTTURALI: la mancanza di una vasca di contatto per la disinfezione delle acque trattate all’interno dell’impianto, che comporta la presenza di microrganismi patogeni nelle acque da inviare al recapito e, soprattutto, un errore di quote nel posizionamento della condotta, avrebbero potuto causare l’espandersi del refluo nei pressi dell’impianto e nello stesso abitato, arrecando un ingente danno anche al parco archeologico delle Cave di Cusa, presente nelle vicinanze dell’impianto. Tali problemi, uniti all’impossibilita di rispettare i parametri fissati dalla Legge Merli entrata in vigore durante la realizzazione del progetto, determinarono la decisione dell’amministrazione comunale protempore di non autorizzare l’entrata in funzione dell’impianto, determinando cosi l’abbandono più totale dell’opera con una conseguente ingente perdita economica e, soprattutto, con un grave danno di natura ambientale per il territorio.

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Il depuratore incompiuto. Il rapporto fra le vasche.

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NOTE 1. C. Norberg - Schulz, Genlus Luci, Paesaggio Ambiente Architettura, Ed. Electa, Firenze 1979, p. 18. 2. Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Glardino,Decima Edizione, Cave di Cusa, Fondazione Benetton Studi Ricerche, Treviso 1999, p. 4. 3 M. Bianco, A. Sammartano, Selinunte, Ed. Medusa 1998, p.31. 4. Premio internazionale Carlo Scarpa per il giardino, decima edizione, 1999: Cave di Cusa / [a cura di] Fondazione Benetton studi ricerche stampa 1999, pag 32. 5. Sebastiano Tusa. Il viaggio della pietra, da Cusa a Selinunte Oida edizioni, Palermo. 1987, pag. 22. 6. Premio Internazionale Carlo Scarpa per il giardino: decima edizione, 1999: Cave di Cusa / [a cura di] Fondazione Benetton studi ricerche stampa 1999, pag 32.

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2.8 RAPPRESENTAZIONE DELLO STATO DI FATTO




Cave di Cusa

Baglio Florio

Depuratore

Baglio Ingham











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3. IL PROGETTO

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3.1 FINALITA’

“L’architettura è la scena fissa delle vicende dell’uomo; carica di sentimenti di generazioni, di eventi pubblici, di tragedie private, di fatti nuovi e antichi.” Aldo Rossi Il sito ove insiste il vecchio depuratore incompiuto è caratterizzato dai manufatti già descritti e consistenti sostanzialmente in varie cavità prevalentemente circolari scavate nella roccia e che presentano al loro interno elementi atti al funzionamento dell’impianto. Come più volte ribadito, tale impianto non venne mai reso completamente operativo in quanto alcune manchevolezze strutturali ne impedirono la messa in esercizio. Si è anche messo in evidenza come un destino di incompiutezza e di abbandono sia stato comune nel tempo anche alle altre zone limitrofe, e nonostante ciò queste ultime si avviano oggi ad assumere un nuovo ruolo nel settore del turismo culturale. Finalità dell’intervento è quindi quella di far partecipare anche l’area del vecchio depuratore alla complessiva riqualificazione e valorizzazione del sito, in un contesto che metta in connessione le peculiarità della zona archeologica delle cave di Cusa con quelle dell’accoglienza, del ristoro, dell’informazione e formazione cul90

turale dei flussi di visitatori sensibili al richiamo delle attrattive archeologiche, architettoniche, paesaggistiche del luogo. L’architettura d’altronde in un primo momento è solo un’idea nella mente di qualcuno, e non esiste come forma fisica. Essa è sempre una risposta ad una particolare situazione contingente, e in qualsiasi momento un evento previsto o imprevisto può rimettere in discussione la base della stessa definizione architettonica. Tali eventi potrebbero ad esempio essere il semplice cambiamento di proprietari con diversi desideri o bisogni, un incidente, o un cambiamento in una situazione politica o economica. Non deve quindi stupire che un’impianto destinato al trattamento di acque fognanti possa invece virare la sua funzione verso un utilizzo del tutto differente da quello cui era preordinato. L’intervento sarà quindi destinato alla ricettività turistico-alberghiera, con spazi di relax ed intrattenimento.


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3.2 ANALISI DELLE STRATEGIE

La prima fase di lavoro è consistita in un’attenta analisi del sito, con lo scopo di individuarne le caratteristiche più significative. Non vi è dubbio che gli elementi più caratterizzanti siano costituiti dalle vasche scavate nella roccia, che si presentano come veri e propri “crateri”, richiamando alla memoria proprio quelle impronte lasciate nel suolo dallo scavo delle colonne nelle vicine cave di Cusa, quasi che anche da esse fossero stati estratti dei “rocchi” usati per chissà quale altra costruzione. A questo punto si è posto il dubbio su come e a quale scopo trattare quei vuoti, volendo comunque seguire un percorso coerente e unitario. Se agire per “riempimento” riconfigurando l’orografia originaria del sito, o per “estrusione” come se da quei vuoti venissero fuori nuovi elementi costruttivi, o se inve92

ce non dovesse essere mantenuta l’impronta di quei vuoti come una sorta di negativo. Innanzitutto si è deciso di lasciare inalterata l’alternanza di pieni e vuoti nella superficie del terreno, e di limitare le parti costruite alle aree non interessate dai vuoti delle varie vasche. L’intervento (come meglio illustrato nella parte descrittiva e grafica) sarà pertanto costituito da una piastra, costruita sulla parte ovest del fondo, e posta pressoché al livello di accesso, al di sotto della quale trovano posto le varie aree funzionali della struttura; piastra che viene “bucata” dalla presenza dei vuoti delle vasche esistenti, che mutano quindi la loro funzione in corti interne atte a dare luce e aria ai nuovi locali. Altri manufatti, ricadenti al di fuori della piastra, verranno invece utilizzati come aree di accesso, di documentazione e mostra, ed attività ricreative.


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3.3 RIFERIMENTI PROGETTUALI

Tettonica e stereotomia Il tema della tettonica dell’architettura, è da qualche anno, ritornato ad essere oggetto di rinnovate riflessioni teoriche e critiche in una parte rilevante del dibattito architettonico. Sul complesso e ambiguo rapporto tra struttura e rivestimento, possiamo riconoscere nel lavoro di Alberto Campo Baeza una riaffermazione moderna della validità di una ricerca della stringente implicazione tra linguaggio e costruzione dell’architettura. Egli in “L’idea costruita” raccogliendo i concetti di “Stereotomico” e “Tettonico” da Gotfried Semper tramite Kennet Frampton, sintetizza così i due termini: 1. ARCHITETTURA STEREOTOMICA. Intendiamo per Architettura Stereotomica quella in cui la gravità si trasmette in maniera continua, in un sistema strutturale continuo dove la continuità costruttiva è completa. È l’archwitettura massiccia, pietrosa, pesante. Quella che poggia sulla terra come se nascesse da lei. È l’architettura che cerca la luce, che perfora i suoi muri per fare in modo che la luce 98


A. Campo Baeza, schizzo di studio, Centro Bit. 1995 99


entri in lei. È l’architettura del podium, del basamento. Quella dello stilobate. È, riassumendo, l’architettura della caverna. Es: Pantheon1 2. ARCHITETTURA TETTONICA. Intendiamo per Architettura Tettonica quella in cui la gravità si trasmette in maniera discontinua, in un sistema strutturale con nodi dove la costruzione è sincopata. È l’architettura ossea, legnosa, leggera. Quella che si posa sulla terra come in punta di piedi. È l’architettura che si difende dalla luce, quella che deve velare le sue aperture per poter controllare la luce che l’innonda. È l’architettura dell’involucro. Quella dell’abaco. È, riassumendo, l’architettura della capanna. Es: Cattedrale gotica.2 L’uomo come animale si rifugiò nella caverna, come essere razionale costruì la capanna. L’uomo colto, creatore, concepì la casa come dimora per abitarla. Nel definire il muro come “mera chiusura spaziale”, G.Semper aveva ricollocato l’origine dell’architettura all’interno di una instabilità della costruzione. Semper guarda infatti al muro come Wand, schermo, partizione e Ge-Wand, ornamento, superficie. Viene proposta una ipotesi di paragone tra architettura e corpo: come il corpo nudo è protetto dal vestito, gli oggetti sacri e gli spazi sono coperti o racchiusi per essere protetti dalla vista.3 Per H.Kollhoff “La tettonica è la dottrina del comporre da un singolo pezzo un insieme, da un manufatto edilizio una architettura, da una costruzione un’opera d’arte. Tettonica come ter100


A. Libera, Villa Malaparte, Capri. 1940 101


mine estetico implica un principio basato sulla massività della costruzione, cosa distinta, non semplice da riscontrare nell’attività progettuale degli architetti, o lasciata separata nelle opere di costruzione degli artisti-architetti.”4 Proprio nell’idea di unità architettonica della costruzione sta la chiave interpretativa del concetto di tettonica. Nell’impostazione semperiana, tettonico è opposto a stereotomico: tettonica è infatti “l’intelaiatura/tetto” della struttura lignea dell’abitazione primordiale (basata in parte su una capanna caraibica esposta alla Grande Esposizione del 1851); opposto ad essa è il basamento “stereotomico”, dove la massa e il volume sono dati da ripetuti elementi pesanti congiunti (stereos, solido, tomia, taglio). Un approccio “tettonico” alla costruzione dell’architettura non va meramente interpretato in relazione alla scelta di un sistema costruttivo; ripercorrendo in senso estensivo l’interpretazione di tettonica come “poetica della costruzione” in rapporto alle variabili del luogo (topos) e dell’istituzione (typos) , possiamo ritrovare nella tessitura e nella connessione dei suoi elementi la tettonica di un muro di mattoni o di pietra.5 Oggi i rivestimenti in pietra sono lastre, di solito, di spessore variabile tra 3 e 6 cm. Nella disposizione delle lastre in facciata si usano due opposte modalità: si tratta l’edificio come un cubo astratto cui viene applicata una maglia rettangolare e lo si “divide” in piccoli pezzi. Di solito i giunti, aperti, mostrano una presunta 102


A. Campo Baeza, edificio per uffici, Zamora. 2012 103


“sincerita” costruttiva, lasciando vedere, avvicinandosi all’edificio, gli ancoraggi in acciaio del rivestimento al supporto; le tolleranze, variabili (5-10mm) rendono ancora più problematica la percezione. Nel caso in cui si usino, per ragioni di economia, lastre di uguale dimensione, la parete diventa, in un processo di astrazione, pavimento. Il secondo approccio, sperimentato in una ricerca ventennale da Kollhoff, sta nell’articolazione delle lastre secondo un principio tettonico “con la consapevolezza che nel costruire esiste un sopra e un sotto, che la conclusione del tetto deve soddisfare altre esigenze rispetto alle linea di terra, che il davanzale è diverso dall’architrave (…) Per questo noi consigliamo (…) di costruire la facciata posando i rivestimenti a strati, cioè lavorando sull’effetto di rilievo. Le lastre si possono traslare una dietro l’altra senza problemi. Le tolleranze vengono coperte, le fughe delle giunzioni sono inevitabili solo nella zona dell’architrave. Con una forma architettonica sublimata si ottengono l’immagine monolitica (stereotomica,) e il gioco di luce e ombra che tanto ci impressionano della pietra, prima che venga tagliata.”6 Una rinnovata consapevolezza intorno alla tettonica puo essere un proficuo aggiornamento nella pratica del costruire:, quale chiave “capace di non ridurre l’architettura a prodotto commerciale, più spettacolare di altri ad essere travestito da opera d’arte”. 6

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A. Campo Baeza, Olnik Spanu House, Garrison, New York. 2008

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A. Campo Baeza, house of Infinite, Cadice. 2014

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Tempio di Hera, Selinunte. VI sec. a. C.

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Mies van der Rohe, Neue Nationalgalerie, Berlino. 1968



Trama e labirinto

La moltitudine delle sorprese spaziali nasce dalle variazioni inserite entro uno stesso ordine costruttivo, mentre la unitĂ spaziale a sua volta viene sottolineata da queste variazioni su uno stesso tema. 7 Aldo van Eyck

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A. van Eyck, modello di studio, Sonsbeek Pavilion, Arnhem. 1966 111


La qualità di uno spazio è data dalle superfici che lo contornano. In quest’ottica appare fondamentale la ricerca di Aldo Van Eyck sugli spazi interstiziali e sul recupero degli spazi abbandonati. I suoi progetti possiedono in effetti un’arte straordinaria della transizione e una sorprendente articolazione dello spazio architettonico. Particolare attenzione viene riservata da Van Eyck agli spazi intermodulari: il modulo ottagonale utilizzato nella casa per ragazze madri o nella casa Visser, genera spazi intermodulari di quattro lati; alcuni progetti mostrano edifici racchiusi uno dentro l’altro o a recinti successivi come il centro culturale di Gerusalemme; altri pongono in relazione il cerchio con il quadrato, come nel padiglione di scultura di ArnheimAnalogo interesse mostra Van Eyck verso il rapporto tra interno ed esterno: spesso viene adottato un gioco di restrizioni e di elargizioni che traduce nello spazio una sorta di ritmo respiratorio. 8 Così la relazione fra l’interno e l’esterno viene quasi ad assumere un aspetto temporale. La stessa matrice a reticolo viene estesa dagli spazi coperti a spazi semicoperti o esterni (Orfanotrofio di Amsterdam, casa Visser).9 112

L’architettura può servire al raggiungimento della nostra meta solo se include e non esclude mai gli opposti essenziali e neppure smentisce metà della verità. Il genere di complessità formale che risulta nel mio caso è inteso a dare una risposta e a sostenere la complessità umana. Io inseguo la semplicità soltanto ( non la semplificazione di cui diffido). Naturalmente nel momento in cui tale inclusiva semplicità viene raggiunta, sarà di un genere complesso. La complessità come esercizio formale quantitativo mi è insopportabile.10


A. van Eyck, schemi di studio, Sonsbeek Pavilion, Arnhem. 1966 113


John Hejduk, Diamond House, 1967 114


SANAA, plastico di studio, Museo del XXI Secolo, Kanazawa. 2004 115


NOTE 1.

Campo Baeza A., L’idea costruita, Lettera Ventidue, Roma, 2012, p.34.

2.

Campo Baeza A., L’idea costruita, Lettera Ventidue, Roma, 2012, p.36.

3.

Semper G., Lo stile, Laterza, Bari, 199, p. 72

4.

Kollnoff H., H.Kollhoff, H.Timmermann, Prestel, 1999, p. 102.

5.

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9. Nicolin P. , Aldo van Eyck La trama e il labirinto, in Lotus International n° 11, Milano, 1976 10. Van Eyck A., Chiesa cattolica a L’Aia, in Lotus International n° 11, Milano, 1976

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3.4 DESCRIZIONE DEL PROGETTO

Il progetto comprende due diversi programmi ai quali sono state associate due diverse strategie di intervento. Il primo è quello costituito dall’albergo, con le sue attrezzature tecniche ed amministrative, camere, zone di accoglienza e ristoro, spazi aperti, piscina ecc. ; La strategia di tele intervento prevede la realizzazione di un volume monolitico che va ad inglobare tutte le vasche esistenti sul lato ovest del sito. Il secondo programma riguarda un percorso espositivo sulle vicine Cave di Cusa. Tale programma utilizza invece la strategia opposta cioè quella di mantenere e sviluppare i volumi contenenti il percorso, all’interno delle vasche. 118


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La piastra Il progetto dell’hotel prevede la realizzazione di una piastra che va ad “appoggiarsi” sopra le vasche, lasciando le stesse a cielo aperto e sostituendo i volumi di terra ad esse circostanti con il volume della nuova struttura alberghiera; le vasche diventano così dei “vuoti”, come fossero quindi dei “negativi” , assumendo la nuova funzione di corti all’interno di questo volume. L’edificio, posto come detto a + m. 0,50 sulla quota stradale, mantiene il suo piano di copertura perfettamente orizzontale, emergendo dal suolo man mano che si procede verso sud, ciò grazie alla conformazione del terreno che degrada via via verso il mare.

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Il processo progettuale si è andato definendo per steps, ove in un primo tempo si è attentamente esaminata l’orografia generale del sito e la struttura fisica e dimensionale dei vari manufatti ivi presenti. Si è deciso di eliminare le strutture, del resto assai modeste, emergenti dal suolo e non aventi più alcuna funzione utile per la nuova destinazione d’uso, e di valorizzare al massimo quei manufatti che si presentavano come cavità rispetto al livello del terreno. L’allineamento pressoché preciso delle vasche (vuoti) sulla parte ovest del sito, ha suggerito di mettere in risalto questi vuoti, che vanno a bucare la piastra rimandando così ai crateri lasciati dagli scavi dei rocchi nelle vicine cave.


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La regola La distribuzione interna del nuovo edificio, ha richiesto la determinazione di una maglia, una “regola”, che è stata anch’essa ricavata dalla struttura dei manufatti esistenti. Si è infatti sfruttata la suddivisione in sei settori della grande vasca rettangolare , utilizzando il prolungamento dei setti divisori per determinare appunto la maglia regolatrice della distribuzione interna. Su tale tracciato regolatore sono state però operate alcune “variazioni”, eccentricità che hanno determinato una maggiore complessità che va evidenziandosi man mano che si procede nell’attraversamento dell’edificio. Il volume, esternamente così semplice, quasi austero, nasconde al suo interno questa forte complessità. Il visitatore viene così costretto alla “scoperta” di questa complessità, costituita dal gioco degli assi - prolungamenti dei setti della vasca rettangolare - che si vanno progressivamente 122

curvando creando degli spazi interstiziali all’interno del giardino ed all’interno delle camere. Il gioco della complessità si arricchisce ulteriormente progredendo verso il piano inferiore, ove alle variazioni poste lungo l’asse distributivo, si aggiungono quelle operate all’interno delle camere e nei cortili ad esse afferenti, con l’intento di ottenere la massima varietà della tipologia alloggiativa, e la differenziazione planimetrica e colturale dei giardini. Il lungo asse distributivo che percorre l’intero edificio viene quindi visivamente frammentato da queste variazioni, inducendo il visitatore non già all’immediata e scontata percezione visiva dell’intero intervento, bensì alla curiosa e intrigante scoperta delle varie aree, fino allo spettacolare e suggestivo affaccio posto a sud sulla vallata sottostante, con sullo sfondo il pantano Leone ed all’orizzonte il mare.


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Il programma Il programma all’interno dell’edificio è distinto in base alle varie vasche. La prima vasca, procedendo da nord verso sud, contiene la scala che collega il piano della grande piastra con il livello inferiore, ove è ubicata la zona ristorazione, tutta vetrata, ed i servizi annessi. In questa vasca viene mantenuto il rapporto con la roccia circostante che viene conservata per quanto possibile nella sua configurazione originale. Segue la vasca rettangolare più piccola, l’unica che viene coperta, al di sopra del livello della grande piastra, da una tettoia sotto la quale, al riparo da intemperie e solleone, si sviluppano le scale e gli ascensori di collegamento fra i vari piani. La terza vasca, anch’essa rettangolare, è quella dalla quale come si è detto, è stato tratto il modulo ordinatore dell’intervento. Su di essa si affacciano al primo livello, l’area amministra124

tiva, gli spazi comuni di convegno e ritrovo e, sul lato opposto le camere; al piano inferiore i vari settori in cui era originariamente suddivisa la vasca, vengono utilizzati come giardini privati delle camere poste a questo livello. A seguire troviamo la vasca circolare più grande, sulla quale si affacciano, su uno spazio collettivo, le camere poste al primo livello ed alcuni spazi comuni, mentre al livello sottostante essa funge da ingresso alle camere poste sul lato sud. La vasca, sia dal punto di vista bioclimatico, che da quello funzionale e distributivo, richiama gli insediamenti ipogei di origine berbera del villaggio tunisino di Matmata. Attraverso una larga apertura posta sul fianco est dell’edificio, una scalinata collega il piano di questa vasca con il terreno circostante. E’ questa la vasca ove, da un punto di vista formale, si è perseguito il criterio dell’equilibrio degli oppo-


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sti: al piano più basso ciò che è chiuso da un lato, è aperto sul fronte opposto; i setti divisori che da una parte contaminano e frammentano la vasca, dalla parte opposta si arrestano all’interno dell’edificio; l’asse distributivo che aggetta sulla vasca, dal lato opposto rientra all’interno. Lo stesso criterio determina anche un diverso assetto distributivo: se da un fronte le camere hanno acceso dall’interno dell’edificio, dal lato opposto esse si affacciano direttamente sulla vasca e hanno accesso dall’esterno. Infine la piscina, che costituisce l’unica eccezione alla strategia dei “vuoti” fin qui seguita. Questa vasca è trattata in modo differente da tutte le altre, e viene a costituire l’unico “pieno” dell’edificio. Infatti la roccia attorno ad essa viene incisa e lasciata a vista, ed all’interno dell’intercapedine così ottenuta viene ubicata una rampa di collegamento fra i diversi livelli, costituiti dalla zona fitness, dalla piscina vera e propria, e dalla terrazza panoramica che costituisce il terminale di tutto il progetto. La vasca si erge quindi come un monolite, un “rocchio” pronto da estrarre, che richiama alla memoria i rocchi delle vicine cave di Cusa. Occorre evidenziare inoltre che ai fianchi dell’edificio corrono dei canali tecnici che fungono da “indiana” di isolamento dal terreno circostante e sono atti ad ospitare le varie canalizzazioni degli impianti tecnologici. 126


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Il percorso Il secondo programma, riguardante il percorso espositivo, utilizza invece la strategia opposta cioè quella di mantenere e sviluppare i volumi contenenti il percorso, all’interno delle vasche. Proprio per mantenere inalterata la volumetria di queste vasche, si prevede un “sentiero” che, partendo dalla zona di accesso sulla strada, attraversa i due manufatti: il sentiero taglia la collinetta che circonda la prima vasca, le cui pareti vengono forate dal percorso, permettendo di accedere all’interno della vasca, che per il resto, mantiene le sue caratteristiche attuali; si rende così comprensibile al visitatore ciò a cui era destinato l’impianto di depurazione sul quale operiamo, ed al contempo lo 128

si avvia alla percezione del percorso espositivo contenuto all’interno del secondo manufatto. Quest’ultimo, la “piramide”, viene anch’esso forato ed attraverso una spirale che si avvolge su se stessa al suo interno, sul modello wrightiano del Guggenheim Museum di New York, conduce il visitatore a percorrere la zona espositiva vera e propria, profonda circa 13 metri ed illuminata dall’alto, ove con pannelli didattici e audiovisivi, vengono illustrate le particolarità storiche, artistiche, geologiche delle cave di Cusa dai tempi del loro utilizzo fino ai nostri giorni. Un percorso ipogeo riporta quindi i visitatori dal fondo della piramide verso le scale e gli ascensori che risalgono al vestibolo di ingresso.


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3.5 ELABORATI GRAFICI

planimetria di inquadramento territoriale: le cave, i bagli, l’area di progetto 130


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planimetria generale: l’area di progetto. 132


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pianta delle coperture hall d’ingresso. 134


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Albergo. pianta primo livello. 136


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Albergo. pianta secondo livello. 138


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Albergo. Prospetto e sezione longitudinale. 140


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Albergo. Prospetto e sezione longitudinale. 142


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Albergo. Prospetto e sezioni trasversali. 144


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Albergo. Sezioni trasversali. 146


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Albergo. Prospetto e sezioni trasversali. 148


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Percorso espositivo. Pianta delle coperture e del livello d’accesso. 150


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Percorso espositivo. Pianta del livello di accesso alla piramide e del livello ri uscita dalla piramide 152


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Percorso espositivo. Sequenza di sezioni lungo il percorso espositivo. 154


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Percorso espositivo. Sezioni. 156


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Percorso espositivo. Sezione e prospetto. 158


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ANDREA BENINCASA andreabenincasa92@gmail.com

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