L'immaginario si fa immagine il processo traduttivo da visualizzazione mentale a prototipo audiovisivo
Politecnico di Milano Anno Accademico 2018/19
Tesi di Laurea Magistrale in Design della Comunicazione
L'immaginario si fa immagine. Il processo traduttivo da visualizzazione mentale a prototipo audiovisivo
Studente: Andrea Egidi (896962) Relatori: Marco Capovilla, Maria Luisa Galbiati
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INDICE
0. introduzione
1. la tematica 1.1
Introduzione alla Mindfulness
1.2 Embodiment. La PNEI, oltre la medicina tradizionale
2. l’ascolto
1.3 Il Metodo Simonton
2.1 Caterina e la sua visualizzazione 2.2 Traduzione da immaginario a immagine
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3. Arte e scienza 4. La creatività 4.1 Il documento di creatività 4.2 Lo storyboard
5. IL PROGETTO 5.1 Le riprese 5.2 Gli elementi 3D 5.3 La composizione
6. Conclusione
Bibliografia
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INTRODUZIONE Il progetto nasce a luglio 2019, dopo una chiacchierata con la mia amica Beba che mi racconta di un’innovativa tecnica psicoterapeutica di visualizzazione a cui si sta sottoponendo sua madre, Caterina Vitali, che al tempo lottava e che ora sta sconfiggendo una forma rara di tumore. Con l’assistenza della psicologa, la dott.ssa Luciana Murru dell’Istituto Nazionale dei Tumori, Caterina è stata introdotta al Metodo Simonton, pratica psico-oncologica di supporto alle cure chemioterapiche, ancora poco conosciuta al mondo, e tanto meno in Italia. Attraverso il rilassamento e le visualizzazioni, la paziente è stata guidata e preparata a gestire l’ansia e lo stress che le cure invasive e la malattia procurano. La pratica è divisa in due momenti; il rilassamento psico-fisico, indotto da esercizi di respirazione e concentrazione, e la visualizzazione, ovvero lo sforzo nel creare immagini mentali spontanee o intenzionali, metafore del processo di guarigione. Caterina, art director di professione, non
ha impiegato troppo tempo nel costruirsi un suo immaginario ben chiaro e dettagliato, e, dopo una singola sessione guidata di rilassamento e visualizzazione, le è riuscito molto naturale continuare il metodo in autonomia. Col tempo la chemioterapia è diventata per lei un momento di raccoglimento, di solitudine e pace, dove, con musica classica in cuffia, chiusa in una coperta, lasciava agire le medicine e la sua mente era concentrata, proiettata in un mondo fittizio creato da lei stessa, dell’immaginazione. Prima dell’inizio della chemioterapia non riusciva ad accettare la necessità di un trattamento così fisicamente gravoso, che nell’immediato porta con se molti effetti collaterali e nessun tipo di miglioramento visibile. Durante la chemioterapia il corpo reagisce violentemente, e viene d’istinto leggere tali fenomeni più come un ribellarsi alla cura che una risposta di efficacia. L’idea del progetto si è formata solo nel momento in cui Caterina ha sentito la necessità di ester-
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nare l’immaginario sviluppatosi nella sua testa. Il mio intervento consiste infatti nel provare a essere un traduttore visuale oggettivo di una realtà del tutto soggettiva e personale; lo scopo, definito fin dal primo incontro, è stato quello di rappresentare a video le visualizzazioni di Caterina. Come progettista il mio intento è quello infatti di creare un elaborato multimediale che escluda qualsiasi intimismo personale ma che, attraverso l’ascolto pedissequo e analitico della narrazione e descrizione delle visualizzazioni, possa essere rappresentazione fedele del suo immaginario. Questa tesi è da considerasi come un report metodologico e produttivo di come ho agito in tutto il processo di creazione di tale prodotto multimediale, dalla primissima fase di ricerca al risultante finale. Il progetto è pertanto un artefatto documentaristico e di reportage sperimentale, dove, se da un lato la finalità è quella di informare un pubblico eterogeneo costituito da
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INTRODUZIONE
personale clinico, pazienti e curiosi di medicina alternativa, dall’altra si tenta di creare una traduzione ed esternazione di un processo mentale soggettivo attraverso un video a tecnica mista. Ho voluto porre più enfasi nei primi capitoli, nei quali vado a descrivere come la ricerca sulla tematica, prima di tutte, seguita da una ricerca metodologica, siano state propedeutiche all’inizio del progetto. Questa prima fase di desk research è stata tale al fine di preparami al momento cruciale dell’ascolto, dove io e Caterina, faccia a faccia, ci siamo confrontati sullo sviluppo della narrazione e dei metodi di riproduzione. La prima istanza è quella di delineare il campo di studio del Metodo Simonton, partendo dalla descrizione della Mindfulness, le teorie, le critiche e i trend (da notare che tutte le ricerche correlate al tema della Mindfulness sono contestualizzate nella società americana dagli anni ’70 ad oggi), alla scienza della PNEI - psiconeuroendocrinoimmunologia, fino al concetto di embodiment corpo-mente. Un secondo approfondimento è stato d’aiuto a seguito dell’incontro di ascolto con Caterina, al fine di comprendere le varie metodologie di traduzione e transcodificazione da un linguaggio dell’immaginario a immagine. Questo momento è infatti da definirsi il più delicato e cruciale di tutto il progetto poiché il designer, nei termini di questo tipo di progetto, deve ascoltare la persona in maniera del tutto oggettiva, evitando qualsiasi tipo di interpretazione e astenendosi
da qualsiasi tipo di pregiudizio di tipo estetico. L’approccio è del tutto sperimentale e personale, poiché non applicabile universalmente ad altre casi. Tuttavia, è interessante menzionare in questa tesi alcuni interventi tra l’arte e scienza, come gli artisti operano a livello comunicativo una rielaborazione di concetti scientifico-astratti. L’arte infatti è un ottimo strumento di lettura di molti fenomeni, alcuni dei quali la scienza ancora non riesce a dare spiegazione, come in questo caso, i meccanismi immaginifici della mente e la loro traduzione visuale. Da questo primo confronto ho ritenuto opportuno creare un documento di creatività (o art direction), il quale stabilisce a livello foto-videografico i vari elementi della visualizzazione. Questo documento è da considerarsi come il primo elaborato di traduzione visiva dell’immaginario di Caterina. È una moodboard di fatti che diventa l’intermediario tra i due interlocutori che dialogano. Da queste linee guida si incomincia a delineare il progetto vero e proprio: che artefatto ci si aspetta, che tecniche vengono utilizzate, come vengono espressi i messaggi, come vengono curati i singoli dettagli stilistici. Lo scambio di informazioni tuttavia non finisce con la stesura di un documento, che viene consultato ogni qualvolta si agisce produttivamente, ma di volta in volta c’è un continuo confronto che termina con il progetto stesso. I due interlocutori sono sempre in comunicazione per tutto il tempo del progetto. I capitoli successivi trattano quindi tutte le fasi
della produzione, che in questo specifico caso si è sviluppato ha avuto tale sviluppo: lo shooting, la costruzione e animazione in 3d degli elementi, la composizione, il montaggio e il color grading delle scene finali.
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LA TEMATICA 5
PER UNA MEDICINA PIù OLISTICA E INTROSPETTIVA
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la Tematica
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Introduzione alla Mindfulness
Il Metodo Simonton si colloca tra le varie tecniche di Mindfulness, ovvero tutte quelle pratiche meditative di base a trattamenti psicologici, i quali sono stati sviluppati e cercano validazione in ambito clinico. Queste infatti hanno dimostrato aver grandi benefici per patologie psicologiche con anche miglioramenti di molti parametri ematici, come quelli legati a patologie infiammatorie. Attraverso esercizi meditativi si porta il soggetto a porre l’attenzione su di sé e sul momento presente. Tutte queste tecniche tuttavia richiedono da parte del praticante un costante allenamento (training) fino a che lo stesso non raggiunge uno stadio avanzato di autonomia e auto-addestramento, nel quale sa riconoscere gli avanzamenti e le problematiche, ponendosi sempre nuovi obiettivi. Da questa definizione si sono sviluppate nel tempo delle categorie di tecniche psicoterapeutiche validate in campo clinico, le quali: - Mindfulness-Based Stress Reduction (MBSR), programma diffuso dal Dott. Jon Kabat-Zinn, che affonda le proprie radici nelle dottrine spirituali dell’estremo oriente e che quindi mette in congiunzione la meditazione, consapevolezza del corpo (body scanning) e yoga. Il fine di tale metodo è quello di aumentare la consapevolezza dell’hic et nunc, ovve-
In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute e verso la malattia , come verso tutto il resto.
A ntifonte, filos ofo gre c o del V s e c olo A .C .
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ro la consapevolezza momento per momento, mitigando atteggiamenti autocritici sul passato e sul futuro. Pragmaticamente il MBSR tende a migliorare e abbassare i livelli di stress cronico, riconosciuto come una causa scatenante di varie malattie, tra cui il cancro (Jon Kabat-Zinn, 2013) - Mindfulness-Based Cognitive Therapy (MCBT) è una terapia psicologica funzionale al prevenire la ricaduta di depressioni in pazienti con un trascorso di MDD (Major Depressive Disorder) o depressione clinica. La tecnica, sempre basata sulla meditazione di Mindfulness, porta il paziente a esaminare e osservare pensieri e sentimenti oggettivamente, senza alcun tipo di giudizio (Piet J. Hougaard, 2011).
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la Tematica
- Acceptance and Commitment Therapy (ACT) è considerata una forma di CBA (Clinical Behavior Analysis) che usa l’accettazione e strategia di Mindfulness in correlazione con strategie per migliorare la dedizione e la forza del cambiamento nella propria vita al fine di accrescere la propria flessibilità psicologica e personale nei confronti di se stessi e del mondo esterno (Steven C. Hayes, Jason Lillis, 2012). - Dialectical Behavior Therapy (DBT) focalizzato su pazienti con disturbi border-line di personalità, quali disturbi dell’umore, ideazione del suicidio, autolesionismo e l’abuso di sostanze stupefacenti. Le tecniche di meditazione di Mindfulness sono, in questo caso, mirate a mettere in dialettica “gli opposti per la riconciliazione in un continuo processo di sintesi”, citando Marsha M. Linehan, psicologa e autrice americana creatrice del DBT (Chapman, 2006). - Mode Deactivation Therapy (MDT) è un programma ibrido che mette insieme alcuni elementi dell’ACT, del DBT e tecniche di Mindfulness con l’intento di assistere i pazienti nella consapevolezza e l’accettazione non giudicante di pensieri e sentimenti spiacevoli e angoscianti. Si specializza come trattamento per adolescenti con problemi comporta-
mentali e con problemi post-traumatici (Swert J, Apsche J, 2014) Tuttavia le tecniche di Mindfulness tendono ancora a non essere riconosciute dalla comunità scientifica. Molti nel mondo accademico, clinico e scientifico hanno preso le distanze dalla Mindfulness soprattutto per l’insufficienza qualitativa nei risultati di ricerca e per la metodologia poco dettagliata dei casi di studio nonostante queste pratiche siano state adottate largamente in scuole, prigioni, ospedali ed altre istituzioni per gli effetti positivi validati in ambito psicologico. La Mindfulness, è importante ribadire, non sostituisce ma affianca la psicoterapia e gli strumenti convenzionali della psichiatria, e qualsiasi altro tipo di trattamento clinico. Continua ad esserci quindi un’importante resistenza da parte del personale clinico (medici, psicologi, psichiatri, infermieri), che fanno affidamento esclusivo su pratiche riconosciute dalla medicina moderna. Attualmente esiste un’ampia serie di critiche rispetto alla Mindfulness e a tutte le pratiche ad essa associate per ragioni speculative ed etiche. In prima linea c’è Ronald E. Purser, il quale con il suo McMindfulness: How Mindfulness Became the New Capitalist Spirituality, presenta una lunga accusa alla Mindfulness, contestualizzato in una società americana estremamente capitalizzata. Egli si scaglia contro un sistema di marketing costruitosi intorno alla Mindfulness, e più precisamente al MBCT, pur riconoscendo gli effetti benefici sulla psiche di tali pratiche. Il suo è un discorso che riguarda più la sfera etica e morale, di impronta anticapitalistica, poiché crede che “questa [la Mindfulness] promuove un focus su se stesso e su meccanismi interni della mente, deviando l’attenzione dalle cause di stress in una società moderna costituita da ineguaglianza, austerità, e ingiustizia. Come risultato, rinforza le ragioni di sofferenza.” Effettivamente il business dietro a questa panacea meditativa ha ora un valore che si aggira sui quattro miliardi di dollari, con oltre 100.000 pubblicazioni sul tema e dozzine di app che promuovono una Mindfulness fai-da-te. (Purser, R. E., 2019)
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la Tematica 1.
Come indica chiaramente il titolo del libro di Purser, la Mindfulness sta registrando un boom di popolarità come mai prima, un trend che non sembra moderarsi col tempo. Basti pensare alla grande popolarità di Headspace, app semplice ed accattivante per la meditazione fai-da-te che riesce a coprire quasi interamente tutte le tecniche di Mindfulness. L’app, emblema di uno Zeitgeist che riflette tutta la tematica del benessere psichico (mental health), è stato stimato possa avere un valore di circa $250 milioni di dollari con più di 11 milioni di download (Forbes, 2017). Questa tendenza ed interesse verso il mondo della Mindfulness non nasce però fortuitamente, ma è solo la punto di un iceberg di un momento storico bene preciso. Per poter leggere e capire a fondo il trend della Mindfulness ad oggi bisogna conoscere e comprendere le caratteristiche della Gen Z (persone nate dal 1996 al 2006 - USA.) Secondo l’American Psychological Association quasi il 91% degli adulti appartenenti alla Gen Z dichiarano di aver vissuto almeno un sintomo fisico o emotivo causato dallo stress, come depressione, tristezza, mancanza di interesse, motivazione o energia. Solo la metà di loro riesce a gestire tali stati. Succeduti alla precedente generazione, i Millennials, caratterizzata da un benessere economico e sociale, sono infatti gli individui più esposti agli eventi di instabilità del nuovo millennio. I drammatici cambiamenti economici (la grande recessione), demografici (nuovi flussi migratori), politici (populismo dilagato nei maggiori paesi dell’occidente) e sociali (numerosi attentati negli istituti superiori negli USA) sono solo alcuni esempi di formative events caratterizzanti questa generazione. Tutto questo grava sulle loro spalle ma è la generazione che per prima ne sa prendere atto e decide di esternare il disagio sociale e psichico che ciò comporta (American Psychological Association, 2019). Grazie ai social e ad una comunicazione che viaggia più veloce che mai, il mondo (soprattutto quello del business) incomincia ad ascoltare i nuovi bisogni ed esigenze di questa fetta di mercato. La moda, il mondo della comunicazione e dei media, la musica sono i primi recettori e, di conseguenza, si adattano a parlare lo stesso loro linguaggio, un linguaggio più introverso che interessa tematiche più
attente all’individuo, non più al gruppo sociale. La salute mentale quindi diventa tematica discussa; le celebrità portano sotto i riflettori esperienze personali, traumi e violenze, le aziende private e le istituzioni pubbliche discutono di una nuova work-life balance e, più in generale, si tende ad avere più cura del proprio io psichico. La combinazione di un business così espanso, un carente fondamento scientifico e una superficialità etica e metodica nella pratica e nell’insegnamento hanno creato un’aurea di leggerezza e inattendibilità attorno al tema della meditazione Mindfulness in ambito clinico, creando quindi un giudizio preclusivo esteso in tutto il campo scientifico-medico.
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1.2 Embodiment. La PNEI oltre la medicina tradizionale Eppure la medicina sta cercando nuove metodologie che possano integrare con più rigore scientifico la psicologia e la psicoterapia: in questi termini nasce la PNEI (PsicoNeuroEndocrinoImmunologia.) La PNEI infatti potrebbe essere una valida risorsa scientifica che possa giustificare la Mindfulness come pratica d’affiancamento alle terapie cliniche tradizionali. Questa è la scienza che sintetizza in una disciplina le ricerche in campo psicologico, neurologico, endocrino e immunologico, sotto il cappello di una medicina più olistica e comprensiva del complesso sistema che mette in correlazione biologicamente la mente e il corpo. Si cerca, in tal senso, di superare un principio fondante di tutta la medicina moderna. E notando che questa verità: io penso dunque sono, era così solida e sicura che tutte le più stravaganti supposizioni degli scettici non erano capaci di scuoterla, giudicai di poterla accogliere senza scru-
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la Tematica
polo come il primo principio della filosofia che cercavo [...] Pervenni in tal modo a conoscere che io ero una sostanza, la cui intera essenza o natura consiste nel pensare, e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo, né dipende da alcuna cosa materiale. Di guisa che questo io, cioè l’anima, per opera della quale io sono quel che sono, è interamente distinta dal corpo, ed è anzi più facile a conoscere di questo; e anche se questo non fosse affatto, essa non cesserebbe di essere tutto quello che è. [Descartes, Discorso sul metodo - Cogito ergo sum, IV] Cartesio (Descartes), con questo enunciato, concepisce la mente e il corpo come due cose conciliabili seppure separate. Egli, infatti, fautore del celebre dualismo mente-corpo o anima-corpo, chiamava la mente res cogitans (cosa pensante) ovvero il pensiero, l’ambito delle idee, il contenuto vero del pensato, che priva di estensione, di dimensione temporale e spaziale, vive in uno spazio definito e in un tempo preciso, e il corpo res extensa (cosa estesa), non pensante, che costituisce il mondo materiale, finito e determinato. Non c’è quindi nessuna relazione tra mente e corpo, dove il pensare viene immaginato come un processo autonomo che agisce in maniera completamente indipendente dal corpo. Questo dualismo fra anima (o mente) e corpo è quello che accompagna gli studi di medici separando lo studio del corpo dallo studio della mente con la psichiatria (E. Soresi, Il cervello anarchico, 2006). La PNEI, d’altra parte, si impegna a superare questa visione dualistica presentata da Cartesio al fine di chiarificare quelle connessioni che rendono il sistema nervoso, mente, immunità e regolazione ormonale un unico e complesso sistema di controllo omeopatico dell’individuo. Un sistema d’insieme che non solo è sintesi di più branche della medicina, ma anche un punto di condivisione, sviluppo e ricerca per le singole discipline; queste infatti non hanno uno sviluppo omogeneo, non alla stessa velocità e con implicazioni molto differenti. La disciplina della PsicoNeuroEndocrinoImmunologia fonda le proprie
radici in studi remoti dei primi del ‘900 sullo stress e il suo effetto sugli animali, sull’uomo e sulla sopravvivenza. Primo fra tutti è Claude Bernard (1813-1878), fisiologo francese, il quale sviluppa il concetto di milieu interieur, ovvero un ambiente organico interno che ha un proprio equilibrio; questo oggigiorno viene chiamato omeostasi. Partendo da questo concetto Walter Bradford Cannon (1871 - 1945), fisiologo e psicologo americano della Harvard University, sviluppa il concetto di fight or flight (combattere o fuggire), il quale riassume l’atteggiamento psichico degli animali sottoposti a situazioni stressanti di sopravvivenza. È una reazione neuro-fisiologica che si manifesta in risposta a un evento percepito come pericoloso per la propria incolumità o i propri cari. Come gli animali, anche l’uomo risponde ugualmente; ad eventi stressanti esterni si genera una scarica generale del sistema nervoso simpatico, producendo una cascata ormonale di adrenalina e noradrenalina che preparano l’organismo intero all’attacco o alla fuga e mobilitando risorse energetiche da tutto l’organismo. Tutto questo sistema è regolato dal sistema nervoso autonomo, ovvero il sistema di controllo che agisce in maniera inconscia e regola frequenza cardiaca, digestione, frequenza respiratoria, reazione pupillare, minzione ed eccitazione sessuale. Esso è composto da due sistemi: il sopracitato sistema nervoso simpatico e il sistema nervoso parasimpatico. Durante gli eventi di stress avviene quindi un processo allostatico; l’equilibrio dell’ambiente interno (omeostasi) viene alterato dal sistema nervoso simpatico e il sistema nervoso parasimpatico ha il compito di ristabilire l’omeostasi. Questo equilibrio tuttavia non viene ristabilito da principio, ma ne crea sempre uno nuovo, creando un processo adattivo del “rimanere stabile pur essendo variabili” (Sterling e Eyer, 1988). Pertanto questo processo di omeostasi-allostasi-omeostasi non è altro che la costante messa a punto della dialettica fra il biologico e il sociale (Rosa, 2001). Lo stress è un fenomeno naturale che il nostro corpo subisce di continuo, il quale può avere dei risvolti positivi (prestazioni fisiche migliori, felicità, innamoramento) o nocivi per la nostra salute (patologie). Nel caso
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in cui subiamo uno stress protratto nel tempo, in questo caso stress cronico, il sistema nervoso parasimpatico spinge il midollare surrene a produrre cotecolamine (adrenalina e noradrenalina) rimanendo in uno stato di allostasi prolungata, che il nostro organismo non può tollerare. L’insorgere di malattie avviene anche poiché si manifesta una produzione di citochine pro-infiammatorie IL6, che attaccano i tessuti, aumentano la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca, e causano una depressione del sistema immunitario. La PNEI riconosce quindi che fattori esterni di stress psichico inducono tutta una serie di fenomeni biologici concatenati che portano a malattie, tra cui il tumore. Se considerata nella sfera della medicina olistica, la PNEI cerca pertanto di venire incontro ai disturbi dei pazienti considerando anche i bisogni spirituali della persona, oltre che ad aprirsi ad aree di cure cosiddette non convenzionali, come la Mindfulness. Come approfondisce il dott. Enzo Soresi nel suo libro, Mitocondrio mon amour (Utet 2015), e ancora più ne Il cervello anarchico, l’imparare a riconoscere, e esprimere e comunicare le proprie emozioni è l’unico modo per essere biologicamente noi stessi, pertanto praticare la Mindfulness è quell’addestramento che ci porta a coglierle. Le emozioni scaturite da eventi estemporanei vengono come ingabbiate nei modi di pensare e agire abituali, nei nostri schemi cognitivi ed affettivi. In questo senso, il ripetersi costante di eventi negativi (considerati per il singolo tali) e il rifiuto di volere interagire con essi, e ancor prima di volerli riconoscere, ci porta ad accumulare stress. È un processo di embodiment, quello psiche-corpo, che riconosce, come teorizzato dal neurofisiologo Antonio Damaso nel suo L’errore di Cartesio (1995), l’emozione come atto decisionale. Viene quindi ribaltata l’ipotesi avvalorata da credenze ampiamente diffuse che i sistemi neurali fossero distinti per l’attività razionale e quella emozionale; un atto decisionale è quindi impossibile se non è supportato da un intervento emozionale. Alla costruzione della ragione cooperano sia le regioni cerebrali di livello alto, la Neo corteccia - responsabile delle attività intellettive superiori,
sia quelle di livello basso, Cervello Antico o Sistema Limbico - responsabile della affettività. L’impulso, nato dai lobi frontali, giudici di tutto l’agire ragionale, scende all’ipotalamo, struttura del sistema nervoso centrale e base di controllo di molte delle attività di omeostasi, e al midollo allungato, regolatore della respirazione e responsabile del tono muscolare dei vasi, della frequenza cardiaca e della pressione cardiaca. Il processo di embodiment termina con il sistema neuroendocrino, diffuso a tutto il nostro corpo, grazie al quale l’impulso cerebrale raggiunge la periferia. Come conclude Enzo Soresi ne Il cervello anarchico “tutti noi, e in particolare noi medici, siamo convinti che il processo cognitivo sia solo quello legato alla comunicazione razionale espressa attraverso il linguaggio e la scrittura, ma se ci abituassimo a considerare cognitivo ogni stimolo percettivo riusciremmo con tutta probabilità a sviluppare una medicina molto più ricca di contenuti biologici. L’emozione, infatti, è già intrinsecamente cognitiva.” L’effetto placebo è la prova di come l’autosuggestione, il sentimento e il pensiero hanno un effetto intrinseco sul corpo. Infatti questo è la capacità dell’organismo di liberare sostanze endogene con finalità terapeutiche. Anche per la medicina e la farmaceutica l’effetto placebo viene riconosciuto come un punto di riferimento, tanto che ci si sta rendendo conto che non può essere considerato meramente come un fenomeno di autosuggestione, ma che spesso le aspettative personali si integrano con la corretta risposta terapeutica e che l’effetto placebo può quindi agire in sinergismo alle cure proposte.
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1.3 Il Metodo Simonton Oscar Carl Simonton, psicologo e oncologo e la moglie Stephanie Matthews-Simonton, psicoterapeuta, avevano identificato due gruppi di pazienti malati di cancro: il primo caratterizzato da un atteggiamento di
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apatia, depressione, rinuncia che portava a un rapido peggioramento. Il secondo gruppo era invece costituito da malati che si ponevano una motivazione esistenziale forte che impediva loro di morire se prima non l’avessero soddisfatta. Questa scoperta affascinò i due medici e li indusse a cercare un percorso di addestramento psichico finalizzato ad un risultato terapeutico. In quest’ottica nasce il Metodo Simonton, tecnica meditativa di Mindfulness basata sulla visualizzazione guidata, la quale, affiancata alle cure tradizionali (chirurgia, chemioterapia, radioterapia), si pone come sostegno psicoterapeutico ai malati di tumore. Nel 1978 esce negli USA col nome di Getting Well Again, il manuale dove vengono raccolte le ricerche relativamente al nuovo metodo e la guida introduttiva per i pazienti. Oscar Carl Simonton, psicologo e oncologo, la moglie Stephanie Matthews-Simonton, psicoterapeuta, e James L. Creighton, oncologo, possono essere considerati pionieri della disciplina della PNEI, poiché l’innovativo metodo introduceva la psicoterapia nell’oncologia, introducendo una terapia omnicomprensiva di bisogni psichici e fisici. Il libro tuttavia, arrivato più tardi in Italia, non ebbe nel nostro paese quel successo che ci si poteva aspettare. Il linguaggio della prima edizione infatti allontanò molti operatori sanitari (tra cui gli stessi psicologi), poiché si usavano espressioni in cui si dava molto spessore alla parola guarigione. Le edizioni successive infatti si rifanno a questo concetto con il termine di “ristabilimento”, poiché si ammette sulla guida che è frutto di teorie psicologiche-cognitive applicate ad essere di supporto ai pazienti oncologici (Murru, 2018). Si crede quindi che la malattia non sia unicamente un disturbo fisico, ma un fenomeno che riguarda tutta la persona, ovvero la mente, le emozioni, il pensiero razionale. Il paziente è quindi chiamato ed esortato ad agire attivamente contro la malattia; la partecipazione è punto di svolta nel processo di cura. Questo programma, che si estende per tutto la regressione/progressione della malattia, è un profondo lavoro sulle emozioni, sulla speranza, sullo stress e sulla riprogettazione del proprio futuro. Di fatti la malattia viene considerata come “occasione” per un cambio di stile
di vita durante e dopo la malattia. Nel mentre del percorso terapeutico di chemioterapia, radiazioni e/o post-operazione si propone al paziente un’attenta analisi dei propri pensieri disfunzionali, un’approfondimento e la comprensione ponderata delle emozioni. Questo avviene attraverso due momenti: il primo è di rilassamento, ovvero una serie di esercizi focalizzati sul respiro e il body-scanning, e un secondo di visualizzazione, durante la quale si pone la concentrazione sull’idea del proprio corpo in una dimensione immaginifica. Il rilassamento non è solo una fase preparatoria alla visualizzazione, ma è il primo passo per prender consapevolezza di come le proprie emozioni abbiano contribuito alla malattia. È un momento di raccoglimento e di congiunzione tra la mente ed il corpo, nel quale si vuole abbassare il livello di stress e tensione causato dalla malattia. Per molti pazienti di cancro, il corpo diventa un nemico, poiché questo li ha traditi portandoli alla malattia e minando le loro vite. Si sentono alienanti e diffidano dell’abilità del loro fisico di sconfiggere la malattia. Imparare a gestire questo tipo di rilassamento autoindotto attraverso il body-scanning aiuta ad accettare ancora una volta il proprio corpo e ad acquisire l’abilità di cooperare con esso nel percorso verso la guarigione. In un primo momento la concentrazione è focalizzata sul respiro, rendendosi consapevoli del fluire dell’aria nel proprio corpo, contando i secondi che passano tra l'inspirazione e l'espirazione. Dopo aver percepito uno stato di distensione attraverso tutto il corpo, si sposta il focus sulle singole parti del corpo; questo momento di body-scanning permette la localizzazione del proprio corpo nel tempo e nello spazio, nel qui e nell'ora (hic et nunc). I problemi del passato vengono spazzati via, come anche le preoccupazioni per il futuro. Raggiungere questo stato di consapevolezza non è facile e non si acquisisce nell’immediato, ci vogliono diverse sessioni durante il giorno e nelle settimane successive affinché si ha il pieno controllo del proprio corpo. Dopo aver completato questa prima fase, si passa alla visualizzazione guidata, la quale va considerata come uno step avanzato al rilassamento, ma sempre parte di quest’ultimo.
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Fig. 1.1 - Disegni delle visualizzazioni di una praticante del Metodo Simonton (Betty): la prima visualizzazione (sx), dopo sei mesi (dx).
Fig. 1.2 - Disegni delle visualizzazioni di una praticante del Metodo Simonton (Jennifer): la prima visualizzazione (sx), dopo la prima visita (al centro), dopo sei mesi (dx).
La visualizzazione guidata (in inglese guided imagery) è concepita come il linguaggio che la mente deve utilizzare al fine di mettere in comunicazione le esperienze esterne con quelle interne. (Kabat-Zinn, 1990) Achterberg (1985) definisce la GI (guided imagery o visualizzazione guidata) come «il processo del pensiero che invoca e usa i sensi: vista, udito, gusto e olfatto. I sensi del movimento, della posizione e del tatto.» Conclude descrivendo questo processo come «il meccanismo di comunicazione tra la percezione, le emozioni e il cambiamenti fisici.» La visualizzazione è in questo caso uno strumento motivazionale utile al recupero della salute, ma è anche molto importante per la riscoperta creativa di sé e di un nuovo stile di vita. Questa tecnica non è solo utilizzata nel campo psiconcologico, ma soprattutto in campo sportivo agonistico. Il meccanismo è quello di immaginarsi compiere azioni in futuro, le quali si desira accadino, come vincere una gara, avere successo nel lavoro, o, in questo specifico caso, combattere il cancro. L’immagine mentale deve essere ripetuta e riproposta alla mente nel tempo, affinché la persona incominci ad agire in modo da conseguire il proprio scopo che ci si è riproposti. Molti sportivi, come Michael Phelps, praticano la Mindfulness con la visualizzazione guidata per aumentare le proprie prestazioni (Headspace, 2019). Il metodo Simonton non fa altro che riprendere questa tecnica della psicologia motivazionale (motivational psychology), dove la motivazione è intesa come un ciclo: i pensieri stimolano i comportamenti, le prestazioni raggiunte hanno effetto sui pensieri e il ciclo ricomincia. (Simonton, Metthews-Simonton, Creighton, 1978) Da questa teoria si sono sviluppati vari studi, i quali cercano di spiegare come la GI possa avere un reale effetto sul sistema immunitario. Tuttavia non è del tutto chiaro come questa possa agire a livello biologico sul sistema immunitario e neuroendocrino esteso al nostro corpo. Studi (cfr Trakhtenberg, 2008) suggeriscono che c’è un evidente incremento del numero dei globuli bianchi nel flusso sanguigno durante la fase di rilassamento; tuttavia ciò non succede durante la GI, durante la quale si evidenzia una depressione del sistema immunitario. Ques-
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to avviene solo nella prima fase di training, poiché si è dimostrato un incremento esponenziale del numero di globuli bianchi durante la pratica protratta nei successivi 30, 60, 90 giorni successivi all’inizio della terapia. Per mancanza di tecnologie meno invasive nella misurazione ematica di globuli bianchi, ad oggi non è possibile dare una spiegazione scientifica. Tuttavia si può teorizzare che nei primi tentativi di visualizzazione il paziente deve porre un’eccessiva attenzione e concentrazione, generando dello stress psichico che tende a deprimere il sistema immunitario. Solo nel momento in cui la visualizzazione diventa quasi un automatismo, si può registrare un importante aumento di globuli bianchi nel sangue. Si è anche teorizzato che un aumento o una diminuzione del numero dei globuli bianchi è causato dall’effetto di marginazione, ovvero il movimento di cellule del sistema immunitario verso la zone specifiche del corpo (solitamente dove ci sono infiammazioni), quindi si parlerebbe di “dislocazione”, spiegando un aumento o diminuzione dei globuli bianchi nei test. (Trakhtenberg, 2008) La visualizzazione guidata nel Metodo Simonton è una metafora immaginifica del proprio corpo, delle cellule tumorali, delle terapie che agiscono e combattono le cellule maligne e il ristabilire di un nuovo equilibrio. Si inizia infatti proiettandosi in un luogo calmo e tranquillo, come fosse un passaggio dal rilassamento alla visualizzazione. Da lì si aggiungono sempre più elementi, come il trattamento che fluisce nel corpo, i globuli bianchi che vanno in battaglia contro il tumore, il cancro che col tempo si riduce e, nel caso di dolore, il corpo che agisce da solo nell’alleviare il malessere. In aggiunta si consiglia inquadrare anche dei nuovi obiettivi nella vita, durante e dopo la malattia, e attraverso la visualizzazione immaginarsi di raggiungerli. Ognuno col tempo trova la propria dimensione immaginifica, un proprio luogo, dove chiudersi e prendersi del tempo per se stessi. Ognuno ha la sua metafora, composta di ricordi positivi, racconti, film o frutto della propria immaginazione, ogni cosa va bene affinché sia immagine della battaglia vinta contro la malattia. (Simonton, Metthews-Simonton, Creighton, 1978)
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LA TRADUZIONE 14
dall’immaginario all’immagine come un telefono senza fili
2. LA TRADUZIONE
2.1 Il momento dell’ascolto L’idea del progetto incomincia a prendere forma nel Luglio 2019, ma è solo nei primi giorni di Novembre che decido di incontrare Caterina Vitali per ascoltare le sue visualizzazioni. Dopo un incontro a luglio con la psicoterapeuta di Caterina, la dottoressa Luciana Murru, ho deciso di prendere in mano il progetto. La dottoressa Murru mi ha introdotto al Metodo Simonton e a tutte quelle pratiche psicologiche con effetto diretto sul fisico. Nei mesi precedenti all’ascolto mi sono principalmente dedicato alla ricerca sul Metodo Simonton, alla visualizzazione guidata, passando poi alla Mindfulness e alla PNEI. È stato un momento propedeutico importante, poiché personalmente avevo bisogno di un avere un quadro più generale di cosa stavo per affrontare. Non ho mai voluto ascoltare le parole di Caterina prima per non compromettere la sua visione con la mia soggettività e intepretazione, che avrei sviluppato nel tempo. Una volta finita la ricerca a tavolino, ho chiesto un incontro con Caterina per poter ascoltare la sua visualizzazione, per poi passare nell’immediato alla parte di creatività e definizione delle linee guida visuali del progetto. L’incontro è durato circa un’ora e trenta minuti. Il transcript di seguito.
La fantasia , l’invenz ione , la creatività pensano, L’immaginaz ione vede .
B runo M unari, Fantas ia.
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Come vivi l’esperienza della visualizzazione, come ti prepari e in che modalità la affronti? Molto importante è l’aspetto fisico, quindi indossavo cappello, coperta, con gli occhi chiusi e con Mozart alle orecchie. L’esterno tutto molto ovattato. Molto comoda, quasi stesa, rilassata. Iniziavo con dieci inspirazioni da dieci secondi, quindi dieci secondi di inspirazione e dieci secondi di espirazione. Questo diciamo era il metodo che usavo e che uso tutt’ora anche per addormentarmi. E poi iniziava la chemioterapia. Durante l’infusione della prima "sacchettina" di cortisone e antiemetico non facevo ancora la visualizzazione ma solo rilassamento, anche senza musica. È lento distacco dal momento, quindi non è che di botto chiudi gli occhi e inizi la visualizzazione. È un momento preparatorio. Poi invece arrivando alla prima sacca, proprio quella pesante, di cui ora non ricordo il nome, che ti fa cadere i capelli, ti abbassa i globuli rossi e i bianchi e tanto altro. In questo momento inizia la visualizzazione vera e propria.
Io quindi dovevo visualizzare il farmaco che entrava nel mio corpo, proprio come un mio alleato, come mi aveva spiegato Luciana. Un alleato che avrebbe combattuto la malattia. Tu devi contare che in tutta questa malattia, con cui comunque convivo dal 2013, non l’avevo mai considerata come qualcosa da combattere. Anzi mi dava fastidio quell’atteggiamento del guerriero che combatte la malattia; avevo quindi una resistenza perché mi dicevo: «come posso combattere qualcosa che tutto sommato fa parte di me?» Non riuscivo proprio ad avere questo approccio. E invece devo dire che con la visualizzazione, che poi ho trovato per me stessa, sono riuscita a trovare qualcosa che non avesse quella valenza così guerriera ma che riuscisse comunque a dividere il bene dal male. Quest’ultima, come mi ha spiegato Luciana, è comunque qualcosa da eliminare.
2. LA TRADUZIONE
Quindi le visualizzazioni sono una narrativa di un dualismo di bene e male, giusto? Esatto. La parte del male era un po’ la cosa che avevo sempre rifiutato e, invece, bisognava prenderla in considerazione. Tendevo a prendere bene un po’ tutto, quindi per me andava bene prendere in considerazione anche il tumore in qualche modo. Invece c’era proprio bisogno di separare. Quindi la visualizzazione nasce così, prendendo spunto dalle mie passioni, le cose che mi piacciono. Il farmaco che arrivava per me era sotto forma di omini in bicicletta, e il casco, che vedevo soprattutto dall’alto, come dei Pac-Man. Vedendolo dall’alto i caschi erano come delle molecoline. Un po’ banale può sembrare. Mentre il mio corpo è l’Appennino, quindi la visualizzazione è dentro un paesaggio. Da qui c’è una suddivisione delle fasi della cura. La prima fase è quella dell’infusione, nella quale il farmaco entra nel corpo. Nella mia visualizzazione c’è la musica di Mozart ed è tutto molto vivace, baldanzoso, molto carico di energia. Come se fosse una giornata di
mattina presto, un po’ freddina, tersa e questi ciclisti che partono pieni di energie, facendo una salita tra tornanti. Questi sono tutti elementi che rappresentano le mie esperienze in bicicletta alla fine. È un bel gruppone di ciclisti, come fosse il Tour De France o il Giro d’Italia, non sparsi ma che viaggiano insieme. Devono avere parecchia forza. Per qualche minuto mi immagino questi tornanti con questo flusso di Pac-Man che sale. Arrivano poi in cima al colle, si fermano, dove c’è una discesa. Qui è la fine della parte di arrivo del farmaco, che ha dovuto faticare per la salita e raggiungere tutto il corpo per poi discendere a destinazione. Infatti si fermano e iniziano la discesa che porta ad una radura, dove si trovano le cose da combattere. Questi sono i luoghi della mia malattia. Sogni di Kurosawa è esemplificativo per capire il tipo di radura che mi immagino. Soprattutto la locandina del film. È molto vicino alla mia esperienza perché a me piace andare in bicicletta,
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fare la salita e arrivare poi in cima per godersi il panorama per poi lasciarsi andare giù per la discesa. Nel tempo [la visualizzazione] è cambiata ma adesso ho un’immagine bella precisa. Loro scendono da questa discesa e arrivano alla pianura con in fondo delle colline. In questa pianura ci sono tre situazioni: subito all’inizio c’è la metastasi alla coscia, che ho tolto, quindi ora non c’è più.
Ovviamente in tutto questo verdeggiare, perché tu ti devi immaginare una cosa molto bucolica, frizzante. Quindi il farmaco è rappresentato da questi Pac-Man con caschetti rossi o gialli, mentre la malattia viene vista come dei conglomerati, come delle sculture, pensa di essere in un videogioco. Sono quindi dei conglomerati di sfere azzurre che, a seconda delle situazioni, prendono forme diverse.
2. LA TRADUZIONE
Tornando un secondo indietro, quali sono le tre situazioni? Sì, quindi la metastasi alla coscia, siccome era quella più grande ed evidente, aveva una forma più grande rispetto alle altre. Me la immaginavo con la forma di un grande masso che quasi sbarra la strada ai Pac-Man. Loro arrivano alla radura e abbandonano la bicicletta che serviva solo per arrivare alla malattia. Era soltanto l’infusione. Il farmaco arrivato sul punto inizia ad agire. Quindi la metastasi alla coscia è questo masso tutto pieno di queste sferettine, cellule blu che non hanno niente a che fare con la natura che c’è intorno. Queste sono quasi gommose. All’inizio lo vedevo come un Pac-Man che si mangiava le cellule, poi invece è proprio il casco di bicicletta che picchietta le sfere. Il meccanismo di cura sta nell’omino che, rompendo una sfera, fa sbocciare un fiore. Quindi qui mi immagino un’immagine proprio carica di colori come nel film di Kurosawa. Una fioritura esagerata. Questi omini agiscono dall’esterno ma anche all’interno. Quindi io li vedo entrare all’interno di questo masso, che è anche cavo. Potrebbero esserci delle riprese tutti insieme, come un vortice, come un giostra, un grande lavoro; come se fosse la festa del raccolto, che come immagine però non ha nulla del campestre ma più del videogioco. Sempre accompagnata dalla musica, questo è un lavoro infaticabile. Siccome i luoghi erano tre, ogni tanto spostavo l’attenzione tra la coscia, il bacino e il rene. C’è il masso dove alcuni si fermano, poi un rettilineo
dove parte della radura diventa un orto, un campo arato, che è il bacino. Il bacino me lo sono immaginato così. Le lesioni al bacino sono sempre queste sferettine azzurre però sparse, perché io delle piccole scorie al bacino, sono veramente piccole. Quindi le vedo come delle imperfezioni da togliere in un campo. Anche qui ci sono gli omini che, con lo stesso gesto di picchiettare, fanno sbocciare dei fiori sul campo. Più avanti, invece, c’è una specie di cespuglio, che è il rene. È una situazione un po’ più difficile per me, perché è quella più pericolosa per la mia salute. Anche qui lavorano con alacrità ma sempre più di fino, con più attenzione chirurgica. Questo cespuglio però me lo sono sempre immaginato dall’interno, non so come mai, perché in realtà è esterna la lesione. Io comunque me la sono sempre immaginata dall’interno, perché ho sempre immaginato un momento sempre più raccolto. Ecco, però non è proprio un cespuglio ma un arbusto con tante foglie. Le sfere azzurre sono quindi in mezzo alle foglie. Gli omini in questa situazione sono molto più delicati rispetto agli altri momenti. Sulla coscia sono quasi come dei boscaioli come in “Sette spose per sette fratelli” quasi che me li immaginavo con delle birre. Nel campo come se facessero un raccolto. Sul rene invece un’attenzione molto più chirurgica.
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In quest’ultima parte, li prendono o anche qui picchiettano con il casco? Sì anche qua si avvicinano con il casco. Anche qui sbocciano anche se in una prima visualizzazione tendevo ad immaginarmi un ridurre della massa in generale. Ad esempio nel masso della coscia era più qualcosa che cercavo di sgretolare, di togliere pezzi, andando avanti con i cicli me lo immaginavo sempre più ridotto. Anzi dalle lastre era aumentato, non si era ridotto perché in realtà era cambiato. Dalla risonanza infatti c’era molto tessuto necrotico, la chemioterapia aveva funzionato quindi ho deciso di metterci i fiori. In realtà non si è ridotto, non posso dire che era andato via, ma era mutato. Infatti solamente dopo la risonanza ho modificato la mia visualizzazione inserendo i fiori, nell’ultimo ciclo di chemioterapia. Però la cosa importante è la storia in sé. Durante l’infusione, che dura circa un’oretta, la visualizzazione si ripeteva. Poi facevo qualche minuto di
bicicletta, ad esempio due minuti, poi lavoro sui tre organi e poi di nuovo bicicletta. Quindi il ciclo della visualizzazione si ripeteva già più volte durante la chemioterapia. Non solo durante le infusioni ma anche due o tre volte al giorno. Quindi anche la luce dell’ambiente cambiava a seconda del momento della giornata in cui facevo la visualizzazione. Anche il modo in cui interagivano i ciclisti cambiava. Ad esempio la sera potevano essere più stanchi e chiacchieravano intorno alle masse blu, in generale però era sempre come se fosse una festa. Poi avevo anche fatto un tentativo di visualizzazione di portar via le cellule, quelle «ammazzate», come se ripulissero la scena ma non sono riuscita. Ho preferito quindi che i fiori prendessero posto delle sfere.
Ma come pensavi di poterti immaginare questa parte non riuscita?
2. LA TRADUZIONE
Fig. 2.1 - Schizzo di un fiore che sboccia tra le masse tumorali
Ho provato ad immaginarmi i ciclisti come dei cercatori d’oro che con le carrioline portano via i resti. Ma mi dovevo sforzare e non mi veniva naturale quindi ho lasciato perdere. Questo ha anche un valore forse già profondo, perché non rispecchiava il modo in cui interagiva il mio corpo. Alla fin dei conti niente veniva portato via, ma ciò che c’era si tramutava in tessuto necrotico. Forse non volevo avere delle aspettative troppo alte. Quindi non era tanto il fatto che non mi piacesse la visualizzazione. Quindi questa visualizzazione che mi hai raccontato è il processo finale di un evolversi? Sì, quindi oltre al fatto che ho aggiunto la fioritura, anche il paesaggio andando avanti si è arricchito di particolari. La trama è sempre stata quella, da quando ho fatto la prima seduta con Luciana. Ho aggiunto solo un’altra parte di storia alla fine della chemioterapia. Alla fine della chemio-
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terapia c’è un’ultima sacca di «cose di pulizia.» Allora lì semplicemente cambiavo musica, mi vergogno un po’ a dirtelo, ma era Lento y Contento, una canzone reggaeton. (In questo caso si intende Calma di Pedro Capò e Farruko.) Perché proprio è la fine del lavoro. I miei alleati si possono riposare, quindi anche la natura diventa un luogo di svago. Anche per me è un
passaggio di ritorno alla realtà, alla sala del trattamento. Un modo leggero per riaprire gli occhi e ritornare alla realtà. Ed è interessante che le ultime visualizzazioni che ho fatto erano solo di reggeaton. Mozart mi ha aiutato veramente molto, anche per migliorare l’umore, ma ora mi nausea un po’ riascoltare la sua musica. Mentre questa canzone finale mi è rimasta cara.
Immagino che tu visualizzi le immagini come se stessi guardando un film, giusto? Come è stato quindi il processo di creazione dell’immagine?
2. LA TRADUZIONE
Esattamente, avevo le immagini davanti a me come se fossi davanti ad uno schermo. Diciamo che io ho una predisposizione per le visualizzazioni, è stato molto facile fin da subito. Dalla prima seduta con Luciana ho iniziato a visualizzare dei Pac-Man con rappresentazioni abbastanza chimiche del farmaco, quindi cellule, globuli e quant’altro. Però immediatamente questi Pac-Man hanno preso la bicicletta. L’ho dovuta tramutare [la visualizzazione] in qualcosa di molto piacevole. Quindi per farli spostare li ho muniti di una bicicletta. Poi subito dopo l’Appennino, un ambiente che mi piaceva. Quindi ho dovuto aggiungere tutti questi elementi per farmi piacere la chemioterapia: mi sono dovuta appassionare alla mia visualizzazione. Io ero veramente maldisposta alla chemioterapia e ho cercato sempre di evitarla in tutti questi anni. Piangevo a pensare alla chemioterapia, e invece non è stata una brutta esperienza, vissuta così. L’elemento della radura invece si è arricchita nel tempo: era un posto della natura, con colline in fondo, le rocce a destra, la strada in mezzo, le mie
concrezioni, degli alberelli. Poi un giorno una mia amica religiosa - io non sono religiosa - mi dice «sappi che il mio angelo custode te l’ho prestato. È con te e si chiama Tobia.» Quindi ho deciso di inserirlo nella visualizzazione. Da qui la visualizzazione ha preso un gusto più decoupage, tipo collage. Questo Tobia me lo sono immaginato come un cartonato, raffigurato come un angelo del Beato Angelico. Ritagliato su un cartoncino che questa musica ogni tanto passava così in cielo. Quasi come un burattino, con i fili e lo scotch. Una cosa strana che arriva in un contesto fotografico. Quindi, tenendo presente la locandina del film di Akira Kurosawa, questa radura ha perso la sua connotazione così naturale, ma diventa tipo una volta. È all’aperto ma è come racchiuso sotto una cappella, una volta celeste. Come essere in una chiesa ma senza soffitto. Si intuisce che c’è questa volta tutto intorno, dove c’è un cerchio. Da qui, anziché affacciarsi gli angioletti, ci sono i cartoncini dei miei amici, con uno stile schizzato, come fossero delle caricature, fanno il tifo a questi omini.
Un secondo che ho problemi a visualizzare questa volta cosa accade con i tuoi amici. Tu pensa di essere sotto la cupola di San Pietro, ma molto più grande. Sotto c’è la radura e sopra come se ci fosse una balconata con un girotondo di mezzi busti, con questo angioletto che passa. Questi amici sono rappresentati come gli omini del Cluedo.
Quindi all’inizio era tutto molto più bucolico, con le sfere della malattia che comunque non avevano niente a che fare con tutto quello attorno. Mentre ora si è fatto tutto più onirico, quasi surreale.
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1. La salita con i tornanti
2. Arrivo in cima
3. Discesa
4. Arrivo alla radura
5. Il primo ostacolo La coscia
6. Il secondo ostacolo Il bacino
7. Il terzo ostacolo Il rene
I ciclisti si godono la vista Le sagome degli amici, sulla balconata in cielo L’angelo Tobia
2. LA TRADUZIONE
I ciclisti lasciano le biciclette
Il grande masso di sfere che i ciclisti colpiscono con il caschetto Fig. 2.2 - Schizzo spazio-temporale dell’intera visualizzazione di Caterina
Il prato con l’erba alta, i ciclisti si abbassano alla ricerca
L’arbusto dove all’interno si trova il conglomerato di sfere blu
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Parlando dei ciclisti, come te li sei visualizzati? Sono degli omini ma non si vedono mai in volto, si intuisce la forma umana. Ma non si è mai vista la faccia di questi. Più un’idealizzazione di questi. Sempre un po' da lontano, quasi come un quadro di Bosch. Senza troppi dettagli da vicino. Giusto all’interno della coscia che ci sono più dettagli, come se fossero dei minatori. Comunque a volte li vedevo anche di fianco, o dietro. Poi in quel momento c’era anche il Tour de France e il Giro d’Italia, a questo ho sovrapposto la mia passione per la bicicletta. Non è poi il singolo ma la massa dei ciclisti che rappresentano il farmaco, di due colori come le sacche dei medicinali. Il sacchetto rosso e il sacchetto giallo, quindi io vedevo un po’ di caschetti rossi un po’ di gialli. La loro forza era proprio nell’essere un gruppo.
2. LA TRADUZIONE
Parlando delle masse, come le descriveresti? Sono molto geometriche, se dovessi introdurli in un ambiente fotografico sarebbero degli elementi in 3D. Azzurre, una sopra all’altra in maniera disordinata, ammucchiate insieme, quasi da dover essere scardinate. Come delle palline di gomma, forse quindici centimetri di diametro, solide anche un po’ vacillanti. Quelle della coscia quindici centimetri, mentre quelle del bacino molto più piccole, così tanto che andavano cercate tra l’erba. Quindi volevo creare nella mia fantasia anche un attacco dal basso, così la massa, almeno della coscia, cadeva e crollava al suolo. Poi devi capire che io nei primi cicli di chemioterapia facevo soprattutto la sacca rossa, quella più forte e pesante, con del cortisone. Il cortisone è un anti-infiammatorio quindi potevo constatare al tatto questa massa sulla coscia diminuire, perché era l’unica cosa che sentivo. Tanto che me la potevo anche a misurare. Quindi con il cortisone questa massa tumorale si spiaccicava, si rilasciava. Quindi io nella visualizzazione la facevo come un blob di palline che si adagiavano e si scioglievano un po’ sulla strada. Nel bacino prima mi immaginavo che le sfere venivano raccolte e tolte, poi invece ho deciso che dovevano essere eliminate e trasformate.
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In questo caso ti immaginavi il cortisone agire? No, non c’è mai stato. Pragmaticamente non mi importava dell’azione del cortisone che tanto sapevo agiva come anti-infiammatorio, quindi non volevo che funzionasse il cortisone ma la chemioterapia.
2. LA TRADUZIONE
Come descriveresti invece la parte del rene? Più misteriosa, la musica più solenne. Mi spostavo da un organo all’altro, trasportandomi dalla musica, mentre a volte decidevo io in quale organo lavorare di più. Con la musica baldanzosa e allegra non avrei mai lavorato sul rene. Questa parte è forse la più difficile della visualizzazione. Mi ci avvicinavo con molto più rispetto e delicatamente. Non so perché ma mi sono sempre immaginata il loro intervento dall’interno dell’albero, sempre un po’ buio, ombroso. Le sfere erano concentrate in un punto, perché so di avere una metastasi di sette millimetri abbastanza esterna al rene, spero di fare la termoablazione il prima possibile. Io però me la immaginavo all’interno, leggermente verso il fuori che intravedi da fuori. Il rene me lo immagino come un arbusto cespuglioso, non tanto alto come un albero, molto denso di foglie, dove i ciclisti devono andare a cercare e intrufolarsi. Nonostante fosse addensato in un unico punto, gli facevo fare un giro generale, nel caso trovassero qualche pallino in giro, per togliere le cose sul nascere. Qui visualizzavo proprio solamente il caschetto, non proprio l’omino. A volte anche come un fascio di luce tra le foglie come fosse la luce di un caschetto da minatore. Lo vedevo in soggettiva, come se l’omino fossi io. La situazione del rene è l’unica che vedevo veramente da vicino mentre le altre erano più panoramiche. L’ambiente come cambia quindi nel tempo? A ogni ciclo di chemioterapia il mio corpo fiorisce sempre di più. Quindi anche al passaggio dei ciclisti sui tornati e nella discesa sbocciano di
volta in volta sempre più fiori. Questo perché i farmaci, non solo fanno bene a combattere la malattia, ma, passando attraverso il mio corpo, lo fanno rinascere. A livello di immagine come sarebbe? Per me è un elaborato a tecnica mista. Colori accesi, look del videogioco. Sogno e contaminazione stilistica. A me comunque piace molto il fatto della trasformazione, del non distruggere ma del cambiare. Infatti ho anche un mantra legato alla respirazione consapevole profonda, ovvero quando ispiravo mi ripetevo «sbocciano i fiori» e all’espirazione «e io ritorno a fiorire.» Una frase che mi dava una soddisfazione incredibile. Per me è stato tipo accerchiare il nemico e trasformarlo in qualcosa di positivo. Non è stata una battaglia. Lo sbocciare infatti me lo immagino come un hyperlapse. Anche con dei primi piani o dettagli dei fiori che sbocciano. Per la mia visualizzazione ricercavo qualcosa di bello e colorato, festoso. Io ogni volta ne uscivo contenta dalla visualizzazione. Ma ti è mai capitato che la visualizzazione fosse interrotta o non andasse come volevi che andasse? Certamente, soprattutto se intorno a me c’era della confusione. Non sempre quindi le visualizzazioni sono arrivate da sole. Però la musica mi ha aiutato molto a mantenere la concentrazione. Ora continui la stessa visualizzazione? No. Ne ho parlato anche con Luciana. Dopo aver fatto la risonanza e ho visto che la chemioterapia aveva funzionato, mi sono resa conto che, come se avessi fatto un lungo giro in bicicletta, era ora di appenderla al chiodo. Soprattutto dopo il quinto ciclo di terapie mi è venuta un po’ la nausea di questa visualizzazione. Ho detto «Basta! Adesso mi sono un po’
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2. LA TRADUZIONE
stufata» perché avevo perso l’obiettivo. Ora dovrò rifare la chemioterapia e non so se rifarò la visualizzazione, oppure ne farò un’altra. Ho bisogno di cambiare obiettivo. Mi sono trovata benissimo con questa visualizzazione, è stata parte di me ed è venuta anche molto naturale, però mi è quasi diventata antipatica. Forse con un nuovo obiettivo ne ricomincerò un’altra. Se non altro l’effetto su come approcciarmi alla chemioterapia è stato molto positivo. Questa cosa mi rimane, nel senso che d’ora in poi la chemioterapia è diventato quasi un momento piacevole e ho superato quell’avversione iniziale. Devo essere sincera che ciò che vedo nella visualizzazione poi farei veramente fatica anche a metterlo su carta.
Le mie considerazioni dopo il dialogo L’incontro con Caterina è stato il momento più importante del progetto perché ho compreso effettivamente come lavora il Metodo Simonton. Il caso di Caterina è del tutto particolare ma esemplare di come un sistema visuale e narrativo di metafore riescano ad annichilire un atteggiamento negativo. Caterina, partendo da una malattia che si teneva dentro da anni, era molto ostile verso la chemioterapia. Grazie al supporto di Luciana Murru e al Metodo Simonton, lei è riuscita ad affrontare la terapia di cinque cicli in maniera serena e quasi piacevole. Porsi un obiettivo è stato quindi il primo passo per affrontare la terapia, e di conseguenza, la malattia. Infatti in questo caso non c’era l’esplicita volontà di guarigione - questo può esser definito come il fine ultimo - ma quello di crearsi un momento personale, di piacere mentre si affronta una sfida. Caterina, grazie al suo atteggiamento proattivo e collaborativo, è partecipe al proprio processo di guarigione, e continua ad esserlo. Ha preso il controllo della situazione ed è riuscita a creare una dimensione positiva dove rifugiarsi e trovare forza e ispirazione durante la terapia. Durante l’incontro e ascoltando le parole di Caterina nella mia mente si creavano immagini sempre più chiare. Prendevo appunti mentre lei parlava e mi segnavo elementi, aggettivi, sensazioni. La vera sfida del progetto è proprio quella di passaggio dal racconto all’immagine, soprattuto se il pensiero e l’esecuzione si collocano non nella stessa persona. Se Caterina è l’origine dell’immaginario, io, come progettista, assumo il ruolo di esecutore; ma la mia non è una un’esecuzione passiva, anzi, è un tortuoso processo di traduzione, che vede la trasposizione delle parole in un artefatto fruibile ad un pubblico più ampio. Il mio processo in questo senso è sperimentale con l’obiettivo di raggiungere un prodotto video che possa rappresentare nel modo più oggettivo l’immaginario di Caterina. Posto questo obiettivo, ho operato nel modo in cui credevo e sapevo meglio gestire, costringendomi nei limiti del mio obiettivo e in quelli tecnici. Subito dopo l’ascolto ho dovuto imprimere le immagini che si
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erano formate nella mia testa, al fine di iniziare il confronto del mio immaginario con la visione di Caterina. Come si vedrà nel capitolo terzo con il progetto di intelligenza artificiale di ricostruzione profonda di immagini cerebrali, il confronto è alla base nella traduzione tra due linguaggi diversi. In questo caso particolare, il modo migliore per approcciare questo tipo di confronto era quello per immagini già esistenti. La parte più impegnativa è stata quella di creare un documento di creatività (Capitolo 4) che mettesse nero su bianco la mia visione della storia, raccontatami da Caterina, attraverso immagini di film, spot pubblicitari, immagini stock, render 3D, quadri e quant’altro. Questo documento nel tempo si è rimodellato a seconda dei feedback di Caterina fino a che tutti gli elementi non sono arrivati ad un livello sufficiente di oggettività.
2. LA TRADUZIONE
2.2 Traduzione da immaginario a immagine L’ostacolo in questo progetto sono appunto le modalità con cui si opera il processo di traduzione dall’immaginario all’immagine, soprattutto se il soggetto che pensa l'immagine è diverso da quello che la concretizza in artefatto. Come si ad essere il più possibile oggettivi nella fase di esecuzione? I passaggi dall’input all’output finale sono numerosi e, come nel telefono senza fili, l’artefatto finale assume una forma del tutto originale e inedita. Nonostante si cerchi di perseguire la massima oggettività, le molteplici variabili che si incontrano in questo processo rendono il progetto interessante per la modalità in cui è stato svolto e il prototipo finale che si raggiunge. Parliamo di prototipo poiché questo progetto è sì, un reportage comunicativo che vuole far conoscere la storia di successo di Caterina e i metodi olistici della Mindfulness, ma anche un progetto sperimentale di ricerca intorno alla tematica di traduzione e traslazione di un’immagine
mentale in artefatto. A progetto avviato, parte di tale capitolo è una riflessione su come sia possibile riassumere questa particolare esperienza da progettista/traduttore. In generale il metodo con cui ho affrontato questo progetto è da considerarsi come sintesi di come lavorano le agenzie creative, le case di produzione, i clienti, i registi e artisti freelancer quando devono comunicare le idee tra loro, ovvero mettere in comunicazione utenti che parlano linguaggi diversi. Il designer, soprattutto il designer della comunicazione, fa da legante tra le parti, che siano essi gli utenti finali o gli intermediari. Per questa ragione il design è definibile come traduzione. Come nella traduzione linguistica, il design si pone quindi in qualità di «mediazione o di accesso fra un insieme di contenuti e un utente/lettore.» (Zingale in Baule, Caratti, 2016) Ciò quindi ammette che la traduzione nel design possa considersi un atto semiosico (Zingale in Baule, Caratti, 2016), ovvero dare senso all’oggetto attraverso il segno. In altri termini «un compito della semiosi progettuale è di individuare le vie semiosiche che conducono verso il senso possibile, [...] dovrebbe allora cogliere il design come l’atto semiosico che disegna le connessioni, le relazioni, le interdipendenze tra un’idea e la sua forma realizzata, passando attraverso un atto di prefigurazione.» (Zingale, 2012) Da questo assunto è chiaro come il design operi in un ambiente del tutto indefinito, un mondo immateriale di possibilità, dove si passa dalla percezione all’interpretazione di una soluzione possibile. Progettare, infatti, richiede la capacità di interpretare un’esigenza sociale, di comprendere la natura di un problema o l’insorgere di una sfida, e di tradurre i risultati di tale interpretazione in un artefatto. Quest’ultimo è una possibilità scaturita da un salto inventivo (o mentale) di abduzione, dove la meta è un’ipotesi. (cfr. Zingale, 2012) Come ogni altro e più di ogni altro progetto di design, questo si pone appunto come un’ipotesi in traduzione audiovisiva di una visualizzazione mentale. Una lettura semiotica del processo di progettazione è pragmaticamente la più idonea per cercare di capire le microfasi di ogni salto tradut-
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2. LA TRADUZIONE
Progettista
sa
gg
io
tra
du
tti v
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Darstellung
Pa s
tivo. Il triangolo di Peirce può esser preso come spunto per la definizione di un primo schema generale del processo progettuale (fig. 2.5). Questo è un paradosso, ma dà un’idea molto chiara e sintetica della complessità di questo progetto nella prima fase creativa. Riprendendo la stessa definizione di design come disegno, questa è una parola polisemica che ha un bagaglio di significati molto ampio (dal latino designo). Vi sono varie traduzioni come delimitare, tracciare, segnare, rappresentare, indicare, regolare, disporre e organizzare, ma forse la più appropriata in un contesto semantico è delineare qualcosa nella mente con la mente. Una parola di significato univoco la troviamo in tedesco con Vorstellung, rappresentazione, ma traducibile più precisamente come prefigurazione (Vor- prima, Stellung, posizione). La Vorstellung, in questi termini, è la creatività o rappresentazione cognitiva che si evolve nel concetto di Darstellung (Dar- particella che dà il senso al verbo sostantivato di dinnanzi), rappresentazione o messa in scena, esternazione della Vorstellung. In sintesi la prima è l’idea o l’immaginazione che diventa, attraverso un processo di abduzione (il salto inventivo), rappresentazione o materia. Questo binomio Vorstellung-Darstellung può quindi essere riformulato e ridimensionato nel concetto di triangolo della semiosi o dell’interpretazione di Peirce. (cfr. Zingale, 2012) Il semiologo statunitense teorizzò il processo semiosico in un triangolo, dove ai tre vertici si possono trovare l’Oggetto dinamico, il Segno e l’Interpretante. Il Segno diventa la prefigurazione (Vorstellung), l’Interpretante la rappresentazione (Darstellung) e l’Oggetto dinamico viene interpretato come l’oggetto o problema, ciò che mette in moto la semiosi. Quest’ultimo è formulabile solitamente come il problema ma «si potrebbe obiettare: questa formulazione lega indissolubilmente design e problema; come se il problema fosse l’unico “oggetto” di cui il design si occupa. Infatti vi sono molti casi di design in cui l’impresa progettuale non è avviata da un problema, ma da qualcosa molto vicino ad un desiderio.» (Zingale, 2012; corsivo mio) È quindi questo il caso in cui l’oggetto dinamico è il desiderio e il bisogno di Caterina di creare una prefigurazione soggettiva che la
Vorstellung
Oggetto Dinamico
Caterina
Fig. 2.5 - Reinterpretazione del Triangolo di Peirce
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1. Creazione dell’immagine mentale
2. Traduzione dell’immagine mentale in espressioni verbali
Mittente - Caterina
3. Ricezione della parola attraverso l’ascolto
Ricevente - Progettista Fe ed ba ck
5. Creazione del documento di creatività
2. LA TRADUZIONE
4. Creazione dell’immagine mentale
6. Creazione del prototipo audiovisivo
Fig. 2.6 - Schema di vari passaggi traduttivi da un testo di partenza di tipo immaginifico a uno di arrivo audiovisivo
renda partecipe del processo di guarigione dal tumore, e, soprattutto, di veder realizzata la sua visualizzazione in un progetto multimediale. Se la prima condizione non si fosse accompagnata alla seconda il mio intervento sarebbe stato inutile; qui sta appunto l’importanza che la stessa Caterina ha assunto nel progetto. La sua proattività è infatti il motore, l’oggetto dinamico, che ha messo in moto questo processo di design. In lei si può identificare la base del triangolo di Peirce, che vede l’Oggetto Dinamico e la Vorstellung, ovvero la prefigurazione mentale di ciò che dovrà poi esser messo a progetto con la Darstellung. Come un passaggio di testimone, io mi pongo dal lato della Darstellung, ossia mettere in sistema audiovisivo qualcosa che non è nato nella mente del progettista stesso. In teoria questo passaggio dovrebbe essere un automatismo, se si vuole raggiungere l’oggettività più pura, un’esecuzione totalmente passiva, ma ciò non è. Lo schema (fig. 2.5) è una descrizione di quanto detto sopra, riconoscendo la sua natura paradossale. Il focus si concentra poi nel passaggio dalla Vorstellung alla Darstellung, specificatamente nel passaggio dell’informazione con la sua traduzione da immaginifico ad immagine. Seguendo lo schema in figura 2.6, il primo livello è l’origine dell’input (Vorstellung): la creazione dell’immaginario. Questa fase ha luogo nell’individualità di Caterina, nasce dall’esigenza di crearsi un mondo, una storia che sia metafora e simbolo di rinascita e vittoria contro il cancro. Tuttavia questa realtà parallela non è assolutamente accessibile a nessun altro oltre che a se stessa. La visualizzazione è sinteticamente selezione e combinazione di due sfere importanti della persona: i ricordi e le passioni (lato introspettivo), e le metafore. Per avere una corrispondenza più chiara con ciò che avrei creato successivamente, mi sono sforzato di capire come tali immagini siano nate e da cosa siano nate. Prima di tutto si ammette che la visualizzazione del Metodo Simonton è di carattere metaforico, come spiegato nel primo capitolo, di conseguenza ogni elemento ha un simbolismo ben chiaro per Caterina. La scelta degli
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elementi e delle azioni non sono assolutamente casuali, ma per capire il metodo di rappresentazione bisogna cercare di comprendere il suo immaginario. In tale direzione si è cercato di capire, con le conoscenze e gli strumenti a disposizione, quali sono le relazioni e le costanti di generazione di tali invenzioni mentali. Un primo esempio di visualizzazione mentale la si può trovare nei versi del Purgatorio di Dante Alighieri, il quale percepisce una caduta di immagini da «l’alta fantasia» e una interiorizzazione di queste. Con il termine alta fantasia Dante definisce il processo dell’immaginazione come qualcosa che “piove” dall’alto dentro la nostra mente e si presenta in forma di visioni. Queste, tuttavia, sono come proiettate davanti ai suoi occhi e sono un’entità separata da ciò che corrisponde alla realtà oggettiva del suo viaggio ultraterreno. Quindi Dante, il poeta, deve riuscire ad immaginare cosa Dante, il viaggiatore, pensa, vede, prefigura, sogna, e come deve immaginare il contenuto visuale metaforico, di cui si serve per facilitare questa evocazione visiva. Dante cerca quindi di definire il ruolo dell’immaginazione nella Divina Commedia, quella parte visuale della sua fantasia, precedente o contemporanea all’immaginazione verbale. Italo Calvino, nel capitolo “Visibilità” in Lezioni americane, parte dall’esempio di Dante e cerca di capire da dove “piovono” le immagini della fantasia in un' epoca - quella dell’autore - in cui il mondo culturale viene contaminato dalla cultura dei media. Oltre a Calvino, anche Bruno Munari nel suo Fantasia cerca di analizzare come nasce la fantasia, l’immaginazione e il pensiero partendo dalla tesi che queste provengano da costanti presenti pressoché in tutti gli esseri umani. Egli vede, per prima cosa, l’intelligenza, la quale ordina e organizza tutte le percezioni sensibili che incontriamo di continuo nella nostra vita. L’intelligenza, attraverso manipolazioni e operazioni logiche, cerca di capire le cose e i fenomeni attorno a noi. Per Munari la fantasia è la facoltà più libera tra tutte, poiché non tiene conto della realizzabilità o del funzionamento di ciò che ha pensato. L’immaginazione, invece, è «il mezzo per visualizzare, per rendere visibile ciò che la fantasia - l’invenzione e la creatività - pensano.» L'immaginazione non è sempre legata alla fantasia, perché
non è necessariamente creativa, ma fa uso della fantasia, la quale «nasce dalla relazione che il pensiero fa con ciò che conosce.» Le relazioni quindi sono la chiave del linguaggio della fantasia e del pensiero creativo; più si conosce, più la mente possiede dei mezzi di relazione. (Munari, 1977) Le relazioni, così come descritte da Munari, danno vita a un linguaggio metaforico visuale, che si origina da una sfera di conoscenze personali e di carattere intimista. Tutti gli elementi presenti nella visualizzazione, come la stessa, sono parti di un linguaggio metaforico che hanno senso solo all’interno della sfera personale di Caterina, in questo caso. L’immaginazione, ma più precisamente la visualizzazione, è un processo tra mimesi e poiesi. Se la prima è rappresentazione dell’essenza delle cose - nel linguaggio dell’arte secondo Aristotele - o “imitazione” (dal greco μίμησις), la poiesi è ciò che viene creato dal nulla. In questi termini io credo che niente venga creato dal nulla, anzi il processo poetico o poietico nella visualizzazione di Caterina non è altro che reinterpretazione metaforica della mimesi. Secondo il suo racconto non vi è niente di nuovo che non abbia un rimando nella realtà sensibile delle cose, ma sicuramente le relazioni tra questi è del tutto originale. Di nuovo Calvino riconosce due layer o livelli del prodotto finale generato dall’immaginazione. (cfr. P. Proverbio, R. Riccini, 2016) Il punto di partenza di questa stratificazione è l’immaginario personale, o inconscio personale, che tende a essere influenzato da una serie di input, «di simboli culturali compartecipanti.» L’inconscio individuale e l’inconscio collettivo sono quindi in stretto contatto attraverso la produzione di associazioni mentali, immagini, figure, archetipi che si vanno ad intrecciare con le esperienze di vita personale. (P. Proverbio, R. Riccini, 2016) Quando l’immaginario “indiretto”, secondo Calvino, entra in risonanza con l’immaginario personale, artefice primario dell’immaginazione, si dà avvio al meccanismo d’invenzione. Il caso particolare della visualizzazione di Caterina è riflesso di questa teoria; la maggior parte dei componenti della sua visualizzazione nasce direttamente dalla sfera delle sue passioni e delle esperienze passate.
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2. LA TRADUZIONE
Solo un elemento è il prodotto di un processo non riconducibile direttamente alla sfera personale: le concrezioni e le sue varianti del tumore. Da qui sorge infatti la domanda: come è possibile visualizzare qualcosa che si ha all’interno di cui non si conosce la forma, se non a livello concettuale? Una valida ipotesi per poter capire questo processo ce la propone una ricerca condotta da Bozzi e Silli (cfr. P. Bozzi, 1999), la quale cerca di spiegare come nell’antica Grecia sia avvenuta la costruzione immaginativa degli atomi. Essendo l’atomo la più piccola parte della materia inosservabile all’occhio umano, filosofi greci, quali Leucippo, Protagora e Democrito, hanno dato una loro interpretazione visuale dell’atomo. Identificato come la più piccola parte indivisibile della materia, questo differisce per forma, grandezza e posizione. Furono capaci di ridurre il qualitativo in quantitativo attraverso le esperienze sensoriali del dolce o salato, del duro o morbido, del freddo o caldo. La sinestesia è quindi il principio con cui venne la spontanea associazione di proprietà visualizzabili a esperienze percettive tattili, gustative e olfattive. Gli atomi dell’amaro, ad esempio, venivano prefigurati come angolari e sfaccettati, quelli dell’acqua arrotondati e così via. Dalle parole di Caterina posso ipotizzare che questa trasposizione sinestetica sia avvenuta anche per la creazione della visualizzazione del tumore, il quale era l’unica massa cancerosa che lei poteva sentire al tatto, come granulosa. Pertanto è stata la prima ad essere visualizzata; come si evince dal racconto, la massa cancerosa al tatto cambiava di consistenza per effetto anti-infiammatorio del cortisone. Questa poi era evidente dalle radiografie, stesso modo nel bacino come piccoli punti a livello osseo e la piccola massa addensata nel rene. Interessante notare come la visualizzazione sia cambiata dopo alcuni cicli di chemioterapia, proprio dopo aver visionato le immagini radiografiche: la massa della coscia che non si stava disgregando, ma si tramutava in qualcos’altro. Questo feedback visivo le ha dato un nuovo spunto inventivo per la sua visualizzazione che è stata la chiave di tutto il suo percorso; se in un primo momento i suoi ciclisti prelevavano come dei minatori le sfere e le portavano via, poi gli stessi, invece, picchiettando la materia, la tramutavano in fiori.
I fiori sono appunto simbolo collettivo di rinascita, del risorgere della primavera dall’inverno, di un nuovo inizio, questo è innegabile. Tuttavia per capire meglio il valore dei fiori nella visualizzazione e il tipo di ambientazione bisogna analizzare come Caterina ha attinto elementi dai suoi ricordi e dal mondo dei film. I ciclisti, simbolo metaforico degli agenti chimici della chemioterapia e della passione verso la bicicletta, si muovono in un ambiente di tipo appenninico; tale visione nasce dal ricordo di un suo viaggio tra Marche e Umbria in bicicletta con il marito. L’azione di risalire i tornanti, visto dall’alto, come le vene del corpo umano che si riempiono del medicinale, è la memoria della fatica nel salire la montagna per arrivare alla cima e godersi il panorama. Anche la discesa per lei è un ricordo piacevole, come un distaccarsi da quella fatica per poi raggiungere la destinazione. Qui si arriva ad una radura. La radura nasce dalla combinazione di due immaginari: l’uno che risiede nei ricordi, la radura delle piane di Castelluccio a Norcia (PG), l’altro che prende forma dal film del regista giapponese Akira Kurosawa, Dreams. È lo stesso film la chiave di lettura per l’importanza del simbolo dei fiori che crescono nella scena ad ogni ciclo di chemioterapia. Dreams è una raccolta di otto episodi, basati sul concetto del realismo magico e di alcuni sogni del regista. Il primo di questi racconta la storia di un bambino, il quale disobbedisce alle raccomandazioni della madre di non assistere al matrimonio delle volpi nella foresta. Una volpe arrabbiata, dopo che il bambino è stato scoperto a osservare il matrimonio, gli dona un pugnale col il quale si sarebbe dovuto togliere la vita. La mamma lo manda quindi nella radura a cercare le volpi per chiedere venia del gesto. La scena finale di questo episodio, dove questo bambino cammina in una radura fiorita di mille colori chiusa da alte montagne ha condizionato considerevolmente la visualizzazione di Caterina. La presenza di riferimenti culturali che mi potessero aiutare a comprendere al meglio l’immaginario della visualizzazione è stato un tool spesso utilizzato da Caterina per tradurre un’immagine mentale al suo interlocutore, e forse anche a se stessa. Attraverso un processo di similitudine è riuscita a trasportarmi nel suo immaginario, cercando di provocare le sue
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2. LA TRADUZIONE
stesse immagini nella mia mente. La vera sfida per Caterina è stata infatti la riduzione dell’immaginario in parola, ai fini descrittivi. Negli anni settanta lo psicologo sperimentale Stephen Kosslyn sosteneva la tesi che l’immaginazione era un processo iconico, contrariamente alle consolidate teorie del processo proposizionale. Si pensava che la mente umana, nell’esplorare mentalmente un oggetto, scorresse sequenzialmente liste proposizionali di caratteristiche dell’oggetto, qualità e funzione tipica di un’articolazione linguistico-verbale. In breve, sia il linguaggio che l’immaginazione sembrano sottostare a un unico processo cognitivo di tipo proposizionale. Tuttavia grazie all’intuizione di Kosslyn, tutt’ora annoverate e accolte dalla psicologia, la visualizzazione mentale è considerata come un processo iconico. Per rendere esplicito un contenuto immaginifico bisogna quindi riformulare e rielaborare l’immagine mentale per associazioni proposizionali arrivando poi al racconto. «Tuttavia sarebbe ingenuo credere che le immagini mentali siano delle vere e proprie fotografie. Le immagini mentali non sono immobili, dinanzi a noi, come un dipinto incorniciato; non si presentano come una Gestalt ma sono identificate con diverse parti; non si esauriscono nell’iconicità, ma mobilitano concetti [...]» (Sinico M. in Proverbio, P., Riccini, R. 2016) Mettendo da parte la costruzione visuale dei singoli elementi, il concetto della visualizzazione è appunto una scena dove «tutto [è] molto vivace, baldanzoso, molto carico di energia» (dalla trascrizione del racconto di Caterina). Quello che ho notato dalle parole di Caterina era il mood, usando un linguaggio della comunicazione pubblicitaria, che voleva trasmettere a se stessa e a me attraverso la parola. Lei ha infatti usato un vivace linguaggio figurato accostati a riferimenti culturali. I ciclisti sono degli "omuncoli" identificati col giallo e il rosso, visti dall’alto come dei Pac-man e si muovono tutti insieme "in un gruppone" come nel Tour de France o il Giro d’Italia. Tutti questi elementi di similitudine e i molti elementi descrittivi vanno a costruire il concetto che sta alla base della visualizzazione, rispetto che un'immagine vera e propria. Eppure non si descrivono mai nei particolari gli elementi, l’enfasi è sempre più sulle situazioni e sulle azioni.
Gli elementi come i fiori, o i ciclisti, i quali non vengono mai identificati mai in volto, o la natura intorno sono difficilmente descritti nel dettaglio. Ma ciò non avviene sempre: gli ultimi elementi aggiunti nella visualizzazione come l’angelo Tobia e gli spettatori hanno un’estetica molto precisa e sono stati descritti in maniera più materica e concreta. Questi sono il prodotto di un’aggiunta finale e non costituiscono una parte fondante dello sviluppo nello storytelling della visualizzazione, la quale è appunto più immagine concettuale. Il dover raccontare a parole delle immagini mentali significa quindi mettere a sistema, ingabbiare quelle sensazioni e peculiarità che sono scevre e totalmente inesprimibili a terzi. Calvino nel capitolo della "Visibilità" tende infatti a dividere due tipi di processo immaginativo: quello che parte dall’immagine visiva e si fa parola e quello che dalla parola si fa immagine visiva. Analogamente l'autore racconta il suo iter di materializzazione dell’immagine in racconto: «Dunque nell’ideazione d’un racconto la prima cosa che mi viene alla mente è un’immagine che per qualche ragione mi si presenta come carica di significato, anche se non saprei formulare questo significato in termini discorsivi o concettuali. Appena l’immagine è diventata abbastanza netta nella mia mente, mi metto a svilupparla in una storia, o meglio, sono le immagini stesse che sviluppano le loro potenzialità implicite, il racconto che esse portano dentro di sé. Attorno a ogni immagine ne nascono delle altre, si forma un campo di analogie, di simmetrie, di contrapposizioni. Nell’organizzazione di questo materiale che non è più solo visivo ma anche concettuale, interviene a questo punto anche una mia intenzione nell’ordinare e dare un senso allo sviluppo della storia - o piuttosto quello che io faccio è cercare di stabilire quali significati possono essere compatibili e quali no, col disegno generale che vorrei dare alla storia, sempre lasciando un certo margine di alternative possibili.» (Calvino, 1988)
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2. LA TRADUZIONE
Se da una lato c’è chi racconta e rielabora i pensieri in parole, dall’altro c’è chi ascolta e riceve il messaggio. Il dialogo è una progressiva affermazione di nuove informazioni tra i due partecipanti. Secondo il saggio On Dialogue di Bohm, il significato del contenuto-messaggio è simile ma mai identico a se stesso ad ogni interazione. Il libero scambio di informazioni avviene quando i due si pongono senza pregiudizio e senza il tentativo di influenzare l’altro. Ovviamente ciò che influisce nel modificare il messaggio è il modo di rielaborare l’informazione da parte del ricevente, il quale traduce nella propria mente le parole del mittente attraverso un immaginario proprio. Come descritto precedentemente ma a ritroso a distorcere il messaggio, come un telefono senza fili, è la sfera di ricordi e delle esperienze del ricevente. Non solo, l’immaginario “indiretto” di Calvino di un diverso background generazionale e culturale entra in risonanza nel processo traduttivo. Nello specifico io, in veste di ricevente e progettista, mi sono predisposto ad un ascolto passivo e neutrale, lasciando fluire il più possibile il racconto di Caterina e intervenendo il meno possibile. Quello che cercavo di fare era di non avanzare nella mia testa immagini che ancora non fossero state descritte e di cercare di completare il quadro generale con la mia soggettività. Ovviamente ho tentato di limitare tale processo il più possibile ma ciò non è stato possibile del tutto poiché la parola immediatamente si fa immagine visiva nel processo di interpretazione interno. Per evitare ogni mio intervento soggettivo in fase di progetto ho dovuto trovare un escomotage di comunicazione che potesse essere mezzo di dialogo tra i due. Questa fase di ascolto aveva funzionato ma non poteva definirsi completa. Al quel punto io avevo elaborato l’informazione e avevo creato la mia immagine della visualizzazione che, quasi per certo, incontrava alcuni elementi e andava in contrasto in altri con quella originaria di Caterina. Come si diceva precedentemente, l’espressione dell’immagine mentale viene facilitata quando ci si appoggia su associazioni formali di artefatti visuali già esistenti. Per dare quindi un feeedback concreto e per portare avanti il dialogo con Caterina ho deciso di parlare per immagini. Questo è il modo più immediato e più congeniale per entrambi di avere un conti-
nuo feedback sull’andamento del dialogo, arginando il più possibile fraintendimenti od omissioni. Successivamente a questo incontro infatti mi sono subito adoperato nella creazione del documento di creatività, dove avevo creato una collezione di immagini e riferimenti visuali che potessero mettere Caterina di fronte alla mia visione. Non solo, come strumento di scambio, lei stessa ha partecipato alla ricerca di immagini e suggestioni che potessero indirizzarmi al meglio verso la sua visualizzazione. Questi mutuo scambio di feedback visivi è stato, a mio avviso, il miglior modo per la costruzione di un immagine complessiva del progetto univoca. Dall'altra parte credo anche che questo documento visivo abbia anche plagiato l’immaginario di Caterina. Molte reference visuali che ho collezionato e presentato sono parte del mio immaginario e sono scelte fatte su basi progettuali di visualizzazione audiovideo. Infatti io sono stato chiamato a dare un possibile soluzione visiva di tale visualizzazione, i confini della quale sono molto labili e poco definiti. Come abbiamo osservato prima «è ingenuo credere che le immagini mentali siano delle vere e proprie fotografie, [...] non sono immobili come un dipinto incorniciato.» Il documento di creatività è il mezzo che dà le linee guida per la configurazione materica del progetto. Questo però non viene considerato come un vero e proprio oggetto finito poiché va inteso come un prototipo; è una modalità per dar forma a delle immagini mentali, una possibile ipotesi di come questa ricerca sperimentale può essere applicata concretamente. Ogni prototipo ammette le sue esattezze come i suoi errori ed è quindi spunto per un'ulteriore analisi di ricerca. Nell’arte e nella scienza la tematica dell’inconscio e una sua possibile ricostruzione materica sono oggi fonte di dibattito; se da una parte si formalizza il concetto attraverso l’espressione creativa della propria soggettività, dall’altra si analizza e si sviluppano attraverso tecniche creative possibili soluzioni. Ma quando si indaga l’incoscio, il pensiero, il sogno e ci si addentra negli ignoti meccanismi della mente umana non si riesce a giungere ad una soluzione finale concreta, tutto è prototipo o interpretazione.
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Capitolo 3
ARTE & Scienza
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3. Arte e scienza
L’INTERVENTO di ARTE e SCIENZA nell’inconscio Secondo Suzi Gablik è possibile individuare un parallelismo tra lo sviluppo cognitivo e i grandi periodi della storia dell’arte; lei ridefinisce la storia dell’arte in tre macroperiodi per spiegare l’importanza dell’autonomia delle forme fino al punto in cui si possono costruire e manipolare persino forme astratte prive di contenuto. Il primo periodo è il modo rappresentativo, appartenente al periodo dell’arte antica e medievale, il quale si riferisce al periodo pre-operatorio dello sviluppo cognitivo. Il secondo è il modo iconico definito da relazioni proiettive ed euclidee ed è rappresentato dall’arte rinascimentale. L’ultimo o terzo periodo è chiamato modo simbolico, nel quale lo spazio è indeterminato e atmosferico, quindi l’arte moderna governata da sistemi logici e dal pensiero proposizionale. (Gablik, 1976) In questo senso l’arte precede la scienze, poiché mette a sistema e cerca di esprimere attraverso forme e colori qualcosa che razionalmente e scientificamente non si riesce a spiegare. L’arte è indicatore di un’esigenza umana che deve essere dispiegata in teorie scientifiche, e si esprime quindi come impulso interiore soggettivo. Seguendo il sistema di Gablik il modo simbolico, che può considerare il suo inizio nel tardo impressionismo, sviluppandosi poi nelle avanguardie artistiche, è il momento della storia in cui ci si interroga sugli effetti della mente sulla realtà, la percezione soggettiva di questa e la creazione di realtà immaginifiche.
Ho sempre considerato gli artisti i veri ricercatori nell’area del nostro cognitivo,in quanto anticipano, spesso di parecchi anni, concetti che solo successivamente la scienza ci sa spiegare
E nz o S ore s i, Il c ervello anarc hic o
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3. Arte e scienza
Il Surrealismo è l’esempio più spiccato di tale periodo storico-artistico, la punta di un iceberg che nel tempo avrà sviluppi nel campo delle arti, della scienza e della psicoanalisi. Il Surrealismo nasce dal movimento Dada, il quale è da ritenersi un momento di rottura con il passato; le figure assumono una nuova plasticità e perdono il loro significato originale assumendone di nuovi, i valori sociali sono in crisi, si rinnegano i canoni artistici del passato, si rifiutano la ragione, la logica e i sistemi. È l’inizio di un nuovo macroperiodo, poiché sono stati soddisfatte tutte le questioni sollevate nei periodi del modo rappresentativo e iconico. Ciò è stato possibile anche grazie alla nascita della fotografia, con la quale è possibile imprimere su un supporto la realtà, l’evidente, il tangibile. Di conseguenza l’arte incomincia a sentire il bisogno di trovare nuove sfide e interrogativi da esprimere che vadano oltre il figurativismo. Il Dada, in questi termini, è un urlo contro la guerra, la società industrializzata, il cattivo gusto capitalistico che sfocia in un arte simbolica, dove il segno e il significato perdono il loro legame originario. Con gli stessi presupposti nasce il Surrealismo, una forma artistica che si rifà a una realtà oltre la realtà, quella del sogno e dell’inconscio. Questo movimento è, come il Dada, un simbolismo che prende delle forme e gli conferisce un’altra connotazione di significato. In questo caso però tutto diventa metafora del subconscio. La metafora è un espediente metafisico, nel senso che va oltre la fisica e l’oggettività della realtà (Dorfles, Vettese, 2005). Alla fine dell’800 e nei primi anni del 900 incominciavano a circolare a Parigi e in tutta Europa le prime teorie riguardo alla psicoanalisi, quelle di Jung e soprattutto di Freud. Quest’ultimo con L’interpretazione dei sogni del 1899 portò grande attenzione sulla tematica della psiche e dell’onirico da parte di artisti dadaisti; dal Dada alcuni artisti iniziano una scissione poiché il loro operato incomincia a prendere un accezione più “surrealistica”. All’inizio si parlava più di Automatismo, che di surrealismo come movimento, differenziato in un diverso approccio alla scrittura, alla pittura e con modi di esprimersi del linguaggio che lascia libero sfogo all’incon-
scio, senza alcuna soppressione della logica o della ragione. Il surrealismo nasce solo con la stesura e la pubblicazione nel 1924 de Il Manifesto Surrealista da parte di André Breton, il quale desiderava sviluppare un dadaismo più programmatico. Prende successivamente il nome di Surrealismo dal manifesto perché Breton: «Credo alla soluzione di quei due stati, in apparenza così contraddittori, che sono il sogno e la realtà, in una specie di realtà assoluta, di surrealtà, se così si può dire.» (André Breton, 1924). «L’automatismo psichico puro, con cui ci si propone di esprimere il reale funzionamento del pensiero» (Andrè Breton, 1924) è il principio che spiega la condanna del talento artistico come pure abilità e illumina il senso delle tecniche adottate dai surrealisti per scavalcare il controllo della ragione e mettere allo scoperto la forza creativa dell’inconscio. Il contatto con le teorie psicoanalitiche di Freud pone il tema del sogno e dell’oggetto metaforico al centro dell’arte surrealista. L’oggetto surrealista, inteso come forma dell’espressione artistica e letteraria, è il mezzo con cui il surrealista esprime il messaggio. Le opere infatti sono accostamenti di vari oggetti o immagini reali combinati a formare nuove realtà; da ciò si considera l’oggetto sia come opera che tecnica con cui l’opera è stata eseguita. Come afferma Gabellone «all’agitazione gestuale e provocatoria di Dada, al macchinismo futurista, al geometrismo cubista, il surrealismo opporrà una tematizzazione onirica e fantasmatica dell’oggetto, un modo di appropriazione attinente al registro simbolico.» (Gabellone, 1977) Negli oggetti surrealisti la giustapposizione sorprendente di oggetti non correlati viene utilizzata per creare un senso non tanto di irrealtà, quanto di una realtà fantastica ma plausibile al di fuori della quotidianità (Chilvers, 1998). Nelle arti figurative come la pittura e il cinema la giustapposizione di oggetti e immagini semanticamente così distanti creano nello spettatore un senso di sospensione della realtà fisica, e vengono proiettati nella realtà ambigua creata dall’artista. Un luogo dell’inconscio, dove il senso degli oggetti assume un significato nuovo e da scoprire. Nell’ambito cinematografico Un Chien Andalou, con la regia di Luis Buñuel e la scenografia di Salvador Dalí e dello stesso Buñuel, è un corto che si inserisce nella storia
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del cinema come il film “più surrealistico” per le sua misteriosità e ambiguità. Il film, privo di qualsiasi logica spazio-temporale, è un delirio onirico, apparentemente scevro di qualsiasi significato. Come ammette lo stesso Buñuel:
3. Arte e scienza
«Questo film nacque dall’incontro fra due sogni. [...] La sceneggiatura fu scritta in meno di una settimana secondo una semplicissima regola adottata di comune accordo: non accettare alcuna idea, alcuna immagine in grado di portare ad una spiegazione razionale, psicologica o culturale. Aprire le porte dell’irrazionale. Accogliere soltanto le immagini che ci colpivano senza cercare di capire perché. [...]» Anche se il film non si basa su una logica narrativa e vuole essere provocazione per lo spettatore, sarebbe impreciso dire che il cortometraggio non abbia in realtà alcun significato allegorico e metaforico. La prima scena è sicuramente riassunto dell’ideologia che caratterizza l’opera tutta di Buñuel: un uomo affila un rasoio, una sottile nuvola attraversa la luna piena, l’uomo taglia l’occhio di una donna (fig. 3.1). Questa azione è emblematica e carica di significato per tutta la rivoluzione visiva surrealista che intende squarciare l’occhio dello spettatore. L’occhio di quest’ultimo non è più capace di vedere oltre la superficie delle cose e viene provocato a vedere la realtà del simbolo, della metafora che non mostra l’oggetto in sé, ma ciò che è l’idea dell’oggetto che l’artista gli ha attribuito. La provocazione dei due artisti spagnoli è proprio quella di lasciare aperta la questione simbolica perché «niente, nel film, è simbolo di niente. Il solo metodo di indagine dei simboli potrebbe essere forse la psicoanalisi» (Bruñel in MacDonald, 2006). Negli anni a venire all’uscita del film quindi in molti si sono cimentati nella traduzione di significato dei vari elementi. Sicuramente al fine di arrivare a delle teorie plausibili di interpretazione va svolta un’analisi semiotica, quindi considerare i singoli elementi del film e contestualizzarli ognuno con dei caratteri psicoanalitici. Ogni interpretazione è quindi valida se giustificata a livello semantico.
Fig. 3.1 - L’occhio della donna, la luna che viene tagliata da una nube, l’occhio squarciato con il rasoglio.
Fig. 3.2 - Il fardello che deve trainare l’uomo, i due pianoforti, le carcasse di asino, i due preti e le tavole della legge.
Fig. 3.3 - La donna messa all’angolo dall’uomo che la vuole raggiungere ma il fardello è troppo pensate.
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3. Arte e scienza
Una delle scene più cariche di simbologie è quella in cui l’uomo è imbrigliato con delle corde a due pianoforti a coda, sui quali giacciono due carcasse d’asino e ai quali sono legati due preti e due tavole che richiamano le tavole delle leggi (Fig. 3.2). Il protagonista, attanagliato da questo greve fardello, cerca di raggiungere e prendere la donna che si ripara in un angolo della stanza, con l’intento di allontanarsi da lui (Fig. 3.3). L’azione di questa scena è chiaramente di un desiderio maschile violento che vuole la donna a tutti i costi, ma che lotta contro un peso sociale che lo ferma. La pulsione sessuale e la libido sono possibili tematiche di lettura di tutta l’opera, e questa scena ne è emblema. Una passione che in questo caso viene oppressa dalla cultura classica (i pianoforti), il lavoro ai limiti del servilismo (i somari), la chiesa cristiana e la legge che guarda e giudica (i preti). (ShivaProduzioni, 2016) Il mio progetto video richiama il cortometraggio di Bruñuel, come vari altri film di stampo surrealista, per questa valenza simbolica degli elementi, i quali assumono una lettura semantica nuova ed originale. A differenza del video, in questo caso lo spettatore non deve esser lasciato da solo nella traduzione di ciò che sta vedendo, poiché non si vuol lasciare nessun tipo di allusione interpretativa. Entrambi però possono esser considerati come una traduzione dall’immaginario all’immagine, con opposte metodologie di produzione; se in Buñuel e Dalì le menti originarie dell’immaginario sono le stesse produttrici dell’artefatto, nel mio caso il soggetto che produce l’idea differisce da chi ha creato l’immagine. Un Chien Andalou è quindi un processo creativo soggettivo, mentre i molteplici passaggi traduttivi, riportati nel capitolo precedente, si sintetizzano in una metodologia del tutto oggettiva in fase di produzione. Il Surrealismo è un importante punto di partenza per l’estetica del video che si vuole creare. Cosa rende particolare questo movimento è infatti la casualità della giustapposizione di elementi insieme tra loro che mai nella realtà potrebbero convivere. Questa libertà espressiva, scevra dai sistemi della ragione, ha creato un’estetica così definita e precisa che la definizione di surreale è entrata nella collettività assumendo un’accezio-
ne visivamente onirica. Come nei quadri di Magritte o Dalí, l’aggettivo surreale fa intendere una certa sospensione spazio-temporale con un’associazione illogica di elementi. Dal racconto di Caterina, nonostante ci sia una certa logica spazio-temporale, la sensazione del surreale è netta. Citando le parole di Caterina «all’inizio era tutto molto più bucolico, con le sfere della malattia che comunque non avevano niente a che fare con tutto quello attorno. Mentre ora si è fatto tutto più onirico, quasi surreale.» Nella visualizzazione lei stessa ammette di aver aggiunto alcuni elementi distanti tra loro, anche rappresentati con tecniche diverse, che sono giustapposti in un contesto naturale reale. Il tema dell’onirico continua ad essere una tematica che interessa molti ambiti delle arti e della scienza, sollevando sempre più domande a cui ancora la scienza non riesce a dare delle risposte. Le arti visive continuano ad indagare la questione, soprattutto nella cinematografia vengono creati scenari fantascientifici che vedono una scienza e una tecnologia all’avanguardia che offre soluzioni a cui noi tutt’oggi ambiamo. Un perfetto esempio è il film di Wim Wenders Bis ans Ende der Welt del 1991. Il lungometraggio - il director’s cut dura quasi cinque ore - è uno scenario futuristico sci-fi apocalittico, ambientato nel 1999, dove è stato sviluppato un casco in realtà aumentata che permette di registrare e visualizzare i sogni. Lo strumento nasce al fine di consentire a persone non vendenti di poter fare esperienza visiva del mondo, attraverso la rilevazione e la traduzione di onde cerebrali di terzi e “innestando” tali immagini nel cervello del paziente. Questa tecnologia si scopre avere una doppia funzione, infatti i protagonisti del film comprendono che il dispositivo permette di registrare i sogni e di poterli rivedere al proprio risveglio. Come una droga, le persone sottoposte alla registrazione dei sogni diventano dipendenti dalla propria dimensione onirica e non fanno altro che dormire, sognare e rivedere i propri sogni sullo schermo, per poi tornare a dormire. Questo scenario, nel 2020 da essere futuristico passa a essere futuribile, data l’impressionante serie di innovazioni tecnologiche presentate nel film (Fig. 3.4). Tecnologie oggi ben sviluppate quali la VR, il brain imaging,
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3. Arte e scienza
la fMRI. La visione del regista solleva un interessante dibattito sociale, etico e morale sull’utilità di estrapolare immagini cerebrali del sogno o dell’immaginazione per poterne fare una copia digitale. Come un vaso di Pandora ci fa intuire che alcune cose non devono essere scoperchiate, almeno, non siamo ancora pronti. Interessante notare le modalità con le quali il dispositivo di registrazione nel film elabori le immagini digitalmente: il glitch, la distorsione di colori e forme preannunciano un’estetica che tutt’oggi è possibile riprodurre grazie ad un’AI (Intelligenza artificiale) e una rete neurale artificiale. In questo senso arte e scienza vanno a braccetto e si scambiano a volte i ruoli; la scienza opera il più delle volte con una creatività tipica dell’arte, mentre l’arte usa la tecnica e le tecnologie della scienza dandogli nuovo significato. I ricercatori dal tutto il mondo si stanno adoperando per poter capire come ricreare la nostra vita onirica su schermo. Come in Bis ans Ende der Welt non è ancora chiaro a che scopo verrà utilizzata questa tecnologia. Daniel Oldis, "ricercatore indipendente dei sogni" - come si definisce lo stes-
so -, vuole fare un film di ciò che sogniamo, partendo da i movimenti del nostro corpo durante il sonno. I suoi studi sul mondo onirico lo hanno portato a teorizzare che il corpo umano reagisce alla "storia sognata" come quando si è svegli, poichè il corpo si muove e reagisce agli stimoli. Quindi quando sogniamo muoviamo sia gli occhi che i muscoli del corpo. (cfr. Oldis, 2006) Nel 2017 in collaborazione con il Laboratorio delle Neuroscienze cognitive all’Univerity of Texas ad Austin egli è riuscito a tracciare il comportamento motorio di un paziente in fase REM. Attraverso un elettromiogramma (EMG) i ricercatori hanno misurato gli impulsi nervosi dei muscoli di tutto il corpo, registrandoli e trasferendoli in un avatar in computer grafica (Fig. 3.5). Successivamente a questo primo esperimento si è cercato anche di registrare i discorsi durante il sogno, applicando degli elettrodi sulle labbra e sulla gola del partecipante all’esperimento. I ricercatori della Univesity of Texas stanno ancora lavorando al fine di raggiungere risultati più precisi, poiché per ora sono riusciti solo a cogliere parti di discorso e parole indecifrabili. Il progetto sta andando avanti con la partecipazione
Fig. 3.4 - Lo scenario tecncologico di scanning cerebrale, di registrazione mentale dell’immagine e infusione di questa nella mente della donna non venedente nel film Bis ans Ende der Welt di Wim Wenders
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3. Arte e scienza
Fig. 3.5 - L’avatar 3D che simula i movimenti che il nostro corpo compie durante il sonno
aggiunta della UCLA School of Medicine, la U.S. Army Research Laboratory, e la University of Texas Health Science Center in San Antonio, il così chiamato Dream Team, che cercherà di creare il film dai sogni di tre o quattro partecipanti. La sfida maggiore per Oldis ora è la generazione dell’immagine, sebbene in Giappone fin dal 2005 stanno lavorando nella traduzione dell’immaginario in immagine. La squadra di ricercatori, ingegneri e neuroscienziati all’Università di Kyoto, guidati dal neuroscienziato Yukiyasu Kamitani, è riuscita a ricostruire l’immagine creata dal pensiero nel cervello di una persona sveglia; attraverso la fMRI (risonanza magnetica funzionale) e una DNN (deep neural network), progettata per ricostruire immagini da stimoli visivi. Il progetto incomincia a prendere forma nel 2005, quando Kamitani e Tong (cfr. Kamitani & Tong, Nat Neurosci, 2005), attraverso l’MRI, riescono a isolare segnali elettromagnetici della corteccia cerebrale in base all’orientamento di un’immagine. Una DNN è stata “istruita” a riconoscere tali segnali e a decodificarli, partendo da un modello matematico che si regola di volta in volta che viene allenato. Questo avviene in un decodificatore che prende le onde cerebrali e le traduce in un linguaggio che la rete neurale profonda (DNN) possa comprendere. Gli input che inizialmente la macchina sa riconoscere sono quattro: orientamento orizzontale, orientamento verticale, orientamento a +45° e +135°. Questo fa sì che la DNN sia capace di comprendere l’orientamento dell’immagine che la corteccia sta elaborando. L’esperimento ha dimostrato inoltre che lo stimolo cerebrale non viene solamente da una fonte fisica, ma può essere anche una figurazione mentale. Da qui la definizione di Neural mind-reading. Il processo di perfezionamento è continuato nel 2014, quando una nuova DNN è stata sviluppata dalla base del precedente modello computazionale-matematico. In questo caso la rete neurale è stata configurata con una struttura di riconoscimento dell’immagine a livelli, come avviene nel nostro cervello. La percezione dell’immagine da parte degli esseri viventi, e più specificamente nell’uomo, e la loro decodifica è gerarchica e segue vari livelli nella corteccia visiva, diciassettesima area
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3. Arte e scienza
di Brodmann (BA17). Partendo dal talamo, origine del segnale visivo, si passa alla corteccia visiva primaria (V1), la quale è connessa a catena con la secondaria (V2), la terziaria (V3), la quaternaria (V4) e, anche se con deboli connessioni, con la V5. Più si sale di livello, più i neuroni delle varie aree vengono attivati a riconoscere forme sempre più complesse. Lo stesso tipo di modello è stato ricostruito in una DNN, chiamata per questo tipo di funzioni rete neurale convoluzionale (CNN o ConvNet dall’inglese convolutional neural network). Questa è un tipo di rete neurale artificiale feed-forward in cui il pattern di connettività tra i neuroni è ispirato dall’organizzazione della corteccia visiva animale. Ogni parametro ad ogni livello della DNN viene quindi regolato con l’uso dei big data, ovvero un database di milioni di immagini. Questo sistema è alla base di ogni tipo di intelligenza artificiale impiegata per il riconoscimento di immagini. Finora, tuttavia, alla macchina viene dato come input un’immagine e come output un testo descrittivo o attributivo. (Horikawa and Kamitani, Nature Communications 2017; Mordivintsev et al., 2015; Øygard, 2015) Tuttavia il team di Kamitani ha fatto uno step successivo, rimodellando le funzioni della DNN per ricostruire un’immagine da un input fisico o percettivo originati nel cervello umano (deep image reconstruction.) Mettendo in stretta relazione e confronto le funzioni generate dal cervello e dalla DNN, i ricercatori hanno confermato che è possibile predire come l’intelligenza artificiale risponderà. L’attività della corteccia visiva in fase di elaborazione dell’immagine viene registrata attraverso una fMRI, composto da impulsi elettromagnetici. Al fine di poter far decodificare questi dati alla DNN principale è stata messa a punto una ulteriore DNN (feature decoder) per la codifica e traduzione degli impulsi elettromagnetici in un linguaggio computazionale, comprensibile alla DNN principale. Attraverso i big data la DNN selezione un’immagine di riferimento e produce delle immagini in forma di funzioni (features), comparabili con le informazioni giunte dalla DNN feature decoder. Questo processo iterativo ottimizza i valori dei singoli pixel così che le funzioni della DNN principale diventino sempre più simili a quelle prodotte dal cervello. Facolta-
tivamente la DNN può essere integrata con una DGN (deep generator network) che rende l’immagine più naturale; anche questa si basa sui big data (Fig. 3.6). (Guohua Shen, Tomoyasu Horikawa, Kei Majima, Yukiyasu Kamitani, 2017)
Attività dell’fMRI
DNN feature decoder
Immagine vista/immaginata
Funzioni decodificate
Immagine iniziale di riferimento
ERRORE
DGN supplementare
DNN principale
Ciclo iterativo di ottimizzazione delle immagini
Fig. 3.6 - Funzionamento della Deep Image Recostruction
Funzioni dell’immagine iniziale
Immagine ricostruita
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1
20
40
60
80
100
120
140
160
180
200
Numero di iterazioni Fig. 3.7 - Numero delle iterazioni dell’ottimizzazione dell’immagine della DNN principale
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3. Arte e scienza
Nonostante i risultati non siano del tutto fotorealistici, le immagini prodotte hanno alcuni elementi in comune con l’originale tra cui i colori e alcune strutture sia di forma (Fig. 3.7). L’estetica è quella dell’Arte Generativa, la quale presenta comunque errori (glitch) e deformazioni. Ancora non è possibile assegnare nessun tipo di funzionalità a questa tecnologia, poiché è ancora in fase di ottimizzazione, sebbene il mondo dell’arte si sia dimostrato molto interessato. In questo senso l’errore è ciò che genera il dibattito ed interesse nel mondo dell’arte: è una macchina che pensa le immagini come le penserebbe un essere umano? È un traduttore? A differenza del film di Wim Wenders, l’intelligenza artificiale sviluppata all’Università di Kyoto può solo estrapolare degli still di cosa stiamo pensando o sognando. Eppure l’errore o glitch nella visualizzazione digitale del cognitivo è una caratteristica che accomuna i due scenari (fig.3.8 e 3.7). La macchina, nel processo di esecuzione, applica una traduzione e quindi un’interpretazione che rende l’immagine unica nel suo genere. Il linguaggio dell’arte e della scienza si sintetizzano in un prodotto di traduzione che presenta quelle peculiarità di distorsione dell’interpretazione. Il glitch è quindi il codice che si pone inframezzo tra l’immaginario e l’immagine. In senso lato si possono considerare i due prodotti multimediali creati dal regista e dal neuroscienziato un’espressione nell’ambito artistico dell’arte New Media. Citando il saggio L’immagine video - Arti visuali e nuovi media elettronici di Vittorio Fagone, «la videoarte (definibile con l'odierna e più evoluta New Media Art), è espressione non solo di un adeguamento dell’arte alle nuove possibilità delle tecniche visive, come già accaduto per la fotografia e il cinema, ma anche produzione di immagini inedite, regolate da un interno e plastico codice.»
Fig. 3.8 - Successione di fotogrammi del film Bis ans Ende der Welt di Wim Wenders. La sequenza mostra le immagini registrate dal cervello della persona 1 ed innestate in quello della persona 2, ovvero il non vedente. I fotogrammi riportati sono stati estrapolati in sequenza e mostrano come la registrazione ricostruisca delle immagini reali ma distorte dal dispositivo.
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LA CREATIVITÀ
le linee guida e un dialogo visuale di idee
4. la creatività
Sintesi dell’ascolto e storytelling L’ambiente montuoso appenninico è il suo corpo e i ciclisti sono gli agenti chimici della chemioterapia. Le sacche che le venivano iniettate sono di due colori: gialle e rosse. Da queste il colore della tuta dei ciclisti, i quali in un primo momento devono faticosamente risalire tutto il corpo, la lunga strada di tornanti. Arrivati in cima poi rapidamente scendono nella radura, il campo di battaglia, dove trovano il nemico da combattere. Il tumore, immaginato come delle sfere blu, è rappresentato in tre situazioni: il tumore alla coscia (la grande massa che ostruisce il passaggio), il tumore al bacino (le tante piccole sfere nascoste nel prato) e il tumore al rene (una piccola massa nell’arbusto). Il più delicato di tutti è sicuramente l’ultimo degli ostacoli, infatti se per tutta la storia il ritmo è baldanzoso e festaiolo, arrivati all’arbusto la situazione si fa più misteriosa e seria. L’ultima sacca della chemioterapia funge da pulitore e purificatore, immaginato da Caterina come un momento quasi da spiaggia dove alcuni ciclisti lavorano mentre altri si riposano. Lo sbocciare dei fiori è l’emblema di tutta la visualizzazione, poiché rappresenta la trasformazione del tumore in qualcos’altro di positivo. Questo nasce da una lastra alla coscia, dove la massa tumorale non era sparita ma si era trasformata in qualcos’altro La lotta contro il male che non viene distrutto ma convertito in bene. Il passaggio dei ciclisti infatti fa fiorire l’ambiente circostante perché la cura non colpisce solamente le masse tumorali, ma interviene nel benessere di tutto il corpo.
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I riferimenti di Caterina
4. la creativitĂ
Qui si raccolgono le immagini di reference citate durante il suo racconto della visualizzazione e alcune foto scattate durante i suoi viaggi. Nel capitolo 2.1 si possono trovare sottolineati tutti quegli elementi visuali che sono riportati qui di seguito.
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4. la creativitĂ
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Le mie proposte e le linee guida finali Se Caterina ha assunto la posizione dell’Art Director nel progetto, io ho dato degli spunti più di regia e di esecuzione. Ho proposto a Caterina una serie di opzioni per tecniche e tipo di trattamento filmico da dare al video finale. Queste sono le scelte finali e gli elementi che mi hanno poi dato le linee guida per portare avanti il progetto.
4. la creatività
- i fiori - ATTITUDE
- le sfere
- TRATTAMENTO
- i ciclisti - gli amici e l’angelo 45
Attitude
4. la creatività
Il video ha un ritmo dinamico e veloce, come se ricordasse il mondo dei videogiochi. Gli omini, soprattutto nello sconfiggere le masse tumorali, si muovono molto velocemente e agiscono con rapidità sulle masse in unione. Nonostante questo sia un campo di battaglia, tra i vari ciclisti c'è armonia e serenità.
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TRATTAMENTO
4. la creatività
Il video presenterà un mix tra girato e elementi in CGI, quindi l’aspetto finale sarà abbastanza eterogeneo. D’ispirazione onirica l’immagine ha colori vividi con effetti analogici, come fosse un ricordo, che rimanda a un digitale leggermente rovinato nel tempo. Viene ripreso l'effetto del glitch come nelle immagini dell'intelligenza artificiale di Kamitani o le registrazioni dei sogni nel fim di Wim Wenders Bis ans Ende der Welt. L'immagine è ben definita ma a tratti distorta.
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I FIORI
4. la creativitĂ
I fiori nascono dalla rottura delle sfere blu con un colpo di caschetto dei ciclisti. Le singole masse scoppiano e dei fiori colorati nascono da esso. Lo sbocciare dei fiori è rapido, come se fosse un hyperlapse. Piano piano le masse spariscono e lasciano il posto a tanti fiori diversi. I fiori sono modellati in 3D e inseriti nell’ambiente fotografico.
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LE SFERE
4. la creatività
Il tumore viene presentato come un conglomerato di tante sfere blu. Il primo ostacolo che incontrano i ciclisti è un grande conglomerato di sfere blu (ca. 15 cm diametro) che ostruisce la strada. La massa è compatta e grande. In un secondo momento i ciclisti trovano nella radura tra l’erba alta tante piccole sfere, che devono essere cercate perché nascoste dall’erba alta. In questo caso sono tante piccole sfere singole. L’ultima situazione è quella dove le sfere sono attaccate tra le foglie e i rami di un arbusto. Le masse sono modellate in 3D e inserite nell’ambiente fotografico.
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I CICLISTI
4. la creativitĂ
I ciclisti sono la metafora dei medicinali che entrano nel corpo e combattono la malattia. Sono di due tipi: i rossi e i gialli, come il colore delle sacche della chemioterapia. Insieme, come un’unica squadra, salgono la montagna e scendono nella radura per eliminare le masse blu. Dalla radura in poi lasciano la bicicletta e agiscono sulle sfere a piedi. I ciclisti sono modellati in 3D e inseriti nell’ambiente fotografico.
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GLI AMICI E L’ANGELO
4. la creatività
Durante la battaglia dei ciclisti contro le masse in cielo appare l’Angelo Tobia, prestato a Caterina da una sua amica come angelo custode. Appare come un cartonato appeso ad un filo che vola sopra la scena. Intorno alla volta celeste, come fosse la balconata interna di una cupola, assistono gli amici di Caterina, i quali sono presentati anche loro come dei cartonati in forma di caricatura. Lo stile sarà quello di un collage 2D su un ambiente 3D.
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Le scene
4. la creatività
Come fosse un documento di creatività realizzato da un regista per mostrare la propria idea a tutto il team, si presentano delle macro scene con i tipi di inquadrature e cosa verrà mostrato in ogni macroscena. Le immagini di riferimento sono prese da vari video, immagini stock o sono state costruite attraverso dei fotomontaggi.
1. La salita
5. IL pRIMO OSTACOLO
2. ARRIVO IN CIMA
6. iL SECONDO OSTACOLO
3. LA DISCESA
7. IL TERZO OSTACOLO
4. ARRIVO ALLA RADURA
8. IL RIPOSO 52
1. La salita Il video inizia con la squadra dei ciclisti rossi e gialli che risalgono il monte. Tornante dopo tornante arrivano in cima.
4. la creatività
L’establishing shot è pensato per essere ripreso con un drone; questa scena si ripete più volte durante la salita. I ciclisti non vengono mai ripresi in volto ma da dietro o con riprese di dettaglio. A volte lateralmente.
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2. arrivo in cima
4. la creativitĂ
Fermi a godersi il panorama, scendono dalla bicicletta. Questo momento è ripreso in un'unica scena. I ciclisti sono di spalle
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3. la discesa
4. la creativitĂ
I ciclisti riprendono la bicicletta e scendono giĂš per il pendio. Questa volta la strada si immerge in una foresta. Il ritmo si fa piĂš veloce e dinamico nella discesa. La strada esce dal bosco per arrivare alla radura dove i ciclisti si fermano.
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4. arrivo alla radura
4. la creativitĂ
Scesi dalla bicicletta, che è stata il mezzo per arrivare dalla radura, in corsa tutti insieme si avvicinano al primo ostacolo, visibile da lontano. Con delle inquadrature a campo lunghissimo si presenta tutta la piana.
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5. IL PRIMO OSTACOLO Il primo ostacolo è un grande blob compatto di tante sfere blu che bloccano il passaggio dei ciclisti. Questi si avventano subito sulla massa e incominciano a picchiare l’elmetto contro le singole sfere, le quali esplodendo fanno fiorire dei fiori coloratissimi. Alcuni di loro rimangono a colpire questa massa, mentre altri continuano il percorso.
4. la creatività
In questa macroscena l'azione è mostrata attraverso diverse soggettive dei ciclisti che colpiscono con la testa le masse, scoprendo i fiori. Diverse scene riprendono la scena nella sua complessità dall'esterno con dei campi lunghi.
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6. IL secondo OSTACOLO
4. la creativitĂ
Il secondo ostacolo è un campo di erba alta dove si nascondono tante piccole sfere. I ciclisti arrivano e iniziano la ricerca di queste; come nel primo ostacolo, i ciclisti per eliminare le masse le colpiscono con l’elmetto. Anche da queste sbocciano dei coloratissimi fiori. A differenza della prima situazione, le scene che compongono questa parte di storia sono prevalentemente dei campi lunghi o dettagli.
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7. IL TERZO OSTACOLO
4. la creativitĂ
Arrivato al terzo ostacolo i ciclisti si trovano davanti un arbusto con molto fogliame. All'interno si intravede una massa di tante piccole sfere blu. I ciclisti si avvicinano e, con molta curano spostano le foglie per avvicinarsi con il caschetto e rompere le sfere. Come nella prima macroscena, anche qui le singole scene sono sia delle soggettive dei ciclisti che delle riprese esterne. In particolare qui troviamo un'oggettiva del tumore tra le foglie.
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8. IL RIPOSO
4. la creativitĂ
Le sfere non sono state tutte distrutte ma il lavoro dei ciclisti è finito per questa sessione; questi infatti si riposano e si rilassano tutti insieme con una musica da spiaggia (reggaeton). Alcuni continuano a lavorare, ma in maniera meno intensa. Altri si riposano e si distendono sul prato. La singola scena viene ripresa dall'alto.
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IL PROGETTO 61
LA VISUALIZZAZIONE GUIDATA SI Fa prototipo visuale Riprese video
5. Il progetto
elementi 3d COMPOSITING & GRADING 62
Riprese video
5. Il progetto - riprese video
Le riprese video sono state svolte in tre location. La storia si sviluppa intorno a tre luoghi principali: la salita a tornanti con l'arrivo alla cima, la discesa alberata e la radura tra colline e montagne. Ho deciso di girare le scene in un ambiente di tipo appenninico, come visualizzazato da Caterina, piĂš precisamente nell'Appennino Umbro-marchigiano. Rispettivamente i luoghi sono stati: Poggio San Romualdo (AN), Canfaito (MC) e le piane di Castelluccio di Norcia (PG). Questi sono luoghi che si collocano tra Marche e Umbria in due parchi regionali - il Parco Naturale della Gola della Rossa e Frasassi e la Riserva Naturale Regionale del Monte San Vicino e del Monte Canfaito - e il Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Le riprese con camera sono state effettuate da me a Gennaio del 2020. Tuttavia per le circostanze dell'emergenza sanitaria che stiamo affrontanto nel 2020, sono stato impossibilitato nel tornare in quei luoghi per poter girare con il drone.
Poggio San Romualdo (AN)
Canfaito (MC)
Castelluccio di Norcia (PG)
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5. Il progetto - riprese video
La salita - Poggio San Romualdo
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5. Il progetto - riprese video
La discesa - Canfaito
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5. Il progetto - riprese video
La radura - Castelluccio di Norcia
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5. Il progetto - ELEMENTI 3D
ELEMENTI 3D Margherite
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5. Il progetto - ELEMENTI 3D
Dente di leone e fiori di campo
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5. Il progetto - ELEMENTI 3D
Il tumore
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5. Il progetto - ELEMENTI 3D
Ciclisti
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5. Il progetto - ELEMENTI 3D
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5. Il progetto - COMPOSITING & GRADING
Le biciclette
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COMPOSITING
5. Il progetto - COMPOSITING
Il primo ostacolo
Render 3D
Compositing
Correzione colore
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5. Il progetto - COMPOSITING
Render finale 74
5. Il progetto - COMPOSITING
Il secondo ostacolo
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Correzione colore
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5. Il progetto - COMPOSITING
Render finale 76
5. Il progetto - COMPOSITING
Il terzo ostacolo
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5. Il progetto - COMPOSITING
Render finale 78
5. Il progetto - COMPOSITING
La salita
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Correzione colore
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5. Il progetto - COMPOSITING
Render finale 80
5. Il progetto - COMPOSITING
La discesa
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Correzione colore
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5. Il progetto - COMPOSITING
Render finale 82
5. Il progetto - COMPOSITING
L'arrivo alla radura
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Correzione colore
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5. Il progetto - COMPOSITING
Render finale 84
5. Il progetto - COMPOSITING
I fiori che sbocciano e l'Angelo Tobia
Render 3D
Compositing
Correzione colore
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5. Il progetto - COMPOSITING
Render finale 86
CONCLUSIONI Come mi disse il mio relatore Marco Capovilla in uno degli ultimi incontri di revisione via videochiamata «Direi che stai navigando attraverso tutti i punti della mappa rizomatica della comunicazione visiva!» Effettivamente la mappa rizomatica è un ottimo esempio per capire la profondità del tema che sta alla radice di questa tesi. Come se stessimo guardando la profondità del mare dal filo dell’acqua, possiamo solo supporre e immaginare cosa ci sia più giù. Io, come se stessi nuotando sulla superficie, ho messo la testa sotto l’acqua e ho provato a guardare e analizzare l’oscurità del cognitivo, la traduzione dall’immagine all’immaginario, il design come visualizzazione del pensiero e del sogno. Il progetto quindi è sperimentale e originale nelle sue modalità, appunto perché non è possibile mappare a 360 gradi in maniera univoca ciò che lega l’immaginazione, l'immaginario e la fantasia al logos, alla parola e all’immagine. Il focus sta infatti nell’aver esplorato il progetto creati-
vamente e personalmente con gli strumenti a disposizione. Non è facile inquadrare il prototipo presentato in questa tesi in una funzionalità ben definita - poiché essendo lo stesso un prototipo ha bisogno di altre future attenzioni e sviluppi. Fin dall'inizio i presupposti facevano intendere che sarebbe stato un progetto talmente sperimentale che poteva essere collocato in quella zona di mezzo tra il design e l'arte. Eppure l’entusiasmo dimostratomi dai vari attori del processo di progettazione mi ha dato degli spunti per alcune applicazioni più concrete. La psicologa dottoressa Luciana Murru ha espresso molto interesse a questo progetto a fini psicoanalitici. La psicologia infatti è ancora una pratica basata sul dialogo tra paziente e psicoterapeuta, che incontra ogni volta l’ostacolo traduttivo dall’immaginario alla parola. La stessa problematica è stata identificata da Freud ne L’interpretazione dei sogni in relazione alla manifestazione simbolica dell’onirico: egli infat-
Fig. 6.1 - La mappa rizomatica della comunicazione visiva.
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CONCLUSIONI
ti riconosce il contenuto manifesto come livello più superficiale rispetto al contenuto latente. Il primo infatti è ciò che il paziente riesce a ricordare e a raccontare allo psicoterapeuta, mentre il contenuto latente è ciò che deve essere rivelato dalla psicanalista attraverso le varie sedute. Luciana Murru, essendo psicoterapeuta specializzata in psiconcologia, vedeva il mio progetto come un ottimo strumento di sostegno interpretativo delle visualizzazioni dei suoi pazienti, praticanti del metodo Simonton. Il beneficio dell’introduzione di un “tecnico delle visualizzazioni” nel processo di psicoanalisi, in questo preciso caso nel Metodo Simonton, sarebbe un doppio giovamento sia dal lato del terapeuta che da quello del paziente. Quest’ultimo infatti sarebbe coinvolto creativamente, oltre che mentalmente, nel processo di partecipazione alla propria guarigione. Come è possibile vedere in fig. 1.1 e 1.2 del primo capitolo, lo psicoterapeuta cerca di coinvolgere il paziente in maniera proattiva nella traduzione della visualizzazione con disegni, tecnica che si è dimostrata limitata e limitante, come nel caso di Caterina. Questo, con le tecnologie e le risorse ad oggi disponibili, è uno scenario che si presenta come utopico, poiché, oltre ai lunghi tempi di realizzazione, il risultato visuale finale non sempre corrisponde all’immaginazione del paziente. Ciò potrebbe portare quindi o a plagiare l’immaginario labile del paziente - come spiegato nel capitolo 2.2 le immagini mentali non sono immobili ma
mobilitano concetti - oppure a deludere lo stesso con qualcosa che non rispecchia le sue visualizzazioni. Quindi la questione gira intorno alla validità della traduzione che purtroppo ammette un ampio margine di interpretazione da parte dell’esecutore per limiti tecnici o di soggettività. In secondo luogo qui è stato riportato un caso studio particolare e unico, nel quale le metodologie scelte sono state sviluppate ad hoc per il tipo di visualizzazione e il tipo di persona con cui mi trovavo davanti. Caterina infatti è una persona molto creativa, che di mestiere fa l’art director, quindi è solita visualizzare mentalmente e ha una spiccata fantasia. Conoscendo le sue passioni e alcuni suoi ricordi per me è stato da subito immediato avere un dialogo visuale con lei composto di reference visive. Forse per qualcuno con un’attitudine più schematico logica un metodo più proposizionale sarebbe stato più adatto. Le variabili in tale ambito pertanto sono troppe da gestire e non è possibile ora definire un procedimento che sia univoco e funzionale per ciascuno. Se volessimo approfondire la questione di uno strumento e una metodologia universale che possa tradurre l’immaginario in artefatto visuale, allora bisognerebbe indagare più su una tecnologia che si interfacci in maniera soggettiva con il paziente. Per queste ragioni mi sembra molto promettente il progetto del professor Yukiyasu Kamitani, che a questi fini è ancora ad uno stadio embrionale, ma che, se ottimizzato, può rivelarsi un ottimo strumento di supporto alla psicoanalisi.
Il progetto è molto interessante nel momento in cui si prende il caso di Caterina e si costruisce intorno un discorso più articolato e di carattere divulgativo. Il professor Soresi e la dottoressa Murru si erano resi disponibili per delle video interviste, nelle quali il loro intervento sarebbe stato funzionale per la creazione di un documentario su un approccio più olistico alla medicina tradizione. Il professor dottor Enzo Soresi, pneumologo e oncologo, è convinto di come i pazienti, come lo stesso personale sanitario, abbiano bisogno di essere illuminati sull’importanza della psiche per la nostra salute fisica. Lo stesso dottore ha scritto svariati libri dove testimonia come è cambiato il suo approccio alla medicina tradizionale durante la sua lunga carriera, per una considerazione sempre più attenta verso la psicologia. Ad esempio le tecniche di mindfulness possono essere supporto e prevenzione di malattie gravose, come appunto il cancro. Luciana Murru vedrebbe invece una finalità divulgativa con l’intento di chiarire e rassicurare i suoi nuovi pazienti, prossimi al metodo Simonton. Il video documentario in tale caso sarebbe appunto valido in entrambi casi. Il progetto continua quindi ad avanzare ed evolversi, sia nella sua forma originale di video sperimentale, sia come documentario. Con la speranza in futuro che questa testimonianza sia d'ispirazione a molte altre persone, che siano malate di cancro o no, e che questa tesi di ricerca possa essere un valido contributo, anche se piccolo, nell'indagine del mondo dell'immaginazione e dell'immaginifico.
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Iconografia Tutte le immagini di compertina sono fotogrammi presi dal video d’animazione di Jake Fried “ The Blank Page”, 2020 Fig 1.1: Simonton, O. C., Matthews-Simonton, S., Creighton, J. L., - Getting Well Again. The bestselling classic about the Simontons’ revolutionary lifesaving self-awareness techniques, New York, Bantam Books, 1978, p. 161, 163, 164, 166, 167 Fig 2.1, 2.2, 2.3, 2.4: Bozzetti personali
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Fig. 3.5: Oldis, D. - A Dream Viewer (Actual in-dream behavior powered by sleep lab data.), https://vimeo.com/user10485928, 2017 Fig. 3.6, 3.7: Shen, G., Horikawa, T., Majima, K., Kamitani, K. - Deep Image Reconstruction from Human Brain Activity, bioRxiv 240317, 2017
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