Il riconoscimento delle responsabilità dell'ostetrica

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IL RICONOSCIMENTO DELLE RESPONSABILITÀ PROFESSIONALI DELL'OSTETRICA TRA RIGORISMO GIURISPRUDENZIALE E NUOVI ORIZZONTI ASSISTENZIALI

Alice Santercole





IL RICONOSCIMENTO DELLE RESPONSABILITÀ PROFESSIONALI DELL'OSTETRICA TRA RIGORISMO GIURISPRUDENZIALE E NUOVI ORIZZONTI ASSISTENZIALI

Alice Santercole



A chi c'è e a chi verrĂ



Indice Introduzione Capitolo I Dal concetto di ausiliarietĂ all'affermazione dell'autonomia professionale 1.1 L'affermazione dei doveri fondamentali dell'ostetrica 1.2 Il regolamento per l'esercizio professionale 1.3 Le istruzioni per l'esercizio professionale 1.4 Il profilo professionale 1.5 L'abrogazione del mansionario 1.6 L'affermazione dell'autonomia professionale 1.7 Il riconoscimento della direttiva europea Capitolo 2 Nuove frontiere dell'esercizio professionale 2.1 L'autonomia operativa dell'ostetrica 2.2 L'esercizio abusivo della professione medica. Quali limiti? 2.3 L'interpretazione della direttiva ZappalĂ


Indice 2.4 La prescrizione degli esami in gravidanza 2.5 Episiotomia, episiorrafia e analgesia 2.6 Le competenze diagnostico-valutative Capitolo 3 Le responsabilità professionali dell'ostetrica 3.1 Il concetto di responsabilità 3.2 La responsabilità penale dell'ostetrica 3.2.1 L'elemento psicologico del reato 3.2.2 La condotta colposa Capitolo 4 La responsabilità dell'ostetrica nel lavoro in equipe 4.1 Il dovere di vigilanza del medico sul professionista sanitario non medico 4.2 La collaborazione dell'ostetrica nell'équipe sanitaria


Indice 4.3 Le interpretazioni giurisprudenziali della Corte Suprema di Cassazione Conclusioni Bibliografia



INTRODUZIONE

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Introduzione Gli attuali scenari medico legali che interessano l’ambito ostetrico ginecologico stanno delineando e influenzando sempre di più la gestione della pratica clinica, sia in termini di offerta assistenziale sia nell’interazione tra le diverse figure pro­fessionali nell’ambito del lavoro d’équipe. Le problematiche inerenti a questa con­dizione risultano sempre più oggetto di interesse della comunità scientifica a livel­lo multidisciplinare, nel tentativo di fornire un’ interpretazione, di comprenderne le dinamiche e offrire delle soluzioni. Nel discorso del contenzioso medico-legale l’ambito ostetrico-ginecologico risulta essere il più colpito. Pur in mancanza di fonti ufficiali su queste tendenze, utili considerazioni si pos-

sono trarre dai dati ANIA (2004) che individuano come la disciplina ostetrico-ginecologica rappresenti il 18% circa del totale dei dati se­gnalati. Se poi diamo uno sguardo alle sentenza pronunciate dalla cassazione dal ‘48 a oggi si evidenzia una forte aumento, dal 1990 in poi, delle sentenze per re­ sponsabilità medica in generale e nello specifico in campo ostetrico-ginecologico. Questa tendenza coadiuvata da un approccio giurisprudenziale alquanto rigido e poco cautelativo nei confronti delle figure professionali sanitarie ha dato adito alla così detta “medicina difensiva”, che si definisce una ‘practice’ incentrata sul tentativo da parte del sanitario di difendersi da eventuali denunce e sanzioni. Il che

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Alice Santercole non sempre riflette la best practice assistenziale. Ciò che è interessante comprendere è come questo processo coinvolge la figura dell’ostetrica e più dettagliatamente se influisce nella determinazione del suo ruolo all’interno del contesto ospedaliero. Di fronte all’evoluzione normativa che sta conferendo alle professioni sanitarie sempre maggiore autonomia e competenza non assistiamo ad un cambiamento sostanziale della posizione che ricopre la figu­ra dell’ostetrica all’interno delle strutture sanitarie. Neanche le conquiste filosofiche e lo sviluppo della medicina sociale, di cui poi si è fatta portavoce l’OMS che più volte ha insistito sulla necessità

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di valoriz­zare la figura dell’ostetrica in quanto promotrice della salute psico-fisica e sociale in ambito maternoinfantile, hanno scalfito la rigidità dei sistemi assistenziali con­ solidati nelle realtà ospedaliere italiane. Il percorso che compiremo inizierà con una disamina delle norme di riferimen­to per l’individuazione delle responsabilità professionali dell’ostetrica. Partendo dalla definizione dell’iter legislativo, dal primo testo che regolamentava le profes­ sioni sanitarie sino ai giorni nostri, metteremo in mostra i valori di cui si sono fatti portatori; passeremo quindi all’individuazione delle ambiguità e della poca chia­rezza di alcuni aspetti delle competenze della professione, sino al riconoscimento


Introduzione delle stesse che finalmente vengono sancite dalla legge. Approderemo quindi nella realtà della pratica assistenziale ed evidenzieremo le principali motivazioni di un’evoluzione professionale che di fatto rimane mera­mente formale. Per concludere riporteremo alcune sentenze della Corte Suprema di

Cassazione degli ultimi dieci anni per evidenziare i principali orientamenti giurisprudenziali in materia di riconoscimento delle responsabilità penale dell’ostetrica in contesto d’èquipe e l’applicabilità del principio di affidamento, proprio nel tentativo di defi­ nire le sequele di un eccessivo rigorismo giurisprudenziale.

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CAPITOLO I DAL CONCETTO DI AUSILIARIETÀ ALL'AFFERMAZIONE DELL'AUTONOMIA PROFESSIONALE

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Capitolo I 1.1 L’affermazione dei doveri fondamentali dell’ostetrica Il 27 Luglio del 1934 venne approvato il “Testo unico delle leggi sanitarie”, questo rappresenta il primo regolamento che disciplina l’esercizio delle professio­ni sanitarie. Il punto fondamentale di questo testo è la distinzione tra professioni sanitarie principali e professioni sanitarie ausiliarie. Le professioni sanitarie prin­cipali sono rappresentate dal medico chirurgo, il farmacista, il veterinario e l’odon­toiatra (dal 1985); l’ostetrica, definita allora levatrice faceva parte del gruppo delle professioni sanitarie ausiliarie. Già da questa suddivisione formale evinciamo una posizione di ancillarità dell’o-

stetrica rispetto al medico. Il capitolo III del titolo II del testo unico tratta l’argomento “Delle professioni sanitarie ausiliarie; in questo capo, nella sezione II intitolava “Delle levatrici” fi­gura l’art.139 che riportiamo qua sotto in parte: I La levatrice deve richiedere l’intervento del medico-chirurgo non appena nell’andamento della gestazione o del parto o del puerperio di persona alla quale presti la sua assistenza riscontri qualsiasi fatto irregolare II A tale scopo deve rilevare con

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Alice Santercole diligenza tutti i fenomeni che si svolgono nella gestante o partoriente o puerpera […] Dal suddetto comma discende uno dei doveri fondamentali dell’ostetrica: il do­vere di richiedere l’intervento medico in caso di situazioni irregolari, dovere che poi successivamente, pur restando tuttora valido, è stato oggetto di modifiche da parte del D.M. 15 Settembre 1994 n 740 e poi del D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 206. È evidente da questa formulazione l’impostazione culturale dell’epoca: è atten­dibile che la formulazione sia volutamente poco tecnica, celando così una scarsa considerazione della com-

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petenza dell’ostetrica, attraverso l’indeterminatezza della frase “Riscontri qualsiasi fatto irregolare” , alla quale non è richiesto di operare al­cun tipo di valutazione tecnica preliminare ma deve comunque chiamare il medico per qualsiasi fatto irregolare. Il comma 2 del suddetto articolo sancisce un altro dovere, anch’esso da annove­rarsi tra i doveri fondamentali, storicamente consolidati, quello di operare con diligenza. L’ostetrica “deve rilevare con diligenza tutti i fenomeni che si svolgono nella gestante o partoriente o puerpera”. Il termine “diligenza” deriva dal latino diligere (avere caro, amare) e sta ad indicare il complesso di cure e cautele cui si


Capitolo I deve ispirare la condotta professionale dell’ostetrica, con riferimento alla natura ed alla peculiarità dell’attività di volta in volta posta in essere. La diligenza comporta l’impegno a farsi carico dei bisogni dell’assistita e ad attuare un comportamento a garanzia dei suoi interessi di salute. Il concetto di diligenza raccoglie dunque in sé la correttezza, la solidarietà, l’assiduità, la precisione, lo scrupolo posti in atto nel­lo svolgimento di una funzione professionale. Si tratta quindi di una diligenza di natura non esclusivamente solidaristica, ma caratterizzata da

capacità tecnica ed impiego di mezzi adeguati al fine sia di adempiere alla prestazione dovuta, sia di evitare i prevedibili eventi dannosi1. Nell’articolo 139 del R.D. 1265 del 1934 inoltre il verbo “rilevare”, correlato com’è alla locuzione di “con diligenza” che ne completa il significato, non va inte­so solo come rilievo obiettivo, ma anche come registrazione in forma scritta dei ri­lievi obiettivi. Tale interpretazione è sostenuta anche dalla indicazione del primo comma dello stesso articolo; è opportuno che dei rilievi obiettivi resti traccia scritta,

RODRIGUEZ D, Professione ostetrica/o, aspetti di medicina legale e responsabilità. Eleda Edizioni, Milano 2010. 1

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Alice Santercole non tanto per la comunicazione dei dati al medico, quanto perché questo possa utilmente ai dati scritti riferirsi per orientare la sua valutazione. Anche qui, nell’esplicitazione del dovere di documentare dell’ostetrica, di per se condivisibile, è possibile effettuare delle valutazioni in merito al contesto culturale in cui è in­scritta tale norma. Tale dovere risulta grossomodo correlato all’eventuale interven­to del metodo più che ad un’organica e pianificata assistenza ostetrica nei confron­ti della partoriente, sottolineando quindi i limiti dell’attività professionale. Possia­ mo quindi affermare quindi che rilevare con diligenza i fenomeni ancor prima di essere una modalità espletamento delle funzioni professionali fos-

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se, nella conce­zione culturale del tempo e di cui il testo unico è espressione, attività ancillare del­l’intervento medico. Oggi questa norma si presta ad altre letture, in funzione di di­sposizioni legislative sopravvenute, che pongono l’accento sul rilievo come espressione di un agire qualifica, responsabile e professionale. Dopo il testo unico delle leggi sanitarie del 1934 fu approvato il R.D.L. 15 ot­tobre 1936, n 2128 “Ordinamento delle scuole di ostetricia e disciplina giuridica della professione di levatrice”, convertito nella legge 25 marzo 1937, n 921. È da menzionare in particolare l’art 18, comma I I Il parto deve essere assistito


Capitolo I da una levatrice o da un medico chirurgo e qualora, per causa di forza maggiore, ne sia mancata la presenza al momento della nascita, il padre o altra persona che abbia assistito al parto ha obbligo di promuovere l’intervento di uno dei predetti sanitari nel più breve tempo possibile ed in ogni caso non oltre le 12 ore. Anche in questo passaggio ritroviamo un dovere fondamentale dell’ostetrica, il dovere di intervento. Se richiesta di assistere ad un parto o prestare la propria ope­ra professionale successivamente ad esso, l’ostetrica deve intervenire. Per realizza­re l’obiettivo di questo disposto, cioè che ogni parto

sia assistito da competente professionista, l’ostetrica, richiesta di intervenire, non può astenersi dal farlo. Que­ sta norma ha una portata applicativa ben più ampia di quella che scaturisce da una disposizione del codice penale che regola una materia per certi versi analoga; si tratta dell’articolo 593 ed in particolare del suo secondo comma che legifera sulla omissione di soccorso. Questo articolo limita l’obbligo di prestare assistenza solo e soltanto a quelle situazioni in cui l’ostetrica trovi la persona, ne percepisca cioè la presenza o perché entri in contatto fisico diretto con la persona stessa, o la veda o ne oda le grida d’aiuto. Il dovere d’intervenire contemplato dall’articolo 18 scatu­risce invece anche da una sem-

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Alice Santercole plice, purché circostanziata, richiesta di intervento, inoltrata per esempio anche per interposta persona o telefonicamente. È ovvio che l’articolo 18 essendo una norma che disciplina nello specifico la professione oste­trica richieda un comportamento professionale di maggiore garanzia per la tutela della salute rispetto ad una disposizione penalistica di carattere generale, valido per qualunque persona. Il senso dell’articolo 18 è stato recepito e corroborato dall’articolo 2.8 del codi­ce deontologico dell’ostetrica. Codice che come vedremo costituirà, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dalla legge 26 febbraio 1999, n. 42, uno dei principi basilari per l’individuazione e la definizione del campo

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proprio di attività e di re­sponsabilità dell’ostetrica/o. 2.8- L’ostetrica/o risponde alla richiesta di bisogno di salute anche questa esuli dalla normale attività professionale. Nei casi di inderogabile urgenza si attiva tempestivamente e si adopera per assicurare una adeguata assistenza. Il disposto della prima frase dell’art. 2.8 del codice deontologico pone in capo all’ostetrica il dovere di rispondere alla “richiesta di bisogno di salute”, sostanzial­mente sempre, visto che non sono poste limitazioni; ciò vale anche quando non vi sia urgenza.


Capitolo I 1.2 Il regolamento per l’esercizio professionale Il 26 maggio 1940, è approvato un primo regolamento per l’esercizio professio­nale delle ostetriche, il R.D. 1364/1940. Tale regolamento fu modificato con D.P.R. 7 marzo 1975, n 163 “Aggiornamento del regio decreto 26 Maggio 1940, n 1364, concernente il regolamento per l’esercizio professionale delle ostetriche”. Il regolamento, indicato nel linguaggio corrente anche con il termine di man­sionario, e forse più conosciuto con questo nome risulta ora abrogato in forza di quanto disposto dall’articolo 1 della legge 26 febbraio 1999, n 42. Il mansionario risulta essere una

elencazione di compiti ed attribuzioni, ai quali l’esercizio professionale deve attenersi e, quindi, limitarsi, nonché sul presupposto che tutto ciò che non fosse esplicitamente contemplato nell’elenco sarebbe solo di pertinenza medica. Art. 1 - [I] . L’ostetrica ha il compito specifico dell’assistenza alla donna, du­rante la gestazione, il parto ed il puerperio normale e dell’assistenza al neo­nato; inoltre svolge compiti di vigilanza della madre e del bambino, nel qua­dro della difesa sanitaria del-

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Alice Santercole la famiglia. Art. 2 - [I] . I compiti di vigilanza di cui all’art. 1 vengono affidati alle oste­triche diplomate a norma del regio decreto-legge 15 ottobre 1936, n. 2128 e del regio decreto-legge 1 luglio 1937, n. 1520, sull’ordinamento delle scuole di ostetricia e sulla disciplina giuridica della professione di ostetrica, modifi­cati con legge 31 gennaio 1953, n. 44 e con legge 23 dicembre 1957, n. 1252. [II]. Nell’esercizio dei compiti di vigilanza della madre e del bambino, l’oste­ trica coadiuva nell’assistenza domiciliare; svolge opera di informazione pres­

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so le famiglie sulle provvidenze assistenziali esistenti per la protezione della maternità ed infanzia, segnala agli enti e alle autorità competenti i casi parti­ colarmente bisognosi di assistenza. [III]. Sulla base delle acquisizioni della scienza medica e seguendo le diretti­ve delle autorità sanitarie, l’ostetrica svolge opera di educazione sanitaria della famiglia e di informazione sulla regolazione delle nascite. [IV]. Essa, per quanto possibile, vigila sull’osservanza da parte delle donne delle norme pratiche di igiene e le indirizza agli opportuni controlli ed accer­


Capitolo I tamenti ogni qual volta constati anomalie o disturbi a carico della funzione dell’apparato genitale, segni manifesti o sospetti di infezioni veneree e di neoplasie degli organi genitali e della mammella. [V]. Sulla base delle direttive di cui al comma precedente, l’ostetrica si ado­pera per l’osservanza nelle famiglie delle norme pratiche di igiene neonatale ed infantile. Art. 3. - [I] L’ostetrica chiamata da una gestante, qualunque sia il mese di ge­stazione, deve rendersi conto dello stato generale di salute, del decorso di even-

tuali, dei fattori che espongono la madre ed il feto a rischio e comunque delle condizioni che interessano l’ulteriore decorso della gravidanza ed il parto, impartendo alla gestante le norme necessarie da seguire per il buon an­ damento della gravidanza e consigliando, quando ne riconosce l’opportunità, la consultazione del medico, o indirizzando la donna ai consultori ostetrici o ai centri di medicina perinatale o agli ospedali. Essa dovrà comunque richiedere una visita medica generale al terzo mese di gestazione. [II] Allorquando l’ostetrica abbia notizia o sospetti l’esistenza

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Alice Santercole in una donna gravida di fattori di rischio, quali cardiopatia, nefropatia, ipertensione arte­riosa, diabete, anemia, isoimmunizzazione materno-fetale, gestosi, placenta previa, viziature pelviche, pregressa mortalità perinatale o altre affezioni, deve indirizzare la paziente dal medico perché possa predisporsi una efficace terapia in gravidanza e un tempestivo ricovero per l’espletamento del parto in ospedale o comunque in ambiente dotato di attrezzature idonee per una cor­ retta assistenza alla madre e al neonato. [III]. L’ostetrica deve richiedere l’intervento del medico in tutti

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quei casi qua­li rilevi i sintomi di minaccia di aborto o di aborto in atto. Art. 4. - [I]. L’ostetrica che assiste al parto deve richiedere l’intervento del medico ogni qualvolta rilevi la esistenza di fattori di rischio per la madre e il feto, quali cardiopatia, nefropatia, ipertensione arteriosa, diabete, anemia ed altre affezioni generali, isoimmunizzazione materno-fetale, gestosi, distacco intempestivo di placenta n.i., placenta pre­ via; ovvero quando accerti distocie: della contrazione uterina, del canale os­seo e del canale molle


Capitolo I del parto, del corpo mobile, del funicolo ombelicale e comunque in tutti i casi di sofferenza fetale. Inoltre deve essere richiesto l’ausilio del medico nei casi in cui si verificano distocie del secondamento, quali mancato distacco della placenta, ritenzione parziale di placenta e delle membrane; lacerazioni del canale molle del parto; emorragia del post par­tum. [II]. L’ostetrica deve, altresì, chiamare il medico in caso di nascita di feto morto o di feto malformato. L’ostetrica richiede il controllo del pediatra o comunque del medico nelle prime ore di vita per tutti i nati a domicilio.

È vietato all’ostetrica di praticare interventi manuali o strumentali, fatta ecce­zione per quelli consentiti dalle istruzioni tecniche sull’esercizio professiona­le delle ostetriche emanate dal Ministero della sanità. Art. 5. - [I]. Nei primi cinque giorni dopo il parto l’ostetrica è tenuta a visita­re la puerpera due volte al giorno, annotando metodicamente la temperatura ed il polso e controllando l’apparato genitale, particolarmente la involuzione dell’utero, l’aspetto dei genitali esterni, la lochiazione, le eventuali emorra­gie. Nei casi di puerperio patologico

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Alice Santercole deve chiedere l’immediato intervento del medico. Art. 6. - [I]. L’ostetrica, appena espletato il parto, e dopo apprestate le prime cure al neonato, deve eseguire la profilassi oftalmica secondo le istruzioni del Ministero della sanità. [II]. Deve, inoltre, nei giorni successivi, curare la pulizia del neonato, rego­ larne l’allattamento e sorvegliarne l’accrescimento; deve consigliare il vestia­rio più idoneo, tenuto conto della stagione e delle condizioni di ambiente, e dare alle madri gli opportuni consigli di puericultura.

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Art. 7. - [I]. Oltre alle facoltà consentite all’ostetrica nell’esercizio della sua attività professionale per l’assistenza alle gestanti, alle partorienti ed alle puerpere, a norma delle istruzioni del Ministero della sanità, l’ostetrica può praticare tutto quanto è consentito dalle disposizioni in vigore agli infermieri professionali. [II]. In ogni caso e’ vietato all’ostetrica di prestare assistenza agli infermi af­fetti da malattie contagiose. Ai fini della sua partecipazione alla medicina preventiva e sociale, l’ostetrica è autorizzata ad effettuare prelievi di materia­ le per l’esecuzione di esami cito-


Capitolo I logici. [III]. È inoltre autorizzata ad eseguire prelievo capillare e venoso di sangue. Art. 8. - [I]. L’ostetrica deve subito annotare nei rispettivi registri, che le sono forniti dall’autorità sanitaria comunale, secondo i modelli stabiliti dal Ministero della sanità, ogni parto ed ogni aborto al quale abbia assistito. Il contenuto dei registri deve rimanere segreto. [II]. Entrambi detti registri devono essere presentati, alla fine di ciascun mese, all’ufficiale sanitario comunale, che vi appone il proprio visto.

[III]. Alla fine di ciascun trimestre, l’ostetrica consegna i due registri all’uffi­ciale sanitario comunale, che trattiene il registro dei parti e trasmette quello degli aborti al medico provinciale. Art. 9. - [I]. L’ostetrica ha l’obbligo: a) di redigere e rilasciare gratuitamente, per ogni parto al quale abbia as­sistito, il certificato di assistenza, previsto dall’articolo 18 del regio decre­ to-legge 15 ottobre 1936, n. 2128, sull’ordinamento delle scuole di oste­tricia e sulla disciplina giuridica della professione di ostetrica, conforme al

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Alice Santercole modello stabilito dal Ministero della sanità; b) di denunciare al sindaco ed all’ufficiale sanitario ogni nascita di neona­to deforme, secondo i moduli e le istruzioni del Ministero della sanità, a meno che la denuncia non sia fatta dal medico, il cui intervento deve sempre essere richiesto, ai sensi del precedente articolo 5; c) di segnalare sollecitamente all’ufficiale sanitario la nascita di immaturi o di deboli vitali e di promuovere l’immediato ricovero per gli eventuali interventi assistenziali.

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Art. 10. - [I]. L’ostetrica deve essere provvista della busta ostetrica il cui contenuto è determinato con decreto del Ministro per la sanità e deve svol­gere opera di diffusione delle norme di profilassi perinatale e fornire infor­ mazioni sulle istituzioni proposte all’assistenza della donna e del neonato. [II]. Il comune, ai sensi dell’articolo 55 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n.1265 e degli articoli 62 e 63 del regolamento approvato con regio decreto-legge 19 luglio 1906, n. 466, deve fornire alla ostetrica condotta i guanti di gomma, gli


Capitolo I antisettici, i medi­cinali ed il pacco ostetrico occorrente per l’assistenza alle partorienti povere. [III]. Le prescrizioni per il conferimento della busta ostetrica e del pacco ostetrico vengono date dal Ministero della sanità.

sionale delle ostetriche approvato con regio decreto 26 maggio 1940, n. 1364, e ogni altra disposizione regolamentare contraria o comunque incompatibile con quelle del presente decreto.

Art. 11. - [I]. È abrogato il regolamento per l’esercizio profes-

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Alice Santercole 1.3 Le istruzioni per l’esercizio professionale Poco dopo l’aggiornamento del re­ golamento, fu emanato il D.M. 15 settembre 1975 recante “istruzioni per l’esercizio professionale delle ostetriche”. Tale D.M. non era formalmente correlato al D.P.R. 163 del 1975, che riportava l’ultima ver­sione del regola­ mento per l’esercizio professionale delle ostetriche, ma ne costitui­va di fatto, un completamento. Possiamo considerare dunque questo D.M. ancora valido visto che la 42 del 1999 non lo ha formalmente abrogato, ma solo nelle par­ti che non risultano in contrapposizione con le normative successive e nello speci­fico con la suddetta legge,

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considerando comunque che esso non sia recepito come esprimente le attività alle quali l’esercizio professionale dell’ostetrica deve limitarsi. Eccone il testo, così come modificato dal D.M. 15 giugno 1981 (che al­l’art. 10 ha aggiunto il punto 16). Art.1 – [I]. A norma del D.P.R. 7 marzo 1975, n. 163, l’ostetrica può svolgere i seguenti compiti: 1) assistenza alla donna durante la gestazione, parto ed il puerperio; 2) assistenza al neonato; 3)vigilanza della madre e del


Capitolo I bambino nel quadro della difesa sanitaria della famiglia; 4) assistenza medico sociale, in collegamento con centri che operano in que­sto settore; 5) assistenza infermieristica, nei limiti stabiliti dalle vigenti disposizioni per gli infermieri professionali, col divieto di prestare assistenza ad infermi af­fetti da malattie contagiose (art. 7 del regolamento). Art. 2. -[I]. Per quanto concerne l’assistenza ai parti l’ostetrica ha obbligo di: Annotare ogni parto e ogni aborto, al quale abbia assistito, negli appositi re­ gistri (registro

dei parti e registro degli aborti) che, a richiesta, le saranno forniti dall’autorità sanitaria comunale (art. 8 del regolamento); Portare mensilmente tanto il registro dei parti che quello degli aborti all’uffi­cio comunale per il prescritto “visto” mensile dell’ufficiale sanitario. Tali re­ gistri alla fine di ciascun trimestre sono trattenuti dall’ufficiale sanitario e so­stituiti con altri nuovi (art. 8 del regolamento); Redigere e rilasciare gratuitamente il certificato di assistenza al parto confor­me al modello stabilito dal Ministero della sanità, da servire per l’ufficio di stato civile (art . 18 regio decreto-

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Alice Santercole legge 15 ottobre 1936, n.2128, sull’ordina­mento delle scuole di ostetricia e sulla disciplina giuridica della professione di ostetrica); denunciare al sindaco e all’ufficiale sanitario ogni nascita di neonato deforme (art. 139 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 e art. 9 del regolamento; [I]. Segnalare sollecitamente all’ufficiale sanitario la nascita di immaturi e di deboli vitali promuovendo l’immediato ricovero per gli eventuali interventi assistenziali. [II]. L’ostetrica deve essere prov-

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vista per l’assistenza ai parti della busta oste­trica di cui all’art. 10 del regolamento. [III]. Detta busta deve contenere: 1) un grembiule di tessuto bianco di bucato, a maniche corte, che giungano sopra i gomiti, di forma e dimensioni da coprire tutta la persona, con chiusu­ ra posteriore; 2) una cuffia di tela bianca, di bucato; 3) un termometro clinico; 4) uno stetoscopio; 5) uno spazzolino per le mani; 6) una saponetta; 7) una bottiglia di gr. 300 di alcool;


Capitolo I 8) due paia di guanti di gomma sterili; 9) una boccetta di vetro contenente circa gr. 30 di tintura di iodio officinale fresca, o di acido picrico in soluzione alcolica 5%, o altro disinfettante indi­cato dal Ministero della sanità; 10) un rasoio di sicurezza; 11) almeno 5 pacchetti, da gr. 50 ciascuno, di cotone idrofilo sterilizzato; 5 pacchetti da 50 quadratini (cm. 10X10) e 5 fascette (m.5xcm. 7) di garza ste­rilizzata; 12) cateteri vescicali femminili di gomma, di vario calibro; 13) uno speculum vaginale; 14) due forbici smusse; 15) una pinza da zaffamento;

16) quattro pinze emostatiche e una di medicazione; 17) anellini di gomma o le apposite pinze già sterili per la legatura del funi­colo; 18) un pelvimetro; 19) un nastro metrico; 20) uno sfigmomanometro; 21) una pesa per il neonato; 22) una abbassalingua; 23) un tubetto di pomata oftalmica antibiotica; 24) due cannule di vetro munite di tubo di gomma per aspirare il muco dalla retrobocca del neonato; 25) alcune siringhe di vetro oppure quelle già sterili di plastica; 26) alcune fiale di cardiotoni-

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Alice Santercole ci, uterotonici, coagulanti, antispastici, bicarbo­nato di sodio all’8%; 27) il materiale necessario per la ricerca e la valutazione dell’albumina e del glucosio nelle urine; 28) un enteroclisma completo o i clisteri già pronti in commercio. [IV]. I medicinali indicati ai numeri 9), 23), 26) e 27) sono rilasciati dai far­macisti a semplice richiesta scritta firmata dalle ostetriche. [V]. il comune, a norma dell’art. 55 del testo unico delle leggi sanitarie e de­gli articoli 62 e 63 del regolamento approvato con regio decreto 19 luglio 1906, n.

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466, deve fornire all’ostetrica condotta la busta contenente il materiale elencato nel precedente articolo. Art. 3. -[I]. L’ostetrica chiamata ad assistere una gestante, qualunque sia il mese di gravidanza, deve rendersi conto dello stato generale di salute della donna, informandosi di eventuali malattie, pregresse o attuali, degli stati di sofferenza o disturbi di cui la gestante possa essere affetta in dipendenza o meno dello stato di gestazione. In particolare dovrà: a) procedere ad un’accurata raccolta dell’anamnesi, con partico-


Capitolo I lare riguardo ai fattori di rischio; b) fare l’esame ostetrico; c) fare eseguire l’esame dell’azotemia e della glicemia d) fare eseguire l’esame delle urine; e) determinare la pressione arteriosa e controllare il peso e la diuresi. (i con­trolli di cui alla lettera D) ed E) dovranno praticarsi una volta al mese sino all’ottavo mese, ogni quindici giorni nel corso del nono mese, comunque quando vi sia presenza di edemi, cefalea, ecc.); f) fare eseguire l’esame sierologico del sangue per la ricerca della sifilide ignorata; g) far determinare il gruppo san-

guigno, il fattore RH e fare eseguire controlli emocitometrici per evidenziare eventuali anemie ferroprive o megaloblasti­che. [II]. I rilievi di cui sopra verranno trascritti sulla “tessera sanitaria” attual­ mente distribuita dall’O.N.M.I. [III]. Nel primo trimestre di gestazione o, comunque, quando l’ostetrica vie­ne a conoscenza di uno stato di gravidanza, deve far sottoporre la donna ad una visita medica generale. [IV]. In caso di qualsiasi irregolarità risultante dai controlli predetti, l’ostetri­ ca richiederà l’intervento del medico e in caso di rifiuto della gestante, ne in­

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Alice Santercole formerà riservatamente l’ufficiale sanitario. Art. 4. -[I]. L’ostetrica quando rilevi anche semplicemente sospetti di aborto in atto o già spontaneamente espletato, da qualsiasi causa o con qualsiasi mezzo determinato deve astenersi da ogni intervento ed attendere l’intervento medico. [II]. Ove la donna rifiuti di chiamare il medico, l’ostetrica ne informerà riser­ vatamente per iscritto, l’ufficiale sanitario. Art. 5. -[I]. L’ostetrica deve concorrere a combattere eventuali

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pregiudizi e abitudini dannose della gestante ed indurla a seguire, per il benessere proprio e del nascituro, le norme igieniche più appropriate per il suo stato al fine di assicurare il buon andamento della gravidanza, le migliori condizioni per il normale sviluppo del feto e per il normale decorso del parto. [II]. Darà pure consigli sull’alimentazione più appropriata della gestante, sul­l’igiene personale, sulla prevenzione della morbosità congenita da fattori fisi­ci e chimici, rappresentati oltre che dai vari tossici, dai farmaci soprattutto se somministrati nelle


Capitolo I prime dodici settimane della gravidanza, sulla necessità di evitare lavori faticosi e strapazzi fisici di qualsiasi genere specialmente nelle ultime sei settimane precedenti al parto. [III]. Nei luoghi dove esistono centri di preparazione al parto, l’ostetrica farà opera di persuasione affinché le gestanti li frequentino. Ove invece non esi­ stano, l’ostetrica darà essa stessa alle gestanti le nozioni di psico-profilassi ostetrica, affinché il parto si svolga nelle migliori condizioni psico-fisiche. Essa renderà inoltre edotte le donne assistite di tutte le provvidenze mutuali­stiche ed assistenziali di

cui hanno diritto. ASSISTENZA AL PARTO. Art. 6. -[I]. In prossimità della data presunta del parto l’ostetrica deve assicu­rarsi che la camera della partoriente sia ripulita e sgombra di mobili ed og­getti inutili; che sia predisposta la biancheria personale e del letto della par­toriente (di bucato) in quantità sufficiente ai bisogni. [II]. Ove l’ambiente sia inidoneo o vi sia deficienza di materiale o di mezzi indispensabili deve consigliare il ricovero della partoriente in ospedale o in sale di maternità. [III]. Quando il materiale del

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Alice Santercole pacco ostetrico non sia sterile, avrà cura di far bollire l’ovatta, la garza, i panni ed a ogni altro presidio da usare nell’espleta­mento del parto. Art. 7. -[I]. Durante l’assistenza al parto, l’ostetrica deve usare, previa disin­ fezione delle mani, i guanti di gomma, precedentemente sterilizzati. Avrà a disposizione l’alcol per usarlo tutte le volte che le mani, con o senza guanti, siano venute accidentalmente a contatto con oggetti non asettici. Art. 8. -[I]. L’ostetrica deve richiedere l’intervento medico

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ogni qualvolta ri­levi o sospetti nella partoriente malattie generali (cardiopatie, nefriti, anemie, ecc.); distocie di qualsiasi natura, ritardi o emorragie nel secondamento, o comunque avverta che il parto non proceda in modo del tutto normale. Art. 9. -[I]. Durante il secondamento l’ostetrica si limita a sorvegliare e con­trollare, con esame esterno, le contrazioni e la retroazione emostatica dell’u­tero ed a raccogliere la placenta al momento dell’espulsione, evitando ogni trazione sul cordone e il massaggio dell’utero, a meno che non sia richiesto da emorra-


Capitolo I gia in atto. [II]. Deve sempre esaminare attentamente la placenta e le membrane appena espulse, perché nel caso constati che siano incomplete o non del tutto norma­li, deve conservarle per sottoporle all’esame del medico. Art. 10. -[I]. Indipendentemente dalle facoltà previste dall’art. 7 del regola­mento è consentito alle ostetriche di eseguire: 1) il cateterismo vescicale; 2) la rottura delle membrane ovulari soltanto se richiesta da condizioni ge­nerali del parto o locali, purché la dilatazione della bocca uterina sia comple­ta, la

presentazione di vertice è profondamente impegnata; 3) la rottura delle membrane a dilatazione ancora incompleta della bocca ute­rina nel solo caso di placenta previa laterale, con emorragia in atto, quando il feto sia in situazione longitudinale e non sia possibile l’immediato intervento medico; 4) l’assistenza al parto podalico, spontaneo; 5) l’esecuzione della versione per manovre esterne durante la gravidanza o nel travaglio del parto iniziale, a membrane integre, nella presentazione di spalla; 6) la spremitura del feto nell’utero per facilitare l’espulsione,

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Alice Santercole quando la testa fetale già ruotata, affiori alla vulva; 7) l’episiotomia per facilitare l’espulsione del feto quando la parte presentata affiori alla vulva; 8) la spremitura dell’utero, sicuramente retratto e contratto, nel periodo del secondamento, ed a placenta sicuramente staccata oppure, in caso di emorra­gia, quando non sia possibile l’intervento immediato del medico; 9) la spremitura dell’utero nel post-partum per ottenere la fuoriuscita dei coa­guli se provocano perdita di sangue, previo accertamento che l’utero sia re­tratto; 10) lo zaffo della vagina, in caso di emorragia;

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11) le iniezioni di antispastici in caso di ipercinesi nell’attesa dell’arrivo del medico per il viaggio al luogo di cura; 12) le iniezioni utero-toniche dopo l’eventuale svuotamento dell’utero dai coaguli sanguigni, nei casi di atonia nel post-partum; 13) le iniezioni di analettico o cardiotonici nell’attesa del medico; 14) il prelievo di sangue capillare e venoso durante la gravidanza per facili­tare gli esami necessari per una corretta assistenza alla gravida stessa; 15) il prelievo vaginale per l’esame citologico;


Capitolo I 16) illustrazione dei vari metodi contraccettivi (metodi naturali, diaframma vaginale, ecc.). [II]. Ogni altro intervento manuale o strumentale è vietato all’ostetrica. Art. 11. -[I]. Subito dopo espletato il secondamento si tratterrà ancora qual­che tempo (due ore almeno) per sorvegliare la permanente retrazione emo­ statica del corpo uterino, dedicando questo tempo alle prime cure del neona­to, ai senso del precedente art. 14.

ASSISTENZA AL PUERPERIO. Art. 12. -[I]. Nei primi cinque giorni dopo il parto l’ostetrica è tenuta a visita­re la puerpera due volte al giorno, mattino e sera, annotando metodicamente la temperatura e il polso e controllando l’apparato genitale (involuzione del­ l’utero, aspetto dei genitali esterni, lochiazione, emorragie, ecc.). [II]. Nei casi di temperatura febbrile, di polso troppo frequente, di lochiazio­ne fetida, troppo a lungo ematica o in qualunque modo anormale, deve chie­dere l’immediato intervento del medico e, nell’eventuale assenza di

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Alice Santercole esso, se­gnalare d’urgenza il caso all’ufficiale sanitario, ai sensi e per gli effetti degli articoli 139 e 254 del testo unico delle leggi sanitarie. [III]. Nelle prime sei settimane dopo il parto svolge la sorveglianza tendente ad evitare lo stabilirsi di una patologia uterina, o annessiale o mammaria o della malattia trombo-embolica. [IV]. Qualora l’assistenza domiciliare non sia sufficientemente assicurata, consiglia il ricovero d’urgenza dell’inferma all’ospedale, sollecitandone il provvedi-

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mento all’autorità sanitaria. Art. 13. -[I]. L’ostetrica che ha prestato le sue cure ad una donna colpita da processo infettivo puerperale, è tenuta a darne subito avviso all’ufficiale sani­ tario comunale e ad attenersi rigorosamente alle prescrizioni di esso, a norma delle disposizioni del regolamento per la profilassi delle malattie infettive.


Capitolo I ASSISTENZA AL NEONATO ED AL BAMBINO. Art. 14 -[I]. Ai sensi dell’art. 6 del regolamento, l’ostetrica, espletato il parto, deve praticare la profilassi oftalmica, istillando all’angolo interno del sacco congiuntivale di ciascun occhio una goccia di collirio antibiotico. [II]. Nei giorni seguenti deve vigilare lo stato degli occhi del neonato recla­mando subito l’intervento del medico, ove constatasse arrossamenti o altri segni di infiammazione. [III]. La pulizia del neonato, subito dopo la nascita, sarà praticata con acqua a circa 31° centigradi avendo cura di non bagnare il

moncone del cordone ombelicale e gli occhi del neonato per evitare possibili infezioni. Art. 15 -[I]. L’ostetrica deve consigliare l’abbigliamento più idoneo per il neonato, tenuto conto della stagione e delle condizioni di ambiente, preoccu­pandosi di evitare il raffreddamento nella stagione fredda, il sovrariscalda­ mento nella stagione calda. [II]. Deve dare opportuni suggerimento circa l’igiene dell’ambiente, indican­ do il punto più adatto della camera per disporvi la culla e il modo di ricam­biare l’aria senza che il neonato sia colpito da correnti.

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Alice Santercole Art. 16. -[I]. L’ostetrica deve spiegare opera per assicurare al neonato l’allat­ tamento materno, a meno che il medico non lo controindichi, dettando le norme per bene regolare l’allattamento, indicando la posizione da dare al poppante, l’orario e la durata della poppate, il modo di controllare con la doppia pesata la quantità di latte ingerito. [II]. In caso di anomalie a carico della mammella della madre (arrossamento, indurimento, ragadi, ecc.), o di patine biancastre alla bocca del neonato, do­vrà richiedere l’intervento del medico. Art. 17 -[I]. L’ostetrica quale vi-

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gilatrice della madre e del bambino. [II]. L’ostetrica a cui viene affidato il compito di vigilatrice della madre e del bambino, secondo quanto stabilito dall’art. 2 del regolamento, deve: diffon­ dere le norme pratiche di igiene materna vigilandone e curandone l’applica­zione; nei casi di anomalie o disturbi nella funzione genitale come ritardi nella prima mestruazione, amenorrea, dismenorrea, menorragia, metrorragia, leucorrea, sterilità, ecc.; di segni manifesti o sospetti di infezioni sifilitica o blenorragia, di segni iniziali che possono far sospettare tumori dell’utero come


Capitolo I perdite vaginali sanguigne atipiche, e, dopo la menopausa, aumento del volume dell’addome, ecc.; o di tumore della mammella (noduli mammari, retrazione del capezzolo) deve consigliare la consultazione di un medico o, s possibile, indirizzare la donna i consultori ostetrici o materni, astenendosi dal dare consigli terapeutici e manifestare opinioni che non rientrano nel campo della sua competenza professionale come dal dare indicazioni oltre quelle generiche concernenti le ordinarie pratiche di pulizia e di igiene e le cautele da usare per evitare eventuali contagi familiari, ecc. Nel caso di ac­

certata difficoltà per la donna di accedere agli appositi ambulatori, l’ostetrica può effettuare prelievi di materiale dalla vagina per l’esecuzione di esami ci­tologici e può eseguire prelievi di sangue capillare e venoso. Art. 18. -[I]. L’ostetrica deve: - far propaganda per combattere i pregiudizi e le abitudini nocive al buon al­levamento dei bambini; - sorvegliare lo stato di nutrizione di essi, provvedendo a periodici controlli del peso e consigliando la visita del medico in caso di mancato accrescimen­to; - vigilare al che le istruzioni im-

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Alice Santercole partite dai consultori pediatrici e dal medico sia eseguite; - collaborare attivamente alle varie iniziative riguardanti l’educazione sanita­ria, l’educazione sessuale, la regolamentazione delle nascite. [II]. La vigilanza deve estendersi al vestiario del bambino, alla pulizia gior­naliera, all’ambiente di vita, allo sviluppo fisico e psichico, rilevando e se­gnalando ogni deficienza per i provvedimento di assistenza.

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Capitolo I 1.4 Il profilo professionale Il mansionario e le istruzioni hanno disciplinato l’esercizio della professione ostetrica sino all’approvazione, con D.M. 14 settembre 1994, n. 740 del “Regola­mento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professiona­le dell’ostetrica/o”. Quest’ultimo ha posto le basi del processo di professionalizza­zione riguardante la figura dell’ostetrica poi affermato e sancito dalla legge 42 del 1999. Riportiamo qui di seguito il primo articolo del testo: Art. 1. - 1. È individuata la figura dell’ostetrica/o con il se-

guente profilo: L’ostetrica/o è l’operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale, assiste e consiglia la donna nel periodo della gravidanza, durante il parto e nel puerperio, conduce e por­ta a termine parti eutocici con propria responsabilità e presta assistenza al neonato. 2. L’ostetrica/o per quanto di sua competenza, partecipa: a) ad interventi di educazione sanitaria e sessuale sia nell’ambi-

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Alice Santercole to della fa­miglia che nella comunità: b) alla preparazione psicoprofilattica al parto; c) alla preparazione e all’assistenza ad interventi ginecologici; d) alla prevenzione e all’accertamento dei tumori della sfera genitale fem­minile; e) ai programmi di assistenza materna e neonatale. 3. L’ostetrica/o, nel rispetto dell’etica professionale, gestisce, come membro dell’equipe sanitaria, l’intervento assistenziale di propria competenza.

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4.L’ostetrica contribuisce alla formazione del personale di supporto e concor­ re direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca. 5. L’ostetrica/o è in grado di individuare situazioni potenzialmente patologi­ che che richiedono intervento medico e di praticare ove occorra, le relative misure di particolare emergenza; 6.L’ostetrica/o svolge la sua attività in strutture sanitarie, pubbliche o private. In regime di dipendenza o libero-professionale. [...]


Capitolo I Il significato del profilo professionale sembra essere suggerito da una legge precedente: la “Legge quadro sul pubblico impiego” del 1983. Nonostante que­st’ultimo non si riferisca a tutte le ostetriche ma solo quelle vincolate da pubblico impiego appare espressione di quella logica che poi sembra essere pienamente ac­colta dal D.M. 740 del 1994, La logica del profilo professionale. Quest’ultima si contrappone a quella espressa dal regolamento, dal momento in cui tende ad esal­tare la competenza ostetrica descrivendo gli ambiti nei quali questa si esprime con appropriate prestazioni e funzioni senza porre limiti alla sua attività. Il profilo pro­fessionale è descrivibile solo in termini positivi e sarebbe quindi con-

traddittoria un’elencazione di carattere prescrittivo rispetto a ciò da cui l’ostetrica si deve aste­nere dal fare, in particolare riferito a competenze spettanti il medico. La contemporanea esistenza - che ebbe la durata di poco meno di cinque anni – del mansionario, delle istruzioni e del profilo professionale pose qualche problema interpretativo fra le varie norme; data la divergenza di vedute tra le prime due ri­spetto alla terza ci si poneva il problema di quale fosse la fonte normativa di riferi­mento. Le incertezze persistettero sino all’abrogazione del mansionario sancita dalla legge 42 del ‘99, anche se in realtà alcuni problemi interpretativi persistettero a causa della mancata abrogazione delle

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Alice Santercole istruzioni, da ritenere tutt’ora in vigore. La contrapposizione della logica del profilo professionale e quella del mansio­ nario riflette un profondo cambiamento nella considerazione della funzione pro­fessionale dell’ostetrica. Un esempio che ben ci mostra un contesto culturale diffe­rente e la percezione delle competenze e del ruolo dell’ostetrica ad esso sottesi è la diversa interpretazione del dovere di richiedere l’intervento medico. Nel comma 1 dell’art. 139 del testo unico delle leggi sanitarie il riscontro di qualche “fatto irregolare” rendeva doveroso per l’ostetrica avvisare il medico e chiedere il suo intervento; ora nel comma 5 dell’art.1 della 740 del ‘94 si parla di­versamente di compe-

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tenza dell’ostetrica la quale deve essere “in grado di valutare ed individuare le situazioni potenzialmente patologiche che richiedono l’intervento medico”. Nello stesso comma viene attribuita all’ostetrica un’ulteriore competenza, quel­la di “praticare, ove occorra, le relative misure di particolare emergenza”. Questa competenza era già stata riconosciuta all’ostetrica da una sentenza della Corte di Cassazione precedente al 1994 nonostante fosse un fatto disciplinato dalla norma­tiva previgente. Comunque nonostante il divieto contenuto nell’articolo 4, ultimo comma del D.P.R. 1975, n. 163, dopo aver assolto il dovere di richiedere l’inter­vento del medico e questi sia impossibilitato a procedere, l’inter-


Capitolo I vento dell’ostetric­ a, nell’urgenza del contesto, esclude la sua responsabilità dell’azione. Un altro aspetto di notevole importanza nella comprensione dell’evoluzione normativa e nell’affermazione di prospettive del tutto peculiari per l’esercizio pro­fessionale e per il rapporto con il medico, è rappresentata dal fatto che il D.M non cita alcuna attività da realizzare su prescrizione medica, ma richiama diversamen­te la competenza propria dell’ostetrica nella gestione, come membro dell’equipe

sanitaria, dell’intervento assistenziale. Il profilo professionale approvato con D.M. 740 rappresenta in questo senso una fondamentale tappa per l’affermazione del­l’autonomia professionale dell’ostetrica ponendo l’accento sulla peculiarità delle sue competenze e non sulle limitazioni inerenti al suo ruolo. Ciò ovviamente non significa che non esistano attività di pertinenza non ostetrica, ma sarebbe stato fuori luogo indicarlo proprio nel profilo professionale.

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Alice Santercole 1.5 L’abrogazione del “mansionario” Quasi cinque anni dopo l’approvazione del profilo professionale viene promul­gata la legge 26 febbraio 1999, n.42, “Disposizioni in materia di professioni sani­tarie”. Di tale legge sono qui considerati sopratutto gli aspetti di carattere abroga­ tivo. Riportiamo qui di seguito il primo articolo Art. 1. Definizione delle professioni sanitarie. - 1. La denominazione “pro­fessioni sanitaria ausiliaria” del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n.1265, e succes-

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sive modificazioni nonché ogni altra disposizione di legge, è sostituita da denominazione “professione sanitaria”. 2. Dalla data di entrata in vigore della presente legge sono abrogati il regola­mento approvato con D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, ad eccezione delle di­ sposizioni previste dal titolo V, il D.P.R. 7 marzo 1975, n. 163 e l’articolo 24 del regolamento approvato con D.P.R. 6 marzo 1968, n. 680 e successive modificazioni. Il campo proprio di


Capitolo I attività e di responsabilità delle professio­ ni sanitarie di cui all’art 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto recipro-

co delle specifiche competenze professionali. L’articolo 1 della legge 42 ha una prima parte di carattere, per così dire abroga­tivo, che consiste nella duplice abrogazione dell’attributo “ausiliario” dalla locu­ zione “professione sanitaria”, sia nel testo unico sia in ogni altra disposizione di legge in cui esso figuri, sostituito dalla denominazione “ professione sanitaria”; e dall’abrogazione dei regolamenti ed in particolare il D.P.R. 7 marzo 1975, n. 163. Successivamente, si integrano siffatti provvedimenti di tipo abrogativo con alcune indicazioni in senso prescrittivo-positivo che riguardano la definizione del campo proprio di atti-

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Alice Santercole vità e di responsabilità delle professioni sanitarie comprese in una delle tre aree indicate nel comma 3 (infermieristica, tecnica e della riabilitazione). In questo modo il comma 2 va a colmare il vuoto lasciato dall’abrogazione dei mansionari e della concezione del ruolo ausiliario specificati e sanciti dal primo comma. “Il campo proprio di attività e di responsabilità” viene così determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali, da­gli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario (ora laurea universitaria), dagli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di formazione post-base e dagli

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specifici codici deontologici. Questo significa che non esiste più il vincolo del regolamento di cui al D.P.R. 163 del 1975. Ciò che veniva disposto nel mansionario resta tuttora ancora valido come guida di carattere operativo per l’ostetrica, ma senza costituire più un limite alla sua attività. Se la logica che ispirava il regolamento mansionario era quella di poter fare, inteso come autorizzazione a fare, ora emerge la logica del dover fare senso di agire per adempiere ai propri compiti e responsabilità, essendosi l’ostetri­ca formata e continuando ad accrescere i propri ambiti di competenze attraverso l’aggiornamento continuo.


Capitolo I 1.6 L’affermazione dell’autonomia professionale Se la legge 42 del 1999 sancisce l’affermazione del percorso di professionaliz­zazione delle figure sanitarie già iniziato nel 1992, è la legge 251 del 2000 “Disci­plina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, del­la prevenzione nonché della professione ostetrica” che per prima esplicita il con­cetto di autonomia professionale. Riportiamo il testo qui di seguito: Art. 1. Professioni sanitarie infer­ mieristiche e professione sanitaria ostetri­ca.- 1. Gli operatori delle professioni sanitarie dell’area

delle scienze infer­mieristiche e della professione sanitaria ostetrica svolgono con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili professionale nonché dagli specifici codici deon­tologici ed utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi dell’assi­stenza. 2.Lo stato e le regioni promuovono, nell’esercizio delle proprie funzioni legi­slative, di indirizzo,

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Alice Santercole di programmazione ed amministrative, la valorizzazione e la responsabilizzazione delle funzioni e del ruolo delle professioni infer­mieristico-ostetriche al fine di contribuire alla realizzazione del diritto alla salute, al processo di aziendalizzazione nel Servizio sanitario nazionale, al­l’integrazione dell’organizzazione del lavoro della sanità in Italia con quelle degli altri Stati dell’Unione europea. 3. Il Ministero della sanità, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolza­ no, emana linee guida per: a)

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l’attribuzione in tutte le aziende sanitarie della diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni; b) la revisione dell’organizzazione del lavoro, incen­tivando modelli di assistenza personalizzata. Si può affermare che il principio di autonomia professionale fosse contenuto implicitamente già dalla legge 42/99 attraverso la duplice abrogazione che opera. Tale principio era peraltro desumibile precedentemente dal profilo professionale del 1994, in cui viene riscontrata l’espletamento delle funzioni assistenziali, senza l’imposizione di alcun limite. Nello


Capitolo I stesso testo la capacità dell’ostetrica di saper individuare situazioni potenzialmente patologiche che richiedono l’intervento me­ dico, sta ad indicare una riconosciuta competenza valutativo-diagnostica, che vie­ne enfatizzata maggiormente rispetto al dovere di coinvolgere il medico. Un peculiare ambito di autonomia per l’ostetrica è riscontrabile da un’attività affermatasi già da tempo: La certificazione di assistenza al parto, attività peraltro che non trova riscontro nell’esercizio di altre professioni sanitarie non mediche. Lo stesso discorso può valere per le denunce da inoltrare all’autorità sanitaria: nes­sun’altra professione sanitaria non medica ha mai avuto autonomi specifici doveri di de-

nuncia, alla predetta autorità sanitaria, di qualsiasi tipo di fatto rilevato nell’e­ sercizio professionale. Come vedremo poi in seguito il concetto di autonomia non può essere decon­ testualizzato dalla pratica assistenziale, non può essere cioè declinato come di­stinzione tra le funzioni proprie rispetto a quelle di altri professionisti, sopratutto rispetto a quelle del medico. Sembrerebbe invece molto più pertinente, in relazio­ne allo stesso concetto di autonomia, considerarlo come abilità nella realizzazione delle specifiche funzioni professionali nell’integrazione con altri professionisti. Il lavoro in èquipe contraddistingue la modalità operativa più rappresentativa, sopra­tutto in ambito ospedaliero,

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Alice Santercole ed è proprio il contesto cooperativo, basato sulla par­ tecipazione, condivisione e integrazione tra professionisti, la cornice entro cui in­scrivere il senso dell’autonomia professionale.

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Capitolo I 1.7 Il riconoscimento della direttiva europea Negli ultimi decenni assistiamo a politiche europee atte a incentivare da una parte il processo di professionalizzazione che interessa le professioni sanitarie, dall’altra di allineare i protocolli con l’intenzione di elaborare una politica assisten­ ziale integrata all’interno della comunità europea. La prima direttiva europea in merito fu del 1980, la 80/155/CE, poi sostituita da un’altra, la 2005/36/CE, concer­nente il riconoscimento reciproco di diplomi, certificati ed altri titoli di vari pro­ fessionisti della salute, tra i quali era inclusa l’ostetrica. Il riconoscimento da parte del nostro ordinamento

di tali indicazioni è rappresentato dal D.Lgs. 6 novembre 2007, n. 206 “Attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali...”, la quale seppur contenendo elementi fonte di dubbi interpretativi, conferma di fatto degli ambiti di competenza espressi già in precedenza dalla normativa italiana e ne esplicita di nuovi, nel tentativo di confe­rire all’ostetrica quell’autonomia gestionale peculiare del proprio profilo, quella di­gnità professionale che di fatto ha difficoltà ad esserle riconosciuta. Riportiamo qui di seguito la sezione VI del capo IV del titolo III

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Alice Santercole del decreto legge, il quale è dedicato all’ostetrica Art.48 Esercizio delle attività profes­ sionali di ostetrica. - (omissis).. 2. Le ostetriche sono autorizzate all’esercizio delle seguenti attività: a) fornire una buona informazione e dare consigli per quanto concerne i pro­ blemi della pianificazione familiare; b) accertare la gravidanza e in seguito sorvegliare la gravidanza diagno­ sticata come normale da un soggetto abilitato alla professione medica, ef­fettuare gli esami necessari al controllo dell’evoluzione della gravi-

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danza normale; c) prescrivere gli esami necessari per la diagnosi quanto più precoce di gravidanze a rischio; d) Predisporre programmi di preparazione dei futuri genitori ai loro com­piti, assicurare la preparazione completa al parto e fornire consigli in ma­teria di igiene e di alimentazione; e) assistere la partoriente durante il travaglio e sorvegliare lo stato del feto nell’utero con mezzi clinici e tecnici appropriati; f) praticare il parto normale, quando si tratta di presentazione del vertex, compresa,


Capitolo I se necessario, l’episiotomia e, in caso di urgenza, praticare il parto nel caso di una presentazione podalica; g) individuare nella madre o nel bambino i segni di anomalie che richie­dono l’intervento di un medico e assistere quest’ultimo in caso di inter­ vento; prendere i provvedimenti d’urgenza che si impongono in assenza del medico e, in particolare, l’estrazione manuale della placenta seguita eventualmente dalla revisione uterina manuale; h) esaminare il neonato e averne cura; prendere ogni iniziativa che s’im­ponga in caso di

necessità e, eventualmente, praticare la rianimazione im­ mediata; i) assistere la partoriente sorvegliare il puerperio e dare alla madre tutti i consigli utili affinché possa allevare il neonato nel modo migliore; l) praticare le cure prescritte da un medico; m) redigere i necessari rapporti scritti. Va detto che per altri versi questo decreto legislativo offre chiavi di lettura che ampliano le abituali funzioni dell’ostetrica, rispetto alla corrente interpretazione del D.M. 740, più precisamente nei punti c), e) ed f). Nel

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Alice Santercole prossimo capitolo ne ap足profondiremo gli aspetti principali.

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CAPITOLO I NUOVE FRONTIERE DELL'ESERCIZIO PROFESSIONALE

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Capitolo I 2.1 L’autonomia operativa dell’ostetrica Come afferma Miriam Guana, do­ cente e coordinatrice ostetrica, nonché presi­ dente del collegio delle ostetri­ che di Brescia “Il regolamento adot­ tato nel 1994, come abbiamo visto, ha ridefinito la figura professionale dell’ostetrica/o, poiché, oltre a pun­ tualizzare la denominazione, ne fissa in termini fortemente innovativi i requi­ siti culturali, la sfera di competenza, le prestazioni, le prerogative di autono­ mia e responsabilità, le possibilità di realizzazione professionale nel mon­

do del la­voro e l’evoluzione professio­ nale (processo di empowerment)2”. Con l’emanazione della legge 42 del 1999, il regolamento del 1994 però assunse particolare rilievo, in quanto l’abroga­ zione del regolamento per l’esercizio professionale D.P.R. 163/1975 deter­ minò quest’ultimo tra i principali rife­ rimenti normativi per l’identi­ficazione del campo proprio di attività e respon­ sabilità dell’ostetrica/o, assieme al co­ dice deontologico, all’ordinamento didattico dei corsi universitari e alla

A. A. Guida all’esercizio della professione di ostetrica, C.G. Edizioni Medico Scientifiche S.r.l., Torino, 2008. 2

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Alice Santercole forma­zione post-base. L’ostetrica viene definita operatore sanitario, modificando la vecchia denomi­nazione di professione sanita­ ria ausiliaria; anche se è stato necessa­ rio attendere l’emanazione della legge 42 del ‘99 per riconoscere a pieno tito­ lo la professione ostetrica come pro­ fessione sanitaria. Tale affermazione esprime un esplicito rico­noscimento delle connotazioni peculiari di una professione intellettuale, quali: au­ tonomia decisionale, indipendenza culturale e operativa e responsabilità professio­nale. Il concetto di autonomia professio­ nale dell’ostetrica, seppur costituente dell’af­fermazione del nuovo profilo professionale del ‘94 e componente

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intrinseca di un professionista sanita­ rio in quanto professionista intellet­ tuale, viene però per la prima volta espresso con la legge 10 agosto 2000, n. 251 “Disciplina delle profes­sioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica”. È opportuno stabilire cosa la legge intenda per “autonomia”. Si possono infatti proporre due differenti defini­ zioni; una, in un’ottica negativa, che intende l’autono­ mia come una con­ dizione priva di vincoli di subordina­ zione che determina un’au­ tonomia operativa e decisionale nell’esercizio della propria professione. Un’altra de­ finizione che si può proporre inten­ de l’”autonomia” come dichiarazione


Capitolo I di con­tenuti, metodologia e obiettivi propri della professione, senza nega­ re l’interdipen­denza professionale che oggi caratterizza l’organizzazione sa­ nitaria. Sicuramente in questo senso l’autonomia risponde al concetto di abilità nella realizzazione del­le speci­ fiche funzioni professionali nell’inte­ grazione con altri professionisti3. È dunque quest’ultima la definizione più indicata nell’interpretazione del con­ cetto di autonomia. In linea generale l’autonomia può essere attinente alla scelta, alla pro­gettazione, all’applica­ zione o alla verifica-controllo dell’in­

tervento stesso; può an­che riguardare macro-aree dell’attività sanitaria come la prevenzione, l’assistenza o la riabi­ litazione; ma può anche concernere l’ambito intellettuale, relazionale o tec­ nico. In relazione con altre figure pro­ fessionali l’autonomia si esplica come parte­cipazione e collaborazione, men­ tre per quanto riguarda il rapporto con il medico come prescrizione medica o come iniziativa personale. Riguardo quest’ultima con­siderazione la figu­ ra dell’ostetrica intesse con il medico un rapporto peculiare del­la sua iden­ tità professionale (come poche altre

RODRIGUEZ D, Professione ostetrica/o, aspetti di medicina legale e responsabilità. Eleda Edizioni, Milano 2010. 3

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Alice Santercole figure professionali); il profilo del­la maggior parte delle professioni sanita­ rie contemplano attività legate ad una va­lutazione o indicazione del medico, mentre il profilo dell’ostetrica non cita mai la preventiva prescrizione medica. L’ostetrica non ha un rapporto con il medico basa­to sulla “prescrizione” ma un peculiare rapporto “rovesciato”4. Già nel regola­ mento approvato nel 1975 non figurava mai il concetto di attività subordinata alla prescrizione medica, né coerentemente il D.M.740, il quale richiama la competen­za pro­ pria dell’ostetrica nella gestione, come membro dell’èquipe sanitaria, del­

4

Ibidem.

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l’intervento assistenziale. Non dimen­ tichiamo inoltre che lo stesso stabili­ sce che “L’ostetrica/o è in grado di individuare situazioni potenzialmente patologiche che richiedono l’interven­ to medico e di praticare, ove occorra, le relative misure di particolare emer­ genza” conferendole capacità di dia­ gnosi vera e propria. La valu­tazione/ indicazione in questo caso spetta alla figura dell’ostetrica, che individuata la condizione potenzialmente patologica allerta a quel punto il medico. Ma allo­ ra in cosa si differenzia la professione medica da quella non medica nel caso dell’oste­trica?


Capitolo I 2.2 L’esercizio abusivo della professione medica. Quali limiti? Secondo la normativa vigente le professioni sanitarie vedono come li­ mite posi­ tivo del proprio raggio di azione ciò che è contenuto nel profilo professionale, nel codice deontologico e negli ordinamenti didattici dei cor­ si di studio universitari e come limite negativo le, peraltro non meglio speci­ ficate e definite, “competenze previste dalla professione medica” e degli altri professionisti sanitari laureati (leg­ ge 5 n. 42 del 26 febbraio 1999) . Secondo

molti sembra che tale norma induca una certa vacuità nell’individuazione delle attività proprie alle professioni sanitarie. Se da un lato infatti il man­ sionario imbrigliava il professionista in una rete a maglie strette, a demarcare atti leciti e dovuti da altri, la dettagliata elencazione di mansioni proprie non lasciavano dubbi su quali fossero gli atti leciti e quelli non leciti, rappresen­ tando un facile riferimento nel ricono­ scimento del reato di esercizio abusivo

NORELLI GA, FOCARDI M, GUIDO A. La figura professionale dell’ostetrica: aspetti normativi e medicolegali. Zacchia 2008; 367-389. 5

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Alice Santercole della professione medica6. Oggi l’as­ senza di una netta demarcazione tra competenze mediche e non mediche crea la poco chiara definizione di un limite negativo nell’esercizio delle pro­ fessioni sanitarie. Un’interessante let­ tura di questo aspetto viene espresso da due medici legali, Magliona e Buz­ zegoli, se­condo cui “Non c’è dubbio che la complessa realtà delineatasi con l’istituzione dei nuovi diplomi univer­ sitari dell’area sanitaria e sopratutto con le innovazioni intro­dotte dalle re­ centi disposizioni di legge si caratteriz­

zi per un duplice contrastante aspetto: da un lato, uno sviluppo ed una valo­ rizzazione delle figure sanitarie non mediche, che si esplicita nella scom­ parsa del ruolo ausiliario, così riducen­ dosi lo scarto tra dimensione cultu­ rale e normativa, dall’altro la parziale indeterminatezza dei relativi ambiti di competenza, che dà adito a non poche zone d’ombra dell’indi­viduazione dei limiti d’intervento e di responsabilità delle singole figure professionali, so­ pratutto per quanto riguarda i rapporti con la categoria medica”7.

6 BUCARELLI A, La nuova figura dell’infermiere professionale, in Gli esercenti le professioni sanitarie nel recente riassetto formativo, Giuffrè editore, Milano, 2003. 7 MAGLIONA B., BUZZEGOLI C. Competenze e responsabilità del tecnico sanitario in radiologia medica nel processo di informazione al paziente:aspetti medico legali.

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Capitolo I Se questo è vero per le professioni sanitarie in genere, il discorso sembra anco­ra più calzante per la figura pro­ fessionale dell’ostetrica, che condivi­ de con il medi­co numerosi ambiti di competenza. Nell’interpretazione at­ tuale sembra che il problema derivi più che da una mancanza di una chiara definizione delle compe­tenze specifi­ che sopratutto dall’assenza della defi­ nizione degli atti di competenza medi­ ca, necessità non avvertita prima della definizione delle nuove figure profes­ sionali. Il limite negativo delle compe­ tenze delle nuove figure professionali richia­mano il concetto di “atto medi­ co”, cioè ciò che è esclusivo e specifi­ co appannag­gio del medico e che non è pertinente alle professioni non medi­

che. L’atto medico come detto prima risulta quindi mal definito tanto dalla legislazione quanto dalla giurispruden­ za, rendendo arduo il riconoscimento di un confine operativo. Una nozione accettabile di “atto medico” sembra essere quella che ri­ conosce prerogativa medica la diagno­ si, o meglio la diagnosi differenziale, intesa come comprensione dell’ezio­ logia e natura della malattia con la conseguente indicazione diagnostica. Appare evidente che anche in questo caso la figura dell’ostetrica rap­presenta una significativa eccezione nel panora­ ma delle professioni sanitarie, es­sendo essa stessa legittimata alla diagnosi di parto distocico e potenziale/attua­ le modifica in senso patologico della

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Alice Santercole gravidanza. In questo caso può essere plausibi­le ascrivere al medico il tratta­ mento differenziale delle patologie in gravidanza e al momento del parto. La figura dell’ostetrica rappresenta dunque la professionista che a pieno titolo è riconosciuta dal punto di vista legislativo “Professionista del parto fisiologico”8, colei che in piena auto­ nomia e responsabilità presta assisten­ za alla madre e al na­scituro non solo durante il parto, ma anche nel corso dell’intera gravidanza, ed è capace di riconoscere le anomalie ad essa corre­ late. Lo status normativo non corri­

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sponde però ad uno status riconosciu­ to di fatto, con riferimento all’ambito ospedaliero. Stiamo infatti purtroppo assistendo, già da più di qualche de­ cennio, ad un rovesciamento del ruo­ lo dell’ostetrica, la quale sembra aver assunto un ruolo di collaboratrice piuttosto che di vera e propria pro­ tagonista del percorso nascita. Il pro­ blema secondo il giurista Luca Benci sta nel­l’ambiguità normativa espressa dal profilo professionale dell’ostetrica, il quale nella parte dedicata al percor­ so nascita attribuisce all’ostetrica un ruolo generale di assistenza e consi­ glio mentre per quanto riguarda il par­

BENCI, L. Le professioni sanitarie non mediche. Mc Graw-Hill, Milano, 2002.

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Capitolo I to il profilo diventa più preciso e co­ gente. Assistiamo dunque, “...ad una dicotomia legislativa dannosa: a fron­ te di un percorso nascita medicalizza­ to senza alcuno spazio operativo per la professione ostetrica, si pretende­ rebbe successiva­mente un parto non medicalizzato. Il messaggio che il no­ stro ordinamento da è privo di logicità: permea la gravidanza di cultura medi­ calizzata (non medica, ma proprio me­ dicalizzata, tende cioè a trasformare in

atto medico ciò che medico non è) e poi pretenderebbe di vedere trasfor­ mare il parto, come per incanto in atto fisiologico. Il profilo professionale dell’ostetrica mostra i suoi anni e deve essere rivisto per dare piena attuazio­ ne al processo di professionalizzazio­ ne della figura professionale”9. Certo è vero che quando scrisse l’articolo non era ancora stato emanato il d.Lgs del 2007.

BENCI, L. Demedicalizzare il parto o demedicalizzare il percorso nascita? Il ruolo e l responsabilità del medico ostetrico e dell’ostetrica/o. Rivista di diritto delle professioni sanitarie. 1:19, 2003. 9

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Alice Santercole 2.3 L’interpretazione della direttiva Zappalà L’emanazione del decreto legisla­ tivo del 9 novembre 2007 è la diretta applica­zione a livello nazionale della direttiva 2005/36/CE del Parlamento Europeo “rela­tiva al riconoscimento delle qualifiche professionali”. Negli ultimi anni la Comunità Eu­ ropea ha sentito l’esigenza di forni­ re delle li­nee guida ai Paesi membri dell’Unione, al fine di rendere uni­ forme l’erogazione delle prestazioni professionali, tra cui quelle inerenti l’ostetricia. Tale necessità si è palesa­ ta a fronte dei profondi mutamenti dei modelli assistenziali.

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L’esercizio delle professioni sanita­ rie sta affrontando infatti una costante evolu­zione da un modello dove la rela­ zione medico-paziente era un rappor­ to chiuso e sbilanciato, verso un mo­ dello polistrutturato con il paziente al centro di un net­work di servizi sanitari erogati da differenti figure professio­ nali. Il paziente inoltre è passato da es­ sere soggetto passivo a soggetto attivo, coinvolto nel processo deci­sionale del proprio percorso assistenziale. Questi cambiamenti hanno fornito nuo­va lin­ fa al processo di professionalizzazio­ ne, attraverso appunto la formazione


Capitolo I di figure professionali altamente spe­ cializzate e diversificate. Per quanto riguarda l’ostetricia e la figura dell’ostetrica questo obiettivo si è concretizzato con l’emanazione del­ la Direttiva 2005/36/CE detta anche Direttiva Zappalà. La direttiva Zappalà assegna all’ostetrica un legittimo ruolo di primo pia­no nel percorso assisten­ ziale della salute riproduttiva umana, conferendole nuova autonomia e le­ gittimando ambiti d’azione che prece­ dentemente erano esclusivi della pro­ fessione medica o non esplicitamente definiti dalla legge. Questi riguar­dano nello specifico la possibilità di prescri­ vere farmaci e la possibilità di far ese­ guire esami diagnostici. Come abbiamo visto in Italia la di­

rettiva europea 2005/36/CE è stata recepita attraverso l’emanazione del D.Lgs del 9 novembre 2007. Al decreto è anche allegato il pia­ no di studi per il conseguimento dei titoli for­mativi di ostetrica tra cui si annoverano l’analgesia, l’anestesia e la rianimazione tra le materie specifiche dell’attività ostetrica ed inoltre, tra l’in­ segnamento pratico e clinico: “Pratica dell’episiotomia e ini­ ziazione alla sutura. L’iniziazio­ ne comprenderà un insegna­ mento teorico ed esercizi clinici. La pratica alla sutura compren­ de la sutura delle episiotomie e delle lacerazioni semplici del pe­ rineo; che può essere realizzata

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Alice Santercole se assolutamente necessario, in modo simulato.” Da uno sguardo generale alla nor­ mativa si evince subito come il ruolo e le competenze ostetriche stiano suben­ do delle trasformazioni, anche se per­ sistono fattori di dubbio e confusione e si avverte l’immediata esigenza di una maggiore chiarezza. Nella direttiva si auspica che le attività proprie dell’oste­ trica siano “al­meno” quelle indicate. Ciò significa che quelle elencate sono le attività di base che l’ostetrica è chia­ mata ad espletare, mediante un corso di studi improntato sul­ l’acquisizione di nozioni tecniche e scientifiche alta­ mente professionalizzanti. Il decreto legge nazionale oltre ad aver recepito

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le indicazioni della direttiva fornisce ulteriori indicazioni circa l’esercizio delle attività autorizzate. Ad esempio nel pun­to b) della direttiva comunita­ ria si afferma che l’ostetrica è autoriz­ zata ad “accerta­re la gravidanza ed in seguito sorvegliare la gravidanza dia­ gnosticata come normale ed effettuare gli accertamenti necessari al controllo dell’evoluzione della gravidanza nor­ male” senza però darci indicazioni su chi debba effettuare la diagnosi di nor­ malità di quella gravidanza che l’oste­ trica è tenuta a sorvegliare. A riguardo è abbastanza condivisa l’idea che dovrebbe essere la figura del me­dico ad effettuare la diagnosi di normalità e che a questo punto ceda il passo all’o­stetrica che prende in ca­


Capitolo I rico la gestante a pieno, autonomo ed esclusivo titolo di responsabilità10. La normativa nazionale al punto b) inte­ gra con indicazioni rispet­to a chi deb­ ba diagnosticare la gravidanza come normale (un soggetto abilitato alla professione medica), facendo quindi chiarezza su questo punto, anche se tale as­sunto sembra risultare anacroni­ stico rispetto alle recenti acquisizioni normative in tema di professionalizza­ zione della figura dell’ostetrica. Secondo alcune interpretazioni i punti b) e g) risulterebbero in parzia­ le contra­sto con il decreto ministeriale

740 del 199411. In primo luogo la funzione di sor­ vegliare la gravidanza risulterebbe subordina­ ta all’accertamento medico di normalità. Inoltre al punto g) sem­ bra che la capacità dell’ostetrica di ri­ conoscere eventi patologici sia negata in riferimento alla necessi­tà di richie­ dere l’intervento medico qualora si individuino segni di anomalie. Con individuazione di anomalie sembra proprio tornare alle indicazioni defini­ te dal te­sto unico delle leggi sanitarie, una locuzione senza dubbio più vicina al fatto irre­golare del testo in questio­

NORELLI GA, FOCARDI M, GUIDO A. La figura professionale dell’ostetrica: aspetti normati­ vi e medico-legali. Zacchia 2008; 367-389. 11 RODRIGUEZ D, Professione ostetrica/o, aspetti di medicina legale e responsabilità. Eleda Edizioni, Mila­ no, 2010. 10

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Alice Santercole ne. In realtà il D.Lgs del 2007 risulta ancora più retrivo del testo unico: le ostetriche infatti non sembrano posse­ dere la competenza di in­dividuare tali anomalie, ma sono autorizzate a farlo. La FNCO (federazione naziona­ le dei collegi delle ostetriche) ha sol­ levato ri­guardo la trasposizione della parte b) della direttiva europea nella sua corrispon­dente parte espressa dal decreto legislativo, delle perplessità, in quanto a parer suo sembrerebbe limitare l’attività dell’ostetrica nell’e­ sercizio professionale, ren­dendo poco plausibile un’effettiva sorveglianza e controllo della gravidanza fisio­logica, data la posizione di subordine espres­ sa nell’affermazione in questione (... omissis... b - accertare la gravidanza e in

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seguito sorvegliare la gravidanza fi­siologica diagnosticata come normale da un soggetto abilitato alla professione medica ...omis­ sis...). In un esposto presentato dalla FNCO alla Commissione Eu­ropea si legge: “...è di chiara evidenza l’anti­ nomia tra l’art.42. no.2, lett. b) della Direttiva 2005/36/CE e l’art.48 no.2, lett. b) del D.Lgs 206/2007, senza che lo Sta­to Possa percepire alcuna giu­ stificazione di interesse generale. In particolare, la disposizione nazionale censurata non prende in alcuna con­ siderazione che il nuo­vo regime di ac­ cesso alle attività di ostetrica prefigu­ rato dalla Direttiva Zappalà (Direttiva 2005/36/CE) ha proprio lo scopo di garantire al cliente che le prestazio­ni vengano offerte solo da ostetriche in


Capitolo I possesso di determinati requisiti. Inol­ tre sembra già che l’art. 4 no. 2, della direttiva 80/155/ CE avesse attribu­ ito all’ostetri­ca la competenza a dia­ gnosticare la gravidanza come norma­ le, considerando che la formulazione letterale di tale disposizione coincide esattamente con quella del­ l’art. 42, no.2. lett. b) della direttiva Zappalà. Tuttavia neppure la direttiva 80/155/ CE è stata compiutamente trasposta nel nostro ordinamento, sicché si può ritenere che l’inadempimento del no­ stro ordinamento al diritto comunita­ rio persi­ste ormai già da diversi anni”. La Commissione europea, il 1° lu­ glio 2008, ha rigettato le motivazioni alla base dell’esposto avanzato dalla

FNCO, sostenendo che: “Il fatto che la norma italiana in questione esiga che un medico controlli se il decorso del­ la gravidanza sia normale non signifi­ ca che l’accertamento e la sorveglianza della gravidanza nonché i relativi esami siano riservati esclusivamente ai medi­ ci. Questi ultimi, in­fatti debbono sol­ tanto accertarsi che sia soddisfatta una condizione della direttiva, ossia quella relativa al normale decorso della gravi­ danza. Ciò non impedisce, tut­tavia alle ostetriche di accertare la gravidanza e di effettuare tutti i controlli e gli esami che travalicano l’accertamento medico di una normale gravidanza. L’articol­o 48, paragrafo 2, lettera b), del decreto legislativo 206/2007 non impedisce,

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Alice Santercole tutta­via alle ostetriche di accertare e controllare la gravidanzaâ€?12.

BARBERIS C, DEL BO E, FASSINA G, FERRARI G. Autonomia e limiti della professione ostetrica:considerazioni prospettiche. Zacchia 2009; 21-30. 12

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Capitolo I 2.4 La prescrizione degli esami in gravidanza Legittimare l’ostetrica a sorveglia­ re lo stato della gravidanza fisiologica, signi­fica conferirle la capacità di valu­ tare gli esami obiettivi e interpretare le indagini di laboratorio. La domanda a questo punto sorge spontanea, L’oste­ trica è autoriz­zata a prescriverne anche l’esecuzione oppure si limita esclusiva­ mente a controlla­re i risultati e a consi­ gliarne la prescrizione medica? Già nel regolamento del 1975 era prevista la possibilità per l’ostetrica di som­ministrare dei farmaci in con­ dizione di emergenza e fare eseguire alcuni esami diagnostici come l’azote­ mia, glicemia, esame delle urine, esame

sierologico per la ricerca della Sifilide, determinazione del gruppo sangui­ gno e del fattore Rh e con­trolli emo­ cromocitometrici, che rientrano tra le competenze previste nelle normative nazionali. Inoltre medicinali e farma­ ci erano in dotazione al professionista sempre a norma del vecchio regola­ mento e ciò è stato ribadito dal Mini­ stero della salute nell’otto­bre del 1995, senza lasciare dubbi sulla legittimità di somministrare farmaci e ri­chiedere ac­ certamenti. Il punto spinoso sarebbe piuttosto la discussa potenzialità prescrizionale dell’o­stetrica. Su questo argomento si

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Alice Santercole registrano perplessità e posizioni di­ vergenti, ten­denzialmente si è indotti a pensare al medico come l’unica catego­ ria autorizzata a prescrivere. A riguar­ do comunque è necessario considera­ re la prescrizione degli accertamenti necessari al controllo della gravidanza fisiologica, ed è logico pensa­re che la normativa comunitaria a questi si rife­ risca, quegli esami di screening pre­visti dal Decreto del Ministero della sani­ tà del 199813 secondo cui all’articolo 1 comma 2: “ La prescrizione delle pre­ stazioni di diagnostica strumentale e di labo­ratorio e delle altre prestazioni

specialistiche è effettuata dai medici di medicina generale e/o dagli specialisti operanti presso le strutture accredita­ te, pubbliche o private, ivi compresi i consultori familiari...”. Innanzitutto il riferimento in que­ stione deve essere ascritto al contesto ammini­strativo, in quanto si definisce l’attività prescrittiva delle prestazioni gratuite ga­rantite dal S.S.N. e non la potestà prescrittiva in generale, la qua­ le risulta essere già riconosciuta all’o­ stetrica dalla normativa vigente, quin­ di erroneamente ritenu­ta di esclusiva pertinenza medica. Inoltre il fatto che

D. M. 10 settembre 1998. Aggiornamento del D.M. 6 marzo 1995 concernente l’aggiornamento del D.M. 14 aprile 1984 recante protocolli di accesso agli esami di laboratorio e di diagnostica stru­ mentale per le donne in stato di gravidanza ed a tutela della maternità. 13

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Capitolo I tale norma sia precedente alla dichia­ rata autonomia professionale dell’o­ stetrica lascia sperare che presto si at­ tui una revisione legislativa che prenda atto dell’iter professionalizzante e re­ sponsabilizzante che sta interessando la figura dell’ostetrica nella gestione della gravidanza fisiologica come ga­ rante dell’umanizzazione e della sicu­ rezza del per­corso nascita. Sembrereb­ be alquanto incongruo se il legislatore, nella scrittura del­la direttiva Zappalà, “Avesse inteso riservare al solo medico la potestà di prescri­vere ed all’ostetrica quella di sorvegliare e verificare, non potendo, da una impo­stazione siffatta, che derivare lecite perplessità. Quid iu­

ris? Infatti, viene da chie­dersi, a mero titolo di esempio, in termini di respon­ sabilità professionale, nel caso in cui il medico curante non ravvisi la oppor­ tunità di sottoscrivere la richiesta di accertamenti formulata dall’ostetrica e questa non possa, quindi assolvere alla sua funzione di controllo, magari deri­ vandone un danno di cui i professioni­ sti non po­trebbero che essere chiamati a rispondere in solido, con ingiusta e vessatoria ipo­tesi di responsabilità nei confronti di uno dei due (l’ostetrica), posta in condizioni di non adempiere l’obbligo di garanzia nei confronti del­ la persona assistita, da una condotta altrui a lei non imputabile”14.

NORELLI GA, FOCARDI M, GUIDO A. La figura professionale dell’ostetrica: aspetti normati­ vi e medico-legali. Zacchia, 2008; 367-389. 14

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Alice Santercole Ci appare evidente che in questo caso l’adeguamento formale alle di­ rettive eu­ropee non si è tradotta poi nella realizzazione pratica delle indi­ cazioni normative. La causa principale è essenzialmente imputabile alla cul­ tura medico-centrica che permea gli ambienti sanitari. La possibilità per le ostetriche di prescrivere analisi chimi­ co-cliniche ha sollevato le critiche del­ la classe medica la quale ha dato vita ad un acceso dibattito riguardanti i profili di responsabilità professiona­ le. Dal canto loro le ostetriche, attra­ verso la FNCO (Federazione naziona­ le dei Collegi delle ostetriche) hanno fatto sentire la propria voce richieden­ do finalmente la codifica legislativa di un “ricettario ostetrico” che permetta

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loro la prescrizione di farmaci in pe­ riodo fertile e in stato di gravidanza come prolungamento e affermazione dei dettami normativi della direttiva europea 2005/36/CE, come già av­ viene in molti paesi. Senza produrre molti risultati. L’evidente ostracismo attuato dal­ la classe medica mostra un contesto anacroni­stico, in relazione al percorso compiuto negli ultimi decenni in ambi­ to internazio­nale, che ha visto l’affer­ mazione di tale prerogativa. Il dibatti­ to italiano in merito si trova ancora ad uno stadio embrionale, nonostante la presenza di numerosa stu­di sperimen­ tali che attestino l’efficacia di una pie­ na autonomia dell’ostetrica. La battaglia per la legittimazione


Capitolo I dell’autorità prescrittiva delle ostetri­ che è ini­ziata negli Stati Uniti d’Ame­ rica nel lontano 1982, quando un’o­ stetrica di profes­sione, Patricia Atkins Murphy scrisse un articolo in cui si domandava in che modo le ostetri­ che potessero assolvere pienamente al proprio ruolo di gestione della gra­ vidanza fisiologica, senza poter pre­ scrivere quei farmaci (nello specifico la Murphy si riferiva alla prescrizio­ ne di molecole farmacologiche qua­ li integratori vitaminici, medicazioni vaginali, ecc.) che ne garantiscono la corretta presa in ca­rico e una gestione indipendente. Agli inizi degli anni ‘90 in diversi Stati america­ni si fecero dei passi avanti introducendo nella loro le­ gislazione una forma di au­torità pre­

scrittiva. Nonostante ancora non fosse compiuta la piena emancipazione del­ le ostetriche nei confronti dei medici, sembrava proprio che tale richiesta di le­gittimazione avesse raccolto consen­ si unanimi, sia tra le pazienti che tra i medici e il personale sanitario in gene­ re. Possiamo dire che il percorso sta­ tunitense risulta compiuto dal 2007, quando l’ultimo stato che non aveva ancora effettuato una re­visione nor­ mativa in questa direzione si è dotato di un atto che riconosce l’autono­mia prescrittiva. Nella stessa direzione si mosse­ ro Canada e Australia e Nuova Ze­ landa, presso­ché negli anni novanta. In Canada attraverso l’emendamen­ to al “Midwifery Act” del 1991; Au­

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Alice Santercole stralia e Nuova Zelanda con il ”1990 Amendment to the Medici­nes Act” . In Europa invece troviamo una condizione molto varia, ma in generale un livel­lo alquanto avanzato del dibat­ tito sull’argomento. L’avanguardia eu­ ropea è rappre­sentata dall’Inghilterra, che costituisce un punto di riferimen­ to, la quale attraverso il Nursing and Midwifery Council ha stilato una serie

di linee guida che regola­mentano l’at­ tività prescrittiva di entrambe le figu­ re professionali, mentre la forma­zione specifica viene garantita attraverso l’individuazione di percorsi didattici abi­litanti la potestà prescrittiva. Il mo­ dello inglese sembrerebbe rappresen­ tare il trend internazionale ed europeo verso cui i singoli paesi si stanno diri­ gendo15.

BARBERIS C, DEL BO E, FASSINA G, FERRARI G. Autonomia e limiti della professione ostetrica:considerazioni prospettiche. Zacchia 2009; 21-30. 15

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Capitolo I 2.5 Episiotomia, episiorrafia e analgesia Pare esserci meno confusione in merito alla possibilità dell’ostetrica di effettua­ re l’episiotomia, l’episiorra­ fia e l’analgesia della stessa. La pratica dell’episiotomia viene contemplata già dalla normativa del 1975 e ribadita dal­ la direttiva europea che indica inoltre la necessità di inserire nei programmi didattici l’iniziazione alla pratica epi­ siotomica e alla sutura. Alcuni elementi di dubbio comun­ que sono sorti sulla liceità di tale pra­ tica, tale supposizione si fonderebbe sull’interpretazione dell’episiotomia come elemento di una distocia, che quindi ridefinirebbe il parto in que­

stione da fisiologico a patolo­gico, an­ dando a prefigurarsi come di stretta pertinenza medica. In realtà la dot­ trina giurisprudenziale si è più volte espressa a riguardo, ritenendo la pra­ tica episioto­mica l’elemento preventi­ vo di una condizione di complicanza, non ascrivibile ad una distocia del par­ to; ma tale da evitare lacerazioni tissu­ tali importanti. Nel mo­mento che tale pratica non compromette la fisiologi­ cità del parto in questione, questa ri­ entra a tutto diritto tra le pratiche di pertinenza ostetrica, includendo inol­ tre anche la sutura della stessa, qualora si tratti di lacerazioni semplici del pe­

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Alice Santercole rineo. Sarebbe assurdo d’altronde con­ sentire l’episiotomia negando la sutura del taglio praticato, ciò ad eccezione naturalmente del caso in cui si mani­ festino lacerazioni ampie che al con­ trario richiedono l’intervento medico. Le implicazione dell’autonomia della gestione di un parto fisiologico, come sancito dal D.M 740 del 1994, a questo punto, non potrebbero che comprendere le tecniche di analge­ sia locale come atto imprescindibi­ le dell’episiotomia. L’infiltra­zione di anestetico ai tessuti perineali da par­ te dell’ostetrica, come esprime in una nota la FNCO nel Marzo del 2007, è da comprendere tra le competenze ostetriche.

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Capitolo I 2.6 Le competenze diagnostico-valutative Ulteriori sovrapposizioni di com­ petenza tra professioni sanitarie medi­ che e non mediche in ambito ostetrico hanno riscontro per ciò che riguarda la diagnosi stru­mentale, e nello speci­ fico ci si chiede se questa sia un atto di esclusiva competen­za del medico gi­ necologo. Le metodiche diagnostiche strumentali cui essenzial­mente si rivol­ ge la discussione sono l’ecografia oste­ trica e la cardiotocografia. Ab­biamo già più volte affermato che le norme assegnano all’ostetrica una competen­ za diagnostica, la capacità cioè non solo di identificare un’anomalia ma di com­prenderne la natura o/e la causa;

la normativa però omette di riferirci con quali strumenti e metodi l’ostetri­ ca esercita tale competenza. L’ecografia viene considerata una disciplina polivalente, più che una tec­ nica di rilevamento e di interpretazio­ ne diagnostica ex post, si configura come un com­plesso metodo analitico dinamico che investe il profilo di strut­ ture anatomiche va­riegate e meccani­ smi fisiopatologici che travalicano la gravidanza, che necessita­no quindi di un sapere medico specifico. L’ecogra­ fia non ci fornisce un dato og­gettivo da interpretare a posteriori come inve­ ce accade con il tracciato cardiotoco­

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Alice Santercole grafico. Per l’ostetrica però l’ecogra­ fia può rappresentare uno strumento di sup­porto per la rilevazione dei pa­ rametri materni e fetali in gravidanza ed in travaglio di parto al fine di in­ terpretare e valutare con tempestivi­ tà e maggiore accuratezza la normale evoluzione della gravidanza e del par­ to. L’ostetrica/o cui non compete la refertazione dell’ecografia, ossia una relazione sulle risultanze di una inda­ gine diagnostica che è invece un atto medico, dovrà trascrivere i parametri rilevati ed informare il medico specia­ lista qualora questi risultino deviare dalla normalità. Dalla letteratura scientifica più ac­ creditata risulta che l’impiego della

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diagnosti­ca ad ultrasuoni nella sorve­ glianza del benessere materno-fetale da parte delle ostetriche è un’attività ormai consolidata nella midwifery in­ ternazionale. I parametri rilevabili dall’ostetrica secondo la FNCO, sulla base di quanto di­sposto al comma e) e comma g) dell’ Art. 48. Esercizio delle attività profes­ sionali di ostetrica del Decreto Legi­ slativo 6 novembre 2007, n. 206 sono: la visualizza­zione della camera ovulare in utero e dell’embrione, la visualizza­ zione dell’attività cardiaca embrio-fe­ tale, la visualizzazione della parte pre­ sentata, la valutazione soggettiva della quantità di liquido amniotico, l’indivi­ duazione di masse pelviche e della loro


Capitolo I ecogenicità16. Altro discorso si deve effettuare ri­ guardo all’indagine cardiotocografica, la qua­le possiede una specifica valen­ za ostetrica e risulta interpretabile suc­ cessivamente all’esecuzione, attraverso la registrazione oggettiva dell’attività cardiaca fetale e dell’attività contrattile uterina. Per queste ragione l’esecuzio­ ne del tracciato e la sua lettura e re­ fertazione non sembrano essere atti­ vità precluse all’ostetrica, bensì piena espressione di quella competenza dia­ gnostica implicitamente prevista nel

decreto del 1994 art 1 comma 517. Le normative però appaiono anco­ ra una volta poco dirimenti e vacue. Come af­ fermato precedentemente non ci forniscono indicazioni rispetto a quali debbano essere i metodi e gli strumenti attraverso cui il professioni­ sta in questione possa porre diagnosi. È fuori di dubbio che l’ostetrica debba essere in grado di ricono­scere i se­ gni di patologia materno-fetale e la loro natura, e quindi le alterazioni cardiotocografiche, ma ci sarebbe da chiedersi chi debba refertare il trac­

http://www.fnco.it/news/possibilita-per-l-ostetrica-o-di--effettuare-l-ecografia-of.htm. D.M. 14 settembre 1994, n. 740 Art. 1, comma 5 “L’ostetrica è in grado di individuare situazioni potenzialmente patologiche che richiedono intervento medico e di praticare, ove occorra, le relative misure di particolare emergenza”. 16 17

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Alice Santercole ciato car­diotocografico, ad esempio in ambiente ospedaliero (l’ostetrica o il primo di guar­dia/capo èquipe). La FNCO, in una nota del 15 giugno 2007, si è espressa in que­sto modo a riguar­ do: “ Se il contesto è quello della strut­ tura sanitaria accreditata, l’ostetrica/o valutato il tracciato, ai sensi dell’art. 1 comma 5 della 740/1994, pre­dispone per l’immediato intervento del medico se il caso clinico lo richiede, adot­tando anche procedure di supporto (uso di antispastici, sospensione di somminis­ trazione ossitocica, cambio decubi­ to della gestante, ecc..). È necessario sottoli­ neare, inoltre, che il mancato rilievo e segnalazione delle alterazioni

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cardiotoco­grafiche al medico respon­ sabile, equivale alla mancata diagnosi. In ogni caso, in assenza di Protocol­ li diagnostici specifici interni (dove si individua e si definisce un comporta­ mento da seguire in caso di tracciato rassicurante, non rassicurante e pato­ logico, anche in applicazione di quanto previsto dalle linee guida dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regiona­ li) la refertazione del tracciato - ed il succes­sivo rilascio alla donna gravida (che riceve la prestazione in ambula­ torio) della copia del tracciato (previa registrazione in un registro progressi­ vamente numerato) - deve prevedere all’interno della struttura sanitaria la


Capitolo I presenza dello specialista (responsabi­ le della guardia ostetrica attiva) o, dove disponibile, un servizio per la refer­ tazione telematica (progetto TOGO­ MAT applicabile solo per le donne in gra­vidanza e non in travaglio di parto) ..”. Se è vero che l’ostetrica, in quan­ to gestisce in piena autonomia e re­ sponsabilità la gravidanza, può in un contesto privato effettuare un giudizio clinico e quindi re­fertare un tracciato cardiotocografico, non si comprende­ rebbe il motivo per il qua­le tale potestà risulterebbe negata o meglio subordi­

nata al giudizio del medico in ambito clinicizzato. Senza dubbio le ombre e le diffi­ coltà interpretative, oltre che ad es­ sere ricondu­cibili ad una scarsa chia­ rezza normativa, sono ricollegabili alla forte valenza pro­batoria del tracciato cardiotocografico come documen­ to attestante una condotta congrua e adeguata del professionista sanitario e alla complessità del sistema del rico­ noscimento delle responsabilità pro­ fessionali nel lavoro di èquipe, proprio del­l’ambito ospedaliero.

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CAPITOLO I I LE RESPONSABILITÀ PROFESSIONALI DELL'OSTETRICA

32 settimane



Capitolo I I 3.1 Il concetto di responsabilità I tre concetti cardine per comprendere appieno l’inquadramento delle compe­tenze e delle responsabilità dell’ostetrica sono contenuti nell’articolo 1 della legge 26 febbraio 1999, n. 42. Questi sono: responsabilità, attività e competenza, con­cetti particolarmente pregnanti e significativi. Il termine responsabilità ha – sia in termini generali sia con riferimento all’e­sercizio di una professione sanitaria – un duplice significato: da un lato, quello di attitudine ad essere chiamati a rispondere all’autorità per una condotta professio­nale riprovevole, dall’altro lato, quello di impegno per mantenere

un comporta­mento congruo e corretto. Il primo di questi due aspetti della responsabilità corri­ sponde ad un concetto che può essere collocato in un’ottica “negativa”, perché si è chiamati a rispondere, quando ormai l’errore o l’omissione è stato commesso, in contrapposizione all’ottica “positiva” del secondo aspetto, quello dell’essere re­sponsabili, dell’assumersi cioè le responsabilità che l’esercizio professionale com­porta. Questi due aspetti della responsabilità non sono un’alternativa semantica fine a se stessa o di mero rilievo retorico; costituiscono piuttosto i principi

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Alice Santercole basilari di due stili di agire professionale18. I principi del professionista sanitario che ispira la propria condotta alla coscien­ za della propria responsabilità muovono dal riconoscimento della centralità del paziente e dell’obiettivo principale dell’assistenza sanitaria: la tutela della salute; inoltre la presa in carico della responsabilità professionale come atto congruo e corretto presuppone l’aggiornamento scientifico continuo, l’instaurazione di un’a­ deguata relazione con il paziente ispirata alla solidarietà e la valorizzazione

degli aspetti sostanziali della pratica clinica, quelli cioè atti al perseguimento dell’obiet­tivo ‘tutela della salute’. Colui che invece mette in atto una condotta professionale incentrata sull’acce­zione negativa di responsabilità effettua una deviazione rispetto agli obiettivi e al focus della propria attività, ponendo al centro dell’azione egli stesso e la propria tutela, al fine di prevenire sanzioni e procedimenti giurisprudenziali. La guida teo­rica di una condotta simile non sarà più la cultura scientifica, che ne risulterà evi­dentemente danneggiata, bensì

18 RODRIGUEZ D, Professione ostetrica/o, aspetti di medicina legale e responsabilità. Eleda Edizioni, Milano 2010.

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Capitolo I I le sentenze della Magistratura; il professionista in questione agirà in modo difensivo spesso ai danni del paziente, il quale verrà pri­vato di servizi e prestazioni qualificate, conseguendo un’esasperazione dei forma­lismi a scapito degli aspetti sostanziali che determinano la best practice. Possiamo affermare in conclusione che lo spirito con cui agisce l’uno e l’altro operatore è di­ vergente; il primo infatti opera secondo scienza e coscienza (e quindi con perizia e diligenza), il secondo è mosso dal timore. In tema di responsabilità nell’esercizio professionale, dal punto di vista genera­le, è stato osservato che il termine professione, stando all’etimologia, ha un signi­ficato sostanzial-

mente identico a quello di responsabilità. Infatti: - professione de­riva dal latino professio che a sua volta origina dal verbo profiteor che significa confessare ad alta voce o pubblicamente, proclamare, promettere; - responsabilità è riconducibile al verbo rispondere proveniente dal latino spondeo, che ha come primo significato l’assumere un impegno solenne a carattere religioso. Professione e responsabilità sono dunque componenti strutturali dell’identità dell’operatore e sono da interpretare come ineludibile dichiarazione di assunzione di impegno nei confronti della persona. Considerato il peculiare significato che, in relazione all’e­sercizio della professione, assume il termine responsabilità inteso in sen-

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Alice Santercole so positi­vo, è da indicare quali siano i principi ai quali riferirsi per raggiungere l’obiettivo dell’essere responsabili nella condotta professionale. In genere, la condotta professionalmente responsabile discende dal rispetto di quanto indicato nei quattro punti seguenti: 1) presupposti scientifici delle attività e delle funzioni proprie della professione; 2) valori etici condivisi ed indicazioni che derivano dalla coscienza personale; 3) regole della codificazione deontologica; 4) norme di legge che disciplinano la professione. È fondamentale intendersi sugli aspetti della responsabilità, che si strutturano in modo diversificato rispetto alle fonti di cui ai tre punti appena citati, fonti che corrispondo-

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no, in strema sintesi, ai tre termini etica, deontologia e diritto, ciascuno dei quali esprime concetti com­plessi e si caratterizza per presupposti e contenuti rispettivamente diversi. La definizione e la precisazione di ciascuno di questi termini ha rilievo, posto che sono di uso corrente, proprio per individuare gli ambiti di riferimento entro i quali prendere in considerazione la congruità delle condotte professionali, con gli obiettivi alternativi sia di individuare i principi cui riferirsi nell’eventualità di scel­te difficili in situazioni problematiche, sia di giudicare l’operato professionale in caso di errore od omissione. Etica, deontologia e diritto hanno contenuti in parte propri, ed in par-


Capitolo I I te compre­si in un’area condivisa; può trattarsi di aspetti di carattere generale, relativi alla tu­tela della vita, della salute, della libertà, dell’autonomia, della giustizia; o di que­stioni particolari inerenti ad ambiti specifici, quali, per esempio, fecondazione as­sistita, aborto, sperimentazione, informazione all’assistito, autodeterminazione, direttive anticipate, riservatezza, eutanasia. Nessuna delle tre, dunque, si può differenziare, rispetto alle altre, per la tipicità dei contenuti. Etica, deontologia e diritto si caratterizzano piuttosto, sotto il profilo scientifico, per la peculiarità non solo della ricerca ma anche, nella pratica clinica, della metodologia di approccio alla casistica, sia in relazione ai processi logici applicati, sia

agli obiettivi. Fare chiarezza sul significato, sulle regole di funzionamento, sui contenuti e sugli obiettivi nella diversa applicazione pratica di etica, deontologia e diritto è fondamentale per impostare una discussione rigorosa, non inquinata da fattori di confusione per la contaminazione con contenuti provenienti, insieme ed in modo indifferenziato, da fonti diverse. Questa stessa chiarezza può contribuire anche a porre in risalto aspetti sovrapponibili nei diversi ambiti, ancorché espressi con lin­ guaggio dissimile e scaturenti da presupposti diversi. La medicina legale quando interviene in queste situazioni si caratterizza per il fatto di trovarsi ad operare po­nendo spesso a confronto

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Alice Santercole fra i principi etici, le indicazioni delle codificazioni deontologiche e le norme di legge. Il termine attività associato al concetto di “campo proprio” è espressione di una ben precisa concezione assistenzialistica che mette in rilievo il comportamento at­tivo del professionista sanitario rispetto alla limitazione delle proprie prestazioni (espressa contrariamente dal mansionario che la legge abolisce). In questo modo il legislatore ha voluto sottolineare e sollecitare una condotta atta a realizzare l’o­biettivo doveroso, nell’interesse della salute dell’assistita, in cui l’iniziativa respon­sabile dell’ostetrica ne garanti19

Ibidem.

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sce la realizzazione. Tutto ciò è espressione di una filosofia nuova nell’esercizio professionale, che pone al centro dell’assistenza la salvaguardia del bene salute garantita dalla com­ petenza professionali ed a una condotta responsabile. Le competenze a cui si rifà l’articolo stanno ad indicare, più che ‘ciò che è di pertinenza’, in riferimento alla specificità delle proprie funzioni, piuttosto ‘ciò di cui si ha capacità’, competenze che vengono di fatto acquisite e che l’articolo in questione esorta a riconoscere re­ciprocamente, con una conseguente valorizzazione delle differenti professioni sa­nitarie19.


Capitolo I I Insomma gli aspetti su cui il legislatore intendeva focalizzare l’attenzione, nella redazione della legge 42 del 1999 erano finalizza a conferire al professionista sa­nitario non medico una nuova dignità professionale, insistendo sulla qualità delle competenze specifiche e dall’assunzione di una condotta responsabile, atte non solo a liberarlo definitivamente da quell’atavico ruolo di mero esecutore passivo di azioni limitate a ciò che a lui era consentito per legge, ma anche ad incoraggiare singole condotte professionali corrette ed adeguate. La nuova immagine del professionista sanitario non medico disegnata dalla normativa tende a scardinare le vecchie gerarchie, e ciò viene esplicita-

to dalla so­stituzione del termine professione sanitaria ausiliaria con quello di professione sa­nitaria, con l’intenzione di conferire sempre maggiore autonomia operativa. Alla luce delle nuove identità professionali è doveroso e necessario affrontare la questione della responsabilità dal punto di vista dell’accezione negativa di cui prima si parlava; che poi è ciò che si intende quando si parla di responsabilità pro­fessionale. Necessario e doveroso in quanto sempre più determinante nella com­prensione delle scelte e delle politiche assistenziali contemporanee, in quanto sempre più concetto interiorizzato dal professionista sanitario come guida della propria condotta.

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Alice Santercole Possiamo definire la responsabilità professionale come responsabilità dei pro­pri atti intesa come l’essere chiamati a rispondere del proprio operato, che quindi nell’uso comune del termine tende a coincidere con la responsabilità giuridica. La responsabilità giuridica dell’ostetrica si esplica sotto il profilo penale, civile e am­ministrativo. Il mutamento profondo della figura dei professionisti sanitari non medici, in se­guito alle innovazioni normative di grande portata su cui abbiamo ampiamente di­scusso, ha comportato nuove responsabilità decisionali, nuovi ambiti di competenze e di conseguen-

za nuovi scenari nell’ambito della responsabilità pro­fessionale giuridica20. In coerenza con la nuova definizione di professione sanitaria sono stati abrogati quegli strumenti normativi mediante i quali venivano definiti e circoscritti i com­piti operativi, con cui essa stessa entrerebbe in contrasto, e mediante i quali veniva riconosciuta la responsabilità professionale; e ne sono subentrati di nuovi. Supe­rata la rigida elencazione del mansionario, la definizione del campo proprio di at­ tività e delle responsabilità professionali dell’ostetrica è stata demandata al profilo professionale definito dal DM

AMBROSETTI F, PICCINELLI M, PICCINELLLI R. La responsabilità nel lavoro medico di èquipe, profili penali e civili. Utet, Torino 2003. 20

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Capitolo I I 740/1994, agli ordinamenti didattici dei corsi di di­ploma (ora di laurea) e di formazione post base, e ai codici deontologici, alla leg­ge del 10 agosto 2000 n 251 e al D.lgs 206 del 2007. Fra le fonti alle quali riferirsi per raggiungere l’obiettivo dell’essere responsa­ bili nella condotta professionale vanno incluse inoltre anche pertinenti norme di legge di carattere generale. Nell’ambito del diritto è compreso il complesso di nor­me, raccolte in un sistema organico, dettate e imposte ai cittadini, per regolarne le condotte. Il diritto è volto a garantire l’ordine sociale, disciplinando i rapporti tra i membri di una collettività in un determinato momento storico. Il campo delle nor­me di legge di possi-

bile riferimento è in verità vastissimo. L’ordinamento legale riguarda aspetti generali e assume caratteri peculiari in relazione all’esercizio del­le professioni sanitarie. Il professionista sanitario quindi è vincolato sia agli aspet­ti generali della legge, in quanto prima che professionista egli è cittadino, sia a quelli speciali che, proprio per la tutela che il professionista è chiamato a garantire ad altre persone, comportano incombenze specifiche, che tendono ad incrementare quelle generali. Le norme generali sono uguali per tutti, mentre quelle particolari, disciplinanti nello specifico l’esercizio professionale, focalizzano una condotta più pregnante e qualificata da parte del professionista, nel rispetto dei principi

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Alice Santercole genera­li di riferimento. L’esistenza di norme di legge specifiche per i professionisti sani­tari non significa che essi siano esentati dal rispettare anche le norme che li riguar­dano come cittadini. Certo non tutte le parti del diritto hanno interesse per la di­scussione della responsabilità dei professionisti sanitari in quanto tali, ma solo quelle che concernono l’esercizio della professione ed il sistema di tutela sanitaria e sociale del cittadino, cui il professionista è chiamato a collaborare. Le norme di carattere generale sono contenute nel codice penale e nel codice civile. Non dimentichiamo inoltre che esiste una forma di responsabilità extragiuridi­ca definita responsabilità disciplinare, che è quella deontologi-

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ca, la quale prevede dei provvedimenti disciplinari riconosciuti dalla legge, stabiliti dai relativi ordini professionali o collegi, per coloro i quali vengono meno ai principi che costitui­scono il codice deontologico. Sul piano della responsabilità e della obbligazione di garanzia che l’ostetrica assume nei confronti della donna e del nascituro, un punto essenziale merita la scelta nelle modalità del parto fisiologico, in particolare riferimento alla sede ove questo debba effettuarsi (ospedale o domicilio). L’obbligo di garanzia assunto dal professionista le/ gli impone di mettere in campo ogni mezzo utile per giovare al­l’interesse della persona assistita e cioè oltre ad una condotta ineccepibile, il ricor­so


Capitolo I I ad ogni mezzo utile a prevenire forme di danno, rischi, complicanze ed effetto nocivi alla persona. Ma ciò non basta. Il diritto all’autodeterminazione della don­na, cui compete la scelta sulle caratteristiche dell’intervento che su di lei sia op­portuno effettuare, potrebbe portare a privilegiare il parto domiciliare, nonostante sia di meno facile accesso il ricorso ad interventi di urgenza nell’occasione, spes­so non prevedibile, in cui si rendano necessari. In questo caso è onere responsabi­ lizzante dell’ostetrica/o approfondire la affettività della persona, le sue aspi-

razioni e le sue aspettative, rendendola pienamente edotta delle conseguenze possibili di una scelta, dei benefici e dei limiti di un’offerta assistenziale. Sul piano della responsabilità questo aspetto sembra essere molto significativo e qualificante per la professione ostetrica: la consapevolezza, del ruolo di garante della sicurezza della donna e di figura partecipe delle sue scelte consapevoli, con­dividendole l’assunzione dei rischi e della inevitabile mancanza di certezze, in una prospettiva di tutela che supera altresì, l’interesse della donna per investire an-

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Alice Santercole che quello del nascituro, soggetto egli stesso di diritti, impossibilitato ovviamente a tutelarsi21.

NORELLI GA, FOCARDI M, GUIDO A. La figura professionale dell’ostetrica: aspetti normativi e medico-legali. Zacchia 2008; 367-389. 20

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Capitolo I I 3.2 La responsabilità penale dell’ostetrica Intendiamo in questa sede approfondire gli aspetti inerenti la responsabilità pe­nale dell’ostetrica, come maggiore ambito di implicazione rispetto ai contenziosi medico-legali riscontrabili in ambito ostetrico-ginecologico e che quindi maggior­mente coinvolgono la figura dell’ostetrica. Forniamo ora alcune indicazione molto sintetiche rispetto alla responsabilità penale che ci aiuteranno a comprendere meglio le sentenza della Cassazione che andremo a commentare. Sussiste responsabilità penale in relazione all’esercizio professionale, quando l’ostetrica pone in essere una

condotta che corrisponde di per sé o che provoca un fatto che costituisce un rato contemplato dal codice penale o da un’altra legge del­lo Stato. L’art. 39 del codice penale distingue i reati in delitti e contravvenzioni, in base alla diversa specie delle pene stabilite dal codice stesso: i delitti sono i reati più gravi, puniti con l’ergastolo, la reclusione o la multa; le contravvenzioni sono i reati meno gravi, puniti con l’arresto o con l’ammenda. L’elemento fondamentale a che si integri il reato è il realizzarsi di un evento dannoso o di un pericolo, e che tale evento o tale pericolo siano stati causati o concausati

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Alice Santercole da un comportamento commissivo od omissivo22. 3.2.1 L’elemento psicologico del reato L’art. 43 tratta dell’elemento psicologico del reato definendo i concetti di dolo, preterintenzione e di colpa. Art. 43 Elemento psicologico del reato.- I - Il delitto: è doloso, o secondo intenzione, quando l’evento dannoso o pe-

ricoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come come conseguenza della propria azione od omissione; è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente; è colposo o contro l’intenzione, quando l’evento anche se preveduto, non è voluto dall’agente e

22 A. A. Guida all’esercizio della professione di ostetrica. C.G. Edizioni Medico Scientifiche S.r.L. Torino 2008.

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Capitolo I I si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperi­zia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamento, ordini o discipline La preterintenzionalità, limitata all’ambito dell’omicidio nella originale stesura del codice penale, è stata estesa dalla legge 22 maggio 1978, n. 194, anche all’in­terruzione di gravidanza. Da quanto esposto emerge chiaramente come la respon­sabilità penale sia personale, onde ciascuno è chiamato a rispondere per il proprio operato (o per la propria omissione). Una distinzione ulteriore deve essere operata a seconda della qualifica giuridica rivestita da chi commette il reato. L’esercente una professione sanitaria può rivestire

il ruolo di pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio o esercente un servizio di pubblica necessità. Le fattispecie di reato doloso più frequenti, cui l’operatore sanitario può andare incontro in conseguenza del rapporto diretto con l’assistito, sono: l’omissione di soccorso (art.593 c.p.) , il sequestro di persona (art.605 c.p.) e la violenza privata (art.610 c.p.), l’esercizio abusivo di professione sanitaria (art.348 c.p.). Quest’ulti­mo proibisce all’ostetrica/o di compiere atti riservati al medico. Abbiamo visto già nel precedente capitolo come non sia per alcuni aspetti ancora così chiara la defi­nizione di atto medico, lasciando dubbi interpretativi rispetto a cosa sia di perti­nenza dell’ostetrica e cosa no.

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Alice Santercole È dibattuta la questione se il compiere atti medici in condizioni di emergenza integri o meno il reato di esercizio abusivo di professione medica; comunque sembra opinione abbastanza condivisa l’invocazione in taluni casi dello stato di necessità che esonererebbe l’ostetrica da tale reato, pur tuttavia applicando i principi generali sulla colpa e sulla responsabilità civile e penale. Sempre nell’ambito dei reati dolosi ricordiamo quelli connessi all’interruzione di gravidanza al di fuori delle previsioni della legge 194/1978. 3.2.2 La condotta colposa Durante lo svolgimento della pro-

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pria attività professionale l’ostetrica si troverà a rispondere fondamentalmente di conseguenza di una condotta colposa. I delitti che più spesso possono essere commessi a titolo di colpa sono rappresentati dalle lesioni personali colpose (art.590 c.p.), dall’omicidio colposo (art.589 c.p.), dall’a­borto colposo (art. 17 della legge 22 maggio 1978, n. 194). L’espressione “responsabilità professionale” nel linguaggio corrente fa sostan­zialmente riferimento, in ambito penale, alla sopracitata stretta cerchia di ipotesi delittuose connesse a condotte colpose. Inoltre è riconducibile al fatto che le oste­triche, come altri professionisti della salute, assumono una posizione di garanzia tipica


Capitolo I I nei confronti delle persone delle quali si prendono cura, posizione che con­ siste nell’obbligo di farsi carico, fornendo soluzioni adeguate, di tutte le implica­zioni rischiose che le prestazioni professionali comportano, secondo le conoscen­za scientifiche e tecniche della categoria professionale cui l’operatore appartiene. L’ostetrica che assiste la persona deve farsi carico non di qualsiasi ipotetico, teori­co, genericamente possibile rischio, ma, solamente, dei rischi che sono prevedibi­li, valutabili e prevenibili (cioè evitabili), usando le cognizioni teorico-tecniche,

che sono proprie della media della propria categoria professionale. L’ostetrica, come il medico, ha una obbligazione di mezzi e non di risultato, nei confronti della persona che assiste, dovendosi adoperare per il conseguimento del risultato stesso, ma non potendosi impegnare a conseguirlo con certezza. A tale fine appare estremamente importante l’informativa preliminare che dovrà essere erogata alla gestante, nel modo più esaustivo possibile, onde evitare una non corri­ spondenza tra le attese ed i risultati realmente conseguibili e conseguiti23.

NORELLI GA, FOCARDI M, GUIDO A. La figura professionale dell’ostetrica: aspetti normativi e medico-legali. Zacchia 2008; 367-389. 23

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Alice Santercole I citati delitti integranti il tema della “responsabilità professionale” sono in so­stanza, riconducibili come già detto a condotte errate od omissive da parte dell’o­stetrica; perché tali condotte assumano rilevanza giuridica è necessario che siano rispettati i seguenti requisiti: • Che la condotta dell’ostetrica sia caratterizzata da colpa • Che si verifichi danno alla persona • Che vi sia nesso di causalità materiale tra condotta dell’ostetrica e il danno alla persona È necessario che la condotta (azione od omissione) dell’ostetrica sia

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caratteriz­zata da colpa. Il concetto di colpa coincide, alternativamente o cumulativamente, con l’esistenza di uno dei requisiti contemplati dall’art. 43 del codice penale poco sopra riportato; in ipotesi di sussistenza di negligenza o di imprudenza o di impe­rizia, si parla di colpa generica; in caso di inosservanza di leggi, regolamenti, or­dini o discipline, la colpa è specifica. Per negligenza si intende una riduzione di attenzione, accuratezza, premura o sollecitudine opportune in relazione al caso; per imprudenza, un’insufficiente pon­derazione e cautela; per imperizia, una carente preparazione scientifica (di base o connessa all’aggiornamento) o un’inadeguata abilità tecnica o competenza.


Capitolo I I Esempi di condotte dell’ostetrica da ritenere caratterizzate da uno o più dei re­quisiti della colpa possono essere i seguenti: • omessa raccolta di anamnesi con mancato rilievo della presenza di fattori di rischio; • sottostima di elementi di rischio noti all’ostetrica, • mancata o carente o errata esecuzione delle procedure assistenziale di per­tinenza; • mancato riconoscimento di situazioni potenzialmente patologiche; • omessa richiesta di intervento medico, pur avendo riconosciuto l’insorgen­za di situazioni patologi-

che; • mancata od inadeguata assistenza al neonato. Il danno alla persona, a carico sia della donna che del feto, può essere rappre­sentato dalla morte o dalle lesioni. I delitti rispettivamente ipotizzabili sono quelli poco sopra citati. Il delitto di lesione personale contemplato dall’art.582 del codice penale sussi­ste quando una persona provochi in altri una malattia nel corpo o nella mente. Non è necessario che sia causata una malattia precedentemente non esistente; in­fatti il delitto si realizza anche se viene prodotto “solo” l’aggravamento di una ma­lattia già esistente purché venga ad assumere caratteristiche au-

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Alice Santercole tonome rispetto a quelle che avrebbe avuto se fosse stata attuata una condotta corretta24. Fra una condotta caratterizzata da colpa e danno alla persona deve sussistere nesso di causalità materiale. L’art. 40 del codice penale formalizza quest’aspetto indicando che l’evento dannoso da cui dipende l’esistenza del reato deve essere conseguenza dell’azione od omissione25. Orientamento ormai costante della Supre­ma corte di Cassazione è che spetta al professionista sanitario dimostrare di aver tenuto

una condotta congrua e adeguata alle necessità che il caso richiedeva e che l’evento avverso si è verificato per motivi estranei alla condotta stessa e comunque a lui non imputabili. Appare dunque imprescindibile che il sanitario si debba dota­re di tutti quegli strumenti che gli permettano di di dimostrare la correttezza effet­tiva del suo agire, e l’unico mezzo di cui effettivamente il professionista dispone è la documentazione sanitaria di cui deve dotarsi per dimostrare la correttezza effet­tiva del suo agire.

24 RODRIGUEZ D, Professione ostetrica/o, aspetti di medicina legale e responsabilità. Eleda Edizioni, Milano 2010. 25 Art. 40 c.p. Rapporto di causalità. - I – Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.

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Capitolo I I Peculiare rilievo assume la problematica della causalità per omissione: si tratta di quella causalità attivata da una condotta consistente nell’omissione di un com­portamento, che si ha l’obbligo di adottare. Se, nel reato commissivo, la relazione causale può essere valutata con relativa facilità, non altrettanto può dirsi quando occorre valutare se l’evento sia riferibile all’omissione di una condotta positiva che si avrebbe avuto l’obbligo giuridico di realizzare. In questi casi, si tratta verificare se la condotta positiva avrebbe impedito l’evento, il che sembra rappresentare un problema insolubile, perché nessuno è in grado di affermare che, se una certa con­dotta positiva fosse stata adottata, certamente avrebbe impedito

l’evento lesivo realizzatosi. Con riferimento al campo sanitario-biologico, non è possibile affermare che, se fosse stata somministrata una determinata terapia, certamente il paziente sarebbe sopravvissuto oppure non sarebbero intervenute le alterazioni patologiche che poi di fatto si sono manifestate. Non si può però ignorare la variabile biologica indivi­ duale che non ci permette di conoscere cosa sarebbe successo se fosse stato appli­cato il trattamento doveroso. Quest’impasse può essere superata solo con strumenti logici di cui il giudicante si avvale nella ricostruzione dei fatti. Il giudizio prognostico ex post si basa su una valutazione probabilistica, al fine di giudicare se l’omissione abbia

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Alice Santercole diminuito in maniera apprezzabile le possibilità della persona di guarire o di evitare una maggiore gravità della malattia. In questi termini il nesso causale è un legame lo­gico e non ontologico. Detto questo non si può trascurare l’ipotesi in cui si verifichi un evento avverso al feto e/o alla madre e non sia possibile, per carenza documentale, dimostrare l’insorgenza ad esempio di una condizione di rischio per la gravidanza, ovvero di un evento acuto accorso durante il parto ma estraneo alla condotta alla condotta del professionista, incombendo l’onere della prova sullo stesso, risulterà partico­larmente difficile dimostrare di avere bene operato. Si deve anche evidenziare, inol-

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tre, come l’attuale orientamento giurisprudenzia­le tenda a considerare la carenza documentale una negligenza “aprioristica” del professionista, che non solo non esime lo stesso dalla responsabilità, ma anzi per­mette di ricorrere alla presunzione di colpa nelle cause per responsabilità civile. Il riconoscimento delle responsabilità professionali da parte della giurispruden­za è un compito arduo, che necessita grande prudenza ed esperienza, e che si rifà a riferimenti concettuali e interpretativi spesso divergenti. Come vedremo nel pros­simo capitolo l’evoluzione normativa riguardante la professione ostetrica (e le al­tre figure professionali non mediche), in aggiunta ai cambiamenti e all’afferma-


Capitolo I I zione di nuovi modelli assistenziali e di organizzazione del lavoro in ambito ospedaliero, ha apportato ulteriore difficoltĂ e complessitĂ ai processi di

ri­ conoscimento della responsabilità professionale in campo giuridico.

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CAPITOLO IV LA RESPONSABILITÀ DELL’OSTETRICA NEL LAVORO IN EQUIPE

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Capitolo IV 4.1 Il rapporto con la figura del medico Abbiamo in precedenza disquisito sul significato dell’autonomia profes­ sionale contestualmente all’assetto or­ ganizzativo del lavoro in équipe. Il sen­ so dell’auto­nomia professionale che l’ostetrica, almeno dal punto di vista normativo si è gua­dagnata, trova il suo valore nella cooperazione tra le varie figure sanitarie. Ciò an­che in ragione del fatto che se è vero che l’ostetrica ha acquisito ambiti di compe­tenze che prima erano esclusiva prerogativa del medico, ciò non toglie che ciò che è di pertinenza ostetrica non lo sia anche del medico. Si sono creati cioè mag­ giori spazi di sovrapposizione di com­

petenze, che potrebbero comportare conflit­tualità e incomprensioni tutte le volte che un medico svolga la propria attività nel campo proprio dell’ostetri­ ca, e quindi difficoltà operative. In ri­ ferimento alle prin­cipali funzioni che l’ostetrica svolge con propria autono­ mia e responsabilità (assi­ste e consiglia la donna sia in gravidanza che durante il parto, sia nel puerperio e porta a ter­ mine il parto eutocico), non possiamo affermare che queste non rientri­no an­ che nell’ambito di pertinenza dell’atti­ vità del medico. Le nuove modalità assistenziali che si prepongono di migliorare la quali­

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Alice Santercole tà della prestazione sanitaria di basano sulla valorizzazione delle varie figure professiona­li; porre in risalto la com­ petenza dell’ostetrica, la specificità del modello assisten­ziale e del suo patri­ monio culturale dovrebbe indurre il medico a riflettere sulla specificità pro­ fessionale dell’ostetrica investendo sul perfezionamento della pro­pria pro­ fessione nei campi che siano di stretta pertinenza medica. Precise indicazioni in questo senso arrivano anche dalla seconda Confe­ renza dell’O.M.S. e dalla Dichiarazione di Monaco emanata in tale occasione “Gli infer­mieri e le ostetriche: una ri­ sorsa per la sanità”. I principi che fondano i nuovi mo­ delli assistenziali trovano applicazione

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pro­prio nel concetto di integrazione delle differenti professionalità alta­ mente specia­lizzate nell’équipe sanita­ ria. L’argomento generale dei rapporti con gli altri profes­sionisti della salute è affrontato inoltre nel codice deon­ tologico dell’ostetrica. L’art. 4 nel suo complesso riguarda infatti i “rapporti con colleghe/i e altri profes­sionisti e operatori sanitari”. 4.1.- L’ostetrica/o collabora con altri professionisti della salute di cui ricono­sce lo specifico ap­ porto, integrandosi nel lavoro di équipe. 4.2.- IL rapporto tra colleghe/i ed altri professionisti ed opera­


Capitolo IV tori sanitari si ispira a principi di reciproco rispetto e collabora­ zione nell’esercizio profes­sionale indipendentemente dai ruoli ri­ coperti 4.3. - L’ostetrica/o si impegna a tutelare la dignità personale e professionale per sé e per tutte/i le/i colleghe/i, si astiene da comportamenti lesivi dell’ono­re e reputazione. L’art. 4 esprime i principi della col­ laborazione con altri professionisti sanitari e del riconoscimento del loro apporto; il punto nodale è proprio co­ stituito dall’inte­grazione nel lavoro di équipe. Per realizzare ciò deve essere

in primo luogo assi­curata una moda­ lità, condivisa da tutta l’équipe, di ero­ gazione dell’assistenza che consenta la valorizzazione delle diverse figure pro­ fessionali e la maggior tutela possibile della donna e del prodotto del conce­ pimento. Questo è possibile tenendo conto ed eventualmente riorganizzan­ do le caratteristiche dei modelli di ero­ gazione dell’assistenza di ogni singola realtà. Parlando di collaborazione multi­ professionale è utile comprendere la natura del rapporto tra il medico e l’o­ stetrica e più precisamente tra dirigen­ te medico e gli al­tri professionisti sa­ nitari che non posseggono tale status. Nelle strutture pubbliche i medi­ ci ostetrici ad esempio, al pari di tutti

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Alice Santercole gli altri medici, sono dirigenti del Ser­ vizio sanitario nazionale. La qualifica di dirigente però non è più come un tempo assimilabile a quella di dato­ re di lavoro, lo status del dirigente del dirigente pubblico ha una serie di pe­ culiarità che sono riferibili più alla po­ sizione professionale del medico che non alla sua posizione aziendale26. Dal 1995 infatti il medico acquisisce natu­ ra di dirigente, nella maggioranza dei casi, senza di fatto esercitare alcuna funzione dirigenziale vera e propria, la cui au­tonomia tecnico professiona­

le si deve esercitare nel rispetto della collaborazione multiprofessionale con lo scopo di utilizzare efficacemente le risorse aziendali e di erogare prestazio­ ni appropriate e di qualità27. Rispettare la collaborazione multi­professionale significa rispettare gli ambiti di com­ petenza, le prerogative, le attri­buzioni e l’autonomia riconosciute alle altre figure professionali e nel nostro caso all’ostetrica, la quale inoltre vanta un ambito di attività e responsabilità pe­ culiare, che non deriva da una delega di funzioni.

BENCI, L. Demedicalizzare il parto o demedicalizzare il percorso nascita? Il ruolo e l responsabilità del medico ostetrico e dell’ostetrica/o. Rivista di diritto delle professioni sanitarie. 1:19, 2003. idem. 27 D.lgs. 502/ 1992, art. 15. 26

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Capitolo IV 4.2 Collaborazione dell’ostetrica all’interno dell’équipe La medicina d’équipe si caratte­ rizza per il coinvolgimento di varie specializza­zioni nell’assistenza al pa­ ziente, secondo un’idea di attività fon­ dato sulla coopera­ zione tra soggetti aventi competenze specifiche e inte­ ragenti contestualmente o in sequenze successive nel medesimo caso clinico. La scelta di tale modello risponde all’e­ sigenza di offrire migliori prestazioni al paziente, il quale potrà beneficiare del valore aggiunto che il gruppo con­ ferisce ai servizi erogati, di contro ad un più li­mitato approccio individua­ le. Com’è ovvio tale organizzazione impone un lavoro di coordinamento

talvolta arduo con il fine di produrre un meccanismo sinergico in cui con­ vergono la pluralità delle esperienze e competenze dei vari operatori. Lo stesso processo decisionale sarà più complicato rispetto all’assunzione di tale pre­rogativa da parte di un solo soggetto. In realtà il vero problema che si pone nell’attività d’équipe è l’indivi­ duazione del soggetto da responsabi­ lizzare e la libertà decisionale del sin­ golo. La dottrina giuridica, nel tentativo di sciogliere i nodi del problema ha elabora­to tre teorie differenti.

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Alice Santercole Uno è l’orientamento dottrinale considerato più rigoroso ed è quello che propu­gna una sorta di responsabi­ lità “di gruppo”. Tale principio muove da l’esigenza di garantire, sopratutto in sede civile, il risarcimento del danno al paziente danneg­giato nel modo più ampio. Le critiche principali, e non po­ che, che vengono mosse nei confronti di quest’approccio sono essenzialmen­ te basate su due aspetti: uno è quello secondo cui andrebbe a mal conciliar­ si con il principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 della costituzione, l’altro indica una tenden­za a deresponsabilizzare i sin­ goli operatori in quanto non risponde­ rebbero più per­sonalmente delle pro­ prie colpe.

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Un altro orientamento è quello de­ finito principio del “non affidamento” che prenderebbe le mosse dall’inqua­ dramento gerarchico dell’équipe, per cui al capo équipe spetterebbe il dove­ re di controllo e rettifica sui comporta­ menti dei singoli collaboratori. I limiti di questa interpretazione sono ricon­ ducibili ad un eccessivo carico di one­ ri e responsabilità per il capo équipe il quale, oltre ad assumere le mansioni specifiche che gli spettano in base alla ripartizione dei ruoli nel gruppo, do­ vrebbe supervisionare l’attività altrui al fine di garantire il corretto svolgi­ mento dell’opera; dall’altro lato inoltre verrebbe sacrificata l’autonomia ope­ rativa dei sin­goli. Il terzo indirizzo è il così detto prin­


Capitolo IV cipio dell’affidamento e viene consi­ derato l’indirizzo più liberale. Secondo questa lettura ciascun componente, in quanto do­tato di specifiche competen­ ze (per cui ciascuno si impegna a com­ piere le attività specificamente connes­ se alle proprie attribuzioni), risponde unicamente del corret­to adempimento dei criteri di diligenza e perizia, senza dover vigilare sul compor­tamento al­ trui. Si tratta senza dubbio dell’orienta­ mento più consono alla preserva­zione dei vantaggi della medicina d’équipe, in cui si realizzi la sinergia tra le di­ verse competenza senza gravare sulla posizione del capo équipe. L’obbligo di con­trollo può sorgere oltre che dalla

posizione gerarchicamente sovraordi­ nata, quan­do uno dei componenti del gruppo percepisca (o avrebbe dovuto percepire) una si­tuazione anomala, tale da far dubitare della diligenza e perizia degli altri. Il poter confidare nel corret­ to comportamento altrui tende a ren­ dere i sanitari da una parte più liberi di dedicarsi al proprio lavoro (per quanto riguarda i sanitari in posizione apicale che devono vigilare sui subordinati), senza rischiare di rendere farragino­sa un’attività che invece necessità per sua natura di un coordinamento fluido, re­ sponsabilizzando allo steso tempo ciascun membro dell’équipe, il quale sarà chia­mato a rispondere del proprio

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Alice Santercole operato28. I fautori di tale principio sostengo­ no che il fine della divisione del lavoro sta­rebbe proprio nella possibilità che essa darebbe al medico di concentrar­ si piena­mente sull’esecuzione dei pro­ pri specifici compiti. L’imposizione al medico di un atteggiamento di sfiducia nei riguardi dei collaboratori sarebbe cioè controprodu­cente per il persegui­ mento della tutela del bene salute di cui ci si fa garanti: in tal modo egli do­ vrebbe curarsi anche dell’operato de­ gli altri membri dell’équipe ri­schiando di distoglierlo dalle proprie mansioni,

lasciando inoltre ciascuno libero di adempiere in modo qualificato e re­ sponsabile ai propri compiti. “Il dovere di sorveglianza e di controllo sull’operato altrui spetterebbe solo a chi avrà come compito specifico quello di controllare e organizzare l’intera équipe. E non rien­trando tale compito nel contenuto del generico dovere di diligenza del medico, esso non potrà che derivare da una specifica previsione legislativa,...come nel caso del medico appartenente alla posizione apicale...”29. La possibilità di confidare legittima­ mente nel fatto che ogni partecipante adem­pia con diligenza ai propri doveri

BERTOCCHI A., ATTINA’ C., Le responsabilità della (e nella) équipe medica in La responsabilità me­ dica, a cura di Ugo Rufolo, Giuffrè editore, Milano 2004. 29 AMBROSETTI F, PICCINELLI M, PICCINELLI R, La responsabilità nel lavoro medico d’équipe. Utet, Torino 2003. 28

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Capitolo IV è però temperata da un limite ogget­ tivo, intrin­seco al principio di affida­ mento. In termini generali “Ciascuno può normalmente confidare sul fatto che gli altri membri della collettività con i quali entri in con­tatto si comportino in modo corretto, osservando cioè i doveri di diligenza di cui sono rispettivamente destinatari, fino a quando non sussistano indizi concreti che rendano riconoscibile il contrario; in tale ultima evenienza, l’originario affida­mento del primo deve viceversa lasciare il posto ad un obbligo di adeguare la propria condotta, al fine di neutralizzare i pericoli derivanti dall’altrui inosser­vanza, pena una responsabilità in concorso con l’autore di quest’ultima, in

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ordine alle conseguenze che da detta, riconoscibile negligenza sono scaturite”30. Un li­ mite applicativo del principio di affida­ mento potrebbe sussistere ad esempio qua­lora il capo-equipe si accorga della presenza di un elemento nuovo nella sua équi­pe, o si accorga che un mem­ bro dell’équipe si trovi in uno stato psicofisico preca­rio o nel caso intuisca un rischio di diligenza che questo ha il dovere di scongiura­re. Secondo alcune impostazioni dot­ trinali il principio dell’autoresponsabi­ lità è uno dei principi ad essere stato indicato come base dell’affidamento. L’esenzione dalla responsabilità del

MANTOVANI M., Il principio di affidamento nella teoria del reato colposo, Giuffrè, Milano 1997.

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Alice Santercole soggetto diligente per eventi lesivi ca­ gionati da condotte altrui deriverebbe dal dovere che anche gli altri consociati hanno di sottostare alle pretese dell’or­ dinamento giuridico. Ogni membro dell’équipe si presenta come soggetto responsabile, e cioè capace di autode­ terminare le proprie scelte consape­ volmente. Addossare ad un soggetto la responsabilità delle scelte consa­ pevoli di qualcun altro significhereb­ be addossargli una responsabilità per fatto altrui, in vio­lazione del principio sancito dall’art.27, comma 1, della Co­ stituzione Italiana, se­condo cui “La responsabilità penale è personale”. Per comprendere se il principio di affidamento possa essere invocato an­ che nei casi di riconoscimento delle

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responsabilità in equipè in cui l’even­ to lesivo sia ri­conducibile alla figu­ ra dell’ostetrica è necessario indagare meglio sulla natura della specifica co­ operazione tra medici e professionisti sanitari non medici nell’é­quipe sanita­ ria, argomento che non viene trattato esaustivamente dalla letteratura giuri­ dica. Alcuni fautori del principio di affi­ damento sostengono che qualora sus­ sista tra i membri dell’équipe una re­ lazione di tipo gerarchico non possa applicarsi la teoria dell’autoresponsabilità, e che quindi colui che ricopre una posizione superiore de­tenga l’obbligo di controllo e sorveglianza dell’opera­ to altrui e viene chiamato a ri­spondere per eventi infausti cagionati dai sotto­


Capitolo IV posti. Abbiamo ampiamente descritto l’e­ voluzione normativa che ha interessa­ to le professioni sanitarie non mediche e nello specifico la figura dell’ostetrica. L’aboli­zione del cosiddetto “mansio­ nario” - d.p.r. 225/1974 - e la sosti­ tuzione dello stes­so con una norma­ tiva “per principi generali” determina il passaggio della figura dell’ostetrica dalla condizione di dipendenza a quel­ la di “autonomia professionale”. “...la professione, cioè sta vivendo il passag­ gio da una regolamen­tazione imposta da altri, ad una regolamentazione pro­

mossa al suo interno”31. Questo mutamento ha reso dal punto di vista giuridico più ardua la precisazio­ne e delimitazione delle re­ sponsabilità del medico che coope­ ri con il professioni­sta sanitario non medico. Le norma che precedono l’af­ fermazione del profilo pro­fessionale e la legge 42 del 1999 creavano una posizione di garanzia in capo al medi­ co, posizione che assumeva connotati analoghi a quelli esaminato a proposi­ to del medico in posizione apicale. Norme che facilitavano il ruolo dell’interprete, poiché tracciavano dei

FREDIGOTTI COLOMBO A., CORTESE FAUSTI C., Riferimenti per la nuova assistenza in Ag­ giornamenti professionali, L’infermiere n 2 1999. o 1997. 31

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Alice Santercole confini netti intorno a tale posizio­ ne32. Anche per ciò che concerne l’in­ dividuazione dei doveri del medico in rapporto all’operato del personale non medico, le caratteristiche di tali re­ sponsabilità erano assimilabili a quelle che venivano riconosciute nel rappor­ to tra medico di qualifica superiore e medico sottoposto. Il tipo di colpa da cui avrebbe po­ tuto derivare al medico un addebito di corre­sponsabilità per un fatto compiu­ to da un operatore sanitario non me­ dico facente parte l’équipe si prefigu­ rava o come colpa nella delega (culpa in eligendo) oppure come colpa nella

sorveglianza dell’operato svolto (culpa in vigilando). Sicuramen­te colposo sa­ rebbe stata la condotta del medico che avesse delegato all’operatore sanitario ausiliario l’esecuzione di un intervento non previsto dal d.p.r. 225/1975, così come qualora non avesse atteso ai do­ veri di vigilanza imposto sull’operato de­gli stessi. Era infatti sancito dalla legge che tutti gli interventi che pote­ vano essere svolti dal personale para­ medico dovevano attuarsi sotto il con­ temporaneo e co­stante controllo del medico delegante, per assicurarsi che questi venissero svolti correttamente. La posizione di garanzia del medico

AMBROSETTI F, PICCINELLI M, PICCINELLI R, La responsabilità nel lavoro medico d’équipe. Utet, Torino 2003. 32

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Capitolo IV però non era assoluta33. Erano indivi­ duati dei compiti che il personale pa­ ramedico poteva svolgere in completa autonomia e che quindi non potevano essere fonte di alcuna responsabilità da parte del medico. Dall’abrogazione della mansionario possiamo sostenere che la nuova figu­ ra professionale delineata non sem­ brerebbe più contemplare spazi di su­ bordinazione dell’ostetrica al medico. Anzi dovrebbe essere realizzata una

vera e propria sepa­razione funzionale tra le due figure in cui riconoscerle il ruo­ lo di dominus nelle sfere di competenza che le vengono riconosciute per legge, un riconoscimento che poi sul piano operativo andrebbe a concretizzarsi in un rapporto di cooperazione. Diverso invece è il rapporto con il medico in posizione apicale. L’autono­ mia operativa dei professionisti sanita­ ri medici è limitata da una norma, il d.p.r. 761 del 197934, che definisce le

Ibidem. D.p.r. 20 dicembre 1979 art.63 - L’ascrizione dei profili professionali previsti dal presente decreto alle qualifiche funzionali sarà effettuata sulla base dei criteri e modalità fissati nella normativa generale del pubblico impiego, 33 34

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Alice Santercole attribuzioni specifiche e le qualifiche funzio­ nali del per­sonale sanitario medico. Il d.p.r. n.

761/19799 introducendo un vincolo gerarchi­ co che inserisce i professionisti sanitari in un si­

tenuto conto di quanto disposto dall’ultimo comma del presente articolo. Per il personale medico le attribuzioni spettanti nelle singole posizioni funzionali restano determinate come segue: Il medico appartenente alla posizione iniziale svolge funzioni medico-chirurgiche di supporto e funzioni di studio, di didattica e di ricerca, nonché attività finalizzate alla sua formazione, all’interno dell’area dei servizi alla quale è assegnato, secondo le direttive dei medici appartenenti alle posizioni funzionali superiori. Ha la responsabilità per le attività professionali a lui direttamente affidate e per le istruzioni e direttive impartite nonché per i risultati conseguiti. La sua attività è soggetta a controllo e gode di autonomia vincolata alle direttive ricevute. Il medico appartenente alla posizione intermedia svolge funzioni autonome nell’area dei servizi a lui affidata, relativamente ad attività e prestazioni medico-chirurgiche, nonché ad attività di studio, di didattica, di ricerca e di partecipazione dipartimentale, anche sotto il profilo della diagnosi e cura, nel rispetto delle necessita’ del lavoro di gruppo e sulla base delle direttive ricevute dal medico appartenente alla posizione apicale. Il medico appartenente alla posizione apicale svolge attività e prestazioni medico-chirurgiche, attività di studio, di didattica e di ricerca, di programmazione e di direzione dell’unita’ operativa o dipartimentale, servizio multizonale o ufficio complesso affidatogli. A tal fine cura la preparazione dei piani di lavoro e la loro attuazione ed esercita funzioni di indirizzo e di verifica sulle prestazioni di diagnosi e cura, nel rispetto della autonomia professionale operativa del personale dell’unita’ assegnatagli, impartendo all’uopo istruzioni e direttive ed esercitando la verifica inerente all’attuazione di esse. In particolare, per quanto concerne le attività in ambiente ospedaliero, assegna a se’ e agli altri medici i pazienti ricoverati e può avocare casi alla sua diretta responsabilità, fermo restando l’obbligo di collaborazione da parte del personale appartenente alle altre posizioni funzionali. Le modalità di assegnazione in cura dei pazienti debbono rispettare criteri oggettivi di competenza, di equa distribuzione del lavoro, di rotazione nei vari settori di pertinenza. Le attività svolte dal medico della posizione apicale sono soggette esclusivamente controlli intesi ad accertare la rispondenza dei provvedimenti adottati alle leggi e ai regolamenti; egli redige, altresì, una relazione annuale sull’attività svolta. Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro della sanità, sentite le regioni, l’ANCI e le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale, sono stabilite, entro tre mesi dalla entrata in vigore del presente decreto, le attribuzioni del restante personale addetto ai presidi, servizi e uffici delle unita’ sanitarie locali.

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Capitolo IV stema di crescente responsabilità, san­ cisce l’obbligo di controllo da parte di operatori in posizione gerarchica su­ periore sulla condotta dei subordinati. Ci sarebbe da chiedersi se le “fun­ zioni di indirizzo e di verifica sulle prestazio­ni di diagnosi e cura” attribu­ ite al medico in posizione apicale deb­ bano essere esercitate anche sull’attivi­ tà ostetrico-infermieristica. Mancando a questo proposi­to un riferimento normativo esplicito rispondere a que­ sta domanda non è del tutto semplice. Le interpretazioni generali a riguardo

però sembrano abbastanza univo­che, infatti se da una parte si riconoscono un vuoto normativo, allo stesso tempo affermano che le prestazioni di cura e diagnosi (nello specifico per quan­ to riguar­da la figura dell’ostetrica) non possono che comprendere anche l’at­ tività svolta dall’ostetrica e altri profes­ sionisti sanitari non medici35. In ausi­ lio di tale posizione viene invocato il d.lg. 229/1999, nel quale è affermato che il medico in posizione apicale può impartire direttive a tutto il personale operante nella struttura da lui di­retta36.

AMBROSETTI F, PICCINELLI M, PICCINELLI R, La responsabilità nel lavoro medico d’équipe. Utet, Torino 2003. 36 D.lg. 19 giugno 1999 n. 229 art.15, comma 6. Ai dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa sono attribuite, oltre a quelle derivanti dalle specifiche competenze professionali, funzioni di direzione e organizzazione 35

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Alice Santercole Viene riconosciuto quindi in questo caso un rapporto di tipo gerarchico. Alla luce di quanto affermato sino ad ora e qualora sostenessimo che l’applica­zione del principio di affida­ mento necessitasse una posizione pa­ ritaria non ci re­sterebbe che chiarire il ruolo del capo-équipe e il suo rappor­ to con l’ostetrica. A seconda della circostanza il ruo­ lo di capo-équipe può essere ricoperto da me­dico che assume una posizione di superiore gerarchico nei confronti degli altri membri dell’équipe, oppu­

re può essere assunto da un medico in posizione interme­dia il quale viene individuato come figura di riferimen­ to nello svolgimento della pratica as­ sistenziale. Nel primo caso le funzioni specifiche del capo-équipe an­drebbero a sommarsi a quelle del medico in po­ sizione apicale; nel secondo caso il medico assolverebbe i compiti pecu­ liari del capo-équipe, che sono quelli di guida e coordinamento degli appor­ ti professionali di ciascuno, non es­ sendo quindi perti­nente al suo status formale un’azione sistematica di con­

della struttura, da attuarsi, nell’ambito degli indirizzi operativi e gestionali del dipartimento di appartenenza, anche mediante direttive a tutto il personale operante nella stessa, e l’adozione delle relative decisioni necessarie per il corretto espletamento del servizio e per realizzare l’appropriatezza degli interventi con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, attuati nella struttura loro affidata. Il dirigente è responsabile dell’efficace ed efficiente gestione delle risorse attribuite. I risultati della gestione sono sottoposti a verifica annuale tramite il nucleo di valutazione.

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Capitolo IV trollo sull’attività dei colla­boratori. Le funzioni di sorveglianza sull’operato altrui sono riferibili al medico in posi­ zione apicale. Nel momento in cui il contesto operativo più pregnante dal punto di vista del­l’attività professionale e ope­ rativa riconosciuta all’ostetrica preve­ de l’identificazione del capo-équipe nel primo di guardia (il quale non ri­ veste una posizione apicale), si può confermare la già definita relazione tra medico e ostetri­ca che si estrinseca nell’interazione tra professionisti auto­ nomi e responsabili che cooperano per il perseguimento di un fine comune e in cui quest’ultimo, oltre ad adempiere agli incarichi propri, svolge un ruolo di coordinamento e guida.

La collaborazione tra il capo-équi­ pe ginecologo e l’ostetrica non pre­ vede am­biti di competenza esclusivi dell’ostetrica, come abbiamo già visto in precedenza. Secondo il principio di affidamento però, e quindi per sfrut­ tare i vantaggi della di­visione del lavo­ ro, il medico ginecologo può confidare nelle competenze specifi­che dell’oste­ trica che prevedono una gestione au­ tonoma della gravidanza e del parto fisiologici e nella capacità diagnostico valutativa degli eventi potenzialmen­ te patologici. Affidare all’ostetrica la gestione della gravidanza e del parto signifi­ca riconoscere la sua professio­ nalità e il ruolo di primo piano che questa ricopre nella promozione della fisiologia e dell’umanizzazione dell’e­

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Alice Santercole vento nascita e nella prevenzione del­ le patologie, potendosi così occupare delle sue mansioni specifi­che. L’applicazione del principio di af­ fidamento nella gestione d’equipe multiprofes­sionale in riferimento alla figura dell’ostetrica consentirebbe di gestire la comples­sità del processo semplificandone i meccanismi e valo­ rizzando la qualità assisten­ziale e rico­ noscendo l’autonomia professionale dell’ostetrica. Il riconoscimento dell’evento po­ tenzialmente patologico da parte dell’ostetrica amplierebbe i margini della responsabilità della gestione del processo assistenziale includendo an­ che il ginecologo e prospettando even­ tualmente, in caso sussista un evento

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lesivo, un quadro di responsabilità medica o di corresponsabilità in qua­ lità di assistente. In tal caso l’ostetrica agirebbe sotto delega del medico gi­ necologo il quale potrebbe quindi ri­ spondere di culpa in eligendo o di cul­ pa in vigilando in quanto detentore di una posizione di garanzia nei confron­ ti della salute della don­na e del futuro nascituro. In questo ambito si prefigura una difficoltà di tipo interpretativo rispet­ to alle mansioni che l’ostetrica può svolgere nel momento in cui il par­ to o il travaglio di parto assume una categorizzazione patologica. Sino a quando rimase in vigore il mansiona­ rio era molto più semplice per i giu­ risti riconoscere un atto lecito da uno


Capitolo IV illecito. L’evoluzione normativa infat­ ti non ha condotto ad una maggiore specifi­cazione delle mansioni proprie di ciascun operatore sanitario, ma al contrario, le norma attualmente vi­ genti si muovono su un piano più ge­ nerale non consentendo di delimitare puntualmente i doveri di ciascun ope­ ratore37

BAGGIO S, La responsabilità della struttura sanitaria, Giuffrè editore, Milano 2008. 37

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Alice Santercole 4.3 Le interpretazioni giurisprudenziali della Corte Suprema di Cas­sazione Le pronunce giurisprudenziali ge­ neralmente inerenti la responsabilità colposa in contesto di équipe si sono contraddistinte nella maggior par­ te dei casi per un’impronta rigorista, non considerando il principio di affi­ damento e riconoscendo automatica­ mente la concorrente responsabilità del c.d. tutore per l’esito infausto del trattamento sanitario. Tale attitudine viene riscontrata anche nell’affrontare il problema tra della ripartizione de­ gli obblighi cautelari e delle correla­ tive respon­sabilità colpose tra medici

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e personale infermieristico in genera­ le nonostante l’e­voluzione normativa che ha caratterizzato le professioni sa­ nitarie non mediche. Questa evoluzione normativa ha influenzato l’orientamento dottrina­ le e giuri­sprudenziale tradizionali che collegavano alla limitata autonomia operativa del personale paramedico un’attenuazione della responsabilità penale; l’aumento della sfera di auto­ nomia e capacità decisionale dell’infer­ miere ha portato al riconosci­mento di una maggiore responsabilità nel caso


Capitolo IV in cui l’evento lesivo a carico del pa­ ziente sia stato cagionato dalla con­ dotta negligente o imperita dello stes­ so. No­nostante ciò l’affermazione della responsabilità dell’infermiere è accompagnata, quasi sempre, dal rico­ noscimento della concorrente respon­ sabilità del medico, in forza del dovere di vigilanza e controllo che a quest’ul­ timo viene attribuito sul personale in­ fermieristico. Di recente, la suprema Corte ha confermato il proprio orientamento che tende ad escludere l’operatività del principio di affidamento nei rapporti tra medico e personale paramedico,

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sopratutto quando quest’ultimo è de­ putato a svolgere attivi­tà ausiliaria e di assistenza del sanitario. L’aspetto più problematico e discu­ tibile della prospettata soluzione erme­ neutica va ravvisato nella circostanza che la totale inoperatività del principio di affida­mento, e delle limitazioni da esso indotte al dovere di diligenza gra­ vante sul sani­tario, è invocata anche quando il personale infermieristico è chiamato a svolgere compiti che rien­ trano nella sua sfera di competenza38. I pronunciamenti giuridici concer­ nenti l’individuazione della respon­ sabilità pe­nale dell’ostetrica rilevano

GIZZI L, Equipe medica e responsabilità penale, Diritto e processo penale oggi n 6, Ipsoa Milano 2011.

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Alice Santercole grossomodo un orientamento co­ mune. La peculiare de­ terminazione giuridica dell’ostetrica delinea una sorta di dualità operativa, che di fat­ to emerge dall’analisi delle massime giurisprudenziali emesse in Corte di Cas­sazione. Mentre l’infermiere pro­ fessionale intesse con il medico una relazione ba­sata sulla “prescrizione”, la quale nonostante l’autonomia ac­ quisita nella gestione del percorso assistenziale presuppone una delega, l’attività professionale dell’oste­trica può estrinsecarsi sia in termini di assi­ stenza al medico per quanto concerne la gestione della patologia ostetricoginecologica (e quindi anch’essa di natura “au­siliaria”) oppure come ge­ stione autonoma e responsabile delle

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sfere di competen­za in cui l’ostetrica è riconosciuta come dominus indiscussa, con particolare riferi­mento all’evento nascita. Per ciò che concerne il primo aspetto operativo è possibile ravvisare le medesi­me considerazione che sono state elaborate per l’infermiere pro­ fessionale cioè la tendenza giuridica al non riconoscimento dell’applicabilità del principio di affida­mento. L’attività dell’ostetrica è sottoposta a delega da parte del ginecologo, il quale si pone anch’esso in una posizione di garanzia nei confronti della donna (e del na­ scituro a seconda delle circostanze), condizione che pone le basi per il con­ corso di colpa se l’ostetrica mette in atto una condotta negligente o imperi­


Capitolo IV ta cagionando un danno. Riportiamo alcune sentenze espli­ cative tratte da un’analisi delle pronun­ ce emesse dalla Suprema Corte di Cas­ sazione dal 2003 a oggi. Un esempio che ripor­tiamo in virtù degli ampi mar­ gini di operatività dell’ostetrica è un ti­ pico caso di corresponsabilità riscon­ trabile nell’équipe chirurgica. L’evento verificatosi è il se­guente: l’omessa ri­ mozione di una garza posta in vagina in un intervento di ra­schiamento en­ dometriale che cagiona una vulvova­ ginite importante guarita in 22 giorni. L’ostetrica aveva partecipato all’inter­

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vento e aveva ricevuto dall’imputato, il medico chirurgo, l’incarico di rimuo­ vere la garza. Secondo la sentenza emanata dalla Corte di Cassazione Il ginecologo che ha delegato la rimozio­ ne della garza all’ostetrica avrebbe do­ vuto controllarne l’operato e pertanto risponde anche egli delle lesioni ripor­ tate dalla paziente, in quanto la delega dell’incombenza all’oste­trica, non è ri­ sulta liberatoria per il medico39. Non sono esigui i casi giurispru­ denziali in cui viene sottolineata im­ plicitamente o dichiaratamente la necessità di vigilare sull’operato dell’o­

Cass. Sez IV, 28 aprile 2011, n 23298.

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Alice Santercole stetrica. In linea di massima quest’ob­ bligo viene invocato quando il trava­ glio di parto e/o l’espleta­mento dello stesso assume o prevede connotazioni patologiche, oppure quando il trava­ glio è frutto di un’induzione medica. A quel punto l’autonomia e la dire­ zione operativa deve essere demandata dall’ostetrica al ginecologo che ne as­ sume il con­trollo. Il ginecologo effet­ tua una delega nella conduzione e la presa in carico del processo assisten­ ziale all’ostetrica, assumendo perciò una posizione di garanzia. In una sentenza del 2007 il Medi­ co ginecologo non aveva effettuato in modo continuo durante tutto il trava­ glio il monitoraggio cardiotocografico, nonostante l’indubbia sofferenza feta­

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le in atto e l’infusione ossitocica, que­ sto compito era sta­to delegato al “al personale paramedico” che aveva effettua­ to il monitoraggio at­traverso la sola auscultazione. La S.C. afferma che il monitoraggio del travaglio competeva al ginecologo, in costanza di evidente situazione di sofferenza fetale; la scel­ ta delle modalità del monitoraggio era anch’essa riconducibile al ginecologo: il tracciato cardiotocografico nel caso specifico era da preferire all’ausculta­ zione. “Quanto alla scelta del tipo di monitoraggio questo certamente competeva alla ginecologa, la quale non imponendo la ripresa di quello automatico si rese re­sponsabile delle prevedibili carenze che l’auscultazione non continua comporta per la maggiore difficoltà


Capitolo IV che essa possa essere effettuata con i tempi e le modali­tà richieste dal caso e l’impossibilità di un controllo da parte del medico che di­versamente sarebbe stato possibile di fronte ad un tracciato cardiotocografico... L’errore addebitato alla ginecologa fu di non rendersi conto che doveva essere ri­preso. La corte d’appello non tiene conto di queste risultanze e della valutazione data dagli esperti e opera una equiparazione tra i due sistemi che è valida solo in astratto, ma non al caso concreto. Inoltre con ulteriore errore argomentativi ad­ debita la non corretta modalità dell’auscultazione del personale paramedico, mentre l’addebito riguarda la cattiva scelta di tale

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modalità di rilevamento” 40. In una sentenza del 2013 è impu­ tato un medico ginecologo per omi­ cidio colpo­so (art. 589 c.p.). Il medi­ co ginecologo, condannato in 1° e 2° grado per la morte di una neonata de­ rivata da danni cerebrali cagionati da un’asfissia intrapartum. I tracciati car­ diotocografici risultavano preoccu­ panti ma nonostante ciò la situazio­ne non veniva monitorata con costanza: la condotta negligente del ginecologo ha determinato l’omissione del taglio cesareo che, se tempestivamente ef­ fettuato, avrebbe evitato l’evento. La

Cass. Sez IV, 3 aprile 2007, n 19380.

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Alice Santercole colpa, come individuata nella senten­ za d’appello, ve­niva imputata al sani­ tario in quanto pur avendo indotto il travaglio con prostaglan­dine, aveva af­ fidato la partoriente ad una ostetrica mentre avrebbe dovuto occu­parsene personalmente. Si legge dalla sentenza “Quanto alla colpa, i giudici di appello affermavano che essa era da rinvenirsi nel fatto che il sanitario, pur avendo indotto il travaglio con prostaglandine, aveva affidato la partoriente ad una ostetrica e, sebbene richiamato più volte a causa dei fortissimi dolori avverti­ti dalla Rocco appena un’ora dopo la somministrazione del farmaco, era ritornato in clinica

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Cass. Sez IV, 24 gennaio 2013, n 11493.

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solo verso le ore cinque, omettendo un costante monitorag­gio”41. E ancora, il medico ginecologo vie­ ne imputato per omicidio colposo e condan­nato in 1° e 2° grado per non aver eseguito una corretta interpreta­ zione del traccia­to cardiotocografico che determinò un ritardo nel taglio ce­ sareo, e la conseguente morte del ne­ onato per danni derivati da prolungata ipossia. Secondo il giudizio scaturito dal doppio grado di merito “Nella condotta dell’imputato sono stati rav­visati più profili di colpa: nonostante una serie di indicatori che imponevano uno stretto monito-


Capitolo IV raggio della situazione egli aveva affidato per circa due ore la puerpera per circa due ore alle cure esclusive di un’ostetrica rimanendo assente anche in prossimità della fase espulsiva” 42. La precedente sentenza rivela tra le motivazione addotte per il riconosci­ mento delle colpe da parte dei giudici di merito un esplicito riferimento alla non legitti­mità dell’affidamento della donna in procinto di partorire alle cure dell’ostetrica, nel caso specifico in cui erano evidenziati segnali non rassicu­ ranti in riferimento alla condizioni di salute fetale.

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È interessante rilevare invece come in linea generale nella lettura delle inter­pretazione della Suprema Corte, in caso cui l’ostetrica, che conduce con propria responsabilità un parto eutoci­ co, ravvisi una condizione patologica o potenzial­mente patologica e ometta di allarmare il medico, risponda perso­ nalmente dell’i­nadempienza. In una sentenza del 2004 Il rea­ to contestato all’ostetrica è quello di omicidio colposo del nascituro per aver tenuto una condotta colposa. Si è trattato di una condotta negligente e imprudente omissiva caratterizzata

Cass. Sez IV, 31 gennaio 2013, n 23339.

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Alice Santercole dal mancato allertamen­to del medico, nonostante il monitoraggio cardioto­ cografico della paziente indi­casse una progressiva sofferenza fetale. Il medi­ co è quindi intervenuto con note­vole ritardo, non riuscendo ad impedire il decesso del feto. L’ostetrica avrebbe do­vuto, infatti, avvertire con massi­ ma sollecitudine il medico, non appe­ na emersi se­gni di sofferenza con ri­ schio per la madre o per il nascituro. La partoriente, rico­verata in ospedale al termine di una normale gravidanza, era sottoposta a monito­raggio cardio­ tocografico, che risulta, in un primo momento normale, per poi se­gnalare

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un andamento “ondulatorio attenua­ to” e quindi “silente”, fino a registra­ re molteplici decelerazioni tardive. La sentenza della Cassazione ha sancito come la sorveglianza del battito cardia­ co fetale intrapartum nella gravida sana, a basso ri­schio, sia una competenza appartenente all’ostetrica: l’affidamen­ to di tale attività in totale autonomia all’ostetrica, ne rappresenta la sua di­ retta responsabilità nel ri­spondere in prima persona dei fatti compiuti. “Rientra “nell’ordinaria competen­ za dell’ostetrica la possibilità di riconoscere con tempestività alterazioni della frequenza cardiaca fetale, rivelatrici di una sofferenza che deve


Capitolo IV essere immediata­mente riferita al sanitario del reparto o comunque al personale medico disponibi­le o reperibile”43. La rilevazione e valutazione del­ le variazioni emergenti dall’esame del battito car­diaco del feto indicative di possibili fattori di rischio è conside­ rata dalla Suprema Corte una compe­ tenza caratterizzante la professionalità dell’ostetrica, in relazione alla quale non è richiesta una diagnosi medica. Perciò l’omessa attivazione di coin­ volgimento medico nel caso di rilievi patologici ha costituito violazione di competenze ostetriche, ed ha suppor­

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tato il reato di omicidio colposo, aven­ do con­dotto al decesso del nascituro. In altro caso ancora l’ostetrica è im­ putata del delitto di omicidio colposo per non essersi correttamente attiva­ ta alla rilevazione delle anomalie della frequenza cardiaca fetale documenta­ te dallo cardiotocografo, e quindi aver cagionato il de­cesso del feto. La Cor­ te d’Appello di Roma (sentenza del 21 luglio 2008), ha di­chiarato non doversi procedere essendo il reato estinto per prescrizione, ma ha co­munque confer­ mato quanto previsto civilmente per il risarcimento dei danni. Il giudice di

Cass. Sez IV, 29 gennaio 2004, n. 21709.

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Alice Santercole prime cure si è soffermato maggior­ mente sulla non corretta esecuzione – od omissione – del tracciato cardio­ tocografico; in secondo grado invece l’atten­zione è stata posta sul mancato allertamento del medico, sulla mancata reazione di fronte alla caduta di tono cardiaco, sia pur constatando che la re­ gistrazione aveva ripreso bene. La IV sezione ha richiamato la precedente sentenza del 2004 n. 21709, ribadendo la responsabilità per omicidio colposo dell’ostetrica che, a fron­te di un mo­ nitoraggio cardiotocografico – la cui lettura è di competenze dell’oste­trica

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Cass. Sez IV, 16 luglio 2009, n. 35027.

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– indicante una sofferenza fetale, non ha avvertito tempestivamente il medi­ co, provocando il decesso del feto44. La Corte sancisce, attingendo alle comuni regole d’esperienza, come ri­ entri nelle competenze dell’ostetrica la lettura del tracciato cardiotocografico e la rile­vazioni di eventuali anomalie. E inoltre applicando il principio di affidamento af­franca il ginecologo di guardia dalla responsabilità degli even­ ti lesivi cagionati dall’imperizia e dalla condotta omissiva dell’ostetrica. La sentenza del 2004, riveste un particolare interesse nel panorama


Capitolo IV giurispru­denziale sulla responsabilità dell’ostetrica, anche perché gli eventi si collocano nel periodo di combina­ ta vigenza delle fonti normative: man­ sionario e profilo profes­sionale, prima della legge n. 42/1999, periodo in cui si poteva constatare una certa ambi­ guità normativa per l’ intrinseca con­ traddittorietà delle suddette norme. La competenza valutativa dell’o­ stetrica esplicitata dalla responsabili­ tà giuridica della lettura del tracciato cardiotocografico viene sancita anche nella sentenza che riportiamo di segui­ to. Un medico ginecologo ed un’oste­ trica sono condannati sia in primo gra­ do che in appello, in un caso in cui si è verificato il decesso di un feto alla

trentacinquesi­ma settimana, avvenuto per asfissia da compromissione del­ la funzionalità placen­tare. La gravida, alla trentacinquesima settimana di gra­ vidanza, si era recata in ospedale con dolori, in tale occasione erano stati ef­ fettuati due tracciati cardioto­cografici, il secondo dei quali dall’ostetrica impu­ tata. A distanza di diverse ore, a fronte della persistenza della sintomatologia, era stato eseguito un ulteriore trac­ciato che aveva accertato l’assenza del bat­ tito cardiaco fetale: la donna era sta­ ta sottoposta a parto cesareo e il feto estratto era privo di vita. La causa della morte accertata fu distacco intempe­ stivo di placenta. Il difensore dell’ostetrica ha de­nunciato in Cassazione la mancanza di considerazione

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Alice Santercole per le limitate compe­tenze dell’ostetrica, anche in relazione alle linee guida redatte dal primario del reparto di Ginecologia dell’Ospedale in questione: secondo le quali non sarebbe stato compito dell’ostetrica valutare il tracciato, avendo un “ruolo di mero esecutore materiale dell’esame strumentale”. Inol­ tre, qualora l’imputata avesse comuni­ cato al medico le anomalie risultanti dal tracciato, il ginecologo avrebbe co­ munque deciso di non intervenire. La Corte ha innanzitutto precisato che en­ trambi i tracciati eseguiti sulla pazien­ te avevano mostrato una riduzione del battito cardiaco del nascituro e quindi

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uno stato di sofferenza fetale, si sareb­ be, quindi, dovuto prestare attenzione a tali alterazioni, attraverso un moni­ toraggio continuo e l’effettuazione di un’indagine da parte del medico sulle cause di tali decelerazioni: se ci fos­ se stato fatto, i professionisti sanitari, verificando la per­manenza di elemen­ ti negativi in ordine al benessere feta­ le, avrebbero potuto orientarsi per un precoce parto cesareo. La colpevolez­ za della condotta dell’oste­trica è stata affermata nei due gradi di giudizio di merito e confermata dalla Cas­sazione, dato che dopo aver effettuato il secon­ do tracciato si era limitata a portare il risultato al medico, aggiungendo che


Capitolo IV si trattava di condizione nella norma45. La Suprema Corte ha anche in que­ sta occasione ribadito che compito dell’oste­trica non è soltanto quello di mera esecuzione dei tracciati cardioto­ cografici, ma anche quello di leggerli: la capacità di interpretare il tracciato ri­ entra senza dubbio tra le competenze di questa professione sanitaria, perciò l’ostetrica avrebbe dovuto rilevare le anomalie e allertare il medico comuni­ candogli la sua interpretazione in base a quanto sancito dal primo articolo del profilo professionale comma 5 secon­ do cui “L’ostetrica/o è in grado di indivi-

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duare situazioni potenzialmente patologiche che richiedono intervento medico e di praticare ove occorra, le rela­tive misure di particolare emergenza”. La lettura delle sentenze Corte di Cassazione degli ultimi dieci ha offer­ to dei dati iniziali su cui riflettere. Si­ curamente le sentenza che giudicano fatti avvenuti quando il mansionario non era più in vigore e quindi post 1999 non sono così co­piose e sarebbe utile una revisione successiva per valutare pienamente quanto ef­fettivamente si­ ano riconosciute dalla giurisprudenza le competenze e l’autonomia profes­

Cass. Sez IV, 22 gennaio 2010, n 17556.

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Alice Santercole sionale dell’ostetrica. Non mancano certamente letture di pronunce da cui trapelano concezioni anacronistiche riguardo la figura dell’ostetrica, in cui ad esempio la parola “ostetrica” si as­ simila alla dicitura “infermiera” (Cass. Sez IV, 3 aprile 2007, n 19380) quan­ do va meglio o nel peggiore dei casi al termine “ausi­liario” (Cass. Sez IV, 28 aprile 2011, n 23298), nonostante i fatti si siano svolti successivamente all’abrogazione del sostantivo “perso­ nale ausiliario”; o ad esem­pio una re­ cente sentenza del 2008 in riferimento a fatti svolti nel 2001 la quale af­ferma nel rigettare le argomentazioni del ri­ corso dell’imputato ginecologo “..Per­ 46

tanto, correttamente, viene ritenuta priva di decisivo rilievo la circostanza che il personale paramedico non abbia correttamente valutato il significato del control­lo del battito cardiaco compiuto a metà mattinata e non abbia conseguentemente prospettato l’allarmante situazione al medico. Infatti, la valutazione delle signifi­cato clinico di un esame come il tracciato cardiotocografico non può essere in­teramente rimessa alla competenza del personale di supporto; ma è affidata alla sfera professionale del medico, che, nella veste di garante della salute della don­na e del feto, ha l’obbligo, correttamente posto in luce dalla Corte territoriale, di seguire con sollecita diligenza l’andamento del travaglio e non può invece atteg­giarsi ad una condotta passiva e disattenta”46 non ri­

Cass., Sez IV, 15 gennaio (20 febbraio 2008), n. 772.

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Capitolo IV conoscendo all’ostetrica (nella generi­ ca accezione di “personale paramedi­ co”) la responsabilità e la competenza della lettura e valutazione del tracciato cardiotocografico. Per concludere è doveroso riflet­ tere sul fatto che nel momento in cui assistiamo ad una sempre maggiore medicalizzazione dell’evento nascita, ad un’elevata inci­denza delle induzio­ ni mediche del travaglio di parto, l’au­ tonomia professionale dell’ostetrica e il contributo prezioso che questa può apportare si riduce notevol­ mente. Giocoforza l’atteggiamento difensivo del medico ginecologo il quale in ra­

gion del fatto di aver dal punto di vista giurisprudenziale l’onere del controllo sul­l’operato dell’ostetrica, tende ad as­ sumere una certa “diffidenza” nella delega delle funzioni assistenziali. Sarebbe auspicabile, per compiere quell’evoluzione professionale che si è affer­mata da un punto di vista più che altro formale e concettuale, un’evo­ luzione cultu­rale verso una maggiore responsabilizzazione della professio­ nista ostetrica, anche in quegli ambi­ ti che ancora rimangono inspiegabil­ mente relegati al fare medico, come la gestione della gravidanza fisiologica.

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CONCLUSIONI



Conclusioni Il riconoscimento giuridico delle responsabilità professionali dell’oste­ trica rappre­senta un campo intricato in cui imbattersi. Il processo di professionalizzazione che ha interessato la figura dell’oste­ trica negli ultimi anni ha delineato un professionista sanitario che nell’ambi­ to delle competenze specifiche agisce con autonomia e responsabilità. L’emanazione della legge 42 del 1999 ha sancito la scomparsa dell’anacronisti­ ca suddivisione del­ le professioni sanitarie in “principa­ li” e “ausiliarie” e l’abroga­zione del c.d. mansionario rigidamente basato su una elencazione di compiti e at­ tribuzioni ai quali l’esercizio profes­ sionale doveva attenersi determinan­

do il pas­saggio da una condizione di dipendenza dalle professioni sanitarie mediche ad una condizione di autono­ mia professionale. L’aumento della sfera di autono­ mia e capacità decisionale ha compor­ tato una maggiore responsabilizzazio­ ne giuridica della stessa. L’orientamento dottrinale e giuri­ sprudenziale tradizionale ricollegava alla limitata autonomia operativa del personale paramedico un’attenuazione della responsabili­tà. La sua concezione puramente ancillare lo trasformava in mero esecutore delle indicazioni im­ partite dal medico che rimaneva esclu­ sivo responsabile delle scelte assisten­ ziali Il riconoscimento delle responsa­

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Alice Santercole bilità professionali giuridiche dell’o­ stetrica in realtà ha rivelato non pochi problemi ermeneutici, dovuti essen­ zialmente a due aspetti: la non chiara definizione dei limiti operativi della professione delineatasi dall’abrogazio­ ne del mansionario e l’affermazione del modello assistenziale del la­voro in­ tegrato in èquipe. Secondo la normativa vigente le professioni sanitarie vedono come li­ mite posi­ tivo del proprio raggio di azione il contenuto nel profilo profes­ sionale, del codice deontologico, degli ordinamenti didattici e della forma­ zione post-base, e come unico limite negativo le “competenze previste dalla professione medica” che si ri­fanno al concetto di “atto medico” (legge n. 42

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del 26 febbraio 1999). L’ostetrica in­ tesse con quest’ultimo una relazione peculiare. A differenza di altre profes­ sioni sanitarie questa non è definita da una prescrizione essendo riconosciuta dalla legge una competenza diagno­ stica valutativa, il problema è che non ne vengono chiarite le modalità in cui si esplicita tale competenza, inoltre il concetto di atto medico risulta mal de­ finito tanto dalla legislazione quanto dalla giurisprudenza. Il secondo aspetto è l’affermazio­ ne della medicina d’équipe, questa si caratteriz­za per il coinvolgimento di varie specializzazioni nell’assistenza al paziente, se­condo un’ideale di at­ tività fondato sulla cooperazione tra soggetti aventi compe­tenze specifiche.


Conclusioni Com’è ovvio tale organizzazione im­ pone un lavoro di coordina­mento che talvolta risulta arduo. Il vero problema che si pone nell’at­ tività d’équipe però è l’individuazione del soggetto da responsabilizzare. La dottrina giuridica ha elaborato diverse teorie in merito tra cui la te­ oria del­l’affidamento. Secondo questa lettura ciascun componente, in quanto dotato di specifiche competenze e re­ sponsabilità, risponde unicamente del­ la correttezza del­la propria condotta. Si tratta senza dubbio dell’orientamen­ to più consono alla pre­servazione dei vantaggi della medicina d’équipe e al rispetto dell’autonomia pro­fessionale sancita dalla legge. Inoltre addossare ad un soggetto

la responsabilità delle scelte consape­ voli di qualcun altro significherebbe violare il principio sancito dall’art.27, comma 1, del­la Costituzione Italiana, secondo cui “La responsabilità penale è personale”. Nonostante tali considerazione i principali orientamenti giurispru­ denziali mo­strano una certa reticen­ za nell’applicazione del principio di affidamento alla figura dell’ostetrica se non nei casi delimitati di comple­ ta fisiologia dell’evento parto. Ciò si­ gnifica che il medico nella maggioran­ za dei casi è tenuto a rispondere degli eventuali eventi lesivi cagionati da una condotta non idonea dell’ostetrica e a vigi­lare sul suo operato. La fisiologia dell’evento è intesa

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Alice Santercole non solo come assenza di patologia ma come assenza di potenziali compli­ cazioni, il che prefigura ad esempio le induzioni me­diche del travaglio di par­ to o l’uso delle infusioni ossitociche come condizioni in cui l’autonomia gestionale dell’ostetrica viene di fatto espropriata. In considerazione del fatto che stiamo assistendo ad un’eccessiva medicalizza­ zione dell’evento nascita ci viene facile affermare come que­ sto determini ancora una sostanziale subordinazione dell’ostetrica rispetto alla figura del medico in un contesto operativo che risulta ancora ancorato alle vecchie gerarchie di potere.

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Ringraziamenti Questo lavoro è il frutto di tre intensi anni di studio e impegno ma anche anni di spensieratezza e piacevoli distrazioni. Senza il supporto dei miei genitori non avrei di sicuro potuto intraprendere questa strada dolce e tortuosa, e li ringrazio per l’aiuto che mi hanno offerto con generosità. Che anni sarebbero stati inoltre senza Andrea e Nanà che amorevolmente mi hanno sostenuto nei momenti più difficili? Di sicuro non così rassicuranti. Che anni sarebbero stati senza aver visto venire al mondo la più bella e piccola creaturina? Bianca, non così emozionanti. Anni di gioia e soddisfazione, anni di incredulità e delusione, anni di biblioteche e pranzi al sacco, anni di amicizia e risate. Che senso avrebbero avuto questi anni senza le mie care colleghe? Ma sopratutto che senso avrebbe avuto il tempo senza Pannocchia, Bigodino, Vanna, la fidanzata del bibliotecario; e i nostri cari amici Albertino, Pierino, Pigi, P. P., Pallina, Benita in versione Capitan Harlock e tanti altri? Che laureanda sarei per giunta senza il correlatò dei correlatori, grande amico e supporter? E infine che ostetrica sarei diventata poi senza le cazziate di Paola, senza il suo senso delicato per l’ostetricia, senza la libertà che mi ha trasmesso e senza i preziosi insegnamenti? Insomma, vi ringrazio tutti.




Università degli Studi di Sassari Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di Laurea in Ostetricia

Titolo tesi: Il riconoscimento delle responsabilità professionali dell’ostetrica tra rigorismo giurisprudenziale e nuovi orizzonti assistenziali Tesi di Laurea di: Alice Santercole Relatrice: Prof.ssa Maria Domenica Piga Correlatore: Dott. Giovanni Pietro Lubinu

Grafica e impaginazione: andreameloni.com

Aprile 2014




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