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ANDREA MO RU CCHIO
MO RU CCHIO ANDREA
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ANDREA MO RU CCHIO
MO RU CCHIO ANDREA
Presidente Walter Hartsarich
Andrea Morucchio Back in Black
Consiglio di amministrazione
A cura di Silvio Fuso
Vicepresidente Giorgio Orsoni
Coordinamento Giulia Biscontin
Consiglieri Alvise Alverà Emilio Ambasz Carlo Fratta Pasini
Ufficio stampa Riccardo Bon
Segretario Organizzativo Mattia Agnetti Ca’ Pesaro Galleria Internazionale d’Arte Moderna Silvio Fuso
Promozione Silvia Negretti Alessandro Paolinelli Amministrazione Antonella Ballarin con Piero Calore Carla Povelato Francesca Rodella La mostra si realizza con il contributo di S T U D I O L E GA L E M A R C H I O N N I & A S S O C I AT I T R E N TO – M I L A N O
ANDREA MO RUCCHIO BACK IN BL ACK 02.09.2011
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23.10.2011
CA’ PESARO GALLERIA INTERNA ZIONALE D’ARTE MO DERNA SANTA CRO CE 2076 VEN EZIA
L’Opera al nero Stefania Portinari
pag 9
Subito prima Chiara Casarin
pag 17
B[æ]d Time Daniele Capra
pag 20
Enlightenments – Illuminazioni – dal nulla il prendere forma di un’intuizione Gaia Conti pag 25
Biografia
pag 48
CV
pag 50
Inequilibrio Domitilla Musella
Bibliografia selezionata
pag 52
Andrea Morucchio: appunti per un profilo Laura Poletto
pag 54
pag 29
Fuoco incrociato Silvio Saura
pag 32
Identità Celata Giovanni Bianchi
pag 36
Dov’è la “prova” in questa parola “rivoluzione”? Andrea Pagnes
pag 41
Coincidentia Oppositorum Alberto Zanchetta
pag 44
L’OPER A AL NERO STEFANIA PORTINARI
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“Arriva sempre un momento in cui non c’è altro da fare che rischiare” scrive José Saramago in Cecità: la stanza antologica che Andrea Morucchio ha riunito per sé a Ca’ Pesaro, per la personale in cui sì, è di ritorno, di ritorno in nero – come suonavano gli AC/DC in Back in Black – nella sua città, è un compendio di opere plastiche accompagnate da un video che visualizza una stanza delle crudeltà. Sono presenze-feticcio, ascetiche ed essenziali, che si muovono verso un grado zero della visione e assommano in monocromo nero tutta la ricerca che ha guidato le forme recenti dell’artista. Di ritorno dopo la fotografia, dopo i viaggi verso luoghi in cui il nero era sfondo cupo e brillante, profondo e sconosciuto, come nella netta essenza degli scatti cubani o del Nepal misterioso, dopo la contaminazione delle idee con la storia del passato e le urgenze della politica, Morucchio è di ritorno alla scultura, all’installazione, così come l’ha praticata, tra performance e presenza, negli ultimi dieci anni. È invece un nero opaco e seduttivo, ma levigato, quello di cui è fatta l’essenza, quasi medievale, di molte delle opere
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PORTINARI STEFANIA L’OPER A AL NERO
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in esposizione, che stanno sul limite, sulla soglia di un’apparenza di sfidante pericolosità e rivelano piuttosto la loro fragile essenza nel dichiararsi in vetro, accecando la specificità luminescente del medium. La definizione accurata di queste forme estreme e la precisione nella manipolazione e nell’accostamento dei materiali dà origine a un dialogo ascetico e sovversivo, a un monologo dark in cui l’ascesi e la rinuncia fanno da contraltare a una spiritualità che evoca energie cosmiche e battagliere, che riconduce memorie della storia dell’arte e dell’umanità, come in un Ciclo della protesta. Il composito insieme di questo percorso recente, tutto virato al nero, si fa quête cavalleresca e al tempo stesso eretico autoritratto, come nel destino del personaggio dell’Opera al nero di Marguerite Yourcenaire. Lo stabilizzarsi alchemico e il confronto delle materie, vetro e ferro, luce e fotografia, crea uno scontro visivo al fine di suscitare nel visitatore un processo mentale di alta coscienza, come scosso dalle vibrazioni del dinamismo immateriale propagato dalle opere in conflitto nella sala. “La scultura è volume, base, altezza, profondità”, recitava uno degli assiomi del Manifesto tecnico dello spazialismo firmato anche da Berto Morucchio nel 1951: il distacco spazio-temporale, il senso di percezione ingannevole e artificioso della realtà e la forte accentrazione di forze magnetiche che dominano la varietà di espressione di Back in Black non negano comunque l’essenza delle opere come scultura, le rendono anzi parti di azioni come fotogrammi di film, nel loro creare un dialogo, declinate come pezzi di cadavre esquis provenienti da un recente percorso di ispirazione filosofica.
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Le installazioni di Andrea Morucchio per Ca’ Pesaro si dispongono secondo un punto focale che intende creare una ferita nella percezione e mettere in pericolo l’equilibrio instabile delle sensazioni visive, accentuando la difficoltà della visione, offrendo il ritratto di una condizione umana. Come in occasione di altre sue esposizioni in ambienti museali, quasi a sfidare il luogo di conservazione e al tempo stesso esaltarne il ruolo di mementum perenne, si staglia con forza la sua intenzione di rimarcare reminiscenze adombrate da senso di mistero, inquietudine, violenza, come in Le Nostre Idee Vinceranno (2002) e Laudes Regiae (2007), così B[æ]d Time è un letto di insoffici dolori su cui non si può dormire; Cross Shoots una croce latina scismatica che contrariamente alle
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pretese di monocrazia religiosa può scomporsi in unità e disunità ed è inclinata, pronta alla rottura e alla protesta; il duplice torso del lottatore canoviano Damòsseno, di cui non si vede il volto, è colpito da punti di répere per mapparne il trasferimento su marmo come fossero ferite di san Sebastiano e la sua duplice specchiante immagine lo rende un Dioscuro doppelganger. Anche delle Celate è negata l’identità, anonime presenze decapitate, fantasime sibilline di guerrieri provenienti anch’esse da una matrice aulica, l’elmo a becco di passero del XVI secolo detto di Attila conservato in palazzo ducale a Venezia (già allestite in rosso all’ex Convento dei SS. Cosma e Damiano). Se i pali in vetro molato come lance o giavellotti di Accumulo sono trattenuti dal tubolare
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di gomma in una sfida tra materie trasformate, forgiate dal calore, simili ad un oggetto di design, le Blade sono lame sorrette ma anche trattenute, sacro graal e Maiastre acuminate, strumento di staglievolezza letale ma anche messo in mostra, esposte nella loro delicata essenza di singola combinazione di sfumature e compagne dei cunei Enlightenments di vetro stampato che trapassano il ferro, simili alle strutture installative site specific Percer-Voir, in qualità di illuminazioni. La prova di forza e abilità del video Rivoluzioni in cui Andrea Morucchio rotea una barra di vetro lucido come una spada magica da torneo, come in un cosmogonico moto di rivoluzione dei pianeti, si infrange ciclicamente per la necessità di un eterno ritorno, di un rinnovamento che si compie attraverso la liberazione di energia, accompagnato dal rumore che, come in Thinking of me di Bruce Nauman, produce un cortocircuito tra lo spazio e la realtà e nel suono che si ripete monotono amplia voci che vengono dall’inconscio e attraversano spazi incogniti. Se già nelle sue foto luci e ombre erano attivatori di costruzione dell’immagine, laddove gli stacchi di colore diventano tuffi nella coscienza del momento fermato per sempre e i fondi recessi scenografici bui, profondi, spesso assoluti, dove è palpabile la notte, ora i soggetti divenuti sculture per Back in Black cercano il monocromo per favorire la concentrazione dello sguardo, come in Eidetic Bush (2003), realizzato durante la residenza in Tasmania (Australia), in cui gli alberi incendiati vengono vivificati solo dalla morsa di una spira in gesso che è anche abbraccio commosso, addolorato per la perdita del bosco e la nefanda politica coloniale.
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L’opalescenza del nero, leit motiv e sottofondo segreto, conduce ad un uso del vetro come elemento scultoreo, contrappasso e richiamo al cimento tra arti maggiori e decorative, nel solco di una tradizione veneziana che ha tra i suoi acme alcune creazioni tenebrose in vetro di Carlo Scarpa, prototipi talmente particolari che non si riuscirà più a riprodurre per le difficoltà tecniche e che occupano un’intera sala della biennale del 1940, ma che ha anche nuova linfa in una generazione di giovani artisti veneziani creatori di interessanti espressioni che suggeriscono il divenire di forme naturali. Le essenze vetrose di Morucchio sono aggressivi strumenti acuminati, ma sono al contempo sopraffatte dalla loro fragile natura e sostenute da strutture-supporto che le imprigionano e le contengono come restrizioni, in un modo così particolare da offrire loro anche un motivo di fuga, esprimendo un dinamismo di scontro-confronto tra forze dualistiche delle materie, come dice Matthew Barney del proprio operare, quando indica come non abbia fatto altro che reinterpretare a suo modo “il processo vitale che, in ognuno di noi, porta necessariamente una trasformazione”, raccontando “il modo in cui una forma combatte per trovare una propria definizione”. La stanza di Ca’ Pesaro di Morucchio vuol divenire ambiente, spazio di percezione in cui sopravvive l’emozione mentre le opere paiono negare la tattilità dei differenti componenti e divengono intoccabili, in bilico tra le loro molte essenze, come contraddittoria arma linguistica. Il nero, che nella storia ha interpretato così tante sfumature dell’essere, dall’atto della creazione al lutto alla follia, nel suo essere un colore nobile
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e profondo, così difficile da ottenere come nei velluti dei nobiluomini rinascimentali, è assenza di colore, pura forma significante, colore infero ma anche magico, generativo caos proteiforme da cui tutto si genera, come un passaggio di stato in cui avviene una liberazione dello spirito ed è sempre stato amato dagli artisti per la sua irreversibile determinatezza, dal disegnatore di animali delle grotte preistoriche all’azzeramento di Malevic. Forse vale anche per Andrea Morucchio quel che scriveva Sol Lewitt in una delle sue Sentences on Conceptual Art, quando affermava che gli artisti concettuali sono mistici piuttosto che razionalisti e giungono a conclusioni che la logica non può afferrare: sono i giudizi irrazionali che portano a nuove esperienze.
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SU BITO PRIM A CHIAR A CASARIN
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Attratta da una forza che è data per lo più dal mio peso, dalla mia mole, mi sento frenata, arrestata un attimo prima dell’impatto a terra. Sono fragile anche se non sembra. Nera, cupa, pesante. La mia superficie è chiusa, perfetta, tutta concentrata nel contenimento della mia forma, della mia imperturbabilità, del mio essere oggetto di una qualche forza e contundenza. Si, sono fragile perché la materia di cui è composto il mio corpo è per natura frangibile. La mia sagoma appuntita verso il basso non potrebbe che esaltare la catastrofica caduta con miriadi di microstelle nere sparate tutt’intorno. Lo vedo il fermo-immagine dell’agognato momento. Sospese a mezz’aria le briciole di me si compongono in una conturbante nuvola di piccole lame. Sono fatta di vetro e il vetro, freddo, tagliente e impenetrabile è, incredibilmente, anche sensibile, debole. Un anello mi avvinghia, un’elegante protesi mi cinge chiamata a evitare il mio disfacimento, preclude al dramma dell’impatto ogni possibilità di realizzazione. Mi trattiene e mi salva da un’elegante suicidio.
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CHIAR A CASARIN SU BITO PRIM A
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Una salvezza solo momentanea dato che sarebbe mio scopo, mio intimo desiderio, verificare queste deflagranti potenzialità di schianto. Se mi potessi anche solo per una volta lasciar cadere liberamente, io ‘Blade’, potrei finalmente assolvere al mio intrinseco compito, al mio ultimo, perché irrevocabile, scopo. Spezzata in scintille di luce, affilate e impietose potrei acquisire pienamente le mie potenzialità. Ma sarei perduta, sbriciolando in tal modo ogni mio, pur remoto, desiderio di immortalità. Il vetro non è solo ‘uno dei materiali’ a disposizione degli artisti che ci creano. Un materiale plasmabile, duttile, dalle infinite possibilità cromatiche e plastiche. Il vetro ha una caratteristica in più che gli altri materiali non hanno. E’ per vocazione contenitore. Se non contiene materiali diversi da sé, contiene sé stesso mentre trattiene lo sguardo di chi lo osserva. È una tridimensionalità nera quella che mi identifica qui oggi. Non un nero dispotico, ostinato ma un nero che è scrittura, forma, totalità del mio essere, un azzeramento della “pancromia” che mi circonda, un nuovo ritorno in me mentre, ingorda, trattengo lo sguardo di chi mi si pone davanti e non gli consento di trapassarmi.
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Blade 2011 Vetro molato, ferro forgiato 100 Ă— 42 Ă— 42 cm
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B[Æ]D TIM E DANIELE CAPR A
Il sonno è un piacere indescrivibile per chiunque abbia una vita normale, non devastata dall’insonnia. Andare a letto – felici, eccitati, stanchi o depressi – è il coronamento del lavoro e dei piaceri di una giornata o un modo per riprendersi dai colpi subiti. Sognare, azione che del sonno è fraterna amica (le parole sonno e sogno hanno la stessa radice nella nostra lingua), è poi un’attività celebrale necessaria, una forma particolare di riequilibrio psichico comune a tutti gli animali evoluti.
Questi motivi ci inducono a considerare il tempo ed il luogo del sonno come spazi intimi di protezione, in cui sentirsi al sicuro, lontani dalle insidie, anche psicologiche, della nostra vita.
DANIELE CAPR A B[Æ]D TIM E
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Nell’opera B[æ]d Time Andrea Morucchio ribalta tale concetto e trasforma il giaciglio in un luogo di passione, di cruccio, e di tortura fisica. Il nome dell’opera, che gioca con le parole inglesi «bad» e «bed» («cattivo» e «letto»), mette insieme due aggettivi distanti, in cui il primo nega la piacevolezza del secondo. Nelle sue intenzioni il letto – oltre ad essere sede irrinunciabile di ristoro ed uno dei topoi più analizzati dalla psicanalisi – smette la propria funzione di locus amenus e si scurisce a simbolo di indistricabili grovigli emotivi. Chi si stende è cioè soggetto ad un trattamento non dissimile da quello cui si sottopongono i fachiri, ed evidentemente lo fa a proprio rischio e pericolo. Lo spettatore dell’opera in questo modo si trova attratto per la cura estetica del manufatto (che pare
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un raffinato oggetto di design), ma avverte un senso di repulsione, immedesimandosi nella (sfortunata) persona stesa su quell’alcova infernale.
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B[æ]d Time prende ironicamente le distanze dalla tradizione scultorea occidentale che si è frequentemente preoccupata di rappresentare superfici e solidi morbidi ricorrendo ad un materiale duro e aspro come la pietra ricorrendo ad difficoltosi virtuosismi. L’artista infatti utilizza un materiale come il vetro, che è considerato per eccellenza traslucido, trasparente e cangiante. Il vetro non è in realtà un vero e proprio solido ma è «dal punto di vista chimico, […] un materiale ottenuto tramite la solidificazione di un liquido non accompagnata da cristallizzazione» (Wikipedia, sez. it., aggiornamento 07.2011), come testimoniano l’esperienza comune di guardare attraverso finestre antiche, da cui escono l’immagini deformate di ciò che ci sta davanti.
B[æ]d Time 2009 Vetro stampato, molato e satinato, velluto trattato 122 × 44 × 5 cm
Morucchio sceglie così di realizzare con uno dei materiali più tipici di Venezia qualcosa che è il più distante possibile dalla tradizione. Il vetro del letto è infatti nero opaco, senza variazioni iridescenti o sgargianti riflessioni: è cioè l’esatto opposto di quello che solitamente seduce i turisti che affollano la città lagunare. Anche qui l’artista scegli la forma paradossale del sottosopra, cifra da bastian contrario che evidentemente sente propria.
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Nel contempo occorre sottolineare come il vetro sia cosĂŹ delicato da potersi rompere, da infrangersi incidentalmente in mille
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pezzi, per mancata cura, oppure per l’incapacità di reggere uno sforzo. Talvolta però, forse bastano gli incubi di qualche osservatore.
Enlightenments 2009 Ferro forgiato, vetro soffiato e molato 65 × 40 × 13 cm
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ENLIGHTENM ENTS GAIA CONTI
Enlightenments – Illuminazioni – dal nulla il prendere forma di un’intuizione. Coscienza. Distinguere le sagome, le profondità, perché è solo grazie ad un’illuminazione che l’opera si svela e si rivela. Total black. La luce si spegne. Subitaneamente. L’opera di Morucchio pone subito di fronte ad una prima contraddizione, un paradosso. Il titolo svia, conduce per strade che probabilmente nemmeno percorreremo. Buio. L’azzeramento delle sensazioni. Trascina nell’oscurità. Quasi ad annullare le percezioni. Niente sovrastrutture, un impianto uniforme costringe entro canoni di razionalità. Quasi a voler cancellare le analisi che ne scaturirebbero, i materiali sono puro contorno, si confonde il confine tra le due anime, un unicum, a negare il formale dualismo della scultura. Il vetro della cuspide è scuro e opaco fino a diventare altro, uno smistamento di significato. Un percorso estetico verso l’azzeramento dell’ossimoro, verso l’azzeramento dell’antitesi.
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GAIA CONTI ENLIGHTENM ENTS
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Buio. Nero. Immagini mentali che diventano nitidamente fosche. Atmosfere cupe, sensazioni. Indietro nel tempo a qualcosa di primitivo che subito balza alla mente. Una cuspide, una freccia, che penetra con forza il suo bersaglio con un movimento imperituro. Vigoroso e leggiadro al contempo. L’ordine è infranto: i colori si fanno cupi e le forme più spigolose. Nero. Tenebra. Oltre. Fino al nero del vuoto primordiale. L’assenza, il caos, il nulla. L’archetipo del Principio, della fase che precede la creazione. Inconscio. Buio. Conscio. E poi di nuovo prepotentemente al presente. La minaccia delle forze che possono sommergere il conscio. I conflitti. La guerra è lugubre, nera come la notte. Un’aguzza cuspide vetrosa. Un’incredibile capacità penetrante e di sfondamento. Una freccia nel tessuto sociale. Non trova ostacoli e può tutto. Paradosso. Buio. Luce. Inconscio primordiale. Istinti presenti, istinti primitivi. Nuova carica vitale, una nuova luce. Uno spiraglio. O un cerchio che si chiude su un processo di elaborazione che dal nero primordiale ed inconscio sprigiona la luce della coscienza. Enlightenments, dunque, illuminazioni – dal nulla il prendere forma di un’intuizione.
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INEQU ILIBRIO DOM ITILL A MUSELL A
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Accumulo appartiene ad una serie di sculture composte da fasciami di giavellotti o lance realizzate in vetro molato che si sorreggono sulle estremità grazie ad un tubolare di gomma che le avvolge e le tiene insieme nella parte centrale. Gli elementi vengono inclinati e ruotati, sostenendosi l’uno all’altro fino al raggiungimento della posizione che permette la stabilità della struttura. Si tratta di uno straordinario gioco di elementi inclinati e ruotati in grado di dare stabilità alla materia plasmata. Una scultura perfettamente equilibrata, nata dalla tendenza delle forze fisiche ad assumere configurazioni più armoniose possibili finché ciascuna non blocchi il movimento dell’altra. Se fisicamente un perfetto equilibrio di lance compone la scultura, concettualmente il titolo indica come un’armoniosa tendenza all’ordine sia sempre contraddetta dall’impossibilità di un campo di forze a rimanere in un equilibrio perpetuo. Un qualsiasi uso di energia, infatti, provoca un’inevitabile perdita di capacità di produrre lavoro: l’energia si disperde nell’ambiente circostante e il disordine aumenta. Un disordine microscopico che ci pone di fronte a un’apparente contraddizione: da un lato la natura – organica e inorganica – tende ad uno stato di ordine; dall’altro le strutture fisiche tendono ad uno stato di disordine a cui un sistema è gradualmente destinato.
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DOM ITILL A MUSELL A INEQUILIBRIO
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Man mano che avviene il passaggio da uno stato ordinato a uno disordinato l’entropia aumenta ed, inevitabilmente, nel sistema vengono a crearsi nuovi equilibri. Accumulo è il frutto di questa misura di casualità. Ci ricorda di come anche la nostra vita sia soggetta al “principio di entropia” che tende a distribuire sia l’energia necessaria al soddisfacimento delle nostre funzioni primarie e istintive, sia quella destinata ad attività culturali e spirituali. Ci invita ad utilizzarle entrambe per addentrarci nella confusione del decadimento del sistema al fine di prendere coscienza contro il disordine ideologico che lo sovrasta. Accumulo, con la sua estrema semplicità estetica evidenzia un presente dominato da uno sviluppo abnorme di messaggi. Indica la direzione per governare una realtà dominata da un caos che coinvolge anche i segni convenzionali del linguaggio verbale e numerico, ormai privi di senso a causa del prevalere di una molteplicità che riduce la comunicazione a un mero brusio. Si potrebbe, arditamente, suggerire che agisca in modo uguale e contrario all’ormai antico motto sessantottino che recitava: “Occorre rovesciare ciò che è per stabilire ciò che deve essere”. 30
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Accumulo 2009 Vetro molato, gomma 105 × 40 × 35 cm
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O TO C A RA O C I AU FU RO S C IO I N LV SI
A al l di im so là al pl ffe de co ica rm lle fo Tr nte zio ars int st nd a st n i d ui de abi am le fi o in i, pi i fr tiv lo lle lis en gu c ù on e a e di re ce tal re ui q em te sso tr il t vid tte rel e, geo ue oti a C cia ol a lo ria e i co azi att m sto ve ro zio tr r ng n q in on es et l e ss n e o o u c i ta ri av st Sh i m ad da lo a id co to ch o or o al re , qu ttr e c n fi e, ro ich ots ent tr tt a o on gl n la è s e , v al i d e e, n se fig f do gm il alt all cro tat , re i so i cu ur orm le e cen ri ’an ce o f laz no i s d i n o i e pi e r sue ti; tro ue tich è il rg ona alt arr ù et e ge ; s si it te iat te re iv co ta st n i i m à rz o a m ng re er ns bo più o . pl o m a i cr li: r sim es lar ità l q iv l’ em b se i e s u e n in o . d on adr el ter ota lo el o , lit co ato cer sez i c tic lle hi on he ga o, e te
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O O A R UTA I C O A CO U S F O RC IV N L IS I
oè – ci olo no e l), a– b m sim o m ege atta am e iù tr H gr om è p o” as a a l , eo c o id n ol bo m im o ra e no b im for pr cat ter m à. om – e si e s na he ifi la le, tt ci a c o Il m u o c gn on a r t “ t ( co con tip n si o c rtic pe elle rm ce o fo on ut me i he u iel ve ta d ta c en ri am rc to l c la sa i e es un nt esp leg n a un de el è u ific qu a co o re , u ass ne qu ed ed di sce al ess ili ca ià io on li li ta ri ce e ab ti g n c na eg el fe is h st an va l’u le di d sc i ri ifer to c ile lto ave ta nta car nte La e s i r nu sib o o sen zzo ti ia ch e s nte os a m sim pre ori pun le p ch co e p lic ne ap e o re il nd bo tia e: r ion attr zza re sim ris al ns u ni e el c ers ime e i q rga d iv d g o un ella iun re e d ng ra co isu m
Cross Shoots 2011 Vetro stampato, molato e acidato, legno 150 × 92 × 7 cm
ti un ip o o: rs nt ve e n e m i o ig ta to d re ir en et an za to e i d ri gg rc liz tan im , s ’o so ce te li d el ti, ea et ss . l r ltr lti ro en o d es er mb o e el ne a d a cu iff i si ess i e c o. ni ica i a os a d e t n rit io cn er e ic d e s re ar elaz te olv nso tt se s r a ’o ba o a i te sm li r n e p , de un è rt al ra ta ie u ia ro in ed po in b u gl b e s, o p rd em a s e ab n ot ll’I ra ca e s g sc e s tro ho de in ti ch rro ale ier ve s S li to un o te u gl n os na et i p nt in il q io e u Cr rdi ogg o a me o si er : sc iar ca l s ort nta hi o, p ale org de pp rie ucc or str r f ra o or lav ce pe un M to e an ure es a at qu tic er an mp te
L se ’am ra ns bi pr pp o t vale ri es re ras n re nvi sio sen ver za d ri laz an ni ta sa el su io o de st le la lta ne a n i s ia : g le no c es im ce ià ttu ve on sun ula den non ra re qu a cr do im di q . al re i, , si al di se po ue as tà q s r st i r s u i s ta o ea og ell tia se lav ltà gi e a d ci o di ace pp isfa ò c ro s so nte are ce he i s rt , c n nd qu vil a e h ze o e up , c e n ch so st’o pa io on e tt p in no h no o l er no an n e a st no an te ,
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S st ia n qu ia c el fo el ad ca in nd l’un en so i di am it do n c ca e à re nt ra del ui s la ale ssi tu i s st , d cu tt tia ra e ra o, r da ve nt no ico , i in e n m l n fo ch è p or nd e, più on d e co i en è re m n d fa ; n e gr o, ls o si ad si at n m o a o. p b d ch uò ol i d e ar pi o e ù
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lo o bo nn m a si i st to un e s tut ra e s o co ur nn an pp era ta o c is a, ac es or hi e u sc , s nc , . ra ri do rie lo e, n e al gg olla ac da ote cr o m an pr e, lor om ce, do lle i d is en e is n n d C e u po eso ch om l p sc n i co
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IDENTITÀ CEL ATA GIOVANNI BIANCHI
Due cavalieri neri, che nell’immaginario comune rimandano a forze oscure e misteriose, si fronteggiano spavaldamente. Il cavaliere nero, infatti, di carattere duro e fermo, rappresenta colui che incute terrore, una paura ancestrale legata al suo manifestarsi con il colore delle tenebre. I cavalieri medievali sono rappresentati simbolicamente solo dall’elmo a “becco di passero”, il classico elmetto all’italiana dalla costruzione estremamente complessa, che era molto aderente e proteggeva efficacemente la testa garantendo il massimo della mobilità. Essi hanno la visiera calata a celare la loro identità e forse, parafrasando Italo Calvino, la loro esistenza. Possono difatti ricordare il protagonista del romanzo “Il Cavaliere inesistente” che è un cavaliere modello, ma inesistente, che riesce ad essere presente in guerra contro gli infedeli, soltanto con la forza di volontà. Calvino sottolinea che la sua “voce giungeva metallica da dentro l’elmo chiuso, come se fosse, non una gola, ma l’elmo stesso a vibrare…”
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Così possiamo immaginarci anche la voce metallica e profonda dei cavalieri di Andrea Morucchio, traghettati dal lontano passato al nostro presente. Posti uno di fronte all’altro i due volti si scrutano attenti. Sono due elmi identici, che si specchiano, che si raddoppiano. Sono due forze perfettamente uguali pronte a confrontarsi. Lo scontro/incontro è dunque tra l’io e il suo doppio, e si propone come un problema di identità. Una forma di narcisismo che allude all’attrazione che una persona prova per la propria immagine e per se stessa. Un’attrazione che può sfociare in amore o in odio, e così anche tra i due cavalieri si instaura una relazione che può risolversi in un dialogo complice o in una sfida all’ultimo sangue, per decretare la supremazia di uno sull’altro. Realizzati in vetro nero soffiato, stampato e satinato, i due elmi dalla forma semplice ed essenziale evocano dunque uno stato di tensione “sospesa” che coinvolge lo spettatore, rendendolo partecipe dell’incontro di due forze primordiali che si perpetua nel tempo.
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GIOVANNI BIANCHI IDENTITÀ CEL ATA
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Celata series #02 2009 Vetro soffiato, stampato e satinato 44 × 32 × 32 cm
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DOV’È L A “PROVA” IN QU ESTA PAROL A “RIVOLUZIONE”? ANDREA PAGNES
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A jet glass sparkles, Rippling like magma. Sharp javelin gyroscopes, Physically pulsing, They shake my bones. Flickering like onyx flames, They rise straight into my brain. Smothered underneath a light Covered in a silent spasm, Oscillating, spinning, shaking, revolving, rotating My real life melts, grounding into the floor.
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ANDREA PAGNES “RIVOLUZIONE”? IN QU ESTA PAROL A DOV’È L A “PROVA”
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Che significa uscire da me stesso? Che cosa vuol dire comunicare con gli altri? Trovare un senso, una dimensione, riconoscere, rivelare… Che cosa significa tutto questo? Comunicare è un atto che appartiene al corpo. Solo. Non ha nulla a che vedere con l’informazione. È oltre qualsiasi schema pre-ordinato. Si tratta di ritmo, suono, estensione di respiro. È puro fatto emotivo. A rimuovere l’emozione, si finisce col favorire l’inganno e dichiarare il falso. Segni, parole dette o scritte, colori assorbiti e respinti dall’occhio, Tutto riconduce al corpo. Per il corpo non c’è altra soluzione: Quando cede alla menzogna, confessa. Sempre. Rivoluzioni 2011 Video dvd
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COINCIDENTIA OPPOSITORUM ALBERTO Z ANCHET TA
Pare rivivere in quest’opera il combattimento che indusse Damosseno di Siracusa a uccidere Creugante di Durazzo. Una morte che Damosseno procurò deliberatamente, aprendo il pugno nell’ultimo, micidiale, colpo che gli valse la squalifica. Ma se allora era Creugante a scoprire il fianco, l’angolazione scelta da Morucchio (in cui viene estromessa la mano tesa che si sarebbe dovuta configgere nell’addome del giovane antagonista) sembra far assumere a Damosseno quella stessa, identica postura. Il pugilato, così com’era stato istituito ai giochi olimpici nel 688 a.C., non aveva limiti di tempo, i contendenti dovevano essere atterrati oppure costretti ad arrendersi; in modo analogo, la specularità di questo dittico intende riproporre il combattimento ad libitum, finanche
ALBERTO Z ANCHET TA OPPOSITORUM COINCIDENTIA
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ad infinitum, costringendo Damosseno ad assumere l’atteggiamento di attacco e al contempo di difesa, come fosse condannato a duellare con se stesso per l’eternità. La crudeltà dello spietato pugilatore si trasferisce però dalle Olimpiadi all’Olimpo per la scultura, vale a dire la gipsoteca canoviana di Possagno, dove il cimento del nudo corpo viene insidiato da un raptus d’ebbrezza pirica, empito a consumare la propria rivalsa nel periglioso raffronto tra passato e presente. “Ardore in pectore”: la fotografia di Morucchio è la riproduzione – e la duplicazione – di un negativo in cui l’eburneo torace dell’atleta viene convertito in una superficie caliginosa, tale da far risaltare le repère che crivellano il gesso (fessure nelle quali venivano infilati dei chiodini metallici che servivano agli sbozzatori per riprodurre la figura in marmo mantenendone le esatte proporzioni e i medesimi valori plastici). Sono punti nevralgici, di luce-spaziotempo, sorta di nivei nei che trapassano l’immagine per restituirle quell’aur[e]a [dimensione] del terribile, ossia del sublime, che trovavamo nella fronte corrucciata e nella muscolatura contratta, esplicitamente rabbiosa, del Damosseno scolpito da Antonio Canova.
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Damosseno 2011 Dittico stampa inkjet 115 Ă— 89 cm cad.
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ANDREA MORUCCHIO
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Laureato in Scienze Politiche presso l’Università di Padova, inizia l’attività di fotografo nel 1989, realizzando alla metà degli anni ‘90 un importante ciclo di lavori legati alle permanenze a Cuba e in Nepal. Dalla fine degli anni ‘90 amplia la propria ricerca linguistica - sovente supportata da riflessioni di carattere politicosociale - su diversi fronti, dalla scultura all’installazione, dal video alla fotografia, alla performance. Nel 1996 partecipa alla collettiva Carnet presso la Fondazione Bevilacqua Bevilacqua La Massa di Venezia e nel 2000 ha la sua prima personale, Dinamiche, a cura di A. Pagnes alla Galleria Rossella Junck di Venezia, dove presenta il nucleo iniziale della sua produzione plastica (Blade, Enlghtements). Nel 2002 realizza l’installazione ambientale Percer-Voir presso i Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia e partecipa al progetto Gemine Muse, a cura di V. Baradel, al Museo Mocenigo di Venezia con l’ audiovideoinstallazione Le nostre idee vinceranno. L’anno seguente è artist in residence della Claudio Alcorso Foundation presso la Tasmanian School of Art di Hobart in Australia dove idea l’opera multimediale Eidetic Bush – scaturita dalla visione dei boschi incendiati della Tasmania, che presenta alla Plimsoll Gallery di Hobart nello stesso anno. Nel 2004 con l’installazione luminosa Pulse Red, il Globo d’Oro della Punta della Dogana viene fatto pulsare di luce rossa per diverse notti, trasformando lo storico punto di convoglio delle informazioni in simbolo del bombardamento informativo massmediale. Nel 2005 alla collettiva Hollywood alla Galleria Contemporaneo di Mestre presenta The main show, dove affronta il tema della spettacolarizzazione della religione cattolica in una sequenza di fotogrammi della Pietà canoviana in
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cui il Cristo morto è ripreso da diverse angolazioni con effetti cinetici. Sulla reinterpretazione formale dei gessi di Canova e dei punti di rèpere per la traduzione nel marmo, si impernia il progetto Emerging Code (2006), in cui scultura e fotografia interagiscono in un processo di astrazione della callimetria canoviana. Il lavoro viene presentato in due personali, alla Despard Gallery di Hobart e presso la Galleria Rossella Junck di Berlino nel 2006. Nello stesso anno partecipa alla collettiva Dis-orders, a cura di M. Baravalle alla Fondazione Bevilacqua La Masa e alla mostra Open Space (a cura di L. Facco, A. Zanchetta) al Centro Culturale Candiani di Mestre. Nel 2007 presenta l’installazione Laudes Regiae nell’ex Convento dei Santi Cosma e Damiano alla Giudecca e nel 2008 partecipa alla rassegna Notturni Dannunziani ai Giardini del Vittoriale con la videoperformance Sri Yantra, in cui l’artista è ripreso mentre inspira ed espira secondo il ritmo di un mantra tibetano dalla polifonia disarticolata. Tra i video legati alle questioni sociali e politiche più urgenti: Sabato italiano, (2004), Talk Show (2005) e la video-audio proiezione Verso il Paese dei Fumi e delle Urla (per le celebrazioni del Giorno della Memoria a Venezia nel 2008). Nel 2008 ha avuto una personale al Centro Culturale Candiani dedicata al lavoro fotografico svolto a Cuba nel ‘95 (Cuba, un popolo una nazione). È curatore di esposizioni e progetti artistici, tra cui PetroLogiche (2004), legato alla questione del Petrolchimico di Marghera, Mars Pavilion (2005) alla Serra dei Giardini di Castello e la collettiva Hollywood alla Galleria Contemporaneo (2005). L. Poletto
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Mostre collettive 2011 Padiglione Veneto 54^ Biennale di Venezia | fotografia | Villa Contarini, Padova 2010 Ecobrain | fotografia | Ecoartproject, Fiera, Rimini 2009 Mari contro Mari | scultura | Archivio Storico, Pisa 2009 Premio Internazionale La Colomba | fotografia | Ex Casino di Commercio, Venezia 2009 Effimero, Sistemi di Contemporaneo | installazione | Piazza San Lorenzo, Vicenza 2009 Krossing | fotografia | evento collaterale 53^ Biennale di Venezia, Forte Marghera, Mestre 2009 1st Floor, F. Bianco, Interno3, A. Morucchio | scultura | Liassidi Palace, Venezia 2008 Notturni Dannunziani | fotografia, scultura | Vittoriale degli Italiani, Gardone, Brescia 2008 Giunglavideo.3 | video | SPAC, Villa Toppo Florio, Buttrio, Udine 2008 Mari Contro Mari | fotografia | Galata Museo del Mare, Genova 2008 Arte Veneta tra Pasato e Futuro | fotografia | Castel Vecchio, Verona 2008 Multiversity | fotografia | Magazzini del Sale, Sale Docks, Venezia 2008 Contemporanea: l’arte per Emergency | fotografia | San Marco Casa D’Aste, Venezia 2007 Abbiamo Fatto Bene ad Uscire | fotografia | SPAC, Buttrio, Udine 2006 Julutstallning | scultura, fotografia | Utställningssalongen Gallery, Stoccolma 2006 Open Space | fotografia | Centro Culturale Candiani, Mestre, Venezia 2006 Dis-orders | video | Fondazione Bevilacqua La Masa, Palazzetto Tito, Venezia 2006 Glassdressing | scultura | Museo Cà Rezzonico, Venezia 2005 Hollywood | fotografia | Galleria Contemporaneo, Mestre, Venezia 2004 Cool | scultura | Primio Piano Gallery, Lecce 2003 Isola Luminosa. Moretti, Morucchio, Venini | scultura | Despard Gallery, Hobart 2003 Snap:Shots, blank instructions for possibilities | fotografia | Bassano, Vicenza 2003 Fragile! | scultura | Chiesa di San Samuele, Venezia 2003 Fragile Beauty | scultura | Stiftung Starke, Berlino 2002 Vasi Comunicanti | scultura | Palazzo Mutilati, Verona 2002 Opera Buona | scultura | Chiostri di San Pietro, Reggio Emilia 2001 Il Lento Procedere | scultura | Schola dei Tiraoro e Battioro, Venezia 2000 Artisti del vetro contemporaneo | scultura | Castello Borromeo, Lago Maggiore, Varese 1996 Carnet | fotografia | Galleria della Fondazione Bevilacqua La Masa, San Marco, Venezia
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Progetti e mostre personali 2011 Milan Image Art Fair | mostra fotografia | Bugno Art Gallery, SuperstudioPiù, Milano 2010 [‘Bækgraund] | mostra scultura, fotografia | Garage, Gabicce, Pesaro - Ufofabrik, Moena, Trento 2009 Pulse Red | installazione video | Outdoors, Fontego dei Tedeschi, Venezia 2008 Sri Yantra | installazione video-audio | Notturni Dannunziani, Vittoriale degli Italiani, Brescia 2008 Cuba un Popolo una Nazione | mostra fotografia | Centro Culturale Candiani, Mestre 2008 Verso il Paese dei Fumi e delle Urla | installazione video-audio | Giorno della Memoria, Venezia 2008 Tracciati Esistenziali | installazione video | C_art, Campo Santa Margherita, Venezia 2007 Laudes Regiae | installazione | ex Convento Santi Cosma e Damiano, Giudecca, Venezia 2006 Emerging Code | mostra scultura, fotografia | R. Junck, Berlino - Despard Gallery, Hobart 2006 Gipsoteca | mostra fotografia | Kasia Kay, Chicago - R. Junck, Berlino - Despard, Hobart 2004 Pulse Red | installazione luminosa | Borders, Punta della Dogana, Venezia 2003 Cuba 95 | mostra fotografia | Despard Gallery, Hobart 2003 Eidetic Bush | installazione video-audio | Plimsoll Gallery, Tasmanian School of Art, Hobart 2003 PercerVoir #2 | installazione ambientale | Ten Days on the Island, Botanical Gardens, Hobart 2002 Le Nostre Idee Vinceranno | installazione video-audio | Gemine Muse, Museo Mocenigo, Venezia 2002 Percer_Voir #1 | installazione | Chiostri di San Pietro, Reggio Emilia 2000 Dinamiche | mostra scultura | Galleria Rossella Junck, Venezia
Riconoscimenti
2005 Museum of Old and New Art, Hobart, acquisizione di Blade #10, Enlightenments #3 2003 Residenza Claudio Alcorso Foundation, Tasmanian School of Art, Hobart 2001 Diploma d’Onore J.C.-Franz Foundation, Museum Kunst Palast, Düsseldorf 2001 Museo del Vetro, Murano, Venezia, acquisizione di Enlightenments #5
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Bibliografia selezionata Dinamiche, a cura di A. Pagnes, Galleria Rossella Junck, Venezia, 2000 Ermanno Krumm, E il vetro attraversò il metallo “Il Corriere della Sera” 26 Giugno 2000 Fragile Beauty. Contemporary artists facing glass, a cura di G. Iovane, Venezia 2001 Opera Buona, a cura di M. Paderni, Chiostri di San Pietro, Reggio Emilia 2002 Gemine Muse, giovani artisti nei musei italiani, a cura di V. Baradel, Torino 2002 Art Addiction, 100 contemporary artists, a cura di P. Russu, World of Art Books, Stockholm 2003 Eidetic, a cura di N. Frankham Tasmanian School of Art, Alcorso Foundation, Hobart 2003 Fragile! a cura di A. Dorigato, Chiesa San Samuele, Trieste Contemporanea, Venezia 2003 Italian Artists’ Annual 2004, Three Wise Owls Art & Publishing, Singapore 2004 Borders, multimedial research into frontiers today, a cura di A. Fonda, Patagonia Art, Venezia 2005 Hollywood, a cura di Interno3, A. Morucchio, Galleria Contemporaneo, Mestre, Venezia 2005 Dis-orders, a cura di M. Baravalle, Palazzetto Tito, Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia 2006 Glassdressing, a cura di G. Carbi, Museo di Cà Rezzonico, Venezia - Museo Revoltella, Trieste 2006 Emerging Code, Despard Gallery, Hobart 2006 (testi di M. Baravalle, N. Frankham, S. Simi de Burgis) Joerg Andersch, Emerging Code, “ The Saturday Mercury” 18 Marzo 2006 Open Space, a cura di L. Facco, A. Zanchetta, Centro Culturale Candiani, Mestre, Venezia 2006 Laudes Regiae, ex Convento S.S. Cosma e Damiano, Venezia 2007 (testi di M. L. Brunelli, B. Caccia, M. Frara, P. Toffolutti, S. Viscardi) Daniele Capra, Italiani Fuori, “Exibart on paper” Settembre 2007 Cuba, un popolo una nazione, Centro Culturale Candiani, Mestre, Venezia 2008 (testi di R. Ellero, A. Zanchetta) Giuliana Scimè, Rum dolce come la lingua “Il Corriere della Sera” 10 Febbraio 2008 Arte Veneta tra passato e futuro, a cura di A. Zanchetta, Castelvecchio, Verona 2008 Notturni Dannunziani, a cura di M. Riccioni, Vittoriale degli Italiani, Gardone, Brescia, 2008 La pittura nel Veneto. Il Novecento. Dizionario degli artisti, a cura di N. Stringa, Electa, Milano, 2009
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ANDREA MORUCCHIO: APPUNTI PER UN PROFILO L AU R A POLET TO
Accostarsi al lavoro di Andrea Morucchio significa entrare in una dimensione creativa proteiforme – apparentemente disorientante, forse – che è andata costituendosi in un ampio orizzonte di ricerca: fotografia, scultura, installazione, video e performance sono, infatti, i mezzi che l’artista utilizza da più di un decennio in una continua sperimentazione di dimensioni espressive, esperenziali e creazioni di senso. Se il primo medium d’elezione è stata la fotografia, dalla fine degli anni ‘90 Morucchio si è indirizzato a scandagliare le implicazioni spaziali della scultura partendo dalla realizzazione di una serie di opere in vetro e ferro (Blade ed Enlightenments) che nella loro relazione dinamica tra elementi antitetici raccolgono già uno dei nuclei principali e ricorrenti della sua poetica. Sono opere in cui si attivano differenti rapporti duali: vetro e ferro, fragilità e resistenza, trasparenza e ottusità della materia, mobilità ed immobilità, attivo e passivo; antinomie che determinano quella “tensione”, a volte sottesa, a volte più esplicita, che percorre i suoi lavori, nei quali l’interesse sensoriale per la forma e per le potenzialità espressive della materia
non è mai disgiunto dal livello simbolico o metaforico. Alla bilanciata e meditata definizione di queste prime opere plastiche – insieme essenziali ed evocative – si unisce la profonda conoscenza delle qualità intrinseche del vetro, con il quale l’artista ha avuto costante frequentazione e di cui conosce a fondo effetti, possibilità e tecniche di lavorazione. Strutture di ferro tengono sospese o bloccano lame di vetro di cui accentuano il senso di mobilità, “contingenza” e fragilità (Blade, 1999), oppure, cunei di vetro trasparente squarciano immote superfici di ferro proiettandosi, grazie ai riflessi luminosi, oltre i propri confini formali, in un’espansione nello spazio che tende alla smaterializzazione della materia stessa (Enlightenments, 2000).
L AU R A POLET TO APPUNTI PER UN PROFILO ANDREA MORUCCHIO:
Enlightenments, 2002, Museo del Vetro, Murano
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Fendere lo spazio, squarciare l’ombra del metallo introducendovi la luce, grazie alla trasparenza e la purezza del vetro, sembra corrispondere non solo ad una ricerca di carattere estetico ma anche etico, una necessità di “chiarire”, una volontà di discernimento, e ancora una liberazione dalla pesantezza/oppressione dell’indistinto, del confuso. Per certi versi la ricerca di una carica energetica dei materiali sembra avvicinarlo ad una sensibilità appartenente alle tendenze dell’Arte Povera, ma Morucchio incanala le potenzialità della materia in forme rigorose, determinate e realizzate con estrema precisione avvalendosi di un lungo e complesso processo di lavorazione, che, tuttavia, non ne toglie l’anima ma, anzi, pare quasi condensarla o “custodirla”. Si apre in tal modo un “catalogo” di immagini quasi archetipiche, sacre o rituali di forte valenza semantica, portatrici di un continuo confronto di forze: dalle traiettorie luminose dei cunei di cristallo delle sculture Enlightenments alle lame di vetro bloccate nel loro slancio frontale da barriere di metallo (Wave, 2001), sino ai levigati fasciami di giavellotti in vetro satinato tenuti insieme per “costrizione” da pezzi di camera d’aria (Accumulo, 2002). L’interesse verso uno sviluppo della forma e della materia nello spazio – chiaramente individuabile nella serie Enlightenments – viene ulteriormente approfondito negli interventi ambientali realizzati nel 2002 presso i Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia e nel 2003 in Australia per i Royal Botanical Gardens di Hobart. Percer-Voir (2002) sembra infatti essere l’evoluzione “ambientale” delle prime prove scultoree nella ricerca di uno spazio sensoriale e percettivo sempre più ampio e interagente con l’osservatore.
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La reiterata scelta dell’uso del vetro che caratterizza questa fase della produzione dell’artista è determinata dalle proprietà specifiche del materiale: la trasparenza, la “mobilità” gli effetti di smaterializzazione e dinamicizzazione determinati dai riflessi luminosi. Già nel titolo Perce-Voir, che gioca con i termini percepire, forare, vedere, ritorna quella esigenza linguistica, estetica ed etica insieme di aprire altre possibilità di percezione, di comprensione, di discernimento oltre le abitudini visive, sensoriali o intellettuali.
Percer-Voir, 2003, Royal Botanical Gardens, Hobart
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Continua quindi una ricerca che tende a varcare l’apparenza o la consuetudine nelle dimensioni più diverse: innestando una serie di punte di vetro cristallo nel terreno di un prato o sullo specchio d’acqua di un lago, l’artista utilizza i riflessi della luce naturale – e dell’acqua - sulla materia vitrea per generare nuovi contesti d’esperienza in una direzione che sviluppi le proprietà emozionali e percettive del materiale, “aprendo” il campo visivo dell’osservatore ad una esperienza altra dello spazio. Caratteristiche peculiari della materia che vengono piegate in senso strettamente metaforico in un’opera quale Iconoclasm (2003): la proprietà del vetro di assorbire la luce, imprigionarla e farne la propria essenza viene usata come metafora “visiva” dei meccanismi di formazione, affermazione e persistenza dei poteri totalitari - nazismo in primis - nei confronti delle masse assoggettate.
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Eidetic Bush, 2003, Plimsoll Gallery, Hobart
Nel 2003 durante la sua residenza presso la Tasmanian School of Art di Hobart in Australia con Eidetic Bush tocca, invece, uno dei problemi più urgenti della regione riguardante l’ingente distruzione di zone boschive dovute agli effetti del surriscaldamento globale e alle devastanti pratiche di disboscamento.
Le Nostre Idee Vinceranno, 2002, Museo Mocenigo, Venezia.
E proprio l’impegno critico, politico e sociale costituisce uno dei punti di collegamento della eclettica prassi di Morucchio: dai riferimenti ai “supremi sacrifici” terroristici insiti nell’audiovideo installazione Le Nostre Idee Vinceranno (2002), realizzata nella Sala Rossa del Museo Mocenigo di Venezia all’installazione luminosa Pulse Red (Punta della Dogana, Venezia), segnale d’allarme per i rischi della congestione dell’informazione mass-mediale, dalla complessa opera multimediale Eidetic Bush, realizzata in Australia a Laudes Regiae (2007), installazione progettata nell’ex Convento dei Santi Cosma e Damiano alla Giudecca. Ne Le Nostre Idee Vinceranno Morucchio prende spunto da un dipinto del XVIII secolo conservato a Palazzo Mocenigo in cui è rappresentato l’atto eroico del Capitano da Mar Zaccaria Mocenigo che decise di far esplodere la sua nave sacrificando la propria vita e quella dell’equipaggio piuttosto che arrendersi al nemico. Estrapola dall’opera una sequenza di fotogrammi dei corpi delle vittime coinvolte nella deflagrazione e li elabora in un video in cui vengono ingranditi ma ridotti a semplici silhouette proiettate ai lati del quadro. Gli inconsistenti profili dei “sacrificati” appaiono e si dissolvono tra i gigli di broccato della parete al ritmo del coro de Il Canto Sospeso di Luigi Nono – tratto da una lettera di un condannato a morte della resistenza al nazifascismo – trascinati nel turbinio di un mare rosso di drammatico sapore macbethiano, del “sangue che chiama sangue”.
Gli scenari in abbandono dei boschi incendiati della Tasmania, nel loro spettarle spegnimento cromatico, divengo il luogo di un complesso processo di elaborazione che unisce atti performativi e operazioni digitali. Gli interventi dell’artista nel bush sembrano poter riattivare la potenza dell’immaginazione: i segni incisi sulle cortecce, le spirali di creta modellate sui tronchi carbonizzati paiono quasi un rito di ri-approriazione di una possibilità d’esserci e di immaginare ancora; poter “riscrivere” i propri perimetri esistenziali in uno spazio al quale la combustione ha cancellato la memoria - quindi il senso dello spazio e del tempo - dopo una devastazione che inevitabilmente rimanda a quella inflitta dagli occidentali alle popolazioni aborigene, razziate dei propri territori cosi inestricabilmente connessi alla loro cultura, e quindi azzerate totalmente.
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Pulse Red, 2004, Punta della Dogana, Venezia
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Nelle proiezioni video le spirali incise o modellate con la creta sui tronchi degli alberi si uniscono ad altre costruite digitalmente: appaiono e scompaiono seguendo l’andamento ritmico di Caminantes...Ayacucho di Nono, mentre l’osservatore pare effettivamente addentrasi in uno spazio eidetico misterioso, dove si riattiva la “rivolta” di una memoria lontana e si riscrivono i primi segni di una spiritualità perduta. La capacità di relazionarsi e dialogare con il preesistente – sia che si tratti di un luogo, di una testimonianza storica o di un’opera d’arte – è uno dei punti di partenza per molta parte della produzione di Morucchio, come per Eidetic Bush, così anche per l’intervento di arte pubblica Pulse Red (2004) nel quale l’artista si mette in rapporto con l’architettura, la storia e il significato di un luogo-simbolo di Venezia come Punta della Dogana sul Bacino di San Marco. Con uno dispiegamento minimo di mezzi raggiunge esiti di forte impatto scenografico convertendo il significato simbolico del luogo in una sua attualizzazione semantica. Per diverse notti fa pulsare il Globo d’Oro di Punta della Dogana di luce rossa intermittente, trasformando la storico punto di convoglio delle merci e delle informazioni in un allarme, nel segnale del collasso del sistema comunicativo massmediale, che nel suo pulsare si manifesta emblematicamente la propria implosione e al contempo pare soffocare qualsiasi intelleggibilità. L’utilizzo e l’oscillazione tra differenti mezzi espressivi sembra, a volte, inserirsi in un processo di creazione di diversi palinsesti che sovrapponendosi progressivamente determinano lo sviluppo di lavori di complessa concezione, come Emerging Code - nato dall’interazione di scultura e fotografia - ideato nel
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2006, ma che ha i suoi prodromi in un lavoro fotografico realizzato nel 1994 nella Gipsoteca di Possagno (Gipsoteca). La lunga meditazione sull’opera canoviana, sui gessi in particolare, sfocia in Morucchio in un’interpretazione aniconica della stessa. L’artista si concentra sui punti de repère dei modelli canoviani; questi strumenti di codificazione per la traduzione nel marmo dell’equilibrio e la bellezza ideale, vengono isolati ed elaborati in forma di piastrelle di vetro dalla punta arrotondata, che divengono il modulo per la realizzazione di sculture di impostazione rigorosamente geometrica (Cross Shoots, 2005), ironicamente allusive (B[æ]d Time, 2009) ma anche elemento costituente di più complesse opere plastiche (Off Shoots, 2006). Emerging Code si fonda sulla connessione tra le sculture della serie Off Shoots dove ritornano i materiali più utilizzati dall’artista, il vetro e il ferro, in un’ interpretazione assolutamente personale della callimetria canoviana e le stampe su film d’argento delle immagini di particolari fotografici dei modelli in gesso rimanipolati digitalmente (Emerging, 2006). Nelle stampe fotografiche i torsi dei lottatori Creugante e Damosseno vengono virati in rosso: accentuati nella trazione delle fasce muscolari si accendono di una sensualità inedita e, al contempo, le loro volumetrie estrapolate ed isolate sembrano quasi introdotte ad un procedimento astrattivo, al quale partecipano radicalmente le opere plastiche che hanno portato al limite il processo di idealizzazione canoviano, fino alla scomparsa del riferimento figurativo e l’estrema riduzione minimale e aniconica dei modelli in gesso. Ma i punti de repère trasposti tridimensionalmente in piastrelle di vetro rosso-arancio rimangono a condensare una sorta di calore generativo, di
Sri Yantra, 2008, Vittoriale degli Italiani, Brescia
luminosa forza pulsionale che si apre e fuoriesce dalle opache superfici del ferro, slabbrandole. Il ricordo dei torsi riemerge nella video-performance Sri Yantra (2008), quasi come un percorso di elaborazione a tappe, dalla fotografia alla scultura, dalla scultura alla performance. Il torso dell’artista virato in rosso viene ripreso con la stessa inquadratura delle stampe fotografiche, mentre inspira ed espira secondo il ritmo di un mantra tibetano dalla polifonia disarticolata.
Il discorso condotto sovente nel suo lavoro attraverso una concezione dualistica fondata su forze antinomiche cosi come sull’ambivalenza dei messaggi, si ritrova e viene superato in una sintesi e riunificazione degli opposti e complementari: inspirazione ed espirazione, maschile e femminile, forma e informe. Per mezzo del respiro il corpo diviene materia elastica in trasformazione, che fuoriesce dai propri limiti perdendo i confini anatomici: dalla divisione degli opposti all’uno unificante, al ritorno forse ad un’androginia primordiale. Il colloquio con la scultura canoviana funge anche da punto di partenza per il lavoro fotografico The Main Show, realizzato nel 2005 nel quale l’artista affronta il tema della spettacolarizzazione della religione cattolica in una sequenza di fotogrammi del modello in gesso della Pietà. Il gruppo
scultoreo viene fotografato variando leggermente ad ogni scatto l’angolo di ripresa, la disposizione ravvicinata delle immagini in bianco e nero disposte in senso orizzontale riproduce l’effetto di una sequenza cinematografica che stringe sempre più l’inquadratura nel centro emotivo della composizione, enfatizzando la drammaticità del soggetto che viene, di fatto, “messo in scena”. Una presa di posizione critica nei confronti della politica papale contemporanea e delle proclamazioni di nuove crociate “di civiltà” si esplicita nella installazione Laudes Regiae, realizzata nel 2007 nell’ex convento dei Santi Cosma e Damiano alla Giudecca. Una schiera di elmi rossi di vetro soffiato e satinato, realizzati sullo stampo di una celata a becco di passero del XIV secolo, viene disposta a terra nella sala del convento veneziano mentre si diffondono le Laudes Regiae, il coro per messa di incoronazione tratto dal Manoscritto di Bamberg (XI secolo); sulla parete dinnanzi agli elmi i profili sintetici del Passauer Wolf - che veniva punzonato sulle spade medievali – pulsa ad intermittenza, come la pericolosità dell’uomo per l’uomo, quell’istinto di sopraffazione apparentemente mai pago, che lo rende oppressore e carnefice di se stesso (homo homini lupus) nella continuità nel tempo e negli eterni ritorni della storia.
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Laudes Regiae, 2007, Ex Convento Santi Cosma e Damiano, Venezia
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Verso il Paese dei Fumi e delle Urla, 2008, Venezia
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Aspetto, quest’ultimo, affrontato anche nella video-audio proiezione Verso il Paese dei Fumi e delle Urla, realizzata a Venezia nel 2008 per le celebrazioni del Giorno della Memoria. Decine e decine di immagini dei simboli che, cuciti sulle vesti, marchiavano gli internati nei campi di concentramento nazisti: - gli ebrei, gli omosessuali, gli zingari, le prostitute o i comunisti - vengono proiettati sulla facciata di un edificio nel cuore della città. La stella a sei punte o il triangolo isoscele di diversi colori assemblati e allineati, riprodotti nei minimi dettagli, ricompongono un atroce atlante dell’inumano, della discriminazione e della violenza, mentre scorrono i brani musicali di Nono tratti dalle musiche di scena di Die Ermittlung di Peter Weiss. Un patchwork di pezzi di stoffa, i cui colori, i ricami, la trama del tessuto, fungono da ingannevoli richiami; distanti dalle immagini in bianco e nero delle testimonianze storiche, appaiono ad un primo acchito quasi innocui, paiono affascinare o incuriosire così come continuano ad esercitare e moltiplicare la propria fascinazione la xenofobia, la discriminazione dell’altro, del diverso e delle minoranze.
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Soprattutto per quanto riguarda la produzione video, i temi che Morucchio sviscera sono strettamente di carattere politico e sociale: il fulcro del lavoro stesso pare consistere nella questione urgente da affrontare e il video sembra, quindi, essere per l’artista il mezzo più immediato ed incisivo: da Sabato italiano (2004) a Talk Show (2005), a Tracciati esistenziali (2008) scanditi, quest’ultimi, dalle frenetiche traiettorie di un gruppo di formiche che vengono utilizzate come metafora dei nostri sconsiderati ed eterodiretti percorsi d’esistenza. La fotografia rimane lungo tutto il percorso dell’artista un mezzo fondamentale di espressione, sia nella sua connessione con altre dimensioni linguistiche, nella relazione ad esempio con la scultura come in Emerging Code, sia in senso strettamente autonomo. A quest’ultimo versante appartiene molta parte del lavoro di Morucchio condotto dagli anni ‘90 in poi, dai lunghi e reiterati soggiorni a Cuba e in Nepal ad altri luoghi più vicini e quotidiani. La capacità di entrare in una completa empatia con i diversi contesti nei quali si trova a vivere, o che incrocia, gli permette, grazie all’obiettivo fotografico, di addentrarsi sempre in una sorta di narrazione, di cui ferma i fotogrammi che divengono punti di partenza per altre storie, vere o immaginarie, possibili o impossibili. Ma allo stesso tempo non è mai un “abbandono” totale al soggetto, è sempre un allineamento di emozione e coscienza, di dentro e fuori, è immediata percezione di ciò che accade e rigorosa inquadratura dell’istante. Da questo deriva il forte senso della composizione: impalcatura formale e semantica di ogni immagine, “struttura narrativa” che lega i “segni” tra loro restituendone la possibilità di un racconto. La precisione compositiva, l’organizzazione plastica e il forte senso
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e le relazioni formali tra le parti, raggiunta attraverso calibrati dosaggi di luce ed ombra, si unisce ad una reinterpretazione emozionale della scultura stessa. Come in una sorta di visione rallentata, infatti, nella successione delle riprese, basate sempre su di un progressivo scarto tra inquadratura e inquadratura, l’artista arriva a concentrarsi sui “nodi” emotivi e strutturali dei soggetti, accentuandone lo stato della disperazione, del dolore, della complicità o dell’armonia, dalla Pietà alle Le Grazie ad Amore e Psiche stanti, cosi come per mezzo di sapienti prospettive instaura inediti legami e rapporti tra le sculture, strette nelle maglie invisibili di un silenzio straniante fatto di impercettibili dialoghi.
Dinamiche, 2000, Galleria R. Junck, Venezia Emerging Code, 2006, Galerie R. Junck, Berlin
del colore, in accezione a volte emotiva o strutturale, sfocia sovente in opere di impostazione quasi pittorica, senza perdere, tuttavia, quella proprietà fondamentale della fotografia, quell’indicalità che da Morucchio viene assunta in modo integrale e assoluto nei confronti dell’esperienza della realtà; registra con occhio al tempo stesso acuto e stupefatto pezzi di quotidianità, cattura sguardi che forano la distanza tra soggetto e obiettivo raccontando, già senza saperlo, frammenti di vita, oppure ferma situazioni al limite del reale o, ancora, registra silenziose stasi metafisiche di oggetti e architetture solitarie negli scenari di teatri urbani. Gli aspetti formali e compositivi non sono mai disgiunti dai contenuti e dalla partecipazione emotiva al soggetto, sia un luogo, un accadimento, una persona o un’opera d’arte, come avviene in Gipsoteca (1994). In questo lavoro fotografico realizzato presso il museo canoviano di Possagno la concentrazione sui valori plastici
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