4 giugno Elisa Claps, un caso di coscienza collettiva

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Elisa Claps

Un caso di coscienza collettiva di Teri VOLINI

ella prima settimana del primo mese del 2001 - a cavallo della festa dell''Epifania - i cittadini di Potenza si ritrovarono di fronte ad un'inusuale presenza: un cumulo di piscòn', grandi massi trasportati e sistemati con l'aiuto di camion e gru nella piazza Mario Pagano, cuore della cittadina lucana. Grande fu lo sconcerto dei frequentatori della pedonale via Pretoria, molti dei quali dediti all'abituale struscio e - in quel periodo dell'anno - allo sfoggio dei nuovi capi di abbigliamento frutto delle feste ancora in corso - non gradirono che quel guizzo finale di clima natalizio fosse disturbato da un "ammasso di macerie", come venne da alcuni definito.

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PESANTI COME MACIGNI A seguito della Installazione, l'Opera prevedeva il coinvolgimento della cittadinanza in un'azione collettiva che sottolineasse quanto la nostra superficialità, la pigrizia mentale e la rimozione contribuiscano al perpetuarsi delle modalità mortifere invece che allo sviluppo di quelle basate sulla vita, la comprensione, il rispetto e la civile convivenza. Sotto le pesanti pietre, un lucente nastro rosso, impietosamente compresso dai massi, simboleggiava l'energia della vita schiacciata dalla durezza d'animo della maggior parte dell'umanità, giunta al punto di ignorare qualsiasi cosa non rientrante nei ristretti ambiti dell'interesse personale o al massimo della propria cerchia familiare o del gruppo d' appartenenza sociale. In sintonia con un'arte attivatrice di conoscenza e consapevolezza, cosa viva e attiva nel promuovere importanti processi di rinnovamento e ritrovamento, l'Opera si proponeva di stigmatizzare i comportamenti con cui umiliamo e distruggiamo la vita e le migliori qualità degli umani: la sincerità, la compassione, la fratellanza, il corag-

gio, la generosità, il rinnovamento, la gioia ... Non osando apertamente contestarla e non trovando valide motivazioni per farlo, venne attivata una tattica alternativa: sminuirla con l'evitamento, minimizzarla con il silenzio; distruggere tramite l'ignoramento il "Documento di pietra", l'impegnativa Installazione che venivo a realizzare simbolicamente proprio all'inizio del terzo millennio: in tal modo il significato e l'intento comunicativo non ebbero la possibilità di essere compresi, ne furono anzi impediti e travisati.

verso quanto accade intorno a noi che ci rende dei "recettori" indifferenti alle problematiche più vicine come a quelle più lontane, nella immensa sofferenza del mondo. In tutti i luoghi del pianeta sono diffuse tali attitudini; i piccoli centri se ne credono immuni, ma la montagna di pietre che ricopriva e schiacciava quel nastro di seta purpurea, se osservato con mente aperta, evidenziava la responsabilità di ognuno di noi in tutto ciò che accade e quanto l'insensibilità e l'omissione equivalgano ad una precisa "complicità" con gli autori di ogni delitto.

IL PUNTO DOLENTE Anzichè sprofondare nella delusione e nell'astio, mi feci attenta osservatrice di quanto accadeva, arrivando alla conclusione che proprio quella reazione disturbata fino al limite della negazione e dell'offesa era la prova che l'Opera aveva colto nel segno: essa veniva respinta proprio perchè aveva toccato un punto dolente; il suo significato era stato percepito nel profondo, al di là della mente cosciente. Era stato colto il severo messaggio su cui riflettere e da cui partire per riconsiderare pensieri, azioni, abitudini e scadimenti dell'umana natura e nostri personali. La maggior parte della gente - pur senza volerlo ammettere ed anzi rigettando l'opera che glielo sottolineava - aveva compreso qualcosa di troppo penoso e difficile da accettare e affrontare: la cattiva coscienza che alberga in ognuno di noi, la mancanza di quel "feroce" coraggio che ci spinge a cercare e riconoscere il "negativo" per potercene poi liberare, proprio come si fa con una malattia. All'Opera toccava il compito di evidenziare quella modalità che ci fa rendere "normale" qualunque cosa, anche la più orrenda, fino a non vederla nemmeno; di stanare quella sorta di assopimento, quell'apatia

A CENTO PASSI E intanto, senza che nessuno lo sapesse (?), a cento passi dalla piazza, mentre molti dei passanti - seccati, irridenti o sdegnati - mettevano bende sugli occhi per non vedere i massi che li rispecchiavano nella loro parte oscura e tappi alle orecchie per evitare di sentire lo stordente messaggio che la pietra tentava di comunicare; a cento passi dalla montagna di pietre, sotto un cumulo di materiali edili, giaceva il corpo di Elisa Claps, la sua energia vitale ormai spenta. Nascosto nel sottotetto di uno dei principali luoghi di culto della città, privato della sua giovane vita a quel tempo già da 8 anni, esso è rimasto abbandonato nella Chiesa della Trinità, nel centro stesso del capoluogo di regione: avvolto in una impenetrabile rete di coperture e misteri, nonostante le strazianti quanto dignitose richieste fatte dalla famiglia affinchè si rompesse il silenzio da parte di chi poteva fornire informazioni. Diciassette lunghissimi anni, durante i quali noi abbiamo goduto del tiepido sole, gustato il cibo, potuto conoscere nuovi luoghi e nuove persone, amato, sofferto, creato, insomma vissuto la nostra vita; diciassette anni, oggi improvvisamente

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dilatati, divenuti atemporali per tutta la cittadinanza, di certo eterni per la madre della ragazza, cui - fino al ritrovamento non era dato neanche di sapere se piangere come morta la sua quasi-bambina scomparsa. SIAMO TUTTI COLLEGATI Ciò che accade nei tragici giorni dopo il diciassette marzo, data del ritrovamento dei resti del corpo fisico di Elisa, e lo stesso reiterato, scomposto susseguirsi di rinvenimenti, dichiarazioni, ritrattazioni, seguite e provocate dalla massa d'acqua simile a lacrime che ha dato inizio alla"ricerca della verità"- semmai sarà possibile giungervi - non fa che confermare quanto il Documento di pietra suggeriva senza parole: comprendere e accettare che siamo tutti "collegati"; che con il nostro comportamento ci influenziamo reciprocamente; che siamo tutti responsabili di ciò che avviene nel corpo sociale: anche se non implicati personalmente in un delitto, lo siamo comunque in ogni omissione quotidiana, nel non sentire il bisogno di sostituire sincerità all' ipocrisia, nel non attivare una diversa, rinnovata coscienza; nel non nutrire la nostra fame di giustizia e nel non colmare la sete di verità che - sole – possono farci crescere integri e rendere più difficile il verificarsi di simili orribili vicende e di altri più o meno tragici, più o meno locali, più o meno conosciuti eventi; di ritrovarci tutti moralmente avviluppati in così grandi dispiaceri. ARROCCARSI O RIFLETTERE? Oltre al verificarsi di gravi azioni delittuose, non può forse il malessere provocare quegli squilibri che portano anche in piccole città come la nostra tante persone - in particolare donne e giovani – a soffrire, a farsi del male, fino a togliersi la vita? E quel disagio non potrebbe essere favorito da un

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non suffciente ascolto, da un "non ritrovarsi", dalle tante piccole ingiustizie subite, dal sentirsi emarginati, quindi più inclini a infrangere le leggi sociali e naturali? Invece di arroccarsi in sterili difese giustificative, tutto il corpo sociale troverebbe giovameno e occasione di crescita nel riflettere seriamente sul complesso delle cause che portano ai problemi appena accennati; invece di coprire le malefatte o declinare le proprie responsabilità, addebitando il male a un solo "colpevole", non sarebbe più produttivo considerare che ogni azione negativa- risaputa o meno - ha effetti potenti nel personale e nel sociale e ricordare che nulla di ciò che facciamo è privo di conseguenze? UNA SOCIETÀ PIÙ FELICE Non entro nel merito dei " poteri" che si ipotizza possano stendere la loro longa manus su tutto quanto accade in questa e in altre simili situazioni: qui o altrove, negli affari generali ma anche nella normale gestione della quotidianità, dove tante sono le cose da rivedere se si vuole costruire una società più equilibrata, più giusta, più felice . So soltanto che non potrebbero farlo se ognuno di noi, come libera persona e come cittadino cosciente, rifiutasse di aderire a qualsiasi modalità dubbia; se trovasse il coraggio di respingerla, ammettendo pubblicamente i problemi proprio per trovare efficaci soluzioni . Potremmo enormemente arricchire la nostra vita comprendendo il potere che dà il fare in ogni occasione "la cosa giusta", invece di normalizzare qualsiasi cosa, anche l'orrore, cadendo preda di quell'assordante silenzio che apparenta troppo alle società feudali e alle mafie di ogni tempo. terivolini@hotmail.com www.terivolini.it


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