IO VADO SCALZA
ANGELA "Li ho visti insieme, ti dico!" "Ma chi, la sorella di Giulio?" “Si!! Mano nella mano in gelateria!” “Ma se è sposata e ha due figli!” “Con quest‟altro è scappata! Ed ora gira con lui tranquillamente alla luce del giorno!” “Ma che mi dici!” Mio Dio. Chiacchiere infinite che si coprono l'una con l'altra, fondendosi in un unico, insopportabile frastuono che la mia intelligenza si rifiuta di subire ancora. Manca poco a mezzogiorno: intorno a questo tavolo, tutte noi in cucina davanti al caffè. Mi sembra di vivere una realtà pari ad una qualsiasi piazza di paese. E pensare che c‟è gente che invidia chi abita nella capitale, paesani chiusi nel loro provincialismo che castra ogni idea o iniziativa, che immagina la città come una grande opportunità per emergere. Io abito a Roma: Giardinetti, in periferia nord. C'è chi si sente più romano perché abita al centro o più vicino al cuore di Roma e la definisce borgata. Palazzoni popolari, grandi, enormi e pieni di ogni tipo di gente e situazioni, che nella disperazione della quantità, cercano di ridurre il rischio di perdersi formando piccoli gruppetti di chiacchiere da caffè, un concentrato di fatti altrui che mantengono vivo lo spirito della riunione quotidiana. Ma io non ne posso più. E' da quasi una settimana che la mattina sono a casa per lo stop pasquale delle lezioni universitarie. Ero contenta di questa pausa, posso dormire un po‟ di più ed avere più elasticità di tempi per studiare. Ma mio malgrado, mi sono ritrovata inerme ad assistere ogni mattina, al giornale radio di quartiere. Ma come fa mia madre a vivere così? E‟ vero che lavora, fa il turno serale ad un albergo quà vicino ed ha tutti i diritti di svagarsi un po‟. Ma l‟unica cosa che riesce a fare è svegliarsi un po‟ più tardi la mattina, dopo essersi addormentata a notte fonda davanti la tv, sgranocchiando bruscolini, in tempo per il rituale ( a volte, per paura di perderselo, si mette anche la sveglia…).
Come si fa a riempirsi la vita di niente, a non provare a dare valore al proprio tempo. Il resto della sua giornata, lo passa a rinfacciare a me di stare sempre sola, di passare le mie giornate con la sola compagnia dei libri e della palestra:in questo, non posso darle torto, tolte due o tre amiche non ho molte conoscenze e mi capita spesso di studiare in solitudine. Ma è così sicura che al suo posto starei meglio? Una vera amica è quella che ti racconta il pettegolezzo più piccante? Ho sempre cercato di credere in qualcosa, mi sono sforzata al di sopra delle mie possibilità, senza mai avere la certezza che poi, ci fosse realmente:credere a prescindere nel valore di quel giorno nuovo che porterà qualcosa che riuscirà a ristabilire la giusta prospettiva delle cose…da sempre, questa mia convinzione, è stata la molla che mi ha spinto ad alzarmi ogni mattina. La mia è ancora un‟attesa fiduciosa, che mi aiuta a non smettere mai di sognare e sperare. Anche se ho paura che quando speri e aspetti con fiducia, qualsiasi cosa arrivi credi sempre sia quella giusta. "E' quella che aspettavo, finalmente, non mi ero sbagliata, c'è anche per me". I pensieri ti parlano e così credi che hai finito di lottare, lo aspettavi da tanto e ti illudi al punto che non arrivi a vedere le discrepanze di ciò che non va e che forse non potrà mai andare. L'esempio che ho davanti tutte le mattine, non fa che confermare le mie paure:la visione giornaliera di mia madre, avvolta in una vestaglia bucata e vecchia quanto me, seduta al tavolo di formica in cucina, di fronte ad una tazza di caffè in una mano ed una sigaretta nell'altra, a condividere il tempo con persone con le quali il pettegolezzo è l'unica cosa che hai da spartirci. Chissà se lei come me sperava…se è stata delusa di ciò che ha ricevuto o si è stancata di aspettare invano: forse si è accontentata. Con mio padre, come si dice a Roma, si è sposata con la pagnotta nel forno: è un‟espressione un po‟forte e colorita per dire che si era già in dolce attesa. Arrivata mia sorella, da lui ha avuto poi altri due figli, per un totale così di tre, per poi capire nel mezzo del cammin della sua vita, di non amarlo più e così si è separata. Forse lo ha fatto perché aveva già un‟altra storia, o forse era convinta di meritare di più e di poterne avere una migliore, forse non riusciva più a
convivere con le sue discrepanze:fatto sta che ha fatto quel passo. Anche se poi io, insieme ad un uomo, non l‟ho più vista. “Allora ciao, Angela.” La voce stridula della comare di turno mi risveglia dai miei pensieri:ancora seduta al tavolo, mi accorgo che sono rimasta solo io al mio posto, tutte le altre si stanno avviando verso la porta per andare via. Ops, riunione finita, ognuno torna nella sua gabbia. Mia madre le sta accompagnando alla porta, saluta e bacia, seguendo da brava ospite, la fine del rituale. Il tonfo della serratura che scatta e già dal corridoio sento partire la sua polemica. “Che figlia che ho!Non sai stare in mezzo alla gente!Ma ti sembra questo il modo?Ma che male ho fatto!” Sempre la solita storia:come se quelle quattro pettegole con cui passa il tempo, fossero tutto il mondo. “Mamma non ricominciare! Non ricominciare, per favore!”rispondo piccata. “Sta zitta!”Mi urla in faccia rabbiosa.”Stai zitta almeno!” “Che cosa avrò fatto mai, ho perso le ultimissime di radio serva?” Ironizzo, sul profondo significato su cui vertono le riunioni mattutine. Ma mia madre non è certo il tipo da farsi scappare l‟ultima parola. “Cafona di una figlia, ma sei sicura di essere mia?Dio, quanto spero che ti abbiano scambiato nella culla!” E con quest‟ultima cattiveria che sembra sospendere il tempo, ha tolto il fiato pure a lui, va a lavarsi in bagno. Da piccola era una storia che raccontavo sempre io ai miei fratelli. “C‟è stato uno scambio in culla, un errore di trascrizione, io non sono vostra sorella e questa non è la mia casa, non può essere la mia casa!” Con le parole, davo corpo al mio disagio continuo di sentirmi sempre diversa e sapevo che, se lo raccontavo ai miei fratelli, spioni com‟erano, sempre pronti ad additarmi nella mia diversità, lo avrebbero ridetto subito a lei che, per vendicarsi e per ferire, te lo urlava in faccia volutamente per regalarti ulteriori pillole di tutto il male che ti faceva vivere così ogni giorno. Che palle, ma oggi non ci sto! Decido un brusco cambio di direzione. Mi vesto, mi trucco. “Ciao mamma, io esco, non aspettarmi per pranzo!”
E senza lasciarle il tempo per un‟altra cattiveria sulla porta, la infilo e me ne vado. Ah, libera, finalmente! E sai che nuova c‟è?E‟ una bella giornata di sole, raggiungo il centro e mi faccio una bella passeggiata:al diavolo tutto il resto! /--------------------------------/ Piazza di Spagna ha qualcosa di magico;scendo proprio lì con la metro, ho voglia di passeggiare senza meta. Scorro sul tapis rulantes ;non c‟è molta gente, per la maggior parte sono stranieri, parlano e ridono tra loro e non si capisce un‟acca. Beh, meglio non capire perché si parla una lingua diversa, che continuare un confronto con mia madre che parla italiano, la tua stessa lingua, ma non la capisci proprio e, soprattutto, lei non capisce te. Sicuro come la morte che ora starà cucinando il sugo, lei e tutto il suo gruppo di casalinghe frustrate, se passi a quest‟ora per le scale, si sente giù per la tromba lo stesso odore. “Dove vai di bello tutta sola?” Ecco, l‟ho fatto di nuovo:persa nei miei pensieri, non ho prestato la minima attenzione a quello che succede intorno a me, ma ora non sono di certo al sicuro nella cucina di casa mia. Sul tapis rulantes ormai deserto, un ragazzo dall‟accento straniero con una vistosa cicatrice all‟occhio destro, mi si è piazzato davanti e non mi fa passare. “Già, che fai?” Ora sono due:un terzo lo sento ridere alle mie spalle. “Dai, vieni con noi che ti diverti!” mi dice il primo prendendomi per un braccio e cercando di trascinarmi verso un punto isolato, mentre il compare da dietro, con forza, mi spinge. “Ma che volete…mi lasciate in pace?!” Ma quelli niente, sorridono tra loro soddisfatti per la preda appena catturata. “Aiuto! AIUTO!” Grido con tutto il fiato che ho in gola, cercando inutilmente di puntare i piedi per opporre loro resistenza. Quello dietro si arrabbia, mi da uno spintone e mi fa cadere a terra, mentre gli altri due si accaniscono su di me a suon di pugni e calci. Mi chiudo come un riccio, le mani a proteggere la testa, a cercare di coprire i colpi alla meglio, maledicendo la mia iniziativa di uscire da sola,
cazzo, non lo faccio mai, eppure mi sembrava di aver avuto un coraggio così grande, di aver dato prova di non aver paura, di aver superato me stessa e di aver dimostrato a mia madre di non essere quella che mi urla in faccia tutti i giorni. Quelli continuano ad accanirsi su di me, cercando di strapparmi la borsa e di farmi sciogliere da quel fascio di nervi impenetrabile che sono diventate le mie braccia e le mie gambe, sento afferrarmi le caviglie e i polsi, irrigidendomi ancor di più. Più oppongo resistenza, più le botte arrivano; uno mi da un calcio ai reni che mi fa buttare la testa all‟indietro. Sto per cedere, le forze mi stanno abbandonando, penso con terrore a quello che mi aspetta. Quando credo che ormai tutto è perduto, le botte si fermano. Rumore di schiaffi e stavolta non su di me, voci, urla, gente che corre via. Rimango qualche istante immobile, senza avere il coraggio di guardare, aspettando la completa assenza di rumori per muovermi. “Vieni, è tutto finito, sono andati via…” E‟ una voce dal tono basso e gentile, di un ragazzo credo o almeno così mi sembra:sbircio da dietro le mie mani, senza avere il coraggio di abbassarle. “Va tutto bene ora, è tutto finito…” La sua voce mi rassicura, così le sento abbassarsi piano piano; mi trovo davanti un ragazzo sui 25 anni circa, che mi sorride un po‟ preoccupato. “Vieni, usciamo un po‟ all‟aria.” Tento di alzarmi, ma le gambe mi tremano e ricado a terra, ma lui è pronto a sorreggermi. “Forse è meglio andare al pronto soccorso…” “No…no, sto bene…” “Dai, ti fai visitare e da lì facciamo la denuncia alla polizia.” “No, no, sto bene ti dico, non ci voglio andare all‟ospedale.” Ma lui deve accorgersi del mio tremolio e insiste. “Sei sicura? Forse c‟è qualcosa di rotto.” Faccio per lasciare il suo braccio ed andare da sola. “No…no.” “Lascia almeno che ti accompagni:guarda che non sono cattivo, sono io che li ho messi in fuga, di me ti puoi fidare…” Ritorno ad aggrapparmi al suo braccio, il tremolio sta tornando più forte. Riusciamo ad uscire alla luce del sole:lo vedo scrutarmi attentamente il viso per poi commentare:
“Tranne un livido qui sulla guancia destra, non sembri avere altro:ma addosso? Come ti senti? Quando sono arrivato, eri a terra in mezzo a quei tre che ti prendevano a calci…ma sei proprio sicura sicura di non voler andare al pronto soccorso?”chiede ancora. “Si…sono sicura, sono un po‟ dolorante e terrorizzata, ma non mi sembra di avere niente di rotto, vedi?” E cercando di sdrammatizzare, muovo le braccia e le gambe come i calciatori in allenamento. “Sei stato tu a metterli in fuga?” “Si, appena in tempo credo” “Allora ti devo ringraziare…” “Non c‟è bisogno, credimi.” Ci fermiamo davanti le scale di questa magnifica piazza e credo che siamo ormai ai saluti. Deve aver intuito i miei pensieri. “ Non me la sento di lasciarti in queste condizioni…Io ero qua a fare un giro, volevo mangiare qualcosa. Tu?Andavi da qualche parte? Se vuoi ti accompagno.” “No, ti ringrazio…io volevo solo sedermi sulla scalinata a godermi il sole…” La voce si incrina e gli occhi mi si riempiono di lacrime. “Dai, non fare così, è tutto passato…siediti un attimo qui e aspettami” Mi fa sedere sui gradini e scappa via. “Non ti muovere, eh, torno subito!”mi dice correndo. Passano due minuti e lo vedo tornare con due panini e due coche. “Tieni, spero che lo spuntino che ho preso ti piaccia…” Mi sorride:il suo è veramente un bel sorriso. Certo, ci siamo conosciuti in un modo un po‟ rocambolesco:ma non tutto il male viene per nuocere… /-----------------------------------/ Michele, questo era il nome del ragazzo che quel giorno mi ha salvata da un sicuro stupro, si rivelò essere una persona interessante e simpatica. Fin da quel panino mangiato insieme a piazza di Spagna, era chiaro che fra noi era nata un‟intesa che mai avevo provato per nessuno. Mi fidavo di lui, mi ero fidata fin dal primo istante e per me questo, era un evento inaspettato. Nei rari rapporti avuti fin‟ora, li potevo contare sulle dita di una mano, non
ce n‟è stato uno che non mi abbia fatto soffrire, non c‟è stato un confronto che non mi abbia schiacciata. In ogni situazione in cui mi sono trovata, sono sempre apparsa ridicola agli occhi di tutti e ad uscirne tagliata fuori. Non ho mai avuto un vero giro di amicizie, solo qualcuna sporadica, nulla più. Arrivata all‟età in cui vedevo il mondo girare a gruppi e giunta alla consapevolezza che io non facevo parte di nessuno di loro, ho cominciato a farmi domande sul perché. La convinzione che era solo questione di tempo ed avrei incontrato anch‟io le persone giuste, mi ha fatto continuare ad andare avanti, sbattendo sempre la faccia addosso a quel famoso portone che si dovrebbe aprire quando si chiude la famosa porta. Spesso, dopo l‟ennesima delusione, mi fermavo ad osservare la mia immagine riflessa nello specchio:era quella di una persona normale con due occhi, un naso, una bocca, due gambe, due braccia. Non mi è mai sembrato di essere così diversa dagli altri;ma a volte il confronto con il resto del mondo mi faceva apparire un marziano. Da sempre. Per esempio la mia famiglia:è il mio primo nucleo di appartenenza. Era composta da mamma, papà e tre figli, un maschio e due femmine, io sono l‟ultima. Prima di me c‟era il poco più grande fratellone Andrea, siamo praticamente coetanei e mia sorella Miriam, sei anni in più . A quei tempi i miei stavano ancora insieme e lavoravano entrambi, mio padre come guardia giurata e ruotava sui tre turni, mia madre come cameriera stagionalmente negli alberghi più in della capitale. La particolarità degli orari di papà, gli consentiva di essere spesso a casa insieme a noi ed a gestire, per quello che ne poteva, i tempi. Infatti, faceva molto affidamento su mia sorella maggiore, non accorgendosi che spesso questo, creava disequilibrio tra i fratelli. Visti dall‟esterno, apparivamo come una famiglia normale, come tante di quella fine degli anni ‟70, con pochi soldi, una casa assegnata dal comune, le ferie ogni tanto, l‟unico lusso saltuario, un cono gelato la domenica. Una vita normale, come quella che potrebbe sembrare la mia vita ora:lavoro, studio, casa, raramente qualche amico, come da sempre d‟altronde era stato in casa mia, era difficile respirare la confusione di più persone amiche che mangiano insieme, ridendo e scherzando, intorno allo stesso tavolo. Normale ma ad andare a fondo… Prima incrinatura, la discrepanza del rapporto con mia sorella:diverse in tutto, dal fisico al modo di essere, a volte sembrava volermi mettere in difficoltà di fronte alla famiglia.
Seconda incrinatura:Andrea, mio fratello. Tra noi passavano due anni scarsi ma in realtà eravamo lontani anni luce. Era praticamente un genio: a tre anni e mezzo leggeva e scriveva e a sei , come regalo per il suo compleanno, ha voluto un atlante che dopo neanche una settimana sapeva a memoria. Così ha potuto saltare anche la prima elementare, per lui sarebbe stato tempo perso. Ricordo ancora la faccia di tutti quando ho ritirato i libri per la mia, di prima :sembrava di stare a preparare il corredo per la povera scema che così grande, a ben sei anni, come il 99 % della popolazione di quell‟età, non leggeva ancora e doveva cerchiare gli insiemi prima di arrivare a scrivere i numeri. La cruda verità è che dopo mio fratello non c‟era poi più tanto posto per me in quella casa. Ero nata grazie ad un errore di calendario e per l‟ignoranza di mia madre, che non ha mai imparato quella filastrocca , “30 giorni ha novembre, con april giugno e settembre…”sapete?quella dei mesi. Per quella sua mancanza all‟apparenza non tanto grave ed al caro Gino Knauss e la sua teoria contraccettiva, sono arrivata io e la mia nascita è stata così inaspettata e fuori programma, da lasciarli incerti anche sul nome. Lasciato posto ad ogni tipo di proposta, la prima presa seriamente in considerazione è stata quella di chiamarmi come la nonna materna; sfortunatamente però, aveva lo stesso di quella paterna che mia madre, naturalmente, odiava. Scampata alla possibilità di chiamarmi Vittoria, nome un po‟ ridicolo per me e per il mio ruolo in quella casa, ma d‟altro canto anche veritiero, nel caso improbabile che io fossi mai riuscita a trovarne uno, restava sempre il problema su dove far ricadere la scelta. Nella marea di nomi disponibili, sembrava non ce ne fosse uno che li mettesse d‟accordo né che fosse adatto a me. Così, quell‟amore di mamma, ha pensato bene di far decidere al pallone. Come? Semplice! Quella sera giocava la nazionale: “La chiamo come il primo giocatore italiano che segna!” Pazza incosciente! Affidata la mia sorte ad un pallone, la dea bendata ha voluto avere per me un occhio di riguardo (!) e lasciare che a centrare l‟obiettivo fosse Angelo Domenghini (ma se fosse finito zero a zero? Ancora me lo chiedo…): ho seriamente rischiato di rispondere, per tutta la vita, al nome di Tarcisia o Giacinta. La storia del mio nome può sembrare simpatica e strappare qualche risata
nel raccontarlo agli amici, occasione che mia madre non si è mai lasciata sfuggire, magari quando si tenta di centrare l‟attenzione di tutti e dire così qualcosa di divertente, ma rappresenta in maniera chiara e ben delineata, quali potessero essere i miei stati d‟animo ogni giorno in quella casa: non riuscivo a trovare una mia collocazione, in un posto in cui tutti sembravano avere la loro naturale. Mi sentivo sempre “da sistemare” perché ero sempre e comunque fuori posto… come per il mio nome:trovato dopo perché io, c‟ero o non c‟ero, era la stessa cosa, ero in più, ed erano gli altri che dovevano decidere se il mio arrivo valesse la pena di considerarlo. Qualsiasi cosa nuova che scoprivo ed in cui avevo voglia di mettermi alla prova, c‟era sempre qualcuno che, rispetto a me, lo faceva o lo aveva fatto meglio: a scuola sicuramente Andrea, a casa Miriam. Io… mi barcamenavo in mezzo a questa folla di gente che era la mia famiglia ma che sembrava vivere la propria vita senza di fatto sfiorare la mia. Con il passare degli anni le cose non sono migliorate; le mie prime esperienze fuori casa, confermavano che nel gruppo, ero sempre quella che rimaneva un po‟ in disparte, che non la pensava mai come gli altri, che nelle cose andava sempre controcorrente. Con il tempo ero diventata una bella ragazza, ma il mio aspetto fisico non mi ha aiutata:attiravo gli sguardi degli uomini e suscitavo in loro la voglia di conoscere quella strana creatura che ai loro occhi sembrava irraggiungibile. La cosa solleticava il loro orgoglio maschile di conquista e rendeva me un bersaglio di invidia e cattiveria da parte del mondo femminile. Ma in me non c‟era niente di così irraggiungibile, ero semplicemente una persona che vagava in quella giungla, persa, persa dietro i propri pensieri e alla ricerca disperata di una propria dimensione. Questa mia insoddisfazione, mi portava a cercare sempre persone che sapessero andare oltre l‟aspetto fisico e l‟apparenza, che come me erano nate “fuori dal gruppo”. Io non ne avevo mai avuto uno, non avevo appartenenza, fuori anche dal primo, il più importante, che molti danno per scontato ma di cui io non avevo mai fatto parte, la mia famiglia. In questo mio sentirsi sempre fuori luogo, ho cercato di costruirmene uno tutto mio, dove i sogni erano liberi di essere sognati e dove il tradimento non era contemplato. La sicurezza di un sogno è che non può tradirti, fa così parte di te che se dovesse succedere, non è lui a farlo, ma tu, nel non credere più in lui e quindi a te stesso. Sei tu che, nel rinunciare a
realizzarlo, lo tradisci, molli la speranza di potercela fare, arrivando a non credere veramente più in te stesso:ti tradisci da sola. La danza era il mio sogno. Scrivere era il mio sogno. Insegnare era il mio sogno. Essere amata per quello che sono…quello era il più grande, il sogno dei sogni. Sei forse tu? Nonostante la mia famiglia pullulasse di “geni”, mi sono iscritta all‟Università, scienze dell‟educazione, sono al secondo anno:la mattina frequento i corsi, il pomeriggio insegno danza. E‟ solo un piccolo lavoretto che mi permette di perfezionarmi e di mantenermi agli studi. Non era poi così male l‟idea che anch‟io, vista la parentela, fossi un genio, magari per ora incompreso. E così andavo avanti. Scrivere:quello era ancora un sogno lontano. Per ora in casa, apparteneva a mia sorella.:era convinta di essere una scrittrice di libri gialli e di racconti del terrore. Da parte mia io vedevo solo una persona che occupava le sue giornate molto più solitarie delle mie, a riempire fogli bianchi di storie che avrebbe voluto vivere ma che mai la vita le avrebbe concesso di farlo. La sua libertà di gestire il telecomando, esercitata regolarmente con la prepotenza di chi sa di averne il potere, a me aveva trasmesso solo una paura folle di tutto, del buio, delle cantine, delle tende, delle finestre, con quei cazzo di film di terrore che già a sei anni ero costretta a vedere. Insegnare:forse era l‟unico sogno che sarei riuscita a realizzare presto. All‟Università andavo molto bene e davo un esame dopo l‟altro con ottimi voti. La situazione attuale, in casa, era molto simile a quella della mia infanzia:i miei fratelli lavoravano e stavano fuori tutto il giorno, mio padre se n‟era andato da tempo ed io non lo vedevo più, eravamo quasi sempre io e la mamma. Solo in due, in 140 metri quadri di casa…eppure mia madre riusciva sempre a farmi sentire di troppo. Solo con Michele, per la prima volta, questa sensazione non l‟ho avuta:di lui riuscivo a fidarmi ed essere me stessa, cosa che non avevo mai fatto in vita mia. Uscivamo spesso e passavamo le ore a parlare;mai una volta che si fosse spinto più in là, mai che avesse provato ad allungare le mani. La nostra era un‟attrazione mentale che si alimentava nel conoscersi.
Michele era più grande di me di sette anni e lavorava come grafico pubblicitario:mi diceva sempre che il giorno che avesse imbroccato la pubblicità giusta, avrebbe sbancato. Spingeva come un folle nel lavoro, per vedere realizzato il suo sogno. Sogni, sogni, sogni:parlava solo di quelli e viaggiava con la fantasia. “E tu?Quali sono i tuoi sogni nel cassetto?”mi chiese un pomeriggio, mentre eravamo al Pincio a fare una passeggiata. Quella domanda a bruciapelo mi ammutolì. Sapevo benissimo che il mio cassetto ne era pieno ma non avevo mai avuto il coraggio di confidarli a nessuno. In casa non ero certo incoraggiata, anzi, ero spesso schernita ed ora avevo paura ad aprirmi. “Me ne parli? Perché è impossibile che tu non ne abbia almeno uno!” Le gambe cominciarono a tremare e il mio viso era in fiamme. Mi fermo su una panchina libera cercando di nascondere le lacrime che cominciavano a rigare le mie guancie. “Angela…che cos‟hai?” Abbasso gli occhi imbarazzata, non avevo il coraggio di guardarlo, in quel momento la mia anima era a nudo e non riuscivo a superare l‟imbarazzo. Michele si piegò verso di me in cerca del mio viso;io alzai la testa verso di lui. E‟ stato un attimo. Eravamo così vicini:per la prima volta le sue labbra si posarono sulle mie. L‟emozione chiuse i miei occhi e per un attimo la testa girò. Sorretta dal suo braccio, mi ritrovai avvolta da un‟ondata di desiderio che, improvvisa, mi travolse. /---------------------------------------/ Fino a quel momento aveva rapito i miei pensieri, catturato la mia attenzione, fatto suo il mio tempo. A ciò ora si univa l‟incontro dei nostri corpi che nello scoprirsi, nell‟incontrarsi per la prima volta, intrecciavano a filo doppio la nostra vita. Era amore. L‟unico nostro desiderio era quello di consumarlo vivendolo. Diventammo inseparabili;ogni momento libero era da condividere e quando non era possibile, l‟assenza era pesante. Amavo riamata:il mio sogno più grande prendeva forma ed aveva il tuo viso. /-------------------------------------------/ Michele abitava in un quartiere poco distante dal mio;spesso la notte mi
fermavo da lui, vivendo di fatto quasi una convivenza. Facevo molta attenzione nel non rivelare a nessuno come passavo il mio tempo;a mia madre facevo credere che ero a casa a studiare da Luisa, a Luisa facevo credere che avevo da fare con mia madre. Infatti, non lo avevo ancora presentato a nessuno, tanto meno ai miei, per una serie di motivi, tutti importanti e complessi. Provavo un sottile filo di vergogna nel farglieli conoscere:i miei erano separati ed io non vedevo mio padre minimo da due anni. I miei fratelli prendevano la casa come un albergo e li vedevo passare come rette a me parallele senza di fatto incontrarli mai. E mia madre…la verità era che per loro, io, era come se non esistessi o peggio, sarebbe stato meglio se io non ci fossi proprio. La discrepanza che vivevo, ai suoi occhi, sarebbe stata troppo evidente. Una volta mi ha invitata a pranzo dai suoi, la mamma ed il papà non vedevano l‟ora di conoscermi, niente di più naturale di una domenica da loro. Inizialmente ho provato un profondo imbarazzo, ma superato quello, poi, mi sono sentita subito a mio agio. Michele ha una sorella, Ilaria, di due anni più piccola di lui. Era sorprendente vederli ridere e scherzare, passarsi le cose e rubarsi il cibo dal piatto, con la mamma che cercava di metter loro un freno ed il papà che rideva a crepapelle. Un pianeta parallelo al mio ma lontano anni luce. Se penso ai pranzi e cene a casa mia… Era il momento peggiore: una vera tortura dover mangiare tutto quello che c‟era nel piatto. La pasta: sempre corta e sempre al sugo. Mia madre lo cucinava una volta la settimana, nel suo giorno di riposo e noi, ogni giorno, lo scaldavamo e ci condivamo la pasta. Mio padre lo tirava fuori dal frigo, io con mio fratello apparecchiavamo, mia sorella buttava giù la pasta. Mio padre delegava e a mia sorella piaceva gestire. Così ogni giorno calava mezzo chilo di penne, o rigatoni, o mezze maniche…tanti tipi, ma tutti con una caratteristica:appartenevano all‟insieme pasta, sottoinsieme pasta corta. Sarà servito a qualcosa fare la prima elementare come tutti:capire l‟insiemistica. A me piaceva la pasta, ma non il sottoinsieme di quella corta…mi attirava molto di più il sottoinsieme della lunga, più specificatamente gli spaghetti. Ma forse ero l‟unica a preferirli, perché nella rotazione giornaliera del
formato, quelli non comparivano mai, non avevano proprio un loro posto nella sequenza. Mio padre era incaricato da mia madre a far la scorta, più o meno una volta al mese o meglio, quando stavano per finire. Ogni volta che ci avvicinavamo alla fine dei pacchi, io me ne accorgevo. Mia sorella apriva la dispensa e trovava solo spaghetti. “E’ finita la pasta, ci sono solo gli spaghetti.” Sempre la stessa frase, di fronte a tutti quei pacchi intatti, con la soddisfazione che almeno per un paio di giorni, sarei stata finalmente accontentata. Sembrava che mia sorella lo facesse apposta a non cucinarli, quasi a volermi fare dispetto. Più volte li richiedevo, come anche se poteva lasciarmene un piatto in bianco, ma niente, sembrava che le mie richieste fossero assurde ed impossibili da esaudire. Ed il secondo poi…a pranzo era rappresentato dall‟affettato, che seguiva un po‟ la stessa strada del sugo, conservato in frigo per più giorni, al terzo quarto non era esattamente freschissimo, ma aveva un pregio che il condimento cucinato non aveva:finiva. Finiva prima. Così si procedeva all‟acquisto e, se si era fortunati, si aveva anche qualche novità esistenziale. Ma la sera…si cenava sempre ad orari impossibili, quando ormai l‟appetito era già passato e con cose che non andavano né su né giù. La fettina in padella:schifosa calda, fredda era immangiabile. Le migliori ore davanti alla tavola le ho passate con lei. E poi c‟era la caciotta: per lei provavo un vero e proprio raccapricciante ribrezzo. Ma immancabilmente, me la ritrovavo nel piatto tutte le sere. La sua comodità era che se ne comprava una forma che si poteva conservare sempre in frigo. Raramente eravamo così fortunati da avere il galbanino. Con lei era odio, odio profondo. Le ho provate di tutte, mangiarla prima, con il pane, tentare di lasciarla, lanciarla al cane…era il mio incubo. La mia avversione verso il cibo non aveva risparmiato il latte:così la tortura aveva inizio col sorgere del sole, con la colazione. La fortuna ha voluto che neanche i miei fratelli lo gradissero più di tanto, così lo avevamo sostituito con il tè dove io ero costretta ad inzupparci un minimo di tre biscotti, i Gentilini. Sempre quelli. Il tè che avanzava, non esisteva che venisse lasciato, così ero costretta a
berlo, con tutte le sue molliche che si depositavano sul fondo, ma che riemergevano non appena alzavi la tazza per portarla alla bocca. Ma io ero generosa, lo restituivo spesso:in bagno, vomitandolo. Ma il massimo mia madre lo raggiunse con pasta e ceci:lì baciai il piatto. Naturalmente quando era ancora pieno di minestra. Questo mio non mangiare, non mi ha regalato un aspetto sano;spesso mi ammalavo e il peso scendeva precipitosamente. Così, per il mio bene, venivano eliminati dalla mia dieta quegli alimenti che potevano peggiorare la situazione:cioccolata, dolci, fritti. Mi toccava mangiare pure in bianco:tranne la pasta naturalmente, quella era rigorosamente al sugo. Sempre. Chissà, sarà forse per tutti questi motivi che il mio rapporto con il cibo è stato sempre così problematico? I pasti assomigliavano sempre più ad un passaggio in ascensore. A volte si saliva all‟ultimo piano e allora riuscivo a riempirmi la pancia, a volte l‟ingranaggio si rompeva e restavo al piano terra e i piatti non venivano toccati. Mi sono ritrovata spesso a mangiare per vivere e quando questo non riuscivo a farlo, di essere in bilico con l‟anoressia. Dicono che l‟origine di questo disturbo alimentare, nasca da un rapporto travagliato, distorto con la madre. L‟ho letto da qualche parte, non mi ricordo le parole esatte, ma più o meno il senso era quello. Non so se sia vero:so solo che oltre alla vergogna della mia situazione e della reticenza di mostrare a Michele quanto poco valevo nel mio mondo, avevo una paura fottuta del giudizio di mia madre. Non volevo che la sua cattiveria, farcita da una buona dose del suo consueto disfattismo, arrivasse ad intaccare l‟unica cosa bella che stavo vivendo. Fatto sta che sono riuscita a nascondere la mia relazione per un bel po‟, praticamente per tre mesi. Alle domande che mi faceva mia madre e i miei fratelli, rispondevo che Michele era un amico. Ed il bello è che l‟hanno bevuta, soprattutto mia madre. Considerando che spesso mi fermavo da Luisa a dormire per studiare, devo averla veramente fatta fessa. Forse perché mi aveva sempre vissuto come una perenne rompiballe sempre tra i piedi: non si era fatta tante domande, per il semplice fatto che per lei, non avermi più a casa, doveva essere stata una liberazione. Certo che o ha voluto ignorare o realmente di me non gliene fregava niente:solo chi non ama, chi ha insofferenza verso una persona, non può accorgersi del cambiamento, così bello, c he si ha solo quando si è
innamorati. Io lo ero, e molto ed i miei occhi lo dicevano. Sono andata avanti così per tre mesi, senza farmi minimamente sfiorare dall‟idea di raccontare tutto: ma la cosa non è andata per le lunghe così tanto, non sono mai stata capace di dire bugie, il mio senso del dovere e la mia lealtà, innate dentro me, non mi hanno mai lasciata libera della più piccola menzogna. Una sera avevo il ciclo:che dolori, sembrava di morire. Così sono andata a letto presto, convinta che un buon sonno avrebbe addormentato anche loro. E così all‟inizio è stato; ma alle quattro del mattino hanno avuto la meglio e prepotenti, mi hanno svegliata. Non ne avevo mai avuti di così forti, stavolta erano accompagnati da nausee, che mi hanno fatta correre in bagno a dar di stomaco. Mi sembrava realmente di morire. Le mie mani tremanti avevano perso la presa sulla tavoletta del water, tanto da sbatterla un paio di volte prima di riuscire ad aprirla. Forse quel rumore aveva svegliato mia madre, fatto sta che me la sono ritrovata sulla porta, a chiedermi come stavo. Mi ha assistito, stranamente facendo la mamma e quando finalmente i dolori si sono attenuati ed il sonno mi ha fatto di nuovo chiudere le palpebre, le dissi tutto. Come in una confessione in punto di morte, io parlavo e lei ascoltava, senza perdere una parola. Alla fine un‟unica domanda: ”Perché non me lo hai detto?” Di getto la mia risposta : ”Non potevo mamma, non avresti capito.” La verità dicono che paga sempre:a me invece, presentò il conto. /-------------------------------------/ Da quel giorno la mia vita diventò un inferno; al limite del ridicolo, come un‟ adolescente, mia madre iniziò con me una competizione su tutto. Nonostante fossi la figlia e tra noi c‟era una differenza di trenta anni, si affannava nella sua folle corsa senza fine, nel voler arrivare sempre e comunque prima. Ma prima in cosa poi? La frenesia di trovare un compagno anche lei, la divorava. Così, come si sceglie qualcosa di usato, si mise a rispondere agli annunci sul giornale. Quelli anonimi e telegrafici di uomini che cercano compagnia. La nostra casa cominciò ad essere invasa dalla gente più strana, che
raccattava chissà dove, che si alternava con la frequenza di un giorno. Incredibile quanta c‟è n‟è sola che cerca compagnia e va con la prima venuta… La scelta di mia madre si fermò poi su un tipo, un abruzzese impaccato di soldi che cercava una compagna fissa con cui condividere le sue tristi giornate vuote. Entrò in casa nostra comportandosi come se ci fosse sempre stato, creando dal nulla una quotidianità fittizia con mia madre, che mai avrebbe avuto solide basi su cui poggiarsi. Sembravano far parte di una vetrina di mobili da esposizione, compresi nel pacchetto, tanto erano finti. Diciamo che ho cercato di sopportare questa commedia fino a quando ho potuto… fino a quando non mi sono sentita i suoi occhi addosso. E prima che arrivassero anche le sue mani, ho preferito chiarire con lei. La mia lealtà…come sempre. Il confronto, iniziato dapprima tranquillo, prese subito toni accesi e si incendiò letteralmente quando si toccò l‟argomento Carmine, ossia mister Messaggero. Come in un‟onda in piena, mia madre riversò su di me la sua invidia ed il suo fastidio nell‟avermi come figlia, accusandomi di ingratitudine verso tutti quegli anni passati vicino a me, cercando di colmare la presenza di un padre, arrivando addirittura a dire che la mia era solo gelosia ed invidia per come stava andando la sua vita, così piena e ricca, cosa che io, con il mio carattere, non avrei mai avuto la possibilità di vivere. Nel sottolineare l‟evidenza dei fatti, guarda mamma che io sono tua figlia e non un‟amica a cui soffiare il ragazzo, ho ottenuto semplicemente un sonoro ed esplicito calcio al culo: sbattuta fuori di casa, senza né arte e né parte, così, dall‟oggi al domani…………………………….
LORY
Perché,io mi domando perché. Sei qui con me disperato,che piangi per un‟altra donna ed io,che ti amo da morire,passo sopra alla mia gelosia,al mio dolore e con la morte nel cuore,sto qui a consolarti. Dove sarà mai andata a finire la mia dignità di donna. Dove. Tante,troppe volte in questi giorni,ho pensato che sia proprio ora che molli questa situazione,che mi regala solo sofferenza…mi convinco che basta,un taglio netto e via,ma poi ti rivedo ed il mio amore per te mi impedisce di andare fino in fondo. Quanto vorrei avere la forza per voltare pagina,ma non riesco,proprio non riesco ad abbandonarti al tuo dolore,a voltarti le spalle solo perché non mi ami come vorrei. La nostra è una storia iniziata dal nulla;ci conoscevamo solo di vista,capitavi spesso nel mio ufficio per motivi di lavoro,gestivi il rifornimento delle macchinette nell‟atrio. Ogni volta che ci lavoravi intorno,vuoi per un guasto,vuoi per rifornirle,mi tornava in mente una pubblicità,quella di quel ragazzo che cambiava il fusto dell‟acqua…anche tu eri proprio bello. Devi aver sentito i miei occhi su di te,perché anche tu hai cominciato a guardarmi ed a capitare più spesso in ufficio. E nel momento in cui abbiamo cominciato a vederci sotto una luce diversa,abbiamo scoperto semplicemente di amarci. E‟ stata come un‟esplosione che ci ha bruciato dilagando tutto intorno,in un incendio che ha reso cenere tutto quello che fino a quel momento,faceva parte della nostra vita:c‟è stato un momento che esistevamo solo noi. Eravamo molto felici e vivevamo l‟uno per l‟altra,passando insieme ogni minuto del nostro tempo e,quando questo non era possibile,ci scambiavamo tonnellate di sms. Poi le cose sono cominciate lentamente,ma senza più tornare indietro, a cambiare. Ho cominciato a notare delle sfumature,all‟inizio erano piccole e impercettibili,fuggivano via e a volte erano così impalpabili da sembrare inconsistenti. Erano più che altro piccole cose che apparivano stonate ai miei occhi. Non era cambiato il tuo modo di rapportarti,ma pian piano avevi cominciato a sfilare tempo al nostro rapporto. A volte sparivi per ore,più
spesso ti isolavi al telefono,conducevi la tua vita come se io non ne facessi parte…un asterisco ai tuoi pensieri. Stavamo parlando? Squillava improvviso il cellulare.”Scusa un secondo” dicevi,e ti eclissavi per un‟ora. Avevi dei continui sbalzi di umore di cui io non riuscivo a capire il motivo. Poi ho notato che spesso erano legati a telefonate fiume:se la telefonata andava bene,si volava ed in te ritrovavo il ragazzo di cui mi ero innamorata;ma se qualcosa al telefono andava storto,almeno credo fosse quella la causa,il mio è un vero e proprio lavoro di fantasia,tornavi da me tetro e buio,pieno di pensieri che la mia presenza neanche sfiorava. Non sapevo più che pensare. Le giornate continuavano così,giorno dopo giorno,in un‟incertezza che scavava l‟anima. Un giorno,dopo aver fatto l‟amore,hai lasciato il tuo cellulare sul comodino e sei andato a fare la doccia;mi sono accoccolata nel tepore del tuo posto quando quello ha cominciato a vibrare. D‟istinto ho guardato il display ed ho letto il nome:Clarissa. Ma Clarissa chi? Improvvisa,una fitta acuta di gelosia,un dolore quasi fisico al centro del petto:il suo cambiamento mi appariva ora sotto una luce diversa:che Gianluca avesse un‟altra? Una cosa così,non riuscivo neanche a pensarla. Veloce,eccoti tornare dalla doccia;fortuna che non ho risposto,ho solo sbirciato. La tua fretta è giustificata,ti eri dimenticato il cellulare,è la prima cosa che prendi,controlli subito le chiamate. “Scusa,Lory,devo fare una telefonata.” L‟hai fatto di nuovo,con una naturalezza sconcertante:mi hai annullata in un nanosecondo. Allora è vero:hai un‟altra. Lo scompiglio che hai provocato nella mente,mi sta facendo precipitare in un‟ansia senza limiti. Ho tanti di quei pensieri,si affollano,uno sull‟altro,senza riuscire a seguire una logica. Sono tanti,tanti e tutti insieme ed io non riesco a tenerli a bada. Mi ritrovo qui,sola nel tuo letto,il tuo posto si è freddato e tu non ci sei,sei uscito dopo la solita telefonata. Vorrei non aver visto quel nome,vorrei non aver mai saputo. Ma saputo cosa,poi? Dai,Lory,non fare la stupida,sarà sicuramente per lavoro…
A questa non ce la faccio proprio,comincio a ridere da sola nel silenzio della stanza:ma a chi voglio prendere in giro? Gianluca è cambiato,è sempre al telefono,con me prende e scappa. In un impeto di folle gelosia,mi alzo e apro l‟anta del suo armadio. Non viviamo insieme ma qui ha qualcosa. Frugo nelle tasche:niente,non c‟è nulla. Ma che cosa credevo di trovare? Non so neanche che cosa sto cercando! Sto per richiudere l‟armadio,cominciando a sentire un sottile senso di vergogna per questa violazione appena fatta,quando in una delle tasche trovo qualcosa. E‟ una foto di una donna. La giro dietro c‟è una dedica,appena due righe: “Il tempo si è fermato:per sempre noi. C.” C:Clarissa! Devo sapere,devo sapere,o rischio di impazzire! Sembro una furia mi alzo e mi vesto,in dieci minuti sono fuori di casa. Sulla porta ho un‟esitazione: per andare dove? Mi rendo conto all‟improvviso che io,di Gianluca,non so molto:ci frequentiamo assiduamente da sei mesi,ma so solo dove abita e dove lavora. Il nostro è un rapporto chiuso,privo di coinvolgimenti di amici e parenti,molto intenso ma comunque chiuso fra quattro mura e mai portato all‟esterno. Così provo ad andare all‟unico indirizzo certo che ho,a casa sua,magari nei negozi intorno riesco a racimolare qualche informazione in più,non so come,ma devo provarci. Parcheggio,proprio davanti al suo portone. Sto per scendere dall‟auto,quando lo vedo:sta andando via, mentre discute animatamente con una donna…è quella della foto,è Clarissa! Proseguono a discutere nonostante siano in strada,ignari di tutto:mi accuccio per non farmi vedere,appena in tempo,mi stanno passando proprio accanto,ma sono talmente presi che non guardano niente. All‟improvviso la discussione vira,si fa più animata,urlano come pazzi in mezzo alla strada,ognuno cerca di prevaricare sull‟altro,fino a che Gianluca le dice qualcosa che la fa zittire di botto,per una frazione di secondo. Ripreso fiato,Clarissa gli molla un ceffone in pieno viso e se ne và,lasciandolo solo,tra gli sguardi curiosi della gente. Vedo dalla sua faccia carica di rabbia,spuntare due lacrime;poi ficca le mani in tasca,gira le spalle e se ne va. Gianluca aveva appena fatto l‟amore con me:ma come può usarmi così.
Cerco di attutire il colpo,ma sento il bisogno di snebbiarmi con qualcosa di forte,così entro in un bar ed ordino un whisky. Sono ancora sbalordita da quello che ho appena scoperto,che non mi accorgo di un gruppo di ragazzi che,ridendo,stanno commentando l‟accaduto. “Oh,Gianluca e Clarissa non cambieranno mai!” “Già…sono due teste matte!” Mi risveglio dal mio torpore:l‟argomento della conversazione è molto interessante. “Litigano sempre…sono anni che va avanti questa storia.” Anni? “Quanti sono?”chiede uno. Mi rendo conto che sto trattenendo il fiato nell‟aspettare la risposta. “Cinque,sei…” “No,no,che dite ragazzi! Sono sette e mezzo!” “Banco! Ora gli manca solo un figlio!Così litigano in tre!” E giù a ridere. 7 anni:dico, Gianluca e questa Clarissa stanno insieme da sette anni! Ma come ha potuto farmi questo? Come un automa, ritorno in macchina e torno a casa. Il mio stato d‟animo va dalla disperazione più assoluta,alla voglia irrefrenabile di spaccargli la faccia. Non so quanto tempo passo in questa apatia,so solo che a risvegliarmi è lo squillo del cellulare. Leggo il display:Gianluca. Senza nessuna vergogna. Lo guardo accendersi ad ogni squillo, ma non riesco ad allungare la mano per rispondere, fino a che quello non squilla più. Finalmente posso tornare nel mio silenzio. Dura poco però,perché quello ricomincia. Riesco ad allungare la mano:non per rispondere, no. Per spegnerlo. E come una pazza invasata,capisco che Gianluca non si fermerà di fronte ad una telefonata non risposta, così come non si è fermato dal venire a letto con me pur avendo un‟altra relazione da anni;così corro chiudo ermeticamente le finestre,spengo tutte le luci e fingo di non essere in casa. Non passa molto tempo che il citofono prende a suonare:devi essere tu,ne sono sicura, nell‟arroganza di pretendere ciò che si considera proprio,te lo sei venuto a prendere di persona. Ma stavolta hai fatto male i tuoi conti. Tu,per me,non esisti più. Provi a citofonare ancora un paio di volte,poi ti rassegni. La tua insistenza non è andata poi tanto oltre, ti sei stancato subito. Meglio così.
Passo la notte seduta al centro del salotto,a guardare il buio. Le ore scorrono lente,le sento scivolare via minuto dopo minuto,come un fluido viscido nelle vene. Ad ogni passare, mi sento sempre più svuotata e senza forze. Io lo so che questa storia la devo chiudere. Lo so. Ma so anche che non ce la farò,se prima non avrò capito. /-------------------------------------/ “Allora Gianluca,mi dai una spiegazione?” Sono davanti al portone di casa sua;è da stamattina alle sette che sono qui ad aspettarlo. Non devo avere un bell‟aspetto:mi sento gli occhi rossi e gonfi,lo stomaco vuoto che si contorce dal nervoso nel vederti arrivare,apparentemente tranquillo. “Lory,ma che fine avevi fatto…ti ho cercata dappertutto!” Ho ancora davanti l‟immagine di lui con Clarissa:che voglia di spaccargli la faccia. “Ti ho visto.” Dico solo. Per un attimo lo vedo sincero. “Dove amore?” “Con la tua amante, sotto casa tua. O sono io la tua amante,mentre è lei ad essere la tua fidanzata?” Adesso si fa più scuro in volto. Tra le tante strade che avevo di fronte,ho preferito affrontarlo a viso aperto: voglio sapere la verità e, soprattutto, voglio vedere se ha il coraggio di dirmelo in faccia. “Non capisco Lory,tu cosa ci facevi sotto casa mia?” “Non cambiare discorso e rispondimi:chi è Clarissa?” Sbuffa spazientito, nel frattempo ha aperto casa e siamo entrati, siamo soli, io e lui. Si alza, si risiede, non ha pace. “Allora?” incalzo. “Non capisco di cosa tu stia parlando.” “Di Clarissa,Gianluca,di Clarissa! Della tua fidanzata,con cui stai da ben sette anni e mezzo!” alzo la voce isterica. Per un attimo sembri avere la voglia di rispondermi a tono. All‟improvviso ti afflosci sulla sedia e ad occhi bassi cominci a parlare. “Da sempre, mi sembra da sempre,sono innamorato di Clarissa. Senza di lei io non posso vivere.” Sento il rossore salirmi al volto:che gran bastardo!
“Ma amore,questo non vuol dire non ti ami…io ti adoro e ti voglio…non sai quanto mi sei mancata ieri sera…” Lo guardo,sono senza parole: ma come si può pensare che io possa credere ad una cosa simile, dopo quello che ho scoperto? Faccio per alzarmi, con la ferma intenzione di andarmene, ma lui mi blocca la mano. “Ti prego Lory…la mia vita senza di te non ha senso…” Anche senza di me? “Dimmi che anche per te è così…”mi dici a voce bassa”Dimmi senza di me non puoi vivere…che non puoi fare a meno di questo…” continua, riducendo la voce in un sussurro, mentre lesto, infila la mano fino a stringermi il capezzolo tra le dita. “Dimmi che ora non ti stai bagnando ed io me ne andrò e non mi vedrai più…” La testa mi gira,le sue domande hanno tutte no come risposta ed io non trovo che un modo per pronunciarle:torno di nuovo nel suo letto. Ad ogni carezza,ad ogni tocco,il mio corpo risponde,in un‟ubriacatura dei sensi che,come in un vortice,mi trascinano su in alto. Il piacere esplode,dentro di me,come mai provato prima. In un bagno di sudore,mi stringo a te ed all‟orecchio ti sussurro: “Devo essere matta:ma non so veramente vivere senza di te.” Mi stringi a te più forte,sento il tuo cuore battere sul mio,come impazzito,mentre una lacrima ti riga il volto. Ci addormentiamo avvinghiati l‟uno all‟altra:sembra che per lui,la paura di perdermi,sia stata tanta ed ora dorme,rilassato,sprofondato in un sonno di piombo. Che situazione assurda. Sono la prima a svegliarmi:sbircio la sveglia,sono le tre di pomeriggio. Tu dormi ancora. Scivolo via dal letto e vado in cucina a preparare il caffè. Spalanco la finestra e guardo fuori. Non mi sono accorta che anche tu ti sei svegliato;silenzioso,mi abbracci da dietro e cominci a parlarmi all‟orecchio. “So che sembra assurdo;ma non riesco a vivere senza nessuna delle due.” Lo ascolto,con la speranza di poter dare un senso alla nostra situazione. “Clarissa è l‟amore di sempre,quello che tutti conoscono. Tu sei il mio amore. Solo mio.” “Ma comunque siamo due…non ti sembra che la cosa possa dar fastidio?” Riesco a dire,soffocando lacrime e rabbia.
“Si,infatti Clarissa è molto gelosa e non deve sapere niente di te. E‟ maniacale nel controllarmi ed io non voglio farla soffrire.” “Scusa,ma a me non hai pensato?” “Amore…lei già c‟era nella mia vita. Tu sei l‟amore ma anche lei. Non posso cancellarla per nessuno. E‟ un mio amore,quello che fin‟ora ho creduto per la vita.” Già,c‟era prima di me… ed allora? “Se riesci ad accettare questo,la nostra storia non avrà mai fine…” Un abbraccio:rispondo meccanicamente,stringendolo a me. Ma mi chiedo dubbiosa se posso farcela. Non lo so proprio. /--------------------------------------/ Non riesco a mantenermi determinata nel mio proposito a lasciarlo,così chiedo del tempo per pensarci. Il più possibile:voglio vedere se è davvero impensabile riuscire a vivere senza di lui. Gianluca non obietta a questa mia decisione,sottolinea solo che lui mi ama da morire e che è sicuro che tornerò da lui. Non prova neanche a fermarmi,la sicurezza che leggo nel suo sguardo,mi da una carica per mollarlo. Spengo il cellulare e provo a tornare alla mia vita di prima;casa,lavoro,amici. Non è facile,con Gianluca avevo un po‟ tagliato i ponti con tutti,così decido di tentare anche nuove amicizie e mi iscrivo in palestra. Le mie giornate vanno a mille,non ho un minuto di tempo per pensare; mi sembro serena ogni giorno che passa,mi convinco che posso farcela. La sera arrivo sfinita e crollo in un sonno profondo,privo di sogni. Il mattino dopo di nuovo di corsa. Capisco che così facendo mi impedisco di pensare,perché appena lascio respiro al mio tempo,il tuo viso torna a riaffacciarsi:quando mi concedo una pausa e non rincorro qualcosa per riempire il vuoto,la tua assenza mi riempie. Passo l‟intera settimana,finalmente arriviamo alla domenica. Decido che oggi è giorno di pulizie,così non esco e mi dedico a farle a fondo. Prendo questa decisione mentre sto comodamente bivaccando sul divano,con il vassoio della colazione davanti;mentalmente mi sto battendo le mani da sola,ce l‟ho fatta,ho passato un‟intera settimana senza di te. Il paradosso è che questa cosa dovrebbe rallegrarmi,invece sento le lacrime scendere giù per le guance una dopo l‟altra,si inseguono veloci sul
mio viso,veloci come l‟immediatezza del dolore sordo che mi ha lasciato la tua assenza. Vuota. Mi sento vuota. E capisco,capisco che questi giorni sono stati una farsa,una finzione,che ho cercato di riempirli per non pensarti,ma è stato tutto inutile… Mi manchi,mi manchi e non ce la faccio a stare senza te. Ma per averti sono costretta a dividerti:tu non hai detto di non amarmi,hai ammesso di amare due persone. E‟ vero,io ho scoperto che senza di te non riesco a vivere: ma riuscirò a dividerti? La mia è una scelta dura,perché so che qualsiasi decisione,mi porterà a soffrire:ora so quanto,vivendo senza te. Insopportabile. Così decido di scoprire se nel dividerti,riuscirò a soffrire un po‟ meno… /--------------------------------/ Alla fine ho ceduto e siamo tornati insieme. Il tuo amore mi riempie,mi sento così appagata da credere di non aver mai amato prima. Per non lasciarmi trascinare dalla gelosia,mi sono imposta di non pensare a ciò che fai quando non sei con me:riempio le giornate con cose che impegnano la mia mente e la tengono lontana da pensieri dolorosi. Penso solo che tu quando sei con me,ci sei veramente. E questo mi basta. Deve . Anche tu mi sembri felice ed a poco a poco ti apri con me fino ad arrivare a parlarmi di lei. Io non lo so perché non ti ho detto fin dall‟inizio che preferivo non sapere. So solo che ero divisa tra la gelosia e la mia curiosità di capire perché avevi bisogno anche di lei e non ti bastavo io. Così ti sono stata a sentire. La vostra era una storia datata,che si protraeva ormai da tempo,da poco più di sette anni,altalenante nel cammino,ma comunque salda. Lei abitava a Bologna e vi vedevate più o meno una volta a settimana. Ma c‟era un intoppo alla vostra storia e grande:lei era sposata. Ad oggi,Clarissa aveva alle spalle quindici anni di matrimonio,era sposata da quando era poco più che una ragazzina. L‟attuale marito,dopo una rapida frequentazione di qualche mese,l‟aveva messa incinta. Per Clarissa questa cosa aveva stravolto la sua vita in positivo:alla sua immediata domanda di sposarlo,aveva accettato ben volentieri,era un uomo molto ricco,mentre lei stentava ad arrivare a fine mese. Aveva scelto la strada più comoda.
Ma quel figlio non era mai nato,lo aveva perso due mesi appena dopo il matrimonio per un aborto spontaneo. E Clarissa,che in questa storia credeva di essere la più forte,pensando di aver intrapreso questa strada per puro opportunismo,si trovò ad affrontare una brutta depressione che l‟ha portata,una sera,ad imbottirsi di barbiturici. Aveva tentato il suicidio. Ripresa per i capelli e senza più voglia di vivere,aveva avuto l‟unico gancio per restare ancorata alla vita,nell‟amore del marito,che non l‟aveva mai abbandonata,le era stato sempre accanto,aiutandola ad uscire dal buio per tornare ad amare la vita. Lei non lo amava,questo lo aveva ben capito da quando frequentava Gianluca,lui solo era il suo grande amore. Ma gli voleva molto bene ed il profondo senso di gratitudine che ora provava per tutto quello che aveva fatto per lei in passato,era talmente forte da non riuscire a confessargli di voi. Sa che questo potrebbe ferirlo a morte:è anziano e malato di cuore e sa che se gli succedesse qualcosa a causa sua,non se lo perdonerebbe mai. Per questo avete continuato a vedervi di nascosto. Ma mentre il marito non aveva nessun sospetto sulla doppia vita di Clarissa,tutti,nella vita di Gianluca,sapevano della sua esistenza. Le incertezze nel vostro cammino erano state tante, fatte di gelosia e di consapevolezza di voler vivere un amore che forse,il tempo mal trascorso,avrebbe logorato. Io ti ascoltavo senza interromperti mai e mi chiedevo cosa c‟entravo io in tutto questo. Che ruolo avevo? Dell‟amante? A me sembrava essere il ruolo di tutti in questa storia. Gianluca era quasi maniacale nel coprire le tracce dei nostri incontri. Io lo assecondavo,ma dentro maceravo. Non avevo niente da nascondere io. Semmai era lei a non essere libera. Ma questo non avevo il coraggio di dirlo:Gianluca era stato chiaro fin dall‟inizio, almeno più o meno dall‟inizio. Se accettavo Clarissa nella sua vita,allora ci sarebbe stato posto anche per me. Ero l‟amante dell‟amante di Clarissa,che però conduceva la sua vita come se lei fosse sua moglie,con tutti i diritti e doveri. Ma quanto avrei potuto sopportare ancora tutto questo… Poi,da un giorno all‟altro,tra loro sono cominciati i problemi. Problemi seri.
Forse è stata la mia presenza nella vita di Gianluca,forse era veramente cambiato e Clarissa se n‟era accorta ,fatto sta che tra loro era,oramai,un litigio continuo. Gianluca stava sempre peggio ed il tempo trascorso insieme,passava con lui che raccontava ed io che ascoltavo. All‟inizio ho sperato che la crisi dipendesse da me e che presto o tardi si sarebbe arrivati ad una scelta. Ho cominciato a sognare una vita con lui,senza avere l‟incubo di essere l‟altra ed ogni giorno che passava,era una speranza in più che si aggiungeva a quelle di ieri e che sembravano pesare sempre di più sul mio piatto della bilancia. Ma il tempo passava ed invece che realizzare il mio sogno e capii di essere solo un‟illusa:Gianluca non avrebbe mai lasciato Clarissa,la loro crisi non dipendeva dal nostro rapporto,ma aveva avuto il potere di intaccarlo e si era ormai logorato da un mancato rinnovamento. Si era inesorabilmente chiuso nella spirale di dolore del loro e sembrava alimentarsi solo di quello. Si stava avvizzendo per il calore di quella distruzione che stava diventando il loro amore,arso solo dalla fiamma dell‟incomprensione:la cenere stava offuscando anche il nostro. Mi sorprendevo sempre più spesso a piangere sul mancato futuro di quello che fino in quel momento avevo creduto. Se Gianluca non poteva vivere senza me,avevo capito che non poteva farlo neanche senza di lei:la sua felicità passava attraverso tutt‟ e due. Forse era veramente arrivato il momento di prendere una decisione,forte e drastica,quella che,mi rendo conto ora,avevo solo voluto rimandare. Ma mentre prima quei ritagli del suo tempo mi riempivano il cuore,ora tra noi non c‟era più niente di bello,la magia di quel tempo era solo un ricordo. Intorno a noi, tutto era grigio. Forse perché le cose belle si danno quando hai qualcosa di bello da ricevere. Noi non ne eravamo più capaci. /-------------------------------------/ In questa situazione di stallo,una mattina mi sveglio con le nausee:appena apro gli occhi,devo correre in bagno a vomitare. Boh,avrò mangiato qualcosa che mi ha fatto male. Con la mente scorro la cena di ieri sera,mentre vado in cucina a mettere su il caffè. Forse la decisione è stata un po‟ azzardata,perché il suo aroma,mi fa tornare a vomitare. Un campanello d‟allarme suona nella mia testa e prendo il calendario. Scorro i giorni:cribbio. Ho un ritardo di cinque giorni.
Non è il caso di preoccuparsi,può succedere. E poi sono sicura,ci siamo stati sempre attenti…almeno spero. Così faccio passare altro tempo,ma ai cinque già passati,se ne aggiungono altri cinque e del mio ciclo nemmeno l‟ombra. Mi decido a comprare il test senza dire nulla a Gianluca,sarà sicuramente un ritardo,perché mettere in allarme anche lui. Sola nel mio bagno lo faccio:positivo. Lo guardo e lo riguardo,ma la cosa non cambia,è positivo. Accidenti. Ed ora? Glielo devo dire,ma ogni giorno con Clarissa va sempre peggio ed io non riesco a frenare quel fiume di parole. E poi,ho paura della sua reazione,che mi possa accusare di averlo fatto apposta per portarlo a me,solo a me,staccandolo definitivamente da lei. Quella mattina è venuto da me piangendo:io non mi sentivo niente affatto bene,erano già due,tre volte che correvo in bagno a vomitare,avevo telefonato anche al lavoro per dire che stavo troppo male e che non sarei andata. La mia faccia era quella di una che stava di merda,ma lui non se ne accorse minimamente,spiattellandomi subito quello che era successo: Clarissa era incinta…incinta! “Capisci Lory… Clarissa è incinta di mio figlio!” Piangeva disperato tra le mie braccia come un ragazzino . “Io non ce la faccio più ad andare avanti così,io lo voglio Lory!Voglio lei,voglio il nostro bambino,lo voglio! Voglio quello che è mio!” Che scema che sono:in tutto questo tempo,ho sperato di averlo tutto per me,di vincere questa guerra assurda,come se tra me e lei ci fosse una gara in corso. Ma cosa volevo per premio? Un uomo che passava i suoi giorni a disperarsi per un‟altra? Forse potrei avere lui tutto per me:il suo cuore no. Non credo che mi potrà mai appartenere,né che lo sia mai stato. Lo ascolto e non riesco a parlare;lo consolo,amaramente consapevole che nessuno riuscirà a consolare me. /------------------------------------------/ “Vuole abortire…ma ti rendi conto…Clarissa non vuole portare avanti la gravidanza...” Sono consapevole che per l‟ennesima volta,sono qui ad ascoltarti;ma mi sono ripromessa che sarà l‟ultima . Sentirti parlare così,mi sta facendo molto male,ma voglio toccare il fondo,forse solo così riuscirò a cancellarti ed a tornare a vivere. “Ma io non voglio;non voglio!” urla rabbioso,fuori di sé.
“Non oso neanche pensare alla sofferenza che tutto questo le porterà:abbiamo sempre sognato un figlio insieme ed ora che c‟è,non può decidere di non averlo.. E‟ una cosa che va contro tutto quello che è…contro a tutto ciò che siamo stati noi…” Lo ascolto come sempre:la sua mano tra le mie,i miei occhi nei suoi occhi che,ad intervalli,asciugo con piccoli baci di quelle lacrime che scendono giù copiose. E‟ come se mi guardassi recitare la scena di un film mediocre. Ma sono ancora in grado di cambiare il finale. Ho disdetto l‟appartamento ed ho chiesto ed ottenuto un trasferimento alla filiale di Roma. Ieri sera è stata l‟ultima volta che ho visto Gianluca:non gli ho potuto dire nulla,né del bambino né della mia partenza. Forse erano i miei occhi a parlare della sofferenzache provavo,ma lui era troppo perso a piangere dietro alla sua. Non voglio più essere una ruota di scorta per nessuno. A tutto questo scrivo la parola fine.
MIRIAM
Spengo lo stereo e scendo dalla macchina;è una fresca mattina di fine settembre,il sole ancora non scalda ed io mi stringo nel giacchetto jeans. Suono il citofono;come al solito ho dimenticato le chiavi. Mi apre Clara,la badante rumena di mia nonna Adelaide. Adelaide..Clara..certo,sembra di essere in un cartone animato. Anche se la nonna,come carattere,è lontana da Heidi:sembra più la signorina Rottenmeier,se vogliamo continuare su questa scia. Determinata,forte,passionale,niente al mondo è capace di fermarla,se convinta di essere nel giusto. E' lei che mi ha cresciuta. Da quell'estate del '78,così lontana nel tempo,così vivida nel ricordo,da sembrare appena trascorsa. Prima di allora i miei inverni trascorrevano lenti in collegio. La mamma mi aveva spiegato quanto impegnativo fosse il suo lavoro,da non lasciarle tempo da dedicarmi né seguirmi a scuola. Non che non mi volesse
bene,ma il suo pensiero era che proprio per il mio bene delegava a terzi la mia educazione. Lei non poteva fare entrambe le cose ed il lavoro non poteva lasciarlo. I miei erano separati e mamma per vivere,doveva lavorare. Potevo vederla nei week-end,tranne in qualche sporadica domenica dove era mio padre a venirmi a trovare. Si evitavano accuratamente;quando papà voleva vedermi,qualche giorno prima telefonava,in modo da darmi tempo per avvisare la mamma,che così saltava la visita. La loro non era stata una separazione tra le più tranquille e l'unico modo per evitare di riaprire vecchie ferite,era di evitarsi. E così facevano. Io mi trovavo nel mezzo e crescevo con la cruda e spietata consapevolezza di non avere una vera famiglia e che mai l'avrei avuta. Tranne la nonna:era il mio unico punto fermo,certezza assoluta nella mia vita come la naturale ciclicità con cui ogni estate andavo da lei. Pensieri che ruotano nella testa,mentre salgo quelle scale che mi separano da te,da quel corpo ormai stanco e affaticato dalla vita,che si rifiuta di muoversi come un tempo e che anche per le cose più elementari ha bisogno di aiuto. "Ciao,Miriam!"E' Clara,che saluta gioiosa dal bagno,china a pulire la vasca. A volte mi fermo a pensare a quanto è stata dura la vita con lei e di come mai però sia riuscita,con tutti i suoi costanti colpi di coda,a strapparle quel sorriso. Emigrata in Italia clandestinamente,una figlia piccola lasciata alla nonna per lanciarsi in un futuro incerto e pieno di insidie,solo dopo anni è riuscita a riunirsi col marito e riabbracciare la figlia,riformare così quella famiglia per cui aveva lavorato tanto e vederla di nuovo distrutta per colpa dell'alcool. Ora sono loro due,lei e sua figlia,sole,ma consapevoli di amarsi seppure la vita per loro non è stata e non sarà facile. Ma il sorriso fa parte di loro e non le abbandona mai. "Ciao,Clara,come va stamattina?"Nella casa risuona la mia domanda di rito. "Mmm...!"mugugna. Ohi,ohi,deve essere stata una nottataccia. In base alle sue risposte,sapevo quello che avrei trovato varcando quella soglia e questa era di quelle del tipo"attenta,il lupo è in agguato!" Difatti mia nonna,seduta sulla sedia con il viso alla finestra inondata di sole,mi guardava con occhi fiammeggianti,la bocca in una riga sottile di
rabbia. "Era ora!Lo sai che così fai tardi a scuola?!" Ci risiamo!La memoria comincia a farle cilecca e succede sempre più spesso. Ha ben conservata solo quella a lungo termine ma per quanto riguarda quella a breve...ora,per esempio,è convinta che io sia ancora una bambina e che sono in ritardo per la scuola. Nonna cara,ho 36 anni! Demenza senile,così il medico l'ha chiamata e non c'è proprio niente per fermarla,anzi,è degenerativa ed andrà sempre peggio. Così adesso abbiamo la badante 24h su 24 ed io vengo tutti i giorni per salvarla e farla respirare un po‟ . "Vado a fare la spesa,Miriam,attenta alla bocca del lupo...non ha più denti,ma può ancora mangiarti in un boccone!"Mi dice scherzando ed infila lesta la porta di casa. Ora sono sola con lei e vorrei tanto raccontarle tutto:ma non ho scelto il giorno migliore,non c'è proprio con la testa. Eppure io ho così bisogno di confidarmi con te… Ti vedo con la testa reclinata da un lato,un rivolo di saliva che ti cola dall'angolo di una bocca ormai inerme e priva di sorriso,da cornice i tuoi occhi annacquati dalla malattia. "Sai,nonna,io me la ricordo quell'estate. Sempre,tutti i giorni,un frammento di ricordo,mi torna in mente,prepotente nel quotidiano. Come è cambiata,la vita,da allora!E che coraggio hai avuto nel rimetterla in sesto,nonna!Da leone.."comincio a parlare,malgrado non sono sicura tu sia in grado di ascoltarmi. “Con un taglio netto,hai reciso quei rami malati:la mamma,il nonno,tutti,per salvare la pianta. Me. E di questa decisione hai vissuto,nonostante ci sia stato chi ti ha colpevolizzato di alcune reazioni della mamma. Di fronte a loro non ti sei fermata e sei andata dritta per la tua strada. Chissà se il coraggio è ereditario:ne avessi in proporzione all‟amore che sento dentro. Ne avessi almeno un‟unghia del tuo.” Mi fermo inseguendo i miei pensieri;guardo fuori i passanti che sbrigano veloci le loro faccende,ognuno perso dietro una corsa perenne. Si rincorre sempre qualcosa,è il fine ultimo di ogni nostra azione. Io ho ben chiaro il mio, adesso,forse lo stesso che mi ha fatto prendere decisioni importanti. A volte non mi è stato chiaro il tuo,nonna. Mi volto a guardarti:hai gli occhi fissi su di me,vi leggo una muta domanda. “Ci sei,nonna?”mi accuccio ai tuoi piedi.
La tua bocca si muove in un‟impercettibile increspatura di sorriso:sembri quasi dirmi sì con la testa. Abbraccio le tue gambe,poggio la testa nel tuo grembo e riprendo a parlare.”Sai,nonna,mi domando sempre qual è stata la tua spinta,quella che ti ha fatto decidere rapida e risoluta in ogni situazione. Cos‟era il tuo fine ultimo,quello che ti faceva correre sicura verso la meta,come quelle persone indaffarate che si vedono dalla finestra?A me sembra che in tutta la mia vita a muovermi sia stato un enorme bisogno di sicurezza. Ho sempre deciso all‟ombra di un‟inconsapevole paura,quella di restare sola e di non avere nessuno al mio fianco. Forse è per questo che ora mi ritrovo accanto un uomo che stimo ed a cui voglio bene ma che non amo. Con lui ho diviso e continuo a condividere la cosa più importante:Tommaso,nostro figlio. Ma non lo amo,nonna. Non lo amo.” Mi stringo ancora di più a te e chiudo gli occhi:con la memoria arrivo a ricordare la sensazione di calore della tua mano tra i miei capelli,anche quella mattina. Da lì a poco mi sarei sposata ed ero in attesa del parrucchiere. Non ci furono grandi parole tra noi,solo quell‟abbraccio di sempre,quella carezza sui capelli. “Ciao Miriam,sei ancora tutta intera?” E‟ Clara che ritorna dalla spesa. Ciao nonna…magari continuiamo domani. /----------------------------------/
Scendo di corsa le scale;ora fa più caldo e tolgo il mio giacchetto di jeans. Sono ancora evidenti sul mio braccio,i segni del prelievo L‟ennesimo,quello di ieri,ma come sempre inevitabile. Un banale incidente,mi aveva fatto piombare in un incubo:la possibilità di essere sieropositiva. Da allora,regolarmente,controllo. Ogni volta che apro quella busta,è come morire un poco. Oggi ho un pensiero in più che accresce la mia paura,ma è così inverosimile che possa accadermi proprio ora che non voglio neanche sfiorarlo con la mente;è ora di andare al lavoro,sono già le nove. Sono la titolare di un‟agenzia di viaggi;mi rende allegra organizzare le vacanze degli altri,sapere di poter contribuire a regalar loro momenti irripetibili. Detto così,può sembrare l‟ultima delle pubblicità,banale e scontata,ma io metto molta serietà nel mio lavoro. Mi piace conoscere i
gusti e la personalità di chi viene a chiedere la realizzazione di un sogno,per poter costruire per loro,la vacanza ideale. Ho clienti di tutti i tipi e di tutti i portafogli,ma accomunati dalla stessa fame di evasione e dalla voglia di staccare un po‟ la spina. La mia scrupolosità nel raccogliere informazioni per costruire il viaggio ad hoc,forse l‟ho applicata una volta di troppo. Una mattina è entrata una coppia,intorno ai 40-45 anni.Lei era veramente una bella donna,alta,bionda,molto ben curata. Lui un uomo affascinante,con una spruzzata di argento sulle tempie. Erano venuti per informarsi su una crociera;a me sembravano due naufraghi di un viaggio già fatto,la loro vita,che non era riuscito a portarli a destinazione. Diedi loro dei depliant da sfogliare e qualche consiglio su cosa scegliere. Di fronte al loro scarso entusiasmo,suggerii di leggerli insieme e farsi un‟idea meglio definita su quello che volevano. Andarono via lasciandomi un senso di sconfitta:era come se,qualsiasi cosa avessi fatto per loro,non sarei mai riuscita ad incollare qualcosa che era già inevitabilmente rotto. Nel pomeriggio mi telefonarono di nuovo. O meglio,lei;mi chiedeva maggiori informazioni su un‟eventuale crociera nel Mediterraneo. Sui depliant aveva visto qualcosa che le era sembrato interessante,ma voleva alcuni chiarimenti. Cominciai a snocciolare informazioni,a cui lei ribatteva con ironia irritante. All‟ultima,quella che ha la capacità di far traboccare il famoso vaso,non ce la feci a non rispondere:”Capirai,tre ore di nave,Maurizio morirà dal mal di mare,tra i tanti difetti da eterno vecchio,ha anche questo!”Ma come si poteva essere così cattivi? “Io credo che stiamo parlando di un viaggio che non vi accomuna:mi sembra che quello che mi chiede di organizzare,sia il suo e non il vostro viaggio. E‟ il caso che vi consultiate ancora un po‟. Arrivederci.” E senza darle il tempo di fiatare,troncai la comunicazione .Era stata veramente irritante e caustica verso una persona il cui unico difetto era forse di non essere come lei lo voleva,particolare che era uscito fuori solo dopo che l‟amore era finito. Per di più,il tutto veniva messo in piazza con una sconosciuta senza che la persona a cui venivano rivolte questa serie di recriminazioni fosse presente e quindi non poteva difendersi. Ma l‟amore che c‟era stato,non aveva forse più diritto ad un rispetto maggiore?Chiusi il mio pensiero,con la speranza di averla liquidata per sempre. Ma anche stavolta mi sbagliavo. La mattina dopo mi sorpresi ad alzare la saracinesca della mia agenzia in compagnia di lui.
In un‟ulteriore lite con la moglie,era venuto a conoscenza del nostro “scambio di opinioni” ed era venuto per approfondire. Per un attimo avevo creduto che fosse lì davanti a me per difenderla. Ma mi sorpresi ad ascoltare un uomo che,come un assetato finalmente alla sorgente,trovasse riscontro dei suoi pensieri in un‟altra persona. E con lei si stava confidando. Passammo un‟ora a parlare,tempo in cui il motivo principale del suo varcare la soglia della mia agenzia ritornò prepotente:un viaggio. Il suo viaggio,quello che per una vita speri di fare,ma che per un motivo o per un altro,non ti sei mai concesso. La sua volontà nel fare proprio una crociera,nasceva dalla sua paura dell‟acqua. Mi raccontò di come,da piccolo,non era riuscito a salvare il suo fratellino di appena quattro anni:erano in vacanza sul lago di Garda ed insieme,si erano avventurati allontanandosi troppo. Arrivati ad un tratto in cui la spiaggia quasi non c‟era più,invasa dal lago,costretti a passare nell‟acqua,aveva visto annegare il fratello senza poter far nulla. Così come a nulla valsero i soccorsi,se non riuscire a salvare almeno lui,che,come impazzito,tornava verso quell‟acqua che gli aveva rubato non solo il fratello,ma anche la voglia di vivere. I sensi di colpa dominarono la sua adolescenza ed infinite paure lo costrinsero ad un crescere viziato da condizionamenti interiori. La voglia di espiare i propri sensi di colpa,lo aveva indirizzato verso la professione medica ed il suo matrimonio con l‟attuale moglie,lo aveva convinto di aver in parte superato quel trauma. Avevano una figlia di dodici anni:la consapevolezza di non aver vissuto serenamente e di quanto questo condizionasse non solo il suo essere uomo ma anche padre,lo aveva portato a chiedere aiuto. Così,dopo un anno di sedute,con la serenità di chi vuole finalmente affrontare,aveva fatto richiesta di questo viaggio. La cosa aveva scatenato reazioni molto distanti da quello che doveva essere un piacere,portandolo a capire che forse,non era solo lui ad essere messo in discussione per migliorare,ma anche il suo matrimonio…con conseguente inasprimento della moglie che cercava di riportarlo a quello che era,con la speranza di poterlo ancora gestire. Non era certo quello che avrei voluto,entrare così nel personale di un uomo a cui avrei dovuto semplicemente organizzare un viaggio,per di più con la moglie,ma capitò .Ormai avevo di fronte a me non un semplice cliente,ma un uomo che aveva messo a nudo la sua fragilità e che al tempo
stesso da essa traeva la sua forza. Da quella mattina ebbe inizio uno scambio di sms,dapprima sporadico,poi assiduo. Fino ad arrivare ad un incontro in cui non c‟erano scuse,ma voluto da entrambi e dettato dal desiderio di conoscersi e viversi. Ed io,ormai,di lui vivo. Non l‟ho voluto,ripeto,è capitato. Anche se ora la situazione mi è sfuggita di mano e mi trovo di fronte a decisioni importanti da prendere,tutte insieme. Nonna,avrei tanto bisogno di te:ma credo proprio che dovrò cavarmela da sola. /--------------------------------------/
Finalmente dietro la mia scrivania,cerco di organizzare la mattina. Il mio pc è disseminato di mille post-it,che sono lì a ricordarmi informazioni,richieste,scadenze. Mollo il freno dei pensieri e mi metto all‟opera. Non faccio in tempo a mettere in pratica il mio buon proposito che squilla il cellulare. Come sempre nel cercarlo,si insinua la paura. Veloce vedo chi è:Carlo,mio marito. Ok. “Pronto,Carlo?” “Ciao Miriam.Ti disturbo?” “No,Carlo,dimmi. E‟ successo qualcosa?”Nel mio pensiero subdola di nuovo la paura. “No no,tranquilla. Volevo solo sapere se eri a conoscenza del pianto di tuo figlio stamattina.” Uffa…ancora. “No,Carlo,non posso saperlo. Lo hai portato tu all‟asilo. Io ero dalla nonna.” “Si…dalla nonna,certo. Possibile che non ti ricordi di avere un figlio?!” Ultimamente con Carlo riuscivo a confrontarmi solo così:a suon di rinfacci. “Si Carlo:me ne sono ricordata ieri sera,quando l‟ho messo a letto,stanotte,quando più volte mi sono alzata per coprirlo e dargli l‟acqua,stamattina,quando ho preparato colazione,vestiti e zainetto per l‟asilo,mentre voi dormivate.” “Si?Ed allora se sei così presente nella vita di tuo figlio,come mai non sai che piangeva?”
“Perché ero dalla nonna e lo sai benissimo.” “Si,dalla nonna!Raccontalo ad un altro!” “Buona giornata anche a te,Carlo”chiudo il telefono. Non ne posso più. Non ne posso proprio più. Da quando avevo affrontato Carlo per confessargli che ormai il mio amore per lui era finito,la mia vita era diventata un inferno. Quello che volevo era solo sincerità;anche se non potevo ancora dirgli di Maurizio,era ancora troppo presto,non solo per lui ma anche per me. Nella mia testa era ancora tutto avvolto nella nebbia e l‟unica cosa di cui ora avevo un bisogno estremo era chiarezza,ma che di certo non avrei raggiunto precipitando le cose. Avevamo tutti e due bisogno di tempo per metabolizzare. Carlo non era un uomo cattivo,ma forse tra i due era stato quello che amava di più. Per questo comprendo la sua sofferenza ma non la giustifico:cerco di farmela scivolare addosso,senza farmi intaccare,evitando di rispondere alle provocazioni,cercando di fare il meglio nel pieno rispetto di me stessa:se il mio comportamento fosse frutto di una ripicca,perderei di vista l‟obiettivo, la mia libertà di essere. Così resto sorda alle allusioni ed alle volgarità che ora si sono allargate a macchia d‟olio,fino ad insinuare che io non sia una buona madre. Cattiverie che non voglio che intacchino la stima che ho sempre avuto nei suoi confronti,il suo comportamento degli ultimi mesi non deve intaccare il ricordo che ho di lui. Almeno ci provo. Ma che voglia di fuggirmene via…prendere e partire,magari solo per un paio di giorni,sola,lontana da tutto e da tutti. Magari. L‟unico ostacolo è la nonna:non mi fido ad allontanarmi,la paura di perderla mi assale al solo sentire il cellulare squillare. So che un attimo di pausa sarebbe bello,ma non posso. Mi consolo tentando di rimettermi al lavoro:la mattina passa veloce nell‟organizzare viaggi,anche se non per me. Speriamo che almeno siano quelli giusti per i miei clienti. Verso mezzogiorno,di nuovo il cellulare:Maurizio. “Ciao…”rispondo”come va?” “Ciao Miriam.Tutto a posto,tu?” La solita telefonata,il solito orario. Non c‟è niente di diverso,tranne una strana sensazione che si potrebbe riassumere in un‟unica parola:distante. Freddo e lontano,come se un gelo sottile si fosse insinuato tra noi. Eppure avrei tanto voluto parlargli di cose
più serie del come va. Ma per la prima volta,proprio quando avrei voluto la sua vicinanza di cuore per potermi aprire a lui,lo sento freddo e distante,tanto che preferisco rimandare. Forse sono io oggi ad essere negativa ed intorno a me non riesco a vedere altro. Meglio mettere in stand-by i pensieri:mi aspetta un pomeriggio con mio figlio e forse,l‟abbraccio di Tommaso è l‟unico di cui io abbia veramente bisogno. In fondo,tutto quello che volevo era solo un amore ;essere al centro del mondo per qualcuno. Forse è per questo che ho sposato Carlo e forse è per lo stesso motivo che sono finita tra le braccia di Maurizio.Ma l‟unico abbraccio vero che ora mi resta è quello di mio figlio,l‟unico che ho e che posso vivere. Per lui non sono una seconda scelta,non sono la poverina che nessuno vuole,una nullità da poter liberamente sporcare,quella sempre sbagliata. Nonna…tu ci hai provato a non farmi sentire nessuno,ma tu sai perché il dubbio si è insinuato in me e chi ha contribuito a farmelo nascere e lo ha alimentato. La colpa non è stata tua,ma in quel primo abbraccio mancato che nella mia vita mi ha fatto sempre sentire sbagliata. E‟ stato come camminare sulle uova:non mi era permesso sbagliare,altrimenti non avrei avuto più nessuno,sarei rimasta sola. Mi sono fatta usare,mi sono venduta per un abbraccio. Ma non riuscivo proprio a farne a meno. Avessi almeno un po‟ del tuo coraggio per mandare all‟inferno tutti e vivere solo di ciò che mi fa star bene. Perché se l‟amore è veramente amore,deve farti sentir bene…altrimenti che amore è? Riuscire a tagliare tutti quei rami secchi che non mi fanno crescere…tu l‟hai già fatto per me. Ora che non posso avere il tuo aiuto,non trovo la forza per farlo per me. Uffa,basta pensieri negativi:non ne posso più. Oggi mi aspetta un pomeriggio pieno d‟amore e domani ci sei tu,nonna. Sperando di riuscire a coglierti in un momento di lucidità per tirar fuori insieme quello scheletro nell‟armadio che ora mi impedisce di decidere serenamente per me.
/-----------------------------/ “Credi in quello che sei e non a quello che ti dicono di essere”.
Queste parole la mia nonna me le diceva sempre quando d‟estate,da piccola,andavo da lei nella sua casa di campagna. Non aveva un vero e proprio bagno,ma teneva molto alla pulizia. Così la sera,in una vecchia tinozza di legno,a turno,ci lavavamo. Scaldava l‟acqua in pentoloni e faceva la schiuma con le mani. Mi aiutava ad entrarci dentro,ero gracile e mi diceva sempre che aveva paura di non ritrovarmi più in mezzo a tutte quelle bolle profumate. Mentre mi grattava le ginocchia nere di sporcizia,frutto di una giornata passata a correre e giocare per i prati,si lasciava andare in confidenze in cui cercava di trasmettermi tutta la sua esperienza ed il suo sapere sulla vita. “Incontrerai tante persone,sei giovane,hai tempo davanti a te. Ce ne saranno di buone,che ti vorranno bene e che con te vorranno condividere,altre che da te vorranno solo qualcosa. Sarà difficile riconoscerle,il male si nasconde in facciate di bontà che ingannano,complice il tuo essere giovane ed inesperta. Allora ascolta la nonna,che della vita ha già avuto un assaggio:credi in te e non a quello che ti dicono:solo così potrai essere sicura di non essere comprata.” Io l‟ascoltavo attenta,anche se non avevo ben chiaro nella testa quello che voleva dirmi. Forse l‟avrei capito con il tempo,così l‟ascoltavo comunque attenta e questo per me non era difficile:l‟adoravo ed avevo una fiducia cieca in lei. Ora che sono una donna,che sono mamma,nel bagno mi chiedo quanto io abbia veramente fatto mio quel consiglio. Mentre vedo quella striscia che improvvisa si colora,rivelandomi il caos in cui sarei sicuramente caduta ora,mi chiedo come abbia fatto la nonna così saggia,a rendermi immune dal mettere un po‟ di sale nella zucca per agire secondo criterio:quello di non restare inevitabilmente schiacciata sotto il gioco della vita,dove l‟unica mia colpa era stata quella di volere a tutti i costi essere circondata da amore,di cui da sempre avrei voluto far parte e,se non fosse stato per mia nonna,non ne avrei neanche conosciuto l‟esistenza. Vendersi per un abbraccio:sperai con tutto il cuore,di non averlo già fatto. Raccolgo tutte le tracce del mio test ed esco da casa. La destinazione sei tu e spero che stamattina riesca a parlarti. Clara è tranquilla, oggi pare che la nonna sia con noi. “Ciao nonna..”ti saluto e tu mi abbracci con gli occhi. Così con la naturalezza di sempre,mi accoccolo ai tuoi piedi e comincio
senza indugi,a parlare. “Sai nonna,ricorderò sempre l‟estate del ‟78;avevo 12 anni ed il mio corpo cominciava a cambiare. Ma non era l‟unico cambiamento.” “Già..in quell‟estate fu forte la presenza di tua madre…” “Quando arrivai,a giugno,scoprii che mi avevano tenuto nascosta la tua malattia:ne portavi i postumi,non vedevi ancora bene ed eri impossibilitata a camminare. Non si sapeva ancora se saresti mai tornata a muovere dei passi da sola. Così per aiutarti c‟era la mamma. Aveva preso ormai piede in quella casa,gestendone i tempi ed i tuoi ritmi. Tutto il paese la conosceva come la signorina Elvira,come amava farsi chiamare. “Signorina Elvira,com‟era ieri la frutta?” “Buongiorno signorina Elvira,va alla posta?” “Signorina Elvira…signorina Elvira…” Dio,che noia!Mi sembrava ridicolo che una donna di quasi trent‟anni con una figlia,si facesse chiamare signorina. Tu nonna eri molto diversa in questo: Filomena era Mena per tutti e nessuno sapeva che quello era il tuo secondo nome,che preferivi usare al posto di Adelaide perché quello a te sembrava troppo pretenzioso per un paese. E poi mai,dico mai,hai preteso di essere chiamata signora. Tra te e la gente tu eri quella che accorciava le distanze,quella alla mano:eri amica di tutti e tutti ti volevano bene.” “Ricordi come questo alla signorina Elvira dava fastidio?”mi dici sorridendo. “Già..”ricambio il tuo sorriso”la mattina era una processione:ora qualche amica,ora il parroco,ora la perpetua,tutti venivano a trovarti ed a vedere come stavi. Mamma accettava tutto questo con malcelato malcontento;sembrava irritarsi di tutto quel bene che il paese ti dimostrava e sbuffava sempre su qualcosa. Ora le pedate,ora le tazzine da rilavare,avevo appena fatto la cucina!,ora devo rifare il ciambellone,con tutta questa gente che va e viene,ogni cosa va via in fretta!” “Si…ma mica diceva da dove prendeva le uova e la farina!Sorvolava su come l‟intero paese non veniva mai a mani vuote,ora portava un panetto di burro,ora del latte fresco,ora uova,ora farina. E quelle rare volte che non accadeva,prendeva i miei soldi per fare la spesa.” Rabbia e divertimento al ricordare di come la mamma amava gestire,dettando i nostri orari,a partire dalla sveglia,alle 7.30.A suo avviso era indispensabile per preparare la nonna,pronta e seduta all‟arrivo della “solita processione”.Lei si alzava alle sei,prima di preparare la nonna rassettava la casa. Io potevo fare colazione alle nove e poi dovevo andare a
giocare;non poteva una bambina importunare gli adulti,per di più un‟inferma. Io avrei voluto passare un po‟ più di tempo con lei,non mi importava di correre nei prati,la nonna mi mancava. Ma in questo la mamma era fiscalissima:”vai a giocare,all’inferma penso io!”Che fastidio!Non la sopportavo quando si rivolgeva a lei chiamandola così. Tutto era un peso,lo svolgeva in perfetta efficienza ma non vedevo amore nel farlo. Io che invece l‟adoravo,soffrivo del tempo mancato insieme e ancor di più nel vederla così. “Credi non sappia quanto la cosa ti pesasse,Miriam?Ma la mamma era così:efficiente e priva di cuore. Ci teneva separate anche a pranzo,imponendoti di mangiare con lei solo dopo che io lo avevo già fatto ed ero a letto per il riposo pomeridiano. Tutto per tenerci lontane:era sempre stata gelosa del nostro rapporto ed ora aveva carta bianca nel poterlo gestire.” Come sempre straordinaria nel capire,nonna… “Però la sera era rimasta nostra:quando ti infilavi in quella vecchia tinozza per lavarti e lei era costretta a lasciarci per preparare la cena. Io ero lì che ti ascoltavo chiacchierare,cercavo di seguirti con gli occhi,anche se ancora vedevo solo le ombre,senza riuscire a parlarti ma abbracciandoti con il cuore.” Mi stringo ancora più a te:non mi sbagliavo su quello che erano i tuoi pensieri,quell‟estate. “A cena però riuscivamo a mangiare tutti insieme come insieme dicevamo il rosario” “Sai,nonna,non ho mai capito se il volerlo recitare fosse per te un‟esigenza o un dispetto per la mamma:era atea.” Sorridi furbetta; “L‟ultimo dispetto…prima del suo:alle dieci tutti a letto.” “Sai,in quelle sere calde,nel girarmi e rigirarmi nel letto,se non fosse stato per il caldo,mi sembrava di essere ancora in inverno,quando le giornate erano scandite da orari ben precisi e la sera ci si coricava presto .A me mancavi tanto,nonna,quel nostro ritrovarsi la sera,quando a fine giornata ci si confrontava. Ma pur di viverti e restarti ancora accanto,mi accontentavo di quel poco tempo che la mamma ci concedeva e tolleravo l‟intromissione della sua prepotente presenza che voleva gestire ogni cosa. Avrei sopportato tutto pur di avere ancora un tuo abbraccio,nonna. Così volò giugno,aprendo la strada ad un luglio pieno di sorprese.”
Alzo gli occhi su di te:dormi .Forse è meglio così. Continuiamo domani,ora è ora di andare al lavoro. /-------------------------------------/
In macchina,telefono a Maurizio. “…risponde la segreteria telefonica…” Cellulare spento. E‟ da ieri che non riesco a parlare con lui. Mi ricordo di quando,per uno stupido litigio,per due giorni staccò il telefono. Mi mancava così tanto ed avevo una voglia matta di far pace,ma non sapevo come fare. Allora mi finsi una sua paziente e feci la fila per una visita. Diedi un nome falso:non scorderò mai il suo sguardo sorpreso,la sua bocca immediatamente allargata in un sorriso dove io mi tuffai,felice. Chiusi a chiave la porta e finalmente trovai la pace che tanto avevo desiderato. D‟impulso,decisi che stamattina dovevo proprio parlargli. Così mi finsi di nuovo una paziente. Dopo una breve anticamera,varcai la soglia del suo studio;un giro di chiave,lo salutai:”Ciao,Maurizio”. Solo allora hai alzato gli occhi dalle tue carte:ma non è uno sguardo stupito e felice il tuo,anzi. Direi piuttosto scocciato. “Ciao Miriam,come mai qui?” “Hai sempre il cellulare staccato ed io ho urgenza di parlarti.” Un attimo di silenzio:forse sono stata troppo invadente. “Mi dispiace,non ho molto tempo…” “Cinque minuti,non di più.” Ancora silenzio da parte tua,interrotto solo dal rumore dei miei passi. Mi accomodo sulla sedia davanti a te,ci divide la scrivania. Stavolta la distanza tra noi è reale,nessun gesto d‟affetto da parte tua,neanche frettoloso:non sei contento che io sia qui. “Mi rendo conto che tu sei sul posto di lavoro;sono consapevole anche della distanza fisica che c‟è ora tra noi…non sono qui per supplicarti di riprendere un discorso che forse tu vuoi invece interrompere. La mia visita è esclusivamente per un consiglio medico.” Alzi il sopracciglio sorpreso. “Forse in questi ultimi tempi non sono stato esattamente il Maurizio di
sempre…ma a questo c‟è una spiegazione…” “Che ora non voglio ascoltare.”ti interrompo”Quando sarà,ti ascolterò. Ma non sono qui per questo.” “Per cosa allora?Stai male?”mi chiedi. Per un attimo ho la tentazione di dirti tutta la verità;ma se prima la situazione non riacquista il giusto equilibrio,non voglio prevaricare,né desidero che certe decisioni importanti vengano prese per conseguenza. “Vorrei sapere che tipo di pazienti frequentano il tuo studio.” “Che vuoi dire?Non capisco.” “Quell‟unica volta in cui abbiamo fatto l‟amore qui. Ecco,mi sono punta con un ago usato…” Ti vedo scattare dalla sedia,la voce allarmata. “Miriam,perché non mi hai detto nulla!” “Lì per lì non ho dato importanza alla cosa;solo dopo ne ho compreso la gravità. Magari,se dai un‟occhiata all‟agenda,agli appuntamenti di quella settimana,potrei avere informazioni utili su quello che potrebbe essere…” “Si certo. Guardo subito.” “No,non lo fare adesso con la fretta. Finisci il tuo lavoro,poi con calma controlli” “Si,ma tu intanto devi fare delle analisi. Domattina ti accompagno io.” “Come vuoi. Ora vado,ti lascio al tuo lavoro.” Faccio per alzarmi ed andare ma tu mi precedi,annulli la distanza tra noi e mi abbracci. “Ci sono,Miriam.Ci sono.” Per un attimo sto per cedere. Ma riesco a staccarmi da te. “Ciao Maurizio.Fammi sapere.” /---------------------------------------/ Di nuovo in macchina. Dio,quanto è stato difficile!Per un momento sono stata lì per lasciarmi andare e dirti tutto,che le analisi le ho già fatte,ma che non posso aspettare altri tre mesi per sapere se sono veramente fuori pericolo. Sono già al secondo mese,devo anticipare i tempi. Dopo,solo dopo,deciderò che cosa fare.
IL SOGNO DI ANGELA
Non so cosa significhi perdita. Per poterlo sapere,avrei dovuto avere e non ho avuto. Quando avevo 16 anni,la nonna della mia migliore amica si è ammalata gravemente. Io la conoscevo molto bene,così come tutti i suoi parenti:erano tanti e tutti molto uniti. Un pomeriggio sono andata con lei a trovarla:la casa era piena di gente,amici,figli,nipoti, tutti stretti intorno a lei. Il marito si aggirava in quella folla,il viso una maschera di dolore,con gli occhi sempre pronti a cercare quelli della moglie. La vedeva lì,ferma,in quel letto,accerchiata da tutti,perché ognuno voleva da lei il pezzetto che gli apparteneva. Nel vederla così,con quel sorriso tirato nonostante i dolori della malattia che la stavano velocemente consumando,in me si rafforzava l‟idea che nella sua vita dovesse essere stata una persona molto buona e di gran cuore. Poi una signora,non so chi,non la conoscevo,disse al nonno qualcosa. Non mi ricordo più le parole esatte,solo il senso,qualcosa come tu sei qui ,la guardi e un po‟ ti dispiace che stia male,la vorresti tutta per te,senza tutta questa gente intorno. Lui rispose semplicemente,schietto e forte del suo amore ,con parole che ancora mi ricordo:”Abbracciarla,baciarla,pure l’amore ci farei se stesse bene!” La sua frase,a voce alta,sopra il frastuono del vociare di tutti,ha saputo spegnerlo per un istante. Ma all‟unisono,seguì un‟ovazione generale ed un sorriso imbarazzato ma complice della nonna:erano stati insieme una vita e se avessero potuto,si sarebbero amati come il primo giorno. Ma questo non è stato più possibile. Il dolore che alla sua morte ho letto negli occhi di tutti,io ho provato a capirlo,ci ho provato davvero,ma non ci sono riuscita. Con mia sorpresa,anche in mia madre vidi una reazione di dolore:restò chiusa in camera a fissare la pioggia che cadeva al di là dei vetri. Probabilmente soffriva per il ricordo della sua,di mamma. Ma a me una domanda martellava nella testa:se succedesse a me, avrei quella faccia,quelle lacrime,proverei quel dolore? No,ne sono sicura,non credo che potrei,non ne sarei capace,non c‟è un legame così profondo nella
mia vita. Forse è stato questo che da quella sera,da quando con un taglio netto ho reciso quel cordone mai esistito con mia madre,ho rincorso la mia unica possibilità per avere anch‟io radici:un figlio. Costruire con lui quello che non avevo mai avuto,una famiglia vera. Sono passati due anni dal giorno in cui fui messa alla porta da mia madre,due anni felici trascorsi da sposati,dopo una cerimonia civile;la cosa più naturale da pensare ora,era mettere in cantiere un figlio. In me era forte l‟esigenza di un legame sicuro;in tutta la mia infanzia,avevo camminato in equilibrio frutto dell‟approvazione degli altri,tutti,con mia madre in testa. Ho ricevuti pochi abbracci … a dire il vero,mi sembra di averli comprati e la merce di scambio era me stessa. Ma io non avrei mai fatto lo stesso errore con mio figlio:il nostro sarebbe stato un rapporto d‟amore e di accettazione completa,io gli vorrò bene a prescindere come lui a me perché io lo voglio,lo voglio davvero. Così ancora una volta,per il sogno dei sogni,accantono tutti gli altri per dedicarmi solo a questo. Da bambina ti convincono che per realizzare i tuoi sogni basta crederci;ora,da adulta,sto lentamente prendendo coscienza che decidere di realizzarne almeno uno,toglie la strada a tutti gli altri. Scegli,nella speranza che quello che hai deciso di vivere,valga la contropartita. Così buttiamo i preservativi e aspettiamo. Nel frattempo mi trovo un lavoro part-time in un giornale locale dove svolgo funzioni da segretaria e nel pomeriggio continuo a studiare,in finale mi mancano solo tre esami,forse questo sogno ho ancora la possibilità di non abbandonarlo. Primo mese:buco nell‟acqua. Vabbè,non è un dramma,siamo solo agli inizi. Riproviamo ed aspettiamo fiduciosi. Secondo mese:nulla. Terzo mese:come prima. Quarto,quinto,sesto…si arriva fino al decimo ed io ancora non sono incinta. Ma perché ? La situazione tra noi si carica di nervosismo,la nostra serenità di coppia si sta perdendo dietro alla sofferenza personale che isola e fa ancora più male. Ma io mi rifiuto,non voglio cadere in questa spirale di dolore,così,prima
che le cose tra noi si incrinino irreparabilmente,mi decido ad andare da un medico. E lo faccio,non so perché ,senza dire nulla a Michele:forse la mia è solo paura, quella di sentirmi dire qualcosa che non vorrei proprio più ascoltare. Faccio lo stesso errore,quello di sempre:cerco di dare agli altri quello che vogliono,per la paura che per me,non ci sia un abbraccio. Io un figlio lo voglio…ma è più grande per me,la paura di non essere amata. Così vado:mi sottopongo ad una visita accurata,dove metto il ginecologo al corrente dei dieci mesi passati in tentativi falliti. Mi prescrive una lunga serie di analisi più approfondite. Non è stato facile farle in segreto da Michele,ma dopo neanche una quindicina di giorni sono dal dottore con le risposte. Non ho avuto il coraggio di leggerle:le ho consegnate al medico a scatola chiusa ed ora sono qui come un condannato a morte in attesa del verdetto. E‟ più di dieci minuti che gira e rigira quei fogli senza dire una parola:questo silenzio prolungato comincia ad innervosirmi. “Da quello che leggo signora…”finalmente parla!”…da quello che leggo,mi sembra di essere di fronte ad un utero affetto da endometriosi uterina. In famiglia ci sono altri casi?” “Non lo so…” balbetto “…ma dottore si cura,vero?Non è una cosa grave…” “Signora,per ora questo quadro mi dà la risposta alla sua sterilità. Sarà il tempo a dirci se è irreversibile. Provi con questa cura.” Continua a parlare mentre mi passa fogli con prescrizioni,medicine,analisi,consigli. Io non lo ascolto più:sono senza fiato…due parole ed il mio sogno non c‟è più. Ed ora? Come faccio ad accettarlo? Come posso dirlo a Michele? /------------------------------------------------------------------/ Sono chiusa in un sarcofago di vetro,immersa in un liquido spermatico. A me manca l‟aria,voglio uscire…cerco di resistere,dicono che questo sia l‟ultimo ritrovato contro l‟infertilità. E‟ sicuro e rapido,basta solo star tranquilli e non pensare al coperchio che mi si sta richiudendo sulla testa. Mio Dio,non posso farcela… Basta,voglio uscire! Comincio a tirare calci e pugni,chiamo aiuto,voglio uscire,fatemi uscire! Urlo sedendomi di scatto sul letto:cazzo,era un sogno. Mi asciugo la fronte imperlata di sudore e guardo la sveglia:le tre. Il posto accanto a me,nel letto,è vuoto. Ma dov‟è Michele,non è ancora rientrato?
Vado in bagno a far pipì. Ma guarda te che brutto sogno sono andata a fare. Faccio per tornare a letto,quando sento la chiave girare nella toppa. “Michele…” Non mi risponde,in silenzio si gira e comincia a fissarmi. I suoi occhi sono così piccoli e rossi da sembrare due piccole fessure:c‟è,qualcosa di strano in lui. Mi avvicino per abbracciarlo e capisco:ha bevuto. “Tutto bene amore?Hai una faccia…” Ti pianti davanti a me con un‟espressione di disgusto sul volto. Hai uno sguardo che fa paura. “Tutto bene,dici?Tu invece?Ti sono arrivate?” Parla biascicando,tanto che faccio fatica a capirlo. Continua a parlare ignorandomi,perso nel suo monologo carico di rabbia e di un dolore di cui io ignoro l‟origine ma che mi fa tanta paura. “Allora,non rispondi? Non mi dici se dobbiamo farlo o no? E‟ giorno buono?” Mi si gela il sangue nelle vene. “Che dici,vogliamo tirarla fuori la verità?” Scuoto la testa impaurita. “E non far finta di non capire!” urla. E giù una sberla,con una violenza che mi scaraventa per terra. Terrorizzata,mi trascino via veloce strusciando sul pavimento,ma tu mi agguanti una caviglia e mi impedisci di scappare. “Allora?Che c‟è,non parli più?” Ti accucci e continui a guardarmi con occhi spiritati:istintivamente,mi riparo la pancia. “Ma che ti ripari,finiscila con queste scenette! Perché non mi dici che è più di un mese che lo sai? Perché,perché non me lo hai detto?” Lacrime continuano a scendere dai miei occhi,che sembrano avere il potere di centuplicare la sua rabbia. “E smettila di frignare!” Giù,ancora un‟altra sberla,con tutta la forza della sua rabbia. Stavolta però sono preparata,mi prende solo di striscio,veloce riesco a rialzarmi e mi chiudo in camera. “Apri stronza! Sei solo una fottuta stronza!” Ti sento prendere a spallate la porta. “Smettila,Michele,smettila,lasciami in pace!” urlo isterica”vattene o
chiamo immediatamente la polizia! Ho qui il cellulare,guarda che lo faccio!” Silenzio. Lo sento borbottare,dare qualche altro calcio alla porta,poi più niente. Mio Dio,che male. Sento il sangue mischiarsi alle lacrime…come ha potuto,come. So di aver sbagliato ad omettere la verità:ma il solo pensarlo faceva tanta paura già a me. Ma non credevo di meritare questo. Ed ora? Che cosa sarebbe successo? /-------------------------------------------------------/ La mattina mi sveglio dolorante ed ancora impaurita. Voglio credere,Dio sa quanto, che tutto quello che è successo ieri sera,sia stato solo frutto di alcool e dolore. Così,con un coraggio che spero non mi abbandoni,giro la chiave ed esco dalla stanza. Mi investe l‟odore del caffè:sei in cucina,lavato e sbarbato di fresco che prepari la colazione. “Ciao”cerco di rompere il ghiaccio. “Ciao Angela.Vuoi qualcosa?” Il tuo tono è glaciale,mi parli senza alzare gli occhi. C‟è una nuova ruga che ti attraversa la fronte. “No. Vorrei chiarire.” La mia lealtà:non mi abbandonerà mai. “Chiarire? Semplice:ho letto per caso le tue analisi. L‟alcool ha fatto il resto.” Spietato. Telegrafico. Nessuna parola di scusa. Nessun pentimento. “Non so perché mi hai tenuta nascosta una cosa così importante. Mi hai mentito ed io non so se riuscirò mai a perdonarti una cosa così grave.” Perdonare lui? “Da oggi in poi le cose cambieranno. Non intendo più passarti dei soldi che non so come spendi…” Faccio per ribattere ma tu mi zittisci subito. “Come le hai pagate le tue analisi?Con quei quattro soldi che ti danno?O te li ha passati tua madre?” Meschino “Comunque da oggi in poi le cose andranno così. Se non ti va bene,puoi ritornare da dove sei venuta.”
Crudele. E senza un gesto,una parola che potesse in qualche modo riavvicinarci,te ne vai. Chiudi quella porta senza aggiungere altro. Eri tu? Eri veramente tu? Eri il sogno dei sogni…l‟unica cosa che da sempre desideravo:amare ed essere amata. Era un‟emozione mai provata. Io avevo veramente creduto che in te avrei trovato tutto questo. Ti ho affidato la mia vita,sbattendo la porta in faccia a quella che era stata la mia fino ad un momento prima di conoscerti. Era stata un‟esistenza piena di rifiuti e consapevolezza di non essere voluta. Sulle macerie di tutto questo ho voluto costruire una nuova vita con te. Ma il soffio di quella porta,a distanza di due anni,ha buttato giù quel bel castello di carta che avevo ingenuamente costruito. Perché . Il conto stavolta è doppio. Il passato ritorna prepotente nei miei ricordi,nello stesso istante in cui,il presente,crolla. Un dolore lancinante…perdo sangue…ho appena la lucidità di chiamare un‟ambulanza. /----------------------------------------------/ Io avevo le giornate inghiottite dal vuoto,lo stesso che vedevo nelle persone che intorno a me avrebbero dovuto essere piene di un amore naturale. E allora,per sopravvivere,ho cercato di riempirle io,di riempire quel vuoto per non esserne inghiottita a mia volta,per non essere circondata da quel buio che non permetteva a nessun spiraglio di luce di essere attraversato. Mi sentivo naufraga in un mare immenso,dove c’era nero,solo nero,se guardavo su,se mi immergevo,ai lati,tutto nero. Ho avuto paura che quel buio contaminasse anche me,che entrasse a far parte di me…ma io volevo un mondo a colori,dove tutto intorno a me riflettesse i colori del sole. Ho lottato ogni giorno per trovare l’equilibrio giusto,fatto di una lotta quotidiana contro chi,in quel buio,voleva trascinarmi,voleva farmi inghiottire per non permettermi di volare in alto,verso quel sole che la loro incapacità,non permetteva neanche di vedere da lontano. Ho riempito io quel vuoto .Con l’amore immenso che ho dentro e che illumina da sempre,come un faro,quel mare nero. Nonostante io sia una pianta senza radici:esisto e non sappia da dove nasco. Le mie diramazioni,che negli altri affondano nel terreno,in me si
propagano in alto,perché giù,nella terra,non ho niente da affondare. Cresco,cresco,mi sforzo di arrivare là,dove spero per me,ci sia qualcuno che mi voglia amare. Alcuni sono rami mozzi,privi di foglie e fini a se stessi. Ce ne sono vari,tutti tentativi inutili nel cercare. Alcuni non l’ho neanche iniziati,per paura,per non rischiare. Il tuo…si ergeva maestoso. Ma oggi si è curvato sotto i colpi di un gelo inaspettato. Cerco di scaldarlo…è un po’ che lo faccio. Ma sono priva di forze,non so se stavolta riuscirò. Dietro quel ramo mi sto curvando anch’io:questo è quello che succede a chi non ha radici e cerca di costruire su castelli di carta. Un soffio di vento e non c’è più nulla…Solo di nuovo quel mare nero. /----------------------------------------------/ “Corri,non c‟è un attimo da perdere,sta perdendo molto sangue…è un aborto. Spontaneo? Da vedere,guarda che segni ha in faccia…” Voci lontane .Realtà di una verità violenta e crudele.
LA DECISIONE DI LORY
Mi sono trasferita a Roma. Non è stato difficile ottenere un trasferimento al lavoro. Per la casa mi sono accontentata:ho preso una stanza in affitto in un appartamento che divido con due studentesse universitarie. Ero un po‟ titubante all‟idea di questa convivenza,invece è divertente vivere con loro,sono così piene di amici e soprattutto di sogni,pronte a buttarsi nella mischia della vita e divertirsi. A volte,nei momenti di tristezza,mi aiutano a non cadere ancora più giù. Non ho fatto parola con nessuno della mia gravidanza;forse perché non ho
ancora deciso cosa fare, o forse perché fa ancora troppo male tornarci anche solo col pensiero. L‟unica cosa che ho fatto è stata un‟ecografia,che mi ha confermato la gravidanza in corso. Mi hanno detto che va tutto bene e che sono di sei settimane:ho tutto il tempo per decidere. Intanto vivo una vita che forse è più finzione della precedente:gioco a fare la ragazza spensierata,il peso che ho portato finora l‟ho incartato in un angolo del mio cuore,aspettando a scartarlo quando sarò non dico pronta, ma almeno più forte per affrontarlo. Al lavoro l‟ambiente è sereno e tranquillo ed io mi sono integrata subito. Se non fosse per quegli occhi tristi che l‟immagine dello specchio mi rimanda,oserei dire che la mia vita sta riprendendo la rotta giusta. Una mattina la mia compagna di stanza mi sveglia praticamente all‟alba. “Lory! Lory,svegliati…aiutami per favore!” “Alessandra,che c‟è? Stai male?” “No,no…ma vieni con me?” “Si,certo…ma che ore sono?” le chiedo sedendomi sul letto. “Le cinque e un quarto ma non importa…allora,me la dai „sta mano senza fare domande?” “Si… si,arrivo..” Assonnata mi alzo e la seguo in bagno. “Lo devo fare:ho un ritardo di 15 giorni. Impazzisco se non lo so.” Nel dirmi questo,tira fuori dall‟armadietto un test di gravidanza. In silenzio aspettiamo il responso:negativo. Mi abbraccia con trasporto,felice. “Sai…la persona con cui l‟ho fatto…beh,non è affidabile. Non che non lo ami,ma è preso anche da altre storie…non sono l‟unica donna della sua vita. Io un figlio non solo lo voglio fare per amore,ma farlo crescere con l‟amore di tutti e due i genitori.” E così come è arrivata,sparisce,lasciandomi sola. La sua verità mi colpisce come un pugno allo stomaco:non è molto distante dalla mia… e capisco che i tempi sono maturi per arrivare a decidere. /------------------------------------------/ “Questa è la lista di cose che deve fare e non fare. Le analisi ci sono, la cartella è pronta. Si presenti quì il 12 a digiuno.” Ho deciso:non lo voglio. E non perché tu non ci sei al mio fianco,non perché è l‟ultima cosa che ho di te per cui me ne voglio disfare con la
cattiveria di chi con dolore vuole solo cancellare,ma perché il mio era un amore a senso unico. Ho semplicemente capito che è vero:per fare un figlio si deve essere in due. Non solo per farlo ma anche per crescerlo. Non posso penalizzarlo già dalla nascita. Nei suoi diritti c‟è anche quello di avere una famiglia. /----------------------------------------------/ “Lory,c‟è una telefonata per te.” Sono in ufficio;vado a rispondere. “Ciao Lory” Gianluca! Resto per un attimo senza parlare. “Lory…ci sei?” “Si. Sono qui .” “Vorrei parlarti.” “Dimmi.” “Io e te. Ma non per telefono.” “Credi sia una buona idea?” “Mi manchi Lory.” “Anche tu,ma non credo basti più.” “Non so cosa sia cambiato,ma ti voglio vedere. Promettimi che ci penserai.” “Ok. Ora devo andare.” “Ok…ciao.” “Ciao Gianluca.” Riaggancio. Accidenti,mi ha trovata. Non che fosse così difficile,ma non credevo neanche mi cercasse. “Lory,ti va di andare alla sede a piazza di Spagna per una consulenza al volo?” “Si…si,certo Max.” E‟ una bella giornata di sole. Vado con la metro,così faccio due passi e penso in pace. /------------------------------------------/ Io la mia decisione l‟ho presa e non intendo tornare indietro. Non voglio che mio figlio abbia un padre che scelga di vederlo solo in base ai suoi incontri con Clarissa ed ai suoi umori. Non nego che mi abbia stupita sentirlo al telefono. Non credevo che avesse il tempo né la voglia di farlo,ultimamente per lui esisteva solo Clarissa. Ma questo non cambia nulla.
Sono sul tapis roulant. Sto per arrivare alla fine,quando mi sento tirare con forza. Improvvisi,calci e pugni e una mano che mi tappa la bocca. Mi sento frugare e strappare con brutalità i vestiti di dosso. La violenza si consuma veloce ed in silenzio. Non riesco neanche a guardarlo in faccia. Finisce e con un ultimo calcio si alza e se ne va. Resto lì,per terra insanguinata non so per quanto tempo. “Aiuto.”provo a chiamare. “Aiuto.”cerco di chiamare più forte,ma la mia voce è appena un sussurro. Poi finalmente qualcuno accorre. Voci intorno a me. Qualcuno mi copre. Perdo sangue. Aiuto. finalmente arriva la barella dell‟ambulanza che mi porta di corsa all‟ospedale.
L‟ESTATE DEL „78
"Anche a luglio le nostre giornate procedevano uguali a quelle del mese precedente,scandite dai ritmi della mamma che organizzava con l'orologio alla mano." Sono dalla nonna:è un poâ€&#x; sofferente oggi,un'anca le fa male ma mi ascolta in silenzio. "Ti ricordi poi che caldo torrido?Vischioso come una vernice,colava giorno dopo giorno su di noi,per poi di notte solidificarsi e restare incollato al paese. Ti sentivo a volte lamentarti,sai nonna?" Sorridi a mezza bocca,annuendo con la testa. "Ti lagnavi nel tuo letto,tutta sudata ed appiccicosa,con la mamma che brontolava ogni volta che ti rinfrescava,sottolineando di come il suo lavoro non arrivasse mai alla fine. A volte non sopportavo neanche di sentirla;me ne andavo all'ombra di qualche albero intorno alla casa. Con un libro sottobraccio,a voce alta,leggevo urlando a squarciagola,con la speranza che le parole avessero forza e vigore per arrivare alla tua finestra,varcarla
e,come note musicali,in fila,giungere alle tue orecchie ed avere il potere di lenire un po‟ la tua sofferenza,aiutandoti a riposare. Avevo ormai rinunciato a leggere per te,la mamma me lo aveva proibito. "No,no e ancora no!Tua nonna è inferma in un letto e tu pensi alle tue storie!Nelle sue condizioni,certe sciocchezze da bambini possono solo innervosire di più .Fammi un piacere,va fuori,in camera tua,dove ti pare,ma non importunare tua nonna che è malata!E non importunare neanche me che mi spacco in quattro per accudirla nel migliore dei modi!Sei veramente senza cervello!" Devo trattenere un moto di rabbia al ricordo di quelle parole:nonna inferma,io senza cervello...la "signorina Elvira"aveva veramente pensieri pieni d'amore per noi. Mi stringo ancora di più alle ginocchia della nonna,che delicatamente mi accarezza i capelli. Non erano solo il pensiero della nonna e le cattiverie della mamma a preoccuparmi in quei lontani giorni d'estate:c'erano quegli strani malesseri che avevo già da qualche tempo e che negli ultimi giorni si erano fatti più insistenti. Da Pasqua il mio seno aveva cominciato a crescere;all'inizio non avevo ben chiaro ciò che stava succedendo,avevo solo un forte dolore al capezzolo. Casualmente notai davanti allo specchio il suo accenno di forma:indossando una maglietta che ormai si stava facendo piccola,era veramente evidente. Sollevata dal capire il perché ,ero contentissima nel constatare che anch'io,come le altre,stavo cominciando a crescere. A scuola tra le femmine non si parlava d'altro. Le più grandi,già donne nelle forme,mostravano vanitose,i segni evidenti del loro già avvenuto sviluppo:peli sulle gambe,sotto le ascelle,venivano mostrati orgogliosi. E quando qualcuna di loro era costretta ad andare a casa per i dolori mestruali,la loro vanità arrivava alle stelle. Io,ingenua nel capire molte cose e tarda a volte nell'afferrare al volo sorrisi ed allusioni,non potevo che essere "lenta"anche nel crescere. In confronto a loro,sembravo un manico di scopa:ma finalmente le cose si stavano muovendo anche per me. Così a maggio anch'io comprai orgogliosa il mio primo reggiseno. Era fatta,anch'io presto sarei diventata signorina!E proprio quando i miei pensieri erano altrove e volavano via verso mia nonna e nella voglia di fare qualcosa per lei,quella prima goccia arrivò. "Stai pensando a quel giorno,vero?"mi chiede la nonna. Ma come fa a
leggermi nei pensieri? "Si...ero in giardino,come sempre,all'ombra a leggere a squarciagola. All'improvvisa,la pipì.Non mi andava proprio di andare a casa: Ma che fai sempre qui,ti avevo detto di andar fuori,il bagno l'ho appena pulito,io!"Rifaccio il verso alla mamma. "Miriam!"mi riprendi. Ma poi scoppiamo tutt'e due a ridere. "Non mi andava proprio di sentirla"riprendo a raccontare"così mi accucciai poco più in là tra l'erba,nascosta dal tronco di un grosso albero secolare .Avevo con me un fazzoletto,lo avrei lavato poi. Quando lo vidi rosso...” Mi rivedo correre a perdifiato verso casa per dirlo alla nonna ed a mettere subito uno di quei cosi,come si chiamano,altrimenti avrei macchiato tutto. Vedevo sempre le più grandi che se li passavano tra sorrisi ed occhiatine ed andare tutte insieme al bagno. "Vado a cambiarmi"dicevano. Ma poi tornavano sempre vestite uguali. Allora un giorno trovai il coraggio di chiederlo ad una di loro,mi sembrava la più simpatica e disponibile:mica tanto. Immediata arrivò la sua risata di scherno. "Ma quanto sei deficiente!Mi cambio l'assorbente sporco,lo porto da stamattina!Ma non sai proprio niente!" In un attimo me le ritrovai tutte intorno e canzonandomi mi offrirono un'ampia spiegazione di quello che c'era da sapere. "Anche se credo che per te la strada sia ancora lunga!"mi disse una di loro,ridendomi in faccia. Poi,di botto seria,mi diede uno spintone che mi attaccò letteralmente al muro. "Non azzardarti mai più ad avvicinarti a noi. Un moscerino come te deve saper stare al suo posto!" Se ne andarono tra le risate,lasciandomi finalmente in pace. Ma ora avrei avuto anch'io la mia rivincita,a settembre sarei tornata a scuola donna . A casa,rossa dalla vergogna,dissi tutto alla mamma. Mi diede un suo assorbente e nel pomeriggio uscì personalmente a comprarne degli altri. In un atto di bontà,mi comprò anche una pastarella per festeggiare. Possibile che anche lei avesse un cuore? "Dai...ti ha comprato pure la pastarella!" Ti guardo:sorridi allegra a quel ricordo. Nelle tue condizioni riesci ancora a trovare del buono. Ti lascio riposare e nel vederti vado via con una certezza in più:vivere di
quello che ho,ridimensionando il resto. E da lì ripartire.
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"Vedrai,il mio amico ci farà avere subito i risultati." Sono con Maurizio;ha insistito per fare le analisi. Sembra seriamente preoccupato per me. "Hai controllato quello che ti ho chiesto?"domando. "Si..." "E allora?" Sfugge al mio sguardo mentre mi risponde. "Quella settimana ho avuto un soggetto a rischio tra quelli visitati...per questo sono così preoccupato." "A rischio di cosa?"chiedo sforzandomi di apparire tranquilla. "Miriam...è sieropositivo." Cerco di soffocare l'urlo che è salito fino alla mia gola...non è possibile! "Maurizio?" E' il suo amico del laboratorio. "Vieni,di qua ."Ci fa accomodare in un piccolo studiolo. "I risultati sono negativi. Ma questo,da quello che mi hai detto,non vuol dire essere fuori pericolo. Almeno non ancora." Comincia a parlare del periodo finestra:sei mesi in cui la sieronegatività del test può avere la possibilità di mutare in positività. Cose che già so e che non voglio ascoltare di nuovo. Sono già quattro mesi che faccio prelievi. L'unico motivo per cui sono qui è sapere se in quella settimana al tuo studio fossero venuti pazienti a rischio e purtroppo uno ce n‟era. Forse è ora di chiedere un consiglio:voglio sapere esattamente i rischi per il mio bambino. Usciamo da lì e Maurizio si offre di accompagnarmi in agenzia e nel tragitto cerca di tranquillizzarmi promettendomi che mi sarà vicino. Mi faccio lasciare davanti all'agenzia:lo congedo frettolosa e come vedo la sua macchina sparire,corro a prendere la mia per andare dalla nonna. /-----------------------------------/ "Ti ricordi quella mattina,nonna?Erano arrivati quei parenti che non vedevi
da tempo. Così,un po‟ perché ti lasciavamo in compagnia,un po‟ per fare la spesa,la mamma mi chiese di accompagnarla. Voleva comprarmi una stoffa per cucirmi un vestito nuovo:ero cresciuta e ad agosto c'era il ballo di fine estate." Oggi la nonna la vedo meglio:ha dormito tranquilla ed ha mangiato. Non sembra più avere quei brutti vuoti di memoria. "Ricordi?Tutte quelle storie su quanto eri cresciuta..."mi dici. A me questa cosa mi aveva lasciata con mille domande. "Nonna,ma perché dopo il ballo hai mandato via la mamma?E' vero che ormai stavi benino,ma mi sono sempre chiesta perché ." Ti vedo diventare rossa rossa. Forse il pensiero della mamma ti fa male:dopo neanche due anni che dall'oggi al domani è sparita,si è tolta la vita. Ricordo ancora tutte le chiacchiere del paese. Forse ho fatto male a farti questa domanda. Hai negli occhi paura:ho già visto quello sguardo...mi siedo in preda ai ricordi...
Una mattina mi recai in paese con la mamma. Era una cosa insolita che lasciasse la nonna,ma erano arrivati dei parenti che non vedeva da tempo. Dovevamo comprare la stoffa per il mio vestito nuovo per la festa di fine estate. "Signorina Elvira!Che sorpresa!" Era il signor Di Bartolomei,un maresciallo dei carabinieri in pensione,che stranamente,ogni volta che vedeva la mamma,la riempiva di complimenti. "Il vederla rende questa giornata speciale,raramente ho il piacere di incontrarla. A cosa devo questo onore?" Bleah,quanto era melenso e formale. "Oggi sono riuscita a liberarmi un po’ dalle mie mille incombenze:così ne ho approfittato per portare mia figlia a fare un giro E' sempre in casa con persone anziane..." "Ma cosa dice...lei è così giovane!"e poi,avvicinandosi sornione"è ancora in grado di far girare la testa a molti uomini e non le nascondo che io sono tra quelli..." "Oh,signor Di Bartolomei,cosa dice!"rispondi tutta rossa"così mi fa arrossire..."
Nauseante. "Questa è sua figlia?Che bella ragazza!" "Già...ma a volte è così difficile da gestire!E’ in piena età di crescita ma vuole molto bene alla nonna ed è tanto cara!" "Immagino. Ha proprio un viso bello e gentile:come ti chiami,signorina?" "Miriam...il mio nome è Miriam"dissi,arrossendo mio malgrado. Il suo sguardo metteva soggezione. "Che bel nome!E quanti anni hai?" "Dodici,signore" "Bella ed educata!Venite,mie belle signorine,vi offro con piacere un gelato." "Ma signor Di Bartolomei,non vorremmo approfittare..."rispose mia madre piacevolmente colpita dall'invito. "Ma cosa dice!Per me è un vero piacere godere della vostra compagnia!" Così ci ritrovammo tutti e tre insieme in gelateria. "Come sta la signora Filomena?" "Come vuole che stia:da parte mia faccio tutto quello che è possibile ed anche l'impossibile,ma per una donna sola non è facile."rispose "In casa riesco a far filare tutto:Mena,la casa,Miriam.Il difficile è l'esterno,non ce la faccio proprio a curarlo. In questo forse potrebbe aiutarmi lei." "Mi dica,che posso fare?" "Forse potrebbe aiutarmi a cercare un aiuto .Pagando,si intende!" "Ma non se ne parla!Verremo io con mio nipote,nel fine settimana!" "Ma..." "Nessun ma:è deciso. Sabato saremo da lei." "Non so come ringraziarla..." "Niente grazie...un suo sorriso mi ripaga di qualsiasi cosa!" Con quest’ultima galanteria d'altri tempi,si congeda da noi. "Che uomo gentile!Che persona interessante!" "Mamma...ma la nonna che dirà?" "Che vuoi dire,Miriam?" "Noi avevamo una persona che ci curava il giardino,ti ricordi?L'hai mandata via tu,dicendo che non c'era bisogno...ed ora?" Divenne tutta rossa in volto. "Impertinente che non sei altro!Che dovrebbe dire?Vuoi mettere
una persona che per galanteria viene ad aiutarti ed una che non solo devi pagare ma che magari,appena giri le spalle,non fa neanche quello per cui è pagato!Ma che ne vuoi capire tu?" Capisco,capisco,mamma:il signor Di Bartolomei non solo ti piace e ti riempie di complimenti che gonfiano la tua vanità,ma per di più fa un lavoro di cui hai bisogno e che dovresti pagare tu. Capisco più di quello che credi. /------------------------------------------/ Decisi di non dire nulla alla nonna. In fondo,era una cosa sciocca e priva di significato,ma forse l'avrebbe agitata ed offesa. Così decisi la strada del silenzio. La mamma si era risentita e più volte la sorprendevo a fissarmi con due occhi maligni e quando si rivolgeva a me era scortese ed aveva preso l'abitudine di dirmi impicciona sotto voce. Forse non era stata una buona idea quella di fare quella domanda,ma io non l'ho fatta certo per sapere i fatti suoi,il mio unico interesse era quello di salvaguardare la tranquillità della nonna. Così,tra pensieri e dispetti,arrivò sabato. La mamma si era vestita e truccata per l’occasione,abbandonando per un giorno,i suoi soliti grembiuli da casa. “Signorina Elvira,che piacere!” Anche il signor Di Bartolomei non era stato da meno:nonostante indossasse vestiti da lavoro,era sbarbato di fresco e sembrava avesse nuotato per un’ora nell’acqua di colonia. “Questo è Giovanni,mio nipote. Mi aiuterà volentieri a rendere migliore il vostro giardino.” Così,tra salamelecchi e carinerie,con mia madre che svolazzava tra i due,il restauro ebbe inizio. Io mi sistemai a leggere sotto il mio solito albero. “Miriam!Miriam!” Era la mamma. Era passato gran parte del pomeriggio,forse avevano terminato. “Per favore cara,ci raggiungi con la limonata?Te ne sarei veramente grata!” Uff…che barba!
“Oh,ma non doveva disturbarsi!” “Nessun disturbo,con questo caldo era il minimo che potessi fare per ripagare almeno in parte,la vostra disponibilità.” “Ce la faremo,sa!Oggi dobbiamo interrompere ma torneremo domani e vedrà che con un altro fine settimana il suo giardino sarà uno splendore!” “Non so come ringraziarla…” “Potrebbe farlo cominciando ad eliminare un po’ di formalità…Il mio nome è Luigi;mi permetta di chiamarla semplicemente Elvira.” “Perché no…” Faceva la ruota come un pavone. Stavo scoprendo il lato vanitoso e civettuolo della mamma. “Questo mi ripaga di tutte le fatiche! Arrivederla Elvira,a domani!” Mah…a me sembravano due idioti. Ma forse,con questa cosa nuova nella testa,la mamma mi avrebbe lasciata un po’ in pace. /-----------------------------------------------/ E venne la sera del ballo;mi stavo preparando,con il mio bel vestito nuovo pronto da indossare,appeso all’anta dell’armadio. Ero molto eccitata:non solo con quell’abito mi sentivo bellissima,ma avevo notato certi sguardi interessati da parte di Giovanni che mi portavano a sperare che avrei avuto molto da raccontare al mio rientro a scuola. Era ormai di casa:suo nonno e mia madre facevano coppia fissa e spesso la sera uscivano. Mia nonna si stava riprendendo,ogni giorno vedevo un miglioramento:aveva cominciato a muovere i primi passi,aiutata dalle stampelle ed anche la vista migliorava. “Ti piace nonna?” Faccio una piroetta con il mio bel vestito. “Sei bellissima!Quando viene a prenderti Giovanni?Ho visto sai come ti guarda!” Mi sento arrossire. “Nonna!Che dici!”tento di difendermi ma poi scoppiamo tutte e due a ridere. “Comunque mi viene a prendere suo nonno. Giovanni e la mamma sono impegnati nei preparativi.”
“Il signor Di Bartolomei?Non mi piace,stai attenta.” “Davvero,nonna?Io non ci ho mai pensato:l’unica cosa che so è che da quando c’è lui la mamma non mi tormenta più. Ed io passo molto più tempo con te!” Corro ad abbracciarti,ma vedo preoccupazione nei tuoi occhi. Ti saluto e scendo giù ad aspettare. Chissà stasera che succederà se Giovanni tenterà di baciarmi:nessuno l’ha mai fatto prima d’ora. Improvvisamente la luce va via .Accidenti,proprio ora!Speriamo che Luigi arrivi subito,ho un po’ paura del buio. Muovo qualche passo incerto verso la porta quando mi sento afferrare da dietro,una mano a chiudermi la bocca ed un’altra che tenta di infilarsi sotto la gonna. “Zitta!Sta zitta!Non preoccuparti,non ti farò male:ti piacerà,vedrai!” Il mio cuore correva come un pazzo,la paura mi attanagliava la gola. Cercavo di divincolarmi,ma era più forte di me. Nel buio cercavo un appiglio,qualcosa che ostacolasse quelle mani che mi frugavano,mi toccavano,mi insudiciavano. Nella lotta vennero giù piatti,bicchieri,libri,sedie,ma niente riusciva a farmi liberare. “Stai buona!Vedrai andrà tutto bene,ti piacerà!” Sentivo le forze venir meno e le lacrime cominciarono a rigarmi il volto. Quando credevo ormai di essere perduta,un colpo. Secco. La presa su di me si allentò e quel corpo che prima mi stringeva,ora ricadeva su di me accasciandosi a peso morto. Corsi via,incredula nel sentire il suo tonfo a terra. “Miriam,riaccendi da fuori le luci.” La nonna! Subito ubbidii tremante. Mi buttai tra le sue braccia in lacrime e solo allora ebbi il coraggio di vedere:Luigi,il signor Di Bartolomei! “Porco!Non sei cambiato!” Il suo sguardo è carico di odio. “Mi hai comprata da mio marito indebitato fino al collo,venduta per quattro cambiali. Solo quella sciacquetta di mia figlia poteva invaghirsi di un maiale come te,ma non ti permetterò di approfittarti anche di mia nipote!” Di colpo la nonna ridivenne quella che era sempre stata:una leonessa pronta a dar battaglia. Si attaccò al telefono:chiamò il suo
amico carabiniere che corse immediatamente per aiutarla a disfarsi di quel “peso” Fece avvisare la mamma che io non sarei andata. Solo alla fine,quando ebbe sistemato tutto,mi prese tra le braccia e mi spiegò. “Io sapevo che razza di bastardo fosse quell’uomo;ha approfittato di me. Tuo nonno mi ha venduta a lui per quattro cambiali.” Ecco perché lo aveva cacciato via! “Da allora non ho più permesso a nessun uomo di avvicinarsi a me A nessuno!” Piangevo nel sentirla parlare,lacrime per me,per la paura che ancora sentivo addosso e per il suo dolore di donna ferita. Lei mi cullava dolcemente,accarezzandomi i capelli. “Sapere che veniva lui a prenderti,mi ha subito allarmata:ha spento l’interruttore generale. Ma io mi so muovere al buio,ci sono stata tanto in questi mesi. Miriam, finché avrò vita nessuno si approfitterà di te.” Senza una parola,mi spogliò,mi mise a letto,aspettò con me il sonno. Da quel giorno la mia vita cambiò. La mamma sparì e la nonna riprese le redini della casa. Io non tornai più in collegio e di quella sera non si parlò più. Dopo qualche tempo arrivò la brutta notizia della morte della mamma:il paese parlava di suicidio,ma la nonna da tutte queste chiacchiere ha fatto scudo su di me. /---------------------------------------------/ “Miriam!Ti prego rispondimi!” La voce della nonna mi strappa ai ricordi. “Ti prego…” “Nonna…io…io ho ricordato…tutto!” Ti vedo con lo sguardo perso. E’ solo un attimo. Poi te ne vai anche tu. /-------------------------------------/ E’ stato tutto un correre contro il tempo:l’ambulanza,i dottori,i tubi.
Tutto per cercare di rubarti ancora istanti di vita. In ospedale sei arrivata in condizioni gravissime:ti ho vegliata per l’intera notte,ma non hai mai ripreso conoscenza. All’alba la tua mano ha stretto forte la mia .Per un attimo:poi mi hai lasciata per sempre
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Sono con Clara a riordinare le tue cose. Svolgiamo il nostro lavoro in silenzio,senza parlare,mute nel nostro dolore. Nel tuo cassetto trovo delle lettere. Sto per metterle via quando ne trovo una chiusa indirizzata a me. "Ciao Miriam, ti ho amata più di una figlia ed in te ho sempre creduto. Non eri come tua madre:per questo l'ho allontanata da te,non era una bella persona. Dico questo con la dolorosa consapevolezza di amare una figlia incapace di provare amore. Da tutto quello che era la sua vita io ti ho lasciata fuori ma la verità devi saperla:sono stata io ad averla mandata via,perché non ti contaminasse con la sua incapacità ad amare. Per questo,mi ha minacciata più volte di togliersi la vita,fino a quando è riuscita:si è tagliata le vene con un coltello da cucina. Ha voluto farmi vivere con questo rimorso per tutta la vita .Se tornassi indietro,lo rifarei:meglio il rimorso,che vivere nel rimpianto di non averti salvata. Io non l'ho mai perdonata per quest ultima cattiveria:non si può scegliere di morire per vendetta,quando si ha la possibilità di rinascere amando. Tua nonna Perdo sangue,mi sento male...sto perdendo il mio bambino.
ANGELA,LORY,MIRIAM
Faccio fatica ad aprire gli occhi;ho la gola secca ed un sapore dolciastro in bocca. Sento il mio corpo dolorante scosso da brividi di freddo. Qualcuno se ne accorge e mi mette una coperta. Vedo i suoi occhi distorti dall‟anestesia chinarsi su di me. Provo a parlare,ma mi fa cenno di no col capo. “Riposa,va tutto bene,non preoccuparti. Ha un tono di voce calmo e rassicurante che mi aiuta a scivolare in un sonno forzato e profondo. Mi risvegliano i rumori degli infermieri al lavoro;entrano,sistemano,rifanno i letti. Qualcuno mi ha portato del tè. Lo bevo con avidità,cercando una faccia amica a cui chiedere. Ma sono in una stanza singola ed il personale che entra da me,sorride ma non mi guarda,quasi ad evitare domande imbarazzanti. Proviamo a ricordare da soli…io ero al lavoro e mi ha chiamata Gianluca;poi sono andata con la metro alla sede di piazza di Spagna. Qui ho un buco,non mi riesce di ricordare più nulla. Un flash. Due braccia che mi tirano,mi strattonano,mi insudiciano. Botte,calci,violenza. Come lo shock del ricordo. Comincio a gridare,fino a perdere il fiato,quasi a voler far uscire tutto lo squallore,la bruttezza di quel ricordo che mi ha così sporcato. Un urlo forte,acuto,che si propaga, che fa correre tutti,che finisce in un singhiozzo che mi annienta. Qualcuno spara qualcosa in vena ed è di nuovo buio. /------------------------------------------/ Apro gli occhi a fatica;dalla finestra filtra un po‟ di luce. Mi giro a fatica e cerco di capire dove sono; l‟ultima cosa che ricordo è il suono della sirena dell‟ambulanza,la corsa dei medici,la scialitica puntata su di me. Poi più nulla. Entra un‟infermiera con un termometro. “Che ore sono?”le chiedo a fatica. “Le sei:come va?”
“Un po‟ dolorante ma bene. Ma perché sono qua ?Non mi ricordo nulla…” “Non si preoccupi…ha fatto un piccolo intervento. Più tardi potrà parlare con un medico che le saprà spiegare.” Con questo se ne va;io non vorrei sbagliare,ma mi sembrava di aver sentito aborto. Me com‟è possibile? Forse ho sognato. In mattinata un medico in camice verde si affaccia alla mia porta. E‟ sulla mezza età,stempiato,con una barba brizzolata,quasi a compensare la calvizie precoce. Mi spiega tutto di quello che è successo:ho chiamato io il 113,con l‟ultimo residuo di forze e quello è stata la mia salvezza. All‟arrivo in ospedale era presente una emorragia massiva dovuta ad un aborto in corso. Purtroppo la situazione era troppo compromessa e per salvare la mia vita hanno dovuto praticare un‟isterectomia. Incinta. Aborto. Isterectomia. Se ne va,ignorando di essere stato più deleterio di 10 anestesie. Ero incinta e non lo sapevo. Michele mi ha picchiata:ho abortito. Michele mi ha lasciata lì:in ospedale sono arrivata troppo tardi. Non ho più l‟utero. Ora,neanche più le speranze di un sogno. /------------------------------------------/ Ho sentito urlare qualcuno,oggi. Le sue urla mi sono arrivate fin nella fitta nebbia di depressione dove sono piombata. Per un attimo l‟ho invidiata:lei almeno è riuscita a buttarlo fuori. Io,da quando ho ricostruito ciò che è successo,non riesco più a far niente:non mi lavo se non aiutata,non mangio nulla,non parlo. Sono nella mia stanza con le tapparelle abbassate,la luce spenta,come sospesa nel vuoto. Non so quanto tempo è che sono in questo stato,forse due- tre giorni,anche se io ci starei sempre,fatto sta che qui non sono d‟accordo,mi dicono che devo avere nuovi stimoli per reagire,così hanno deciso che mi metteranno in stanza con qualcuno,questo silenzio prolungato non mi fa bene. Ma che vogliono da me? Che si aspettano,che adesso mi alzo,ritorno a casa (ma quale casa?) e ritorno alla mia vita di sempre? Io non ce l‟ho più una vita,non ho più niente da vivere né niente in cui credere. Niente ha più
senso. Comunque qui sono testardi e si attivano immediatamente nel loro pseudo progetto di recupero. Mi trasferiscono in un‟altra stanza a tre letti. Gli altri due sono vuoti. Ma non dovevo essere in compagnia e di una persona poi? Perché due letti? Comunque passo da sola gran parte della mattinata,forse ci hanno ripensato. Il mio letto è quello vicino alla finestra e le tapparelle sono tirate su. Da seduta,riesco a sentire il tepore del sole che filtra attraverso il vetro. Avverto una punta di sollievo in me,il sole mi è sempre piaciuto. Poco prima del pranzo,arriva la mia coinquilina. E ti pareva,mica si sono arresi. Le infermiere cominciano a sistemare le sue cose nell‟armadietto,lei si sistema sul letto. Nel silenzio,si sente appena un impercettibile ciao,a cui io rispondo sottovoce. Per un attimo ho incontrato il suo viso dove ho visto vistose ecchimosi ed un occhio nero. Ha un braccio ingessato e da come si muove sembra abbia anche un paio di costole incrinate. Non parla neanche lei:ma non doveva aiutarmi? Arriva il pranzo:io non vorrei mangiare ma poi guardo lei che lentamente e con fatica ci prova nonostante il gesso ed allora lo faccio anch‟io. Di fronte alla fettina vedo che si arrende,non ce la fa con il braccio rotto,così le offro il mio aiuto. “Posso?” le dico,indicandole il piatto. Lei ad occhi bassi annuisce e molla le posate. Però,una dai modi migliori dei miei. La taglio e le ripasso le posate. “Tu non mangi?” mi chiede sempre ad occhi bassi. “Non lo so…ora ci provo,ma non è facile.” E per la prima volta alza gli occhi su di me. Ha la faccia tumefatta e dei punti sulla guancia destra. L‟occhio sinistro è semichiuso perché nero. Ma non è quello a colpirmi,ma il suo sguardo. C‟è dentro un mare di sofferenza,che come un colpo di spugna,ha annullato per un attimo la mia. “Ti va di parlare un po‟ ?” le chiedo. E lei,accennando una bozza di sorriso: “Solo se mangi con me.” Lei al suo posto nel letto;io in fondo. Sistemo i vassoi del pranzo sul carrello servitore,ed una di qua ed una di là dal tavolo,consumiamo il
nostro primo pasto insieme. Per un attimo le nostre difese si sono abbassate e così ci siamo date l‟opportunità di incontrarci. Inizialmente il mio è stato un ascoltare;mentre Lory,così si chiamava,raccontava la sua storia,a tratti trovavo punti comuni,a tratti mi rendevo conto di quanta sofferenza c‟era in lei. In quella stanza non ero l‟unica a potermi arrogare il diritto di essere ferita e di chiudermi verso gli altri. La differenza tra noi era che, per quanto soffrisse,non perdeva il contatto con quello che la circondava. Mangiava ed aveva convinto anche me a farlo. Era stato un piccolo passo verso una mia riapertura: per lei invece sembrava fosse importante che qualcuno l‟ascoltasse .Per quanto vuoto circondasse la mia vita,l‟amicizia con Lory fu uno stimolo grande. A volte,dopo ore di pensieri negativi, passati in rassegna in un mio ostinato silenzio, bastava una sua parola,una sua richiesta,che questi svanivano per lasciare posto ad una mia piena disponibilità. Non mi ha mai fatto domande: nella camera,durante l‟orario di visita,c‟era un via vai di amici che venivano a trovarla. Io invece,sempre da sola. A volte restavo nel mio letto e sbirciavo la sua vita:tante persone venivano a trovarla,tante e sincere. A volte invece me ne andavo,la sua vita così piena mi faceva vedere la mia ancora più triste,deprimendomi. Una volta,una sola volta è venuta a trovarla sua madre. Tra loro c‟era stato un lungo sguardo,terminato in un abbraccio silenzioso carico di parole. La mia riservatezza mi ha portata fuori da lì,dove la sua fragilità di donna e di figlia era completamente a nudo. Non le ho chiesto nulla né lei ha fatto accenni per tutta la sera. Il mattino dopo arrivò la sua domanda,semplice,lineare ma forte. “Angela,dov‟è la tua mamma?” Gelo. “Scusa,sono stata indiscreta? Facciamo finta che non ti ho detto nulla.” Ma la prima crepa nella mia corazza aveva preso piede. Cominciai a raccontarle di me e della mia famiglia. “Hai provato a chiamare tua madre in questi giorni?” “Non credo che sia una buona idea.”rispondo già sulla difensiva. “Angela io ti conosco poco ma a me sembri una bella persona,profonda. Qualcuno dovrà pur avertelo trasmesso. Forse la tua amarezza offusca la tua obiettività.” “Tu non sai di chi stai parlando.” “Dai,cosa ci sarà di così terribile…forse quello che racconti ha solo
bisogno di essere visto da un‟angolazione diversa.” “Lory,non insistere”la interrompo”non sai veramente di chi stai parlando. E‟ gente cattiva,che se può ti ostacola solo per il gusto meschino di metterti in difficoltà:è gente incapace di amare.” “Angela,ma se questo fosse vero,perché sei ancora così in sofferenza? Ti stai chiudendo in difesa ogni giorno di più.” “Non lo so,ma è come se la loro incapacità di amarmi mi avesse marchiata,destinata ad un destino privo di amore.” “Hai paura di essere uguale a loro?” mi chiede. “La mia paura è un pendolo:oscilla tra l‟essere incapace di amare ed il non riuscire perché mai stata amata. La mia eterna domanda: sono io che ho frainteso tutto perché incapace o mi hanno piegata mio malgrado ad essere come loro senza rispettare come io realmente ero?” “Forse è ora di bussare a quella porta…” “No.”salto di nuovo”non ora,non così. Mi sento così priva di difese e così vulnerabile. Una conferma non può che annientarmi del tutto.” “Forse:ma pensaci.” Mi chiudo nel silenzio,lo faccio sempre;quando sono in difficoltà,cado nell‟incoerenza del mutismo,forse quando è l‟ultima cosa che dovrei fare. Ma seguo il filo dei miei pensieri che si girano l‟uno sull‟altro in un vortice vizioso,fatto di bisogni mancati che hanno dovuto risolversi con l‟aiuto di me sola. Ed allora di nuovo dietro le barricate dei miei muri,a difendermi da nuovi attacchi di dolore:solo lì mi sento al sicuro. Ma attacchi di chi,poi?Nella maggior parte delle volte sono fantasmi nati dalle mie paure e dall‟imbarazzo nel non sentirmi all‟altezza delle situazioni,sempre in difetto. Come una persona,si materializzano,prendono vita e mi sviano dalla realtà. Mi difendo nell‟unico modo: parole che “freddano” l‟avversario che abbandona la battaglia,lasciandomi tra i miei muri fatti di silenzi. Perché la gente quando non ti capisce,rinuncia a capirti. Ed ogni persona che ho visto andar via,ogni schiena girata che si è aggiunta alla lista,è stato un rafforzamento delle mie paure,regine indisturbate del caos nella mia testa. La mia vita,condizionata da un‟unica grande paura che ora più che mai sta per spiccare il salto di qualità,nel radicarsi come certezza dentro di me:non sono stata voluta. Una ferita che mi ha condizionata per tutta la vita. /----------------------------------------------------------/ “Signora,ha avuto un aborto interno:non si sente più il battito del bambino.
Le consiglio un raschiamento. È più sicuro per la sua salute e le garantisco che in un paio di giorni sarà fuori di qui.” Vedo il medico muovere le labbra:è ad un passo da me,ma le sue parole mi arrivano così lontane. È vero,ha ragione:un figlio io già ce l‟ho. Sono giovane e ne posso avere altri. E poi avere proprio questo bambino in questo momento,è un rischio per tante e tante cose… Ma proprio adesso che il destino ha scelto per me,si fa strada, prepotente,la consapevolezza che io,questo figlio,lo volevo. Ma lui già non c‟è più… L‟intervento è breve come l‟incoscienza dell‟anestesia . Arrivo in camera,dove ci sono già due ragazze;nel dormiveglia le sento parlare fitto fitto. Non capisco cosa si dicono,ma il loro tono è complice,tra loro c‟è molta confidenza. Come era tra noi,nonna… Ho quasi un moto di invidia nei loro confronti a sentirle,io non ho nessuno qui vicino a me,meno che mai Maurizio,non gli ho detto neanche che sono ricoverata. Il suo comportamento mi ha fatto pensare tanto,troppo,male di lui. Per questo,la scelta di essere qui da sola…come mi sentirei se venisse solo per dovere o se non venisse affatto. Meglio sola…l‟anestesia mi aiuta,scivolo in un sonno senza sogni. /--------------------------/ “Non ti senti bene,vuoi che chiami l‟infermiera?” Ma dove sono? Questo non è il mio letto e tutto questo buio… Aspetta,ora ricordo,la nonna,il bambino,Maurizio… La voce che mi ha parlato accende una luce notturna:metto a fuoco,ma il suo viso non mi pare di conoscerlo. “Non mi conosci,sono Lory,la tua compagna di stanza” mi dice,quasi mi avesse letto nel pensiero”urlavi nel sonno. Ti senti male,vuoi che chiami l‟infermiera?” Adesso un altro viso si affianca al suo:devono essere le due ragazze che ho sentito parlare ieri sera. “Che ore sono?” chiedo a fatica. “Sono le quattro del mattino.” “Mio Dio,scusatemi…vi ho svegliate,non volevo…” “Ma scherzi? Non c‟è nessun problema.” Mi tiro su a sedere nel letto e loro si accomodano ai lati.
“Urlavi…possiamo aiutarti in qualche modo?” Non so da quanto tempo qualcuno non mi offre il suo aiuto,non so da quanto tempo non mi confido con qualcuno che non sia la controfigura di quello che era un tempo la nonna…ma ora ho perso anche lei. Lacrime amare cominciano a scendere senza che io possa fare nulla per fermarle. “Ne vuoi parlare un po‟ ?” Che cattiva sono stata ieri sera a provare invidia nei loro confronti:sono come me in ospedale e sicuramente avranno il loro bagaglio di esperienze che fanno soffrire eppure eccole qui ad offrirmi aiuto,l‟unica cosa di cui ho veramente bisogno. Siamo state due ore a parlare,quella notte:ognuna di noi ha messo a confronto la sua esperienza,senza mai sovrapporsi alle altre ma ascoltandosi a vicenda. In due ore abbiamo creato un filo invisibile che ci aveva legate per la vita. /------------------------------------/ Arriva il giorno delle dimissioni;siamo consapevoli tutte e tre che non sarà facile separarsi. So che Miriam e Lory torneranno alla loro vita di sempre;io non ho mai risposto alle loro domande su dove andrò. Non ho risposto anche ai medici. Forse perché l‟unica certezza che ho è di non saperlo neanche io. Di sicuro non tornerò a casa da Michele. Mi ha fatto troppo male;in ultima,non è mai,dico mai,venuto a trovarmi. Neanche uno straccio di telefonata. Eppure deve aver saputo che sono stata portata via con l‟ambulanza;probabilmente non sa il resto,d‟altronde neanche io lo sapevo,ma pare che l‟urgenza non sia bastata a preoccupare la persona che,fino ad un momento prima,ti aveva messo al centro della sua vita. Nel mio armadietto ho un piccolo bagaglio e quasi zero soldi. Ma ho con me due oggetti d‟oro,spero basteranno per comprare un biglietto per qualche parte,il più lontano possibile. “Angela non mi hai risposto:che farai?” “A te chi viene a prenderti?” “Non cambiare discorso e rispondimi:dove andrai?” Lory,Lory…Miriam è già andata a casa…Mi allontano:non so mentirle se la guardo negli occhi. “Vado a casa.” “Seee…dillo a qualcun‟altra.”
“Sì.” “Se ti conosco bene,quello è l‟ultimo posto dove andresti,piuttosto torni da tua madre. Vai via,vero?” “Si”ammetto. “E dove?Come farai?” “Non lo so. Ma non m‟importa. In quella casa,alla mia vita di prima,non ci torno.” Silenziose lacrime cominciano a pungermi gli occhi. “Ma tu non devi preoccuparti,me la caverò,l‟importante per me è non ritornare da chi mi ha fatto tanto male. Andrò in un posto nuovo:nuova città,nuovi amici,nuovo lavoro…voglio ricominciare da zero.” La vedo pensare seriamente alle mie parole,per poi lanciarmi la sua proposta di cuore. “Senti,che ne dici di venire da me?Aspetta,non rispondere subito,prima stammi a sentire. Ho in affitto una stanza abbastanza grande per tutt‟e due. Per ora ti appoggi lì,poi cercheremo un lavoro anche per te,io ho già qualcosa in mente. Lasciati aiutare,vedrai,insieme ce la faremo.” Dopo un attimo di incertezza decido di fidarmi di lei. Speriamo non mi deluda:non credo di essere più in grado di sopportarlo da nessun altro ancora. /-----------------------------------------/ Così è iniziata la nostra vita in comune;all‟inizio Lory mi ha prestato tutto quello che mi serviva,poi ha fatto in modo di farmi riavere i miei effetti personali tramite un suo amico carabiniere. Michele non ha né chiamato,né fatto domande. Da parte mia non ho mai sporto denuncia,sebbene più volte sia stata sollecitata a farlo;i miei segni erano troppo evidenti per credere ad una banale caduta. Ma va bene così. Per una settimana abbiamo continuato a far le convalescenti a casa sua,sistemandoci meglio e concedendoci serate serene a base di tv e patatine. Ma poi Lory è dovuta tornare al lavoro;a volte ancora la sorprendo a piangere,quello che ha passato non è stato certo uno scherzo. Ma è più forte di me, non si abbatte tanto facilmente. La prima giornata senza di lei passa un po‟ più lentamente,mi manca la sua compagnia. Cerco di fare le solite cose:riordino la casa,guardo un po‟ di tv,cucino qualcosa di più elaborato per la cena.
Cerco di tenermi impegnata e di non pensare al tempo che non vuole passare,ma poi mi rassegno:per tutto il pomeriggio ho sviato la mente dal pensiero fisso. Lory è tornata al lavoro:mi manca,e tanto,ma il problema non è questo…è che io,il lavoro,non ce l‟ho. Con lei non ne abbiamo neanche accennato,mai mi ha fatto pesare di essere sua ospite o che questa situazione sia a scadenza. Ma io non riesco a prendere senza sentirmi poi in obbligo e dover ricambiare,forse perché il grazie l‟ho dovuto dire anche a mia madre. Forse è il caso che cominci a trovarmi un lavoro. Finalmente le cinque,Lory è tornata. “Ciao” mi saluta. “Ciao,tutto bene? Com‟è andato il rientro?” “Bene…sono un po‟ stanca,ho perso un po‟ il ritmo,ma alla fine eccomi qua.” “Già…il lavoro è un‟abitudine. Vedrai che domani andrà meglio.” “Ne sono sicura:tu? Che ne dici?” “Annoiata. Mi sei mancata.” “Anche tu: ma ho una sorpresa per te.” Mi prende per mano e mi trascina davanti l‟armadio. “Dobbiamo scegliere un vestito adatto: domani hai un colloquio di lavoro!” “Nel tuo ufficio cercano una segretaria?” “No:cerchiamo una giornalista!” “Cosa? Ma io non ho mai scritto nulla!” ”Beh,è ora che cominci!” “Ma,Lory…” “Niente ma. Hai una nuova opportunità:non sprecarla!” /----------------------------------------------------/ E‟ notte fonda ma io non riesco a dormire. Mi domando come faccia Lory a conoscere questo mio sogno. Che abbia letto qualcosa di mio senza dirmelo? Comunque non nego che sarebbe bello poter lavorare. Insieme a lei ed essere pagata per scrivere:un sogno davvero! Quante cose che ho lasciato a metà per paura di viverle fino in fondo;due sogni avevo io,tutti miei che facevano parte di me. La danza:quanto avrei voluto ballare. Salire sul palco e vivere la musica. E‟ il mio amore di sempre,quello che non mi ha mai tradito e mai mi ha voltato le spalle. Sono io che le ho voltate a lui:ho avuto paura di non
farcela,ho creduto in chi in me vedeva qualcosa da combattere e che ha cercato di sminuirmi a tutti i costi per paura di vedermi volare perchè loro non erano riusciti. La loro invidia li ha portati ad essere spietati nel tarparmi le ali. Ma l‟errore più grande l‟ho fatto io:ho mollato ed ho tradito un sogno. Avrei tanto voluto insegnare:non nelle scuole tradizionali ma a bambini non udenti. Perchè a me per capirli non mi sono mai servite le parole,ho sempre usato il cuore. Ma non ho portato a termine neanche l‟università. Ma…”miracolosamente non ho smesso di sognare…”o sperare? Vabbè,il senso è quello. Non ho perso l‟attitudine per il lieto fine ed ora vorrei vivere di un altro sogno. Lo dico sottovoce perché questo mi sembra più impossibile degli altri due. Scrivo. Lo faccio tra mille paure,ma non voglio tradire anche questo sogno,non voglio un domani impugnare la penna e chiedere scusa ogni volta che lo faccio. Come mi succede ogni volta che ballo:entrare bussando nel mio sogno e chiedere scusa ogni volta. Ma sempre mi sento dire:”Perché bussi:sai che da me puoi entrare solo ballando,è l’unica cosa che avrai sempre e non ti tradirà mai.” Ma sembra a me di aver tradito,non ho creduto veramente che mi avresti potuto realizzare,non ho lottato abbastanza per viverti.” “Credi che a me questa cosa faccia male? Io ti vivo ogni volta che ti vedo ballare,anche solo accennare un passo. So l’emozione che una musica può scatenare in te e di come il tuo corpo risponde alla magia di un amore che non conosce fine. Ogni volta a me ritorni,da me ti rifugi quando tutto il mondo ti volta le spalle,sai che le braccia avvolgenti delle mie note su cui danzi,ti avvolgeranno ogni volta che lo vorrai,sai che io non ti tradirò mai. So leggerti dentro come solo un vero sogno sa fare. Non mi sento tradito,da te mai abbandonato,semmai sempre ritrovato. Non sono geloso del tuo nuovo sogno,che a bassa voce dici solo a te stessa. Abbandonati a lui come i tuoi piedi fanno con me,fai parlare il tuo cuore e vedrai che milioni di parole riempiranno quei fogli bianchi con quelle pagine di cuore che il mondo incanteranno perché parleranno di te e di quello che hai dentro.” Finalmente mi addormento. /----------------------------------------------/ “Miriam? Ciao,sono Lory!” Accidenti:per un attimo ho avuto la tentazione di non rispondere,ho interrotto le comunicazioni con Maurizio senza una spiegazione e ieri sera
il mio cellulare non smetteva di squillare. So che è infantile da parte mia,che dovrei parlargli chiaramente,ma adesso non me la sento proprio. Anche adesso,non so neanche io perché ho risposto:sul display del cellulare è apparso numero privato ed ho avuto paura fosse Maurizio. E invece è quella svitata di Lory. “Miriam,che bello sentirti! Come vanno le cose?” le chiedo. “Bene,grazie! Ho ricominciato a lavorare. I primi giorni è stata un po‟ dura,ma poi ho ripreso i ritmi di sempre. Non nego che qualche paura ce l‟ho ancora,ma mi sforzo di andare avanti.” “Brava,sono fiera di te! E Angela?” “Ti ho chiamata proprio per questo: devi aiutarmi a festeggiare il suo nuovo lavoro! Le sto organizzando una cena a sorpresa,quindi,per carità,non dirle nulla! Ancora non sa neanche di essere stata assunta,figurati!” mi informa,tutto d‟un fiato,eccitata da morire. “Che bella notizia,Lory! Dimmi solo dove e quando ed io ci sarò!” “Pensavo di andare a quel nuovo locale messicano:una sera Angela si è fatta sfuggire di non essersi mai ubriacata…questa mi sembra l‟occasione giusta,non trovi?” e ride di cuore. “Non mancherò,stanne certa” le rispondo contagiata anch‟io dal suo buonumore “ho proprio voglia di vedervi!” “Ok…ma Miriam,a te come va?” “Diciamo che se anche per motivi diversi…di una bella sbronza ne ho bisogno anch‟io!” /----------------------------/ “Ed ecco a voi la nostra nuova collaboratrice di redazione!” E giù un altro applauso con relativo giro di sangria. Il colloquio è andato bene e mi hanno assunta:Miriam,Lory e le sue amiche un po‟ svitate, sono tutte qui a festeggiare l‟inizio della mia nuova vita. Speriamo bene…ho una fifa nera. Cerco di nasconderlo,ma c‟è. Meno male che c‟è anche l‟allegria di Lory,ma come fa,al suo posto io starei già sotto un treno. Oggi l‟ho sentita,era al telefono con Gianluca;non volevo origliare,ma eravamo insieme in bagno a prepararci e non ne ho potuto fare a meno. Con quanta calma e pacatezza, gli ha detto quanto è stato meschino il volerla vivere parallelamente ad un altro rapporto e soprattutto di come l‟abbia usata e basta. Io so che lei l‟amava molto e che forse lo ama ancora.
Dalla sua bocca ,neanche una parola della violenza subita, né dell‟aborto,nulla. Lo ama,ma che dignità in questo…con un taglio netto,l‟ha eliminato senza strascichi. Grande Lory. /------------------------------------------/ Finalmente a letto. La serata è andata benissimo,ma siamo ubriache fradice,forse è vero che in vino veritas,anzi sangria. Ride Lory,ride come una matta. “Perché,non ti sembra carina come idea?” Sentite la sua soluzione per risolvere il problema traffico. “Ognuno di noi ha la sua nuvoletta rosa per volare in ufficio…vabbè,magari i maschi celeste. Così,senza star lì a girare e rigirare per il parcheggio,,si mette sotto il braccio,comodamente,e poi la posa sotto la scrivania:comodo,no?” E giù a ridere come due sceme. “Così con la personality nuvola,si abbandonano i mezzi pubblici! Sono così affollati…” Cala improvviso un silenzio sinistro. “Avevo già preso appuntamento per interrompere la gravidanza. Quel bambino non lo volevo,non lo volevo far crescere senza padre,perché così sarebbe cresciuto.” “L‟hai detto a Gianluca?”domando. “No. Dopo la gravidanza di Clarissa ho capito che mi usava,mi usava e basta. Non per sesso,ma per non stare da solo. La comodità di avere una persona che ti adora e che è sempre disponibile ad amarti,qualsiasi cosa tu faccia. Che schifo.” “Gli hai dato il benservito?” “Sì. Per un attimo stavo per urlargli in faccia tutto quanto,compresa la violenza subita,l‟aborto che ne è seguito. Poi mi sono risentita quelle mani addosso…mi sono così vergognata…mi è venuto…un…groppo alla gola…” Le lacrime le sgorgano dagli occhi,copiose. L‟abbraccio forte forte a me,mentre i singhiozzi le scuotono il petto. In silenzio ascolto il suo dolore fino a che, sfinita,non la sorprende il sonno. /-------------------------------------------/ Le giornate proseguivano ora più serene. Fu come se quella sera il dolore uscisse fisicamente da Lory,lasciandole solo il ricordo che mai l‟avrebbe abbandonata,permettendole però di riprendere la sua vita.
Aveva una voglia di vivere che in parte le invidiavo,la capacità di arrivare a toccare il fondo per poi,inevitabilmente,risalire. Io invece,continuavo a galleggiare,immobile,senza far nulla per cambiare nulla. Da qualche tempo Lory era più serena ed anche più bella. Una sera che si parlava del mio lavoro,si lasciò scappare un‟informazione che solo il nostro capo poteva averle confidato. Due più due… “Lory:tu mi nascondi qualcosa.”le dico di botto. “Che dici? Cosa ti dovrei nascondere?” mi risponde rossa in viso. “Lory,per caso è lui la causa del tuo buonumore?” “Ma lui chi? Non capisco di cosa tu stia parlando.” “Lui…il tuo,no nostro…insomma il capo!” “Uffa! Non avresti dovuto saperlo ma a te non si può nascondere nulla. E‟ vero,da circa un mese ci frequentiamo.” “E perché non me lo hai detto?” ”Perché lavoriamo tutti e due nello stesso posto. E perché c‟è un progetto in ballo che non volevo potesse passare né ai tuoi occhi,né agli occhi di tutti,come una mia raccomandazione.” “Che progetto?” le chiesi subito. “Dai,non far domande…” “Allora tu rispondimi ed io non te ne farò più!” Due secondi di silenzio poi Lory si decide a parlare. “Stai per entrare ufficialmente nel mondo dell‟editoria:stanno per pubblicare un tuo racconto!” ”Sììììììì! E vai! Dimmi che non mi stai prendendo in giro!” “E‟ la verità,è un bel racconto ben scritto. Non c‟è stata nessuna intromissione da parte mia né una buona parola. Anzi,ti devo ringraziare:per parlare di te che poi l‟asse,diciamo,si è spostato e …” “Chiamami Cupido e abbracciami!” Come due sceme,ci mettiamo a fare il trenino intorno al tavolo:altro che Grande Fratello! “Pepepepepepe….e vai!” Momenti felici e sereni. Da quanto tempo non stavo così bene. /------------------------------------------------------/ Lory sembrava aver superato la sua brutta esperienza:questa nuova storia le stava restituendo la sua gioia di vivere. La guardavo,chiedendomi se anch‟io,un giorno,avrei mai avuto lo stesso coraggio.
Era da quella mattina che non avevo più avuto notizie di Michele;non l‟avevo mai cercato né lui aveva mai cercato me. Neanche per dirmi stronza,dopo che un carabiniere gli era entrato in casa per recuperare i miei effetti personali. Ma eravamo ancora marito e moglie e per la legge ancora uniti. Vero che non avevamo beni in comune,la nostra casa era in affitto,ma l‟essere ancora sposata a lui,era un vincolo che assomigliava sempre più ad una corda che mi teneva ancorata al passato,una zavorra che mi inchiodava a terra. Forse era arrivato il momento di liberarsene. Certo che non voglio presentarmi a casa ed affrontarlo da sola:la sua reazione violenta è ancora un vivido ricordo nella mia memoria. Forse è il caso di farmi consigliare da qualcuno. Ma non voglio preoccupare Lory,è così serena in questo momento… Così chiamo Miriam e la invito a prendere un caffè. “Allora,che effetto fa realizzare un sogno?” Mi arriva alle spalle,sempre bellissima e piena di pacchetti. La sua serenità mi lascia per un attimo depressa:la mia sembra così lontana… “Non male”rispondo,accennando ad una bozza di sorriso. “Mm…c‟è qualcosa che non va…va bene che non sei ubriaca come l‟ultima sera,bevi una coca e non sangria…che succede?” In breve,le racconto quello che sa già;mi ascolta,da brava amica. “Che cosa vuoi fare?” “Magari chiedere consiglio ad un avvocato…che ne dici?” “Che ne conosco uno bravissimo che fa al caso nostro. Volevo contattarlo perché serve anche a me un‟informazione:magari prendiamo appuntamento insieme.” Per un attimo metto da parte il mio disagio e mi accorgo del suo. “Mmmm…c‟è qualcosa che non va neanche in te…ne vuoi parlare?” mi accorgo di sapere solo una parte della vita di Miriam,quello che l‟aveva condotta in quella stanza d‟ospedale. Sapevo della morte della nonna,ma credo che nel raccontare avesse omesso tanto e,più la sentivo parlare,più avvertivo la sua esigenza di mettere un punto a tutto. “Che cosa vuoi fare?” “Trovare mia madre. E riappropriarmi della libertà di rispondere al telefono.” “Per la prima capisco perché l‟avvocato…per la seconda:ancora non hai
parlato con Maurizio?” “No. So che è sbagliato,ma non ne trovo la forza.” “Sai Miriam,credo che sia ora di tirar fuori i nostri scheletri dall‟armadio:solo dopo riusciremo a vivere di noi.” Così prendiamo insieme un appuntamento. Mi dispiace estromettere Lory da tutto questo:non lo faccio per cattiveria,né perché non mi fido di lei,anzi. Ma la vedo così felice per questa sua nuova storia,che non voglio che nessuna nuvola offuschi il suo cielo sereno. /--------------------------/ “Vorrei andare da mia madre. Non è per copiarti…” Con un sorriso tirato cerco di ironizzare,ma l‟argomento non è dei migliori. “Per quello non credo sia giusto che sia io a venire con te.” Sono passati venti giorni da quel pomeriggio e Miriam mi ha chiamata per dirmi che domani pomeriggio ci aspetta l‟avvocato. Ha notizie per entrambe e io voglio arrivare a dormire domani notte,senza più fantasmi che turbino il mio sonno. Michele forse lo cancello domani:ma non so se mi ha fatto più male lui o mia madre,un‟altra persona importante della mia vita che,non essendo riuscita a dominarmi,dalla sua,mi ha completamente tagliata fuori. Ma ha ragione Miriam,da questo Lory non la posso proprio estromettere:è coinvolta forse più di me in questa storia e le farei un torto troppo grande a non dirle nulla. Accetta di accompagnarmi senza fare un fiato. Siamo insieme a lavarci i denti ed io,col dentifricio fatto a schiuma,le chiedo,lo sguardo nei suoi occhi riflessi nello specchio: “Domani è sabato e non lavori:ti va di accompagnarmi da mia madre?” Per un attimo si blocca ma poi risponde sicura. “Certo” Mi ha lasciata nel mio silenzio,senza intrufolarsi con domande che magari avrebbe voluto fare ma che avrebbero solo soddisfatto la sua curiosità,ma alzato pericolosamente la soglia del mio nervosismo. Così andiamo. “Come va?”mi chiede parcheggiando. “Un po‟ tesa ma bene;forse una sigaretta farebbe al caso mio. Per la sangria è troppo presto…” Cerco di sdrammatizzare,ma la mia voce suona falsa anche a me.
“Angela,penso sempre a te,anche se non ti fa esattamente bene.” “Hai la sangria nel frigobar della macchina?” “Non proprio…” e tira fuori dal cassettino della macchina una sigaretta. La accendo con avidità,dando uno sguardo intorno:siamo sotto casa di mia madre ed i palazzi popolari dove sono cresciuta sono un po‟ invecchiati,ma sempre uguali. Passa qualche minuto,ma poi butto il mozzicone e mi decido. “Lory:vado.” “Ti aspetto qui .” “Ok. A dopo,ciao.” Scendo dalla macchina e percorro quei pochi metri che mi dividono da quel portone. Passi brevi,nervosi ma decisi,quelli che riempiono la strada che mi separa da quel citofono. Col cuore che batte all‟impazzata,suono. “Chi è?” “Silvana?” “Si,sono io.” Apre il portone,salgo le scale. Senza fiato arrivo su. “Ti sei ricordata di avere una madre!C‟era bisogno di chiamarmi per nome?” Le sue prime parole dopo tre anni:no,non credo sia cambiata più di tanto. “Ciao mamma,posso entrare?” “Certo.” Cede il passo e mi fa accomodare in cucina. I mobili sono gli stessi,le pareti sempre grigie di muffa ed ingiallite dai fumi della cucina. In quella stanza c‟è ogni sorta di soprammobile,alcuni sono incartati da plastica trasparente. Le pareti riportano foto,calendari nuovi e vecchi,quadri di tutti i tipi. Non c‟è uno spazio libero. “Dopo tre anni che t‟ha portato qui stamattina?”mi chiede. Ottima domanda. “Sono qui per dare risposta a tante domande che mi martellano la mente.”le rispondo. “Chiedi allora,io sono qui . Vuoi un caffè?” “No mamma,il caffè non mi è mai piaciuto.” “Davvero?Non me lo ricordavo.” Ipocrita. O rincoglionita. Ma come fai a non ricordare anni e anni di quella schifezza preparata per forza,quando io,del caffè,non sopporto neanche l‟odore.
Angela,non cadere in provocazioni e mantieni la calma. Mi fa uno strano effetto essere qui in cucina,come se irrealmente questi tre anni non fossero mai trascorsi e Michele non fosse mai esistito. Ti guardo e penso: ho avuto tanto rancore e tanto odio,mamma. Non so se questi due sentimenti così forti io li abbia messi da parte o se si siano dissolti. Solo tu,il tuo comportamento,potrà rispondermi,mamma. Come sempre,sei tu l‟ago della bilancia. “Michele?Come mai non è qui con te?” C‟è un lampo di malizia nei tuoi occhi,accompagnato da un sorrisetto malizioso. Non ho la fede al dito e tu questo devi averlo notato;la tua cattiveria ti ha fatto fare subito due più due,senza lasciar spazio alcuno al sentimento. Non credo che tu sia una bella persona,anche se sei mia madre:spero solo di non farmi più male. “Ci siamo lasciati. Non esattamente bene.” Sorridi. “Vedi? Te ne sei andata da qui spavalda,convinta di aver trovato il grande amore…ed ora qui rientri,con la coda tra le gambe. Ti serve di nuovo la tua camera?” Meschina. Meschina e crudele. In questa casa tutto sembra essersi fermato:non hai buttato niente,hai solo incartato gli oggetti per salvarli dalla polvere,unica prova tangibile del tempo che passa. Come il tuo cuore:incartato e messo da parte,per far posto alla tua cattiveria che rimarrà eterna nel tempo. “No. Sono solo voluta venirti a trovare. Tieni,questo è per te. Leggi il mio libro:è uscito una settimana fa.” Nel dire questo mi alzo e faccio per andarmene. Mia madre è rimasta senza parole. “C…Ciao Angela.” Farfuglia. “Addio mamma.” /----------------------------------------------------------------/ “Signora,suo marito non ha avuto problemi a firmare le carte. D‟altronde lei non l‟ha denunciato per l‟accaduto,né ha fatto richiesta di alimenti. Meglio così per lui che convive con un‟altra donna da cui aspetta un figlio.” Ecco,ora abbiamo veramente toccato il fondo:prima mia madre,ora Michele. C‟è qualcun altro che si vuole aggiungere alla lista? C‟è Miriam con me:a lei l‟avvocato ha consegnato l‟indirizzo del cimitero
dove riposa sua madre. Io non sapevo neanche che fosse morta;quando mi ha detto di volerla ritrovare,non mi aspettavo di certo questo. Miriam ha messo in tasca la busta con nel volto un‟espressione indecifrabile. Ma siamo troppo perse nei nostri pensieri dolorosi,non riusciamo a starci vicine,se non fisicamente,ma anche quello ancora per poco:andiamo via veloci per le nostre strade. Torno a casa carica di rabbia. Cazzo,mi sento nessuno,nessuno per nessuno. Lory è già tornata. “Ciao Angela,tutto bene?” E‟ una domanda che mi fa tutte le sere,non c‟è niente di diverso. Ma stavolta,è la spinta che fa esplodere la mia rabbia troppo a lungo soffocata. Comincio ad urlare,lancio qualsiasi cosa mi capiti a tiro,con Lory che parando alla meglio,cerca di fermarmi. “Angela che c‟è!Basta,ti fai male!” “Va tutto bene! Va tutto bene! Va tutto bene!” urlo isterica. “Va tutto bene…”dico ancora sottovoce,scivolando in ginocchio ,come un burattino a cui hanno all‟improvviso tagliato i fili. “…tutto bene…” Lacrime amare cominciano a scivolare copiose. Lory mi abbraccia in silenzio. Va tutto bene. /----------------------------------------------------------/
Per la prima volta trovo il coraggio di portarti un fiore. Il cimitero non è molto distante e neanche tanto grande,ti trovo al terzo giro. E' una lapide semplice la tua,c'è una foto in cui sorridi,sei molto bella. C‟è la tua data di nascita e quella di morte:avevi quasi 38 anni. Molte persone in paese, hanno dato la colpa alla nonna del tuo suicidio;io non sono mai andata a fondo nel voler sapere,forse ero stata la protagonista di una parte di verità e ne ero stata così disgustata da fuggire e nascondermi l'altra. Ma ora... Sono qui davanti alla tua tomba con una domanda:dov'ero io mamma,dov'ero?Quando la tua mano ha affondato il coltello,dov'ero . Sapessi quante volte,in quelle lunghe giornate d'inverno trascorse con estranei che ormai erano la mia famiglia,ho pensato che la mia vita fosse
niente. Una volta ho bevuto un tappo di sapone e con il sorriso,guardandomi allo specchio,mi sono detta:"domani muoio." Ma poi ho pensato a te,il dolore che avresti provato se l'avessi fatto veramente ed allora,ho messo due dita in gola e rivomitato tutto quanto. Eri tu il pensiero che mi teneva ancorata alla vita,quello che mi faceva sentire una persona. Ma per te è chiaro non fosse così:senza pensarci due volte,hai affondato quel coltello nella carne e con lui hai reciso tra noi ogni legame. D‟altronde,se hai permesso tutto quello che è accaduto in quell‟estate,l‟unica che sentiva che tra noi c‟era un legame,ero io. Quante volte mi sono sentita sbagliata perché non riuscivo a farmi amare da te:ma adesso so che eri tu a non esserne capace. Forse anche tu hai sofferto per arrivare ad un gesto così estremo… Non lo saprò mai,non ho mai fatto parte della tua vita. Sei un capitolo chiuso per me,mamma .Una pagina di cuore che non ho mai potuto scrivere ed è per questo che la giro. Per sempre. Ti lascio una rosa rossa,simbolo del mio amore immenso per te:se sono stata capace di soffrire così tanto era perché ti amavo e ti amerò per sempre. Ma non ti permetterò più di non farmi vivere. Addio mamma. /-------------------------------------/ L‟unica cosa certa della mia storia con Maurizio era il bambino ed ora non c'è più. Ho deciso,lo chiamo:non posso perdere anche lui anche se è vero che non gli ho detto nulla perché non mi fido. Ma lo amo. Stranamente mi risponde subito:niente segreteria telefonica,né un ti richiamo dopo,frettoloso,anzi. Mi chiede di raggiungerlo subito nel suo studio:è deserto,non c‟è nessun paziente e Maurizio mi accoglie con un bacio. Scivoliamo sul divano,senza una parola,come i primi tempi,quando era la passione ad avere la meglio e ci dominava. In me si riaccende la voglia di appartenergli,risvegliata ad ogni carezza,ad ogni vestito che cade a terra. Ho una voglia matta di crederci di nuovo. È amore tutto questo,ne sono sicura,Maurizio non sapeva nulla del bambino,non si è allontanato per questo,è stato solo un momento,ma lui mi ama quanto io amo lui,ne sono certa. Lo riconosco dalle carezze,dalla voglia che ha di me,dalla fretta di volermi…non potrebbe,no,non senza amore. "Sai quel paziente sieropositivo?"mi chiedi nell'orecchio,con la voce roca
per l'eccitazione,rompendo il silenzio. "Sì"rispondo in un soffio. "Mi sono sbagliato..non corri alcun pericolo." Che importanza ha,ora,non capisco. "Possiamo farlo senza nessuna paura." Mi possiede con foga,impaziente di piacere. Io vorrei tanto perdermi nelle braccia di quell'amore che mi ha già fatto volare,ma un pensiero mi frena dal lasciarmi completamente andare. Nessuna paura...ma è per questo non mi hai più cercata?Avevi paura potessi contagiarti? Come un lampo,la verità mi gela. Vieni,senza accorgerti del mio cambiamento. "Appena apro lo studio nuovo,devo portare Agata in viaggio qualche giorno. Glielo devo,è lei che paga ed è stata molto generosa. Ma appena torno,ti porto dove vuoi...scegli tu dove."mi dice tranquillo,mentre si riveste in fretta. Accenno una bozza di sorriso in silenzio. Senza fare una piega mi rivesto anch‟io e vado via senza una parola di più. Ma giuro alla mia dignità di non abbassarmi mai più ad elemosinare amore da un bastardo come lui. /---------------------------------/ È con uno spirito nuovo che l‟indomani mattina apro l‟agenzia. Per quanto dolorosi siano i miei pensieri,l‟affrontare tutto aveva uno scopo ben preciso:andare avanti. E questo,è chiaro,risulta più facile se si cerca di mantenere un buon umore. Ad aspettare l‟apertura,trovo Lory:la cosa non può che farmi piacere,due chiacchiere con una buona amica. Ma la sua faccia non è quella di sempre e tutto può essere riassunto con un nome:Angela. La ascolto,senza dire che in parte già so. La scelta di non dirle nulla forse l‟avrei fatta anch‟io,Lory è veramente preoccupata ed Angela questo lo sa:il legame tra loro è molto forte,un filo invisibile che lega i loro cuori e nessuna vuole far soffrire l‟altra. Lory mi chiede di organizzar per loro un viaggio,niente di chiassoso,solo andare un po‟ al mare in un posto tranquillo. Io le propongo due,tre alternative,Lory ne sceglie rapida una,prenoto,stampo i biglietti. Angela è andata un po‟ fuori di testa,mi dice,ma è comprensibile.
Non pensarci,Miriam,tu no,tu ancora resisti. Vai avanti così. Mentre struscio la sua carta di credito,squilla il cellulare;è Maurizio. Equilibrio,Miriam,equilibrio. “Ciao,Miriam! Non ti sei fatta più sentire…” Come va,come stai,che fai…tutte domande di rito che anticipano quella vera,ossia quando hai tempo per una scopata,perché è solo per questo che mi chiami. Ma ho raggiunto il mio equilibrio,anche con te,con quello che eri,che potevi essere e che non sarai mai. Non ti permetterò di romperlo. “Forse è il caso che interrompiamo la nostra relazione.” Dico fredda. Lory fa per uscire,ma i miei occhi la trattengono. “Io non voglio vederti mai più.” Continuo,implacabile. “Ma Miriam…perché…” “La nostra è solo una storia di letto,almeno per te ed io non voglio più viverla. Addio.” “Miriam,ma che dici?” “La verità e lo sai anche tu. Ti prego,non facciamo scenate né falsi giri di parole. L‟unica cosa che ti chiedo è di non cercarmi più.” “E‟ quello che vuoi?” mi chiedi glaciale. “Sì.” “Fa‟ come ti pare.” E attacca. Un uomo innamorato,non c‟è che dire! Con fare nervoso,cerco i fogli della prenotazione. “Ecco qua.” Dal velo di lacrime che sta per scendere,vedo Lory che fa il giro della scrivania e mi abbraccia. “Forse è il caso che tiri il fiato anche tu,non credi?” Mi lascio andare ancora una volta a quell‟unico aiuto che ho. Piango,piango a lungo sulla sua spalla e mi confido con lei,le parlo della mia infanzia,del mio legame con la nonna,di quell‟estate…lei mi ascolta. Ed io mi libero di tutto quel dolore che mi stringe il petto,togliendomi il respiro. “Per loro ero nulla:ma avevo mia nonna. Ora ho solo mio figlio,l‟unico abbraccio che per me adesso ha un senso. Con il dolore di averne perso uno.” “Miriam,ma perché non vieni con noi?” “Non lo so…l‟agenzia,la scuola…” “Magari ci raggiungi e riesci a farti almeno una settimana. Credo che ne abbia tanto bisogno anche tu.”
E forse,è proprio quello che farò. /---------------------------/ Le valigie sono pronte nell‟atrio. Ho accettato senza oppormi,al “rapimento” organizzato da Lory. In serata ricevo una telefonata: è Mirko,il socio giornalista,che vuole sapere come sto. Parlo un po‟ con lui al telefono,poi mi sorge un dubbio. “Lory,che ne sa Mirko di me e del viaggio?” “Non lo so…è venuto da me in ufficio,voleva affidarti un articolo ma non c‟eri. Così gli ho detto che stavi male…” si stringe nelle spalle. “Non è che magari gli hai detto qualcosa in più? Magari non te ma chi per te.” Lory diventa tutta rossa:Mirko e Lorenzo sono molto amici. “Ti giuro che da me non è uscita una parola.” La abbraccio forte. “Lo so. Di te mi posso fidare.” “Sai che anche Miriam forse ci raggiungerà? Anche per lei questo non è un bel periodo…” “Lory…” in un attimo le racconto tutto. Non ce la faccio proprio a nasconderle niente. Lei mi ascolta in un silenzio che mi preoccupa. “Sei arrabbiata?” “No…so che l‟hai fatto a fin di bene. Sono solo preoccupata.” “Non sarà facile starmi vicina.” “Lo so,ma non importa.” “Ti piace il rischio?” “ Adoro rischiare.” /-----------------------------/ Se non avessi avuto lei al mio fianco,non so cosa avrei fatto;a volte sembra che la vita ti metta di fronte a delle difficoltà che sembrano insormontabili,ma ti offre contemporaneamente un aiuto che puoi avere solo se non ti lasci schiacciare dai tuoi problemi e dalla tua sofferenza. Se mantieni un filo con il mondo nonostante tutto,riesci ad afferrare il tuo gancio. Per un attimo ho creduto di non farcela:Lory ha capito che per me era tempo di staccare e di cambiare aria per un po‟ . Così di prepotenza mi ha portata qui,nonostante le avessi sottolineato più volte che non sarei stata una buona compagnia. Ma ha una sua teoria:l'amicizia,come l'amore,va vissuta fino in fondo e soprattutto nel bene e nel male.
Così è quasi un mese che siamo al mare;i primi quindici giorni l'ho vissuti nel silenzio,grido solito della mia sofferenza,cosa che lei ben sa e che ha rispettato in ogni sua sfumatura. Il posto è bellissimo e passiamo ore ed ore a camminare. Ho abbandonato le mie scarpe,non porto più neanche l'infradito,oramai vado sempre in giro scalza. Sotto i talloni si è formata quasi una suola naturale,così spessa che non sento più gli scogli arroventati dal sole,né l'asfalto sotto i piedi. E pensare che non mi sarei mai sognata di scendere dal letto senza le mie amate pantofole!Le comodità della vita a volte ci ingabbiano in paure di essere e ci impediscono di volare. Sto vivendo la mia paura più grande,quella di star sola;non avrei mai pensato di attraversarla con questa serenità. Ho fatto una scelta consapevole e non tornerei mai indietro,anche se il solo pensiero di quello che sarà mi terrorizza. Ma la condivisione merita il rispetto di noi stessi;se questo viene a mancare,c'è sicuramente prevaricazione di pensiero e disequilibrio nel rapporto . E‟ una specie di subdola sudditanza psicologica,che sia mia madre,sia Michele,hanno esercitato su di me facendomi credere di essere incapace ed insicura. Credo che non ci sia violenza peggiore:il segno di uno schiaffo prima o poi svanisce,un condizionamento ti accompagna per sempre. Ora sono io a scegliere la solitudine. Ieri ci ha raggiunte Miriam:ci ha detto che ha lasciato anche Carlo ed affittato un appartamento vicino all‟agenzia. Anche se ha lasciato Maurizio,lo ama ed in nome di questo amore,non può più vivere con il marito. In nome dell‟amore che ha per se stessa,non può più vivere Maurizio,assecondarlo e vivere recintata in un angolo della sua vita. Ci ha parlato molto anche della nonna. Ha detto che forse non avrà il suo coraggio ma da lei una cosa l‟ha imparata. Il rispetto per se stessa. È stato il fine di una vita per la nonna ed ora che l‟ha capito,lo vuole far suo. È molto più serena,la vedo giocare con suo figlio e penso che sia molto fortunata ad averlo. Più di me che non ne potrò avere..almeno dei miei. Vabbè,meglio non pensarci ed andare avanti. D‟altronde non ho molte alternative ed è meglio farlo senza vittimismi ed inutili pensieri negativi. Per ora mi sto godendo un po‟ della loro serenità e sono sicura che arriverà anche per me. Basta crederci. Ieri eravamo in veranda con Lory ,Miriam ed un paio di sue amiche un po‟ svitate. Una ha cominciato a parlare di uomini così l'altra,ridendo,ha detto:
"Il prossimo uomo deve allacciarmi le scarpe." Nella risata generale,l'altra ha risposto: "Il mio deve pulirmele." Io le ascoltavo,mentre leggevo un sms di Mirko:mi informava che il mio libro era alla seconda ristampa e mi chiedeva se volevo festeggiare…con lui! Forse ne vale la pena e forse no:ma stavolta prendo i miei tempi. Non ho nessuna intenzione di affrettarli. “Allora,Angela,ci rispondi?” Le guardo,una più matta dell‟altra,sempre a ridere e a scherzare. Ma sì. Io ho aspettato un attimo,un tiro di sigaretta,poi: "Io?Io vado scalza."
Angela Barbieri - E-mail:lautati@hotmail.it Autrice di "Io vado scalza", opera vincitrice del premio letterario nazionale "Un Fiorino". Alla sua seconda opera, la prima la silloge di poesie "Quello che non so di te", ed. Il Filo, ha pubblicato numerose poesie e racconti brevi con la Giulio Perrone e la Aletti e con il racconto breve "Buon compleanno", semifinalista al touringlivefestival.