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Missione Cattolica di lingua italiana
from Angelus n° 05 / 2022
by Cathberne.ch
SOLIDARIETÀ CRISTIANA
Dallo scoppio della guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina, avvenuto il 24 febbraio 2022, centinaia di migliaia di persone ucraine, soprattutto donne e bambini, sono stati costretti ad abbandonare le loro case e la loro terra a causa dei crescenti e sempre più pericolosi attacchi e bombardamenti indiscriminati da parte dell’esercito russo. E centinaia di migliaia di persone di ogni parte del mondo si sono immediatamente attivate per sopperire alla mancanza di cibo, medicine, prodotti per l’infanzia causate dal conflitto e hanno fornito aiuti alimentari, prodotti per l’igiene, prodotti e vestiti per bambini, medicinali, coperte,… A quanti sono riusciti a fuggire dagli orrori della guerra servono ora atti concreti di accoglienza e di umanità, alloggio, vitto, il lavoro, la possibilità di frequentare una scuola o di iniziare un apprendistato. Anche la nostra Parrocchia Cattolica Romana di Bienne e dintorni si è attivata e ha messo a disposizione un appartamento alla Rue de Morat 50. E molti fedeli italiani della nostra Parrocchia hanno risposto con generosità alla richiesta della Missione Cattolica di Lingua Italiana di raccogliere quanto necessario per arredare adeguatamente e convenientemente l’appartamento, ma non solo. Ad oggi abbiamo ricevuto diversi mobili, stoviglie, elettrodomestici, vestiti, cibo... Chi volesse dare un proprio contributo può informarsi su quanto sia possibile fare. Ci si può rivolgere alla segreteria della MCLI. Un grazie di cuore a quante/i vorranno concretizzare la propria solidarietà umana e cristiana.
I CRISTIANI E LE GUERRE
In questo tempo scosso da tante guerre tristemente e vergognosamente dimenticate (quella scatenata dalla Russia contro l’Ucraina è solo una delle tante guerre che si stanno combattendo da decenni nel mondo) ci può essere utile riflettere sul rapporto del cristiano con la guerra, partendo dalla vita di S. Francesco d’Assisi. Da giovane Francesco era stato uomo d’armi: aveva combattuto contro i perugini a Collestrada, era stato fatto prigioniero e, nonostante la dura esperienza del carcere, continuava a sognare nuove imprese militari, sperando di ricavarne gloria e prestigio sociale: la guerra era, allora come oggi, strumento di conquista del potere. Francesco voleva conquistarsi un titolo nobiliare e la guerra gli appariva come la via più breve per raggiungere il suo scopo. Fu proprio l’esperienza del carcere e la malattia che lo colpì subito dopo che lo portarono all’incontro con il Signore; capì allora che non doveva cercare la gloria sua, ma quella di Dio: quel Dio «Principe della Pace» (Is 9,5), che era venuto a portare la pace che il mondo non può dare (Gv 14,27) e chiedeva anche a lui, Francesco, di riporre la spada nel fodero (Mt 27,52). Fu allora che capì che solo il Signore avrebbe potuto donare la pace agli uomini, ma solo quando gli uomini sarebbero stati disposti a disinnescare i meccanismi esplosivi annidati nel proprio universo interiore. Nella Regola non bollata, portata a compimento nel 1221, si afferma: «Quando i frati vanno per il mondo, non portino niente per via [...]. Non resistano al malvagio, ma se uno li avrà percossi su una guancia, gli offrano anche l’altra». Nella Regola bollata (1223) si chiede ancora loro «di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nella infermità, e di amare quelli che ci perseguitano e ci riprendono e ci accusano». E nel famoso Cantico di frate sole Francesco esclama: «Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore e sostengono infirmitate e tribolazione». Nel capitolo XVI della Regola non bollata, scritto, molto probabilmente, dopo l’esperienza di Francesco in Terrasanta, quindi tra il 1220–1221: due sono i modi in cui quei frati che, per divina ispirazione, vogliono recarsi tra gli infedeli «possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro. Un modo è che non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace a Dio, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo». Quindi, solo dopo essersi sincerati che ciò piaceva al Signore, i frati potevano annunciare agli infedeli la fede trinitaria, mentre era sempre e comunque possibile la vita nascosta, che non aveva altro modo di porsi se non in una muta e silenziosa testimonianza, senza promuovere liti né questioni, restando sottomessi a ogni creatura. Non solo. In quello stesso luogo si ricorda a tutti i frati che, «dovunque sono», «hanno donato sé stessi e hanno abbandonato i loro corpi al Signore nostro Gesù Cristo. E per il suo amore devono esporsi ai nemici sia visibili che invisibili, poiché dice il Signore: «Colui che perderà l’anima sua per me, la salverà per la vita eterna». Tutte le testimonianze sono concordi nel sostenere che, durante la sua permanenza nelle terre d’oltremare, il Santo utilizzò soltanto la Parola di Dio, «più tagliente di una spada a due tagli» (Eb 4,12); una Parola predicata al nipote di Saladino, quel Malik al-Kamil, che non si convertì al cristianesimo, come sperava Francesco, ma fu capace di ascoltare e si mostrò magnanimo e tollerante. Un incontro che stupì, al punto che non solo fonti d’origine cristiana, ma anche fonti islamiche ne recano una qualche, seppur debole, traccia. Nella Regola francescana non si accenna mai alle armi, a differenza di quanto si può leggere nelle Regole degli Ordini monastico-militari, e questo per una ragione molto semplice: le armi erano estranee all’universo mentale di Francesco e dei suoi. Fu un insegnamento chiaro il suo, tanto nella teoria quanto nella prassi. Basti pensare che appena pochi anni dopo la sua morte, nel 1233, francescani e domenicani furono attivamente impegnati in una grandiosa campagna di pacificazione (nota come il «Movimento dell’Alleluia») che coinvolse diverse città del nord e del centro Italia, fino a giungere, in molti casi, all’adozione di nuovi statuti cittadini: un evento che mostrò quale lievito sociale potesse innescare l’utopia evangelica. Certo, non sempre è stato così e molte volte anche i francescani non hanno esitato a compromettersi in prima persona in episodi bellici. Tornare a riflettere oggi sull’insegnamento di Francesco può essere, per tutti, occasione e stimolo per un rinnovato impegno di pace. Una pace, come insegnava il santo papa Giovanni XXIII, basata sulla verità, sulla giustizia, sulla solidarietà operante e sulla libertà. Riflessioni certamente lontane dalle rivendicazioni ritenute «legittime» da quanti sono coinvolti a diverso titolo nelle varie guerre e dalle quali un cristiano non può non sentirsi interpellato.
(adattamento da un articolo di don Felice Accrocca e padre Enzo Fortunato)