Caro Angelo, Oggetto del mio interesse particolare è, come sai, la questione antropologica che credo il tuo lavoro fortemente richiami, anche per mezzo del suo costante rimando etico e morale che ogni antropologia filosofica non può non tenere a fuoco nel proprio sforzo di riflessione. Al centro del lavoro di Angelo Palumbo sta la questione del "mutamento antropologico" considerato tanto nel suo andamento naturale, quanto nella sua dimensione storica. Giunte alla loro definitiva crisi tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento le tesi più o meno ottimistiche e salvifiche di "filosofia della storia", l'uomo contemporaneo, postmoderno, viene rappresentato nella cultura filosofica come colui che s'interroga sul mondo non più a partire dallo stupore ma a partire dall'orrore. In un mondo nel quale si pratica l'esercizio d'infliggere sofferenza all'uomo da parte dell'uomo al di là di ogni possibile comprensione, torna l'interrogazione filosofica sul tema del male come punto critico del pensiero. Il secolo appena concluso c'impone di tornare a interrogarci sul male, muovendo in noi la domanda sul perché l'umanità «invece di entrare in uno stato veramente umano», sprofondi in un «nuovo genere di barbarie» (Horkheimer-Adorno, Dialettica dell'illuminismo). Anche di fronte alle crisi dei totalitarismi, cui pure abbiamo assistito, l'evidenza del male, il continuo produrre sofferenza, non si lascia neutralizzare dalla potenza del sapere, né dalla conquista, attraverso di esso, degli apparati tecnico-scientifici teoricamente rivolti a migliorare le condizioni di vita dell'uomo che invece, spesso, moltiplicano su di una pluralità di piani, la produzione industriale di sofferenza, anche sempre più sofisticata. Sotto accusa finisce, allora, la concezione strumentale della razionalità non solo come dispositivo produttore di giganteschi effetti di dolore, ma anche come spina dorsale di un'iniquità quotidiana che si accompagna alla stupidità dell'indifferenza e alla totale mancanza di senso di responsabilità. Nell'ordine nascente della globalizzazione sembra prevalere un principio di polverizzazione delle coscienze produttore di insensibilità diffuse in una sorta di resa anestetizzante al soverchiante potere organizzato nel nome del principio di un profitto possibile e diffuso che, in realtà, si realizza solo accidentalmente e poche volte per i molti e, invece, progettualmente e sistematicamente pei i pochi. «L'individuo si arrende alla prepotenza degl'imperativi sistemici e, quando questi producono sofferenza, ne diventa corresponsabile senza avvertire alcun senso di colpa oppure, al contrario, restando vittima di psicosi di colpevolizzazione collettiva» (Portinaro, I concetti del male). A questo punto, il male che, nel sapiente contrappunto dei temi, dei testi e delle immagini, Angelo Palumbo ci presenta, appare come la tragica rappresentazione di un'oppressione che la nostra epoca vive, il cui carattere perturbativo fortemente ci richiama all'assunzione di responsabilità. Ne risulta una domanda ancora più inquietante rispetto alla stessa tragicità delle immagini: che il male prodotto dall'azione umana è assai più pesante di tutte le sofferenze che la natura riesce a infliggerci e che con il crescere del "benessere", si moltiplichino a dismisura i prezzi di dolore e sofferenza che un'altra umanità paga per tutto questo, in un procedere di azioni che costantemente aprono l'orizzonte ad un futuro sempre più prossimo alla catastrofe, all'incidente (P. Virilio, L'incidente del futuro). In questo quadro, dolente l'umanità corre verso non tanto il disordine generalizzato quanto verso la negazione delle stese radici della civiltà moderna che nella figura orribile del Leviatano di Hobbes, trovarono, attraverso la nascita dell'idea di Stato, e poi di giustizia, le condizioni della possibile libertà umana contro il bellum omnium contra omnes. Così, ciò a cui il lavoro di Angelo Palumbo ci richiama, può essere colto in una presa di coscienza per cui il compito dell'umanità non è una competizione con le leggi della natura a chi più sofisticatamente dimostri di sapere attivare strategie di sofferenza, quanto, invece, se,
attraverso la natura, dalle sue stesse "strategie" che ci hanno fatto emergere, non sia dato all'uomo, la possibilità di "opporsi" ad essa attraverso l'impegno a combattere ovunque il dolore si presenti, a lavorare non soltanto per opporsi alla sofferenza o alla morte naturale quanto soprattutto a combattere contro la sofferenza e la morte che lo stesso agire umano è in grado d' infliggere all'uomo, alla vita, a tutto ciò che è altro da sé. Esser "uomo nuovo", allora, significa "soltanto" imparare a "usare" la nostra ragione, la nostra coscienza, la nostra stessa identità vivente avendo per fine (kantianamente) l'uomo, cioè la lotta contro il dolore, contro la sofferenza contro la morte della vita e della ragione. Paolo Augusto Masullo Docente di Antropologia Filosofica presso l’Università della Basilicata
PROLOGO
FREAKS
HIROSHIMA
CHERNOBYL
MURUROA
URANIO IMPOVERITO
TUMORI
BATTERI
VIRUS
OGM
CLONAZIONE
INQUINAMENTO
ALLERGIE
BHOPAL
EFFETTO SERRA
DESERTIFICAZIONE
FAME
FOSSILI
Matera 16 – 02 - 2006
Prima di iniziare la proiezione, vorrei brevemente ripercorrere le tappe di un lavoro nato da un’esigenza di chiarezza, durato più di due anni e che ha stimolato la mia coscienza civica di operatore culturale. Il crollo delle torri gemelle ha frantumato in me l’illusione di vivere in un mondo sicuro…non toccato dalle miserie della guerra, della fame….un mondo con dei problemi, ma che, in fin dei conti, era il migliore dei mondi possibile….per me, per i miei figli. Quando quelle torri sono crollate, è crollata l’ idea di realtà che avevo…quando ho visto planare dall’ottantesimo piano esili figure di uomini, di donne… ho capito la fragilità del nostro benessere. Il mondo dorato che i media ci impongono, franava in un mare di polvere densa ….ha appannato i miei sensi per giorni. Mi sentivo come un pugile che barcolla prima di crollare al tappeto. Aprire la Bibbia per me non è un gesto scontato ma in quei giorni quelle parole antiche, quella melodia verbale mi ha aiutato a riprendere fiato…a reagire. Dovevo capire che stava succedendo, perché le distanze con l’islam si erano così profondamente ampliate. Dove potevo attingere delle notizie ?.. avevo sete di molte notizie, che i grandi fratelli delle tv e dei giornali non ci vogliono dare….perchè tutto deve essere politically correct…. Ecco perché ho scoperto il mondo del web (che definisco luogo delle verità contemporanee) dove ho attinto i materiali che vi vado a presentare Tanti problemi si sono affollati nella mia mente(moltiplicati dal gran numero di informazioni digitali): guerre dimenticate, più sanguinose di quelle preventive, carestie sconosciute, eccidi impuniti, terre devastate ….tutto si rincorreva vorticosamente…poi gradualmente ho iniziato a vedere in modo più limpido. Ho capito che esiste una stretta relazione di causa ed effetto in ogni azione umana….però a quel punto, ho cercato di evidenziare le situazioni di rischio più gravi…e il terrorismo, da cui era partita la mia analisi, diveniva un fatto secondario…Altri erano i temi da considerare(inquinamento, fame, povertà) che spesso ci sfuggono addormentati come siamo in falsi sogni da soap opera sdolcinate. L’Uomo Nuovo di cui parlo è metafora di un’umanità che non si accorge di essere in grave pericolo, come gli ebrei dei lager, che ad un passo dalla morte, erano ancora convinti di vivere semplicemente un incubo e che presto tutto si sarebbe accomodato. Michele Saponaro ha suggerito un sottotitolo calzante: Pro Veritate… è questo l’obiettivo primario del mio lavoro: svelare la cruda realtà che spesso o evitiamo di conoscere o peggio ci impediscono di apprendere.
Se sfidare l’orrore di alcune immagini può aiutare a capire quello che ci accade intorno, spesso a nostra insaputa, per trovare delle risposte alternative, ben venga ..l’orrore. Le immagini di deformità e malattie contenute in questo percorso sono pietose realtà che sono nulla in confronto agli scenari apocalittici che, in questi giorni, il libro(La vendetta di Gaia) di un famoso scienziato inglese, James Lovelock, ci prospetta: il genere umano sarebbe destinato a scomparire, nell’arco di pochi decenni, a causa di un’imminente glaciazione, favorita da un dissennato sfruttamento delle risorse. Come dicevo, vedrete delle immagini molto dure che sono poi filtrate da messaggi testuali, brani sacri e laici, antichi e moderni insieme, che sembrano aver prefigurato le realtà che viviamo, e che, in un certo senso, aiutano a riappropriarci di quei dolori che sono anche nostri.(per inciso ritengo che la lettura privata di questo lavoro sia quella ottimale, perché si ha più tempo per metabolizzare la relazione tra immagine e parola. I tempi di lettura sono volutamente lenti e complessi, contrapposti alla veloce superficialità che caratterizza la normale comunicazione quotidiana). Le finalità di questo reportage mirano ad una presa di coscienza profonda, su temi che potrebbero cambiare i nostri attuali standard di vita (non considerando colori politici o ideologici, perché si tratta la trasversalità dell’esistenza dell’uomo sulla terra) Un macrotema emerge: i cambiamenti climatici, visti come bomba ecologica a tempo, innescata dall’antropizzazione selvaggia dell’uomo, vengono analizzati e sviscerati in molteplici declinazioni, tutte caratterizzate da una costante: l’azione sconsiderata dell’uomo su altri uomini e sulla natura in genere(con particolare attenzione al ruolo della cultura occidentale, intesa come dominante). Il percorso ha un preciso taglio temporale(che è anche emotivo) perchè ho preso in considerazione il 1945, percepito come anno emblematico, da cui si determinerà una consistente accelerazione di azioni distruttive sul mondo, riconducibile alla nascita dell’era atomica. La costante iconografica del lavoro, poi, è il “diverso”, il “malato”, marcando però una netta distinzione: la prima sezione dell’ipertesto è dedicata ad un film del 1932: FREAKS ( mostri ) di Tod Browning. Questo è assunto a metafora della nostra società perché, prendendo in considerazione, come punto di partenza del ragionamento, le deformità “congenite”(cioè quelle casistiche cliniche non prodotte dall’uomo, bensì dalla natura) si può considerare l’esistenza di due diversi modelli di civiltà: più rispettoso dei ritmi naturali quello che storicamente vedo concludersi con il 1945, sempre più distruttivo e invasivo il secondo….quello in cui oggi viviamo. Il film, che ha come protagonisti veri fenomeni da baraccone, circuiti e ingannati dai reali “mostri” della storia ( una coppia di amanti dalle perfette fattezze fisiche ) evidenzia, inoltre,il tema dell’emarginazione del diverso, operato dal nostro mondo che esalta, invece, illusori modelli estetici. E’ un dato certo che per la nostra società(dal mondo classico in poi) il concetto di bello corrisponda all’idea di buono, ma ormai si tratta, spesso, di forme svuotate dei valori originari, infatti, dietro piacevoli fisionomie può nascondersi il male se non peggio il nulla (ogni riferimento ai modelli televisivi dei nostri giovani è puramente casuale ). L’invito, quindi, è di superare il disgusto per il deforme, per comprendere la realtà nella sua globalità…per non farci ingannare dalle apparenze. Le rimanenti sezioni dell’opera sono, poi, una carrellata ora cruda, ora ironica di quelle trasformazioni che l’uomo ha inflitto scientificamente ad altri uomini e al territorio, determinando la genesi di un Uomo Nuovo….un uomo “snaturato” che, inoltre, ha smarrito il suo ruolo etico. E’ una lettura pessimistica del mondo? No è un tentativo, sicuramente utopistico(ma sono in molti a credere che la storia può essere mossa dalle utopie) per attivare un’inversione di tendenza negli “uomini di buona volontà”, affinché si corra ai ripari…non aspettando che la situazione degeneri ulteriormente o determini fenomeni irreversibili come alcuni, già, teorizzano. E’ solo un’utopia un mondo di pace che sappia ridistribuire equamente le risorse nel rispetto della natura? Questa è la domanda che vi voglio rivolgere stasera. Angelo Palumbo