Luce informe Anila Resuli
Luce informe Anila Resuli
Clepsydra Edition
Prima edizione: marzo 2008 Š
Clepsydra Edition
* 空から落ちて来るのは あれは雨でわなくて
quello che cade dal cielo non è pioggia –
scorgo a tratti le nuche che nelle tue bocche hanno forma circolare e sto appesa a questi chiodi di Marie spaventate con un posto ciascuno nell’anima; mi dipinge di te il fiato caduco delle foglie d’inverno
dimmi come vedi questa lacrima distratta al mento – ogni tuo sguardo langue sotto le ciglia e a poco a poco mi deturpa – non tante parole sono abbastanza, non poche cose io rondine appena sulle foglie ho da scrutare per non pensarti altrove.
e se questo tratto sapesse il tuo nome come sta tra i denti e come fiata un’onda cosÏ piena da tradirmi la mano si farebbe grande per avvinghiarti cosÏ lontano hai poca luce addosso e poca forma io nella tua pelle calma e sola, fino a stringersi.
e mi sta intorno il profumo di te appeso alle finestre – dalla tua voce ritratta l’anima le cose dette; io perdono ancora per finire intatti nelle fotografie quel che mi sorprendo dentro. occhi pochi a strappi rimangono ad attenderti ad ore. ma so di te cos’ha il fiato e so il suo rumore vivo, come avessi tempi addietro ad averti mio.
fingi di sapere che siamo uguali: simile bocca ho io alla tua – simile mano tutta contratta in cinque sole dita come fossero troppe per tenerti stretto. e poi, cos’ha la notte ad amarci tanto – poche labbra io a tingere pure i denti col tuo nome di continuo.
dormi: una forma amante della tua bocca ritrae della mia mano una luce informe che succhia il buio distratto dal vento. e fosse già mattina, t’amerei più volte; qui le ore tarde, le gocce spesse della pioggia fondono le lacrime, il tuo ricordo, con la colpa. (due occhi soltanto osservano tanto da dire ch’esiste ancora il silenzio)
non ho fiato per sprecare silenzi – dimmi come dire che tu ed io siamo soli: in veranda oggi guardavo i gatti a stordire la coda e mangiarsi i baffi, come noi; le poche cose di me non hanno discorsi da rammentare. pure le forme dei gigli in giardino dimenticano quando entro ed esco, ogni sera.
negami che è poca la sera e poco il tratto che m’appartiene; e potessi scorgere quel buio assorto del tuo occhio sotto il riflesso volte più volte, una forma unica per quanto è sola – dimentica come sono tua se ogni voce fa gioco di noi. nel tratto di te che una finestra oscura direi d’andare, ogni dove v’è luce.
non ho carta e chiavi per ogni conta di scale che, a prescindere, dividono. portami altrove dove le lingue tornano a succhiarsi il pane – occhi distratti fermano l’anima ad ogni angolo tuttora. qui è sempre sera ed io, comunque, sono sola.
come ricordi, il male ha radici cortesi che sradicano i muri – sei cosÏ un’edera forte che stanca i miei incubi fino a renderli sani. io di me ho tante orecchie, tutte a scorgere lenti bavagli che tremano tra occhi e bocche: io sono qui ancora, ma dimmi dove.
non piangere, sono stata anch’io bambina: ora tutta stretta ai piedi per capire l’amore, sono a stringere la fame – poca e spessa ai denti tanto da fare male – ed è qui che so come il tratto di te che mi preme, succhia ogni silenzio che delinea di continuo il tuo nome.
non dire come sono altra e come sono poca a travisare l’ardire: le parole sono anelli che sulla mia schiena schiodano il male.
e se quanto è detto avesse ancora carta, ridarei una penna a lasciarne l’orma. di me, di te, di noi comunque, che s’è soli.
Clepsydra Edition