L3 Bioacustica e Inquinamento Acustico

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BIOACUSTICA E INQUINAMENTO ACUSTICO Monica Mariani

L’IMPORTANZA DEL SUONO NEL MEZZO ACQUATICO L’acqua assorbe la luce molto rapidamente e pertanto la visibilità in acqua è molto scarsa. Anche in buone condizioni, nello strato superficiale, spesso non si riesce a vedere più lontano di 30 m. Questo significa che una balenottera comune (22-25m) a mala pena riesce a vedere la sua stessa coda! È come se I cetacei vivessero circondati da una nebbia continua. Se ci spostiamo in profondità, già a 50 m è ormai praticamente buio. Per questo la Vista, che è il nostro senso primario, è di scarsa utilità in acqua. I Cetacei, e soprattutto le specie di Odontoceti che vivono in ambienti fluviali o estuarini, torbidi e melmosi, e quelli che passano gran parte del loro tempo a grande profondità, hanno sviluppato in particolar modo il sistema acustico, non solo per comunicare tra loro, ma anche per “vedere” al buio. L’utilizzo del suono in acqua è estremamente vantaggioso: -

Si propaga ad alta velocità, in media 1500 m/s. Se lo compariamo con la velocità del suono in aria (circa 340 m/s) ci accorgiamo subito della differenza. Si propaga anche per lunghe distanze subendo una ridotta attenuazione/distorsione.

Ci accorgiamo quindi che il suono è di grande utilità in acqua: i cetacei possono comunicare tra loro, localizzare le prede e orientarsi anche a grande distanza (da pochi km a centinaia di km di distanza).

COS’È IL SUONO Il suono è un’onda che si propaga dal punto in cui viene prodotto verso l’esterno in tutte le direzioni, come le onde provocate da un sasso che viene lanciato in un lago. Essendo un’onda, il suono è caratterizzato da una lunghezza d’onda (λ) e da una frequenza (f). La frequenza è il numero di creste (o ventri) dell’onda che passano per un punto nell’unità di tempo: -

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Un suono ad alta frequenza è caratterizzato da una lunghezza d’onda corta: nell’unità di tempo (per esempio in un secondo) passa un elevato numero di creste per uno stesso punto. Il suono ad alta frequenza è un segnale che contiene un’energia minore (quindi viaggia in acqua per una distanza minore). Suoni ad alta frequenza vengono usati dai delfini e dai capodogli che, attraverso i click ad alta frequenza riescono a localizzare e “vedere” le prede con grande dettaglio ma ad una distanza ridotta. Un suono a bassa frequenza è caratterizzato da una lunghezza d’onda lunga: nell’unità di tempo (per esempio in un secondo) passa un basso numero di creste per uno stesso punto. Il segnale a bassa frequenza è un segnale che contiene un’energia maggiore (quindi viaggia in acqua per una distanza maggiore). Suoni a bassissima frequenza vengono usati dalle balene che riescono così a comunicare tra loro e trovare i banchi di krill anche a centinaia di km di distanza. Questi suoni a bassa frequenza non restituiscono alla balena un’immagine dettagliata di quello che ha di fronte, ma un’immagine più grossolana.

Lo spettro sonoro è un grafico che si utilizza nell'analisi di un rumore o di un suono: vi si riportano i livelli sonori in funzione della frequenza. La frequenza si misura in Hertz.


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a)

b)

Sull’asse delle x abbiamo il tempo, sull’asse delle y abbiamo la frequenza. Un suono visto sullo spettro si disporrà più in alto se più alta è la frequenza che lo caratterizza. Lo spettro in figura va da 0 a 22.000 Hertz di frequenza. L’uomo riesce a sentire i suoni che hanno frequenza compresa tra 20 e 20.000 Herzt. I cani per esempio sentono suoni a frequenza anche più alta (per addestrarli o per richiamarli a volte si usano dei fischietti particolari che noi non riusciamo a sentire ma i cani si). Anche i delfini sono in grado di sentire e produrre suoni a frequenza anche molto più alta rispetto alle nostre. Nello spettro sopra vediamo in a) un fischio di globicefalo, in b) un fischio e dei clicks di stenelle. Come si vede, i fischi di stenella hanno una frequenza più alta rispetto ai fischi di globicefalo. Così quando siamo a mare sull’imbarcazione da ricerca e registriamo i suoni che i delfini producono in acqua (grazie ad un microfono subacqueo o idrofono), spesso possiamo riconoscere la specie di delfino che sta vocalizzando ancora prima di vederli. Questo grazie alle frequenze dei loro suoni e al tipo di suono che emettono. Abbiamo detto che il suono in acqua si propaga velocissimo, mentre in aria ha una velocità decisamente minore. Abbiamo anche detto che quando un delfino emette un suono sotto la superficie dell’acqua, quest’onda sonora si propaga in tutte le direzioni. Ma allora perché quando siamo in prua alla barca coi delfini che nuotano 2 metri sotto di noi, non riusciamo a sentire i loro fischi? In queste situazioni, se i delfini fischiano, li sentiamo solo se siamo in acqua anche noi o se abbiamo un microfono subacqueo collegato ad una cassa a bordo. Il suono emesso in acqua si propaga in tutte le direzioni, ma quando tocca la superficie del mare incontra l’aria. Visto che in aria il suono è molto più lento, l’onda sonora devia verso il basso. Alla superficie quindi, il suono non attraversa il confine acqua/aria, ma rimbalza verso il basso e si mantiene dentro l’acqua dove è libero di muoversi più velocemente. Ovviamente, se il suono prodotto dall’animale in acqua è MOLTO forte, un po’ di energia riesce a superare questo limite e noi, anche se debole, riusciamo a sentirlo dalla prua dell’imbarcazione. In profondità, in mezzo all’oceano, esiste un canale chiamato SOFAR (canale di fissazione ed oscillazione sonora) o CSP (canale sonoro profondo). Si tratta di uno strato di acqua che ha particolari caratteristiche di temperatura e pressione che deviano l’onda sonora mantenendola al suo interno. Il canale agisce come una guida d’onda per il suono, e le onde sonore a bassa frequenza all'interno del canale possono viaggiare per migliaia di miglia prima di dissiparsi/esaurirsi. L’uomo ha scoperto il SOFAR grazie alle balene, che lo usano per comunicare a distanza da centinaia di anni...

LA COMUNICAZIONE ACUSTICA, I SUONI DEGLI ODONTOCETI


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I suoni prodotti dagli Odontoceti possono essere raggruppati in due categorie funzionali e in tre categorie acustiche. Le due categorie funzionali sono: -

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Comunicazione: utilizzati per la comunicazione tra i cetacei, che appartengano alla stessa specie o a specie diverse. Questi segnali possono servire diversi scopi: coordinare la caccia o gli spostamenti, socializzare e accoppiarsi, segnalare uno stato di stress ecc.. Ecolocalizzazione: utilizzati per scandagliare l’ambiente e localizzare le prede (anche al buio) come un vero e proprio sonar dei sottomarini. Questa capacità viene chiamata biosonar, o sonar biologico ed è tipica degli Odontoceti, non presente nei Misticeti.

Le tre categorie acustiche descrivono la composizione spettrale (soprattutto la banda di frequenza che caratterizza il suono emesso), la struttura e la qualità del suono e sono: -

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I click: impulsi ultrasonici (oltre i 20.000 Hz), prodotti singolarmente ma in genere in rapida serie. Sono a banda larga (toccano un’ampia banda di frequenza) e a velocità variabile. Sono quelli associati all’ecolocalizzazione. I fischi, suoni a tonalità pura e a banda stretta, possono essere modulati in frequenza ed intensità. Generalmente sono emissioni a bassa frequenza, tra i 5.000 ed i 30.000 Hz e possono durare anche vari secondi. Potendo essere modulati assumono diverse forme e per questo, un po’ come le nostre parole, sono usati per la comunicazione. I “suoni ad impulsi”, ossia crepitii, gridi acuti, brontolii, pernacchie, formati da una serie di impulsi di frequenza inferiore ai primi.

Questi ultimi due tipi di segnali sembrano essere esclusivamente coinvolti nella comunicazione tra individui, mentre i click ecolocativi vengono utilizzati per sondare l’ambiente, per necessità di navigazione, per localizzare le prede, per evitare ostacoli e predatori.


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LA PRODUZIONE DEL SUONO – ODONTOCETI (delfinidi) L’uomo produce suono facendo passare aria attraverso la laringe in modo da far vibrare le corde vocali. I cetacei non hanno corde vocali e possono produrre suoni anche mantenendo la bocca chiusa. L’apparato nasale/respiratorio dei delfini e di capodoglio si è evoluto per produrre, emettere e ricevere i suoni in ambiente marino. Le strutture/organi principali che costituiscono l’apparato acustico sono i sacchi nasali e il melone. Nei delfini e simili (provvisti di melone) la teoria più accreditata sulla produzione e ricezione del segnale sonoro è quella delle labbra di scimmia. L’aria entra dallo sfiatatoio quando l’animale respira in superficie. Lo sfiatatoio viene poi chiuso appena l’animale scende sotto il pelo dell’acqua per evitare che l’acqua penetri all’interno. L’aria attraversa il canale nasale/respiratorio fino a raggiungere i polmoni. Una parte di quest’aria viene però immessa nei sacchi nasali e li riempie come dei palloncini. I sacchi nasali sono presenti a coppie di due e si dipartono dal canale nasale. A seconda delle specie ci sono 3-4 coppie di sacchetti nasali. Ogni sacchetto è circondato da muscoli e l’apertura è chiusa da una sorta ti tappo o valvola. La contrazione dei muscoli costringe l’aria a passare attraverso la valvola facendola vibrare. Questa struttura che vibra al passare dell’aria viene chiamata “labbra di sciamma”. Immaginiamo il palloncino pieno d’aria trattenuto dalle nostre dita: se rilasciamo leggermente la presa o spremiamo il palloncino con l’altra mano, l’aria esce di getto dall’apertura facendola vibrare e producendo una specie di pernacchia. Questa vibrazione iniziale viene indirizzata verso il melone. Il melone è un organo particolare pieno di sostanze grasse. Il grasso è un ottimo conduttore dell’onda sonore e quindi il suono al suo interno si propaga molto velocemente. Attraversando il melone, l’impulso sonoro acquista pian piano velocità e quando raggiunge l’acqua risulta amplificato e velocissimo. Anche il melone è circondato da muscoli particolari che lo contraggono e rilassano facendogli cambiare forma. In questo modo il delfino può scegliere se: -

Emettere un suono che si espande in acqua in tutte le direzioni. Si tratta di suoni di comunicazione, come per esempio i fischi, che l’animale emette per comunicare con gli altri animali del branco, che possono trovarsi ovunque intorno a lui.

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Emettere un suono direzionato, in avanti. Si tratta di scuoni di ecolocalizzazione, i clicks, che l’animale emette per “vedere” o meglio per localizzare le prede o per osservare oggetti che si trova di fronte.

I clicks di ecolocalizzazione vengono indirizzati esattamente verso l’oggetto che il delfino vuole osservare. Quando l’onda sonora che forma il click si propaga in acqua, sbatte contro l’oggetto e rimbalza contro di esso ritornando indietro. Questo eco di ritorno è più debole del segnale iniziale perché ha perso parte della sua energia durante il tragitto di andata e ritorno. Quando l’eco di ritorno arriva al delfino, attraversa la mandibola che nei delfini è un osso cavo pieno di grasso. Il grasso serve ad amplificare l’eco di ritorno. Al termine della mandibola, il segnale raggiunge il timpano e l’orecchio interno. Qui, il suono stimola il nervo


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acustico che porta l’informazione al cervello. Una volta al cervello, l’informazione viene analizzata e processata. Cosa vedono i delfini ascoltando il suono? Attraverso i click, i delfini vedono come una radiografia dell’oggetto che hanno di fronte. Come per i raggi x usati in medicina. Ogni materiale infatti riflette il suono in modo diverso. La pelle, le ossa, gli organi... ma anche materiali come il legno, il metallo... Il delfino riesce quindi a distinguere un pezzo di legno da una barra di metallo, un pesce da un calamaro. E non solo. IL VANTAGGIO DI VEDERE COI SUONI... In Nuova Zelanda i turisti possono nuotare con i delfini. Ho personalmente assistito all’esperienza di una ragazza che un giorno si è immersa con altri 9 turisti. Già dopo pochi minuti era chiaro che i delfini fossero attratti molto di più verso di lei che verso gli altri turisti. Ne aveva 4-5 che le nuotavano continuamente intorno, molto vicini, e che tornavano ripetutamente. Gli altri 9 turisti invece non venivano avvicinati dai delfini se non di rado. Quando la ragazza è risalita a bordo entusiasta, la guida le ha chiesto se per caso fosse incinta, ma lei disse di no, o che non lo sapeva. Dopo due settimane mi scrisse un’email, aveva fatto il test, e si, era incinta. I delfini vengono anche utilizzati in certe situazioni per fare terapia. Riporto qui la storia di una donna che ho conosciuto, e che aveva un tumore. Un tumore è un ammasso più o meno grande di cellule malate che può (in certi casi) essere visto tramite una radiografia. Lei andò a fare delfino-terapia senza dire a nessuno del suo tumore. Il delfino si avvicinò a lei e con il rostro (il muso) andò immediatamente a toccare proprio la zona dove il tumore si stava espandendo. Cosa vuol dire tutto questo? I delfini sono animali sociali, vivono in branco e si prendono cura gli uni degli altri. Con il suono, e in particolare con i clicks, hanno una visione “profonda” dell’ambiente e degli animali che li circondano. Riescono a vedere oltre la superficie, riescono a percepire un cuore che batte, un feto nella pancia di una madre, una zona dell’organismo che non funziona come dovrebbe, come un tumore. Questi animali riescono a percepire se i loro compagni di branco sono gravemente malati (anche grazie alla percezione di particolari sostanze chimiche che gli animali malati rilasciano nell’acqua attraverso le urine) o se ci sono delle femmine del branco gravide, e grazie a questa capacità, possono dar loro una mano, per esempio nella cattura del cibo, o una maggior protezione da possibili predatori. Il click impiega un certo tempo a tornare indietro. Questo tempo è proporzionale alla distanza cui si trova l’ostacolo (pesce o altro oggetto) dal delfino stesso. Producendo una serie veloce di clicks, il delfino riceve tante informazioni sull’oggetto che sta guardando: oltre al materiale, la dimensione, la posizione e la distanza, se è un pesce che si muove, riesce a vedere in quale direzione e a che velocità sta nuotando. L’ecolocalizzazione permette a questi animali di essere efficaci predatori nel mezzo acquatico.

LA PRODUZIONE DEL SUONO – ODONTOCETI (capodoglio)


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Il capodoglio è un animale unico nel suo genere. Circa 1/3 del suo corpo è costituito dal “naso” che in realtà contiene un particolare organo, analogo al Melone dei delfini. Questo organo si chiama Organo dello Spermaceti, è pieno grasso, e viene utilizzato per produrre il suono. Ci sono solo teorie per spiegare quale sia il metodo tramite il quale il capodoglio emette i suoi suoni. Questo perché non esistono macchinari abbastanza grandi da scannerizzare la testa di un capodoglio adulto, e soprattutto è praticamente impossibile farlo su di un animale vivo mentre sta emettendo suoni: sono troppo grandi (12-16 m) per essere tenuti e studiati in cattività e tutti i capodogli che spiaggiano, anche se ancora vivi non emettono clicks perché fuori dall’acqua. A differenza dei delfini, i capodogli non emettono fischi. Essi emettono praticamente solo clicks, in modalità differente a seconda che siano clicks di ecolocalizzazione o clicks di comunicazione. I capodogli producono solo due suoni diversi dai click, che sono simili a suoni ad impulsi e che potrebbero indicare uno stato di stress. Ma non ne si ha la certezza. Concentriamoci quindi sui clicks! Secondo la teoria più affermata, l’aria che entra dallo sfiatatoio oltre che andare ai polmoni, riempe due

sacchi d’aria, uno distale, all’apice dello Spermaceti, e uno frontale, all’inizio dello Spermaceti, tra esso e le ossa del cranio. Dei muscoli che circondano il sacco frontale lo contraggono provocando la vibrazione iniziale, che viene spinta in direzione opposta all’uscita e quindi obbligata ad attraversare lo spermaceti verso il sacco frontale. Abbiamo detto precedentemente che quando il suono viaggia veloce in acqua, alla superficie rimbalza verso il basso perché il aria viaggerebbe troppo lentamente. Nello Spermaceti funziona altrettanto. L’onda sonora che attraversa lo Spermaceti sbatte contro il “muro” d’aria contenuto nel sacco frontale, rimbalza e torna indietro. A questo punto si sdoppia: una parte continua a viaggiare nello spermaceti verso il sacco distale, un’altra invece si incanala nel Junk. Il Junk, dall’inglese “scarto, spazzatura” è anch’esso costituito da grassi che sono disposti in modo tale da formare lenti acustiche. Il suono che attraversa queste lenti acustiche viene considerevolmente amplificato prima di essere rilasciato nell’acqua. La parte del segnale che è rimasta nello Spermaceti, sbatte contro il sacco distale pieno d’aria e ricomincia il giro. Questo “giro” avviene più volte fino a che tutto il segnale originario è uscito dal Junk. Così quando registriamo un click e lo andiamo a vedere sullo spettro, vediamo un impulso (o pulse). Ma se zoomiamo il click, vediamo che in realtà è composto da tanti impulsi, ogni per ogni parte di segnale che esce dal Junk. Se guardiamo bene poi ci accorgiamo che la distanza tra due pulse consecutivi è sempre la stessa. Questa distanza, misurata in millesimi di secondo (ms) si chiama IPI o Interpulse Interval che è l’intervallo tra due pulse. L’IPI è una distanza temporale che corrisponde al tempo che il suono rimasto nello


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Spermaceti impiega a compiere il suo tragitto di andata e ritorno, ovvero il tempo che il suono impiega ad attraversare lo Spermaceti due volte. Sapendo a che velocità viaggia il suono nello Spermaceti e sapendo quanto è lungo lo Spermaceti in confronto alla lunghezza del corpo del capodoglio, misurando l’IPI riusciamo a calcolare quanto è lungo il capodoglio che ha emesso il click! Infine, notiamo la velocità con cui il processo avviene. Un click in genere dura poco più di 20-25 millesimi di secondo, e in questi pochi millesimi di secondo, il suono rimbalza 10-12 volte avanti e indietro nello Spermaceti! Il capodoglio riceve gli echi di ritorno attraverso la mandibola, come i delfini. Il tragitto del suono attraverso il Junk è relativamente lungo ed in effetti il suono che viene emesso è molto forte. Facendo una comparazione, grazie agli idrofoni possiamo ricevere e sentire i clicks di delfini come le stenelle quando queste sono ad una distanza massima di poche centinaia di metri. Sempre con gli stessi idrofoni, un capodoglio che caccia la sua preda (i grandi calamari) a profondità anche maggiori di 800 m è udibile fino ad una distanza di 5-6 km!!!

I SOUNI DEI CAPODOGLI Quando il capodoglio è in fase di alimentazione, e quindi caccia grandi calamari in profondità, produce clicks ogni 2-3 secondi. Questi clicks di ecolocalizzazione gli servono per localizzare la preda e vengono chiamati click regolari (o regular clicks). Quando il capodoglio localizza una preda, ha bisogno di più informazioni: quanto è grande il calamaro e in che direzione nuota? Così il capodoglio comincia a emettere clicks in sequenza più rapida e man mano si avvicina, così che i clicks diminuiscono di intensità (diventano più deboli) perché la distanza tra preda e predatore diminuisce e il capodoglio non ha bisogno di vedere lontano: si sta focalizzando sul calamaro. Nel momento in cui il capodoglio afferra il calamaro, si azzittisce, per pochi secondi, poi ricomincia a cliccare in modo regolare alla ricerca di una nuova preda. Ascoltando i suoi clicks riusciamo quindi a capire quanti calamari il capodoglio mangia durante ogni immersione. L’accelerazione dei clicks è interpretata come il tentativo, da parte del capodoglio, di focalizzare la preda individuata o un altro oggetto di suo interesse (vedi l’esempio dell’idrofono fatto in classe). Il capodoglio può emettere clicks in rapidissima successione, fino a 220 clicks al secondo! L’immersione dura dai 35 minuti a un’ora e mezza. Alla fine dell’immersione di caccia il capodoglio torna in superficie a prendere aria. Mentre risale, il capodoglio smette di cliccare, se non per fare qualche vocalizzazione sociale, come i codas (vedi dopo), per comunicare agli altri capodogli che sta risalendo. Una volta in superficie, il capodoglio respira e si riposa. A volte rimane immobile, altre volte invece nuota mantenendo una direzione precisa. Se il capodoglio non è da solo, ma in gruppo, ad un certo punto della giornata smette di mangiare e rimane in superficie. A questo punto, il gruppo si riunisce in superficie dove può rimanere anche per diverse ore. In genere i capodogli in superficie si mettono uno di fianco all’altro, in modo da potersi guardare negli occhi mentre si riposano, oppure socializzano strusciandosi e toccandosi con varie parti del loro corpo. Durante la socializzazione, i capodogli emettono delle sequenze di clicks particolari, come i codas, i chirrups o i codacreak. Il codas è una sequenza ben definita di un certo numero di click che ha un ritmo particolare, per esempio da 3 a 12 clicks equamente distanziati, oppure da 2 a 11 clicks seguiti da un ultimo click emesso un po’ dopo e pertanto definito “+1”. Il codas che viene maggiormente emesso dai capodogli del mar Mediterraneo è il 3+1 (vedi figura). I codacreak e i chirrup sono brevi trilli composti da circa 10-50 clicks e prodotti molto rapidamente. Il codacreak a differenza del chirrup rallenta nel finale.


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Il capodoglio è anche in grado di produrre un click potentissimo, chiamato “bomba acustica” o dall’inglese “clang”, che potrebbe stordire in profondità un calamaro “gigante” di diversi metri di lunghezza. Se una persona si trovasse vicino ad un capodoglio quando questo emette il clang la vibrazione sarebbe talmente forte da ucciderlo. Non si sa bene il motivo per il quale il capodoglio emette un suono così forte. Potrebbe servire a stordire le prede più grandi per evitare un combattimento difficile, o potrebbe essere usato in una competizione tra maschi per vedere chi è il maschio più forte. In realtà questo suono viene registrato così raramente che non è possibile verificarne il reale motivo. Sicuro è che il clang è il suono più potente che sia mai stato registrato prodotto da un animale.

LA COMUNICAZIONE ACUSTICA NEI MISTICETI I suoni degli Odontoceti sono ad medio-alta frequenza. L’eco di ritorno dei clicks è molto dettagliato ma solo se il bersaglio è a breve distanza (ad es. un delfino vede bene un pesce di 15 cm di lunghezza fino a 200 m di distanza). I Misticeti (balene e balenottere) emettono suoni a bassa frequenza che contengono una grande energia e possono viaggiare negli oceani per migliaia di miglia. Le balene sono specie migratrici. Passano l’estate nelle acque polari dove si alimentato di grandi quantità di krill, poi migrano verso i tropici dove passano l’inverno a riprodursi. In genere, le balene anche della stessa specie, sono divise nei due emisferi: per esempio abbiamo la Balena Franca Boreale nell’emisfero nord, e la Balena Franca Australe nell’emisfero sud. Non sembra che attraversino l’equatore. La rotta migratoria è comunque molto lunga: dai tropici ai poli e la percorrono almeno due volte l’anno. Vivono sparpagliate, anche a grande distanza le une dalle altre, perché cibandosi di plankton (in grandi quantità) non gli conviene vivere in branchi numerosi: sarebbe difficile trovare abbastanza cibo per tutti! Grazie a questi suoni a bassissima frequenza, le balene possono comunicare a grandissima distanza, persino da una parte all’altra dell’oceano. Si pensa che una balenottera azzurra, l’animale più grande che abbia mai respirato sul nostro pianeta, lunga 30-33 m, possa sentire il suo proprio eco dopo che il suono da lei emesso ha viaggiato tutto intorno al globo (ovviamente senza incontrare ostacoli che lo devierebbero, come un continente).


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Questi suoni, che viaggiano così lontano, hanno diverse funzioni: -

Comunicazione tra balene della stessa specie anche a grande distanza; Localizzazione di un possibile partner per l’accoppiamento, anche in pieno oceano, evitando grandi aggregazioni (raggruppamenti di animali) in una stessa zona; Scandagliare le coste dei continenti durante le migrazioni, al fine di trovare la rotta migliore; Fungere da “faro guida”: le prime balene che partono per la migrazione possono comunicare alle altre quale sia la rotta migliore o quale sia la zona dove è presente più cibo; Localizzare i banchi di krill.

LA PRODUZIONE DEL SUONO – MISTICETI Ci sono tante teorie su come le balene producono i loro suoni. Questi animali non hanno melone e neanche i sacchi nasali o le labbra di scimmia. Non producono quindi i suoni come fanno gli Odontoceti. Una teoria è che potrebbero far passare aria nel tratto della laringe. Quest’aria però non viene espulsa, né dalla bocca né dallo sfiatatoio, quindi in qualche modo deve essere riciclata. Non si sa bene come questo possa avvenire. Di sicuro, le balene sentono bene i suoni a bassa frequenza. Sembra invece che ricevano i suoni ad alta frequenza con più difficoltà. Ecco perché subiscono spesso collisioni con navi veloci, per esempio traghetti, aliscafi, navi da crociera o grandi container. Quando la balena riposa in superficie è solo parzialmente vigile. La nave che si avvicina fa tanto rumore, a causa del motore, ma è un rumore a medio-alta frequenza che probabilmente la balena non sente bene o comunque non abbastanza in fretta da capire da che direzione proviene.

I SUONI DELLE BALENE La balenottera comune, Balaenoptera physalus, emette in media suoni compresi tra 20-40 Hz. Può emettere suoni a frequenza anche leggermente più alta, ma mai oltre i 1.000 Hz. Sono a mala pena udibili dalle nostre orecchie. Questi suoni vengono chiamati “blip”. Inoltre le balene producono una serie di suoni a medio-bassa frequenza che vengono chiamati “canzoni”. Una canzone è costituita da una sequenza di suoni simili a gemiti, lamenti, rombi ecc. che può durare fino a 10 minuti o più. Nelle megattere e le balenottere comuni solo i maschi producono le canzoni. Queste canzoni hanno quindi probabilmente funzione riproduttiva: attrazione delle femmine, che scelgono il maschio che produce la canzone migliore, e competizione tra maschi, che attraverso la canzone riescono a capire quale sia tra loro il maschio più forte. Nelle megattere i maschi che vivono in una stessa area, cantano la stessa canzone. Ogni tanto un maschio canta la canzone aggiungendo una variante: se alle femmina questa variante piace, tutti i maschi di quella regione cominciano a cantare la nuova canzone. Questo porta ad un’evoluzione della canzone che non torna mai indietro, ma si migliora sempre in funzione della sua efficacia (nell’attrarre le femmine).

ACCENNI D’INQUINAMENTO ACUSTICO L'inquinamento acustico è causato da un'eccessiva esposizione a suoni e rumori di elevata intensità. Questo può avvenire per esempio in città, ma anche in ambienti naturali, soprattutto in mare dove il suono si propaga rapidamente e mantenendo la sua intensità anche per lunghe distanze. L’eccessivo rumore subacqueo può essere responsabile dei decessi di diverse creature marine. Ben 9 calamari giganti, lunghi fino a 12 metri e pesanti oltre 140 kg, sono stati trovati morti tra il 2003 e il 2005 al


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largo delle coste della Spagna. Probabilmente queste morti sono state dovute alle operazioni di alcune compagnie petrolifere che stavano in quegli anni effettuando esplorazioni del fondo marino utilizzando impulsi sonori a bassa frequenza, meno di 100 Hz. Tutti i calamari avevano subito evidenti danni all’apparato uditivo: probabilmente, disorientati dagli impulsi, hanno nuotato verso la superficie, morendo soffocati a causa dell’acqua troppo calda. Anche i cetacei sono seriamente danneggiati dall’eccessivo rumore subacqueo. L’inquinamento acustico causato dalla navigazione, dalle rilevazioni sismiche, dalle trivellazioni per estrarre petrolio e dai sistemi sonar civili e militari, che interferiscono con il biosonar dei cetacei, li assorda, disorientandoli e portandoli a spiaggiarsi e quindi morire. Nel 2002 il massiccio impiego di sonar a bassa frequenza durante un’esercitazione NATO alle isole Canarie, ha causato lo spiaggiamento di 14 balene nel giro di poche ore. L’inquinamento acustico, soprattutto quello che avviene in profondità, danneggia fortemente le specie di cetacei che cacciano a profondità maggiori di 400-500 m, come per esempio i capodogli e gli zifi. Quando vengono colpiti da queste serie di suoni molto forti, i cetacei perdono l’orientamento e spesso risalgono in superficie troppo rapidamente. Ne risultano gravi danni all’apparato acustico e all’orecchio (che oltre al forte rumore hanno subito una troppo rapida variazione di pressione dovuta alla veloce risalita) e spesso anche la morte. Nella nostra zona i rumori non sono molto forti, ma praticamente costanti. Per i cetacei delle nostre acque è come essere sempre in discoteca. Durante la stagione di ricerca, ci siamo accorti che i cetacei vocalizzano molto di più in inverno, quando il traffico e quindi i rumori sono minori, piuttosto che d’estate quando invece il traffico marittimo è molto elevato. È come se decidessero, invece che urlare per sentirsi, di comunicare tramite fischi il minimo indispensabile. Il problema rimane nel momento dell’alimentazione, quando i rumori interferiscono nella localizzazione delle prede.


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