o l o g y Tecnologie del cambiamento | Sensorialità
Numero 0 | Anno 0 Luglio 2014 | IT 2,50€
STORY
PORTFOLIO FOTOGRAFICO
Smart textile
Body interface
Prelibatezze dalla cucina di Ferran Adrià, il cuoco fondatore di elBulli
Arte e tecnologia si fondono per dare nuova vista ai tessuti
A tu per tu con la performer multisensioriale Sonia Cillari
Nuts caviar
INTERVISTA
In copertina
Cactunes, progetto dell’installazione Delirious home
o l o g y © 2014 Tutti i diritti riservati. Ology - Tecnologie del cambiamento è un marchio registrato.
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Direttore creativo Elmira Masoumi
Progetto grafico Giulia Boschi Agnese Cunsolo Photo editor Anna Gialluca Elmira Masoumi
Editore Scuola del Design | Politecnico di Milano LM Design della comunicazione Lab di Progettazione di Artefatti e Sistemi Complessi Sezione C1 a.a. 2013/2014
Stampa SEF COPY Via Lorem Ipsum 13, Milano Hanno contribuito a questo numero: Roberta De Carolis Linda Bartoshuk
Docenti Marco Moro Mauro Panzeri Pier Antonio Zanini
Editoriale di Elmira Masoumi
TECNOLOGIA & SENSORIALITÀ
Tecnologia e sensorialità: questo il binomio con cui conviviamo in modo sempre più stretto, due aree che si intrecciano e vanno a comporre il tessuto della nostra vita quotidiana. Noi conosciamo il mondo attraverso i sensi, e allo stesso tempo ricerchiamo la tecnologia. E mentre questa si fa sempre più sottile, virtuale ed eterea, il nostro bisogno di relazionarci con il mondo fisico rimane immutato. Quel che sta accadendo è la progressiva mimetizzazione della tecnologia negli oggetti: sempre più spesso le due cose sono integrate e per questo sempre più le nostre abitudini si modificano. Ma fino a che punto? Mangeremo davvero cibo stampato 3D? Vestiremo abiti di tessuti intelligenti? Impareremo con lezioni interattive e superfici touch? Abbiamo voluto riflettere su questi temi proponendovi progetti d’arte e design, esplorando un senso alla volta: tatto, gusto, olfatto, vista e udito. Accanto a questi abbiamo inserito una sezione dedicata alla multisensorialità, in cui la contaminazione tra i sensi ci ha dato modo di sviluppare una riflessione sulla direzione che sta prendendo il design, da sempre legato al mondo degli oggetti. Tutto questo lasciando largo spazio al linguaggio fotografico, perché il lettore possa immergersi nel racconto, toccarlo, gustarlo, sentirne il profumo e udire il suono tintinnante dei tempi che cambiano.
OLOGY Tecnologie del cambiamento
SOMMARIO 01
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EDITORIALE
NEWS
Sensorialità numero zero
TATTO 06
DELIRIOUS HOME
Un’interpretazione ludica del concetto di “casa intelligente”
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E-MUSEUM
Sensorialità in pillole
GUSTO 17
FOOD AND THE FUTURE OF IT Cosa mangeremo nel 2040 – interview –
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FOOD PORN INDEX
Vietato non toccare
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NUTS CAVIAR
OLFATTO 33
ARCHITETTURA INVISIBILE The art of scent 36
D.S.O. PER ETNIA
Acquistare esperienze 38
DOWNWIND
La genetica degli odori
E altre prelibatezze di Ferran Adrià 29
SENSORIAL STIMULI Sinestesie per il palato
Dall’articolo Downwind pg. 38 Dall’articolo E-learning pg. 10 Dall’articolo Nuts Caviar pg. 37
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Tecnologia e sensorialità
Sommario
SOMMARIO
VISTA 40
GOOGLE GLASS
Pro e contro della realtà aumentata
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SMART TEXTILE
Contaminazioni tra tessuti e nuove tecnologie ² SRUWIROLR IRWRJUDÀFR ² 52
SCULTURE LUMINOSE
UDITO 61
EIDOS
Aumentare i sensi
MULTI-
SENSORIALITÀ 68
64
PATATAP
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8BIT NOSTALGIA
Musica da un game boy
SONIA CILLARI Il corpo come interfaccia – intervista – 74 CONTACT
La nuova frontiera della musica
I lavori di Janet Heicherman
77 INTERACTION DESIGN LAB
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CARLOTTA BERTELLI “Io dipingo con la luce” – intervista –
Verso la smaterializzazione
Dall’articolo 8Bit Nostalgia pg. 74
Dall’articolo Sonia Cillari pg. 74
Dall’articolo Smart Textile pg. 45
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S E N S O R I A L I T À I N P I L L O L E
BRAIN:
IL CERVELLO ISTRUZIONI PER L’USO dal 18 ottobre 2013 al 13 aprile 2014 Museo di Storia Naturale di Milano
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Una scatola delle meraviglie a portata di mano ventiquattro ore su ventiquattro. Anche se non ci pensiamo e lo conosciamo ancora troppo poco, il nostro cervello è un organo strepitoso a cui è dedicata la mostra Brain, ospitata fino al 13 aprile prossimo nelle sale del Museo di storia Naturale di Milano. Attraverso un lungo caleidoscopio fatto di led multicolori ci addentriamo fin dall’ingresso in un viaggio fantastico, e segnatamente scientifico, nell’intricato continente che regola le nostre percezioni, movimenti, emozioni, idee azioni e sentimenti. Il tutto grazie a una visione interattiva che sfruttando al meglio installazioni e ricostruzioni altamente tecnologiche, strumenti didattici e giochi intelligenti, permette ad un pubblico di visitatori di tutte le età e anche ai non addetti, di addentrarsi nell’organo più stupefacente e complesso in natura.
GOLA
ARTE E SCIENZA DEL GUSTO dal 31 gennaio al 12 marzo 2014 Triennale di Milano Un percorso dedicato al cibo e ai suoi molteplici significati, che ci spinge ad una riflessione sul rapporto tra piacere e nutrizione, per portarci a scoprire perché il gusto sia un ingrediente chiave della nostra vita. Il suo percorso si articola in cinque ambienti espositivi, dedicati ad altrettanti temi, in cui le intuizioni di alcuni grandi artisti contemporanei sono affiancate da exhibit scientifici che esplorano i meccanismi, sia istintivi sia legati all’apprendimento, attraverso i quali l’evoluzione ha nascosto dietro al piacere di un attimo una complessa valutazione delle proprietà nutrizionali del cibo che stiamo mangiando, alternando un approccio episodico e curioso a uno più sistematico e interpretativo.
Tecnologia e sensorialità
News
S E N S O R I A L I T À I N P I L L O L E
SMELL FESTIVAL IL PROFUMO DIVENTA ARTE dal 21 al 25 maggio 2014 Sedi varie | Bologna
Con un’edizione dedicata ai sogni, Smell Festival racconta e fa riflettere sulla nostra capacità di sognare gli odori, nonché di evocare mentalmente profumi irreali e immaginari, e si sviluppa in tre prestigiose location come il Museo della Musica, il MAMbo e il Grand Hotel Majestic.
EMOZIONARTI Pinacoteca Multisensoriale 9-10 giugno 2014 Museo Archeologico | Reggio Calabria
Prima edizione della mostra EmozionArti - Pinacoteca Multisensoriale, un percorso dedicato a persone non vedenti, ipovedenti e vedenti che trasforma il Museo in un luogo ideale per ritrovare nuova cultura e nuova conoscenza, grazie ad atmosfere magiche che avvolgono il visitatore.
CILDO MEIRELES
INSTALLATIONS
A cura di Vicente Todolí dal 27 marzo al 20 luglio 2014 Hangar Bicocca | Milano La personale, a cura di Vicente Todolí, comprende 12 importanti installazioni realizzate dall’artista tra il 1970 e oggi. La mostra si snoda attraverso un percorso spiazzante, caratterizzato da opere monumentali e piccolissime che catturano lo spettatore anche attraverso l’uso indistinto dei materiali operato dall’autore. 5
TATTO
delirious home UN’INTERPRETAZIONE LUDICA DEL CONCETTO DI «CASA INTELLIGENTE» TESTI: GIULIA BOSCHI FOTO COPYRIGHT: ECAL
Al Fuorisalone l’ECAL di Losanna propone un’interpretazione ludica del concetto di “casa intelligente” attraverso i progetti degli studenti di Design Industriale e Media & Interaction Design.
Ostinati, un progetto di Iris Andreadis, Nicolas Nahornyj, Jérôme Rütsche. Contenitori che sfidano la gravità: guardandoli si ha la sensazione che stiano cadendo.
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Come sarà la casa del futuro? Interattiva, ma anche divertente secondo gli studenti del Bachelor in Design Industriale e in Media & Interaction Design dell’ECAL, che coordinati dai docenti Alain Bellet e Chris Kabel, hanno rivisitato, con ironia e sagacia, il concetto di “smart home”. Una riflessione sul ruolo che la tecnologia ha e avrà nelle nostre case e su come influenzerà la nostra vita quotidiana, un progetto che aggiunge poesia alla tecnica, aspetti concettuali all’impatto visivo di ogni singola opera. Nonostante infatti siamo circondati da oggetti di uso comune sempre
Sensorialità
Tatto
CHIAROSCURO
di Léa Pereyre, Claire Pondard, Tom Zambaz
Chiaroscuro è una lampada che si accende e spegne toccando la sua ombra, il più sottile interruttore al mondo.
MR TIME
di Léa Pereyre, Claire Pondard, Tom Zambaz
Mr Time è un orologio che pensa di essere te ed imita i tuoi movimenti. Un invito a giocare con il tempo: basta porsi di fronte ad esso e regolare le lancette attraverso il movimento delle braccia.
BONNIE & CLYDE
di Romain Cazier, Anna Heck, Leon Laskowski
Bonnie & Clyde è la storia d’amore tra un cucchiaino e una tazzina da caffè. Collegato alla tazza infatti, il cucchiaio la segue ovunque venga posizionata sul tavolo, non curandosi degli ostacoli sul suo percorso. 7
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CACTUNES
di Pierre Charreau, Martin Hertig, Pauline Lemberger
Il progetto Cactunes sfida lo spettatore, invitandolo a toccare i cactus. La reazione delle piante è spiazzante, inaspettata, e suscita grande ilarità.
VOODOO
di Megan Elisabeth Dinius, Timothée Fuchs, Antoine furstein, Bastien Girschig
Voodoo è una coppia di poltrone, che invita ad un dinamico “têteà-tête”. Come una bambola voodoo, gli impulsi provenienti da una poltrona si riflettono sull’altra: muovendosi sulla sedia viene trasmesso al partner un vero e proprio discorso tattile.
IL PORTINAIO
di Anne-Sophie Bazard, Tristan Caré, Léonard Golay
Il Portinaio è una comoda tenda automatizzata, che accoglie l’ospite all’interno di uno spazio. Ponendosi davanti al sensore, la mano, che simboleggia il portinaio, si muove sopra la persona, spostando la tenda come se volesse invitarla a entrare e farla sentire a proprio agio.
Foto degli studenti del corso in Design Industriale e in Media & Interaction Design dell’ECAL
più elettronici, non sempre risulta semplice dialogare con essi: Delirious Home ci fa capire come al contrario tali oggetti possano percepire la nostra presenza, automatizzando i nostri movimenti e facendoci dimenticare della loro materialità. Purtroppo la tecnologia – almeno finora – non sempre è davvero nostra amica: è intelligente, ma senza senso dell’umorismo e ci lascia in balìa di
strani e inaspettati comportamenti. Una vera e propria mancanza di umanità che, in questo caso, diventa il punto di partenza attraverso il quale immaginare una casa dove la realtà prende una piega diversa, dove gli oggetti si comportano in maniera bizzarra. Dopotutto essere intelligenti non vuol dire essere prevedibili! E questi oggetti sono stati progettati proprio
per cambiare ed investigare la nostra relazione con loro. Grazie allo sviluppo di sensori facilmente programmabili, computer incorporati e componenti meccaniche, i designer hanno raggiunto l’obiettivo, muovendosi con grande consapevolezza tra elettronica, meccanica e interazione, sviluppando un nuovo tipo di estetica che va oltre al semplice approccio formale. 9
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E-MUSEUM
VIETATO NON TOCCARE TESTI: AGNESE CUNSOLO FOTO: ALFREDO CAMPISI
Nessuna organizzazione può sottrarsi al cambiamento indotto dalla tecnologia. I musei non possono farne a meno, possono solo lasciarsi plasmare dalla corrente di questo mutamento, inseguendo quello che oggi è il nuovo metodo d’apprendimento: l’e-learning. 10
Sensorialità
Tatto
Nella foto in alto, gli utenti interagiscono con una delle installazioni del Plart di Napoli, uno dei primi musei in Italia ad aver creato una mostra interattiva.
L’istituzione museale negli ultimi anni ha subito evidenti e complesse trasformazioni, dovute al contesto sociologico, culturale ed economico in cui vive. Una di queste è l’introduzione della tecnologia. Questa gioca un ruolo centrale e di supporto all’interno degli
spazi museali che vengono perciò definiti interattivi. Nei musei interattivi il mezzo tecnologico e l’azione del visitatore sono indispensabili per realizzare forme d’arte ogni volta diverse: il visitatore diventa co-autore. L’opera, a sua volta, contiene in sé dei
contenuti virtuali che vengono fruiti attraverso l’interazione con le persone; sono ormai molti gli artisti che utilizzano queste forme di tecnologia interattiva per dar vita ai loro lavori. In questa società i media diventano sempre più pervasivi e assumono il 11
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ruolo principale nella produzione e gestione della conoscenza, obbligando le istituzioni e le agenzie sociali e culturali a confrontarsi con la loro presenza e i loro linguaggi; l’e-learning (uso delle tecnologie multimediali e di Internet per migliorare la qualità dell’apprendimento) diventa quasi un imperativo per la sopravvivenza. Ci si muove, pertanto, verso una fruizione diversa dell’ arte: dal principio “vietato toccare” tipico dei musei tradizionali, si giunge nei moderni musei interattivi al divieto “vietato non toccare”. La maggior parte delle realtà all’avanguardia usa dispositivi touch per comunicare e diffondere cultura, innescando dei meccanismi ai quali i nativi digitali sono ormai assuefatti, riconoscendo come propria questa tipologia di comunicazione e apprendimento. Gli oggetti sono esposti per essere analizzati e interpretati attraverso una manipolazione diretta, per essere toccati e non solo contemplati. L’esposizione è articolata in maniera tale da suscitare sensazioni e avvicinare l’utente alla cultura attraverso l’aspetto ludico; grazie a questo tali forme interattive e tecnologiche risultano così essere un efficace strumento di apprendimento, capace di catturare
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l’attenzione di un pubblico sempre meno presente, come i giovani. Questa categoria di visitatori sembra percepire gli spazi museali tradizionali come ambienti privi di attrattività; questi utenti preferiscono delle esperienze culturali che riescano a produrre piacere attraverso dei momenti maggiormente relazionali. Nei musei interattivi il percorso è un vero e proprio viaggio fisico e concettuale: percezione sensoriale, interazione e piacere ludico sono gli elementi principali. L’ambiente del museo diventa così un luogo sociale, in cui i visitatori percepiscono e confrontano direttamente le loro esperienze. L’apprendimento avviene in maniera sottile, senza sforzo, attraverso l’interazione: anche senza prestare particolare attenzione alle
«L’opera vive all’unisono con il tempo di chi ne fa esperienza al suo interno» opere, il visitatore non può fare a meno di accogliere ogni messaggio. Maurizio Mausini, responsabile della rivista “Formare Network”, afferma a questo proposito che “l’opera vive all’unisono con il tempo di chi ne fa esperienza al suo interno”. A seguito di queste considerazioni, è stato coniato
Le foto presenti in pagina sono state realizzate da Alfredo Campisi e mostrano la sezione multimediale ed interattiva interna al Plart .
Sensorialità
Tatto
il termine “E-museum” per esprimere il concetto di e-learning applicato alla realtà museale. Uno dei primi musei in Italia ad aver accolto questa idea come opportunità è il Plart, il museo delle plastiche di Napoli, che ha dedicato un’intera sezione a installazioni interattive che intrattengono i visitatori in modo costruttivo ed attivo, un modo originale di diffondere cultura.
IL PLART Il Plart è uno spazio polifunzionale dedicato alla ricerca scientifica e all’innovazione tecnologica per il recupero, restauro e la conservazione delle opere d’arte e di design in materiale plastico. Il museo ospita al suo interno un centro di ricerca, un’area eventi, uno spazio per la formazione e l’esposizione permanente di oggetti di una delle collezioni di plastiche storiche più conosciute. Dal 2011 è stata introdotta la sezione “Da un mare di petrolio a un campo di girasoli”, costituita interamente da installazioni interattive e multimediali Gli scatti sono la testimonianza dalla presenza di schermi touch all’interno del Plart. Ogni schermo istruisce in modo diverso il visitatore, spronandolo ad interagire nel processo di costuituzione di un polimero fino alla fase di sviluppo finale.
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che permettono ai visitatori di avvicinarsi alle trasformazioni contemporanee dei materiali plastici in maniera divertente e coinvolgente, dalle plastiche derivate dal petrolio a quelle ecosostenibili prodotte con materiali vegetali. Si tratta di un tema di attenzione ambientale, di particolare importanza in un territorio flagellato dall’emergenza rifiuti, che dà vita a una nuova narrazione museale. Da tale premessa si sviluppa il percorso, composto da installazioni interattive, snodi informativi e ambientazioni tematiche: un viaggio emozionale
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che con proiezioni e sistemi touch guida il visitatore alla scoperta della multiforme e variegata famiglia delle plastiche. Un nuovo tassello che, insieme al laboratorio di ricerca sul restauro dei polimeri, mostra, indaga e comunica “l’universo plastico”, a cavallo tra arte e design, tra la recente ma densa storia di questi materiali e il loro poliedrico futuro. Maria Pia Incutti, La presidentessa del Plart, afferma che si sta guardando al presente offrendo sistemi touch interattivi, ma vuole fare un passo avanti cercando di coinvolgere
Sensorialità
Tatto
Un altro scatto di Alfredo Campisi all’interno della sezione multimediale del Plart: “Da un mare di petrolio a un campo di girasoli”.
tutti i sensi in modo da offrire un’esperienza a tutto tondo. Incuitti afferma: “Oggi viviamo nella società del tatto. Il tatto è diventato come una preda da inseguire per cercare di essere accattivanti, per cercare di seguire lo sviluppo tecnologico che a sua volta determina uno sviluppo comportamentale, sopratutto tra i più giovani”. Chiedendole di spiegarci il funzionamento delle installazioni ed il loro significato, la presidentessa sembra rispondere raccontando una favola: “Ci sono ben sette installazioni. Il racconto
nasce con la rivelazione dei polimeri sintetici, si snoda con la conoscenza dei principali protagonisti del mondo della ricerca scientifica, dell’arte, del cinema e del design, e accompagna il visitatore alla scoperta di un cielo fatto di costellazioni molecolari. Continua poi con una pioggia di petrolio, dove il fruitore compone una musica con note derivate da suoni di oggetti quotidiani e diventa poeta con le parole chiave sul mondo dei polimeri, approfondisce le caratteristiche chimico-fisiche delle principali plastiche, fino ad arrivare
ai nuovi materiali biodegradabili come il mater-bi. Il racconto alchemico si conclude avvolgendo il visitatore in un campo di girasoli che invitano al rispetto della natura e salutano con un gesto creativo e colorato l’avvento di una nuova famiglia di plastiche futuribili. Insomma, una visita al Plart è sicuramente molto di più di una passeggiata tra i corridoi di un museo tradizionale: è un’esperienza indimenticabile tra gli schermi touch e le tecnologie di un e-museum interattivo.
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LA MOSTRA “BRAIN” Il Museo di Storia Naturale di Milano ha presentato lo scorso mese la mostra “Brain”, un’occasione unica per comprendere da vicino i sorprendenti meccanismi del cervello umano. L’esposizione, indiscutibilmente affascinante e curiosa, presenta al visitatore diverse sezioni che spiegano il funzionamento e le abilità del cervello umano. La visita guidata conduce alla scoperta della biologia e della chimica del cervello,
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mostra come esperienze e traumi ne condizionino lo sviluppo e tratta del ruolo che la memoria ha nella formazione di un individuo. Sono indagati anche i temi del sentimento, dell’emozione e dei meccanismi del ragionamento che influenzano i processi decisionali nel nostro vivere quotidiano. Un’intera sezione è dedicata al tema della sensorialità, e illustra quali aree del cervello vengono coinvolte nei processi sensoriali .
Nell’allestimento, dispositivi e superfici touch invitano continuamente il visitatore al contatto. Seguendo le orme del Plart, Brain è un altro dei tanti casi in cui l’e-learning è l’imperativo vincente.
Le foto di Anna Gialluca illustrano i vari dispositivi interattivi della mostra Brain. Educazione ed interazione diventano gli imperativi per questo tipo di esibizione.
GUSTO
FOOD AND THE FUTURE OF IT COSA MANGEREMO NEL 2040? TESTI E INTERVISTA: ANNA GIALLUCA FOTO: MATT BROWN
“Food and the future of it” è un progetto visionario, tuttavia non così lontano da quella che potrà essere la realtà. Matt Brown ha sviluppato una riflessione su cosa e come mangeremo in un futuro non troppo lontano. Lo abbiamo intervistato, e gli abbiamo chiesto di dirci di più sul suo progetto.
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Egg maker, uno strumento che permette di “coltivare” uova artificialmente, facendo crescere il tuorlo secondo una geometria definita. Matt immagina infatti che nel 2040 il cibo sarà geneticamente avanzato al punto di poter personalizzare alcune caratteristiche, coltivandolo direttamente a casa nostra. Nella pagina precedente potete osservare i tuorli modificati.
Parlaci del tuo progetto “Food and The Future of it”. Di cosa tratta? Il progetto tratta degli strumenti e le stranezze che saranno possibili in un mondo in cui il cibo è geneticamente modificato e stampato 3D. “Food and the future of it” è stata la mia tesi di laurea quando studiavo Interaction Design alla Umeå Design Hogskolan in Svezia. Volevo che questo progetto fosse una grande provocazione, così che nessuno lo potesse leggere come un categorico “questo è il futuro del cibo”, volevo che la gente capisse che non mi stavo prendendo troppo sul serio, così che fosse più facile discutere sul tema del cibo. In realtà iniziavo a interessarmi di food design e volevo in qualche modo parlarne -del food design di qualità, che colpisce le persone, che le diverte- e questo progetto è stato un buon modo di discuterne con la gente. Come pensi che le tue invenzioni saranno parte della vita quotidiana? Come immagini la tipica colazione del 2040? Beh, un giorno non molto lontano stampare cibo 3D sarà parte della vita di ogni giorno. Non sono sicuro di come 18
avverrà questo processo, ma sono sicuro che avrà luogo in qualche modo. Probabilmente all’inizio interesserà i fast food ; loro hanno i mezzi per sviluppare nuovi processi e nuove tipologie di cibo stampato 3D. Ci sarà qualcosa chiamato “stampa-flash”. Non so ancora cosa sia, ma un domani il flash printing e il cibo saranno un tutt’uno. Quanto alla tipica colazione del 2040, probabilmente sarà uguale a quella attuale, ma chiudere qui il discorso non è divertente quindi facciamo così. Colazione 2040: mangeremo intricati waffles stampati flash che contengono lo sciroppo d’acero, e reagiscono con esso cristallizzandolo nei punti giusti. Berremo caffè da tazze speciali che rilasciano degli enzimi che ne modificano il sapore secondo il proprio gusto. E poi ci saranno grandi sfere di cereali stampati 3D con una struttura interna a labirinto: versando il latte in una cavità, questo lentamente si distribuisce in tutta la sfera. Ci saranno arance tagliate a metà dalle quali cresce un fungo dal gusto semplicemente favoloso. Creeremo un bacon che ha il grasso distribuito a formare un pattern. Probabilmente tutto questo non avverrà, ma è divertente fantasticare su queste cose.
Sensorialità
Gusto
Ape food. “Quando le scimmie hanno una buona idea, dovremmo sfruttarla. Sono una vera risorsa, direi. Questo dispositivo è un creatore di snack: come le scimmie infilano i fili d’erba nei formicai per uno spuntino veloce, gli esseri umani possono ora inserire stecchini in questo dispositivo. Carne e altri tipi di cibo vengono coltivati sullo stecchino, e più a lungo questo viene lasciato nel dispositivo, più cibo vi crescerà sopra.” (da www.skrow.com)
«Un giorno non molto lontano stampare cibo 3D sarà parte della vita di ogni giorno» Come ha reagito la gente alle tue previsioni? Se presentassi il mio lavoro di persona, penso che la gente ne coglierebbe lo spirito. Non vuole essere così definitivo; a me piace mostrare il lato divertente delle cose, quando mi è possibile. Penso che tutti siano stati incuriositi dall’idea del cibo stampato 3D (oggigiorno le stampanti di cibo sono quotidianamente nelle notizie), ma allo stesso tempo sono stati disgustati da Ape Food, la mia macchina per “coltivare” snack. Come se non bastasse, le foto di corredo al progetto mi ritraggono mentre mangio la carne dallo stecchino metallico. Il lavoro è stato pubblicato in un paio di libri, e uno dei due editori mi ha detto “Ci piace il tuo progetto, potresti però chiamare un nuovo modello per le foto? È un po’ rozzo”. “Quello sono io!”, ho risposto, e mi sono sentito
orribile. Al di là di questo, ho avuto modo di intrattenere un sacco di discussioni interessanti sul progetto, e se sono riuscito a suscitare una qualche emozione, allora lo considero un successo. Questo non è il tuo solo progetto sul cibo. Perché questo tema è così importante per te, e quali sono le tue influenze? Una breve risposta è che mi diverte lavorarci su. Se mi sento stressato per la giornata o sul lavoro e prendo in mano il mio sketchbook, le prime idee sono sempre legate al cibo. Probabilmente, sai, è perché abbiamo a che fare con il cibo ogni giorno, e c’è una vasta gamma di cibi elaborati dagli uomini e dalla natura su cui lavorare. Un sacco di materiali diversi, ad esempio. Non sono esattamente quel che si definisce un buon cuoco, ma mi piace lavorare con il cibo considerandolo come un materiale. Le mie ispirazioni sono la mia infanzia, le suggestioni notturne (ho un diario dei sogni), e tutti i designer talentuosi con cui ho a che fare ogni giorno. E poi amo quei film fantascientifici degli anni ‘70 e ‘80. Guardare 19
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Sopra, il lavoro di Matt esposto alla Degree Exhibition del 2009, presso l’università Umeå Design Hogskolan. È possibile osservare i prototipi di “Food and the Future of It” nella loro dimensione reale.
Pasta printer. Così come le stampanti 3D odierne permettono di realizzare prototipi in polvere metallica, plastica o sabbia, Matt immagina che ben presto inizieremo a stampare il cibo, acquistando delle vere e proprie cartucce caricate con la polvere degli ingredienti necessari. Con Pasta Printer stamperemo pasta disegnata da noi stessi.
un film di fantascienza della metà degli anni ‘80, con una ciotola piena di frutta esotica e uno sketchbook di fronte è semplicemente il meglio che ci possa essere. Per quanto riguarda il food design sono ovviamente influenzato dal lavoro di Marti Guixe! Dicci di più di come funziona la tua stampante di pasta. Pensi che in futuro stamperemo i nostri spaghetti? La gente sta già stampando pasta! È interessante quanto tutto ciò stia avvenendo rapidamente. Pensare alla pasta 3D come mezzo di comunicazione è stimolante, perché bisogna considerarne sia la forma definitiva che il movimento durante il processo di cottura e poi la forma finale, una volta cotta. Ho provato a riflettere su questo con il mio concept di pasta “Due Fiori”, in cui la forma è pensata per “sbocciare” in due fiori una volta cotta. La pasta stampata 3D ha un sacco di possibilità e sta solo aspettando che qualcuno spenda del tempo a creare delle nuove forme interessanti. Sono sempre geloso quando vedo una nuova forma che qualcuno ha disegnato. 20
A cosa stai lavorando attualmente? Negli ultimi quattro anni ho lavorato per IDEO. Ho appena terminato un progetto interno, con un gran team, che è stato molto divertente e si chiama “Made in the Future”. Se guardi i video per il progetto, vedrai una versione zuppa del mio strumento Ape Food che era parte della tesi di laurea. C’è anche un concept sul gelato, e su un hamburger stampato 3D a forma di ciambella. Sto anche lavorando ad un nuovo sito web, e ho in cantiere una serie di lavori personali che mi entusiasmano. Alcuni hanno a che fare con il cibo, altri con immaginifiche campagne di marketing, altri ancora con nuovi strumenti per “l’estraniazione”.
SCOPRI GLI ALTRI LAVORI DI MATT www.skrov.com www.realtomato.blogspot.it
WHAT THE FOOD
Perché il cibo-spazzatura dovrebbe avere tutta la notorietà? Noi crediamo che anche frutta e verdura meritino il loro giorno di gloria. Così abbiamo creato Food Porn Index per raccogliere gli hashtag relativi al food porn e tracciare così quali tipi di cibo condividiamo. Crediamo infatti che se riusciremo a cambiare il modo in cui la gente pensa (e posta) frutta e verdura, allora il mondo sarà un posto più salutare. Inizia a postare più frutta e verdura, aggiungi ogni volta #FoodPorn - insieme possiamo riportarli alla ribalta. Tratto dalla sezione “About” di Food Porn Index.
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NUTS CAVIAR E ALTRE PRELIBATEZZE DI FERRAN ADRIà
TESTI: ANNA GIALLUCA FOTO: FRANCESC GUILLAMET
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Sensorialità
Gusto
Dopo gli studi in economia viene assegnato alle cucine della Marina Spagnola, dove scopre la cucina. Presto diventa chef presso elBulli, il ristorante di Cala Montjoi che dagli anni ‘90 diventa suo laboratorio di sperimentazione. Qui Adrià inizia ad esplorare il mondo della gastronomia, dando il via a quella che verrà chiamata “cucina molecolare”. Oggi è considerato uno dei più influenti chef a livello mondiale, e i suoi piatti hanno fatto storia.
Lo staff di elBulli è al lavoro nelle cucine del ristorante. A sinistra, Adrià supervisiona la loro attività per accertarsi dei risultati. Photo © The Drawing Center, New York.
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Un esempio di piatto decostruito: caviale con crema di nocciole a sinistra, e caviale di nocciole con crema di caviale a destra.
La cucina molecolare, o gastronomia molecolare, si interessa delle trasformazioni chimiche e fisiche che hanno luogo tra gli ingredienti durante il processo di cottura. Questo approccio scientifico-sperimentale ha fatto sì che fossero introdotte molte innovazioni nel tradizionale ambiente della cucina, e Adrià ha contribuito enormemente allo sviluppo di questo particolare modo di pensare il cibo. Il giovane chef trasforma infatti la cucina di elBulli in un laboratorio: accanto a mestoli e frustini diventano consuete siringhe e provette, cannule e azoto liquido; l’imperativo 24
diventa acquisire nuovi strumenti per intervenire in nuovi modi sulle pietanze, arricchendo lo spettro delle consistenze e, naturalmente, dei sapori. Adrià si riferisce alla sua cucina parlando di “decostruttivismo”. Lo chef spiega che il suo approccio consiste nel “prendere un piatto arcinoto e trasformarne tutti gli ingredienti; modificarne la consistenza, l’aspetto e la temperatura. Un piatto decostruito mantiene la sua essenza, ma il suo aspetto è radicalmente diverso dall’originale”. È così che nascono piatti inediti, ed è così che dall’innovazione strumentale nasce una nuova cultura
“Un piatto decostruito mantiene la sua essenza, ma il suo aspetto è radicalmente diverso dall’originale” gastronomica. Grazie alla tecnica della sferificazione, per citarne una, polveri di diversi ingredienti vengono aggregate quasi per magia in globuli pieni di sapore; ne sono esempio il Caviale al melone o le Perle di olio d’oliva, che stupiscono il cliente sin
Sensorialità
Gusto
L’azoto liquido viene versato in una caraffa prima di entrare nella cucina di elBulli.
dalla lettura del menù. L’effetto che Adrià vuole ottenere è infatti quello di “proporre un inaspettato contrasto di sapori, temperature e consistenze”, per “provocare, sorprendere e soddisfare il cliente”, in quanto “il cliente non viene a elBulli solamente per mangiare, ma per vivere un’esperienza” (Ferran Adrià – Bio of the World’s Greatest Chef – elBulli Restaurant Barcelona Spain). Per questo motivo, nulla può essere lasciato al caso. Ogni piatto del ristorante di elBulli è studiato nei particolari prima di essere servito: Adrià non improvvisa, progetta. Sono famosi i suoi block notes, dove hanno
preso forma le sue creazioni, spiegate nei dettagli della preparazione e della presentazione. Come una sorta di Galileo gastronomico, Adrià ha elaborato il suo metodo scientifico di cucina. Tra i suoi schizzi si trovano infatti schemi articolati che spiegano come si progetta un piatto, dall’idea iniziale sino alle scelte di composizione. Disegnati per stupire, non sempre i piatti di elBulli risultano appetitosi allo sguardo. Pur di incuriosire Adrià azzarda, servendo sul piatto talora asettiche boccette, talora aliene gelatine di pesce. Certo portare
una tale mole d’innovazione nel tradizionale ambiente della cucina ha suscitato perplessità, quando non addirittura critiche. È questo il caso di Santi Santamaria, anch’egli chef catalano di rilievo, che ha definito il suo approccio “pretenzioso” e dannoso per la salute. E non solo: “I piatti di Adrià sono pensati per impressionare piuttosto che per deliziare il palato, e gli agenti chimici usati in realtà mettono a rischio la salute del cliente”. Ci hanno pensato molti chef spagnoli a chiudere il becco a Santamaria, accusandolo di essere invidioso e di mettere a rischio la credibilità della 25
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Immagini tratte dal video di Bullipedia, un’app-enciclopedia sulla cultura del cibo, che potrà essere usata tanto nella propria cucina come ricettario, quanto nell’ambito della formazione dei professionisti del settore.
cucina spagnola. Tuttavia la querelle ha diviso dell’opinione degli esperti del settore, tra chi si dichiarava “pro” e chi “anti-Adrià”, e la questione è ancora aperta. “Provare per credere”, verrebbe da dire, ma se non siete mai stati da elBulli a gustare caviale al melone o provette saporite, sappiate che il noto ristorante di Cala Montjoi ha chiuso i battenti nel 2011, dopo ben vent’anni di attività. Lo chef molecolare si è lamentato del troppo lavoro -15 ore al giorno- che non gli consentiva di lavorare a nuove creazioni, ma sottolinea Adrià, “ElBulli non ha mai chiuso, abbiamo solo smesso di 26
servire piatti”, e lascia intendere che nelle cucine del noto ristorante si stia ancora sperimentando: rumors dicono che elBulli riaprirà nel 2015 con un menù completamente rinnovato. Al momento sappiamo che Adrià sta lavorando al progetto Bullipedia, un’applicazione per smartphone e tablet che si propone il “modesto” obiettivo di diventare un’enciclopedia organizzata di tutta la cultura relativa al cibo. Una sorta di wikipedia gastronomica, con la differenza fondamentale - che i contenuti non potranno essere generati da chiunque, bensì da un selezionato gruppo di
esperti che include chef e università. Sarà davvero possibile tutto questo? Difficile rispondere a questa domanda, ma d’altra parte Adrià è già stato preso per pazzo in passato. Nel frattempo è possibile farsi un’idea guardando il video che Adrià e i suoi collaboratori hanno realizzato per comunicare le intenzioni che animano il progetto di Bullipedia. Nel frattempo potete gustarlo sul sito web: www.bullipedia.com
PER APPROFONDIRE www.elbulli.com
Sensorialità
Gusto
FOCUS ON
I piatti più belli di elBulli FLOWERS PAPER zucchero filato, fiori
Un foglio pressato di zucchero filato, guarnito con fiori colorati e servito in una cartellina di carta giapponese. Alcuni fiori vengono conservati in salamoia, altri invece sono freschi. Si tratta di un’interpretazione ironica della carta da parati.
PARMISAN FROZEN AIR gelato al parmigiano, frutta candita
HIBISCUS PAPER ibisco, eucalipto, ribes nero
Con questo piatto Adrià ripropone il concetto di carta edibile, avvolgendo delle bacche di ribes con un velo di ibisco liofilizzato.
Un gelato leggero come l’aria, che trasmette fedelmente il gusto del parmigiano, ricco di frutta candita. Servito in una terrina industriale, quasi provocatoria. Il siero viene emulsionato sino a divenire una spuma dalla quale si ottiene un gelato leggerissimo. 27
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MANGO DISCS
Mango, olio di olive nere
Sfruttando la tecnica del “croquanter”, Adrià propone dei dischi croccanti di mango. Si ottengono disidratando purea di mango e zucchero. Le fettine di mango sono usate per formare un “sandwich”, ripieno di una morbida e intensa emulsione di acqua e olio di olive nere.
SPHERICAL GREEN OLIVE olio d’oliva Verdial
Questo è uno dei primi esempi di sferificazione inversa, introdotto da elBulli nel 2005. La ricetta è bastata sull’olio d’oliva. La chiave di questa ricetta sta nel trovare le olive che abbiano il succo con il gusto migliore, che non sempre coincidono con le olive migliori da mangiare. elBulli raccomanda di usare le olive Verdial, di dimensione medio-grande, coltivate per la produzione di olio.
MELON CAVIAR Succo di melone
Questo famoso piatto è stato introdotto per la prima volta a elBulli nel 2003. Servito con il prosciutto crudo, è una rivisitazione innovativa del classico piatto estivo. Viene realizzato con la tecnica base della sferificazione, ma può rivelarsi difficile realizzarne in grandi quantità. Con l’utensile Caviar Maker è possibile realizzare caviale in pochi attimi. 28
Sensorialità
Gusto
SENSORIAL STIMULI SINESTESIE PER IL PALATO TESTI: AGNESE CUNSOLO FOTO: JINHYUN JEON
Può la forma, la consistenza e il colore delle posate cambiare il gusto del cibo? Jinhyun Jeon conferma questa ipotesi con il progetto ”Sensorial Stimuli”, un set di posate ideate per eccitare i sensi.
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cambiamento GUSTO OLOGY Tecnologie Tecnologiadel e sensorialità
Sopra, la serie delle posate in ceramica di Sesorial Stimuli. Il colore, associato alla forma, suscita delle sinestesie che arricchiscono l’esperienza gustativa. Sotto, Jinhyun Jeon, designer del progetto.
Pensate alla consistenza tipicamente farinosa di una pera matura o al velluto lasciato sulla lingua da una pralina di cioccolato finissimo. Sebbene la materialità dei cibi sia parte fondamentale del piacere legato al cibo, non si può dire che vi sia ancora stata una vera e propria sperimentazione volta ad approfondire la relazione tra il gusto e gli altri sensi. Fa eccezione Jinhyun Jeon, designer di un set di posate ideate per permettere a chi mangia di assaporare in modo ancora più pieno i cibi: “Tablewave as sensorial stimuli”. Sensorial Stimuli è una serie composta di forchette e cucchiai le cui forme curiose sono 30
state ispirate dal fenomeno sensoriale/ percettivo della sinestesia, che ci permette, ad esempio, di sentire il profumo di un frutto visto su una foto o di attribuire un colore a una nota musicale. Secondo Jinhyun, infatti “Le posate che usiamo a tavola non dovrebbero essere solo degli strumenti per portare il cibo alla bocca, ma un’estensione del nostro corpo, che stimoli i sensi ancor prima che il cibo venga consumato”. Ogni posata è un concentrato di sollecitazioni tattili legate a temperatura, colore, consistenza, volume, peso e forma, elementi che possono ad esempio modificare in modo particolare il
Linda Bartoshuk Yale University School of Medicine TEMPERATURA
Accanto, gli schizzi di Jinhyun illustrano diversi modi di visualizzare il gusto amaro (in alto) e salato (in basso).
Differenti temperature apportano modifiche al gusto. Lo zucchero inizia ad essere dolce a temperatura corporea. I gusti salati diventano più forti quando la temperatura scende. Un sapore aspro risulterà amaro quando la temperatura sale o scende. Infatti l’amarezza diminuisce quando la temperatura supera la temperatura corporea.
COLORI I colori caldi come il rosso, l’arancio e il giallo solleticano l’appetito. L’arancione stimola l’appetito aumentando l’apporto di ossigeno al cervello. Il giallo incrementa il ritmo del metabolismo. Tuttavia, se la tavola è decorata con colori caldi, si potrebbe riscontrare l’effetto contrario. I colori caldi sono più efficaci se utilizzati in piccole quantità.
VOLUME E PESO Un cucchiaio di 40 grammi di peso può dare il senso di stabilità. Se si diminuisce il peso di 10 grammi, siamo in grado di distinguere il peso reale della porzione di cibo, divenendo più consapevoli delle quantità che stiamo mangiando.
TATTILITÀ
«Le posate che usiamo a tavola non dovrebbero essere solo degli strumenti per portare il cibo alla bocca, ma un’estensione del nostro corpo, che stimoli i sensi ancor prima che il cibo venga consumato» livello di dolcezza di un piatto, senza aumentare gli zuccheri nella ricetta. Ogni forchetta o cucchiaio è disegnato per stimolare o addestrare diversi sensi, per farli collaborare in modo da regalare a chi mangia un’esperienza più ricca e consapevole. Più nello specifico,
colori caldi come rosso e arancio aumentano l’apporto di ossigeno al cervello e stimolare l’attività cerebrale, aumentando in questo modo l’appetito. L’intenzione di Jinhyun Jeon nella creazione di queste posate è di cambiare il modo in cui percepiamo
Dolce, acido, salato e amaro sono percepiti ovunque ci siano papille gustative. Quando un gusto dolce ed uno salato si mescolano, si crea un nuovo gusto. Ad esempio, quando i gusti salati e aspri si mescolano, i sapori si ammorbidiscono. Se il salato ed l’aspro sono bilanciati, si crea un sapore dolce. Se il gusto dolce è più forte del salato, il sapore dolce diventa più forte. I pezzi di Sensorial Stimuli potrebbero non solo stimolare la nostra lingua, ma anche labbra e palato. Gli effetti dipendono dal livello di sensibilità individuale.
FORMA L’aggiunta di nuovi elementi all’archetipo del cucchiaio mira da un lato a migliorare la presa, ma anche a renderne l’utilizzo più intimo. Cambiando lo spessore del manico, cambia la percezione che si ha della quantità. Piccole quantità di cibo possono diventare pesanti, portando così a una focalizzazione della nostra attenzione su quel che stiamo mangiando.
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ogni boccone, al fine di arricchire la “cerimonia” del pranzo ed espandere il nostro rapporto con il cibo. I vari pezzi, fatti a mano in argento, plastica e ceramica, sono delle stesse dimensioni delle posate convenzionali, ma ognuno dona un’esperienza unica per via del proprio tocco sensoriale. I pezzi non sono ufficialmente in vendita, ma si possono ammirare e presso il Victoria&Albert Museum di Londra, in occasione dell’eventoworkshop “Friday late”, il prossimo 31 Maggio. Per saperne di più, potete visitare il sito web del museo: www.vam.ac.uk
GLI ALTRI PROGETTI DI JINHYUN www.jjhyun.com
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In questa pagina, vari pezzi del set di Sensorial Stimuli. Diverse forme e colori arricchiscono l’esperienza gustativa.
OLFATTO
architettura invisibile “the art of scent” TESTI: AGNESE CUNSOLO FOTO: SAM EICHBLATT
Al MAD di New York, “The Art of Scent” è la prima importante mostra museale a riconoscere il profumo come importante strumento di creazione artistica. Nel 2010 è stata inaugurata presso il Museum of Arts and Design di New York la prima ala museale dedicata all’arte olfattoria. Per la prima volta un museo dedica un dipartimento all’arte della profumeria con il supporto di mostre, eventi e occasioni d’incontro tra pubblico e designer di fragranze.
Chandler Burr, il critico olfattivo del New York Times, è uno dei curatori del dipartimento ed ha inaugurato nell’autunno 2011 la mostra intitolata “The Art of Scent”(1889-2011). Quest’ultimo ha fin da subito espresso il suo intento: “Bisogna fare per il profumo quello che è stato fatto per
Una visitatrice interagisce con una delle installazioni presenti a “The Art of Scent”.
la fotografia negli ultimi ottant’anni, conferendogli pari valore rispetto la pittura e la scultura”. Quello della “scent art” è infatti un campo che viene riscoperto oggi e, come testimonia Holly Hotchner dello stesso museo: “La missione del MAD è quella di esaminare la creatività 33
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Una struttura nascosta all’interno di una delle installa zionieroga profumo al passaggio dei visitatori. Il sistema si basa sulla gestione dei flussi d’aria. Progetto degli architetti Diller Scofidio + Renfro.
La foto di Brad Farwell illustrante l’installazione della mostra, che dona al visitatore dei cartoncini profumati.
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contemporanea attraverso tutti i media, tradizionali e non tradizionali e di decostruire i confini gerarchici che esistono tra generi artistici”. Questo centro, impegnandosi ad amplificare le esperienze dei visitatori e a trasmettere la vera essenza dell’arte della profumeria, è la prima risorsa nel suo genere. Il programma di eventi del dipartimento olfattivo ha coinvolto i maggiori fragrance designers del momento, da Jean Claude Ellena, a Ernest Beaux, a Jacques Cavallier, nomi che hanno fatto esplodere i trend nell’arte della profumeria. Nel centro è presente anche forum pubblico, uno spazio dedicato a lezioni e workshop sul tema della profumeria d’autore e sul ruolo delle fragranze nella vita di tutti i giorni. Sono state create partnership con scuole di design e altre istituzioni accademiche i cui studi approfondiranno il campo della
«Bisogna fare per il profumo quello che è stato fatto per la fotografia negli ultimi ottant’anni» profumeria. La mostra principale si snoda tra dodici stazioni dove, da delle bocche che sporgono dal muro, il visitatore può estrarre carte profumate; vi è infine una stanza laterale con un tavolo di oli aromatici. In un primo momento, la galleria principale sembra quasi vuota, fatta eccezione per piccole proiezioni di testo che sfumano sulle pareti e sul pavimento. Nella stanza principale, si trovano le dodici identiche fossette realizzate per ospitare perfettamente la testa un
Sensorialità
Ala laterale della mostra che presenta un excursus storico delle grandi marche dei profumi, dal 1889 ai giorni nostri.
visitatore. Ciascuna è dotata di un sensore di movimento che stimola il rilascio di profumo. Ad occuparsi di questa sezione è stata la società tedesca “Perfum Communication” che ha realizzato delle macchine integrate nelle pareti, le quali riescono a riprodurre una versione del profumo dopo averlo indossato per circa dieci minuti. I profumieri, infatti, considerano questa come la migliore espressione di un profumo, in quanto è possibile discernere le sue varie componenti. È presente inoltre una sezione che mostra cronologicamente diversi profumi: da Jicky, una miscela 1889 dal profumiere
Olfatto
chandler burr
Aimé Guerlain, considerato il primo profumo moderno per l’uso di composti aromatici sintetici e ancora in produzione, a Daniela Andrier di Untitled (2010, progettato per Maison Martin Margiela). Infine, la mostra comprende anche un salone interattivo, dove i profumi possono essere sperimentati in un ambiente più sociale. Utilizzando un’applicazione per iPad, progettata da DSR, i visitatori selezionano un aggettivo e sostantivo per descrivere ogni profumo e, nel momento in cui le loro opinioni vengono registrate, vengono proiettate sul muro in una nuvola di parole.
Chandler Burr (Chicago, 30 dicembre 1963) è uno scrittore, giornalista e curatore museale statunitense. Dal 2010 è sovrintendente del dipartimento di arte olfattiva per il Museo di Arte e Design della città di New York. È diventato famoso grazie alla pubblicazione del libro “The Perfect Scent”. Il profumo perfetto è il viaggio emozionante della storia della profumeria, di cui Chandler Burr è stato protagonista come critico.
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d.s.o. per etnia
acquistare esperienze
TESTI: ELMIRA MASOUMI FOTO: LAVERNIA&CIENFUEGOS
Sensorial Olfactory Device regala una nuova esperienza d’acquisto a chiunque entri in uno dei negozi Etnia, una catena di cosmetici spagnola. D.S.O. (Sensorial Olfactory Device) rappresenta una nuova esperienza di shopping quando si acquista un profumo. Si tratta di un dispositivo progettato esclusivamente per Etnia. Questo è un marchio di cosmetici, fondato con l’obiettivo di aprire una
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rete capillare di punti vendita in tutta la Spagna, per poi spostarsi oltremare. Il brand si sta imponendo sul mercato per la sua immagine estremamente elegante e minimal, ma soprattutto grazie all’innovazione che sta apportando in termini di esperienza
d’acquisto e sperimentazione sui prodotti. È proprio in questo contesto e con questo spirito che nasce D.S.O. Quest’ultimo è costituito da uno schermo interattivo che permette all’utente di sentire il profumo scelto e di ricevere simultaneamente
Sensorialità
Olfatto
informazioni ed immagini.Il dispositivo ha capsule in alluminio contenenti diciannove fragranze in vendita nei negozi Etnia. Gli utenti scelgono e introducono una capsula in uno slot, a questo punto il profumo viene riconosciuto da un lettore di codici a barre, attivando un ventilatore che emette un getto dell’aroma della fragranza. Durante questo processo, un processore interno invia informazioni pertinenti alla schermata in cui l’utente può indicare i propri gusti personali e può persino ricevere consigli in base alle proprie preferenze. Il D.S.O. è un concetto innovativo nel suo mercato che offre un’esperienza olfattiva unica di shopping, rendendo il processo di acquisto di gran lunga più affidabile, piacevole ed efficiente. Il concept e il design di questo prodotto sono stati sviluppati da Lavernia & Cienfuegos, uno studio di design con sede a Valencia che si occupa sia di design industriale che di graphic design in tutte le sue varianti.
Nella foto sovrastante e la sequenza a pag. 36, il dispositivo viene illustrato nel suo funzionamento. Della foto sottostante colpisce l’arredamento minimal di uno dei
negozi Etnia. Le foto sono state scattate dallo studio di Design che ha progettato gli interni e la grafica dei prodotti: Lavernia&Cienfuegos.
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downwind
la genetica degli odori TESTI: ELMIRA MASOUMI FOTO: RAEWYN TURNER
Credete che la nostra capacità olfattiva sia solo frutto dell’esperienza personale? Vi sbagliate! Downwind dimostra come la genetica sia più o meno incisiva in tal senso.
Dalla collaborazione dello studio ISEA2013 e gli artisti neozelandesi Raewyn Turner e Brian Harris, nasce Downwind, un’installazione frutto di due anni di ricerche e sperimentazioni intorno alla percezione olfattiva, che ha previsto l’uso di diverse tecnologie per ottenere il risultato
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desiderato. Downwind (letteralmente “sottovento”) esplora le differenze nella sensibilità olfattiva, la selettività a causa della base genetica e la percezione di sequenze odorifere in contesti modificati. La domanda che si pone questa installazione è se una comprensione somatica del
Sensorialità
Olfatto
Nella pagina precedente, il meccasimo attraverso il quale lo zucchero viene rilasciato nelle mani dei visitatori. Si ritiene che lo zucchero amplifichi la percezione olfattiva. In questa pagina, una panoramica dell’installazione e un dettaglio dell’interazione con un visitatore.
contesto attuale possa essere raggiunta a partire dalle singole capacità olfattive. Definito il concept dell’intera installazione, passiamo a descriverne la composizione e il funzionamento. Sono stati esposti dei baccelli all’interno di una sala, somiglianti ad un campo di papaveri. Questi sono capaci di avvertire la presenza umana e di rispondere emettendo venti tipologie di composti odorosi, appositamente scelti in quantità calibrate attraverso un meccanismo programmato che utilizza Arduino,
«Ogni odore è una firma di soggettività. La sensibilità olfattiva è conseguenza del nostro codice genetico» sensori di distanza ed ultrasuoni. I visitatori hanno avuto difficoltà a identificare e catalogare questi profumi, ma sembra che l’ambiguità sia intenzionale da parte degli artisti.
Accanto ai baccelli, vi sono dispositivi che rilasciano granelli di zucchero, che sembrano aiutare la percezione di odori, in quanto amplificano il senso olfattivo. Posizionando la mano sul piatto presente nella parte sottostante dei baccelli, una piccola sfera d’argento ruota all’interno del cono pieno di zucchero, facendone scendere qualche granello dalla cavità inferiore. Raewyn Turner e Brian Harris hanno concluso questa esperienza affermando che “Ogni odore è una firma di soggettività”. 39
OLOGY Tecnologie del cambiamento
vista
google glass:
TECNOLOGIA AL PRIMO SGUARDO TESTI: GIULIA BOSCHI FOTO: SCOTT STEIN
L’arrivo dei Google Glass rivoluzionerà il nostro modo di percepire la realtà e di relazionarci con gli altri. Eccovi una panoramica di funzioni e applicazioni di questi occhiali tanto attesi. 38 40
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Tecnologia dominante nel prossimo futuro, i “wearable computer” hanno dato vita ad un nuovo modo di vedere la realtà e di relazionarsi con essa. Lo sa bene Google che, precursore in quest’ambito a fine 2014 lancerà sul mercato il suo piccolo gioiello tecnologico, i Google Glass, destinati a rivoluzionare, grazie all’uso della realtà aumentata, il senso della vista. Nato nel 2012 dalla semplice idea di agganciare uno smartphone ad un paio di occhiali, il progetto si è poi evoluto in qualcosa di molto più complesso, in grado di eliminare ogni possibile comando touch, “riducendo” il tutto a dei
semplici comandi vocali. Oltre a questi aspetti tecnici, Google ha dato grande importanza anche allo stile, rendendolo disponibile in cinque diverse tonalità, e alla vestibilità: attraverso le asticelle dinamiche sarà infatti possibile adattare i Glass a qualsiasi viso o paia d’occhiali, in modo da rendere l’esperienza piacevole ed estremamente confortevole. Date le enormi potenzialità dell’oggetto e il forte interesse che è stato in grado di suscitare nonostante non sia ancora in commercio, non stupisce che altre aziende, prime fra tutti le dirette rivali Apple e Microsoft, stiano implemen-
Vista
tando device simili, anche in versioni più economiche dell’originale. A fare gola infatti non è tanto il guadagno sul singolo oggetto quanto quello che potrebbe derivare da sue applicazioni per adesso ancora circoscritte ma destinate ad abbracciare differenti ambiti. Dati alla mano, il settore che potrebbe beneficiare maggiormente dei Glass risulta essere quello medico: numerosi gli esperimenti già condotti in questo senso che introducono tale device in sala operatoria come strumento di controllo ed apprendimento, in grado di trasmettere il punto di vista del
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chirurgo senza comprometterne la concentrazione. Inoltre i Glass vengono utilizzati come database portatile attraverso cui il medico riesce ad identificare con un semplice colpo d’occhio sia il paziente, sia tutte le informazioni ad esso riferite. Altre applicazioni dei Glass fanno invece riferimento a contesti più quotidiani: ad esempio possono essere utilizzati in cucina, per cui l’app NavCook mette a disposizione una serie di ricette in formato digitale consultabili durante la preparazione dei piatti, oppure, come propone l’app Fancy, consentono all’utilizzatore-arredatore di avere una
Sopra: Anestesista utilizza i Google Glass per controllare le funzioni vitali di un paziente durante un’operazione. A lato: Roy Choi, rinomato chef, immortalato mentre prepara una ricetta utilizzando come guida i Google Glass. Nella pagina accanto: una schermata dell’interfaccia grafica.
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sorta di preview dello spazio che vuole riorganizzare, con la possibilità di avere in tempo reale consigli su come sistemare gli elementi scelti. O ancora, possono essere utilizzati come fotocamera digitale. Se dunque da un lato possiamo affermare che l’apporto tecnologico dei Google Glass è notevole e destinato a modificare radicalmente la nostra percezione, dall’altro non dobbiamo sottovalutare tutti quei rischi che potrebbero derivare da un uso scorretto del device. Al centro di numerose questioni e diatribe, pronta a scalfire il successo dei Glass, si pone quindi
la fatidica questione della privacy, messa decisamente a rischio da alcune applicazioni, in particolar modo quelle sfruttano tecnologie di riconoscimento facciale, di registrazione video e che permettono di scattare fotografie. Al fine di tutelare i propri interessi, Google ha redatto una vera e propria netiquette, una serie di regole che disciplinano l’uso dello strumento al fine di evitare che gli occhiali cadano nelle mani dei cosiddetti “Glasshole”, utenti che lo utilizzano senza avere piena consapevolezza di ciò che tale uso può comportare nei rapporti con le altre persone.
FOCUS ON
Specifiche tecniche Vestibilità. Grazie alla presenza di naselli regolabili e di un telaio resistente, i Glass si adattano facilmente alla forma di qualsiasi viso. Essi sono inoltre dotati di due naselli extra di due diverse dimensioni, in modo da garantire la massima comodità. Display. Ad alta risoluzione, equivalente ad uno schermo da 25 pollici posto ad otto metri di distanza. Immagini. I Glass consentono di scattare foto ad una risoluzione di 5MP e di girare video a 720p. Audio. Il suono viene trasmesso al timpano tramite conduzione ossea: un piccolo dispositivo viene fatto vibrare, permettendo quindi di mantenere l’orecchio libero e di non perdere quindi il “contatto con la realtà”). Connessione. Gli occhiali possono collegarsi a Internet attraverso wi-fi e dialogare con i cellulari attraverso bluetooth. Sono legati ad un account Google (Gmail), e con esso, Google+ e Google Now in modo tale da aver
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CPU (incluso GPS) SPEAKERS (phone)
PRISM (visual overlay) MICROPHONE
CAMERA (video/foto)
sempre a portata di mano i propri dati e poter interagire con la community. Memoria. I Glass hanno una capacità interna di 16 Gb, con effettivi 12 Gb liberi. Batteria. Ha la durata media di un giorno, alcune funzioni (come registrare video) consumano una maggiore quantità di batteria. Ogni Glass è inoltre dotato di un cavo USB e di un carica batterie il cui uso è consigliato al fine di preservarne la
qualità delle prestazioni. Compatibilità. L’app MyGlass consente di impostare contatti, cercare file e di svolgere molte altre funzioni sia su dispositivi Android che iOS. Nello specifico, per Android è richiesta la versione 4.0.3 o superiore, mentre per iOS dalla versione 7 in poi. I Glass possono inoltre essere utilizzati come auricolari Bluetooth con qualsiasi telefono dotato di tale dispositivo. 43
OLOGY Tecnologie del cambiamento
2. Sono sempre accesi e in funzione
5. Riconoscimento facciale integrato
Falso: gli occhiali sono come uno smartphone, che funziona solo se acceso e registra se si preme “on”. Come il mito numero 1, anche questa “diceria” parte dal presupposto che il dispositivo sia attivo su tutti i fronti di default, mentre può essere acceso o spento all’occorrenza.
Al momento il dispositivo non include questa funzionalità; Google sottolinea come ogni applicazione anche di terze parti dovrà essere approvata da Google, ed applicazioni di questo tipo non potranno essere disponibili senza previo consenso dell’azienda.
Sui Google Glass si dice un po’ di tutto. Alcune di queste voci descrivono effettivamente alcune caratteristiche e funzionalità del dispositivo, ma altre sono, forse, leggende metropolitane.
3. Sono per nerd hi-tech
6. Ostacolano lo sguardo
Google tiene a precisare che gli occhiali sono stati realizzati per tutti le fasce sociali, e che i suoi utenti sono genitori, vigili del fuoco, studenti, giornalisti e medici, tutti accomunati – questo sì – dal desiderio di usare la tecnologia per «vedere qualcosa di più».
Affermazione falsa: al momento il prisma interattivo dei Google Glass è posizionato in alto a destra in modo da non bloccare lo sguardo e il campo visivo.
1. Distraggono dal mondo reale
4. Sono pronti per essere venduti
7. Sono perfetti per una spia
Il dispositivo è progettato per essere disattivato di default, Google non vuole allontanare gli utenti dalla vita reale ma solo dare loro una possibilità di vedere e di avere qualcosa in più, quando lo desiderano.
Anche questo è falso: al momento infatti sono un prototipo, e sono stati messi a disposizione solo ad un gruppo selezionato di sperimentatori volontari, che hanno il compito di perfezionare lo strumento dando i loro consigli e le loro impressioni.
Se un’azienda volesse sviluppare un dispositivo-spia, ci sarebbero diversi modi per realizzarlo più efficacemente rispetto a qualcosa che viene indossato direttamente e non nascosto. Ci sono numerose spy-cam in commercio molto più adatte ed efficaci dei Google Glass.
Google glass: i 10 miti da sfatare DI ROBERTA DE CAROLIS
8. Sono un bene di lusso Il prototipo costa 1500 dollari e forse questo mito sembra essere vero. Tuttavia ciò non significa che in futuro il prezzo non scenda, come spesso avviene per gli strumenti tecnologici.
9. Sono vietati ovunque In questo caso valgono le stesse regole degli smartphone ed utilizzare un dispositivo richiede buon senso a seconda delle situazioni. Inoltre Google ricorda che i Google Glass potranno essere montati anche su occhiali da vista.
10. Violano la privacy Questa è un’accusa che ha colpito diversi oggetti della tecnologia, ricorda Mountain View, dalle macchine fotografiche alle telecamere, per non parlare di Internet e dispositivi mobili. Ma tutto dipende dall’utilizzo che sappiamo e vogliamo farne.
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Vista
SMART TEXTILE CONTAMINAZIONI TRA TESSUTI E NUOVE TECNOLOGIE TESTI: GIULIA BOSCHI
Per loro natura i tessuti sono materiali così versatili che, se nelle mani giuste, diventano delle vere opere d’arte. Lavorando su più livelli e con differenti superfici è possibile aumentare l’interazione tra i vari elementi e creare composizioni molto complesse, anche tridimensionali. È questo il caso degli e-textile, che rielaborano la tradizionale arte tessile, unendola alle più moderne tecnologie. Il risultato che ne deriva sono delle superfici multisensoriali, estremamente suggestive, che coinvolgono, non solo visivamente, lo spettatore.
Sebbene le ricerche nel campo dei tessuti intelligenti siano iniziate da più di dieci anni, è solo di recente che grazie alle nuove possibilità tecniche, si è cominciato a ridefinire il tessile come campo d’innovazione multidisciplinare. Gli Ultra Smart Textiles nascono infatti della combinazione dei tradizionali tessuti e delle discipline scientifiche come le scienze dei materiali, la meccanica strutturale, la tecnologia sensoriale, processi di advanced detection-technology, intelligenza artificiale e biologia. Nonostante questa loro natura
pragmatica e tecnica, sono numerosi gli artisti che, affascinati dalle potenzialità degli e-textile, stanno esaminando nuove possibilità di utilizzo dei tessuti intelligenti come supporti interattivi, includendo questi materiali all’interno di installazioni dedicate, così da esplorare le infinite possibilità dell’ibrido. Le immagini proposte nelle pagine seguenti si concentrano su come gli Smart Textiles possano essere effettivamente integrati in artefatti che esplorano le possibilità artistiche e tecniche al fine di raggiungere nuove prospettive estetiche. 45
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Aura/Aurora (2011) di Bettina Schülke in collaborazione con Nina Czegledy, Martin Andreas Juhasz e Laszlo Kiss
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Aura/Aurora, installazione che combina in tempo reale video e suono, fa parte di un progetto che, unendo arte e scienza, ripropone un’interpretazione interattiva dell’Aurora Boreale e Australe, allo scopo di creare un’esperienza seducente e unica che evochi quella reale. L’aurora è fenomeno ottico della superficie terrestre tipico dei circoli polari, non è solo un entusiasmante spettacolo luminoso, ma rende visibile l’invisibile mondo dell’elettromagnetismo. L’installazione è caratterizzata da un coinvolgimento attivo dell’audience: una serie di immagini video riproduce idealmente su dei tessuti i campi di colore.
Idealmente situata all’interno di uno spazio immerso nell’oscurità, una volta entrati all’interno dello spazio dell’installazione, si ha poca visibilità a causa della luce soffusa. Lo spettacolo si anima solo nel momento in cui il visitatore comincia a muoversi: grazie alla presenza di sensori di movimento, le luci cominciano a muoversi seguendo le azioni della persona. Tale spettacolo è accompagnato da una serie di suoni che rappresentano l’interpretazione artistica del fenomeno: un collage di suoni naturali riprodotti digitalmente che impressiona ed affascina il visitatore. 47
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E-Static Shadows (2009) di Zane Berzina
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L’installazione esplora l’universo dell’elettrostatica e i possibili legami tra l’interazione umana, lo spazio e il potenziale dell’energia che ci circonda. La luce soffusa registra l’intensità della carica esposta all’e-textile, trasformandolo in una serie di pattern audio-visivi sulla superficie del tessuto. La membrana si comporta come uno specchio statico, traducendo l’energia in feedback sensoriali: un semplice movimento del nostro corpo all’interno dell’installazione crea una reazione tra i materiali, che formano ombre sonore e visive. Le ombre proiettate vengono generate da luci al led incorporate nel tessuto, interconnesse tra loro grazie alla trama del tessuto, spente nei punti in cui la membrana rileva le cariche statiche. 49
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The Slow Furl Project (2008) collaborazione tra Mette Ramsgard
Thomsen, Karin Bech del Centro di Interactive Technology and Architecture di Copenhagen e dell’Università di Brighton
L’installazione combina l’e-textiles con l’emergente campo della robotica: essa è costituita da un tessuto la cui trama è realizzata da fibre di rame. Grazie all’interazione sensoriale, l’installazione crea un divertente ambiente che coinvolge gli spettatori al suo interno. Un sistema meccanico, attivato attraverso il tocco delle due parti di tessuti, modifica la struttura e la forma della superficie. Questo progetto si propone di esplorare il concetto di flusso.
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Sculture luminose Scopriamo i lavori di Janet Elcheman TESTI: ELMIRA MASOUMI FOTO: JESSICA HEMINGS
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Da San Francisco a New York City, da Amsterdam a Sydney, passando per India e Portogallo, Janet Echelman è un’artista che sta conquistando migliaia di personecon le sue installazioni di arte pubblica. Le sue sculture urbane abbracciano il volume dei grattacieli, ma fluttuano con la leggerezza delle nubi.
Foto di Jessica Hemmings delle opere dell’artista/scultrice Janet Elcheman. Quelle che si osservano sono vere e proprie reti di luce, ispirate a quelle dei pescatori.
Le forze della natura vivono e respirano nelle poetiche sculture realizzate con reti da pesca, dall’artista statunitense Janet Echelman. La luce, la trama e il vento, sono gli elementi alla base di ogni sua installazione, insieme alla profonda conoscenza tecnologica e un notevole impegno nello studio delle forze eoliche e strutturali. L’artista americana, classe ‘66, dopo essersi
laureata decide di dedicarsi all’arte. Prima si trasferisce a Hong Kong per studiare calligrafia cinese e pittura e poi a Bali, in Indonesia, dove collabora con artigiani per combinare metodi tradizionali tessili con la pittura contemporanea. Dopo che la sua casa di bambù a Bali brucia per un incendio, torna negli Stati Uniti ed inizia ad insegnare
biologia evolutiva ad Harvard. Questo le consente di osservare nei fossili le varietà delle forme plasmate dal vento, dall’acqua e dal tempo che sembrano riapparire nelle sue sculture luminose. Ma è durante il suo secondo trasferimento in Asia che Janet affina la sua concezione di scultura. Come lei stessa ha più volte sottolineato, la sua fonte di ispirazione 53
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nasce dall’osservazione dei pescatori che ritirano le proprie reti la sera. Da qui l’idea di sculture leggere, dalla superficie delicata, modellata dal vento. Dalla collaborazione diretta con i pescatori nascono le sue nuvole di rete, installate in diverse città del mondo. Un altro aspetto interessante del lavoro di Janet è la sua idea di arte pubblica: l’opera nasce come collaborazione tra diverse figure di professionisti e gente comune del luogo sede dell’installazione. Ma è lo scorso anno, in occasione del vicino trentesimo anniversario delle conferenze TED, che la fondazione non-profit organizzatrice le propone di realizzare un’opera che impressionerà visitatori provenienti da tutto il mondo.
CHI E’ JANET ECHELMAN Chi è Janet Echelman? “Questa storia riguarda il prendere sul serio l’immaginazione. Quattordici
A sinistra, schizzi preparatori realizzati in acquarello.
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anni fa ho scoperto per la prima volta uno straordinario materiale, le reti da pesca, utilizzate per secoli sempre nello stesso modo. Oggi le uso per creare forme voluttuose, permanenti, ondeggianti, delle dimensioni di edifici, nelle città in giro per il mondo. Non ho mai studiato scultura, ingegneria o architettura. In realtà, dopo il liceo, mi sono candidata in sette scuole d’arte e sono stata scartata da tutte e sette. Sono diventata artista per conto mio, e ho dipinto per dieci anni. Quando mi hanno offerto una borsa di studio Fullbright per l’India con la possibilità di esporre i miei dipinti, ho inviato i miei lavori, ma non sono mai arrivati. Dovevo fare qualcosa. Il villaggio di pescatori in India era famoso per la scultura. Sono andata a fare una passeggiata in spiaggia e guardare i pescatori infilare le proprie reti sulla spiaggia. Li avrò guardati tantissime volte ma quel giorno li ho visti in modo diverso: è nato così un nuovo approccio alla
scultura, un modo di fare forme volumetriche senza materiali solidi. La mia prima opera accettabile nacque appunto in collaborazione con un pescatore”, così la Echelman racconta dei suoi esordi alla conferenza di TED a Vancouver dove è stata installata una sua opera, il mese scorso, lunga 700 metri e sospesa tra il tetto del Fairmont. A proposito delle sue scelte artistiche cita Calvino: “la ricerca della leggerezza è una reazione al peso di vivere”. Gli ambienti scultorei incarnano l’identità locale e invitano i residenti a formare un rapporto personale e dinamico con l’arte e il luogo. “Credo che lo spazio pubblico debba essere intenzionale: dovrebbe essere ovvio che tu gli appartenga”, ha detto l’artista. Ogni progetto diventa intimamente legato al suo ambiente attraverso l’uso di materiali locali e metodi di lavoro, rafforzando così i collegamenti di vicinato e la promozione di un carattere civico distintivo.
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Gli scatti, di Lili Wey, riprendono attimi di quotidianeità dell’artista regalandoci un’idea del background di queste fantastiche sculture luminose volanti. Il suo studio, è stato definito un vero e proprio labirinto di scartoffie. La foto a destra mostra un centro commerciale americano che ha ospitato una delle reti.
«Spero che la mia arte possa essere un elemento di trasformazione nella nostra vita frenetica»
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FOCUS ON
L’OPERA DI VANCOUVER In occasione del trentesimo anniversario delle conferenze TED, gli artisti Janet Echelman e Aaron Koblin hanno unito le loro forze per creare “Unnumbered Sparks”, una monumentale scultura interattiva che fluttuava – letteralmente – nel cielo. Posizionata a 220 metri d’altezza nel centro di Vancouver, in Canada, l’installazione era guidata dagli smartphones e tablet dei visitatori, che tramite un programma e leggeri movimenti dei dispositivi potevano realizzare una vera e propria coreografia in tempo reale. L’eterea costruzione, di giorno fluttuava elegantemente sopra le teste dei passanti, la sera si trasformava in qualcosa di straordinario e spettacolare generando curiosità ed interesse. Dopo il tramonto l’elegante rete sospesa tra le fredde architetture del quartiere direzionale della metropoli canadese diventa una scintillante nuvola poliedrica animata e sollecitata da chiunque abbia installato sul proprio dispositivo mobile l’applicazione appositamente creata. Infatti era possibile disegnare una composizione e poi vederla proiettata sulla scultura. Il fascino di questo prodotto artistico a scala urbana supera i confini dell’estetica arricchendosi di simultanee imprevedibili collaborazioni: il vento e i passanti amplificano la propria presenza generano una miriade di increspature e comete, di riflessi e colori che animano la notte della piazza. 56
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CARLOTTA BERTELLI «IO DIPINGO CON LA LUCE» TESTI: AGNESE CUNSOLO FOTO: LUCA STRAMACCIONI
C’è chi, come Carlotta Bertelli, dipinge con la luce, una macchina fotografica al posto dei pennelli e una sorgente luminosa al posto dei colori. L’effetto è magico, una festa per gli occhi. Un’intervista ci svela com’è nata questa sua passione che la porterà lontano.
Voleva fare l’astrofisica, poi ha capito che la sua strada era un’altra, ma di quel mondo le è rimasto il desiderio costante della luce. Carlotta Bertelli, nata a Modena nel 1988, è una fotografa di moda e still life, innamorata del Piccolo Principe crede che ogni abito o accessorio sia il racconto di un segreto e fotografa i cappelli come fossero elefanti inghiottiti da serpenti. Appena finiti gli studi di fotografia, viene selezionata per la sezione “talents” di Vogue che pubblica il suo primo vero e proprio lavoro La-Mise-enScene, in cui già si riconoscono gli elementi di gioco, di creatività e di ironia che accompagneranno poi tutta la sua produzione. “L’arte non deve rappresentare il visibile, ma rendere visibile l’invisibile” le ripete sempre Franco Fontana, il cui incontro ha giocato un ruolo fondamentale nella formazione artistica di Carlotta Bertelli. La luce diventa sempre più l’elemento capace di sintetizzare questo concetto, finché con la scoperta del light-painting conquista la “sua luce”: con semplicità e raffinatezza reinterpreta questa tecnica
mantenendone l’essenza artigianale e dando così vita ad uno stile che subito raccoglie il favore degli addetti ai lavori e che in breve richiama l’attenzione anche dal mondo della pubblicità, con incarichi per aziende quali Renault ed Elizabeth Arden. Nel 2013 Carlotta dà vita a The Lamplighter Project. In quest’occasione ha modo di sperimentare la “sua luce” al di fuori del set e portare questa
«L’arte non deve rappresentare il visibile, ma rendere visibile l’invisibile» esperienza in giro per il mondo, fotografando tutti e tutto, viaggiando, sempre. E se le chiedono a cosa serva tutto questo, lei risponde che “è un mestiere bello, quindi è utile”. Nelle prossime pagine trovate l’intervista in cui le abbiamo chiesto di raccontarci il suo metodo. Foto di Luca Stramaccioni ritraente l’artista e fotografa Carlotta Bertelli.
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Quando è nata la passione per la fotografia e come si è evoluta in professione? Ho sempre amato viaggiare e nel 2006 mi sono trasferita negli Stati Uniti per seguire un anno di studi. Il mio compagno di banco era un fotografo. Abbiamo instaurato un bellissimo rapporto di scambio: io gli passavo i compiti e lui mi portava con sé quando andava in giro a scattare. Era passione allo stato puro la sua e ne sono rimasta “scottata” anch’io e nel giro di un paio d’anni ha mandato in fumo ogni altro mio impegno o progetto: ho abbandonato gli studi di fisica, ho trovato il mio primo lavoro come fotografa in un villaggio Valtur, mi sono trasferita a Milano per seguire un master di fotografia professionale. Ed eccomi qui: oggi sono professionista, mentre il mio amico si è fatto monaco buddista! Professionalmente, in quali tipi di fotografia sei specializzata? Principalmente mi occupo di moda e sto esplorando, oltre a uomo/donna, anche il mondo della moda bimbo e
Foto di Carlotta Bertelli per la realizzazione di un progetto fotografico in bianco e nero.
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dello still life. Raccontaci il tuo percorso fotografico in rapporto alla luce. Mi trovavo negli Stati Uniti per un viaggio di studi, in Arizona precisamente, e non è un caso che abbia cominciato a fotografare lì dove la luce è talmente bella e potente da diventare un mistero quasi palpabile: questa è stata sempre la mia vera passione, la luce. In particolare ero attratta dalla notte e dalle sue stelle, ed è per questo che avevo deciso di diventare astrofisica. Sono bastati pochi mesi di università per capire che quel mondo mi sarebbe sempre stato oscuro, mentre diventava sempre più chiara la mia vocazione per la fotografia. Così mi sono iscritta ad una scuola a Milano e lì poi ho cominciato subito a lavorare nel mondo della moda. Non ho mai smesso di indagare la luce e la sua presenza è diventata sempre più evidente nella mia fotografia, finché con la scoperta del light painting ho ritrovato la notte, il buio, e accedendo una torcia, ho visto riaccendersi le stelle.
franco fontana
Nato a Modena nel 1933, Franco Fontana è senza dubbio tra i fotografi italiani più stimati a livello internazionale. Considerato un “maestro del colore”, nel corso della sua lunga carriera ha dimostrato di essere un fotografo molto eclettico. Si è distinto in particolari per i suoi lavori con la polaroid e i suoi inimitabili reportage.
Il light painting è una particolare tecnica fotografica. Di cosa si tratta? Il light painting si basa su un particolare utilizzo della luce: questa può provenire da qualsiasi tipo di sorgente luminosa che, controllata manualmente, può variare in ogni istante per orientamento e intensità. È un processo lento, che la macchina fotografica registra come spettatrice discreta e di cui solo alla fine ci mostra il risultato, il gran finale di questo spettacolo. Nel tempo è diventata una forma d’arte popolare e richiesta. Come si gestisce il fatto che l’opera diventa performance effimera ed estemporanea? Io nasco come fotografa di moda, e il light painting –oltre che alla tecnica che utilizzo – rappresenta il mio modo di interpretare questo mondo, combinando arte e artigianalità: se da una parte infatti mi permette di imprimere la mia personalità a
ogni “pennellata”, creando quella che oggi conoscono come “la mia luce”, dall’altra fa sì che io possa dare a ogni capo o accessorio che fotografo la luce che meglio lo rappresenta, creando immagini uniche e su misura. Cosa proponi al pubblico? Nel tempo si è fatta sempre più forte l’esigenza di sperimentare la mia luce al di fuori del set, così le ho dato un nome trasformandola in un progetto, The Lamplighter Project: a partire dall’esperienza in Brasile, ho cominciato a usare il light paintinganche per raccontare persone, luoghi, eventi, ideando ogni volta progetti ad hoc che dalla fotografia sforano nel mondo della performance, del video, dell’installazione, della comunicazione in generale. Penso che la creatività, come il mondo, vada esplorata a 360°. A tal proposito è interessante vedere come sempre più persone e aziende anche del settore si stiano rivolgendo al progetto per trovare nuove soluzioni per raccontarsi e comunicarsi. Che strumenti usi? Il light painting mi ha insegnato a essere light e spesso non uso che gli strumenti base: la macchina fotografica, il cavalletto e una torcia. È vero che di queste ormai ne possiedo più di un centinaio che variano per dimensione e potenza, ma il più delle volte per fare una foto me ne basta una sola. Qualsiasi fonte luminosa può diventare uno strumento di light painting, e sono molti quelli che se li costruiscono da soli. Personalmente non sono un’amante dei cosiddetti effetti speciali e, per quanto mi piaccia sperimentare, infatti mi definiscono un’artista estremamente eclettica, cerco sempre di creare immagini pulite raffinate, utilizzando la luce nel modo più naturale possibile.
Light Painture realizzato da Carlotta Bertelli per il progetto “The Lamplighter Project”
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Light Paintures di Carlotta Bertelli per la rivista “Kult Magazine�.
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UDITO
8-BIT NOSTALGIA MUSICA DA UN GAME BOY Se anche a voi il Nintendo ha fatto battere il cuore sapete di cosa stiamo parlando. TESTI: ANNA GIALLUCA FOTO TRATTE DAL VIDEO POLYBIUS
Nintendo, Atari, Sega, Nes, sono solo alcuni dei nomi delle consolle che hanno accompagnato i pomeriggi delle brufolose adolescenze di molti. Da allora sono passati anni per noi, anni luce per la tecnologia, che nel frattempo ha avuto il suo boom evolutivo e ha trasformato quegli adorabili scatolotti di plastica in sottilette sempre più slim e smart. Nonostante questo nessuno ha dimenticato le composizioni 8bit che accompagnavano i videogiochi
di allora, colonne sonore di interi pomeriggi, tanto che tutt’ora ci sorprendiamo a canticchiare il motivo di Super Mario a memoria, nota dopo nota. Potrebbe essere proprio in un momento come questi che qualche DJ ha pensato recuperare un gameboy preistorico con l’intenzione di riprendere gli 8bit e reinventarli, in una nuova musica elettronica. Questo è quel che ci racconta il video “Europe in 8 Bit”, un’animazione che mostra la vita di un Game Boy dalla
nascita, alla dismissione, alla rinascita come fonte di musica in una serata in discoteca. Se invece delle chiacchiere siete interessati all’azione, nella prossima pagina trovate Polybius, video realizzato dal regista James Houston, dove il musicista Julian Carrie suona una composizione sfruttando il suono di ogni sorta di vecchia consolle, o di singole parti elettroniche. Abbiamo deciso di raccontarvelo per immagini, a voi il QR code per l’ascolto. 61
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PATATAP!
Patatap è un kit portatile di animazione e suono. Con il tocco delle dita, genera melodie che vengono tradotte in forme. Essendo facile da usare, fa sì che si apra un ampio spettro di possibilità. In un attimo si possono cambiare diverse palette di colori cui sono associati diversi paesaggi sonori. Che sia sul laptop, sul computer fisso, su telefono o tablet, Patatap invita musicisti di ogni età a lasciarsi coinvolgere con la mente e con i sensi in un nuovo processo creativo.
Tratto da www.works.jonobr1.com/Patatap
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EIDOS mask AUMENTARE I SENSI TESTI: ELMIRA MASOUMI FOTO: ROYAL COLLEGE OF ART
Siamo soliti controllare tutto ciò che ci circonda: cosa succederebbe se potessimo avere lo stesso controllo sui nostri sensi e adattarli alla realtà circostante? Il progetto Eidos ha suscitato un forte interesse a livello internazionale, introducendo un nuovo approccio alla realtà aumentata caratterizzato dalla possibilità di avere un controllo dei nostri sensi in tempo reale. Realizzato da un team di quattro studenti di Innovation Design Engineering del Royal College of
Art di Londra, il progetto, ancora in forma di prototipo, è costituito da due maschere, una per la vista e una per l’udito, costruite con una tecnologia che permette di sfruttarne a pieno le loro potenzialità. La fase progettuale ha previsto una serie di test ed esperimenti che hanno portato alla realizzazione del prototipo definitivo
che è stato sottoposto a dei test qualitativi condotti all’interno di alcuni focus group, al fine di comprendere in modo chiaro quelli che sono gli effetti delle tecnologie utilizzate sugli individui. Eidos Audio è una maschera da indossare sopra la bocca, il naso e le orecchie, che permette all’utente di ascoltare i suoni in modo più selettivo. 65
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Eidos sensory augmentation aumenta la visione stereoscopica e incrementa l’abilità di analizzare maggiormente lo spettro dei nostri sensi. L’ equipaggiamento audio potrebbe consentire a chi va ad un concerto di ascoltare solo specifici strumenti di un’ orchestra.
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Sensorialità
“Combinando la tecnologia all’idea di migliorare l’esperienza umana, siamo arrivati al punto focale della ricerca: come possiamo aggiungere valore al corpo ed estendere l’esperienza sensoriale?”
Grazie ad un microfono direzionale, la maschera neutralizza ogni tipo di disturbo di sottofondo, amplificando ciò che il soggetto preferisce. Tutto ciò è permesso dall’utilizzo del principio della conduzione ossea che crea l’esperienza unica di sentire qualcuno parlare esattamente dentro la testa dell’utente. Per il momento i realizzatori si dichiarano aperti ad applicazioni di ogni genere, essendo ancora in fase di sperimentazione. Applicandola ad esempio in ambito sportivo, le persone potrebbero
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visualizzare e incrementare le proprie prestazioni in tempo reale; in quello medico potrebbe essere usata per migliorare i recettori sensoriali indeboliti dall’età o da una disabilità. In ambito artistico, Eidos permetterebbe di migliorare le live performances come la danza, le sfilate di moda o i concerti musicali. Seppure ancora Eidos non sia presente nel mercato, rappresenta senza dubbio un progresso nel campo della tecnologia indossabile, ambito su cui stanno investendo tutti i big del settore.
Il disegno tecnico della maschera mostra le sue componenti interne per meglio spiegarci il suo funzionamento.
STEREO SPEAKERS
×2 TRANSDUCERS
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M U LT I S E N S O R I A L I T À
interaction design lab verso la smaterializzazione INTERVISTA: GIULIA BOSCHI FOTO: ANNA GIALLUCA
Siamo andati a trovare Aurora Rapalino dell’Interaction Design Lab con l’idea che avremmo parlato di progetti di interaction design e multisensorialità. Aurora ci ha spiegato invece come il loro lavoro sia migrato dal mondo fisico al digitale: ora il loro obiettivo è cambiare il sistema dell’educazione spingendo sui social.
Sensorialità
Parlaci di Interaction Design Lab: da cosa nasce? Il nostro studio si lavora principalmente nel campo dell’educazione online. I social media hanno trasformato il nostro modo di comunicare, vivere e interagire, in un modo estremamente immersivo; ora è tutto un comunicare tramite piattaforme. I nostri profili Facebook, Whatsapp, Twitter, Instagram sono diventati i nostri biglietti da visita, il modo in cui ci presentiamo agli altri. Il punto centrale dei social media è saperli utilizzare al meglio. Ci sono persone che su facebook condividono contenuti molto interessanti, ed è quando li sai usare bene che questi mezzi che diventano potenti e significativi: questa è la nuova comunicazione. I contenuti sono sempre diversi, per ogni social. Sulla scia di questo cambiamento, se prima ID Lab si occupava di Interaction Design fisico, quello che facciamo ora non ha più nulla a che fare con l’interazione concreta (ad eccezione dei workshop che facciamo). L’approccio progettuale è sempre lo stesso, ma la parte complicata sta nel capire gli strumenti da utilizzare: il mondo digitale cambia velocemente, devi essere davvero aggiornato, perché da un giorno all’altro cambiano le cose.
Multisensorialità
Come vi rapportate al tema della sensorialità? Volendo parlare di sensorialità in quello che facciamo ora: noi lavoriamo moltissimo con i video. Ad esempio facciamo teaser di qualche minuto che cercano di coinvolgere completamente l’utente, con l’aspetto uditivo, visivo. Sicuramente manca la tattilità, ma miriamo comunque ad un coinvolgimento totale. Il nostro marchio di fabbrica è quello di lavorare nell’ambito dell’online education producendo video che rappresentino il mood e diano il brief di progetto. Con l’online anche la sensorialità si è trasformata; come coinvolgere l’utente senza l’aspetto tattile? Noi utilizziamo i video. Raccontaci un progetto cui state lavorando attualmente. Il progetto più importante al quale ci stiamo dedicando è il master in Relational Design, un master itinerante, in partnership con Abadir, accademia di design e arti visive di Catania. È composto da dodici moduli, ognuno tratta un tema diverso. L’attività didattica si svolge ventun giorni online e tre giorni offline durante i quali si tengono i workshop nelle sedi partner del modulo. Abbiamo
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A lato: Aurora Rapalino. Sopra: alcuni momenti di una giornata in studio.
coinvolto tantissime società, aziende, istituzioni, ogni partner sponsorizza un modulo e ospita gli studenti per il workshop: piccoli studi tanto quanto realtà internazionali, perché per noi è importante mostrare allo studente com’è il mondo reale, cosa che manca ai programmi universitari. Ogni modulo è composto da otto video sempre diversi, che devono coinvolgere lo studente e creare senso di attesa. Adesso stiamo lavorando alla seconda edizione del master, in inglese, rivolto a studenti internazionali. È il progetto più importante, in cui noi crediamo di più: cambiare il mondo della scuola è una sfida, non è facile. E non è facile trasmettere che si tratta un master online e offline allo stesso tempo, in cui sei seguito dal docente. Elemento fondamentale del nostro approccio è quello della “gamification”: ogni studente ha un proprio profilo sul sito, dove gli si danno visibilità e importanza; non è solo una matricola, ma ha lo spazio necessario per mostrare la propria individualità. Viene poi mappato il comportamento dello studente all’interno della community, quanto è socievole, attivo e influente, quanto il lavoro che posta attira l’attenzione: sapere comunicare online oggi è fondamentale, il talento non è tutto, devi saperti vendere. 70
Oltre a programmi educativi sviluppate anche interfacce? Noi utilizziamo tutti programmi esistenti. Per Relational Design ad esempio utilizziamo Google+. Non tanto per un aspetto economico, quanto perché il mondo cambia talmente velocemente che progettare e fare investimenti su piattaforme digitali non ha senso, dopo un mese sono già datate, già vecchie. I primi esperimenti di e-learning che abbiamo fatto erano su Facebook, perché è semplice, tutti lo conoscono, hai molta più visibilità tra gli studenti. È importante per noi capire qual è il medium più adatto. Noi non progettiamo interfacce, ma il servizio. Ogni progetto che sviluppiamo ha il proprio sito web, ha la propria community digitale su Google+ e il materiale didattico sia sul sito web che su Google+, più tutti i social media collegati. Un consiglio ai designer timidi? Il consiglio è: cambiate lavoro (ridendo). A parte gli scherzi, il consiglio è capire con che mezzo ci si sente più “confident”, più sicuri ad esprimersi. Bisogna capire qual è il proprio modo migliore per comunicare. Il designer timido deve lanciarsi, buttarsi, esercitarsi, e ricordarsi di stringere la mano. Se non rischi non fai innovazione.
CONTACT la NUOVa frontiera della MUSICA TESTI: AGNESE CUNSOLO FOTO: BENJAMIN WEISS
Quante volte abbiamo sbattuto le dita sul tavolo o i piedi per terra? Provate ad immaginare come potrebbe essere impressionante poter creare musica ogni volta che lo si fa. FELIX FAIRE, L’IDEATORE Un giovane designer di 22 anni, musicista e programmatore creativo ha reso tutto questo reale attraverso ”Contact”. Felix Faire ha studiato architettura presso l’Università di Cambridge, concludendo il percorso di studi con una tesi degna di nota riguardo la percezione spaziale della musica (la si trova su www. synaestheticspace.com). Attualmente studia alla Bartlett School di Londra, dove sta esplorando il potenziale del contatto fisico e della vibrazione acustica come mezzo di interazione con materiali tangibili. Felix, introducendo il concetto di Embodied Cognition (vedi box), esplora e crea
nuove interfacce musicali che mirano a unificare il suono, le immagini, lo spazio e le nostre percezioni attraverso l’interazione diretta. Oggi è possibile “usufruire” dell’esperienza Contact alla Royal Academy di Londra nell’area “Space Sensing”.
COS’È CONTACT Prima che essere un oggetto, Contact è un’esperienza multisensoriale che mira a coinvolgere attivamente l’utente. Lo scopo è quello di creare uno strumento di performance visual live. Contact, infatti, è un’interfaccia audio tangibile per manipolare e visualizzare i suoni generati dall’interazione con una semplice superficie di legno.
Qualsiasi contatto fisico con la superficie genera vibrazioni acustiche che vengono manipolate e visualizzate live attraverso una moltitudine di colori. Il progetto utilizza microfoni a contatto, sonar passivi e sfrutta la capacità di alcuni software di riconoscere le informazioni derivanti dai diversi tocchi attraverso l’analisi della forma delle onde sonore nel momento in cui il tavolo è stato colpito. Il suono, ricevuto dai microfoni, è digitalmente “risuonato” per produrre una nota melodica dall’impulso acustico originale. Quando la superficie viene colpita o dal polso o dalle unghie si innesca il classico bit 808 kick and clap; questi suoni possono essere registrati e riprodotti in loop. 71
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EMBODIED COGNITION LA TEORIA DELLA SIMBIOSI
La recente teoria della Embodied Cognition ha messo in luce come la mente, il corpo e il mondo formino un sistema conscio di simbiosi dinamica. Questa recente teoria della percezione, implica che le esperienze considerate originariamente proprie esclusivamente della mente umana come la musica, sono intrinsecamente connesse al nostro corpo e all’ambiente. Una delle tesi sostenute dalla Embodied Cognition è quella che potremmo definire “teoria simulativa della comprensione linguistica”, secondo la quale noi comprendiamo le espressioni del linguaggio naturale grazie all’attivazione di aree celebrali dedicate principalmente alla percezione, ai movimenti e alle emozioni. Per fare un esempio, quando sentiamo la parola “tavolo” noi la capiamo -ossia ne comprendiamo il significato attivando le aree del cervello che riguardano l’esperienza percettiva di un tavolo. Questo ha fatto supporre che comprendere il significato di una qualsiasi espressione del linguaggio sia una sorta di simulazione delle esperienza percettive, motorie ed emotive che abbiamo avuto in passato. Quindi cogliamo il significato di un termine linguistico simulando l’esperienza degli oggetti o degli eventi cui tali termini si riferiscono. Per fare un altro esempio: comprendiamo “correre” riattivando le aree del cervello relative alle esperienze di movimento tipiche della corsa. Questa “teoria simulativa” ha il vantaggio di essere stata ampiamente supportata da evidenze sperimenali. È facile comprendere come queste piccole cose influenzino la nostra vita.
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POSSIBILI SVILUPPI Le potenzialità sono innumerevoli, qualsiasi superficie tattile potrebbe diventare fonte di immagini e di suono se collegata con i giusti strumenti. L’immediato scenario sembra essere quello della produzione musicale: nasceranno nuove figure professionali o semplicemente si cambieranno le attitudini di quelle già esistenti? L’esperienza multisensoriale avvolgerà il fruitore ma anche il produttore in qualcosa di nuovo ma di estremamente coinvolgente creando un’atmosfera intima. Il prototipo non è ancora sul mercato, ma si possono ammirare le performance di Felix sui principali canali video.
In alto: Scatto di Mill Room a Felix Faire, designer che ha realizzato “Contact”. Il progetto lo si trova esposto alla Royal Academy di Londra.
Sotto: disegni preparatori alla realizzazione del progetto. Dalla mente al braccio per poi passare alla realizzazione concreta attraverso software specifici.
Sensorialità
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Immagini di Benjamin Weiss illustranti il funzionamento di questa piattaforma. Ad ogni tipologia di tocco corrisponde una determinata vibrazione, un determinato colore e suono. L’interazione è l’imperativo di questa tipologia di progetto che potrebbe cambiare il modo di far musica.
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sonia c illari il corpo come interfaccia TESTI: AGNESE CUNSOLO FOTO: PAU WAELDER
Recentemente si parla parecchio di lei e le sue opere sono molto richieste nei centri di new media art di tutto il mondo. Si sta parlando di Sonia Cillari la quale ci dimostra, attraverso le sue performace, come lo spazio e il corpo sono interfacce che agiscono l’una sull’altra, attraverso il linguaggio della percezione e della sensazione.
Napoli, Roma, Parigi, Barcellona, Amsterdam: cinque fasi principali del tuo percorso formativo. Senza citare le varie tappe della tua carriera artistica. Credi che questo nomadismo sia fondamentale per nutrire la crescita di un artista? Ho la fortuna di essere curiosa e questo mi ha aiutato nella 74
scelta del mio percorso formativo. Secondo me il nomadismo non è fondamentale per la crescita di un artista, ma di sicuro favorisce una certa “attitudine alla vita”. Inoltre contribuisce ad alimentare una vivacità espressiva, che si rende necessaria quando si devono affrontare le differenti condizioni di un nuovo ambiente artistico e sociale. Per quanto mi riguarda,
viaggiare tanto e specialmente presentare i miei lavori in diversi paesi mi attrae soprattutto per il confronto che si genera sui temi che esploro nel mio lavoro e per le mie performance. Quali sono le difficoltà che incontrano le tue opere, nelle
fasi di concezione, realizzazione e distribuzione? I miei lavori richiedono un periodo di ricerca e di sperimentazione che a volte si rivela più lungo del previsto e questo può generare alcune difficoltà. La sperimentazione, comunque, è senza dubbio la modalità più interessante del processo di realizzazione e quindi, in ogni caso, le difficoltà 75
VISTA sensorialità Tecnologieedel cambiamento OLOGY Tecnologia
Grafica delle rappresentazioni che appaiono sul display dell’opera “Se mi sei vicino” nel momento in cui un visitatore interagisce con la performer. Foto del blog online: Ars Electronica Archive.
che devo affrontare vengono sempre ripagate. Per quanto riguarda la distribuzione dei miei lavori, negli ultimi anni è venuto concretizzandosi un aspetto in particolare. Il fatto che i miei lavori più recenti siano concepiti come eventi performativi con una durata più o meno definita (e che al tempo stesso implichino l’occupazione permanente dello spazio espositivo con il loro allestimento) a volte ne rende complesso l’inserimento in un programma espositivo.
performativo è decisivo nella parte finale del processo, poiché per sperimentarlo compiutamente si rendono necessarie tutte le parti integranti del lavoro. Nella fase iniziale del processo scelgo un team di collaboratori specializzati, in base a quali sono le parti da investigare e/o realizzare. I miei collaboratori si inseriscono in una metodologia di lavoro abbastanza definita, che chiaramente varia a seconda dei risultati da integrare. Il loro apporto creativo è limitato al loro campo di specializzazione e deve sempre e in ogni caso rispondere alle esigenze dell’idea iniziale. Il nostro è «Viaggiare tanto mi un rapporto di feedback continuo.
Le tue opere sono un equilibrio perfetto di elementi di varia natura, compresi la performance e il suono. attrae soprattutto per il Come funziona il processo creativo di tutti questi ingredienti? Ti circondi confronto che si genera La fase performativa dei tuoi lavori, di collaboratori esperti in ciascun sui temi che esploro nel come ci rivelano specialmente “As campo? E loro assumono un ruolo in an artist, I need to rest” e “Se mi mio lavoro» qualche modo creativo o sono meri sei vicino”, è spesso molto faticosa, esecutori di una tua visione a priori quando non addirittura dolorosa. molto chiara? Certamente non per caso... Posso dire che l’idea nasce già completa. Generalmente, Questi lavori sono costruiti sull’aspetto performativo nel il processo comincia con l’identificazione degli aspetti tempo, che si riflette sia su di me che sul pubblico. Come da indagare e con la conseguente scelta di una strategia artista, la mia intenzione è di entrare gradualmente in uno investigativa. Successivamente, con la messa a punto di stato dove spingere il mio corpo e la mia mente oltre il limite, una metodologia, si individuano gli aspetti innovativi perché per me la performance è un mezzo molto importante che richiedono una sperimentazione più ampia. L’aspetto di ricerca artistica. 76
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Fino ad ora, nelle tue performance il piacere del pubblico si traduce in una sofferenza per te. Cosa significa per te questa relazione? Mi interessa offrire al pubblico una possibile condizione voyeristica nella quale prendersi il tempo (o anche più tempi) per vedere l’opera. Mi interessa trascinarlo con me nella successione lenta e crescente dell’evento performativo. L’aspetto della sofferenza, poi, porta il pubblico a mettersi in discussione e a operare una scelta personale: se accettare o meno l’esperienza dell’opera. Non tutte le mie performance si traducono in sforzo fisico. Non si tratta di un presupposto fondamentale del mio lavoro, ma ne diventa parte integrante solo se si rende necessario per generare un’esperienza. Sappiamo, da una tua dichiarazione, che l’opera alla quale sei più legata è “Se mi sei vicino”. Parlacene un po’. Quell’opera era ed è una ricerca pratica sulla possibilità di utilizzare il corpo come interfaccia. Il focus di partenza era l’idea di misurare incontri umani. Il progetto si concentrava sulle interrelazioni di “Corpo a Corpo” e del corpo verso
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lo spazio, esplorando il rapporto conscio e inconscio tra i partecipanti e la loro relazione con l’ambiente . Questo si basava sulla mappatura delle attività elettromagnetiche, le azioni, il movimento, attrazione e repulsione tra i partecipanti e una performer in piedi sull’interfaccia. Un elemento centrale del lavoro era un pavimento sensore su cui questa performer stava in piedi, fungendo così da antenna umana; quando si arrivava vicino o veniva toccata da persone del pubblico, i movimenti del corpo erano registrati come attività elettromagnetica, che a sua volta si traducevano in proiezioni grafiche 3D che mostravano organismi algoritmici in tempo reale. Inoltre il corpo della performer era collegata a dispositivi audio, che, al tatto, creavano una composizione. La distanza relativa tra i corpi determinava ciò che deve essere visto e sentito. Questo lavoro mi è molto caro, in quanto una delle prime sperimentazioni che problematizza la distinzione tra gli attori attivi e spettatori passivi. È nel momento in cui il pezzo è performato che la sua magia arriva al 100%. Tu sai che ti arriva ed è come una magia.
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“Se mi sei vicino� di Sonia Cillari, durante la visita e l’interazione da parte del pubblico. Nel momento in cui un utente si avvicina alla performer, gli schermi mostrano il risultato grafico della loro
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interazione, captata sotto forma di onde elettromagnetiche. Nel mentre si possono udire diverse composizioni audio, che variano a seconda della posizione del visitatore rispetto la performer stessa.
Sensorialità
Multisensorialità
L’interazione che offri allo spettatore è spesso un’esperienza molto intima, che lo distanzia enormemente dalla canonica fruizione passiva. Da un punto di vista più generale, mettendoti nella pelle di uno spettatore, credi che la partecipazione sia indispensabile per garantire la qualità della fruizione? Questo è un aspetto molto importante per me. Lo spettatore è spesso considerato un osservatore distaccato, privo di un rapporto incarnato con il suo “intorno”, soprattutto attraverso la soppressione degli “altri sensi”. Abbiamo bisogno di azionare e raffinare la nostra percezione e quindi le nostre esperienze spaziali. Sono queste le esperienze che determinano come le cose esistono per noi e come facciamo esperienza dell’immenso non-vuoto che ci circonda, in cui siamo immersi come corpo e come agenti di emozioni.
E come vive Sonia Cillari? Cosa occupa il suo tempo che non dedica al suo lavoro (sempre che gliene rimanga)? Non sono mai stata brava a prendermi cura di me. Il mio tempo è quasi interamente dedicato al mio lavoro e ai viaggi che ne sono conseguenza. Adoro stare da sola. Ad Amsterdam, con i miei amici più cari, mi occupo di Optofonica Lab, un laboratorio di ricerca artistica e scientifica. In questo modo riesco a conciliare l’amicizia con il lavoro.
Di cosa ti alimenti? Come spettatrice, che tipo di arte ti piace? Cosa leggi? Cosa ascolti? Quali artisti (o non artisti) ti offrono più spunti?
Hai già in mente o stai già lavorando su un nuovo progetto? Ho un’idea che mi piacerebbe tradurre in un progetto, ma non è ancora compiuta. Meglio non anticipare.
Le foto di Pau Waelder mostrano l’ opera multisensoriale dell’artista italiana Sonia Cillari: “As an Artist, I need to rest” del 2010. Respirando, l’artista genera una
Leggo libri e riviste di arte contemporanea. Mentre lavoro, spesso ascolto Bach e radio che trattano argomenti sociali. Mi rilasso facendo lunghe passeggiate e sono appassionata di cinema d’autore. Cerco di trovare in me stessa, nei miei desideri personali, gli spunti per i miei lavori.
grafica sul display che la performer chiama “piuma”. Durante la performace può portare la piuma può assumere sei diverse configurazioni come è possibile vedere
nelle foto in pagina. Un’esibizione che che coinvolge la vista, l’olfatto e l’udito in qualcosa di davvero unico. Un vero mix tra tecnologia e sensorialità.
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CONTRIBUTORS Giulia Boschi Communication designer
Designer della comunicazione, quattro anni fa ho deciso di abbandonare la verde e ridente Toscana per studiare a Milano (non giudicatemi, anche io mi sto ancora chiedendo perché). Mi vesto sempre di nero ma sotto sotto sono una persona positiva. Il mio motto? “È gratis? Allora ok!”. senzagrazia.tumblr.com
Anna Gialluca Photographer
Milanese di origini abruzzesi, studio al Politecnico di Milano Design della Comunicazione. Sono onnivora, mi nutro di tutto ciò che è cultura visiva e materica. Amo l’analogico e credo nella fisolofia DIY. behance.net/annagialluca
Elmira Masoumi Graphic designer
Sono iraniana, ho studiato per quattro anni Graphic Design all’Università Shahid Rajaee di Tehran. Attualmente studio al Politecnico di Milano, dove vivo. Mi sono trovata bene a lavorare con questo team. Il mio motto è “Volere è potere”. it.linkedin.com/pub/elmira-masoumi/64/961/5a
Agnese Cunsolo Graphic designer
Siciliana all’ anagrafe e per scelta, mi sono accidentalmente laureata a Napoli in Design della Comunicazione. Il mio motto è “carpe diem siempre”.
linkedin.com/in/agnesecunsolo
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Nel prossimo numero
AMORE  2.0 Nell’era del dating online, dei social network e degli smartphone non sempre educati aumentano le occasioni di flirtare, creare relazioni, a piÚ livelli. Cosa significa amare ai tempi di internet?
sensoriale
[sen-so-riĂ -le] sf. sing. Relativo ai sensi e alla percezione da essi operata: attivitĂ s.; che riguarda gli organi di senso: apparato s.