Sistemi in evoluzione

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SISTEMI IN EVOLUZIONE Una strategia di adattamento resiliente ai cambiamenti della costa nord di Ravenna


UniversitĂ degli studi di Ferrara Dipartimento di Architettura


SISTEMI IN EVOLUZIONE Una strategia di adattamento resiliente ai cambiamenti della costa di Ravenna

LAUREANDE Lazzarini Giulia Montanari Annalisa R E L AT O R E Dorato Elena C O R R E L AT O R I Farinella Romeo Giambastiani Beatrice Maria Sole

Te s i d i l a u r e a a . a . 2 0 1 9 - 2 0 2 0 Sessione Autunnale 2020


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Pialassa Baiona, Ravenna 5


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INDICE 0. ABSTRACT

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1. CONTESTO E TERRITORIO 1.1 La costa a Nord di Ravenna 1.2 Un territorio artificiale: le bonifiche 1.3 Aree naturali protette

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2. ANALISI TERRITORIALE 2.1 Reti e infrastrutture a. Tracciati b. Acque

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2.2 Sistema ambientale a. Pinete costiere b. Dune costiere c. Aree umide patrimonio naturale

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50 57

74 89 97

2.3 Economie del territorio a. Urbanizzazzione e turismo b. Porto e Polo industriale

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2.4 Gestione ed effetti della dinamica litoranea a. Alluvioni e allagamenti b. Subsidenza c. Erosione costiera d. Intrusione salina e. Interventi di mitigazione

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3. NUOVE STRATEGIE 3.1 Strategia di intervento: finalità e obiettivi

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3.2 Ambiti di progetto e nuova configurazione territoriale a. Area umida b. Fascia retrodunale c. Fascia costiera

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4.CONCLUSIONI

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SCHEDE PROGETTO

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BIBLIOGRAFIA

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SITOGRAFIA

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CARTOGRAFIA

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RINGRAZIAMENTI

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ELABORATI GRAFICI

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Pialassa Baiona, Ravenna 10


ABSTRACT

La fascia costiera che interessa la provincia di Ravenna è un sistema lineare caratterizzato da scenari diversificati e complessi: coesistenza di aree umide ed edificate, scarsità di zone permeabili, successione continua di paesaggi diversi. Il nostro percorso tratta il tema della riconfigurazione del territorio compreso tra la statale Romea e la costa Nord di Ravenna, soggetto a molteplici problematicità, quali una forte pressione turistica stagionale, una continua erosione costiera, subsidenza dei terreni, alluvioni che minacciano gli insediamenti, una difficile gestione delle acque, salinizzazione di suolo, acque superficiali e sotterranee. La fascia costiera che comprendente i lidi Casalborsetti, Marina Romea e Porto Corsini risulta stretta dalle acque lagunari della Pialassa della Baiona e dal canale Candiano, il quale sfocia nel porto di Ravenna e ospita al suo interno due importanti oasi palustri. Gli studi sugli impatti futuri dell’inondazione costiera per la costa emiliano-romagnola dovuti ai cambiamenti climatici, sviluppati da Perini (2017), prevedono uno scenario di alterazione irreversibile del sistema costiero. A fronte di questi cambiamenti l’obiettivo è quello di accompagnare e guidare le inevitabili trasformazioni del territorio, salvaguardando le aree dei lidi e i suoi ecosistemi naturali ad alta biodiversità, a fronte dell’alto rischio idrogeologico, attraverso l’applicazione di interventi di adattamento e mitigazione in evoluzione nel tempo. 11


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1. CONTESTO E TERRITORIO

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1.1 La costa a Nord di Ravenna Il territorio comunale di Ravenna è situato all’estremità orientale della pianura emilianoromagnola, confina a Nord con i comuni di Comacchio e Argenta, ad Ovest con i comuni di Alfonsine, Bagnacavallo e Russi, a Sud con quello di Cervia, Forlì, Bertinoro e Cesena, a Est con il Mare Adriatico. Il territorio, completamente pianeggiante, è costituito da una pianura alluvionale costiera generata dai depositi di numerosi fiumi e torrenti provenienti dall’Appennino emiliano-romagnolo. Esiste un’estesa fascia costiera costituita da alternanze di depositi sabbiosi di cordone litorale e dune eoliche parallele alla linea di costa con intervallati limi e sabbie fini derivanti dalla deposizione in ambiente paludososalmastro tra un cordone e l’altro. Alcune zone nella parte settentrionale del territorio comunale sono poi interessate dalla presenza di terreni sabbiosi fini deposti in ambiente di laguna. La morfologia del territorio è quella tipica di una pianura alluvionale intensamente antropizzata, con alvei fluviali pensili aventi argini rialzati e 14


rinforzati dall’uomo, nel corso dei secoli scorsi, per consentire il deflusso incanalato e proteggere le aree abitate e coltivate dalle frequenti esondazioni dovute alle improvvise piene dei fiumi. Il litorale del Comune di Ravenna è costituito da 9 località dislocate lungo circa 40 km di costa che si estende da nord della foce del fiume Reno a sud della foce del fiume Savio, un territorio dove le dinamiche dei fiumi e delle valli hanno avuto significativi riflessi sulla sua formazione. Questo progetto si interessa dell’area dei Lidi Nord - Casalborsetti, Marina Romea, Porto Corsini - e dei sistemi naturali e artificiali che affiancano la linea di costa e caratterizzano il terrotorio. L’area ravennate ha conosciuto, particolarmente nel secondo dopoguerra, un complesso di trasformazioni che hanno profondamente modificato l’assetto ambientale formatosi, nel corso dei secoli, per effetto di eventi naturali e di opere dell’uomo dirette a controllarne i fenomeni idraulici. Ad una lunghissima creazione artificiale di territorio, in cui avevano grande spazio gli elementi di carattere naturalistico, è subentrata 15


una fase - quella attuale - di prevalente e continua distruzione di questi elementi; ciò che ne resta ha finito così per assumere ruoli e significati residuali e sostanzialmente marginali. La continuità spaziale del sistema litorale delle dune, delle lagune e delle pinete, ancora esistente alla fine del secolo scorso, è stata frantumata in diversi tronconi che spesso non comunicano più tra di loro né in senso longitudinale né in senso normale della costa. Se si aggiunge che gli insediamenti industriali e commerciali lungo il Candiano hanno prodotto manufatti e forme di organizzazione territoriale che nel giro di pochi anni hanno in gran parte raggiunto le soglie dell’obsolescenza, mentre quelli turistici, spesso cresciuti all’insegna della speculazione edilizia, oggi tendono a ospitare quote crescenti di popolazione residente, ne deriva un insieme frammentario dove si mescolano vitalità ed abbandono, emergenza e residualità, preziosità e degrado. Una menzione particolare merita il fenomeno della subsidenza, che nella zona della 16


pianura ravennate è particolarmente intenso, soprattutto per l’emungimento di acqua dal sottosuolo ed in misura minore e più localizzata per la coltivazione dei giacimenti di gas a terra ed a mare in piattaforma. Negli ultimi 30-40 anni infatti il territorio della zona di Ravenna ha subìto notevoli abbassamenti, specialmente nell’area della zona industriale, dove è più alta la concentrazione di pozzi. Specialmente nei primi anni ’70 le velocità di abbassamento del suolo sono state molto elevate, fino ad alcuni cm/anno mentre, attualmente tali valori si sono molto ridotti per l’applicazione di una serie di misure e di provvedimenti volti ad un più razionale sfruttamento delle risorse sotterranee, non arrivando tuttavia ad annullarsi completamente anche per la presenza di un inevitabile, seppur limitato, fenomeno naturale di abbassamento del terreno. (Comune di Ravenna, 2009)

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PUNTI ATTRATTORI

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1.2 Un territorio artificiale: le bonifiche Abitato fin da tempi molto antichi, passato nel corso dei secoli attraverso varie dominazioni, anche straniere, e sede di primaria importanza istituzionale tra cui anche la capitale dell’Impero Romano d’Occidente, il territorio comunale di Ravenna durante la sua storia ha subìto intense modificazioni sotto l’aspetto fisico, dovute ad attività antropiche volte in particolar modo all’ottimizzazione delle risorse produttive disponibili e ad uno sfruttamento più razionale degli spazi urbani e dell’ambiente circostante.

A lato: A. Ambrosini da Decimo, Corso del Reno ed altri fiumi che inondano il piano di Bologna, Ferrara e Romagna, con la linea o taglio da regolarli, dedicata alla S. di N. Sign. re Innocenzo XII dal P. Antonio Ambrosini da Decimo, l’anno 1698, Biblioteca Ariostea di Ferrara, serie XVI-78

Di importante rilevanza sono stati gli interventi di bonifica, che hanno consentito, attraverso la costruzione di una fitta rete di canali e di impianti idrovori, di dedicare all’attività agricola estese aree in precedenza vallive ed umide, e quindi inutilizzabili. Le prime bonifiche sono accertate già dal 13º secolo, in particolare negli ultimi anni di questo, per effetto di azioni dove l’uomo ha sicuramente avuto mano, in un’ampia zona di acquitrini nota col nome di “Valle dei montoni” contenuta fra le grondaie a sud del fiume Liviense (odierno Montone) e a 23


nord del fiume Teguriense (odierno Lamone). Più presso l’abitato urbano la sezione orientale della stessa valle fu oggetto nel 1303 di un piano di prosciugamento. Lamberto della famiglia dei Polentani, all’inizio del 14º secolo, ha il merito di aver iniziato notevoli opere di scolo e di canalizzazione nel territorio di media giacitura, compreso fra i due fiumi Ronco e Montone. Bonifica “gregoriana”: di Gregorio XIII 1578, il progetto di colmata rimane inalterato, ma si perfeziona e si integra con l’erezione di argini continui intorno alle valli da alluvionare. Bonifica di 12.000 ha, sempre con spandimenti di torbide del Lamone. L’allacciamento del Lamone al Primaro, ad opera dei veneziani nel 1504, aveva stralciato dal resto della Padusa circa 10.000 ha di terreni, quasi tutti allagati, inclusi tra la città, gli staggi della pineta e gli stessi spalti dei due fiumi. Viene terminata circa nel 1643. La bonifica fu un insuccesso; si era acquisita più che altro una riduzione di aree ove prevaleva lo stagno di minor profondità. 24


L’essiccazione e la conquista alle coltivazioni e agli insediamenti delle aree ravegnane, che per molti secoli erano state dominate o condizionate dalle acque delle valli, poté avviarsi efficacemente e poi realizzarsi a mezzogiorno della città solo dopo la più razionale inalveazione del Montone e del Ronco fra il 1733 e il 1739, e a nord e ovest della città soprattutto dopo la definizione fra il 1748 e il 1782 del vaso del Primaro come alveo del Reno. (Berengo,M. Ricci,G. Fontana,V. Pirazzoli,N., 1994) Nel 1839 cominciò una nuova fase nella storia delle bonifiche. Il 7 dicembre il Lamone in piena sfondò l’argine destro presso Ammonite e l’acqua invase la campagna intorno. Si pensò allora, invece di restaurare l’argine, di condurre le acque del Lamone nelle valli a nord di Ravenna in modo che si prosciugassero tramite la colmata alluvionale. Queste valli vennero circondate da un argine e formarono un grande lago, la cassa di colmata, in cui vennero condotte le acque torbide del Lamone per mezzo di un corso artificale. Quando le argille e le arnerie si erano 25


Le bonifiche lungo i secoli

1578 Bonifica Gregoriana

1750

depositate, le acque chiare venivano fatte uscire dalla cassa attraverso quattro canali di scolo, defluivano nella Pialassa della Baiona e di qui al mare. Questo processo di bonifica fu molto lento e fu terminato negli anni in cui fu costruito il corso del Lamone, che sfocia nel mare poco più a nord di Marina Romea. Al momento della rotta del 1839, cui seguì il disallineamento del fiume Lamone, rimanevano ancora, quasi ai margini settentrionali dell’abitato di Ravenna, valli interne litoranee profonde, estese per circa 10.000 ha, pescose e malariche, limitate dall’argine destro dell’abbandonato Lamone. (Montanari, 2000)

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Dal 1892 al 1911


Dal 1912 al 1935

Dal 1936 al 1960

Dal 1961 al 1965

Il 25 giugno 1882 viene approvata la prima legge sulle bonifiche presentata da Alfredo Baccarini e il risanamento igienico è definito di pubblico interesse. Le opere di bonifica di prima categoria devono essere eseguite direttamente dallo Stato, in quanto pubbliche, e sono a suo carico per il 50%, mentre le province e comuni vi partecipano col 25% e il rimanente 25% è a carico dei proprietari privati. Le bonifiche sono suddivise in due categorie: alla prima appartengono le opere di rilevante importanza non solo dal punto di vista agricolo ma anche igienico, e alla seconda tutte le altre. Agli inizi del 1900 vengono installati impianti di sollevamento, che si aggiungono alle opere di colmata, intensificando le bonifiche a sud della cittĂ e sulla fascia litoranea. Vengono costruite architetture idrauliche. Ăˆ la bonifica renana, 27


seppure non esclusivamente questa, a costituire una grande trasformazione del ravennate: quando i lavori principali terminano nel 19291930 parte della provincia di Ravenna non è piÚ la stessa di un quarto di secolo prima. Una fitta rete di canali scorre da ovest verso il mare, la malaria può dirsi virtualmente sconfitta, decine di ponti costruiti con nuove tecniche in cemento armato assicurano i collegamenti viari. (Berengo,M. Ricci,G. Fontana,V. Pirazzoli,N., 1994) 28


Evoluzione della linea di costa dal sec. IV a.C. al sec. XXI.

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Oasi Valle mandriole, Ravenna 30


1.3 Aree naturali protette La provincia di Ravenna, con quella di Ferrara, vanta una delle maggiori densità di aree naturali protette d‘ltalia, che si possono distinguere in tipologie ben precise: lungo la sottile bordura di acque e terre che forma la costiera adriatica, dalle Saline di Cervia fino alle valli di Comacchio, si sono preservate le aree umide, patrimonio naturalistico di eccezionale qualità e bellezza. In un‘interessante alternanza di acque e terra poi si estendono le verdi pinete. Queste aree protette fanno capo al Parco naturale regionale del Delta del Po dell’Emilia-Romagna. Nella pianura, solcata da numerosi corsi d‘acqua ormai per lo più regimati, si sono isolate alcune aree di riequilibrio ecologico, nelle quali si ‘aiuta’ l’ambiente a svilupparsi spontaneamente, connettendo, dove é possibile, ambiente e arte. Il Parco del Delta del Po, di estensione 54 000 ettari circa, è stato istituito nel 1988 per consentire un’efficace azione di tutela e conservazione della biodiversità regionale, per attuare una gestione coordinata delle 31


Aree Protette e dei Siti Rete Natura 2000, per contribuire alla costruzione della rete ecologica regionale, arrestare la perdita della biodiversità regionale, garantire l’informazione consapevole ed informata delle Aree Protette e dei Siti ReteNatura 2000 da parte dei cittadini e migliorarne l’efficacia gestionale individuando un ambito adeguato di esercizio della funzione e razionalizzazione della spesa, salvaguardando le aspettative delle generazioni future. Il Parco inoltre effettua un’azione di facilitatore nel raggiungimento degli obiettivi di miglioramento delle condizioni economiche e sociali delle popolazioni, promuovendo e valorizzando le attività economiche sostenibili e ponendo al centro l’uomo e la natura. Il parco è ricompreso tra la Provincia di Ravenna e la provincia di Ferrara ed il 2 dicembre 1999 è entrato a far parte della lista dei patrimoni dell’umanità stilata dall’UNESCO. 32


Le aree naturali sono suddivise in sei stazioni per ognuna delle quali è previsto uno specifico piano territoriale: - Stazione - Stazione - Stazione Ravenna - Stazione Cervia - Stazione - Stazione

Volano-Mesola-Goro Valli di Comacchio Pineta di S.Vitale e Piallasse di Pineta di Classe e Salina di Campotto di Argenta Centro storico di Comacchio

Il Parco Delta del Po è stato istituito con legge regionale n. 27 del 19881 e fino al 1996 fu in gestione provvisoria delle Provincie di Ferrara e Ravenna. Dal mese di febbraio 1996 nasce il Consorzio di gestione del Parco Regionale del Delta del 33


Po Emilia Romagna fino al 31/12/2011, data in cui il Consorzio è stato sciolto in conseguenza dell’entrata in vigore della Legge Regionale EmiliaRomagna n. 24 del 23/12/20112, con la quale è stato avviato un processo di riordino delle Aree Protette e dei Siti Rete Natura 2000, attraverso l’istituzione di cinque Macroaree per i Parchi e la Biodiversità e il contestuale scioglimento dei Consorzi di gestione.

1. Legge Regionale 2 Luglio 1988, n. 27 Istituzione del Parco Regionale del Delta del Po. 2. Legge Regionale 23 Dicembre 2011, N. 24 “ Riorganizzazione del sistema Regionale delle aree protette e dei siti della Rete Natura 2000 e istituzione del Parco Regionale dello Stirone e del Piacenzano”. 34


Il parco protegge inoltre: • 11 zone umide di importanza internazionale (convenzione di Ramsar); • 18 siti di interesse comunitario (direttiva 92/43/CEE); • 16 zone a protezione speciale (direttiva 79/409/CEE) per la conservazione degli uccelli. (Regione Emilia-Romagna, 2012)

3. Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206 del 22.7.1992, pag. 7) 4. Direttiva del Consiglio del 2 aprile 1979 concernente la conservazione degli uccelli selvatici (79/409/CEE) (GU L 103 del 25.4.1979, pag. 1) 35


L’Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità – Delta del Po svolge le funzioni amministrative in materia ambientale e biodiversità subentrando nei rapporti attivi e passivi del disciolto Consorzio del Parco Regionale del Delta del Po. Il territorio regionale sulla base dei principi di adeguatezza, semplificazione ed efficienza amministrativa è stato suddiviso in 5 Macroaree con caratteristiche geografiche e naturalistiche omogenee, definite Macroaree per i Parchi e la Biodiversità. Per ogni Macroarea è istituito un Ente Pubblico (ente di Gestione). L’Ente di gestione è finanziato principalmente da fondi trasferiti dalla Regione Emilia Romagna e da contributi di altri enti. Inoltre ai sensi dell’art. 3 comma 8 della L.R. 24/20115 partecipano obbligatoriamente a finanziare l’Ente Parco Delta del Po tutti i Comuni il cui territorio è anche solo parzialmente incluso nel perimetro del Parco, nonché quelli il cui territorio sia ricompreso, anche parzialmente, nell’area contigua e le Provincie il cui territorio è interessato da Parchi, Riserve o Siti della Rete Natura 2000 inclusi nella Macroarea.(Parco Delta del Po, 2018-2022)

5. Legge Regionale 23 Dicembre 2011, N. 24 “ Riorganizzazione del sistema Regionale delle aree protette e dei siti della Rete Natura 2000 e istituzione del Parco Regionale dello Stirone e del Piacenzano”. Art. 3 Enti di gestione per i Parchi e la Biodiversità, comma 8. All’Ente di gestione per i Parchi e la Biodiversità, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 23 della Legge n. 394 del 1991, partecipano obbligatoriamente tutti i Comuni il cui territorio è anche solo parzialmente incluso nel perimetro di un Parco, nonché quelli il cui territorio anche parzialmente sia ricompreso nell’area contigua, e le Province il cui territorio è interessato da Parchi, Riserve o da Siti della Rete natura 2000 inclusi nella Macroarea. Lo statuto determina le quote di contribuzione cui è tenuto ciascun Ente locale. 36


Piano territoriale del Parco del Delta del Po, sei stazioni.

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AREE RAMSAR La Convenzione sulle Zone Umide (Ramsar, Iran, 1971), è un trattato intergovernativo che fornisce il quadro per l’azione nazionale e la cooperazione internazionale per la conservazione e l’uso razionale delle zone umide e delle loro risorse. Le zone umide sono tra gli ambienti più produttivi al mondo. Conservano la diversità biologica e forniscono l’acqua e la produttività primaria da cui innumerevoli specie di piante e animali dipendono per la loro sopravvivenza.

AREE DI RIEQUILIBRIO ECOLOGICO Le Aree di riequilibrio ecologico sono costitute da aree naturali od in corso di rinaturalizzazione, di limitata estensione, inserite in ambiti territoriali caratterizzati da intense attività antropiche che, per la funzione di ambienti di vita e rifugio per specie vegetali ed animali, sono organizzate in modo da garantirne la conservazione, il restauro, la ricostituzione. La gestione delle aree è affidata ai Comuni o a loro forme associative.

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NATURA 2000 Natura 2000 è il principale strumento della politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità. Si tratta di una rete ecologica diffusa su tutto il territorio dell’Unione, istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE “Habitat” per garantire il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario. E’ costituita dai Siti di Interesse Comunitario (SIC), , che vengono successivamente designati quali Zone Speciali di Conservazione (ZSC), e comprende anche le Zone di Protezione Speciale (ZPS) istituite ai sensi della Direttiva 2009/147/CE ‘’Uccelli’’ concernente la conservazione degli uccelli selvatici.

6 . Direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992 relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU L 206 del 22.7.1992, pag. 7) 7. Direttiva 2009/147/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009 concernente la conservazione degli uccelli selvatici 39


Parchi e tutete

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In collaborazione con il GAL Delta 2000 sono state sottoscritte le convenzioni per la realizzazione di diversi progetti delle Porte del Delta - Land Mark, della cartellonistica e dell’educazione ambientale e di percorsi di educazione ambientale. Si tratta di progetti finanziati nell’ambito del Piano di sviluppo rurale “Sostegno dello sviluppo locale LEADER”. L’azione di tutela e valorizzazione del sistema naturale in capo all’Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità - Delta del Po si attua attraverso un complesso e articolato rapporto con i principali “attori” presenti nel territorio di riferimento, in primis quelli “istituzionali” di governo del territorio e poi con le rappresentanze economico-sociali e i principali “gruppi di interesse” che riconoscono le finalità dell’Ente, che deve interpretare “l’interesse collettivo” per il bene comune “ambiente”. 42


E’ stato dato avvio ad un percorso di coinvolgimento degli stakeholders finalizzati a rendere partecipi i tanti attori nelle azioni di tutela e conservazione che il Parco è chiamato ad intraprendere. Con tale finalità sono stati organizzati incontri pubblici per la diffusione dei principali obiettivi della Riserva di Biosfera. Si intende dare continuità a questi momenti di confronto, anche in ottica di preparazione dell’intesa tra le Regioni EmiliaRomagna e Veneto per l’istituzione del Parco Unico. (Parco Delta del Po, 2018-2022)

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Pineta San Vitale e Pialassa Baiona, Ravenna 45


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2. ANALISI TERRITORIALE

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2.1 Reti e infrastrutture I principali collegamenti stradali del territorio del comune di Ravenna sono, verso nord, la Strada Statale Romea (309) e la Statale Adriatica (16) mentre, verso sud, la stessa Statale Adriatica, la Superstrada Ravenna-Orte (E45) e la Statale Tosco-Romagnola (67); verso ovest il raccordo autostradale con l’Autostrada A14 e la Statale di San Vitale (253), e verso est i numerosi accessi al mare Adriatico. I collegamenti ferroviari sono costituiti dalla linea Ferrara-Rimini e dalla Ravenna-Bologna; sono tracciati ferroviari in cui transitano prevalentemente treni a carattere regionale, ma da Rimini, Ferrara e Bologna si possono poi sfruttare le linee a lunga percorrenza, attraverso cui si possono rapidamente raggiungere le altre località italiane. Il porto di Ravenna costituisce sicuramente un importante nodo di comunicazioni, prevalentemente commerciale, tra i principali dell’Adriatico, in quanto movimenta annualmente oltre 20 milioni di tonnellate di merci. Le banchine di carico e scarico si estendono complessivamente per circa 12 km e sono attrezzate con le piÚ moderne tecnologie di movimentazione di svariati generi di prodotti, che vengono stoccati in ampie aree di deposito e magazzini direttamente collegati ai mezzi di trasporto via terra, specialmente sulla rete ferroviaria. 48


Rete della viabilitĂ

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2.1.a Tracciati STRADA ROMEA La strada Romea rappresenta un percorso di notevole interesse storico, perché ricalca in parte il tracciato di un’antica strada medievale che collegava Venezia a Roma e che aveva funzione commerciale, oltre a costituire una via di transito per i pellegrini cristiani diretti alla città eterna e per questo detti romei. La denominazione “Romea”, la cui origine può riferirsi sia al fatto che la strada consentiva di giungere fino a Roma, sia al fatto che il percorso riprendeva antichi tracciati “romani”, ha portato a crederla una strada privilegiata per i pellegrini diretti alla Città Santa. La via Romea oggi attraversa una vasta pianura a tratti ancora paludosa, a tratti boschiva, animata da qualche piccolo centro abitato. In antico il tragitto Venezia-Ravenna doveva svolgersi in parte via mare, e solo in parte, e in prossimità di Ravenna, via terra e a guado, lungo l’antico percorso del Po di Primaro, oggi fiume Reno. Giunto in prossimità di Ravenna il viaggiatore si imbatteva 50


in numerose costruzioni, la maggior parte delle quali di tipo religioso, e in un ospizio per pellegrini, ubicato alla foce del Primaro. Le costruzioni religiose erano monasteri di cui oggi conosciamo solo il nome e in alcuni casi l’ubicazione: Sant’Adalberto in Pereo, Santa Maria in Palazzolo, Santa Maria della Rotonda. All’inizio del XX secolo il suo tracciato era più lungo: prendeva il nome di via Litorale o Romea anche il tratto di strada litoranea che portava da Ravenna a Rimini (oggi questo percorso fa parte della SS 16 Adriatica). Il progetto di costruzione di una strada litoranea da Ravenna a Mestre venne avanzato negli anni trenta del XX secolo, per servire le aree paludose del delta padano prive di collegamenti interregionali e in previsione di una loro progressiva bonifica. Il progetto prevedeva anche un tronco litoraneo da Mestre a Monfalcone, mai eseguito. Oggi La SS 309 costituisce un importantissimo asse viario in direzione nord-sud per le comunicazioni dall’Emilia-Romagna e dalla 51


Riviera romagnola verso il Veneto (infatti attualmente non esiste un’autostrada che segua la medesima direzione a oriente dell’A13 Bologna-Padova). Interessa le provincie di Ravenna, Ferrara, Rovigo, Padova e Venezia, attraversando da sud verso nord i lidi Ravennati, le Valli di Comacchio, il delta del Po e lambendo infine tutta la parte meridionale della laguna di Venezia superando Po, Adige, Brenta-Bacchiglione e numerosi canali artificiali. La strada assume dunque anche importanza turistica, oltre che di collegamento. (Comune di Ravenna, 2009) 52


Sezione della Strada Romea, a sinistra la Pineta San Vitale e a destra Punte Alberete

ITINERARI TURISTICI La forte vocazione turistica di Ravenna suggerisce il rafforzamento degli itinerari a servizio delle principali destinazioni monumentali e culturali e delle principali risorse naturalistico - ricreative. Rientrano in questo ambito i collegamenti tra i parchi, cittĂ -Iitorale e la rete interna ai centri balneari. In relazione ai rilevamenti della rete del Comune di Ravenna si riassume la suddivisione dei tracciati in percorsi ciclabili, ciclopedonali di tipo urbano, extraurbano, naturalistico e ciclo escursionistico. In estrema sintesi sul territorio comunale insistono 308 km di percorsi pedalabili tra classificati, non classificati e sommitĂ arginali. Alcuni tratti delle sommitĂ arginali non sono ancora sottoposte a concessione, anche se ampiamente utilizzate. Sono stati introdotti 52 km di nuovi tratti di percorsi pedalabili nella pianificazione della mobilita ciclistica. In totale il territorio potrebbe godere di percorsi pedalabili per 360 km tra percorsi urbani, extraurbani e naturalistici. 53


Il progetto del piano della mobilità ciclistica 2018 prevedeva molti elementi su cui puntare, tra i quali il completamento degli attuali itinerari ciclabili, posti in adiacenza alle principali radiali di accesso alla città, lungo i quali si svolgono i maggiori flussi ciclabili per gli spostamenti casaIavoro e casa-scuola, che garantiscano continuità alla rete e intervengano sulle discontinuità e che consentono agli utenti di raggiungere il limite della zona 30 KM/h del centro cittadino. Interventi quindi di completamento relativi sia ad itinerari completi, oppure di brevi tratti di collegamento tra la rete principale (radiali) e i grandi poli attrattori/generatori di traffico (stazione, polo ospedaliero, poli scolastici, principali parcheggi in prossimità della ZTL), Ia cui mancanza può pregiudicare l’utilizzo sistematico della bicicletta per tali relazioni. Il Pums, Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, prevedeva inoltre le relazioni tra i tracciati urbani e quelli extraurbani creando le condizioni per rendere efficiente ed efficace il sistema delle ciclovie di collegamento con i comuni limitrofi (Cervia, Comacchio, Cesena, Faenza, Forlì, ecc), incentivando la vocazione turistica e favorendo gli spostamenti ciclo turistici e migliorando le relazioni con i principali attrattori di mobilità ciclo-turistica di carattere naturalistico, parchi e sommità arginali. (Comune di Ravenna, 2018) 54


Itinerari turistico- naturalistici dei Lidi Nord

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Pialassa Baiona, Ravenna 56


2.1.b Acque Il territorio provinciale presenta un intreccio particolarmente complesso di corpi idrici, superficiali e sotterranei, dolci e salmastri, naturali ed artificiali, che ne modellano e caratterizzano la morfologia ed il paesaggio dall’Appennino sino alle Valli di Comacchio ed al mare Adriatico. La complessità strutturale si accompagna ad una particolare delicatezza degli equilibri tra i corpi idrici e tra questi ed il territorio. Coerentemente con la prospettiva dello sviluppo sostenibile, il governo delle risorse idriche ha come fine principale la loro conservazione e la loro salvaguardia, assicurando nel contempo il mantenimento della vita acquatica, una sempre maggiore qualità dell’ambiente, la qualità della vita dell’uomo e tutti gli usi connessi alle attività economiche che siano compatibili. Strategie di risparmio e gestione sostenibile dell’acqua da una parte e di controllo e tutela dall’inquinamento dall’altra, devono assicurare, insieme alle più tradizionali strategie infrastrutturali, la conservazione e la salvaguardia della risorsa idrica nell’intero territorio della 57


provincia di Ravenna. Il mare Adriatico, che riceve ed accoglie le acque dell’entroterra, rappresenta una risorsa ambientale, sociale ed economica di eccezionale rilievo e per questo viene controllato e difeso, allo scopo di conciliare le attività umane con il recupero ed il mantenimento di un equilibrio il più possibile simile a quello naturale. La presenza del Porto di Ravenna, sia attraverso le attività di trasporto industriale e commerciale, sia con la cantieristica e la pesca, esercita una significativa pressione sull’ambiente, più che altro concentrata sul portocanale Candiano e sulla Pialassa del Piombone. Il porto di Ravenna è costituito dalla zona di mare racchiusa tra le dighe foranee Cavalcoli e Zaccagnini, dal Canale Candiano, dal Canale Baiona e dalla Pialassa del Piombone. L’area occupata dalle banchine e dal Canale cade sotto la giurisdizione dell’Autorità Portuale di Ravenna e la dinamica portuale 58


è regolata nell’ambito del Piano Regolatore del Porto (PRP). Schematicamente la parte sinistra del Canale ospita prevalentemente impianti produttivi, mentre quella destra è adibita per lo più ad attività di scarico/carico, movimentazione e deposito. L’area portuale include circa 12 km di banchine, le relative strutture di carico, scarico e movimentazione delle merci, nonché piazzali e magazzini per i loro stoccaggi. Le zone a ridosso delle banchine ospitano ampie aree e strutture dedicate allo stoccaggio delle merci: i piazzali di deposito occupano oltre 870.000 m , quelli per container e rotabili 460.000, i magazzini per merci varie ca. 160.000, quelli per rinfuse oltre 1.770.000 m . La capacità dei silos è di circa 380.000 m e quella dei serbatoi per prodotti liquidi non petroliferi è di oltre 325.000 m . All’interno dell’area portuale, seppur non serviti da banchine d’approdo, operano innumerevoli altri piazzali e magazzini. Il porto di Ravenna, uno 59


dei principali d’Italia, movimenta annualmente oltre 20 milioni di tonnellate di merci, con oltre cinquanta aziende impegnate in operazioni portuali. L’area portuale si configura soprattutto come punto di arrivo di svariate tipologie di prodotti (petroliferi, fertilizzanti, cerealicoli, liquidi chimici, alimentari, siderurgici, ecc.), trasportate poi via terra grazie alla presenza di collegamenti viari e ferroviari. Lo scalo ravennate è inoltre il principale porto italiano per la movimentazione di cereali, fertilizzanti e sfarinati ad uso animale. Nell’arco temporale considerato il movimento di navi nel porto si presenta sostanzialmente stabile. (Regione Emilia-Romagna, 2005) 60


I BENEFICI ATTESI DAL PROGETTO IDROVIA I benefici indotti da un sistema di trasporto tramite vie navigabili contribuiscono in maniera significativa a soddisfare gli obiettivi europei cosiddetti 20-20-20, fissati nel 2007 dal Consiglio Europeo: entro il 2020 si chiedeva all’Europa di ridurre le emissioni a effetto serra del 20% e al tempo stesso di aumentare la quota di energie rinnovabili e l’efficienza energetica del 20%.Per il 2050, poi, l’asticella si alza ancora, perché ci sarà quasi da azzerare le emissioni, con una riduzione compresa tra l’80 e il 95%. L’asse trasversale Est-Ovest della pianura padana è fra i più congestionati in Europa e presenta criticità per carenza di strutture logistiche, per i bassi livelli di affidabilità ferroviaria, stradale e autostradale, per l’elevata curva di incidenti stradali e per l’impatto sull’ambiente e sui consumi energetici. Per quanto riguarda l’incidenza della congestione, in generale questa costa all’Europa l’1% circa del PIL annuale. Si prevede che il trasporto merci crescerà del 40% entro il 2030 e dell’80% entro il 2050. I trasporti, inoltre, dipendono 61


dal petrolio per il 96% del loro fabbisogno di energia. In vista del continuo aumento del prezzo del petrolio è necessario trovare una soluzione. Per quanto riguarda le emissioni prodotte dai trasporti, la riduzione prevista entro il 2050 è del 60% rispetto al 1990. L’utilizzo delle idrovie riduce notevolmente l’inquinamento ambientale del traffico stradale: una chiatta da 1.350 tonnellate equivale a 50 Tir, inoltre con 5 litri di gasolio una chiatta riesce a percorrere una distanza di 500km, mentre un Tir con lo stesso rifornimento ne percorre 100. L’Italia oggigiorno utilizza il trasporto su gomma per l’85% delle merci, mentre per via marittima e interna la percentuale è del 12%. In tale scenario occorre valorizzare il trasporto idroviario e il fiume Po. Sono richiesti investimenti ingenti sulle vie navigabili, ma decidere di effettuarli garantisce un ritorno non solo in termini economici, ma anche ambientali e sociali. L’infrastruttura idroviaria, rispetto a quella stradale, consente di interpretare meglio, in termini numerici, l’analisi costi benefici secondo le indicazioni date dalla Commissione Europea in termini di riduzione del costo 62


generalizzato del trasporto e riduzione delle esternalità di carattere ambientale, quali: l’inquinamento atmosferico, l’emissione di gas serra e l’inquinamento acustico, riduzione dell’incidentalità, riduzione dei costi di manutenzione e dei costi di gestione delle infrastrutture e dei servizi di trasporto, effetti positivi sull’ambiente, valutabili ad esempio come impatto sulle biodiversità locali e sul paesaggio circostante. Se prendiamo in considerazione il caso concreto del trasporto stradale RavennaMantova sulla A14 e A22 di un dato carico e lo mettiamo a confronto con la stessa tratta a livello idroviario, passando per il Po di Volano e arrivando nell’innesto Mincio/Fissero tramite Pontelagoscuro, a parità di km percorsi (circa 200) e di tonnellate trasportate (18 TEU), il risparmio in termini di esternalità ambientali prodotte dal percorso fluvio-marittimo, piuttosto che stradale, è pari al 77%, mentre per il risparmio in termini di costi operativi del trasporto merci si parla di una percentuale ancora più elevata, pari all’ 84% . (Provincia di Ferrara, 2015) 63


PUNTI ATTRATTORI

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Pialassa Baiona, Ravenna 68


2.2 Sistema ambientale Il territorio ravennate è sicuramente fra quelli più mossi e variabili della intera Penisola italiana. Formato dai sedimenti dei fiumi che scendono dalle Alpi e dall’Appennino verso l’Adriatico, si è venuto plasmando nei millenni fino a trovarsi negli ultimi secoli al centro di una serie di eventi in continuo mutamento che, pur rallentati e riorientati dall’opera umana, proseguono tuttora e nei prossimi decenni diventeranno di portata sempre più vasta e dirompente. Le alluvioni della Padusa alterarono il complesso reticolo idrografico, già influenzato dalle piene dei fiumi appenninici che tendevano a impaludarsi sospingendo verso nord il corso principale del Po. Dal lato della costa l’effetto del mare e delle sue tempeste è tuttora visibile nel residuo tracciato dei sistemi di dune che si rincorrono a segnare le antiche linee costiere, non sempre parallele all’andamento attuale della spiaggia. Alle complesse dinamiche storiche del territorio si sono venuti aggiungendo fenomeni di subsidenza dei terreni, che in alcune zone hanno raggiunto le decine di centimetri 69


all’anno per effetto dei prelievi di acque e gas dal sottosuolo. Preoccupa anche l’aumento del livello medio marino (eustatismo) che, considerato di entità trascurabile fino a pochi anni fa, si sta invece rivelando significativo: un fenomeno che con il riscaldamento climatico in corso potrà presto diventare cospicuo e finirà col richiedere interventi straordinari a protezione delle attività umane. Già da molti anni a questa parte si è evidenziato il continuo regresso e l’erosione delle spiagge a causa dell’azione marina, che si spinge ad insidiare la stabilità delle poche residue dune costiere di grande importanza ecologica e garanti di biodiversità. Tutto ciò porta a confermare la necessità di una difesa intransigente delle oasi costiere esistenti, delle pinete e della biodiversità. Il confronto secolare tra l’uomo e la forza della natura ha spesso 70


Sezione della Pineta San Vitale e della Pialassa Baiona

significato lotta tra le forze, talvolta distruttive altre volte benevoli; in entrambi i casi questo confronto ha modificato radicalmente l’intero paesaggio regionale. Paesaggio che significava immense aree paludose, piane alluvionali, boschi planiziali e fiumi, in primo luogo il Po, il cui deflusso era contrastato e rallentato dall’azione del mare. Un paradiso stagionalmente scandito dal transito e la sosta di milioni di uccelli, estesi boschi planiziali, lagune, prati allagati, ecc. I dati sono eloquenti: dei 202.000 ettari censiti nel 1865, corrispondenti al 17,8% del territorio di pianura, considerando anche le aree costiere e i territori agricoli gestiti a risaia, nel corso del XIX e XX secolo queste superfici si sono ridotte a 31.000 ettari, considerando anche i residui boschi igrofili. Dunque un paesaggio completamente mutato rispetto al passato. Le zone umide presenti nel territorio del Comune 71


di Ravenna sono aree di rilevante importanza naturalistica per l’elevata biodiversità legata alla varietà di habitat che le contraddistingue: Punte Alberete, Valle Mandriole o Valle della Canna, Bardello, Pialasse della Baiona, della Risega e del Pontazzo. Queste aree ospitano numerose specie animali e vegetali, molte delle quali tutelate da normative nazionali ed internazionali, con una maggiore ricchezza riguardante in particolare l’avifauna. La presenza di queste zone umide, inserite nella convenzione di Ramsar del 1971 e di importanza quasi unica nel panorama italiano, si è trovata in evidente contrasto con lo sviluppo industriale che ha riguardato la zona del porto di Ravenna a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, facendo sorgere situazioni ambientali critiche. (Pupillo P., Montanari L., Gasparini L., Spagnesi M., 2018) 72


Infrastrutture verdi ecosistemiche dei Lidi Nord

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2.2.a Pinete costiere La pineta demaniale di Ravenna è costituita da una fascia costiera, della superficie complessiva di circa 700 ettari, che si estende per quasi tutto il litorale ravennate con una lunghezza prossima ai 30 chilometri ed è suddivisa, secondo l’aggregazione di porzioni di bosco, in sette sezioni (da Nord verso Sud, sezioni Casalborsetti, Staggioni, Piomboni, Raspona, Ramazzotti, Savio, Pinarella). Iniziando da Nord, in prossimità della foce del fiume Reno - poco lontano dal confine con la provincia di Ferrara - la predetta fascia si sviluppa seguendo la linea di battigia, saltuariamente interrotta da centri abitati, dalle foci di alcuni fiumi (Lamone, Fiumi Uniti, Bevano) e dal porto di Ravenna. Tale fascia è di modesta larghezza; infatti varia da un minimo di 50 metri ad una profondità massima di 600 - 700 metri e si mantiene sempre a poche decine di metri - a volte anche meno - dalla linea di battigia. Nella fascia retrostante la pineta sono presenti diffuse ed estese aree coltivate o centri abitati. Le pinete litoranee sono il risultato di 74


rimboschimenti artificiali che hanno interessato a più riprese la fascia costiera. L’impianto della pineta ha fissato le dune vive e le paleodune più interne e frenato la mobilità delle sabbie, proteggendo i terreni di coltura più interni. In questo senso, la funzione principale del rimboschimento è riuscita, sebbene negli ultimi anni l’erosione costiera abbia ridotto in maniera consistente l’estensione dell’arenile, arrivando in alcuni punti a minacciare la stabilità delle file di pini più vicini al mare. Attualmente la fascia boscata, principalmente a pino, si estende dal Lido di Volano (FE) fino a Cervia, a sud di Ravenna, interrotta dagli insediamenti abitativi costieri oltre che da brevi tratti di territorio che ancora conservano caratteri di naturalità (Sacca del Bellocchio, foce del fiume Reno, duna di Porto Corsini, foce del torrente Bevano). Il paesaggio si presenta quindi come un mosaico di habitat, dove ad elementi di origine antropica si alternano habitat di particolare rilevanza naturalistica, come biotopi umidi, zone a vegetazione semisommersa salmastra, 75


radure arbustive o dune di impronta xerofila. Questi habitat, spesso limitrofi alle pinete, ospitano specie vegetali di particolare interesse naturalistico ed una componente faunistica di notevole rilevanza. Le pinete litoranee demaniali, istituite Riserve Naturali dello Stato, vanno a costituire un unico sistema di tutela, importante elemento di connessione ecologica con diverse tipologie di ambienti, lungo un tratto di costa fortemente antropizzato e in un contesto territoriale particolarmente frammentato. (Sandri, 1956) 76


CENNI STORICI Le pinete storicamente raggiungono la massima espansione verso la fine del Settecento. Allora risultava l’esistenza di un unico bosco costiero pinetato che con continuità comprendeva: la pineta di S. Vitale, la pineta della Monaldina e di Porto, la pineta di Classe fino al torrente Bevano, la pineta di S. Giovanni fino al fiume Savio ed infine la pineta di Cervia, dal Savio a Cervia. Nel 1796, con l’invasione francese e l’abolizione delle corporazioni religiose, le abbazie perdevano definitivamente il controllo sulle pinete e la loro gestione passava alla Repubblica Cisalpina che, vendendole, rendeva possibile lo sfruttamento e la distruzione del grande bosco ravennate. Il processo di disboscamento continuò per oltre un secolo, fino a quando le pinete divennero di 77


proprietà del Demanio dello Stato. Nel 1905 il Ministro Rava riuscì a creare le premesse legislative per l’acquisto e il rimboschimento dei terreni lungo il litorale ravennate e nel 1933 venne impiantata la nuova pineta litoranea. (Lazzari G., Merloni N., Saiani D., 2010) All’inizio degli anni ’60 molti terreni vennero ceduti in permuta a società e privati (ciò anche sotto la spinta dell’edificazione nelle zone litoranee), cosicché la superficie si ridusse a poco più di 1050 ettari, di cui 850 boscati. Con il passaggio alle regioni di gran parte del demanio forestale dello Stato non si è avuta una significativa variazione della superficie amministrata, in quanto sono state trasferite alla regione EmiliaRomagna solo piccole porzioni di terreno. L’intera zona boscata, unitamente a poche zone umide e terreni dunosi inclusi, è stata posta sotto tutela nell’anno 1977 con l’istituzione della Riserva Naturale “Pineta di Ravenna” (Decreto Ministeriale del 13 luglio 1977) ed è attualmente gestita dal Corpo Forestale dello Stato – Ufficio Territoriale per la Biodiversità con sede in Punta Marina Terme, Ravenna. (Corpo forestale dello Stato, 2008) 78


Evoluzione delle pinete di Ravenna

Ricostruzione delle pinete all’epoca del Ginanni (1750), dalla carta dello Zangheri (1936) 79

Stato delle pinete al 2010


DIFFICOLTÀ GESTIONALI L’intero territorio della pineta demaniale di Ravenna è stato interessato, a partire dagli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso, da due fenomeni alquanto problematici che hanno notevolmente condizionato la gestione del popolamento forestale: la subsidenza del suolo e l’erosione del litorale. Fino alla fine degli anni ‘40 del XX secolo, nel territorio ravennate, l’abbassamento del suolo ha seguito i normali ritmi naturali di circa un millimetro all’anno, ma tra gli anni 1949 e 1977 in alcune aree del ravennate si sono misurati abbassamenti del suolo di ben 25 centimetri, con punte di 30-40 centimetri in diverse zone del litorale (Casalborsetti, Marina di Ravenna); situazioni che sono riconducibili sia a cause naturali che antropiche. Gli studi condotti negli ultimi anni hanno dimostrato che le principali cause della subsidenza del suolo 80


sono da imputarsi a due fattori concomitanti: da un lato l’abbassamento della pressione di strato indotto dallo sfruttamento dei campi gassiferi e dall’altro il considerevole emungimento di acqua utilizzando quasi esclusivamente le falde artesiane. L’arretramento della linea di battigia ha interessato in maniera diversificata il litorale ravennate (presenza di foci di fiumi, moli, opera di difesa a mare) comportando in alcuni zone la scomparsa di centinaia di metri (in profondità dalla linea di battigia) di superficie emersa (area tra le foci dei fiumi Lamone e Reno). La causa principale di questa grave situazione è dovuta alla diminuzione dell’apporto solido, da parte dei fiumi, che non riesce a fronteggiare la forza erosiva delle mareggiate, soprattutto invernali. Sono state progettate e realizzate numerose opere di difesa che però riescono solamente a contrastare localmente il fenomeno, senza però risolvere definitivamente la questione. (Corpo forestale dello Stato, 2008) 81


Gestori delle pinete

Pineta di Classe (1082 ha) - gestore: Regione Emilia Romagna - proprietario: comune di Ravenna Pineta di San Vitale (1222 ha) - gestore: Ente di gestione per i Parchi e la BiodiversitĂ - Delta del Po - proprietario: Comune di Ravenna Pineta costiera (710 ha ca.) (sezioni di Casalborsetti, Staggioni, Punta Marina, Piomboni, Raspona, Ramazzotti, Savio) - gestore: Ente di gestione per i Parchi e la BiodiversitĂ - Delta del Po - Regione Emilia Romagna - Reparto Carabinieri per la BiodiversitĂ di Punta Marina - proprietario: Demanio dello Stato Zone di integrazione dello spazio naturalistico 82


BIODIVERSITÀ La vicinanza di questi ambienti con il mare li sottopone a molteplici fattori negativi di origine abiotica. L’erosione marina, la subsidenza naturale ed indotta, la risalita della falda salina e gli aerosol marini possono limitare e peggiorare lo sviluppo della vegetazione arborea; fattori climatici (suolo sabbioso, aridità estiva e temperature invernali) contribuiscono allo stato generalizzato di stress. A livello ecosistemico le maggiori minacce derivano dalla frammentazione dell’habitat imputabile agli insediamenti urbani ed alle infrastrutture, nonché alle attività turistiche. Forte infatti è la pressione turistica e la conseguente presenza umana. Le porzioni boscate di minore estensione, rispetto agli ambiti di maggiore superficie, risentono maggiormente degli effetti della frequentazione umana, tendendo a subire una erosione ai margini rispetto alle 83


porzioni centrali. La frequentazione umana, specie se ripetuta e sostenuta, può essere considerata dunque come un’ulteriore causa di frammentazione. Queste problematiche contribuiscono alla semplificazione floristica e strutturale dell’habitat: la copertura di conifere provoca in certe condizioni un impoverimento nella composizione vegetazionale dell’ecosistema boscato, riducendo il numero delle specie presenti. La copertura arborea limita lo sviluppo della vegetazione erbacea ed arbustiva sottostante, cancellando la presenza di microhabitat essenziali per la presenza della fauna. L’impiego di mezzi meccanici, utilizzati per eseguire i necessari interventi di ripulitura, dirado e di prevenzione degli incendi boschivi, contribuisce talvolta alla semplificazione strutturale dell’habitat, che tende a favorire una vegetazione avventizia. (Corpo forestale dello Stato, 2008)

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Ecosistema delle pinete dei Lidi Nord

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IL PROGETTO LIFE-NATURA In considerazione dell’importanza a livello naturalistico ed ambientale rivestito dalle pinete demaniali litoranee dell ‘Emilia-Romagna (basti al riguardo ricordare la bassissima percentuale - attorno al 4% - dei boschi ubicati in zone di pianura), crescente è la necessità di intervenire con azioni gestionali mirate e finalizzate ad assecondare l’evoluzione degli ecosistemi, conformemente alle regole dell’ecologia e della Natura. Il progetto Life-Natura “Tutela di siti Natura 2000 gestiti dal Corpo Forestale dello Stato”, con durata 2004-2008, ha perseguito tali finalità e si è proposto come importante e fondamentale strumento per l’acquisizione di nuove conoscenze della componente vegetazionale e faunistica delle pinete litoranee ed inoltre ha colto l’esigenza della individuazione di interventi gestionali finalizzati ad ottimizzare gli aspetti di miglioramento ecologico in favore dei popolamenti forestali e della componente faunistica, nonché i conseguenti aspetti di tutela ed incremento della biodiversità. Il progetto ha consentito la stesura di un piano degli interventi 86


per individuare le misure più idonee per migliorare la funzione di corridoio ecologico esercitata dalle pinete costiere delle province di Ferrara e Ravenna, a suo tempo istituite Riserve Naturali. Il Progetto auspica il miglioramento dei corridoi ecologici tra aree di elevato valore naturalistico, individuando le spiagge e le pinete costiere come elementi di raccordo. Lo scopo è quello di garantire alle specie animali e vegetali la possibilità di effettuare spostamenti essenziali per la conservazione della biodiversità, favorendo lo scambio genetico fra sottopopolazioni diverse appartenenti alla medesima specie. Le pinete litoranee rappresentano circa il 20% della superficie dei SIC (Siti di Importanza Comunitaria) e delle ZPS (Zone di Protezione Speciale) che sono stati interessati dal progetto e costituiscono un corridoio ecologico di aree protette che si estende per circa 35 Km di lunghezza su di un tratto di costa di circa 80 Km, tanto più importante se si considera che corre lungo uno dei tratti costieri maggiormente dotati di infrastrutture turistiche in ambito nazionale. (Corpo forestale dello Stato, 2008) 87


Dune di Punta Marina, Ravenna 88


2.2.b

Dune costiere La morfologia bassa e piatta della costa ravennate, così come lungo tutta la costa Emiliano-Romagnola, è caratterizzata dalla presenza di spiagge sabbiose che, con modesto spessore, ricoprono materiali limosoargillosi corrispondenti a più antichi depositi palustri, alluvionali o marini. Lungo la costa ravennate è possibile individuare una serie di antichi cordoni dunosi, costituiti da sabbie di spiaggia e di duna, che rappresentano la “traccia” sedimentaria e paleomorfologica delle numerose linee di costa formatesi nel processo di progressiva progradazione. Sono ormai pressoché del tutto assenti i bacini naturali d’acqua dolce, in precedenza particolarmente diffusi sino al completamento della bonifica meccanica. La zona di transizione e i residui cordoni dunosi (antichi o attuali) sono quindi caratterizzati da quote medie di poco superiori al metro (tra 1 e 5 metri al massimo). L’interesse pubblico per la fascia litoranea della costa ravennate si è andato manifestando con crescente evidenza dalla seconda metà del secolo scorso, quando il cosiddetto 89


Assetto schematico delle dune

Spiaggia sommersa

Spiaggia emersa

“bene spiaggia” ha subito una rapida “valorizzazione” socio-economica. Tale interesse, mentre produceva una diffusa urbanizzazione della costa (edificazioni) e dell’arenile (stabilimenti balneari), ne ha contestualmente compromesso - o in gran parte annullato, specie per l’arenile sabbioso - la peculiare valenza naturalistica, oltre che la ben nota funzionalità come sistema naturale di difesa costiera. La riscoperta della fondamentale importanza dell’integrità delle fasce dunose costiere nel mantenimento dell’equilibrio dinamico del litorale si è poi recentemente rafforzata con il riconoscimento della necessità di una gestione integrata delle zone costiere, strategia messa a punto con il concorso degli Enti territorialmente competenti, dalla Regione Emilia-Romagna al Consorzio del Parco del Delta del Po, dalle Amministrazioni Locali alle Istituzioni Universitarie, anche sotto la costante attenzione e sollecitazione delle Associazioni ambientaliste locali. L’interesse per la conservazione del patrimonio naturale risiede nel fatto che uno 90

Dune embrionali

Dune mobili

Depressione interdunale


Dune consolidate

Retroduna

degli aspetti più rilevanti dell’ambiente delle dune sabbiose costiere è costituito dalla caratteristica vegetazione, che comprende specie ecologicamente adattate al particolare substrato litologico, ed il cui mantenimento è fondamentale per la ottimale conservazione sia della duna in sé che del territorio retrostante. Purtroppo la grave alterazione del sistema dunoso ha lasciato lungo la costa ravennate solo pochi relitti del campo dunare che si estendeva, pressoché ininterrotto, su gran parte del litorale, fino alla prima metà del secolo scorso. Nel corso del XIX secolo, infatti, si assiste ad una profonda modifica dell’andamento della linea di costa del litorale ravennate, inizialmente caratterizzata dalle due imponenti cuspidi fociali deltizie del Po di Primaro/fiume Reno a Nord e dai Fiumi Uniti a Sud della città. Il disfacimento dei due apparati deltizi comportò da allora una rideposizione dei materiali lapidei inerti, prevalentemente sabbie, nelle aree intermedie, fino a “rettificare” la linea di costa. (Lazzari G., Merloni N., Saiani D., 2010) 91


Un’altra importante caratteristica delle dune costiere della costa Adriatico-Romagnola è quella di conservare lenti di acqua dolce al loro interno. Le dune, grazie alle loro caratteristiche d’alta porosità e permeabilità, rappresentano un ottimo serbatoio d’acqua dolce facilmente ricaricabile dalle precipitazioni meteoriche. Date la topografia rilevata e la buona capacità infiltrante, l’accumulo d’acqua piovana porta la superficie freatica sopra il livello del mare, formando uno strato o bolla d’acqua dolce che si estende anche sotto il livello del mare e contrasta l’intrusione di acqua marina nell’acquifero costiero. L’acqua dolce contenuta negli acquiferi superficiali non confinati, tra cui le dune, ha grande importanza per il mantenimento degli habitat costieri, per la biodiversità delle zone umide, per le caratteristiche geo-pedologiche ed agronomiche dei terreni coltivati. Studi geochimici delle acque di falda contenute nelle dune indicano che è in atto una tendenza alla progressiva salinizzazione di questa risorsa 92


idrica, che peraltro è soggetta a forti oscillazioni in quantità e qualità durante le diverse stagioni dell’anno. Le ragioni di questa progressiva salinizzazione delle acque contenute nelle dune sono da ricercarsi nel drenaggio della zona costiera, nella presenza di vegetazione non in equilibrio con il locale ecosistema, nella subsidenza, nell’innalzamento del livello marino e nel progressivo smantellamento degli apparati di dune rimasti a causa di fattori antropici e naturali. Dove la duna costiera è stata ricostituita, come è il caso di Foce Bevano, almeno per un anno dopo l’intervento si è registrata una tendenza alla formazione di una nuova lente di acqua dolce all’interno della duna artificiale. Le dune costiere, per le loro caratteristiche di ottimi serbatoi date la loro alta conduttività idraulica e porosità, sono dei luoghi ideali per interventi di ravvenamento artificiale dell’acqua sotterranea. (Antonellini M., Balugani E., Gabbianelli G., Laghi M., Marconi V., Mollema P., 2010)

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Dune e spiaggia di Casalborsetti, Ravenna 95


Pineta San Vitale e Pialassa Baiona 96


2.2.c Aree umide patrimonio naturale Le aree umide hanno rappresentato nei secoli un contributo necessario per le popolazioni più primitive; quanto ad oggi non rendono vantaggio rispetto ad una trasformazione agricola e insediativa delle stesse. Agli elementi positivi e favorevoli si è andato sostituendo una visione più negativa, quella di un’area priva di interesse e che, al contrario, tenacemente si sarebbe dovuta strappare alla sua naturale trasformazione e sfruttare a fini agricoli. Le aree paludose sono viste non più come una risorsa, ma come un ostacolo all’espansione dell’agricoltura. Questa visione negativa ha accompagnato le popolazioni che attorno ad esse erano insediate, attraversando per secoli la cultura delle genti di quei luoghi; tutto ciò non è stato privo di conseguenze al fine della conservazione. Punte Alberete, Valle Mandriole e Bardello sono oggi nuclei testimoniali di un paesaggio ormai definitivamente scomparso e sono piccoli gioielli naturalistici, sui quali incentrare sforzi tecnici per cercare di ridare loro il pieno valore che fino a pochi anni fa 97


possedevano. Anche in assenza di interventi umani un’area umida va incontro naturalmente ad un suo normale processo evolutivo. Le aree umide, come tutte le aree di transizione, sono ambienti effimeri se considerati nel loro medio e lungo periodo. Tuttavia, in una condizione di naturalità, ad un processo di trasformazione verso ecosistemi più maturi equivale la formazione di aree nuove per nuovi apporti solidi limosi da parte dei fiumi, per naturali processi di subsidenza ecc. Attualmente questo equilibrio è venuto completamente a mancare, con una costante diminuzione delle aree umide senza che altre se ne siano formate. Minori apporti solidi fluviali verso le aree di pianura, regimazione delle acque, modificazione climatiche e altre cause sono alla base dell’interruzione di questa dinamica. Si giunse negli anni ’70 ad avere un riconoscimento anche istituzionale e a livello internazionale dell’importanza delle aree umide con la Convenzione di Ramsar (Convenzione sulle Zone Umide 2 febbraio 1971 Iran; ratificata dall’Italia il 18/07/1976). 98


I benefici riconducibili alle aree umide si possono racchiudere in alcuni punti fondamentali che andrebbero attentamente valutati, volti a contrastare gli effetti prodotti dai cambiamenti climatici, che quindi indurrebbero ad un radicale ripensamento delle politiche che hanno determinato la pervicace opera di distruzione delle aree umide: esse conservano riserve di acqua superficiale e sotterranea che possono essere estremamente utili sia per usi civici e potabili, ma anche in agricoltura. Lo sviluppo delle aree umide costiere consente l’apporto di sedimenti e il mantenimento della linea di costa, soggetta ad ampie e naturali fluttuazioni. Le alterazioni climatiche, l’urbanizzazione disordinata, spesso a ridosso delle aree dunali, sono fattori limitanti lo sviluppo e la formazione di nuove aree umide; così come la costruzione di pennelli portuali o altre strutture che impediscono il naturale spostamento dei sedimenti fluviali lungo la costa; migliorano le qualità dell’acqua e riducono l’inquinamento. (Pupillo P., Montanari L., Gasparini L., Spagnesi M., 2018) 99


Pialassa Baiona: chiari e canali CANALI (profondità 2-5 m) a. Taglio della Baiona b. Baccarini c. Fossatone d. Cavedone e. Baiona f. del Consorzio g. degli Staggi (poi Magni) h. Candiano i. Canala CHIARI (profondità 1m ca.) 1. Vena del Largo 2. Aldo 3. Pola Longa 4.del Comune 5. Vena Munita 6. Bassa del Cavallo 7. dei Partigiani 8. Naspino 9. Bassa del Prete 10. buca del Cavedone 11. Cavedone 12. Paradiso 13. Risega 14. Baroncina del Childo 15. dell’Inferno 16. Gondolini 17. Pontazzo 18. Canale Magni

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PIALASSA BAIONA La formazione della Pialassa Baiona, così come quella della Pialassa Piombone, può essere fatta risalire a poco più di tre - quattro secoli fa. In età rinascimentale infatti, al loro posto esisteva un’ampia insenatura marina compresa tra il Porto del Primaro, dove sfociavano il “Pò nuovo di San Alberto” e il “Lamon Nuovo”, a Nord, e l’antica foce del fiume Montone. Insieme alla Pialassa del Piombone, posta a sud del Candiano e ampia circa 310 ettari, queste aree hanno rappresentato bacini di ripulsa per il porto canale di Ravenna. Questa laguna è quindi in continua evoluzione sotto l’influenza sia dei fenomeni naturali (apporto di sedimenti, subsidenza, variazione del livello marino, ecc.) sia del continuo intervento antropico (dragaggi, arginature, ecc.). La laguna ha oggi una estensione complessiva di circa 1100 ha ed è formata da aree semisommerse e bassi fondali, tradizionalmente noti come “chiari”, delimitati da argini artificiali. I chiari sono percorsi perimetralmente e collegati tra loro da una fitta rete di canali e scoli, molti dei quali navigabili con piccole imbarcazioni e 101


mantenuti artificialmente con occasionali opere di dragaggio a cura del Comune. Lungo i canali e gli scoli sono state installate numerose paratoie, saracinesce, dispositivi che consentono una certa regolazione artificiale sia flussi dei in entrata che, in parte, della circolazione interna. Il canale Taglio della Baiona, attraverso una chiusa, convoglia le acque provenienti, attraverso la zona umida di Punta Alberete, dal fiume Lamone e quindi dal rispettivo bacino di scolo. Attraverso l’idrovora del canale di Via Cerba vengono immesse le acque del bacino di scolo che comprende gli abitati di Ammonite, Camerlona, S. Antonio, S. Romualdo e Torri, nonché i rispettivi territori ove vengono praticate agricoltura intensiva ed allevamenti zootecnici. Attraverso l’idrovora del canale Canala vengono immesse le acque del rispettivo bacino di scolo.La circolazione delle acque all’interno del sistema di canali e chiari è principalmente condizionata dai fenomeni di marea che possono portare a variazioni di livello di oltre un metro. In condizioni di bassa marea molte aree possono emergere e molti canali possono diventare pericolosamente impraticabili. (http://www. ecology.unibo.it/baiona/pg/geologia.htm) 102


Pialassa Baiona: composizione del sistema

Evoluzione nei secoli:

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1642

1741

1898

2020


La Pialassa Baiona rientra nelle aree protette, ai sensi della legge 394/918, in qualità di zona umida di interesse internazionale. Successivamente la Pialassa è stata inclusa nelle “aree sensibili” previste dal D. Lgs. 152/99 (mod. 258/00)9: Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento, aree che richiedono specifiche misure di prevenzione dall’inquinamento e di risanamento. (Soprani S, Ricci C., 1994) 8. La legge 394/91 definisce la classificazione delle aree naturali protette e istituisce l’Elenco ufficiale delle aree protette: 5° Aggiornamento Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette (versione PDF, 568 Kb) (Delibera della Conferenza Stato Regioni del 24.7.2003 - Pubblicato nel Supplemento ordinario n. 144 alla Gazzetta Ufficiale n. 205 del 4.9.2003), nel quale vengono iscritte tutte le aree che rispondono ai criteri stabiliti, a suo tempo, dal Comitato nazionale per le aree protette. 9. Decreto Legislativo 11 maggio 1999, n.152. Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole. 104


PUNTE ALBERETE All‘inizio dell’Ottocento il fiume Lamone mancava di uno sbocco al mare, dilagando entro una complicata distesa di valli. Nel 1839 i1 governo pontificio intraprese un’opera di prosciugamento con la costruzione di una cassa di colmata, destinata a raccogliere le acque e i detriti alluvionali del fiume. A bonifica avvenuta, della vecchia cassa, rimasero solo 500 ettari, dei circa 8000 iniziali, frazionati in due distinti ambiti naturalistici, divisi dal corso finalmente inalveato del Lamone. Le oasi faunistiche di Punte Alberete e di Valle Mandriole o della Canna, rappresentano oggi i residui non bonificati dell’antico paesaggio di palude. Punte Alberete, sottoposta da tempo a integrale tutela, è un ambiente umido eccezionale con l‘aspetto della foresta allagata. ln questo bosco, dall’aspetto primitivo e selvaggio, sopravvivono specie endemiche del fiume Po, relitti che testimoniano l’antica presenza del delta padano.

VALLE MANDRIOLE O VALLE DELLA CANNA Valle Mandriole si distingue per il maggiore livello idrico, per l’omogenea distesa di canneto e saliceto arbustivo, aperta in più punti da chiari marezzati da vegetazione ascrivibile al lamineto (ninfea bianca, ceratofillo. utricolaria ecc). Qui c’è la più grande garzaia d‘ltalia in cui nidificano garzette, aironi bianchi e cenerini, spatole e i rarissimi marangoni minori, ibis mignattai e aironi rossi. (Touring Club Italiano, 2004) 105


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PROBLEMATICHE Il problema principale della gestione delle zone umide consiste nella disponibilità di acqua in quantità e qualità adeguata al mantenimento di livelli idrici funzionali al mantenimento ed incremento della biodiversità vegetale ed animale. Problema reso più difficile dai mutamenti climatici in atto, che concorrono a creare una situazione di crescente aridità estiva, nonché dalla necessità di destinare prevalenti percentuali della risorsa idrica a fini industriali, agricoli e civili. Troppo spesso accade che la quantità di acqua destinata ai fini di conservazione delle zone umide non sia ottimale, basti pensare ai deficit estivi delle portate fluviali che, a volte, non raggiungono neppure l’indispensabile deflusso vitale minimo per la sopravvivenza del fiume e delle zone umide ad esse collegate. Anche la qualità delle acque gioca un ruolo importantissimo nella gestione delle zone umide; a causa dei danni diretti ed indiretti, provocati da sversamenti di fluidi e di solidi contenenti prodotti inquinanti, più o meno tossici o anche “solo” eutrofizzanti 108


(condizione di ricchezza di sostanze nutritive in un dato ambiente), ma altrettanto indesiderabili. Un capitolo a parte, indagato solo negli ultimi anni, riguarda la crescente torbidità, che ha effetti deleteri non solo sulle idrofite, ma su tutta la catena trofica (insieme dei rapporti tra gli organismi di un ecosistema), con accertato crollo della biodiversità. Ad aggravare il quadro dei problemi di gestione si aggiunge, situazione ormai presente in tutte le zone costiere del mondo, il fenomeno dell’eustatismo, dell’erosione costiera, della subsidenza naturale ed antropica, con avanzamento del cosiddetto cuneo salino dal mare verso l’entroterra, in particolare con la risalita lungo i corsi d’acqua e conseguenti intrusioni di acque salse o salmastre, sia in acque superficiali, sia nella falda freatica. L’abbassamento dei suoli alluvionali all’interno delle zone umide costiere e nelle zone limitrofe, oltre ad ostacolare un regolare deflusso delle acque, può determinare episodi di risalita di acque salate o salmastre dal mare o dalle lagune costiere, verso ed all’interno dei biotopi 109


di acque dolci. Questi episodi di risalita sono possibili soprattutto in periodo estivo, in concomitanza con i bassi livelli idrici dei biotopi di acque dolci, per cause naturali (evapotraspirazione) o artificiali (secca estiva per scelte gestionali) da un lato, ed i livelli massimi di marea dall’altro. Come appare ovvio, flora e fauna acquadulcicole possono soffrire, o addirittura soccombere, in un ambiente a salinità crescente. Altri fenomeni che si susseguono ai problemi di gestione di queste aree sono la grave perdita di biodiversità, con la rarefazione o la scomparsa di centinaia di specie animali e vegetali d’acqua dolce e il regresso di una serie di habitat di interesse europeo. Anche l’ingresso di un certo numero di specie “aliene” 110


(cioè di origine extraeuropea) sia animali che vegetali, dal gambero della Luisiana e, per le piante, dalla Ludwigia sudamericana, e l’insufficiente apporto di acqua dolce, aggravato dalla modesta portata dei piccoli fiumi della zona, rende difficile il contrasto alla risalita del cuneo salino e può permettere un pur occasionale contatto con la falda salmastra sottostante alle valli. Seppure rari, esempi di ripristino ambientale di zone umide ce ne sono. In Puglia, una associazione federata di Pro Natura, il Centro Studi Naturalistici onlus, grazie a fondi europei, sta rinaturalizzando e riportando ad area umida una estesa zona della Capitanata in provincia di Foggia; decine di ettari che si vanno a sommare ai 100 ricavati in precedenza e ad altri 400 lasciati a prato pascolo stabile. (Lazzari G., Novembre 2018)

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2.3 Economie del Territorio A tutt’oggi il settore agricolo è notevolmente sviluppato con tecniche di sfruttamento del suolo di tipo intensivo ed avanzato, che si avvalgono di tecnologie altamente specializzate. L’agricoltura gioca un ruolo fondamentale dal punto di vista occupazionale, costituendo la base del settore primario dell’economia locale: a questa sono connesse anche numerose attività legate alla trasformazione dei prodotti agricoli, come conservifici e zuccherifici. Per quanto riguarda il settore commerciale e dei trasporti è particolarmente importante la presenza del porto, che vanta una tradizione risalente a più di duemila anni fa, quando ospitava la flotta di Augusto (da cui il nome di Classe). L’intenso traffico di merci e la fitta rete di collegamenti verso le altre città italiane ed estere, che ne hanno fatto oggi uno snodo fondamentale del “corridoio adriatico”, hanno favorito lo sviluppo, intorno alla zona portuale, oltre che di magazzini e depositi legati al settore logistico e specifico dei trasporti, di una grande quantità di attività industriali, 116


in particolar modo del settore chimico e dello stoccaggio di materiali vari. Tale intensa industrializzazione ha incrementato l’insediamento di attività secondarie, creando un polo produttivo ritenuto fra i maggiori in Europa, che costituisce un contenitore occupazionale di primaria importanza; al polo industriale del porto continuano ad affluire attualmente numerose persone, in buona parte immigrati, con un conseguente forte aumento demografico. Tale fenomeno di antropizzazione ha portato, oltre alla trasformazione di aree di notevole estensione da vocazione agricola ad industriale, all’allargamento delle zone residenziali di periferia, per far fronte alla crescente richiesta di abitazioni. Oltre all’aspetto occupazionale, i radicali cambiamenti economici e sociali che attraversarono 1a società italiana del “miracolo economico” influenzarono profondamente anche il settore turistico, caratterizzato da una più ampia e differenziata domanda per l’ingresso nel mercato turistico dei ceti 117


popolari, a cui le migliorate condizioni di vita e di lavoro permisero di trasformare il tempo libero in tempo di ferie e quindi di vacanza. Si sottolinea il forte impatto dell’attività del porto e della zona industriale connessa alla ricchezza economica prodotta dal comune. Un importante impulso all’attività economica ed industriale del comune è derivato negli ultimi decenni anche dalla scoperta di vasti giacimenti di idrocarburi gassosi al largo della costa romagnola, ed in particolare di quella ravennate. L’estrazione di gas dalle numerose piattaforme off-shore ha creato un ulteriore sviluppo industriale ed economico per la città, favorendo il sorgere di diverse attività indotte, legate in particolar modo al trasporto e allo stoccaggio degli idrocarburi. Il settore terziario e dei servizi infine occupa un posto notevole nella produzione di reddito della zona ravennate; 118


Sezione della Pialassa Baiona e dell’area industriale

il turismo è infatti in questa zona un’attività in continua espansione, sia per la primaria importanza del patrimonio storico-artistico della città, meta ogni anno di centinaia di migliaia di turisti, che per le attrattive delle numerose località balneari del litorale, dei locali e dei parchi per il divertimento. Durante i mesi estivi nei centri lungo la costa si ha un’alta concentrazione di presenze, anche straniere, con risvolti molto positivi dal punto di vista occupazionale, in particolare per gli stagionali. La presenza delle strutture ricettive nel settore balneare ha sicuramente prodotto sulla zona costiera del territorio comunale un notevole influsso, modificando in alcuni casi l’aspetto e la morfologia del territorio. La sempre maggiore espansione degli insediamenti abitativi per soddisfare la crescente richiesta di alloggi nei centri litoranei, e la necessità di garantire 119


il mantenimento di una fascia sufficientemente larga di spiaggia per consentire l’attività degli stabilimenti balneari per un lungo tratto di costa, ha portato in alcuni casi allo spianamento di aree a cordone litorale dunoso, ed in altri ha costretto a ricorrere ad interventi di ripascimento o costruzione di opere di protezione dal moto ondoso. (Comune di Ravenna, 2009) 120


Poli di interesse dei Lidi Nord

Elementi turistici inespressi ViabilitĂ storica

Turismo nautico

Poli di interesse storico Siti Unesco

Turismo termale

Poli naturalistici Turismo sportivo

Poli sportivi Poli ricreativi

Turismo gastronomico

Acqua 121


2.3.a

Urbanizzazzione e turismo Il forte squilibrio fra domanda e offerta spinse verso un’accelerata urbanizzazione e un’edificazione massiccia su tutta la fascia costiera. In primo luogo furono gettate le basi per lo sviluppo della zona a nord di Marina di Ravenna, quando nel luglio 1952 la Giunta della Camera di Commercio della città deliberò di far eseguire un progetto di strada che da Porto Corsini giungeva a Casalborsetti; questa strada litoranea, terminata nel 1956, portò alla lottizzazione privata di una vasta area situata ad ovest della pineta demaniale, che prese il nome di Marina Romea: «esso richiama e riannoda i due nomi di Ravenna e di Roma ed anche esprime il desiderio ravennate di essere riconosciuta perno della strada romea». Un gruppo di società immobiliari, fuse nella Immobiliare Bisanzio Beach Sas, acquisirono nei primi anni Sessanta, 320 ettari di terreno tra Punta Marina e i Fiumi Uniti con il permesso di edificare 4.100.000 metri cubi, che nuove trattative con l’amministrazione comunale ridurranno progressivamente a 1.461.695 122


Presenze stagionali (gennaio-agosto) 0 - 200.000 200.000 - 400.000 400.000 - 500.000

Casalborsetti Marina Romea Porto Corsini Marina di Ravenna Punta Marina Lido Adriano Lido di Dante Lido di Classe Lido di Savio

mc. In quest’area si andrà sviluppando Lido Adriano, il più giovane e cementato lido della costa ravennate. In quegli stessi anni Marina di Ravenna, insieme a1 suo naturale prolungamento di Punta Marina, mutava la sua connotazione di località esclusivamente balneare, trasformandosi in cittadina abitata per tutto l’anno da famiglie di recente immigrazione, richiamate dalla maggiore disponibilità di posti di lavoro seguita all’accelerato sviluppo industriale degli anni Cinquanta e Sessanta. Veri e propri insediamenti urbani, dunque, legati alla città dalla fascia portuale e industriale. L’avvio del processo di industrializzazione a forte partecipazione statale, con la costruzione di grandi complessi di base nel settore chimico e petrolchimico, segnò una profonda trasformazione del paesaggio e, soprattutto, significò operare una scelta sfavorevole alla crescita di una vocazione turistica, per i riflessi negativi che tale processo ebbe sull’ambiente naturale circostante. L’aspetto caratterizzante quegli anni fu dunque il moltiplicarsi delle stazioni 123


balneari che andarono a costituire i lidi ravennati, lungo una fascia costiera pressoché ininterrotta che da Casalborsetti giungeva a Lido di Savio, a ridosso delle più famose località di Milano Marittima e Cervia. Nel suo complesso, questa striscia costiera di circa 35 chilometri divenne famosa come «Costa Verde dell’Adriatico» per la presenza della secolare pineta, in realtà seriamente danneggiata dal secondo conflitto bellico e gradualmente accerchiata dalle pressioni edilizie. L’estate del 1989, con un calo del 18% degli arrivi e del 30% delle presenze, segnò il momento culminante di un declino graduale del movimento turistico nel ravennate, manifestatosi all’inizio del decennio; declino che aveva del resto interessato l’intero settore turistico balneare romagnolo. Il caso delle “mucillaggini”, manifestatosi con 124


Spiaggia di Marina Romea, Ravenna

estrema gravità nell’estate di quell’anno e, in generale, i ricorrenti fenomeni di eutrofizzazione nelle acque costiere, ne sottolinearono con estrema urgenza la necessità di individuare interventi corretti e coordinati per salvaguardare l’ecosistema marino e posero anche questioni attinenti alle strategie turistiche da perseguire, in primo luogo la diversificazione dell’offerta turistica e la complessiva riqualificazione del prodotto turistico nell’intero territorio provinciale. All’interno di questo panorama si è aggiunto un terzo settore, che è venuto assumendo un ruolo sempre più rilevante nel corso degli anni novanta: il turismo ambientale, a cui sono legati ulteriori segmenti quali il cicloturismo e l’ippoturismo, e quella peculiare rete di servizi e infrastrutture che rientra nell’alveo dell’agriturismo. (Domini D., Virgoli G., Fabbri P., Cortellazzo M., 1996) 125


STRUTTURE RICETTIVE La struttura ricettiva del comune di Ravenna si caratterizza per una forte articolazione, sia dal punto di vista territoriale sia sotto il profilo delle tipologie di strutture, in ragione della notevole dimensione territoriale del comune e delle caratteristiche di grande variabilità di un territorio che contempla: una fascia litoranea di oltre 35 chilometri, la città d’arte, aree di grande pregio naturalistico inserite nelle zone del Parco del Delta del Po, una vasta area agricola, nonché ulteriori punti di attrazione turistica di rilevanza nazionale, quali i parchi divertimenti (Mirabilandia) ed i Porti Turistici (Marinara e Porto Reno). Se si esamina invece la distribuzione della capacità ricettiva complessiva sul territorio al 2009, si nota che l’8,2% della capacità ricettiva complessiva si concentra nel centro abitato di Ravenna, l’1, 7% nella frangia e nei centri minori e per oltre il 90% si distribuisce negli 11 Lidi ravennati, con il 18,4% di Punta Marina Terme, il 14,8% di Casalborsetti, il 14,3% di Lido di Savio, il 12,4 % di Marina di Ravenna, l’8,8% 126


di Lido Adriano, il 7,9% di Marina Romea e gli altri a seguire. Si deve comunque evidenziare che tali dati sono complessivi delle diverse tipologie di strutture ricettive, dall’alberghiero all’extralberghiero, ai campeggi. Al riguardo i dati mostrano una decisa differenziazione tra i Lidi Nord ed i Lidi Sud: nei Lidi Nord, quali Punta Marina Terme, Marina di Ravenna, Casalborsetti e Marina Romea, la gran parte della capacità ricettiva si concentra nelle strutture all’aria aperta (campeggi), mentre nei Lidi Sud (Lido di Classe e Lido di Savio), la capacità ricettiva si concentra maggiormente nelle strutture alberghiere. Presumibilmente, un dato più realistico in merito agli appartamenti ad uso turistico dei privati mostrerebbe nei Lidi Nord una considerevole presenza anche dell’extra-alberghiero. Opportune linee di sviluppo per il futuro si concentrano sul promuovere la qualificazione del livello di classifica dei campeggi esistenti, nonché di incentivare la realizzazione di nuovi campeggi e di villaggi turistici e centri vacanza. (Comune di Ravenna, Novembre 2009)

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STABILIMENTI BALNEARI Le spiagge di Ravenna si caratterizzano come spiagge attrezzate, fortemente caratterizzate per la ricchezza e varietà dei servizi, con la presenza complessiva di 238 stabilimenti balneari che affiancano ai tradizionali servizi di spiaggia, connessi all’elioterapia, un’offerta all’avanguardia all’insegna del relax, del divertimento e del benessere a contatto con la natura. Agli effetti benefici del sole e del mare si unisce la possibilità di praticare in spiaggia diversi sport, dal beach volley al beach tennis, dal beach soccer al basket, ma anche di fare passeggiate a cavallo e di sfruttare i percorsi cicloturistici e di trekking all’interno della pineta. Molte le proposte anche dopo il tramonto, per chi vuole godersi una cena in riva al mare, partecipare ad eventi culturali, quali presentazioni di libri o letture di poesie, eventi musicali, intrattenimenti e feste. Gli stabilimenti balneari, per la gran parte in area demaniali marittime, sono variamente distribuiti in tutte le località balneari: per i lidi Nord sono14 a 128


Casalborsetti/Primaro, 29 a Marina Romea, 6 a Porto Corsini, 43 a Marina di Ravenna. Gli stabilimenti balneari delle spiagge presentano una vasta gamma di servizi e strutture, che vanno dalle strutture per i servizi di spiaggia (cabine, docce, servizi igienici, ombreggio organizzato, ombrelloni, lettini) alla ristorazione, dalle aree allestite per sport vari (campi da racchettoni, beach-volley, beach soccer, basket), alle aree benessere e relax, dalle aree allestite con i giochi per bambini a zone per giochi da tavolo, maxischermi etc. Inoltre, occorre evidenziare l’attenzione per le problematiche relative alle persone con disabilità , che ha visto il litorale primo in Italia a dotarsi di 50 postazioni volte a facilitare l’accesso in acqua per i disabili. Per gli amanti del mare e della vela numerosi sono i circoli velici presenti sul territorio: uno a Marina Romea, uno a Porto Corsini, uno a Punta Marina, una a Lido di Classe ed uno a Lido di Savio. Altri 3 circoli sono presenti a Marina di Ravenna in area portuale. (Comune di Ravenna, Novembre 2009) 129


FOTO STORICHE

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2.3.b Porto e Polo Industriale La tradizione portuale di Ravenna, in virtù della sua fortunata posizione geografica, risale al I secolo a.C., quando Augusto vi dislocò una delle due flotte imperiali. Il porto continuò ad essere attivo anche dopo la crisi dell’Impero del III sec. e conobbe nuovo splendore in età bizantina, di cui ci è data testimonianza nei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo. Nel 1748 vennero inaugurati il porto canale e la nuova darsena con il nome di Canale Corsini, lungo 11 km, in onore dell’allora Papa regnante Clemente XII Corsini. Successivamente si svilupparono i primi edifici portuali, si trattava prettamente di attività commerciali o per piccole lavorazioni. Nel 1860 ebbero inizio i lavori di escavazione del canale e di allargamento della darsena, promossi da Luigi Carlo Farini, che consentirono l’accesso e l’attracco di navigli mercantili di maggior tonnellaggio e permisero il riconoscimento dello scalo di Ravenna come “porto nazionale”. Dal 1913 iniziarono ad insediarsi lungo la darsena alcune attività industriali e quella 133


diventò dunque la prima area industriale di Ravenna. Negli anni ‘50 si evidenziarono le nuove esigenze del trasporto marittimo, che richiedeva aree più estese e facilmente raggiungibili da navi di maggiori dimensioni, così come si evidenziò la necessità di migliori collegamenti stradali e ferroviari per il porto. Si andò così verso la realizzazione del nuovo porto industriale/commerciale di Ravenna, collocato più verso mare rispetto alla vecchia darsena. Questa scelta segna il declino della Darsena di città come scalo portuale: progressivamente le attività si trasferirono nel nuovo Porto e per questo dalla fine degli anni ’80 presero piede le prime ipotesi di riutilizzo e riqualificazione della Darsena di città. (Comune di Ravenna, 2011) Il decollo del Porto di Ravenna come grande porto di rilevanza economica internazionale si ha nell’ultimo dopoguerra, in coincidenza con 134


l’insediamento sulle sponde del porto canale di raffinerie e del petrolchimico, legato alla scoperta di estesi giacimenti di metano nelle acque antistanti la città. Con la crisi petrolifera degli anni ’70 si accentuarono le caratteristiche commerciali dello scalo e, a quelli già avviati, si aggiunsero, sempre per iniziativa di privati, nuovi terminal specializzati nella movimentazione di rinfuse, merci varie e container. Il Porto di Ravenna si caratterizza come leader in Italia per gli scambi commerciali con i mercati del Mediterraneo orientale e del Mar Nero (quasi il 40% del totale nazionale ad esclusione del carbone e dei prodotti petroliferi) e svolge una funzione importante per quelli con il Medio e l’Estremo Oriente. (Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico centro-settentrionale, 2017) 135


PROGETTO “HUB PORTUALE DI RAVENNA” Il Porto di Ravenna ad oggi è costituito da un canale principale, il Canale Candiano, della lunghezza di circa 12 chilometri e due secondari, Baiona e Piombone. A seguito delle analisi del traffico e degli scenari futuri, il Piano Regolatore Portuale ha fissato come priorità per lo sviluppo del Porto, l’approfondimento dei fondali per permettere l’ingresso di navi di dimensioni maggiori rispetto alle attuali, oltre alla realizzazione di un nuovo Terminal Container e nuove aree destinate alla logistica. Nel complesso sono attualmente presenti 24km di banchine disponibili, di cui 18.5km operative. Le opere oggetto dell’intervento si inseriscono in un più ampio programma denominato “HUB PORTUALE RAVENNA 2017”, e consistono, in una prima fase: - nell’approfondimento dei fondali a -13,50 m del canale marino e dell’avamporto e nell’approfondimento del Canale Candiano a -12,50 m fino alla Darsena San Vitale, con il dragaggio di oltre 4.700.000 mc di materiale; 136


- nella realizzazione di una nuova banchina, della lunghezza di oltre 1.000 m, destinata a terminal container sul lato destro del Canale Candiano in Penisola Trattaroli, che sarà raggiunta dalla linea ferroviaria; - nell’adeguamento strutturale alla normativa antisismica ed ai nuovi fondali di oltre 2.500 m di banchine esistenti; - nell’approfondimento dei fondali di ulteriori banchine (già adeguate) per uno sviluppo lineare di oltre 4.000 m; - nella realizzazione di nuove piattaforme logistiche urbanizzate ed attrezzate in area portuale per circa 200 ettari utilizzando parte del materiale di risulta dai dragaggi opportunamente trattato. Nella seconda fase, che segue i lavori della prima fase dove sarà stato realizzato l’impianto di trattamento dei materiali risultanti dall’escavo, si completerà l’escavo dei fondali sino alla profondità di 14,5 metri. Il quadro economico prevede una spesa di 235.000.000 di Euro 137


per il completamento della prima fase di lavori. Il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) nel 2012 ha approvato il progetto preliminare del “Hub portuale di Ravenna”, con l’assegnazione definitiva dell’importo di 60 milioni di euro, a valere sulle risorse del “Fondo infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico”. La Banca Europea per gli Investimenti (BEI) nel 2013 ha approvato l’erogazione di un finanziamento di scopo sino a 120 milioni di euro per il progetto “Hub Portuale di Ravenna”. L’Autorità Portuale investirà fondi propri già disponibili per 55 milioni di Euro. Il cronoprogramma dell’intervento risente principalmente dei tempi necessari all’espletamento di tutti gli iter autorizzativi connessi ad un progetto complesso, che coinvolge una numerosa serie di soggetti 138


Tratto di canale da dragare Banchine in corso di adeguamento Realizzazione/adeguamento banchine Valutazione di fattibilità in corso Piattaforma logistica sviluppata da privati Piattaforma logistica di iniziativa pubblica Aree di deposito provvisorio materiale dragato

istituzionali e, dal punto di vista tecnico, dei tempi necessari per la corretta gestione dei materiali risultanti dall’escavo. Il progetto definitivo è stato depositato nel settembre 2017 al Ministero Infrastrutture e Trasporti per la relativa istruttoria presso tutti gli enti competenti. I lavori della prima fase sono previsti durare circa quattro anni per la realizzazione delle infrastrutture e contemporaneamente sarà realizzato l’impianto di trattamento dei materiali di dragaggio. La fase di approfondimento dei fondali durerà altri due anni circa. Non appena completato l’iter autorizzativo ed ottenuta la delibera del CIPE, si è provveduto ad indire la gara di appalto, per avviare i lavori nei primi mesi del 2019. (Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico centro-settentrionale, 2017) 139


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Ravenna Terminal Passeggeri, Porto Corsini e Porto turistico La Marinara, Marina di Ravenna 141


POLO INDUSTRIALE Il territorio ravennate fino alla fine degli anni ’50 aveva una vocazione prevalentemente agricola, a cui si è in parte sostituita una crescente industrializzazione sviluppatasi in sinistra Candiano, attorno al primo polo chimico Anic, e che oggi interessa un’area ben più vasta, senza soluzioni di continuità con la zona portuale. La costruzione dell’insediamento Enichem, allora Anic, si deve alla scoperta da parte di Agip Mineraria, negli anni 1953-1954, di un grosso giacimento di gas naturale al largo della costa romagnola. Nel 1957 furono avviati i primi impianti per la produzione di gomme stirene-butadiene (Sbr) e di lattici di gomma sintetica. Nel 1958 si iniziò la produzione di fertilizzanti, mentre nel 1959 di cloruro di polivinile; dal ’61 al ’63 la produzione si allargò alle gomme Cis e ad altri polimeri speciali. Lo stabilimento nel tempo si è quindi ampliato, ma le “isole” in cui è suddiviso sono state storicamente interessate da singole e specifiche attività. Ciò ha permesso di suddividere il polo - nato come un unico 142


insediamento - in un complesso di attività gestito da società diverse, con una propria autonomia organizzativa, assecondando le dinamiche che negli anni hanno caratterizzato l’evoluzione dell’industria chimica. Sinergico allo sviluppo del polo petrolchimico - e dell’industria chimica in particolare - è stato il potenziamento del porto di Ravenna. Oggi all’area industriale e artigianale fanno capo sia le aziende attive a servizio del porto (carico, scarico e deposito, spedizioni, agenzie marittime, cantieri navali, imprese di lavaggio) sia le industrie che si servono del porto per inviare i loro prodotti finiti e per ricevere le materie prime, i semilavorati o i prodotti necessari alla produzione. L’area portuale include quasi 16 km di banchine, le relative strutture di carico, scarico e movimentazione delle merci, nonché piazzali e magazzini per lo stoccaggio. Nel 2009 il traffico totale di merci è ammontato a oltre18 milioni di tonnellate: prodotti petroliferi, fertilizzanti, cerealicoli, liquidi chimici, alimentari, siderurgici ecc., con una predominanza di merci 143


secche (68%). In sintesi, l’area industriale e portuale è caratterizzata da un importante polo chimico/petrolchimico (raffinazione di greggio, produzione di nero di carbonio, fertilizzanti, antiossidanti, principi attivi per insetticidi, colle, Pvc, servizi ambientali di depurazione e incenerimento, stoccaggio di prodotti petroliferi e altro), due centrali termoelettriche, ditte del settore agro-alimentare (stoccaggi di fertilizzanti e cerealicoli, produzione oli alimentari/ farine per uso zootecnico), aziende del settore metallurgico, produzioni di cemento e prodotti per edilizia e ceramica, attività a servizio del porto. Lo sviluppo del polo industriale/portuale ha rappresentato un potente motore di sviluppo economico, accompagnato però da problemi di impatto ambientale. La consapevolezza di dover coniugare la tematica ambientale con la necessità di sviluppo e occupazione ha impegnato imprese e pubblica amministrazione. Fin dagli anni ’70 i soggetti coinvolti si sono spesi, attraverso la strada degli accordi volontari, per la riduzione dell’impatto ambientale e il potenziamento del monitoraggio. È in questo ambito che, su iniziativa dell’assessorato 144


all’Ambiente della Provincia e del Comune di Ravenna, la pubblica amministrazione, il sistema delle imprese e le parti sociali hanno da tempo manifestato l’impegno a conseguire la certificazione ambientale dell’area industriale di Ravenna. Nel 2000 è stato sottoscritto un protocollo d’intesa che prevedeva una prima fase per il conseguimento, da parte di 16 aziende sottoscrittrici, della certificazione ISO14001 (puntualmente ottenuta), e una seconda fase per l’ottenimento della certificazione Emas di ambito produttivo omogeneo.

10. La sigla ISO 14001 identifica una norma tecnica dell’Organizzazione internazionale per la normazione (ISO) sui sistemi di gestione ambientale (SGA) che fissa i requisiti di un sistema di gestione ambientale di una qualsiasi organizzazione. 11. Eco-Management and Audit Scheme (EMAS) è uno strumento volontario creato dalla Comunità europea al quale possono aderire volontariamente le organizzazioni (aziende, enti pubblici, ecc.) per valutare e migliorare le proprie prestazioni ambientali e fornire al pubblico e ad altri soggetti interessati informazioni sulla propria gestione ambientale. 145


Le acque reflue industriali, domestiche e meteoriche di dilavamento dell’insediamento multi-societario di Ravenna sono raccolte in un sistema fognario complesso e convogliate al trattamento depurativo negli impianti della società Ecologia Ambiente. Il sistema fognario si compone di reti distinte per la raccolta delle acque reflue industrialie delle acque meteoriche di dilavamento. (Arpae, Dicembre 2010) E’ necessario ricordare che all’interno dell’area sono presenti aziende a rischio di incidente rilevante; l’attuale normativa è costituita dal Decreto Legislativo 26 giugno 2015, n. 10512.

12. Attuazione della direttiva 2012/18/UE relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose. (15G00121) (GU Serie Generale n.161 del 14-07-2015 - Suppl. Ordinario n. 38) 146


Sulla base del tipo dei prodotti trattati e del loro quantitativo è individuata una diversa disciplina comportamentale per le attività cosiddette a “soglia inferiore” o a “soglia superiore”. Dal censimento degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, realizzata da ARPAE, risultano 82 stabilimenti di questo tipo in Emilia-Romagna: 30 in “soglia inferiore” e 52 in “soglia superiore”. A Ravenna (provincia) è situato il 41% di tutti gli impianti a rischio della Regione (34). Da un esame di maggior dettaglio risulta poi che a Ravenna la percentuale di concentramento del rischio è addirittura pari alla metà di quanto insiste nell’intera Regione, se si fa riferimento ai soli impianti di maggior rischio (“soglia superiore”). In questo caso su 52 stabilimenti emilianoromagnoli, quelli ravennati sono ben 26. (Arpae, 2020) 147


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Canale Candiano e Polo industriale di Ravenna 149


Punta Marina, Ravenna 150


2.4 Gestione ed effetti della dinamica litoranea Come conseguenza dei cambiamenti climatici e del cedimento del territorio, le zone costiere sono direttamente interessate da numerose problematiche ed in alcune aree particolari gli effetti sull’ecosistema e sull’urbanizzazione sono particolarmente accentuati. Le province di Ferrara e Ravenna sono caratterizzate dalla presenza di oltre 160.000 ettari di territorio con quote inferiori ai -3/-4 m rispetto al livello del mare. In questo contesto, diversi fattori morfodinamici rendono instabile la riva ed il back shore. Durante il prossimo decennio, gli effetti combinati del cedimento del suolo e dell’innalzamento del livello del mare, a seguito dei cambiamenti climatici, si prevede che aumentino l’instabilità del litorale, portando ad ulteriori ritiri. La conseguente perdita di spiagge avrebbe un impatto forte sull’economia della regione, che è strettamente connessa con le infrastrutture turistiche. Queste condizioni mostrano l’importanza di una definizione precisa del 151


possibile impatto locale delle variazioni climatiche attuali e future. Caratterizzata da una leggera pendenza, la pianura costiera Emiliano Romagnola è altamente vulnerabile a causa di erosione costiera diffusa, intrusioni di acqua marina correlate all’innalzamento del livello del mare, mareggiate e cedimento del suolo. Queste quattro principali minacce sono state esasperate dall’espansione umana che si è verificata dagli anni ‘40, quando iniziarono una urbanizzazione rapida e un forte sfruttamento delle risorse (acqua e gas) del sottosuolo. Per quanto riguarda le criticità elencate, ci siamo basate sulle analisi dei documenti redatti da Perini nel 2017 di modelli che stimano i potenziali rischi lungo la costa emiliano romagnola e li proiettano all’anno 2100. Bondesan et al. (1995) ha preliminarmente studiato l’impatto di questi scenari IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) per l’innalzamento del livello del mare nell’anno 2100, in combinazione con prevedibile 152


subsidenza e tendenze per le mareggiate. Hanno concluso che l’area potenzialmente colpita dal rischio di alluvioni era destinata a crescere in futuro. In particolare, in questa regione, l’attenzione si concentrerà su due aspetti: la perdita di territori che sono attualmente al livello medio o superiore del mare e l’allargamento delle aree potenzialmente interessate da inondazioni di acqua di mare a causa di tempeste. La vulnerabilità dell’intera area costiera è principalmente causata dall’assenza di dune e dalla loro discontinuità. Un’ulteriore causa di vulnerabilità è la presenza di ampie aree che sono attualmente al di sotto del livello medio del mare. Inoltre, la combinazione di cedimento con la ritirata naturale del litorale, dovuta alla riduzione della portata del sedimento fluviale, è responsabile di una diffusa erosione costiera, sia a breve che a lungo termine. La pressione umana e lo sfruttamento sotterraneo della pianura costiera e dei suoi dintorni hanno peggiorato gli effetti previsti dei cambiamenti 153


climatici, in particolare delle tempeste costiere. Il rischio per l’inondazione del mare è stato amplificato dall’urbanizzazione che, dalla fine della Seconda guerra mondiale, è aumentata del 400% in termini di area occupata. A proteggere la maggior parte delle città costiere e resort erano le dune, che sono il naturale bastione contro l’inondazione del mare e un serbatoio naturale di sabbia per il nutrimento delle spiagge, tuttavia sono state completamente distruttie dall’urbanizzazione. In alcuni casi i ritiri del litorale hanno raggiunto gli edifici e le infrastrutture. (Perini L., Calabrese L., Luciani P., Oliviero M., Galassi G., Spada G., 2017) 154


Sezione della spiaggia di Casalborsetti Nord con opera di difesa rigida

All’interno dello studio di Perini viene individuato un modello ad alto rischio per il 2100, caratterizzato dalla totale assenza di difese naturali o artificiali, come dune e argini, che potrebbero contrastare l’azione marina e dall’alto tasso di subsidenza, raggiungendo 15 e persino 20mm l’anno in alcune località come Porto Corsini. In questa prospettiva, il modello esclude l’adattamento naturale del sistema costiero, poiché si basa sull’assunzione di “nessun intervento” da parte dell’uomo, come nessun ripascimento e nessuna riqualificazione dei sistemi di difesa costiera.

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2.4.a Alluvioni e inondazioni I territori costieri a basso livello altimetrico dell’Adriatico nord-occidentale, patrimonio storico, socio-economico ed ambientale, sono sempre più frequentemente esposti al rischio di inondazione per ingressione marina durante eventi di mareggiata e storm surge (un’onda di tempesta ovvero un sollevamento importante del livello del mare sul litorale, causato dai venti di una depressione importante che spinge sull’entroterra la superficie). Rialzi del livello del mare si manifestano particolarmente nel periodo autunno-inverno per effetto di basse pressioni locali e di intensi e persistenti venti provenienti dai quadranti sud-orientali (Scirocco) e diretti lungo l’asse longitudinale dell’Adriatico, associati a sistemi depressionari che si accostano al bacino da ovest o sud-ovest. La configurazione allungata del Mare Adriatico e l’effetto di incanalamento prodotto dalle conformazioni orografiche delle regioni che vi si affacciano, determinano un’intensificazione dell’azione di trascinamento del vento verso l’estremità chiusa, 156


che favorisce l’accumulo di acqua a ridosso della costa. Le dinamiche di generazione risultano amplificate dalla limitata profondità dei fondali che caratterizza la parte settentrionale dell’Adriatico. Il rischio di allagamento aumenta quando il contributo di origine meteorologica si sovrappone ad un’alta marea astronomica, determinando forti innalzamenti del livello del mare che, andando oltre i valori massimi raggiunti dalle alte maree in condizioni normali, possono provocare il fenomeno dell’acqua alta. I fattori subsidenza, sia di origine naturale che antropica, ed eustatismo sono i principali responsabili anche dell’accentuazione, durante gli ultimi cinquant’anni, della vulnerabilità della fascia costiera ravennate nei confronti dei fenomeni di ingressione marina durante intense mareggiate, associate ad eventi di acqua alta. (Ciavola P., Masina M., 2011) Mareggiate più frequenti e intense, associate a eventi di “acqua alta”, l’innalzamento del livello medio del mare e l’abbassamento del territorio per subsidenza, determinata da fenomeni 157


naturali e da attività antropiche (emungimenti di fluidi dal sottosuolo), potranno causare sulla costa romagnola una più intensa erosione delle spiagge e dell’incremento del rischio di inondazione. In questo contesto è facilmente prevedibile un aumento dei danni a strutture e a infrastrutture e l’alterazione degli ambienti naturali costieri ancora esistenti, con gravi ripercussioni sull’attività turistica dell’intera area costiera, che trae la propria sussistenza dall’esistenza stessa della spiaggia e dai servizi offerti. (Arpae, 2017) Nel merito della terminologia adottata circa l’uso più idoneo dei termini “alluvione” e/o “inondazione” si segnala che: la parola alluvione viene generalmente usata per indicare un evento di accumulo di materiale fluviale, in estrema sintesi: le alluvioni sono considerati i sedimenti trasportati dal fiume al di fuori degli argini in seguito ad un’esondazione; una inondazione è un fenomeno legato ad un allagamento in tempi brevi (da ore a giorni) da parte di una massa d’acqua su un’area ben definita e abitualmente subaerea. Si può trattare 158


di un fenomeno naturale, come, a solo titolo di esempio fra i tanti, nell’azione combinata di alta marea e uragani in aree costiere. Caratteristica fondamentale di entrambi nella valutazione del rischio inondativo e/o alluvionale è il cosiddetto “tempo di ricorrenza”, ovvero la frequenza statistica con cui un evento di data intensità si potrebbe ripresentare nel tempo. Fenomeni che si registrano ormai sempre più spesso nelle zone costiere, regionali e non, tanto che anche in Italia è stata recepita la recente Direttiva 2007/60/CE13 che intende creare un quadro di riferimento omogeneo a scala europea per la gestione dei fenomeni alluvionali e/o inondativi, ponendosi l’obiettivo di ridurre i rischi di conseguenze negative, derivanti per la vita e la salute umana, l’ambiente, il patrimonio culturale, l’attività economica e le infrastrutture.

13. Direttiva 2007/60/CE cosiddetta “Direttiva alluvioni”, entrata in vigore il 26 novembre 2007, ha istituito “un quadro per la valutazione e la gestione dei rischi di alluvioni volto a ridurre le conseguenze negative per la salute umana, l’ambiente, il patrimonio culturale e le attività economiche connesse con le alluvioni all’interno della Comunità”. 159


In particolare la normativa prevede che venga sviluppata una zonazione e perimetrazione delle aree che potrebbero essere interessate da inondazioni per mareggiate con “Tempi di ritorno”: a) fra 20 e 50 anni (alluvioni frequenti); b) fra 100 e 200 anni (alluvioni poco frequenti) e c) fino a 500 anni dall’evento (alluvioni rare). Almeno in prima approssimazione, il rischio di inondazione lungo la costa regionale è imputabile sia alla morfologia e posizione geografica sia all’elevato grado di urbanizzazione di questo territorio, avvenuto soprattutto a partire dal dopoguerra. Il continuo processo di occupazione delle aree prospicienti la spiaggia, che non si è completamente arrestato nonostante le raccomandazioni legate al programma di Gestione Integrata della Fascia Costiera14, ha avuto come principali conseguenze: la forte riduzione, se non l’assenza, a causa dell’intensa urbanizzazione, di una fascia (spiaggia e retro-spiaggia) 160


Maltempo e allagamenti dell’agosto 2018 che coinvolsero Ravenna

sufficiente ad attenuare il moto ondoso durante le mareggiate; l’assenza, o la presenza molto frammentaria, di un sistema di dune costiere che costituiscono la naturale barriera all’ingressione dell’acqua da mare, oltre che di un serbatoio naturale di sabbia; un estremo irrigidimento del territorio costiero, determinato anche dalla costruzione di opere di difesa artificiali che hanno modificato il profilo topo-batimetrico della spiaggia e il trasporto solido litoraneo.

14. La Gestione Integrata delle Zone Costiere (GIZC) è un processo dinamico, interdisciplinare e interattivo inteso a promuovere l’assetto sostenibile delle zone costiere. Essa copre l’intero ciclo di raccolta di informazioni, pianificazione (nel suo significato più ampio), assunzione di decisioni, gestione e monitoraggio dell’attuazione. 161


Queste situazioni fanno sì che, in occasione di particolari condizioni meteorologiche di storm surge (onda di tempesta) e run up (altezza dell’onda), si verifichino fenomeni di allagamento più o meno estesi con l’innesco di processi di tipo idraulico quali: l’erosione della spiaggia e della duna con conseguente trasporto sedimentario in aree di retrospiaggia; l’innalzamento del livello del mare che, intercettando spiagge con quote molto basse, provocano l’inondazione della spiaggia e delle strutture turistico balneari; lo scavalcamento delle opere di difesa (rigide o temporanee) e l’allagamento delle zone depresse retrostanti, oppure la formazione di varchi negli argini o nel residuo dunoso. In questo contesto riveste ovviamente particolare importanza la residua presenza o meno di dune costiere; una importantissima componente del sistema di transizione terra-mare, anch’esso in 162


continuo adattamento e bilanciamento, rispetto ai cambiamenti relativi a diverse scale temporali e spaziale. Le dune rappresentano per altro un fondamentale ruolo di resilienza nell’ambito della vulnerabilità costiera poiché, oltre all’intrinseco valore naturalistico, l’accumulo di sedimento sabbioso delle dune può rappresentare una forma di difesa naturale (funzionale, efficiente e decisamente più economica rispetto ad altri interventi ingegneristici) contro l’erosione, la salinizzazione delle falde acquifere e, non ultimo, il rischio certamente d’inondazione. Un’elevata naturalità del sistema “spiaggiaduna” (composta da una spiaggia abbastanza ampia, orlata verso mare da una serie di barre sottomarine intertidali e verso terra da dune attive alte fino a 4 m; una condizione all’incirca rilevabile lungo tutta la costa regionale sino ai primi anni del ‘900) rappresenta sicuramente un 163


efficace elemento di resilienza costiera contro i fenomeni di inondazione. Risultati del tutto simili si otterrebbero attraverso la ricostruzione di dune artificiali con profilo opportunamente studiato. (Corpo forestale dello Stato, 2015) Rispetto a tali problematiche recentemente i Servizi Tecnici regionali hanno realizzato una “Mappatura della pericolosità nelle aree costiere marine della Regione Emilia Romagna ricadenti nel distretto padano”, attraverso specifiche procedure e tecniche che hanno permesso di caratterizzare adeguatamente sia i fenomeni meteo-marini, sia la configurazione fisica della costa ed i sistemi di difesa. I risultati di tale impegno sono oggi disponibili per tutti sul website RER “In-risk”, parte integrante del regionale “Sistema informativo della costa”, in cui è possibile visualizzare e consultare i dati di monitoraggio, le elaborazioni e le cartografie aggiornate al 2015, prodotte per lo studio delle criticità costiere. (Corpo forestale dello Stato, 2015) 164


SCENARIO 2100: GLI IMPATTI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI modello ad alto rischio Scenario 2012 Scenario 2100 Aree a rischio alluvione in caso di mareggiate, con effetti combinati di innalzamento del livello del mare e subsidenza Lo scenario non prevede strategie di mitigazione e adattamento in difesa della costa

a subsidenza; b subsidenza e aumento livello del mare (scenario a basso rischio); c

subsidenza e aumento livello del mare (scenario ad alto rischio) 165


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Spiaggia di Marina Romea, Ravenna 167


Subsidenza 2016

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2.4.b Subsidenza L’abbassamento nel tempo della superficie topografica, dovuto ad esempio al naturale costipamento nel tempo dei sedimenti di piane alluvionali o delle zone costiere, rappresenta il fenomeno della subsidenza. Tale fenomeno risulta in generale più accentuato in presenza di materiali fini (siltoso-argillosi) e sostanzae organiche (torbe) che, per la loro struttura mineralogica e il comportamento reologico, permettono variazioni di volume maggiori costipazione - rispetto ai sedimenti granulari e più grossolani, come sabbie e ghiaie; ovvero il contatto tra i granuli della matrice solida sostiene il peso dei sedimenti sovrastanti. Le cause che provocano la subsidenza possono essere sia di origine naturale (compattazione dei sedimenti, tettonica, isostasia), sia di origine antropica, per effetto dell’urbanizzazione, delle bonifiche idrauliche o dell’estrazione di fluidi dal sottosuolo. Il fenomeno della subsidenza si inquadra più in generale nelle variazioni verticali del suolo, considerando che i movimenti tettonici possono comportare anche innalzamenti 169


della superficie topografica. (Arpae, 2019) Il fenomeno della subsidenza nella Pianura Padana è diventato storicamente molto importante fin dal secondo dopoguerra, con l’incremento del fabbisogno idrico per uso agricolo, industriale e turistico, unitamente alla crescente necessità di approvvigionamento energetico sfruttando i giacimenti profondi di idrocarburi gassosi. Uno dei casi più noti di subsidenza indotta da intenso sfruttamento dei giacimenti profondi di idrocarburi gassosi è infatti quello dell’area di Ravenna. Gli effetti della subsidenza sono ben visibili in alcune aree come nella cripta della Chiesa di San Francesco nel centro di Ravenna, completamente allagata. Nel Ravennate, oltre alle estrazioni di idrocarburi profondi, ha contribuito all’abbassamento del suolo anche il pompaggio dell’acqua dagli acquiferi fino a 450 m di profondità, per scopi industriali, agricoli e civili, che ha raggiunto un picco tra gli anni ‘70 e ’80 e che tuttora pur se ridimensionato continua. In generale, tutte queste attività estrattive hanno 170


dato luogo a una subsidenza totale, nell’arco di un secolo, di oltre 1 m in un terzo della città e di più di 1.5 m in un’area ubicata tra la città di Ravenna e la zona costiera. Nel ravennate sono stati condotti numerosi monitoraggi e studi sull’effetto dello sfruttamento delle risorse del sottosuolo ed in particolare dei giacimenti di gas metano. (Simonini P., Ceccato F., Tosi L., 2017) In un secolo la subsidenza è passata da una velocità media di pochi mm all’anno (periodo 1920-1950 = subsidenza naturale) a velocità di abbassamento circa sette volte più alte (1950-1980 = subsidenza totale, naturale più antropica), per poi ritornare a valori pressoché naturali (stima, periodo 1980-2020). L’andamento conferma molto chiaramente l’effetto dell’emungimento di cospicue masse di liquidi e fluidi gassosi sotterranei nel trentennio di sviluppo urbano ed industriale, ma anche l’efficacia dei provvedimenti intrapresi per contrastare il drammatico abbassamento del suolo come, ad esempio, la chiusura di gran parte dei pozzi industriali ed artigianali 171


Cause che portano alla subsidenza Indotta: l’uomo estrae acqua, petrolio o gas dal terreno diminuendo la pressione dei fluidi interstiziali residui, si ha quindi un assestamento del terreno

Naturale: i sedimenti tendono a compattarsi per carico sedimentario, riducendo così il volume dei pori e creando un abbassamento

e l’implementazione della rete acquedottistica dal fiume Reno e dall’invaso di Ridracoli. Ma intanto l’abbassamento del suolo, valutabile in quasi un metro nel periodo 1950-1980, agendo su suoli litoranei di preesistente bassa giacitura geomorfologica, li ha portati a quote inferiori a quelle del livello medio marino, rendendo così necessaria l’azione di un drenaggio dell’acquifero superficiale ad opera di potenti impianti idrovori, per evitare l’allagamento dei terreni costieri. Nell’area della Pineta San Vitale e delle zone umide limitrofe agiscono due impianti, uno a nord del fiume Lamone, Idrovora II° BacinoCasalborsetti ed uno a sud, Idrovora Via Cerba, che pompano volumi d’acqua con portate sull’ordine dei 1518 m3/secondo (pari a volumi di diversi milioni di m3/anno), variabili in corrispondenza delle precipitazioni (piogge = P) annuali. Ad esempio, l’idrovora di Casalborsetti ha drenato 7,2 nel 2002 (P = 490 mm) e 6,2 nel 2003 (P = 490 mm), mentre quella di Via Cerba 8,7 nel 2002 e 4,8 nel 2003. 172


Si consideri che il volume di acque pompate fuori dal bacino è quasi sempre superiore a quello delle acque entrate con le piogge, quindi con un bilancio idrologico negativo, tenendo conto anche della evapotraspirazione effettiva annuale dei suoli. Sottraendo acqua alla superficie freatica, anche per consentire un franco di coltivazione nei terreni agricoli, il drenaggio ha prodotto una consistente risalita dell’acquifero sottostante. Nel caso della Pineta San Vitale, sorta su terreni sabbiosi ad alta conduttivitĂ idraulica, ed a stretto contatto con le lagune costiere, caratterizzate da acque con un contenuto salino prossimo a quello marino, la subsidenza antropica ha indotto una progressiva salinizzazione della falda superficiale, direttamente proporzionale alla distanza dal margine pinetale lato Pialassa Baiona. Per ovviare al problema della salinizzazine della Pineta San Vitale si è proceduto nel recente passato alla dolcificazione di tre dei quattro bacini lagunari che fronteggiano il 173


margine pinetale orientale (Chiaro del Comune, Chiaro del Cavedone, Chiaro del Pontazzo), isolandoli dalla Pialassa con appositi argini di separazione ed alimentandoli con acque dolci prelevate ad occidente: dal Lamone via Fossatone per il Chiaro del Comune e quello del Cavedone e dallo scarico dell’idrovora Via Cerba per il Chiaro del Pontazzo. Il successo è stato relativamente parziale, per due motivi: da un lato, per il modesto livello idraulico ottenibile nei suddetti chiari, per scarsa disponibilità di acque dolci, specie in estate, e dall’altro per la parziale salinizzazione dovuta all’intensa evaporazione dei vasti bacini di acque libere (chiari), specie in presenza di forti venti ed alte temperature estive. I cambiamenti climatici in corso, soprattutto evidenti dal primo decennio del 2000, con una riduzione delle precipitazioni estive ed un aumento della temperatura e della ventosità estiva, stanno portando in generale ad un clima locale definibile semi-arido. (Lazzari G., Novembre 2019)

174


La legge 845 del 10 dicembre 1980 “Protezione del territorio del Comune di Ravenna dal fenomeno di subsidenza” è uno dei primi riferimenti normativi che interviene sul fenomeno della subsidenza, con il quale “la protezione del territorio del comune di Ravenna dal fenomeno della subsidenza ed i relativi interventi sono dichiarati di preminente interesse nazionale”. Con questa legge sono state assoggettate alla tutela della pubblica amministrazione la ricerca, l’estrazione e l’utilizzazione di tutte le acque sotterranee nel territorio di diversi comuni delle province di Ravenna, Forlì-Cesena e Bologna, con l’obiettivo di controllare gli emungimenti dal sottosuolo attraverso progressive limitazioni e modalità con le quali gli utenti si dovevano adeguare nell’effettuare prelievi, sia per usi produttivi sia per usi domestici. Il monitoraggio della subsidenza è stato effettuato nel tempo da diversi enti, sia locali che di ricerca, in porzioni di territorio più o meno limitate e con diverse finalità, utilizzando reti di livellazione. In EmiliaRomagna nel 1997-98 è stata istituita la rete 175


regionale di monitoraggio della subsidenza, facendo una revisione e un’ottimizzazione delle numerose reti di monitoraggio presenti nel territorio. Nel monitoraggio della subsidenza, tramite la classica tecnica della livellazione di alta precisione, si effettuano misure periodiche della quota assoluta dei diversi capisaldi, ottenuta attraverso una livellazione di precisione rispetto a capisaldi della rete nazionale, nel caso dell’Emilia-Romagna le misure sono riferite al caposaldo di Sasso Marconi (BO). L’evoluzione tecnologica e la disponibilità di dati radar satellitari hanno permesso in EmiliaRomagna, a partire dal 2005, di effettuare elaborazioni di dati interferometrici Sar a scala regionale per ottenere il movimento verticale del suolo, permettendo di valutare il fenomeno con un maggiore dettaglio sia territoriale sia temporale, rispetto alle tecniche di livellazione di alta precisione. (Ecoscienza, 2018; Arpae Emilia-Romagna, 2018) Tuttora sussistono numerose incognite sui meccanismi che controllano la subsidenza e la sfida futura sarà la comprensione delle forzanti 176


connesse con i cambiamenti climatici e la scomposizione dei contributi naturali e indotti. Dal punto di vista ambientale, oggi le tecniche di monitoraggio satellitare permettono di controllare ampie aree e di individuare l’insorgenza della subsidenza antropica già al suo inizio. Le ferite inferte in passato con l’intensivo sfruttamento degli acquiferi, dei giacimenti di gas e l’impatto delle bonifiche idrauliche su vaste aree costiere restano tuttavia ancora molto evidenti in molte parti del territorio italiano e in particolare sul suo enorme patrimonio costruito. Ad oggi non esiste una mappatura nazionale della vulnerabilità/ rischio delle aree soggette a subsidenza. Oggi si hanno tutti gli strumenti per poterla realizzare, tuttavia le autorità preposte al controllo del territorio non sono in grado di coordinare tale attività. E’ necessario quindi un tavolo tecnico sulla “subsidenza”, anche alla luce degli scenari a breve-medio termine di aumento di approvvigionamento energetico e idrico, a fronte dei previsti cambiamenti climatici e alla crescente antropizzazione delle pianure costiere. (Simonini P., Ceccato F., Tosi L., 2017) 177


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Basilica di San Francesco, Ravenna 179


2.4.c Erosione costiera L’erosione costiera rappresenta una delle maggiori minacce per le risorse naturali ed economiche delle aree costiere ed ha portato nel corso degli anni ad un aumento della domanda di misure di protezione. Il fenomeno è comunque di per sé un evento naturalmente presente lungo la linea di costa, la quale rappresenta un ambiente piuttosto instabile essendo il risultato di un regime di equilibrio dinamico delle forze strutturanti questi habitat, conseguenza di una serie di fattori intrinsecamente mutevoli nel tempo. Recentemente, però, il problema dell’erosione è andato accentuandosi a causa della maggior frequenza di mareggiate ed alluvioni causata dall’innalzamento globale del livello del mare come conseguenza dei cambiamenti climatici. Inoltre l’urbanizzazione e la concentrazione delle attività socio-economiche nelle aree costiere ha comportato un’esasperazione del problema sollecitando, a sua volta, una sempre più pressante richiesta di misure di protezione efficaci. In passato si è tentato di contrastare il fenomeno 180


tramite la messa in posa di un’ampia varietà di pennelli e barriere frangiflutti. La presenza di strutture rigide di difesa costiera come dighe e strutture rigide però, alterando il regime idrodinamico della costa, può modificare la granulometria e le altre variabili abiotiche, che a loro volta influenzeranno l’intero funzionamento ecosistemico delle zone intertidali e subtidali. Poiché le soluzioni “rigide” si sono dimostrate spesso inefficaci perché causano la riduzione della zona intertidale, attualmente si preferisce adottare soluzioni definite “soft”. Fra questi tipi di interventi, il più comune e popolare è il ripascimento (nourishment) per mezzo del quale, grandi quantità di sedimento vengono aggiunti lungo la spiaggia, al fine di rimpiazzare la quantità di sabbia persa in seguito all’erosione. Il ripascimento è preferito sia da un punto di vista economico che conservazionistico, ma può causare danni ecologici agli habitat della spiaggia. Questi impatti si possono manifestare a differenti livelli: di popolazione, di comunità (diversità di specie) e di ecosistema (processi 181


Erosione della spoaggia

funzionali, dinamiche trofiche). Agli interventi strutturali adottati, al fine di tamponare le conseguenze dell’erosione, vanno aggiunti poi quelli attuati a scala locale e a livello stagionale che riguardano le attività legate alla gestione turistico-balneare, come: la pulizia delle spiagge e l’innalzamento delle dune invernali, che consiste nell’accumulo di argini sabbiosi a difesa della parte alta della spiaggia, atti a contenere i danni delle mareggiate. Queste dune invernali vengono erette ogni anno su lunghi tratti del litorale in corrispondenza degli stabilimenti balneari, all’inizio della stagione invernale, prelevando la sabbia dalla zona intertidale mediante ruspe, per essere poi rispianate all’inizio della stagione balneare. La costa Emiliano-Romagnola rappresenta un caso esemplare di litorale su cui pesano enormemente i fenomeni erosivi che, 182


Erosione della spoaggia

accentuati da una forte urbanizzazione, causano l’arretramento della linea di battigia. Attualmente il 30% dei litorali emiliano-romagnoli risultano interessati da un quadro di estesi fenomeni erosivi, derivanti soprattutto dalle costanti pressioni di origine antropica; questi sono caratterizzati principalmente da cambiamenti di flusso dei sedimenti, accentuati fenomeni di subsidenza a causa di estrazioni dal sottosuolo, abbattimento delle dune retrostanti e intercettazione del trasporto costiero delle sabbie. Storicamente gli interventi di difesa della costa si sono basati sulla costruzione delle già menzionate opere di difesa rigide che, se da un lato hanno difeso la zona di spiaggia interessata, dall’altro hanno spostato il problema dell’erosione dai litorali di intervento a quelli posti ai lati delle opere stesse. Si è creato così un effetto domino 183


che ha portato in 70 anni alla costruzione di chilometri di opere di difesa rigide, tra scogliere parallele emerse, scogliere radenti, scogliere semisommerse e pennelli. Con il Piano Costa (1981)15 si è deciso di sostituire, o quantomeno di diminuire, l’approccio di tipo “rigido” con un approccio “morbido” per mezzo di sistemi di difesa a minor impatto ambientale. Sono stati così effettuati ripascimenti con sabbie provenienti da depositi litoranei e, negli ultimi anni, da giacimenti sottomarini. La costa di questa regione, negli ultimi decenni, si è affermata come zona turistica di notevole importanza sia a livello nazionale che internazionale, il che comporta tutta un’altra serie di interventi necessari alle attività economiche del turismo balneare. Questi cambiamenti hanno un marcato impatto sulla composizione in specie, 184


abbondanza e struttura trofica delle comunità bentoniche residenti negli ambienti sedimentari e in particolare dell’infauna. Per una più corretta e consapevole gestione delle spiagge è quindi importante valutare gli effetti che possono produrre le diverse pressioni esercitate sugli habitat costieri considerandole sia singolarmente che sinergicamente nelle loro interazioni combinate. (Corpo forestale dello Stato, 2015)

15. La prima legge regionale in materia di protezione della costa è stata la legge regionale 7/1979, Riordino, programmazione e deleghe della formazione alle professioni. Da questo atto è disceso il primo Piano Costa 1981 (approvato nel 1983) seguito da un secondo progetto di Piano nel 1996, e da relazioni sullo stato del litorale negli anni 2000 e 2007. 185


186


Erosione e mareggiate lungo il litorale ravennate 187


2.4.d Intrusione salina Lungo la costa dell’Emilia-Romagna, il progressivo e costante incremento dell’attività antropica durante gli ultimi decenni ha ormai quasi completamente destabilizzato l’equilibrio idrostatico, tanto che l’interfaccia acqua dolcesalata sta ovunque risalendo. Il territorio è frammentato da tante vie d’acqua: canali, fiumi rettificati, canali d’irrigazione che fanno defluire una grande quantità d’acqua dolce al mare, invece di farla entrare negli acquiferi costieri. Il problema dell’intrusione dell’acqua salata nel sistema idrico costiero è venuto alla ribalta della cronaca ed all’attenzione della pubblica opinione e degli amministratori poiché, a causa delle scarse precipitazioni e delle basse portate fluviali, la risalita dell’acqua di mare lungo i rami del Po ha raggiunto diverse decine di km nell’entroterra, compromettendo l’attività agricola (impossibilità di irrigare colture e frutteti) e portando talora al blocco delle centrali elettriche, per mancanza di acqua dolce da usare per il raffreddamento. La risalita dell’acqua di mare lungo i fiumi è, però, solo un aspetto del 188


problema che sta profondamente modificando tutto il sistema idrologico-ecologico costiero emiliano-romagnolo che include le acque superficiali nelle zone umide e vallive, i boschi, i cordoni di dune, i fiumi e i canali, il reticolo idrico della bonifica e gli acquiferi freatici. Anche per questo i modesti sistemi superstiti di dune ancora esistenti tendono ad avere sempre maggiori ed importanti funzioni di adattamento e resilienza, non solo in termini di contrasto ai fenomeni di erosione costiera, ma anche rispetto a quelli di intrusione salina. Il previsto innalzamento del livello marino, come conseguenza dei cambiamenti climatici in combinazione con la subsidenza di origine antropica, contribuirĂ ad esacerbare ancora di piĂš questi fenomeni. (Regione Emilia-Romagna, Gennaio 2018) La salinizzazione costituisce una delle principali cause di degradazione dei suoli, determinando una progressiva ed irreversibile perdita di struttura e fertilitĂ . La presenza nel suolo di elevate quantitĂ di sali idrosolubili riduce la crescita e lo sviluppo vegetativo delle piante per effetto 189


La distribuzione della salinità evidenzia la presenza di una sottile lente d’acqua dolce mentre una zona di miscelazione aumenta rapidamente fino a superare 5 m di spessore nell’entroterra

sia dell’incremento della tensione osmotica della fase liquida, che limita la capacità delle radici di assorbire acqua, sia dell’azione fitotossica per accumulo in eccesso nei tessuti di alcuni ioni, in particolare cloro e zolfo. L’esposizione ad eventi di stress salino induce la pianta a mettere in atto specifici meccanismi di adattamento morfologico e fisiologico per poter sopravvivere in condizioni sfavorevoli, che possono essere seguiti, nel caso di esposizione prolungata o in presenza di un livello di salinità del suolo superiore ad una soglia dipendente dalla specie vegetale considerata, da stress ossidativo con conseguente danno e morte cellulare. A questi processi si accompagnano inevitabilmente riduzioni della produttività dei terreni agricoli, decrementi delle rese colturali e modifiche qualitative dei prodotti ottenuti, con conseguenti ripercussioni negative su ambiente, 190


ecosistema ed economia. La sovrapposizione degli effetti di diversi fattori contribuisce a rendere le aree costiere del ravennate particolarmente vulnerabili al fenomeno della salinizzazione; in particolare, tali fattori, oltre alle caratteristiche intrinseche degli ambienti deposizionali, possono essere la presenza di estese aree con quote inferiori al livello del mare, la subsidenza, il drenaggio forzato mediante idrovore, condizioni meteoclimatiche caratterizzate da elevate temperature e scarse precipitazioni durante la stagione estiva, che vanificano i processi di dilavamento dei suoli e di ricarica degli acquiferi e attivano invece flussi di acqua salata verso la falda freatica. Il fenomeno di salinizzazione dei suoli e delle acque nelle aree costiere è comunque destinato ad aggravarsi a causa dei cambiamenti climatici in atto, con effetti già di rilevante entità , che 191


Suoli agricoli esposti a salinizzazione

Produzione attuale dei campi esposti a salinizzazione Produzione dei campi senza salinizzazione

La protezione delle risorse idriche superficiali e sotterranee tutela il territorio dal fenomeno della subsidenza, il quale è accentuato dal prelievo delle acque dai pozzi e dal cuneo salino

prevedono un innalzamento delle temperature associato ad una riduzione delle precipitazioni, un innalzamento del livello medio del mare ed un incremento degli eventi di inondazione marina. L’area di studio è costituita da antiche valli colmate per bonifica, fra le quali si sviluppano i rilievi arginali dei fiumi ed i cordoni delle dune litorali, sia storiche che attuali. Le depressioni presenti fra questi rilievi si trovano a quote normalmente inferiori a 1 m s.l.m. con alcune zone depresse a quota anche inferiore a -1 m s.l.m.. L’area è oggi bonificata idraulicamente con sollevamento meccanico. Le scoline hanno profondità non inferiore al metro, mentre i 192


Area a tutela delle risorse idriche superficiali e sotterranee

Suoli agricoli esposti a salinizzazzione

canali di bonifica hanno il fondo degradante verso le idrovore a 2m circa sotto il p.c.. La rete dei canali ha funzionamento misto: irriguo d’estate e di scolo d’inverno. Il cuneo salino risale lungo le foci del Reno fino alla traversa di Volta Scirocco, dal Destra Reno fino al Ponte Chiavica e lungo il Lamone circa fino al ponte della SS309. L’ingressione del sale nell’area è particolarmente evidente ed attiva nel periodo invernale, quando i canali sono normalmente vuoti. Nei periodi secchi ed in assenza di irrigazione la falda salata risale fino a raggiungere quasi il piano campagna, ove determina nelle zone più depresse fenomeni di salinizzazione dei suoli. (Lamberti A., Masina M., Lambertini A., Borgatti L., 2018) 193


2.4.e Interventi di mitigazione I primi interventi di difesa costiera attuati lungo il litorale emiliano-romagnolo sono stati attuati in seguito agli effetti di erosione della spiaggia, causati dal prolungamento dei moli dei porti realizzati nei primi decenni del ‘900. Prima di questi prolungamenti, i moli portuali non avevano determinato rilevanti effetti sull’equilibrio delle spiagge limitrofe, in quanto avevano un modesto aggetto verso il mare ed erano costruiti con pali e pietrame che non ostacolavano del tutto il flusso litoraneo delle sabbie. Per rispondere alle esigenze di una marineria in forte sviluppo, che richiedeva fondali sempre più profondi, le tradizionali “palate” furono sostituite con moli più lunghi e realizzati in cemento armato. Queste nuove strutture ostacolano il trasporto dei sedimenti lungo costa in maniera significativa e determinano l’avanzamento delle spiagge sopraflutto e l’arretramento di quelle sottoflutto, ridisegnando così il profilo della costa regionale. Oltre alle strutture portuali, negli ultimi 50 anni gli apporti di sabbia al mare da parte dei fiumi, a esclusione del Po, sono rimasti decisamente al di sotto del volume necessario all’alimentazione naturale e a mantenere un bilancio positivo 194


delle spiagge, in relazione ad azione del mare e subsidenza. Il 90% della fascia costiera regionale è gravata da tassi di subsidenza importanti e circa il 39% del litorale presenta criticitĂ rilevanti. Tali condizioni riguardano indistintamente sia le spiagge libere, che quelle protette da opere rigide. Per fare fronte ai fenomeni erosivi determinati dal progressivo prolungamento dei moli portuali e il carente apporto di sabbia da parte dei fiumi, a partire dagli anni 50 vennero realizzati, dal Genio opere marittime, i primi interventi di difesa del litorale romagnolo. Si trattava di scogliere foranee, parallele alla linea di riva che, pur arrestando l’erosione nei tratti di costa protetti, la trasferirono lungo i paraggi sottoflutto. In un’inarrestabile catena di azione - reazione (in cui spesso il tentativo di risolvere un problema generava ulteriori analoghi problemi), negli anni successivi vari tipi di opere (scogliere emerse, sommerse, pennelli in roccia ecc.) vennero realizzate dallo Stato, a difesa del litorale. (Arpa, 2008) 195


Opere di difesa rigida presenti

Difesa longitudinale distaccata emersa

Difesa longitudinale distaccata a cresta bassa Difesa longitudinale distaccata sommersa

Difesa trasversale emersa

Difesa trasversale sommersa

Foce armata/moli: foce protetta da arginature in massi, moli portuali

Difesa longitudinale aderente emersa: costituita da un argine a terra in massi, o cordone dunoso

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Alla fine degli anni ’70, in seguito all’inasprimento e diffusione del fenomeno dell’erosione costiera, che comprometteva ogni ipotesi di sviluppo dell’economia turistico-balneare, la Regione Emilia-Romagna decise di intervenire direttamente con l’approvazione della Legge Regionale n.7 del 1979, anche se le competenze in materia di difesa dei litorali erano dello Stato. Fu quindi redatto, tra il 1979 e il 1981, un Piano Progettuale conoscitivo dei fattori naturali e antropici che influivano sulla dinamica litoranea regionale, i quali erano per molti aspetti ancora poco conosciuti, il “Piano Costa 1981”. Il Piano Costa 1981 individuò tra le cause dei fenomeni erosivi la forte riduzione degli apporti di sabbia al mare da parte dei fiumi, l’abbassamento del territorio a causa dell’estrazione di acqua e metano (subsidenza) e la costruzione di opere a mare, quali moli e scogliere, e formulò una serie di indicazioni riguardanti le politiche da attuare per ridurre l’arretramento delle spiagge. Tra queste, ad esempio, il Piano propose il ricorso agli interventi di ripascimento, vedendo 197


in essi un’alternativa di difesa meno impattante rispetto alle tradizionali opere rigide, e un ruolo attivo sul bilancio sedimentario dei litorali, legato al fatto che un apporto artificiale avrebbe potuto compensare almeno in parte, il mancato apporto solido naturale dei fiumi e le perdite dovute alla subsidenza. Infine, una delle indicazioni prioritarie del Piano Costa 1981 fu quella di istituire delle reti di misura e controllo dell’evoluzione costiera e dei fattori influenti, al fine di avere dati certi e aggiornati. Anche questa linea di azione fu recepita dalla Regione, che nel 1983 incaricò la società Idroser di progettare le reti regionali per la misura della subsidenza, per il rilievo topografico e batimetrico della spiaggia emersa e sommersa e per l’individuazione della linea di riva. La prima campagna di misura delle suddette reti è stata eseguita nel periodo 19831984. In seguito queste sono state rilevate ogni 5-7 anni, fornendo in tal modo le informazioni necessarie per valutare lo stato del litorale, la sua evoluzione nel tempo e l’efficacia delle politiche 198


regionali messe in atto per limitare le cause dell’erosione costiera. (Aguzzi M., Bonsignore F., De Nigris N., Morelli M., Paccagnella T., Romagnoli C., Unguendoli S., 2016) Le opere di difesa rigide individuate lungo il litorale regionale sono state classificate seguendo le indicazioni dell’Atlante delle spiagge Italiane (CNR 1985): - opera di difesa longitudinale distaccata/ emergente: segmenti di scogliera in massi posti su fondali di circa 3 m, separati da varchi aventi lo scopo di consentire lo scambio di acqua. Essi agiscono sul moto ondoso attraverso fenomeni di dissipazione dell’energia e fenomeni di diffrazione; - opera di difesa longitudinale distaccata/ soffolta/in massi: segmenti di scogliera in massi posti su fondali di circa 3 m, la cui altezza è limitata all’impatto visivo. La segnalazione avviene attraverso boe luminose; - opera di difesa longitudinale distaccata/ soffolta/in sacchi: sono costituite da un allineamento di sacchi in geotessile colmati 199


di sabbia, con dimensione di 2m ciascuno, emergenti dal fondo circa 40 cm. Spesso a sostegno di opere di ripascimento; - opera di difesa longitudinale distaccata/ aderente/soffolta/tubi longard: guaine di tessuto sintetico riempite con una miscela di sabbia. Si installano parallelamente alla linea di riva a varie profonditĂ (piede duna, battigia, spiaggia sommersa). Possono essere associate anche ad elementi perpendicolari che isolino delle celle, favorendo cosĂŹ la formazione di una spiaggia sospesa; - opera di difesa longitudinale aderente/argini: sono costituite da un argine in terra, o da un cordone dunoso, rivestiti sul lato a mare con geotessili e rinforzati con una mantellata di massi rocciosi; - opera di difesa longitudinale aderente/paratie a mare: sono le palancole in calcestruzzo, ferro o legno. Vengono utilizzate come soluzioni temporanee di emergenza perchĂŠ hanno breve durata essendo rapidamente scalzate al piede; 200


- opera di difesa trasversale/pennelli: sono strutture che si estendono dal retrospiaggia alla prima linea dei frangenti di normale mareggiata. Sono realizzati in massi, calcestruzzo ferro o legno e possono essere isolati o far parte di un sistema. L’effetto è quello di intercettare parte del trasporto lungo riva, creando un accumulo sul lato sopraflutto; - opera di difesa trasversale/tubi longard: guaine di tessuto sintetico riempite con una miscela di sabbia. (Perini L., Lorito S., 2007) Contro le tempeste costiere è pratica comune fuori stagione (vale a dire durante l’inverno) costruire argini temporanei lungo le spiagge. Questi, se correttamente progettati, giocano un ruolo cruciale nell’attenuazione e mitigazione dell’effetto di tempeste costiere, nel ridurre l’ingresso di acqua di mare nel back shore e nella prevenzione dell’erosione. (Perini L., Calabrese L., Luciani P., Oliviero M., Galassi G., Spada G., 2017).

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Effetti prodotti dalle opere di protezione: foce del Canale Destra Reno Foto aerea del1943, sono presenti solo i moli del Canale di Destra Reno; si osserva una foce rettilinea ed una spiaggia molto ridotta in corrispondenza dell’abitato.

Foto aerea del 1982, sono state costruite le difese longitudinali distaccate (scogliere emerse) che hanno prodotto l’avanzamento della spiaggia retrostante, a scapito della spiaggia presente a sud che è sensibilmente arretrata.

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Foto aerea del 2005, il tratto meridionale è stato protetto con difese miste e barriere soffolte.

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Come già anticipato, la riduzione al ricorso di opere rigide è stata possibile grazie al progressivo impiego del ripascimento artificiale di sabbia come sistema di difesa dei litorali dall’ingressione marina e dall’erosione. Tra il 1983, anno del primo intervento di ripascimento, e il 2000 sono stati apportati sulle spiagge in erosione poco più di 3 milioni di mc di sabbia, pari a circa 185.000 mc/ anno; mentre nei periodi 2000-2006 e 20062012 sono stati portati rispettivamente circa 3,5 milioni di mc (575.000 mc/anno) e 2,8 milioni di mc (470.000 mc/anno) di sabbia. Una strategia molto importante, portata avanti dalla Regione, è stata la diversificazione delle fonti di prelievo di sabbia, privilegiando sempre più quelle a minor impatto ambientale. Tra il 1983 e il 2000, l’85% del materiale sabbioso proveniva da cave a terra, e solo il 14% da accumuli litoranei. Tra il 2000 e il 2006, il ricorso di materiale proveniente da cave a terra si è ridotto drasticamente (19%) ed è aumentato l’utilizzo di fonti litoranee (36%). Questa riduzione è stata possibile grazie all’utilizzo di nuove fonti, quali giacimenti sottomarini (23%) e materiale provenienti da scavi edili per la realizzazione di fabbricati, di parcheggi 204


Fonte di provenienza delle sabbie

Dragaggi bocche portuali, foci fuviali o di canali e scavi per nuove darsene

Cava nell’entroterra

Accumuli litoranei, spiagge in accrescimento

Giacimenti sottomarini

Pulizia delle spiagge

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sotterranei e di darsene (22%). Tale strategia è continuata anche nell’ultimo periodo (20062012), infatti, solo il 7% del materiale portato a ripascimento è stato prelevato da cave a terra (poco più di 200.000 mc) mentre il 48% da fonti litoranee (più di 1,3 milioni di mc), il 29% da giacimenti sottomarini (circa 800.000 mc) e il restante 16% da scavi edili o portuali (circa 400.000 mc). Dal 1983 al 2012, complessivamente, sono stati apportati sulle spiagge circa 9,5 milioni di mc di sabbia. (Aguzzi M., Bonsignore F., De Nigris N., Morelli M., Paccagnella T., Romagnoli C., Unguendoli S., 2016) L’entità media del fabbisogno finanziario necessario per la manutenzione ordinaria delle spiagge del litorale romagnolo tramite ripascimento si può stimare in circa 2,5 milioni euro/anno; a questo vanno aggiunte le risorse necessarie per la realizzazione degli interventi straordinari di ripascimento con depositi sottomarini (“Progettoni”) che, con cadenza di 5-6 anni, impegnano per la sola area 206


romagnola circa 15 milioni di euro. Si tratta di cifre senz’altro rilevanti che si giustificano ampiamente se rapportate ai benefici e alle ricadute che offrono sul piano economico, ma che trovano piena copertura nel bilancio dell’amministrazione regionale con sempre maggiore difficoltà. (Aguzzi M., Bonsignore F., De Nigris N., Morelli M., Paccagnella T., Romagnoli C., Unguendoli S., 2016) Visti i buoni risultati confermati dalle attività di monitoraggio, nel 2016 è stato intrapreso il terzo intervento di messa in sicurezza di tratti critici del litorale regionale mediante ripascimento con sabbie sottomarine, noto come “Progettone 3”. Il ripascimento è stato realizzato tra la fine di marzo e la prima metà di giugno 2016 ed è il più importante intervento di questo tipo in EmiliaRomagna, in termini di volumi e di risorse tecniche ed economiche coinvolte. L’attività ha interessato 8 tratti di spiaggia soggetti a erosione: Misano Adriatico, Riccione, Igea Marina, Cesenatico, Milano Marittima, Lido di Dante, Punta Marina e Lido di Spina, per un totale di circa 12 km 207


di estensione. Il volume di sabbia sversata è stato di circa 1,6 milioni di m3, dei quali 1,4 milioni prelevati da un deposito sottomarino e la parte restante da sedimenti accumulati alla foce del canale Logonovo. Il materiale prelevato al largo è stato portato alle spiagge via mare, tramite draghe e condotte, riducendo gli impatti ambientali legati al trasporto. Per poter valutare le variazioni morfologiche delle spiagge, le dinamiche di trasporto solido tra spiagge limitrofe, gli impatti sulle zone di prelievo e l’efficacia dell’intervento stesso, è stato previsto un Piano di Monitoraggio per il biennio 2017-2018. (Aguzzi M., Albertazzi C., De Nigris N., Gandolfi S., Morelli M., Tavasci L., Unguendoli S., Vecchi E., 2019)

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Sintesi delle più diffuse opzioni possibili suggerite internazionalmente per contrastare l’innalzamento del livello del mare

Proteggere lo sviluppo costiero attraverso ripascimenti, dune, barriere

Proteggere i terreni agricoli attraverso dighe, dune, barriere

Creare zone umide con piante autoctone che stabilizzano il terreno

Trovare un equilibrio tra la conservazione degli habitat e sviluppo

Regolare lo sviluppo edilizio con consapevolezza dei rischi

Stabilire codici d’arresto per l’edilizia e considerare un ricollocamento di nuclei abitati a rischio

Consentire la migrazione delle zone umide

Trasformare l’agricoltura attuale in acquacoltura o agricoltura galleggiante

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3. NUOVE STRATEGIE

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3.1 Strategia di intervento: finalità e obiettivi Oggi diviene essenziale per una buona qualità della nostra vita e soprattutto per quella delle generazioni future seguire un modello di sviluppo sostenibile nel rispetto del sistema natura. Il bene ambientale (fiumi, laghi, dune costiere, scogliere, colline, montagne, ecc.) non rappresenta una risorsa inesauribile da consumare e distruggere, ma un bene pubblico da vivere, garantire, rispettare e tutelare soprattutto per le generazioni future. Pertanto la conservazione della natura diviene una necessità per il bene stesso dell’uomo, al fine di mantenere inalterati i fragili equilibri che ci impone il sistema. Le proposte avanzate a livello europeo (Eurosion, 2007) per affrontare responsabilmente il problema dell’erosione costiera e del rischio di inondazioni marine, sono volte a: - Ripristinare la naturale resilienza costiera attraverso il rafforzamento degli ecosistemi che si oppongono naturalmente alle criticità 212


evidenziate; - Ripristinare il profilo di equilibrio della spiaggia e degli spazi utili alla fisiologica erosione costiera; - Pianificare le aree costiere diminuendo la pressione derivante dall’urbanizzazione; - Migliorare l’informazione sulla corretta gestione e sulla pianificazione dell’erosione costiera. Un altro tipo di approccio all’erosione costiera, più recente, è basato sull’abbandono delle terre a rischio e sulla ricollocazione delle strutture più all’interno. Simili azioni sono state attuate nel Regno Unito (Essex e Sussex) e in Francia (Criel sur Mer). In questi casi l’analisi costi benefici ha dimostrato che il costo di un sistema protettivo tradizionale, in tempi lunghi (oltre il tempo di sopravvivenza del bene), avrebbe abbondantemente ecceduto il valore delle opere da proteggere, mentre il riallineamento gestito forniva una soluzione più favorevole dal punto di vista economico e ambientale. Queste esperienze evidenziano i limiti dell’approccio parziale all’erosione costiera e provano la 213


necessità di adottare strategie preventive basate sulla pianificazione, sul monitoraggio, sulla valutazione e sui principi della Gestione Integrata delle Aree Costiere. (Arpae, Dicembre 2010) Questo progetto ha come obiettivo principale la formulazione di piani d’azione territoriale per l’adattamento delle zone costiere ai cambiamenti climatici, per prevenire gli effetti dell’erosione e i rischi da sommersione, la tutela, la valorizzazione e, in alcuni casi, il potenziamento degli spazi naturali che li circondano e li caratterizzano. Le nuove previsioni di sviluppo sono finalizzate al potenziamento di tutta l’offerta ricettiva, alla realizzazione di spazi e servizi pubblici, alla creazione di viabilità di circuitazione, o alla creazione di nuove attrezzature private al servizio di un turismo di qualità. A fronte della 214


situazione critica delle aree di progetto e avendo come base una visione prospettica di mediolungo periodo, abbiamo agito sul complesso di risorse naturali e culturali presenti sul territorio, assumendo rapidamente la consapevolezza del ruolo propositivo e progettuale del paesaggio e del suo rapporto scambievole con l’ecosistema. Nonostante la mole di strumenti di valutazione, normazione e certificazione ambientale esistenti, ci troviamo in una situazione di sempre maggiore compromissione, pertanto occorre un obiettivo di miglioramento condiviso dell’intero territorio regionale, concentrando una parte degli interventi in territori che presentano forti potenzialità di sviluppo o un’elevata dinamica di trasformazione e rischio.

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Occorre abbandonare l’idea che esistano da una parte il paesaggio e l’ecosistema e dall’altra l’urbanistica, le strade, il turismo, l’energia, l’agricoltura ecc. La strategia del progetto vuole accrescere il capitale ecologico e paesaggistico, al fine di perseguire la conservazione dei valori territoriali, di ripristinare le continuità ecosistemiche e di rigenerare le risorse naturali e culturali attraverso la progettazione di nuovi paesaggi e di neoecosistemi. (Arpae, Dicembre 2010) Le azioni strategiche sono state suddivise in tre sistemi identificati in idraulico, insediativo, fruitivo. La linea strategica del sistema idraulico è finalizzata alla protezione dell’entroterra e ad una gestione più sostenibile ed efficiente della risorsa idrica, tramite lo sviluppo di soluzioni 218


a scala variabile che mitighino i rischi e i loro effetti. Si prevedono, inoltre, una serie di obiettivi di adattamento ai cambiamenti in atto e la determinazione di processi in supporto a tali obiettivi. La linea del sistema insediativo mira alla tutela del patrimonio immobiliare dalle minacce presenti, in affiancamento ad azioni di evoluzione per gli elementi più a rischio. É, inoltre, prevista la riconversione per le componenti ritenute di importanza territoriale. Infine la linea strategica del sistema fruitivo è finalizzata all’innovazione dell’offerta turistica del territorio, in accompagnamento al potenziamento delle connessioni tra i luoghi di interesse, al fine di favorire l’accessibilità, e al miglioramento dell’attrattività, con l’obiettivo di una nuova fruizione territoriale. 219


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3.2 Ambiti di progetto e nuova configurazione territoriale

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3.2.a Area umida Uno degli obiettivi strategici è quello di individuare soluzioni volte al miglioramento dello stato degli ecosistemi umidi limitrofi al territorio esaminato. Essi si trovano, infatti, minacciati da problematiche tra cui la torbidità dell’acqua e l’elevata salinità del suolo. La prima, sviluppatasi per cause sia antropiche che naturali, porta alla riduzione dell’attività fotosintetica, a fenomeni di anossia e all’alterazione della catena trofica; la seconda, indotta dalla subsidenza naturale e antropica, si collega alla risalita del cuneo salino dalle falde sotterranee e dalle aste fluviali. Si è inoltre pensato a come migliorare le capacità di immissione e circolazione idraulica dell’intero sistema delle aree umide ad alta biodiversità, comprendenti Pialassa Baiona, Punte Alberete e Valle Mandriole. Si sono dunque seguite le linee guida delle NWRM (Natural Water Retention Measures). Le misure di ritenzione idrica naturale sono soluzioni multifunzionali, promosse dalla Direzione Generale Ambiente dell’Unione Europea, che mirano a proteggere e gestire le risorse idriche, ripristinando o mantenendo gli 231


ecosistemi, nonché le caratteristiche naturali dei corpi idrici, utilizzando mezzi e processi naturali. Il loro obiettivo principale è migliorare, oltre a preservare, la capacità di ritenzione idrica di falde acquifere, suolo ed ecosistemi al fine di migliorarne lo stato. I potenziali vantaggi sono molteplici, inclusa la riduzione del rischio di inondazioni e siccità, il miglioramento della qualità dell’acqua e il miglioramento degli habitat. Gli ecosistemi preservati o ripristinati possono a loro volta contribuire sia all’adattamento ai cambiamenti climatici, sia alla loro mitigazione. Si tratta di misure più convenienti su strategie a lungo termine e con una grande resistenza ai pericoli naturali. Le NWRM possono essere finanziate da un’ampia gamma di sussidi ed incentivi per i rischi di alluvione, essendo in linea con gli obiettivi ed i requisiti della direttiva quadro sulle acque dell’Unione Europea. Una di queste misure consiste nei bacini d’infiltrazione, ovvero depressioni progettate per favorire la filtrazione d’acqua nei terreni sottostanti. In questo contesto si è preso in 232


considerazione un bacino d’infiltrazione a cielo aperto, di profondità contenuta (2-4 metri) ed integrato con vegetazione autoctona. Quest’ultima caratteristica permette sia di aumentare l’umidità nel suolo e di ricaricare l’acquifero superficiale, con benefici quali la creazione di un’oasi per la flora e la fauna locale, sia di sfruttare la capacità delle piante di biodegradare alcuni inquinanti, contribuendo alla depurazione dell’acqua che si infiltra nel terreno (fitodepurazione). La vegetazione introdotta è quella tipica degli ambienti d’acqua dolce della zona, comprendente idrofite radicanti, idrofite natanti, cariceti, tifeti, fragmiteti e idrofite sommerse. Altri benefici collegati consistono nella disponibilità di acqua per le coltivazioni limitrofe ed un significativo contrasto alla torbidità delle acque. La presenza del bacino consente inoltre il ripristino di quell’habitat perduto a causa dell’introduzione di molte specie alloctone ed è caratterizzato da bassi costi di mantenimento e da una manutenzione minima. Si trova, inoltre, vicino a diversi punti di interesse naturali ed è, a 233


sua volta, un polo ricreativo in cui svolgere attività turistiche, sportive e naturalistiche. Il bacino, che si estende per 1.433.750 metri quadrati, ospita specie vegetali rare ed autoctone. È collegato con Punte Alberete e Valle Mandriole e questo permette un flussaggio maggiormente costante, rispetto alla situazione attuale, al fine di contrastare la torbidità delle acque, grazie anche ad una portata di 6.500.000 metri cubi. Ciò favorisce il corretto funzionamento dei cicli estate - inverno di ricambio dell’acqua nelle aree umide a lui collegate, fortemente influenzati da una disponibilità d’acqua saltuaria. La configurazione attuale di scarico e presa d’acqua di queste aree umide presenta numerosi problemi, quali la mancanza di manutenzione e il posizionamento sfavorevole al corretto flussaggio. Sia Punte Alberete che Valle Mandriole sono state perciò collegate sia al nuovo bacino, che alla presa del Carrarino sul fiume Lamone, creando un assetto funzionale alla gestione delle aree nel loro insieme. (Natural Water Retention Measures) 234


Flussi all’interno delle aree umide

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Masterplan progettuale della nuova area umida

Sezione del nuovo bacino di infiltrazione e percorsi

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Il bacino di infiltrazione

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3.2.b Fascia retrodunale Un altro intervento strategico è l’introduzione di un’area boscata, costituita unicamente da specie vegetali autoctone, sostituite attualmente dalla massiccia presenza di Pino Marittimo e Pino Domestico. La fascia planiziale interna, costituita da dune definitivamente consolidate e piane alluvionali, dovrebbe essere dominata da ambienti boschivi mesoigrofili, igrofili, xerofili e ripariali, ma è stata pesantemente modificata nel tempo e sono state introdotte al suo posto coltivazioni intensive. I pochi ambienti rimasti con caratteristiche naturali e semi naturali sono i tratti dei fiumi, ancora contraddistinti dalla tipica vegetazione ripariale. (Provincia di Ravenna, Giugno 2009) La matrice arborea della vegetazione della costa di Ravenna non era caratterizzata né da Pino Domestico, introdotto artificialmente, né da Pino Marittimo, di recente importazione, né da Pino Nero, ma da un ampio querceto. (Zangheri P., 1936) La necessità di offrire adeguata protezione dai venti provenienti dal mare ha portato alla 239


formazione di una pineta prossima all’arenile, a tratti estremamente compatta, povera di sottobosco e scarsamente fruibile dalla maggior parte delle specie di uccelli insediati nell’aree retrostanti. A causa della scarsa ampiezza media delle Riserve indagate, la superficie occupata dalle formazioni frangivento diventa spesso la tipologia prevalente della stazione, con effetti di impoverimento della biodiversità. Dal punto di vista faunistico l’estensione e la profondità di queste formazioni andrebbe ridotta il più possibile, favorendo nel contempo l’insediamento di un sottobosco di specie tipiche delle sommità dunali. I tratti di pineta coetanea a maggiore densità e omogeneità non consentono all’avifauna di stabilire comunità ben strutturate e ricche di specie. Nelle pinete costiere indagate, i principali elementi che favoriscono l’eterogeneità ambientale sono le aree coperte da macchia nord adriatica e le zone umide. II loro incremento o la loro conservazione sono in molti casi dipendenti da 240


azioni di gestione attiva, in quanto i processi evolutivi in atto possono portare in breve tempo alla loro scomparsa. In generale Io sviluppo della vegetazione ripariale è impedito o fortemente penalizzato dalla copertura dovuta alla pineta. E’ invece importante creare e mantenere una fascia di transizione con specie arboree, arbustive ed erbacee igrofile ed eliofile. Ciò aumenterebbe la disponibilità e la diversificazione di siti di alimentazione e rifugio, anche a favore di specie che al momento risultano rare o mostrano chiare difficoltà ad espandere il loro areale. Ad esempio, i picchi trovano in pioppi e salici maggiore facilità di alimentazione e scavo dei nidi, a vantaggio di tutta la fauna nidificante in cavità. Le popolazioni migratrici e svernanti di silvidi e turdidi sono strettamente dipendenti dalla diffusa disponibilità di bacche, mentre l’aumento della copertura arbustiva favorirebbe la possibilità di insediamento o espansione di alcune specie, ora diffuse in modo frammentario nelle pinete costiere. (Corpo forestale dello Stato, 2008) 241


Il nostro obiettivo strategico è dunque quello di ricreare un habitat andato perduto con il tempo, per ristabilire equilibri territoriali minacciati dalla presenza di specie alloctone e infestanti. Si è perciò rimboschita la zona retrostante la fascia di pineta retrodunale, in modo tale da creare una barriera contro lo spray marino, il vento e le alluvioni in protezione delle aree umide e delle aree agricole limitrofe. Il nuovo bosco mesoigrofilo, dominato da latifoglie miste, è stato concepito in tre nuclei: il nucleo che si affaccia sul bacino d’infiltrazione è caratterizzato dalla presenza di specie adatte ad ambienti particolarmente umidi, come il salice bianco, l’ontano nero, il frassino ossifillo, la frangola, la rosa di San Giovanni e la sanguinella; il nucleo centrale e più fitto è invece dominato dalla farnia, dal corniolo, dal nocciolo, dalla fillirea, dalla ginestrella, 242


dal biancospino, dal brachipodio e dal pallon di maggio; infine, il nucleo ai margini più perimetrali, dominato da un sottobosco poco fitto e da spazi ampi è caratterizzato dalla presenza di specie come l’emero, la lantana, l’olmo comune, il prugnolo, il leccio, il carpino bianco, il caprifoglio etrusco, la roverella, il pioppo nero e il ligustro. Questo nuovo bosco, che si estende per 214 ettari, si assesta, tramite esproprio, su aree di proprietà privata che, economicamente, hanno una resa scarsa e che sono compromesse dalla progressiva salinità del suolo. (Zangheri P., 1936) Questo polo naturalistico sorge, inoltre, in un punto particolare per quanto riguarda l’assetto fruitivo strategico: l’itinerario turistico, che porta alla scoperta del territorio dei lidi nord, attraversa la nuova area umida per poi inserirsi nel bosco fino all’arteria principale che collega 243


Casalborsetti con Marina Romea e Porto Corsini. Questo polo si inserisce quindi all’interno di un sistema più ampio e che comprende i punti d’interesse naturalistici limitrofi, divenendo un polo per attività di educazione ambientale e, soprattutto, un’oasi per alcune specie della fauna locale. A fianco della nuova area boscata è predisposta, inoltre, un’area per la collocazione dei campeggi delocalizzati, i quali, attualmente, si trovano ai margini della pineta costiera di Casalborsetti, a poche decine di metri dal mare. La nuova tipologia di campeggio è in modalità eco camping, nell’ottica di creare un sistema sostenibile e a basso impatto. 244


Bosco autoctono

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STABILIMENTI BALNEARI Questo punto strategico individua la possibilità di delocalizzare gli stabilimenti balneari perché situati in spiagge compromesse dai fenomeni di erosione marina in tratti di arenile a spiccata vocazione naturalistica. Su tali aree potranno essere trasferite le concessioni e le potenzialità degli stabilimenti balneari da delocalizzare, che possono essere ivi ricostruiti applicando dimensioni e incentivi previsti nella Tabella delle superfici coperte contenuta nel Piano dell’Arenile 2018. Gli obiettivi sono finalizzati a promuovere e incentivare la riqualificazione ambientale, a promuovere la riqualificazione delle aree individuate dalle Direttive della L.R. 9/200216, ed a individuare indirizzi per il miglioramento della qualità insediativa e strutturale degli stabilimenti balneari e delle altre strutture, per l’erogazione dei servizi e/o per lo svolgimento delle attività compatibili e garantire la continuità fra arenile, cordone dunoso, corridoio ecologico boscoso, migliorando l’accessibilità delle aree demaniali marittime. 16. Legge Regionale 31 maggio 2002, n. 9 Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative in materia di Demanio Marittimo e di zone di mare territoriale. 246


Alla luce delle finalità di cui sopra, perseguono le seguenti azioni: - delocalizzazione degli stabilimenti balneari; - non aggravio della consistenza in termini di superfici coperte, degli insediamenti sull’arenile con finalità turistico-ricreative; - sostituzione delle strutture realizzate con tecnologie di prefabbricazione in c.a. esistenti sull’arenile con strutture realizzate con materiali e tecnologie innovative a basso impatto ambientale; - disponibilità di aree per lo svolgimento di attività nuove legate all’uso del mare e della spiaggia; - destagionalizzazione delle strutture per un’offerta turistica maggiormente flessibile e possibilità di nuove concessioni demaniali e/o di ampliamento delle concessioni esistenti fronte mare; - creazione delle condizioni per la ricostituzione delle dune e per la risoluzione di temi di valenza paesaggistico ambientale. In tali aree il Piano dell’Arenile prescrive l’obbligo di realizzare i nuovi stabilimenti balneari su palafitte; qualora sia presente il corpo dunoso con elementi di naturalità compromessi dovranno essere con esso integrati. Tale integrazione deve essere, sotto l’aspetto paesaggistico e vegetazionale, compatibile con l’assetto 247


tipico dunoso favorendone contestualmente la riqualificazione e valorizzazione. Il Piano quindi individua gli interventi ammessi sulle strutture presenti e/o insediabili sull’arenile sulla base di tre caratteristiche costruttive: Modulare, Innovativa, Pilota. Per caratteristica modulare si intende la tipologia di prefabbricazione in pannelli di c.a., con funzione esclusivamente finalizzata al mantenimento delle strutture esistenti, e con una limitazione alle possibilità insediative teoriche massime. Per caratteristica innovativa invece si intende una tipologia di struttura a basso impatto ambientale, realizzata con principi e criteri della bioarchitettura (da dimostrare mediante relazione tecnica esplicativa e analisi del sito), caratterizzata contestualmente da utilizzo di materiali naturali quali legno e suoi derivati, utilizzo di strutture portanti e non con sezioni 248


ridotte/compatte e a basso impatto visivo. Questa caratteristica può essere realizzata anche a palafitta mediante strutture soprelevate su pali, in tal caso anche all’interno delle aree di ricostruzione del cordone dunoso, limitando il più possibile interferenze con il cordone dunoso stesso e consentendo comunque la sua ricostituzione. Infine, per caratteristica pilota si intende una tipologia di struttura, realizzabile nelle aree dove è prevista la ricostruzione del cordone dunoso, inserita parzialmente o interamente all’interno del corpo dunoso ricostruito. Agli stabilimenti balneari con spiagge molto profonde, al fine di dare un servizio più adeguato alla clientela, è consentito installare un chiosco stagionale per la somministrazione annessa di alimenti e bevande esclusivamente confezionati. La struttura di tali chioschi, appoggiata sulla 249


sabbia, priva di pavimento, deve essere dotata di ancoraggi che non prevedano fondazioni, collocata entro il limite ovest dell’ombreggio ed esclusivamente dotata della fornitura elettrica. Il progetto indica anche un adeguamento degli accessi alla spiaggia, che devono essere verificati nelle loro caratteristiche nell’ambito di ogni singolo intervento. L’area individua accessibilità diverse in relazione agli usi delle stesse, ed in specifico: - accessi per servizi di pulizia (ordinario e/o straordinario e per gestione arenile), ovvero accessi carrabili che per le loro caratteristiche fisiche e funzionali consentono il transito di 250


mezzi che svolgono il servizio di manutenzione e gestione della spiaggia, in particolare per la pulizia e per la gestione delle opere di difesa della costa. Tali percorsi devono avere una larghezza minima di mt 3.30 ed essere accessibili tutto l’anno. - accessi pedonali ciclabili e carrabili, sono accessi che per le loro caratteristiche fisiche e funzionali consentono il transito di pedoni, biciclette e veicoli. Gli accessi individuati dal Piano e gli stradelli retrodunali devono essere lasciati liberi da qualsiasi struttura, recinzione e ingombro per una larghezza di almeno 4 m. al fine di garantire una fascia di libero transito per i mezzi di soccorso, oltre che per i fornitori. (Piano dell’Arenile, 2018) 251


Masterplan progettuale della fascia retrodunale

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Masterplan progettuale del bosco autoctono mesoigrofilo

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Stabilimento e cordone dunale

Urbanizzazione di Marina Romea e Pineta litoranea

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3.2.c Fascia costiera DUNE Le dune si presentano come una vera e propria opera di difesa naturale e svolgono un ruolo importantissimo nell’equilibrio della costa. Costituiscono una riserva naturale di sedimento per la spiaggia e ne rallentano l’erosione, garantendo attraverso la vegetazione spontanea che le popola, l’arresto e il deposito della sabbia ,altrimenti dispersa verso l’interno. Inoltre i primi cordoni dunali sopportano l’azione dei venti marini carichi di salsedine, attenuandone la forza, deviandoli verso l’alto e svolgendo una funzione difensiva nei confronti degli ecosistemi più interni. L’esistenza della duna è possibile solo grazie alla vegetazione presente lungo il litorale, costituita da un numero di specie relativamente basso, ma fortemente specializzate ed adattate ad un ambiente difficile, caratterizzato da alte temperature diurne, elevata e costante ventosità, e, soprattutto, da alta salinità del substrato. Difendere le dune significa anche assicurare le 257


condizioni perché possano continuare a formarsi e a mantenere le naturali proprietà fisiche, chimiche e biologiche dalle quali dipendono la stabilità e la fertilità delle terre. I principali elementi di degrado del sistema dunale nell’area di progetto sono dovuti all’azione antropica: - presenza di parcheggi e sentieri adibiti al transito; - incisioni e interruzioni della copertura vegetazionale del cordone dunale (blowouts). Con l’approfondirsi dell’incisione il vento si trova a soffiare in strettoie sempre più strozzate ed aumenta la propria velocità ed il proprio effetto erosivo; - presenza di strutture residenziali e balneari, realizzate in modo non idoneo, con caratteri permanenti sulla fascia dunale (case, strutture ricettive, piattaforme in cemento, ristoranti, ecc.). Gli interventi strategici sono mirati, direttamente e indirettamente, al ripristino dei naturali equilibri dinamici che regolano l’evoluzione 258


del sistema dunale e della spiaggia, ed in special modo alla mitigazione dei processi erosivi connessi con la fruizione antropica, cercando di ripristinare, quando possibile, i caratteri morfovegetazionali alterati. Tali opere, progettate, ubicate e mantenute, sono in grado di contenere efficacemente il grave impatto prodotto sul sistema dunale e sull’intero litorale. In questi termini, gli interventi di gestione attiva del sistema dunale prevedono: - realizzazione di opere di ingegneria naturalistica per la mitigazione dell’erosione costiera; - realizzazione di passerelle per la fruizione delle spiagge; - recinzioni dissuasive degli habitat e della fascia dunale di rispetto assoluto, che costituiscano un evidente invito per i bagnanti a non attraversare la duna al di fuori dei punti di passaggio autorizzati; - realizzazione di fasce tampone di separazione fra aree dunali e aree antropizzate; 259


- eradicazione di specie alloctone invasive; - rimozione di strutture o infrastrutture di impatto sulla fascia dunale. Le opere di ingegneria naturalistica prese in considerazione nell’ambito della protezione ambientale sono mirate ad eseguire interventi di ricostruzione delle dune costiere, congiuntamente ad interventi di ripascimento delle spiagge, come: - ricostruzione del cordone dunale dove la duna è fortemente compromessa o del tutto scomparsa; - piantumazione di specie pioniere, che stabilizzino la duna e trattengano la sabbia; - barriere frangivento, composte da strutture vegetali quadrate di circa 2-3 metri di lato, che hanno lo scopo di intrappolare la sabbia che, accumulandosi all’interno delle strutture, favorisce il processo di formazione ed evoluzione delle dune embrionali, nonchĂŠ il processo di accrescimento spontaneo della 260


vegetazione pioniera. Le barriere frangivento vanno posizionate nei tratti in cui il cordone dunale risulta maggiormente alterato; - passerelle per la fruizione delle spiagge, che gestiscono gli accessi con lo scopo di ridurre gli effetti dannosi del calpestio da parte dei turisti e di consentire anche un’asportazione più modesta di sabbia dalla spiaggia verso l’entroterra. Le passerelle sopraelevate in legno permettono l’attraversamento delle dune e la fruizione dell’arenile senza alterazione dello strato superficiale. Consentono l’innesco di processi evolutivi della vegetazione, facilitandone la conservazione, ed evitano i fenomeni erosivi prodotti dal calpestio diretto. - recinzioni per la protezione degli habitat, sul fronte delle aree dunali hanno azione protettiva e conservativa dell’ambiente naturale, permettendo il compattamento della sabbia ed evitando il disorganico calpestio della vegetazione. La tipologia più semplice ed economica prevede l’infissione a terra di pali di legno posti a distanza opportuna e collegati da funi in cotone. 261


I corretti interventi di rinaturazione dei cordoni dunali prevedono l’utilizzo di specie autoctone locali, al fine di ripristinare la naturalità degli habitat e ricostituire la funzionalità delle cenosi psammofile. Nell’ottica di una corretta azione di recupero o ripristino di un sistema dunale diviene essenziale la conoscenza della successione nella vegetazione e soprattutto dell’ecologia delle specie, che trova una giusta localizzazione nei vari habitat naturali che caratterizzano il sistema dunale. Le dune embrionali vengono colonizzate da una vegetazione caratterizzata da piante psammofile perenni, capaci di trattenere efficacemente la sabbia, dando inizio al processo di edificazione delle dune. La specie più importante, in questa prima fase di edificazione delle dune, è Agropyron junceum (=Elytrigia juncea) specie dominante e caratteristica che costituisce un fitto reticolo che ingloba e trattiene le particelle sabbiose. Alle dune embrionali ne seguono altre più 262


alte, non ancora del tutto fissate, che vengono colonizzate da una vegetazione molto specializzata, caratterizzata dalla dominanza dei grossi cespi di Ammophila arenaria subsp. australis, graminacea in grado di trattenere sabbia e di svilupparsi in altezza facilitando l’innalzamento delle dune. Dune con prati dei Malcolmietalia, caratterizzati da vegetazione prevalentemente annuale, a fioritura primaverile, moderatamente nitrofila, che si sviluppa nelle radure della vegetazione perenne della classe Ammophiletea. Il suo insediamento è per lo più subordinato ad una modesta crescita dei cordoni dunosi dovuti a scarsi apporti sabbiosi, o legato al disturbo, come il frequente passaggio di persone che può creare dei varchi nella copertura vegetale delle comunità perenni (ammofileti), in cui può insinuarsi il vento carico di sabbia, o all’erosione marina che contrasta l’evoluzione della vegetazione. L’habitat delle dune costiere fisse a vegetazione erbacea (dune 263


grigie) si insedia sul versante continentale della duna, su sabbie stabilizzate di natura calcarea, protette in parte dai venti salsi e ,di norma, non raggiunte dall’acqua di mare. Alcune delle specie caratteristiche di questo habitat sono le briofite Tortula ruraliformis, Pleurochaete squarrosa, i licheni Cladonia convoluta e altre Cladonia e le fanerofite Fumana procumbens. Le praterie igrofile mediterranee, tipiche delle bassure interdunali, sono caratterizzate dalla presenza di Tripidium ravennae (=Erianthus la bella e vistosa canna di ravennae), Ravenna, cui si accompagnano di norma Schoenus nigricans, Scirpoides holoschoenus (=Holoschoenus romanus) e Juncus littoralis. Le boscaglie retrodunali spontanee di buona parte dei litorali possono essere ricondotte all’habitat caratterizzato da foreste di Quercux ilex e Quercux rotundifolia, boschi a dominanza sempreverdi. (Corpo forestale dello Stato, 2015) 264


Le dune costiere: un serbatoio di acqua dolce

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SAND MOTOR Molte strutture di difesa rigide (massicciate, pennelli, barriere frangiflutti) che rappresentano circa il 70% degli interventi di difesa presenti in Europa hanno avuto effetti positivi soltanto in una ridotta prospettiva, sia temporale che spaziale. Bloccando la deriva litorale privano dell’apporto sedimentario le spiagge situate sottoflutto, con conseguente incremento del processo erosivo. Strutture verticali come le difese aderenti (in calcestruzzo o in elementi disaggregati) aumentano la turbolenza e l’erosione di sedimenti al piede dell’opera, con conseguente sottoescavazione delle sue fondazioni. Per questi motivi, tra le azioni strategiche adottate, vi è l’inserimento del Sand Motor. Nell’ottica di preservare il più possibile le dinamiche del sistema costiero, si è optato per una conservazione dinamica, adottando una prospettiva che consideri gli elementi naturali degli alleati. Questa tecnologia è stata adottata 266


nei Paesi Bassi nel 2011, sul litorale a sud dell’Aja, ed è un progetto pilota che ha previsto l’utilizzo di 21,3 milioni di metri cubi di sabbia. Il Sand Motor è una penisola sabbiosa che, date le sue dimensioni, implica un apporto di sabbia maggiore rispetto a quella utilizzata per i vari ripascimenti. La sua funzionalità non è solo quella di diventare una barriera protettiva alle mareggiate, ma anche di alimentare il litorale adiacente al suo collocamento nel tempo e di creare un nuovo paesaggio naturale. L’elevata presenza di sabbia sul litorale, diffusa naturalmente dall’azione combinata del vento, delle onde e delle correnti, impedisce dunque l’erosione strutturale della costa: il preservare l’equilibrio costiero garantisce, a lungo termine, che la spiaggia aumenti con l’aumentare del livello del mare. (Delta Urbanism, January 2010) La forma “a uncino” determina notevoli variazioni nella sua fruizione: è presente una laguna che forma un’area protetta ed un’area, invece, altamente dinamica nella punta verso 267


il mare. Lo sviluppo morfologico del motore a sabbia viene, nel tempo, influenzato dalle correnti superficiali e dalle onde. La protezione attiva degli insediamenti e delle infrastrutture costiere è tradizionalmente stata attuata con difese rigide, ma, tuttavia, tali elementi hanno un impatto sull’ecosistema costiero. L’obiettivo è quindi quello di creare una protezione della costa multifunzionale, con impatto minimo sull’ecosistema e con possibilità di fruizione varie. L’aspettativa a lungo termine è che si verrà a creare una linea costiera più o meno diritta. Il Sand Motor garantisce un apporto di sabbia costante per almeno vent’anni, offrendo ulteriore protezione dalle mareggiate e, al contempo, funge da polo attrattivo, attirando anche un turismo non balneare. L’adozione del motore a sabbia è un’alternativa realistica in termini di costi ed effetti: le operazioni di ripascimento mantengono la situazione della costa stabile, ma non c’è un effettivo contributo ad altre funzioni, come la natura e il turismo sostenibile. Il volume dei ripascimenti, inoltre, aumenterà di pari passo con l’innalzamento del livello del mare. Il Sand Motor, che è un ripascimento molto grande e concentrato, permette, tramite i processi marini ed eolici, di distribuire la sabbia sia lungo la costa, sia perpendicolarmente alla battigia. Questo approccio fornisce all’ecosistema marino ampio tempo per riprendersi, dal momento che non sono attesi ripascimenti per i successivi 2030 anni. (Delft University of Technology, 2019) 268


Evoluzione del Sand Motor

Morfologia del Sand Motor

Spiaggia sommersa Spiaggia

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Sand Motor


Materplan progettuale del cordone dunale ricostruito e Sand Motor

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Area naturale

Area attrezzata

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4. CONCLUSIONI

4 277


Il territorio di Ravenna ha dato inizio ad un profondo processo di revisione del proprio modello di sviluppo già a partire dagli anni Novanta, quando la crisi dell’andamento di crescita ha portato una netta prevalenza di fattori che rappresentano il fulcro dell’attuale capacità competitiva dell’area. Il sistema economico oggi è diversificato, caratterizzato da attività legate, tra l’altro, al turismo culturale e balneare, al porto, all’industria chimica e all’offshore, alla cooperazione ed alla piccola e media impresa. L’intera Provincia ravennate è destinazione turistica di importanza nazionale, per la città d’arte, per le sue località balneari, per l’importanza degli ambienti naturali. Il turismo è un settore strategico per l’economia, fenomeno culturale che esprime nuove identità individuali e collettive, e che allo stesso tempo è direttrice essenziale di sviluppo per il nostro territorio. Le basi storiche dell’apprezzamento verso il paesaggio sono state prima di tutto estetiche. In particolare il Romanticismo, a partire dalla 278


fine del Settecento, ha rappresentato un cambiamento della massima importanza nella percezione del paesaggio naturale. L’etica della conservazione, invece, si basa su un fondamento utilitaristico dell’ambiente per l’umanità. I beni naturali - anche gli elementi naturali del paesaggio - sono visti come una risorsa economica, ma non tanto nel senso tradizionale di dominio e di sfruttamento, ma come utilizzo sostenibile a favore della specie umana. I fautori di questa “nuova conservazione” sono consapevoli che i valori etici o ecologici della natura non sono sufficienti a proteggere i paesaggi naturali della Terra, ma ammettono che, solo dimostrando la validità economica della tutela della natura, si possa formulare una politica in grado di garantirne la conservazione. Per questo gli obiettivi della conservazione sono sempre più integrati con le strategie di sviluppo locale. Le risorse naturali non devono più essere considerate come un bene pubblico perlopiù gratuito, bensì come un bene economico 279


con un proprio valore. I diversi ecosistemi nella loro varietà garantiscono il rifornimento alimentare e la qualità dell’acqua e dei suoli. Le parole dell’economista Pavan Sukhdev - leader del programma internazionale, patrocinato dalle Nazioni Unite, The Economics of the Ecosystems and Biodiversity (Teeb) - scritte nell’interim report del programma del 2008, illustrano ben due sfide in termini di apprendimento che oggi la società si trova a dover affrontare. Innanzitutto, stiamo ancora imparando a conoscere la “natura del valore”, ampliando il nostro concetto di “capitale”, fino a includere anche il capitale umano, sociale e naturale: riconoscendo l’esistenza di questi diversi capitali e cercando di aumentarli o conservarli, possiamo avvicinarci alla sostenibilità. In secondo luogo, abbiamo ancora difficoltà nell’individuare il “valore della natura”. La natura è infatti la fonte di molta parte di ciò che definiamo “valore” al giorno d’oggi, eppure solitamente aggira i mercati, sfugge alla fissazione di un prezzo 280


e si ribella alla valutazione. Proprio questa mancanza di valutazione si sta rivelando una causa soggiacente al degrado degli ecosistemi e alla perdita di biodiversità ai quali assistiamo. Il Teeb ci documenta chiaramente come il capitale naturale costituisce la base delle nostre economie. L’invisibilità del valore della biodiversità nella considerazione economica ha purtroppo, finora, incoraggiato l’uso inefficiente e distruttivo dei sistemi naturali e della biodiversità, che non sono stati debitamente “tenuti in conto”. (Arpae, Dicembre 2010) La biodiversità in tutte le sue dimensioni, la qualità, quantità e diversità degli ecosistemi, delle specie e dei patrimoni genetici, necessita di essere preservata non solo per ragioni sociali, etiche o religiose ma anche per i benefici economici che essa provvede alle attuali e future generazioni. È fondamentale che le nostre società riconoscano, misurino e gestiscano in maniera responsabile il capitale naturale di questo straordinario pianeta. 281


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SCHEDE PROGETTO

S

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Progetto: Ripristino ecologico del lido di Sète Collocazione: Sète, Francia Anno: 2006-2012

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Il lido tra Sète e Marseillan è una striscia di sabbia di 12 km che separa la laguna di Thau dal mare. Le aree dei lidi costieri sono molto importanti, in quanto ospitano ecosistemi di dune ad alta biodiversità, tra cui rare specie vegetali e animali. Queste formazioni sabbiose sono minacciate dal fenomeno dell’erosione, accelerata anche da fattori antropici. In particolare, il lido di Sète è di grande interesse ecologico, data la presenza di diverse lagune e della spiaggia, ma anche economico, in quanto ospita diversi campeggi e aziende agricole. Questo progetto è stato finalizzato alla ricostruzione del cordone dunale, a tutela della flora e della fauna e dei lidi restrostanti. Le azioni strategiche hanno riguardato, inoltre, azioni di ripascimento, l’arretramento della strada a ridosso della spiaggia e la riqualificazione dell’arenile con la creazione di tre spiagge balneabili, una a carattere naturale e due attrezzate, con accesso esclusivamente pedonale.

Fonte: “Nuovi paesaggi costieri. Dal progetto del lungomare alla gestione integrata delle coste, strategie per le città balneari” a cura di Elena Farnè e Barbara Fucci https://ec.europa.eu/regional_policy/en/ projects/France/protection-and-sustainabledevelopment-of-the-sete-lido-in-marseillan-france 285


Progetto: Bacino di infiltrazione di Golden Beach Collocazione: Golden Beach, Coloundra, Australia Anno: 2015

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Nel quartiere di Golden Beach, a Caloundra, è stato progettato un bacino di infiltrazione in ambito costiero, con lo scopo di trattare l’acqua piovana deviata dal bacino idrografico locale su Pumicestone Passage, uno stretto corso d’acqua parte del Moreton Bay Marine Park, parco marino di 24 isole delimitato da 240 chilometri di costa e molto importante per la presenza di uccelli migratori. È stato perciò progettato questo bacino dopo che era stata evidenziata una scarsa qualità dell’acqua nel Pumistone Passage, una minaccia per gli habitat e gli ecosistemi della zona. Il bacino è integrato con il paesaggio circostante, con il parco e il percorso costiero adiacente. Sono state selezionate accuratamente specie di piante che non ostruissero la vista della limitrofa area di Pumicestone Passage. I nutrienti del deflusso delle acque piovane vengono assorbiti dalla vegetazione sia all’interno che intorno al bacino e ciò aiuta le piante a crescere: il risultato è duplice, perché la vegetazione stabilizza le dune, aumentando la protezione dell’entroterra. È stato, inoltre, istituito un programma di monitoraggio comunitario con membri della comunità locale, rappresentanti dell’università e funzionari del consiglio.

Fonte: https://www.sunshinecoast.qld.gov.au/ Council/Planning-and-Projects/InfrastructureProjects/Golden-Beach-Infiltration-Basin 287


Progetto: Nummela “Gateway” Wetland Park Collocazione: Nummela, Finlandia Anno: 2010

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Il Parco delle Aree Umide “Gateway” di Nummela (2ha), nasce sia come parco urbano per la città di Nummela, sia come elemento di mitigazione dell’ecosistema umido. Il progetto ha dimostrato come le aree umide costruite abbiano portato ad un drastico aumento della biodiversità, al controllo delle inondazioni e alla riduzione degli inquinanti nelle acque di deflusso. Questo nuovo polo ha, inoltre, fornito diversi altri vantaggi, quali il turismo, lo svago e l’istruzione. L’area del parco è di circa sette ettari, in cui si trovano aree umide costantemente inondate. La zona umida è sorta su un sito di campi agricoli abbandonati. La vegetazione inserita è autoctona (salice locale, ontano nero) e il pendio boscato del parco ha avuto la funzione di ristabilire un habitat per la fauna locale.

Fonti: http://www.helsinki.fi/urbanoases/ Nummela/Prototypes/index_proto.html http://nwrm.eu/case-study/nummela-gatewaywetland-park-finland 289


Progetto: The Sand Motor Collocazione: sulla costa tra Ter Heijde e Kijkduin, Paesi Bassi Anno: 2011

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Il Sand Motor è una penisola artificiale di sabbia, che, grazie alle correnti marine, al vento e alle onde viene distribuita nel tempo lungo la costa di Delfland. È un progetto pilota e innovativo per quanto riguarda la conservazione e la manutenzione costiera, ma, soprattutto, un grande esempio di come costruire con la natura. La penisola è costituita da 21,5 milioni di metri cubi di sabbia; si protende nel mare per 1 km e si estende per 2 lungo la costa. Questo progetto mira anche ad evitare gli stravolgimenti dell’ecosistema che avvengono ogni volta che si effettua un normale ripascimento: è la natura ad effettuare la distribuzione della sabbia. Secondo gli studi e le previsioni non sono necessari ripascimenti per i successivi 20-30 anni. Questa nuova area, inoltre, è non solo diventata un habitat per piante ed animali, ma anche un polo ricreativo per gli amanti degli sport acquatici.

Fonti: https://www.deltares.nl/en/projects/ sand-engine/ https://dezandmotor.nl/en/about-the-sandmotor/ 291


Progetto: Progetto di un’attrezzatura balneare rimovibile, ricerca/tesi, Antonio Massimo Gianni Cappiello Anno: 2008

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Progetto di uno stabilimento balneare completamente rimovibile in legno e piastre di assemblaggio in acciaio riciclato. Il progetto comprende: un manufatto permanente destinato al deposito di tutti gli elementi durante la stagione invernale, una zona rimovibile che comprende un’area ristoro con zona bar coperta e area relax e una zona per elioterapia costituita da sette piattaforme posizionabili lungo il perimetro dei cosiddetti “pennelli�, (opere di difesa del tipo a gettata, con andamento planimetrico ortogonale o leggermente obliquo rispetto alla linea di riva). Tutti gli elementi, con funzioni portanti e non portanti, sono assemblati con giunzioni a secco, sfruttando il principio dell’ammorsamento per evitare qualsiasi ipotesi di foratura del legno che indebolirebbero la struttura proprio nei punti sottoposti a maggiori sollecitazioni. Tutti gli elementi sono stati dimensionati per facilitarne il montaggio, quindi riducendone opportunamente le dimensioni, trovando sempre il giusto compromesso tra resistenza e peso. F o n t i : h t t p s : / / w w w. a r c h i l o v e r s . c o m / projects/67111/progetto-di-un-attrezzaturabalneare-come-manufatto-temporaneo-in-luogodi-transizione.html

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RINGRAZIAMENTI

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Un sentito grazie alla nostra relatrice Elena Dorato per averci guidato nella stesura di questo progetto e per le conoscenze trasmesse durante tutto il percorso, per la disponibilità, la pazienza e la tempestività alle nostre richieste. Grazie ai nostri correlatori, Romeo Farinella e Beatrice Maria Sole Giambastiani, per gli indespensabili consigli e per averci fornito ogni materiale utile alla stesura dell’elaborato.

Annalisa Un immenso grazie ai miei genitori, Angela e Roberto, che da sempre mi sostengono nelle difficoltà quotidiane e nella realizzazione dei miei progetti Grazie per le numerose domeniche spensierate passate per il centro di Ferrara e per le scorte di cibo. Grazie a Roberto, con cui ho condiviso tutto. Grazie perchè sei stato paziente e soprattutto perchè ci sei sempre stato, anche solo per portarmi la calcolatrice per fare gli esami, e per tutti i bei momenti che abbiamo vissuto insieme in quel piccolo appartamento che era diventata subito casa. Grazie agli amici che mi alleggerivano il morale ricordandomi che esiste un mondo oltre ai problemi della facoltà. Grazie ai compagni di corso con cui ho condiviso periodi intensi di nottate, corse per stampare le tavole e lotte per le revisioni, ma anche belle serate e qualche pazzia. Ringrazio infine Giulia, che ha condiviso con me le gioie e le fatiche di tutti questi anni ma soprattutto di questo lungo periodo di collaborazione. Grazie per essere stata una compagna stimolante e per le infinite videochiamate risolutrici in pigiama, ma anche per l’aiuto durante gli esami.

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Giulia Ringrazio innanzitutto la mia famiglia, per avermi sempre sostenuto e supportato incondizionatamente, non solo durante il percorso universitario. Grazie per avermi incoraggiato con costanza e per i sacrifici fatti. Grazie a Lorenzo per l’aiuto, il sostegno e per avermi pazientemente spronato durante questo percorso. Grazie agli amici di sempre, con cui ho condiviso momenti indimenticabili, il cui supporto è ed è stato indispensabile. Grazie agli amici dell’Università, presenze preziose che hanno alleggerito questi anni, con cui ho condiviso difficoltà, soddisfazioni e da cui ho imparato molto. Grazie a Gaia e Daniela, immancabili compagne di viaggio, con cui ho trascorso innumerevoli nottate, affrontato progetti e il cui supporto in ogni momento non è mai mancato. Grazie per le esperienze vissute insieme e per avermi accompagnato durante tutto questo cammino universitario. Infine, grazie ad Annalisa, per il supporto, la collaborazione, la pazienza e l’amicizia nell’aver raggiunto con me questo traguardo. Grazie per essere stata un’ottima compagna di avventura e per aver condiviso sfide e soddisfazioni in questi anni.

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ELABORATI GRAFICI

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