“Per me l’India da bambino era quella raffigurata sulle bustine delle spezie per fare l’arrosto, e mia madre pensavo venisse da li. Poi c’erano i documentari alla televisione, e i cartoni animati sull’estremo Oriente, e mia madre, nei miei sogni, c’era stata. Era un mondo magico dove gli animali diventavano persone e le persone diventavano divinità, dove l’acqua parlava e la terra spiegava i suoi segreti. Era un mondo bambino, dove le fiabe erano vere e prepotenti, e il tempo si arrestava di fronte alla magia, non c’erano banche e non c’era neppure la tlevisione. In India, la realtà era più bella della televisione.” Aldo Nove, La vita oscena
L’Induismo è il culto religioso con le origini più antiche al mondo. I suoi proseliti sono circa un miliardo, di cui 828 milioni su territorio Indano. Nonostante le origini prettamente indiane, non da questo deriva il nome del culto, bensì dal termine inglese “Hinduism”. I fedeli indicano la loro fede, non con il termine “Induismo” (termine utilizzato per identificare la loro identità in contrapposizione a quella dei colonizzatori), ma come “Sanatanadharma” che significa Ordine, Norma, Religione Eterna, tutti i fondamenti della rivelazione divina, oppure come il “Dharma” che regge ogni essere secondo la sua collocazione, assegnandogli un impegno morale, religioso e sociale. Pensando all’Induismo, ci si sofferma sulla corrente religiosa, ma questa filosofia comprende ogni aspetto della vita, dai rapporti sociali alle abitudini quotidiane, dal modo di comportarsi al rispetto verso le altre forme di vita, umane e non.
KRISHNA
Egli è considerato l'Essere supremo stesso e non semplicemente una sua manifestazione o un suo avatār. Il sovrano di Mathura, Kamsa, si fece predire il futuro e seppe che sarebbe morto per mano di un figlio della cugina. Cominciò quindi a far uccidere tutti i figli della donna, per salvaguardare il suo destino. Per proteggere la vita del piccolo Krishna, egli venne scambiato con un altro bimbo e affidato lle cure del pastore Nanda. Il sovrano scoprì l’inganno e inviò un sicario al villaggio: un demone di nome Putana che si trasmutò in una bella nutrice. La giovane fece visita a tutte le madri del villaggio, chiedendo di poter abbracciare e allattare i loro neonati. Lo scopo era quello di avvelenarli tutto con il suo latte materno acido, eliminando così anche Krishna. Ma il piccolo era diverso dagli altri bimbi, immune al veleno e vorace: cominciò a succhiare avidamente dal seno della nutrice fino a prosciugarne la vita. Un’altra storia collegata al sovrano Kasma vuole che il piccolo Krishna usasse spesso rubare il burro del villaggio per mangiarlo. Lo faceva perchè solo lui sapeva il cibo era desti-
KRISHNA
nato ai soldati dell’esercito del sovrano, in modo da farli diventare più forti. Per impedirne il furto gli adulti appesero il burro molto in alto, allora Krishna chiese aiuto ai bambini del villaggio, i quali fecero una piramide umana coi loro corpi, raggiungendo il burro proibito. Il trucchetto venne scoperto e la madre di Krisha lo rimproverò aspramente. lui negò di aver mangiato del burro, ma lei vide gli sbaffi bianchi sulle sue labbra e chiese “Allora cosa c’è sulla tua bocca?”. Krishna rispose che dovevano avercelo messo gli altri bambini, al che la madre ordinò “allora apri la bocca, fammi vedere!”. Ella non ci vide del burro, ma vi scorse invece lintere galassie, poichè egli era il Signore di tutto l’universo.
SARASWATI
Saraswatī ("colei che scorre") è la prima delle tre grandi dee dell'induismo e la consorte del Creatore. É venerata come dea della conoscenza e delle arti, come letteratura, musica, pittura e poesia. portando conoscenza è anche considerata latrice di verità, del perdono, delle guarigioni e delle nascite Solo pregando Sarasvatī di concedere la vera conoscenza è possibile raggiungere l'illuminazione. É spesso rappresentata come un fiume in piena, dalle acque purificanti e creatrici Lungo il corso del Sarasvatī sono state rilevate le più antiche tracce di scrittura note in India Le sue quattro braccia rappresentano diverse sfaccettature dell’apprendimento: la mente, la coscienza, l’intelletto e l’ego. Essendo una divinità fluviale, Saraswati cavalca un cigno bianco: egli è in grado di distinguere tra bene/male ed eterno/effimero. Si narra che porgendogli un bicchiere di latte ed acqua egli riesca a filtrare e bere esclusivamente il latte. Ella si siede talvolta su un pavone, dimostrando di essere superiore alla vanità e all’arroganza.
GANESH
Figlio primogenito di Shiva e Parvati, egli è rappresentato con una testa di elefante provvista di una zanna sola, quattro braccia e pancia rotonda. Ama mangiare dolciumi e si narra di un episodio secondo il quale un giorno Ganesh stava cavalcando il suo topo (cavalcatura che rappresenta l’ego, la mente, di cui Ganesh è padrone), dopo una cena a base di dolciumi. Un serpente spaventò il topino, egli cadde e il suo stomaco esplose. Senza lamentele, egli si affido all’intelligenza: utilizzo la serpe come cintura per chiudere lo squarcio nel ventre e riprese la passeggiata. La Luna rise della goffaggine di Ganesh, che ne punì l’arroganza: spezzò una zanna e la lanciò alla Luna, spaccandola e condannandola a crescere e calare di intensità ogni 15 giorni. La zanna rappresenta anche la fermezza di spirito, la capacità di optare sempre per la giusta soluzione: due zanne invece indicherebbero il dualismo bene/male. Una storia poco celebre riguardante le origini di Ganesha narra che Shiva chiese a Parvati, la quale desiderava avere un figlio, di compiere un anno di sacrifici. In premio si incarnò come suo figlio: tutti gli Dei si riunirono per festeggiarne la nascita, tranne il dio del Sole (Shani), che non
GANESH
volle guardarlo. Parvati lo costrinse a volgere lo sguardo al bimbo e la sua testa vene tagliata di netto. Visnu per riparare al danno si recò al fiume e tornò con la prima testa che riuscì a recuperare, quella di un giovane elefante. Viene spesso rappresentato seduto, con una gamba sollevata da terra e ripiegata sull'altra, nella posizione dell'alitasana. Assumere questa posizione nella iconografia orientale significa possedere le virtù della calma, della regalità e illuminazione. Ganesha è infatti il simbolo di colui che ha scoperto la Divinità in sé stesso. Egli rappresenta il perfetto equilibrio tra energia maschile (Shiva) e femminile (Shakti), ovvero tra forza e dolcezza, tra potenza e bellezza. Signore del buon auspicio, se ne invoca la grazia prima di iniziare una qualunque attività, come ad esempio un viaggio, un esame, un colloquio di lavoro, un affare.
NARSHIMA
Visnu, in una precedente reincarnazione, uccise il rakshasa Hiranyaksha. Suo fratello dichiarò odio al dio e ai suoi seguaci, si impegnò per guadagnare poteri magici affrontando una penitenza per mano di Brahma, che ne esaudì un desiderio: Narashima chiese di non morire nè in cielo nè in terra, nè col fuoco nè nell’acqua, nè di notte nè di giorno, nè in un palazzo nè fuori, nè per mano di uomo nè di ogni essere vivente o inanimato. Tuttavia suo figlio Prahalada, nel ventre della madre, cominciò a parlare con il divino Narada, che gli narrò le grandezze di Visnu. Egli nacque devoto al dio e rifiuto di combatterlo insieme al padre. Il genitore lo sfidò alla luce del tramonto e gli chiese se il suo Dio fosse anche nella colonna del palazzo; Prahlada risponde “c'era, c'è e ci sarà”, facendo infuriare il padre che la distrusse. Dal marmo comparve Visnu, nelle sembianze di Narasimha, un dio incarnato in un essere mezzo uomo e mezzo leone. Apparve al tramonto, tra giorno e notte, nè uomo nè animale, sulla soglia del palazzo, nè dentro nè fuori. Narasimha sollevò l’uomo/demone (nè in terra nè in cielo) e coi suoi artigli lo uccise. È invocato dai devoti nel momento del pericolo, e ci sono molte testimonianze di persone salvate da lui.
KALI E SHIVA
La parola Kali significa tempo, ma anche nero al genere femminile. Per questo il nome della divinità è interpretato come “Colei che consuma il tempo” o “Colei che è il tempo”. Il nero che la identifica è in netto contrasto con la pelle coperta di cenere bianca di suo marito Shiva. Per questo è associata alla violenza ed oscurità, anche se in realtà è una figura benefica. Gli attributi che la compongono hanno un profondo simbolismo: la pelle scura rimanda alla perdita dell’individualità, la nudità l’assenza di illusioni, il nastro con cui avvolge le teste mozzate è la caducità della vita e le quattro braccia impugnano strumenti di distruzione e purificazione.
KALI E SHIVA
Shiva ha diverse forme, tra cui “Il Re della danza” Nataraja. Questa raffigurazione si fonda su un mito antico, che narra di una foresta abitata da uomini (gli Rsi) che intonavano canti magici, nella speranza di uccidere la divinità Shiva. Egli si mise quindi a ballare, per scongiurare le maledizioni e trasformarle in energia creativa. Gli Rsi utilizzarono nuovamente la magia, per convogliare ignoranza e assenza di memoria in una forma umana, generando il crudele nano Apasmara. Egli si scagliò su Shiva che lo calpesto schiacciandogli la spina dorsale, liberando l’umanità dal flagello dell’ignoranza. L’immagine raffigura un altra forma di Shiva, nella quale egli regge il tamburo primordiale (damaru), la cui forma unisce i genitali maschili e femminili; i due triangoli si accoppiano formando la clessidra e iniziando la creazione. Le due parti devono stare unite per non avviare la distruzione di ogni cosa.
KALI E SHIVA
Shiva inviò la moglie Kali sulla terra per sterminare un gruppo di demoni sanguinari. Kali, presa dalla frenesia di uccidere, sgominò i demoni e cominciò ad attaccare anche gli esseri umani. Non sapendo come fermarla, Shiva si distese tra i cadaveri degli umani. Quando la dea si rese conto che stava per colpire e calpestare suo marito, si calmò e smise di essere furiosa. La coppia rappresenta l’ambivalenza tra bene e male, tra vita e morte; le stesse divinità, prese singolarmente, danno lo stesso quadro bipolare.