Resistenza e Nuove Resistenze - 3/2017

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Resistenza e nuove resistenze


Il mio primo anno da presidente di Anna Cocchi

È già passato un anno da quando ho iniziato questa nuova avventura. Il tempo giusto per un primo bilancio che credo di poter definire positivo. Innanzitutto il risultato del referendum costituzionale: per nulla scontato, ha richiesto il lavoro e l’impegno di tutti. Ci siamo riusciti e, come non manca di sottolineare il nostro presidente Carlo Smuraglia, tale risultato rappresenta solo l’inizio di un impegno volto all’ottenimento della piena attuazione della Costituzione. L’ANPI ha ripreso a pieno titolo il ruolo politico che le spetta.

Poi il lavoro con le sezioni, sul territorio e in collaborazione con le tante realtà associative. Il nostro impegno è quello di fornire supporto, sia politico che organizzativo, a tutte le sezioni che ce lo chiedono, rafforzando la nostra presenza anche nei comuni della provincia. L’obiettivo è che tutti, ma proprio tutti, si sentano coinvolti e ci considerino vicini e presenti. È in questo senso che va vista anche l’accoglienza e la valorizzazione dei volontari che ruotano attorno all’ANPI. Infine, abbiamo messo i conti in ordine. Quest’ultimo dato non ha bisogno di commenti. Un’ultima considerazione personale. È capitato che mi abbiano chiesto “ma chi te l’ha fatto fare”. Una domanda a metà tra la provocazione e lo scherzo alla quale, però, mi piace rispondere seriamente. Sono contenta di questo incarico. Tanto impegnativo quanto entusiasmante, portatore di pensieri, oneri e fatiche ma che mi fa stare assieme a tante belle persone con le quali condivido progetti e ideali.

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In questo numero: 2 - Il mio primo anno da

Editoriale

presidente

Scuola

3 - Editoriale 4 - Tre anni di protocollo d’intesa tra ANPI e MIUR

e

C u lt u r a

5 - Per una discussione pubblica

su un aspetto della legge 107/2015: l’alternanza scuola

- lavoro

8 - Futuri maestri: la parola ai piccoli

11 - Se solo fosse così semplice: educazione alla Scuola di Pace di Monte Sole 13 - Perchè il passato non sia popolato di fantasmi

14 - Un’esperienza entusiasmante 15 - L’amore prima del giudizio 18 - L’avvenire per i giovani 19 - Al “Laura Bassi” una nuova targa alla Resistenza St o r i a

20 - Sviluppo tecnologico? Attenti agli effetti 22 - “Pane e Alfabeto” 24 -Irmela la battagliera! 25 - Bernardo e l’angelo nero

V i t a a ss oc ia tiv a

26 - Per l’attuazione della Costituzione 27 - Patto di gemellaggio tra ANPI “alta valle del Reno” e i cugini veneti

28 - Il confine italo-sloveno. Analisi, riflessioni e una proposta 29 - Intitolazione del centro civico Corticella a: Lino “William” Michelini 30 - Monumento alle 128 Partigiane cadute nella guerra di Liberazione in provincia di Bologna 31 - Oltre i testimoni

Vite Resistenti

32 - La perdita di una figura coerente e appassionata come

Rodotà provoca un dolore fortissimo

di Gildo Bugni Con l’avvio del nuovo anno scolastico il Comitato direttivo dell’ANPI Provinciale di Bologna si rivolge agli studenti di ogni ordine e grado per augurare loro, ai docenti ed ai dirigenti tutti, un proficuo lavoro. L’ANPI, come sempre, è disponibile a intervenire nelle classi per favorire l’approfondimento della storia del XX secolo. Ci rivolgiamo alle autorità preposte e ai diretti interessati nella convinzione che il Paese deve riporre grandi speranze nel futuro della istituzione scolastica. L’ANPI è una associazione ed ente morale, nata dalla Resistenza, chiamata a far ragionare sui valori che ci sono stati consegnati, sul messaggio culturale lasciatoci in eredità dalla storia legata alla liberazione d’Italia. Messaggio importante, perché riguarda esseri umani, ognuno con la propria personalità, che si uniscono tra loro e lottano per una società che migliori se stessa e sancisca princìpi di libertà e giustizia uguali per tutti. I rituali omaggi a chi ha speso la vita per la libertà e la democrazia devono, oggi e domani, allargarsi alla riflessione, al confronto e alla dovuta ricerca, per capire qual è la strada da seguire, per raggiungere nei fatti ciò che, per ora, è rimasto solo scritto nella Carta delle regole di vita del nostro Paese. L’ANPI chiede il coinvolgimento delle nuove generazioni: dobbiamo tutti interrogarci sulle ragioni dell’attuale crisi politica, culturale e morale che attanaglia il nostro Paese. Penso che, per fare ciò, sia necessario il recupero della memoria: importante quindi è la scuola, per l’apporto e l’approfondimento che essa può dare. Alla scuola, e certo non da oggi, si chiede di far sì che le nuove generazioni siano messe nelle condizioni di svolgere un’attività qualificata e comunque all’altezza di chi si impegna negli studi. La scuola ha il compito di preparare le generazioni all’impegno civile, ai doveri e ai diritti come cittadini di questa Repubblica nata dalla Resistenza. Ribadire che ogni cittadino ha compiti e responsabilità verso il proprio Paese deve essere compito di tutti i giorni. I giovani devono sapere di poter concorrere a realizzare un futuro migliore che faccia vivere gli essenziali valori che la Costituzione ci indica. Devono convincersi che il loro impegno civile ha possibilità di trovare i dovuti ed essenziali sbocchi. La scuola deve essere vissuta anche come palestra di educazione alla vita. Abbiamo una Costituzione baluardo di democrazia, documento politico e simbolo del riscatto nazionale, voluto dalla Resistenza e dalla lotta partigiana. La scuola è il luogo in cui si deve trasmettere il sapere, per cui è da essa che deve venire l’insegnamento della vera essenza della democrazia. L’ANPI in tutto questo è ente morale attento e presente.

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Resistenza e nuove resistenze


Tre anni di Protocollo d’intesa tra ANPI e MIUR

rapporto inscindibile che questa ha avuto con la stesura della nostra Carta costituzionale, senza dimenticare aspetti di più lungo periodo come il legame con il movimento antifascista. Inoltre si dà il giusto rilievo alla varietà dei soggetti coinvolti nella lotta di liberazione, non da ultime le donne, mettendo in evidenza le molteplici sfaccettature della cosiddetta Resistenza civile, e si affrontano temi complessi come la violenza subita dalla popolazione.

di Simona Salustri

Nel luglio 2014 l’ANPI ha firmato un accordo con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con l’obiettivo di promuovere la conoscenza della Resistenza e della Costituzione nelle scuole italiane. Un documento fondamentale che ha riconosciuto il ruolo della nostra associazione nel processo di sviluppo della cittadinanza attiva, prendendo atto di quella che è una delle principali vocazioni statutarie dell’ANPI: il costante contributo «alla formazione dei giovani non solo sul piano culturale, ma anche sotto il profilo del civismo e dei sentimenti concretamente democratici». Non va dimenticato che a metà degli anni Ottanta fu il presidente partigiano Sandro Pertini, in una quanto mai difficile stagione della nostra storia repubblicana, ad invitare le scuole a riflettere sul 25 aprile come data periodizzante. Ai testimoni, in larga parte partigiani, fu permesso in maniera sistematica di raccontare in prima persona il loro vissuto. Un passaggio importante, ma non esente da criticità, poiché la narrazione, più o meno volontariamente, finì per essere stereotipata e mise in ombra i chiaroscuri della Resistenza che, svelati, avrebbero dato maggior valore alla scelta dei partigiani. Solo con il Cinquantesimo della lotta di liberazione questo monolite memoriale cominciò ad essere intaccato, prima dalla storiografia e poi dalle associazioni partigiane.

Il secondo elemento è la capacità dell’ANPI di utilizzare la propria esperienza e le proprie risorse per offrire una serie di articolati percorsi didattici nei quali la testimonianza è una parte ma non il tutto. A Bologna e provincia il Protocollo ha favorito la realizzazione di una serie di progetti inerenti al 70° anniversario della lotta di liberazione. Mettendo a disposizione il suo patrimonio memoriale, materiale e scientifico l’ANPI ha costruito attività che potessero essere replicate, facendo sì che le singole esperienze non fossero un unicum nella programmazione scolastica annuale.

Questo ci apre all’ultimo aspetto della riflessione. Dopo un triennio di intensa attività non possiamo che sottolineare i risultati positivi dell’accordo. Su alcuni dei nostri territori però gli sforzi messi in campo per una progettazione condivisa con le scuole hanno dimostrato ancora una volta la necessità di rivolgersi direttamente a dirigenti scolastici e insegnanti che, per la loro sensibilità personale e professionale, inseriscono nei percorsi di cittadinanza attiva la storia della Resistenza, poiché lo studio di quest’ultima non viene purtroppo ritenuto da tutti un elemento cardine per lo sviluppo negli studenti di un’etica della responsabilità. Non vi è dubbio, invece, che antifascismo, Resistenza, Costituzione siano i nessi valoriali entro i quali si deve sviluppare la cittadinanza del nostro paese, e proprio per questo c’è da chiedersi se non debba prendere avvio una profonda revisione dei programmi, a partire da quelli di storia, per rendere centrale lo studio di questi temi, al fine di costruire una memoria sempre più condivisa e una cittadinanza più consapevole. Siamo certi che il rinnovo del Protocollo tra ANPI e Ministero sarà un ulteriore passo in questa direzione.

Oggi ci troviamo a vivere una nuova stagione storico-memoriale segnata dalla progressiva scomparsa dei testimoni e il Protocollo ANPIMIUR ci permette di riflettere su alcuni aspetti.

Il primo è senza dubbio il mutamento che la narrazione della Resistenza ha subito nel corso del tempo. Oggi, grazie agli strumenti utilizzati anche dall’ANPI (fonti d’archivio e orali, storiografia, nuove tecnologie), possiamo restituire agli studenti la complessità della Resistenza e il Resistenza e nuove resistenze

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Per una discussione pubblica su un aspetto della legge 107/2015: l’alternanza scuola-lavoro di Anna Zagatti

L’alternanza scuola-lavoro, introdotta obbligatoriamente nel triennio della scuola superiore dalla legge 107, racchiude in sé un’evidente contraddizione. Per conseguire il diploma, infatti, gli allievi devono svolgere stage lavorativi gratuiti che siano «coerenti con il [loro] percorso formativo». Ma la formazione scolastica nelle secondarie di secondo grado ha come scopi quello di sviluppare negli studenti il senso critico, la consapevolezza della complessità del reale, nonché l’acquisizione di concetti astratti e conoscenze di base che li mettano in condizione di affrontare gli studi universitari. Ora, non si vede come tali obiettivi possano essere conseguiti al di fuori di un percorso culturale, e come possa contribuirvi invece un percorso lavorativo.

slogan ha cominciato a diventare impopolare, perciò è stato sostituito dal secondo, perfetto perché scarica la “colpa” della disoccupazione di massa su un’istituzione impersonale, la scuola. Dunque: «la colpa della disoccupazione non è esclusivamente del disoccupato ma della sua formazione scolastica, che con la sua arretratezza gli impedisce di trovare un impiego» (all’inizio di quest’anno il ministro Poletti ha appunto spiegato, commentando dati Istat, che se la ripresa dell’occupazione giovanile non è così brillante come era stato annunciato, ciò dipende dalla “inadeguatezza” del sistema scolastico italiano rispetto alle “richieste del mercato del lavoro”). Come è noto, ripetere infinite volte delle sciocchezze trasforma le sciocchezze in senso comune, ma ciò non toglie che restino tali. Di fatto, ciascuno sa che maggiori o minori tassi di occupazione dipendono da variabili economiche ed economico-politiche strutturali o congiunturali. Che la disoccupazione sia il prodotto della “noncongruità” tra scuola e mondo del lavoro, invece, è indimostrato e indimostrabile. Chi ascriverebbe, ad esempio, la piena o quasi piena occupazione dell’Italia degli anni Sessanta alle caratteristiche del sistema scolastico dell’epoca? Non è forse chiaro a tutti che a determinare quell’esito furono le dinamiche del sistema produttivo interno ed internazionale e l’insieme dell’organizzazione sociale del Paese?

Ciononostante, l’alternanza scuola-lavoro non è stata se non debolmente contrastata da studenti, genitori e insegnanti. Per quali motivi? La ragione profonda è legata al fatto, io credo, che la società italiana abbia ormai profondamente e forse irreversibilmente introiettato due slogan fallaci, sui quali nei decenni i media hanno incessantemente battuto. Il primo slogan si diffonde negli anni Ottanta e afferma che «la colpa della disoccupazione è del singolo disoccupato, troppo pigro, inetto e irresponsabile per impiegarsi» Più recentemente, con la crescita vertiginosa della disoccupazione giovanile, questo 5

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E del resto che cosa significa che le scuole debbano dare risposte alle “richieste” del mondo del lavoro? L’industriale tessile richiede che gli aspiranti tessili sappiano tutto di trame e di ordito? L’industriale chimico che sappiano tutto di colle e vernici?

(nel senso di “istruire”) gli allievi all’infinita variabilità delle attività professionali. È altrettanto insostenibile l’idea che spedire gruppetti di ragazzi in quell’ufficio o in quell’azienda (sottraendo loro nel triennio delle superiori ore e ore di didattica, di studio e di tempo libero) possa renderli sic et simpliciter “più adatti” all’attuale mercato del lavoro. I lavoratori attivi di oggi e di ieri non hanno avuto alcun bisogno di una stravagante iniziazione prelavorativa in epoca scolastica, ma si sono avviati alle loro professioni nel momento in cui, dietro retribuzione, hanno effettivamente cominciato a

A queste obiezioni si potrebbe replicare che sono ingenue, perché l’alternanza scuola-lavoro non è un vero e proprio apprendistato e non è attraverso essa che “si impara un mestiere”. Si imparerebbe invece a “calarsi” nella dimensione lavorativa, ad

lavorare. In tal senso l’alternanza scuola-lavoro non prepara i giovani a un “futuro lavorativo”, ma - essendo non retribuita e obbligatoria - prepara ad adeguarsi a una condizione, quella di lavoratore coatto.

“acquisire spirito imprenditoriale”, a “entrare in sintonia con le realtà produttive”. Queste, però, non sono risposte argomentate ma formulazioni indeterminate e inconsistenti. Oppure, se si vuole essere così generosi da considerarle argomenti, sono argomenti a cui è impossibile opporsi perché sconfinano in una sorta di misticismo neoliberista.

Ma, si dirà, l’alternanza scuola-lavoro costituisce pur sempre un’esperienza, è qualche cosa di nuovo per i ragazzi, dà la possibilità di mettersi In sostanza, dunque, a che cosa serve l’alternanza alla prova in un ambiente diverso da quello scuola-lavoro? domestico o scolastico. Cercando di sfuggire È chiaro che la scuola in sé o le 200-400 ore di al semplicismo dei luoghi comuni, io credo sia alternanza scuola-lavoro non possono preparare opportuno sottoporre a un esame più attento Resistenza e nuove resistenze

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questo concetto di esperienza, a cui ci riferisce così spesso in termini acriticamente positivi. In primo luogo, si dovrà considerare che esistono esperienze positive, fruttuose ed effettivamente formative, ma che si danno anche esperienze anodine, insignificanti (che in altri termini non restituiscono nulla, non lasciano tracce o ricordi) o in senso stretto negative (o anche distruttive).

molto più difficile da raggiungere quando si riducono le chance universali di accesso alla cultura, e depauperare la scuola o descolarizzare la società sono appunto le vie maestre per ridimensionare tali chance. Prendiamo un esempio limite. Nell’Appendice del 1976 a Se questo è un uomo Primo Levi riferisce le parole di una sua amica, anch’essa reduce dalla deportazione: «il campo è stata la [mia] Università». In altri termini: «dopo aver vissuto in quel laboratorio socio-antropologico estremo che era la macchina di sterminio nazista [così Levi intendeva l’universo concentrazionario] non avevo più nulla da imparare». È ben vero, dunque, che persino un’esperienza così radicalmente straniante (nel senso del disumano) come quella del lager può essere formativa. Ma è altrettanto vero che qui siamo di fronte un paradosso, che il caso di Levi e della sua amica sono in senso stretto eccezioni. Essi sono sopravvissuti e hanno tratto insegnamenti dal lager, dunque, ma questo non vuol dire che una società possa sostituire l’università con il lager o la scuola con il lavoro precario e ottenere gli stessi risultati. Per concludere, diremo che se in singoli casi un’esperienza extrascolastica lavorativa o di volontariato o simili può rivelarsi effettivamente formativa (cioè capace di produrre una crescita cognitiva e psicologica), questa eventualità non può essere generalizzata ed eretta per così dire a sistema. Nel mondo attuale, di fatto, un corretto e ricco percorso culturale mediato dalla scuola è l’unico strumento che le società mettono a disposizione dell’universalità dei giovani per costruirsi una consapevolezza critica e una maturità intellettuale utili a rendere veramente fecondo il futuro di ciascuno, sia dentro sia fuori dal mondo del lavoro.

Non si può stabilire a priori che collocare uno studente in un luogo fisicamente per lui insolito (ad esempio un ufficio) a svolgere un’attività per lui inconsueta (come ordinare formulari o fare fotocopie) affiancandosi a persone sconosciute (i dipendenti di un ente pubblico o privato) costituisca per lui un’esperienza formativa, un mezzo per conseguire un grado maggiore di maturità, oppure un metodo infallibile (in quanto pratico) per capire “che cosa significhi lavorare”. È altrettanto possibile che il giovane stagista, osservato con preoccupazione dagli adulti, venga semplicemente tenuto in disparte ad annoiarsi e/o a svolgere mansioni ripetitive, controllato più che altro per evitare che intralci l’attività dei lavoratori “veri”. Si può affermare con certezza, per converso, che al giovane stagista, nel momento in cui sia alle prese con le dinamiche dell’ufficio, dell’agenzia o della fabbrica, sarà preclusa l’esperienza dello studio, della lettura, dell’ozio, del dialogo su temi culturali in una cerchia che includa interlocutori adulti (gli insegnanti) e coetanei (i compagni). Anche l’apprendimento, infatti, è esperienza e non si tratta di un’esperienza uniforme, ripetitiva, sempre uguale. Un conto, ad esempio, è leggere una tragedia di Euripide in traduzione, un altro conto un altro genere di esperienza è leggerla nell’originale. E ancora: o si nega completamente alla tradizione culturale (nelle sue più diverse forme) ogni valore e capacità di trasmettere saperi e di annodare i fili delle conoscenze tra le generazioni, oppure si dovrà riconoscere che si può imparare molto anche sul mondo del lavoro e sulle realtà produttive leggendo Defoe o Balzac, Volponi o Zola, Bianciardi o Naomi Klein, oppure guardando L’appartamento di Billy Wilder o Rosetta dei fratelli Dardenne.Naturalmente non intendo negare che l’obiettivo di una ricca e piena formazione umana (intellettuale, sociale, politica) possa essere acquisita anche attraverso l’esperienza del lavoro. Intendo dire che un tale obiettivo sia

Sensatamente, l’alternanza scuola-lavoro potrebbe continuare a sussistere solo come risorsa occasionale, nei casi di disagio sociale e conseguente avviamento precoce al lavoro, per contrastare o prevenire la dispersione scolastica (in tali circostanze, ovviamente, l’alternanza sarebbe tra scuola e lavoro reale, contrattualizzato e retribuito). D’altro lato, il principio arbitrario e illegittimo, che subordina il conseguimento del diploma di scuola superiore a un’attività lavorativa obbligatoria e gratuita, non può che essere abrogato. 7

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Futuri Maestri: la parola ai piccoli di Annalisa Paltrinieri

navale della guardia costiera, Alessandra Morelli dell’UNHCR, Ignazio De Francisci, procuratore generale di Bologna, Alessandro Frigiola, cardiochirurgo infantile, e Yusra Mardini, nuotatrice del Team Refugees.

Se è da tempo che la Compagnia Teatro dell’Argine si interroga su come fare arte con la città, lavoro che è culminato con lo spettacolo Le Parole e la Città (vincitore premio Nico Garrone Prima però li hanno portati in giro nei luoghi e finalista Premio Ubu nel 2015) è da sempre, invece, che i bambini sono al centro dell’attività speciali di Bologna, il MAMbo e il Teatro Comunale, coinvolgendoli in spettacolari cacce al sia nelle scuole che nei laboratori. tesoro e in decine di laboratori. “Abbiamo la bellezza dei bambini, le loro idee e i loro pensieri sotto agli occhi tutti i giorni da Così è nato il progetto Futuri Maestri che in anni - spiega Andrea Paolucci, direttore artistico due anni ha messo in fila centinaia di interviste della compagnia - abbiamo pensato di provare a e incontri, 45 laboratori in 73 classi di 32 raccontare tutto questo anche agli altri.” scuole, cinque eventi speciali, una mostra, uno Detto così sembra semplice, in realtà i spettacolo; 27 fra partner, collaboratori, enti e drammaturghi e gli attori della compagnia si sostenitori, 16 artisti della mostra, 15 artisti del sono cimentati in un’attività da troppo tempo Teatro dell’Argine, cinque ospiti speciali, nove abbandonata: quella dell’ascolto dei giovani. maestri del nostro tempo. Quasi cento tra tecnici, Hanno dato a bambini e ragazzi dai 3 ai 18 amministratori, addetti alla comunicazione, anni il compito di ragionare su cinque parole organizzatori, maschere, ragazzi dell’alternanza tanto strategiche quanto impegnative - amore, scuola-lavoro, educatori, guide, volontari. E crisi, lavoro, guerra, migrazione - per capire cosa soprattutto oltre 1.500 bambini, bambine e pensano di questo mondo. Infine, come se non adolescenti dai 3 ai 18 anni di cui mille giovani bastasse, hanno alzato il tiro facendoli confrontare attori in scena al Teatro Arena del Sole Bologna, con i pensieri di Gramsci, Brecht, Majakovskij, e tra questi il Coro di Voci Bianche e il Coro Pasolini, Aristofane, Ariosto e organizzando per Giovanile del Teatro Comunale di Bologna, i loro (ma non solo) incontri speciali con Michela bambini e i ragazzi di Montegallo, Mirandola e Murgia, Daniel Pennac, Roberto Saviano, Nicola L’Aquila. Sani, Gabriele Del Grande, Loredana Lipperini, Il risultato finale sono state nove sere di con l’arte e la poesia. E ancora, oltre ai già citati, spettacolo che hanno visto l’Arena del Sole sempre anche Paola Caridi, giornalista esperta di Medio Oriente, Simonetta Agnello Hornby, avvocatessa tutta esaurita e tanti ragazzi in scena, scuole e e scrittrice, Giuseppe La Rosa, soccorritore famiglie coinvolte. Davvero un bell’impegno. Resistenza e nuove resistenze

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“Dovendo scegliere la cosa più bella?”

prodotto questo mondo che non va bene sotto molti punti di vista. Forse se si cominciasse ad ascoltare i piccoli si potrebbero trovare delle indicazioni. Sapendo coniugare il profondo radicamento sul territorio con uno sguardo alto e internazionale (da tempo il Teatro dell’Argine è un punto di riferimento in Italia e all’estero sia sul piano artistico che su quello della realizzazione di progetti legati a contesti interculturali). La compagnia è riuscita a catalizzare attorno a Futuri maestri le forze e le energie di tanti prestigiosi partner istituzionali e privati. Così, forse per la prima volta, si sono ritrovati assieme il MAMbo, l’Arena del Sole, il Teatro Comunale, il Teatro Betti di Casalecchio, il Testoni Ragazzi, il Teatro delle Temperie e quello dell’Argine, il comune di San Lazzaro e la Città Metropolitana, la Regione Emilia-Romagna, Unibo, Unipol, la Fondazione del Monte, le Librerie Coop, la Fondazione Gramsci Emilia-Romagna. La prova che la cosiddetta comunità educante può esistere.

Le cose belle sono state tante, tra tutte la relazione che si è stabilita con i ragazzi. Forse la cosa che più ci ha colpiti è che il tema che più è tornato nei pensieri e nelle parole dei bambini e dei ragazzi è stato il non sentirsi ascoltati, addirittura il non sentirsi visti. Ma mi ascolti? Ma mi vedi? Sono frasi che ricorrono spesso nello spettacolo che è il risultato dell’ascolto e del lavoro con i ragazzi. Sicuramente vedere un teatro occupato da ragazzini che se ne vanno da questo mondo che non piace, dove gli adulti hanno le arterie fangose e non li ascoltano, per andarsene a cercare qualcosa di meglio, è stato un impatto fortissimo dal punto di vista emotivo. Sarebbe interessante sapere quali ricadute abbia avuto nelle famiglie e nelle classi. I ritorni cha abbiamo avuto sono stati molto positivi. Se per noi si è trattato di un impegno importante, lo stesso si può dire per le famiglie e per le insegnanti. Basti solo pensare alle prove: tutti i sabati e le domeniche da gennaio a giugno. Immagino che ai ragazzi resterà moltissimo di questa avventura, ma dobbiamo lasciarli decantare, ne riparleremo dopo l’estate.

“Se ne è accorto anche il Presidente della Repubblica.” Già, la medaglia della Presidenza della Repubblica è stata davvero una bella soddisfazione. Avevamo inviato il progetto per chiedere il patrocinio, poi un giorno il postino ha suonato e dentro ad una busta imbottita abbiamo trovato il pacchetto con la medaglia e un foglio piegato in due. Nessuna ufficialità ma un’emozione fortissima.

“Si può parlare di lavoro pedagogico?” Non solo. Abbiamo l’ambizione di definirlo un lavoro politico. Se c’è una categoria marginale in Italia è quella dei giovani. Gli adulti hanno 9

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Cos’è Futuri Maestri? di Valentina Catone

Futuri Maestri è tante cose. Tante cose diverse. Tante cose insieme. Tante persone diverse insieme. Futuri Maestri è lavoro, lavoro di tanti tipi, lavoro di gruppo e di armonia ma anche individuale e privato. Un lavoro mirato a scavare a fondo, a far riemergere emozioni, passioni e desideri sepolti dagli anni e abbandonati sotto un pesante strato di polvere. Un lavoro che porta inconsciamente a mettere in comune, condividere quelle passioni, quelle emozioni e quei desideri per vederli sotto una luce diversa. Futuri Maestri è guerra. Guerra contro il tempo. Guerra contro l’ansia di non farcela e contro la paura di affrontare una salita troppo ripida. Guerra contro se stessi, guerra mirata a sfidarsi e mettersi in gioco, mettere in tavola tutte le proprie carte e rischiare. Guerra contro il buio e contro la paura di mettersi a nudo. Futuri Maestri è crisi. Ognuno di noi ha dovuto affrontare una crisi. Crisi invasiva e difficile. Crisi martellante. Crisi causata da tutto ciò che

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questo progetto ci ha stimolato a buttare fuori, a combattere faccia a faccia. Crisi contro tutto quello di cui avevamo paura e che ci è stato chiesto di affrontare. E dalla crisi nasce la migrazione. Futuri Maestri è anche quello. Migrare da quello che si era a quello che si è. Lasciare i propri vecchi bagagli e partire verso una nuova meta. Decidere di mettersi in viaggio alla ricerca di un posto dentro se stessi che possa donare sensazioni nuove, un posto dove non ci sia spazio per le vecchie abitudini e i vecchi rancori. E cosa c’è di meglio che partire insieme? Non c’è niente di più bello che viaggiare verso mete diverse ma tutti percorrendo la stessa strada, la strada del cambiamento, la strada dell’amore. Futuri Maestri è anche amore. Amore verso gli altri compagni di viaggio, verso il teatro, verso il lavoro e verso chi ti insegna come portarlo a termine. L’amore delle piccole cose, delle parole sussurrate e dei sorrisi condivisi. L’amore dell’ascolto e della condivisione. L’amore della sfida, del rischio e della frenesia. L’amore dell’ignoto e della paura stessa. L’amore del cambiamento, perché è proprio grazie ad esso che si può diventare Futuri Maestri.

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Se solo fosse così semplice: Educazione alla Scuola di Pace di Monte Sole di Elena Monicelli

Se solo fosse così semplice. Se solo vi fossero persone cattive, che insidiosamente commettono azioni cattive e fosse solo necessario separarle dal resto di noi e distruggerle. Ma la linea che divide il bene dal male passa tagliente attraverso il cuore di ogni essere umano. In fondo è solo per il modo in cui sono andate le cose che gli altri sono stati assassini e noi non lo siamo stati. Aleksandr Solženicyn, Arcipelago Gulag «Educazione alla pace». Quando questa è la risposta alla domanda: «Di cosa vi occupate alla Scuola di Pace di Monte Sole?», dallo sguardo dell’interlocutore ci si accorge che la risposta non è stata esauriente né soddisfacente, la sua mente si è accesa in una ricerca di ancore. L’estrema complessità e nello stesso tempo l’estrema familiarità di questo concetto spinge a riferirsi a intrecci di luoghi comuni e stereotipi: • educazione = trasmissione di contenuti e/o di modi di agire; • pace = situazione idilliaca di amore e serenità

reciproche. L’interlocutore non sa che la mappa per districarsi da quegli intrecci è già contenuta nella sua domanda: Monte Sole. Monte Sole come luoghi. Della memoria. Monte Sole è un triangolo di colline a pochi chilometri a sud di Bologna, sull’Appennino tosco-emiliano, tra le valli del fiume Reno e del torrente Setta. Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, quando il fronte era già vicinissimo, il luogo fu teatro di un massacro di civili ad opera di soldati nazisti, con l’aiuto di fascisti italiani. Nota come la strage di Marzabotto, non fu una rappresaglia conseguente alle azioni della brigata partigiana “Stella Rossa”, ma fu il risultato di un’ operazione militare studiata a tavolino e finalizzata al massacro. Furono uccise 770 persone, soprattutto donne, vecchi e bambini. Partendo da questa storia e dall’ascolto delle sue memorie, educare alla pace, a Monte Sole, significa educare ad una cultura di pace: un percorso lungo e complesso dove si intrecciano le memorie del passato e uno sforzo costante di rielaborarle, a partire dalla consapevolezza di sé, dal riconoscimento dei propri limiti e delle proprie responsabilità per riflettere sulle responsabilità altrui, sui meccanismi e sui percorsi che permettono l’emergere e il consolidarsi della cultura della violenza e della sopraffazione (l’indifferenza e il silenzio di chi vedeva avvicinarsi l’orrore e non sapeva opporvisi; l’indifferenza e il silenzio di chi, oggi, riconosce le premesse di analoghi processi di violenza e di terrore e tuttavia tace). Una cultura di pace non è una cultura che nega l’esistenza 11

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del conflitto. Al contrario, essa ci insegna a riconoscerlo e accettarlo, come presenza costante e non necessariamente negativa in sé, purché ne diventiamo consapevoli, impariamo a riconoscerne i diversi aspetti, ad agire su di essi, trasformandoli in modo creativo, in forme non violente; purché impariamo a comprendere e accettare che esso appartiene alla quotidianità del nostro vivere. L’attività di educazione alla pace comincia sempre, a Monte Sole, dal dialogo tra uomini e donne, ragazze e ragazzi, con le loro vite, emozioni, desideri, idee, opinioni, visioni del mondo, mantenendo viva l’attenzione per le differenze di genere, generazione, cultura, etnia, nazione, classe. La Scuola di Pace di Monte Sole quindi non è e non può essere un luogo in cui persone che sanno trasmettono i giusti valori a persone che non sanno. È, e vorrebbe sempre di più essere, un luogo separato dalla frenesia e dalla semplificazione della vita di tutti i giorni in cui persone diverse si ritrovano per studiare, per fare esperienza della complessità e delle domande senza risposta sull’essere umano, per condividere la fatica e la bellezza di una ricerca intellettuale ed emotiva che non prevede una gerarchia di idee ma una molteplicità di contributi non asserviti alle categorie assolute e preconfezionate. Siano essi bambini e bambine, ragazzi e ragazze che partecipano ai laboratori, siano i e le giovani che dall’Europa e dal Mediterraneo decidono di mettere da parte le loro paure per incontrare l’alterità aderendo ai campi estivi, siano adulti che riescono a ritagliare dalla frenesia del quotidiano uno spazio e un tempo di silenzio e parola compiuta, le persone che vengono in contatto con Monte Sole, anche grazie alla Scuola di Pace, sperimentano la vertigine di non avere una risposta pronta per ogni situazione ma una domanda feconda per ogni nuovo passo. In questo lavoro, la visita ai luoghi è viaggio in sé, punto di partenza di un percorso e perno di una riflessione. Ed è per questo che Monte Sole, tuttavia, non si può spiegare, si deve esperire. Veniteci a trovare. Resistenza e nuove resistenze

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Perchè il presente non sia popolato di fantasmi di Roberto Pasquali

L’idea del progetto PerCorsi di Memoria è arrivata camminando per le strade del Quartiere Saragozza, tra XXI Aprile e Turati dove c’è ora lo splendido mural dedicato a Irma Bandiera. Mi chiedevo se le persone che abitano lì sapessero chi era questa persona e ho ripensato allo studio della storia a volte così noioso e ripetitivo. Perché non studiare la storia nelle strade attraverso i loro nomi (toponomastica) e i loro segni (topografica)? L’idea è piaciuta e da alcuni anni, grazie al contributo di Cittadinanza attiva del Comune, la propongo alle scuole. Abbiamo finora realizzato mappe multimediali dei Quartieri Porto, Saragozza, Navile, Reno e Borgo Panigale, selezionando i nomi dedicati ai diversi periodi storici, dal primo al secondo Risorgimento passando dalla Grande Guerra fino ad arrivare a tempi più recenti con le vie dedicate alle vittime di terrorismo e mafie. I lavori già completati si possono visitare nel sito di Iperbole del Quartiere Porto-Saragozza. Viviamo in un’epoca che fa fatica a trasmettere memorie e valori fondamentali per la nostra democrazia. Questi valori sono rappresentati soprattutto dalla Resistenza da cui nasce la Costituzione della nostra Repubblica. Studiare la storia attraverso la concretezza di una passeggiata per le strade intitolate a personaggi storici, incontrare i testimoni e i familiari, visitare luoghi simbolici, permette ai ragazzi di rendere questi eventi più vicini al loro presente. L’esperienza di questi anni mi ha confermato che la storia e la sua memoria, se insegnati anche e soprattutto con strumenti artistici, sono capaci di emozionare ed entusiasmare i ragazzi. Oltre allo studio delle biografie dei personaggi storici abbiamo quindi proposto un laboratorio di espressione poetica al quale i ragazzi hanno partecipato con entusiasmo scrivendo su questi temi.

resistenza: la poesia è della lingua l’espressione più alta e allo stesso modo la Resistenza lo è per la storia del nostro paese. Entrambe hanno come loro radice e fine la libertà. E la poesia, in tempi così degradati, è sempre di più una lingua di resistenza contro la banalità e l’automatismo, per trovare espressioni autentiche e significative. Dalla relazione della professoressa Palmisano della Scuola “Volta”, succursale di Casteldebole: “Tanti sono stati i progressi degli alunni che hanno imparato a lavorare insieme e raggiungere grandi risultati. Come loro stessi hanno affermato, sono più consapevoli del fatto che le strade che ogni giorno percorrono fanno parte della storia, fino ad allora sconosciuta, del loro paese e ora si emozionano perché sanno che ad alcune centinaia di metri dalle loro case si è combattuta la battaglia della Brigata “Bolero”. Via Caduti di Casteldebole non è più solo il nome di una strada qualunque ma la riconoscono come simbolo commemorativo della lotta dei partigiani, gli eroi che hanno combattuto per la libertà. A questo momento di ricerca storica, si è aggiunto un percorso di poesia che ha avvicinato i ragazzi a un nuovo modo di vedere la realtà anche storica dei fatti. È stata per me una grande soddisfazione verificare alla fine dell’anno quanto questo laboratorio abbia potuto incidere sull’acquisizione delle competenze, dei traguardi disciplinari e sulla crescita personale di ciascun alunno”. Oltre alla mappa dei quartieri e ai laboratori di poesia abbiamo realizzato, grazie alla collaborazione con l’Associazione OTTOmani, quattro video di animazione su eventi che

Vi sono profonde similitudini tra poesia e 13

Resistenza e nuove resistenze


hanno segnato la storia della nostra città come le battaglie di Porta Lame e di Casteldebole, sul ruolo delle donne nella Resistenza e sulla Dichiarazione universale dei diritti umani. Tutti i video sono stati premiati al concorso nazionale “Filmare la storia” di Torino. I testi poetici dei ragazzi sono diventati la struttura portante su cui costruire le animazioni. Anche questa attività ha migliorato la collaborazione e la partecipazione perché i ragazzi hanno dovuto lavorare in gruppo e trovare soluzioni condivise. Per interessare anche i ragazzi di origine straniera si è proposto uno scambio di memorie per conoscere anche la storia dei paesi di origine delle loro famiglie. Il progetto è servito non solo a trasmettere conoscenze e metodi di studio – i materiali prodotti spesso vengono portati all’esame con tesine e ricerche specifiche - ma soprattutto ad acquisire un nuovo sguardo verso la realtà. Voglio ricordare e ringraziare la rete di soggetti pubblici e privati senza la quale questo progetto non esisterebbe: Quartieri, Istituti Scolastici, ANPI, Istituto Parri, Museo del Risorgimento, Archivio Storico, Centro Internazionale di Didattica della Storia e del Patrimonio DiPaSt, Comitato Scuola di Pace, Associazione OTTOmani. Il progetto partecipa alla rete conCittadini dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna.

Un’esperienza entusiasmante di Luciana Modena

Quest’anno ho avuto l’opportunità di affrontare con gli studenti delle scuole medie di San Lazzaro il tema della toponomastica dedicata ai suoi partigiani e quello della libertà. Tra gli obiettivi, quello di esporre dei poster in piazza Bracci in occasione del 25 aprile. Abbiamo affrontato entrambi gli argomenti partendo da una breve rassegna storica comprendente il periodo della Resistenza e dell’immediato dopoguerra fino alla promulgazione della nostra Costituzione, e della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, illustrandone le parti inerenti ai temi proposti. I ragazzi che hanno scelto il tema sulla libertà si sono cimentati sul diritto ad essere Resistenza e nuove resistenze

“liberi da” pregiudizi che gravano sulla libertà di espressione religiosa e sessuale; da restrizioni operate sulla libertà di opinione e di stampa, da disuguaglianze economiche e sociali. Per quanto riguarda il tema dei partigiani, ecco le note conclusive dei ragazzi: “Mi è piaciuto molto partecipare a questo progetto perché ho capito meglio come si viveva durante la guerra e soprattutto che non si può dimenticare quello che è accaduto e che moltissime persone si sono sacrificate e sono morte per la libertà di tutti noi”. E ancora: “Ho imparato qualcosa in più sulla Resistenza e sui fatti accaduti durante la guerra che certamente non avrei potuto trovare sui libri di scuola”. Il mio grazie e la mia riconoscenza va alle insegnanti e a tutti i loro studenti. Un grazie particolare a coloro che hanno compiuto il prodigio di trasformare dei personaggi consegnati alla storia in ragazzi reali, vivi e presenti, inoltre a Chiara, Ilaria, Giulia che hanno raccolto e scritto le riflessioni finali a nome di Ailian, Ilaria, Lisa Davide, Jeff, Ivan, Beatrice …

San Lazzaro partigiana di Giulia Rea

Quest’anno io e la mia classe (3D Scuola Media Rodari – Jussi di San Lazzaro) abbiamo partecipato al progetto del POT (Piano dell’Offerta Territoriale) in collaborazione con l’ANPI locale, intitolato “San Lazzaro Partigiana”. Abbiamo conosciuto Luciana Modena, che è stata la nostra referente del progetto, che ci ha spiegato di cosa si occupa, che cos’è l’ANPI e 14


L’amore prima del giudizio

Una riforma scolastica straordinaria sulle orme di Don Lorenzo Milani e dei grandi maestri di ieri e di oggi di Fabrizio Silei

il lavoro che avremmo dovuto svolgere. Siamo stati divisi in cinque gruppi e ad ognuno è stato assegnato un partigiano sanlazzarese su cui lavorare. Al mio gruppo è stato assegnato il partigiano Bruno Galeotti. Nel secondo incontro siamo usciti da scuola, insieme alla professoressa e a Luciana e abbiamo camminato per San Lazzaro, per visitare e fotografare le vie e le piazze dedicate ai partigiani su cui stavamo lavorando. Negli ultimi due incontri abbiamo preparato i cartelloni sui partigiani assegnati ai vari gruppi; oltre a Galeotti, abbiamo lavorato su Luciano Bracci, Renato Torreggiani, Carlo Jussi e i fratelli Alfredo ed Elio Canova. Molte informazioni sulla vita o sulle brigate a cui appartenevano i vari personaggi ce le ha fornite Luciana. Noi le abbiamo rielaborate sottoforma di testi o lettere o pagine di diario e abbiamo scritto le didascalie delle immagini. Alla fine del progetto i cartelloni sono stati esposti durante la commemorazione del 25 Aprile in Piazza Bracci, alla presenza della Sindaca di San Lazzaro, del presidente dell’ANPI Rino Montroni e di tante altre persone. Una cosa che mi ha molto colpito è stata la presenza in piazza del fratello di Renato Torreggiani, Sergio. Non ci sono stati problemi durante lo svolgimento del progetto, anzi, è stato piuttosto piacevole e soprattutto interessante. La cosa che mi è piaciuta di più è stata la preparazione dei cartelloni, inoltre ho imparato qualcosa in più sulla Resistenza e sui fatti accaduti durante la guerra che certamente non avrei potuto trovare sui libri di scuola.

Pochi giorni fa il Papa è volato in elicottero a Barbiana, si è inginocchiato di fronte alla tomba di Don Lorenzo Milani e ha tenuto un bel discorso elogiandone la figura e proponendola come esempio per i preti di oggi e per se stesso. Nel suo discorso rivolto agli ex allievi di Don Lorenzo ha detto: “Voi siete i testimoni di come un prete abbia vissuto la sua missione nei luoghi in cui la Chiesa lo ha chiamato con piena fedeltà al Vangelo(…)” Potrebbe sembrare vero tanto sono belle nella giornata di sole la canonica e la chiesetta di Barbiana, rimesse a nuovo e con tanto di piscina azzurra. Il borgo sembra un luogo di villeggiatura e non ha più niente a che vedere con la canonica umida e povera in cui Don Lorenzo non fu chiamato, ma fu esiliato dalla curia, dai preti, dalla Chiesa, sessantatré anni fa. Furono la povertà di quella parrocchia, l’umidità delle mura, il freddo sul monte Giove a causare o accelerare la sua malattia? Nessuno può dirlo, sta di fatto che come ricorda Neera Fallaci nel suo “Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell’ultimo”, Barbiana mancava allora dei servizi più elementari, non c’erano la luce elettrica, né il telefono pubblico e “l’unica strada transitabile si fermava qualche chilometro più in basso. Si saliva alla chiesa per una specie di tratturo fra i boschi che si era formato con il passaggio dei greggi e delle tregge”. Era Don Lorenzo un prete scomodo, caparbio, combattivo. Un prete che dava fastidio e che fu lasciato solo da tutti. Ciononostante dalla periferia del mondo riuscì a portare avanti la sua missione e un’idea di scuola che ancora fa discutere e riflettere. Sin dai primi giorni a Barbiana, senza offrir loro 15

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da bere, né da fumare, pratiche che considerava pericolose e deleterie, don Lorenzo mette i giovani al lavoro per migliorare la situazione della parrocchia e scrive: “E poi dicono che la gioventù vuole il divertimento. Altri dicono che vuole l’organizzazione. Altri ancora che vuole un ideale di parte. Nessuno può supporre che si possa invitarli a regalare per solo affetto”. Mi piacerebbe partire da qui in un momento in cui si parla tanto di “Buona Scuola” e si infarciscono programmi e proclami ideali con parole e concetti degnissimi e a lungo attesi come inclusione, ma poi si continua a inciampare a ogni passo in vecchi retaggi ancora attivi. Eppure il nostro è il paese che, dalla Montessori in avanti, più di ogni altro ha dato vita e voce al pensiero sul fare scuola e ha “prodotto” figure straordinarie come quella di Mario Lodi, per dirne una, il maestro scrittore che proprio con Don Lorenzo Milani e i suoi ragazzi ebbe un proficuo rapporto. Scrive Eraldo Affinati proprio a proposito di Don Milani su Avvenire del 20 giugno scorso riferendosi a Lettera a una professoressa: «La scuola italiana ha recepito lo spirito inclusivo che promanava da quelle pagine, basti pensare soltanto alla legislazione sui “diversamente abili”; tuttavia “l’ossessione della campanella e l’incubo del programma” sono ancora pienamente attivi, rilanciati da due nuovi fantasmi di matrice europea: la maledizione burocratica e la smania selettiva. Da una parte ci sono i bilanci delle competenze, dall’altra i test a risposta multipla. Il priore aveva affermato “una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo d’espressione. Ai ricchi la conoscenza delle cose”. Una dichiarazione che oggi vale molto perché assume una dimensione planetaria». Una splendida sintesi della situazione: maledizione burocratica e smania selettiva che male collimano con quell’affetto di cui parlava don Lorenzo Milani. L’affetto del resto non sembra essere una categoria pedagogica utilizzabile e ancor meno l’altra parolaccia della quale riferiva Daniel Pennac, anche lui come me e come tanti, un ciuco con i fiocchi, nel suo Diario di Scuola: “Dai, tu che sai tutto senza aver imparato niente. Il modo per insegnare senza esser preparato a questo? C’è un metodo?” Resistenza e nuove resistenze

«Non mancano, certo, i metodi, anzi, ce ne sono fin troppi! Passate il tempo a rifugiarvi nei metodi, mentre dentro di voi sapete che il metodo non basta. Gli manca qualcosa.» “Che cosa gli manca?” «Non posso dirlo.» “Perché?” «È una parolaccia!» “Peggio di empatia?” «Neanche da paragonare. Una parola che non puoi assolutamente pronunciare in una scuola, in un liceo, in una università, o in tutto ciò che le assomiglia.» “E cioè?” «No, davvero non posso…» “Su, dai!” «Non posso ti dico! Se tiri fuori questa parola parlando di istruzione, ti linciano!» “…” «…» “…” «L’amore.» Già, l’amore. “Ho voluto più bene a voi che a Dio!” dirà Don Milani ai suoi ragazzi. E sta tutto qui, prima ancora che in qualsiasi metodo, il fondamento della sua lezione, ma anche quella di tanti altri maestri che vanno da Mario Lodi a Franco Lorenzoni, e tanti altri meno noti silenziosi maestri che ogni giorno riescono nell’impresa di destrutturare la follia, la nostra nevrosi consumistica e capitalistica, per ricostruire senso a scuola. Nell’arte di far amare e non odiare Dante, l’arte, la matematica, ma prima ancora lo stare insieme a scuola. La sintetizzerei così: non può esistere relazione educativa senza relazione affettiva, senza amore. Amore per la propria materia, per l’insegnamento certo, ma prima di tutto amore per i bambini e i ragazzi, per i singoli con le loro particolarità e differenze da accettare, accogliere, valorizzare senza giudizio. Invece troppo spesso il giudizio e la misurazione si trasformano in sentenza, quando non in pregiudizio, giacché sempre di più prendere un quattro rischia di trasformarsi, in questo tipo di società, in un giudizio complessivo sulla persona che finisce per valere quattro agli occhi della classe, prima, e della società, poi. Lo dico spesso agli insegnanti che incontro: 16


oggi voi giudicate, ma sarete voi stessi giudicati Quella dell’imparare insieme, dell’avanzare alla fine dai vostri allievi. Come? Semplicemente insieme, di crescere insieme valorizzando i talenti incontrandoli ventenni, e poi uomini e donne di tutti. adulti per strada. Vi eviteranno come la peste o Questa è al di là dei proclami, una scuola correranno ad abbracciarvi? individualista, competitiva, dove i Pennac, gli Abbiamo ancora una scuola in cui i nostri Einstein e in generale le menti più brillanti bambini e ragazzi siedono per ore a dei banchi rischiano di perdersi, di annoiarsi, di imparare a di fronte all’insegnante come nella vecchia odiare ciò che potrebbero amare. scuola di Gentile: lo ricordo come una tortura. Dico spesso di fronte alle scolaresche e agli Ero iperattivo? Non lo so, non c’erano ancora le insegnanti questa frase nelle nostre discussioni: certificazioni. Una scuola dove, anziché recuperare il pensiero e la dialettica, quelle arti che sin da “Avanti, ragionate, non temete di sbagliare! Il bello della scuola è proprio questo: Plutarco fanno sì che la scuola è un ambiente protetto i bambini o i ragazzi dove si può sbagliare senza pagare. arrivino da soli alle Nella vita invece, là fuori, se sbagli soluzioni sotto la guida paghi!” del maestro facilitatore, si danno le risposte. I bambini mi guardano strano, gli Poi si pretende che insegnanti percepiscono la vergogna le risposte, le nozioni, nel sapere che non è così e sentono siano imparate più o però che dovrebbe esserlo. Che meno a memoria, più o sarebbe giusto imparare attraverso meno meccanicamente, le storie e il gioco, come fanno per giungere infine alla da sempre gli uomini, per errori e verifica. Un processo per successi, divertendosi. Che un dove se ne vanno tempo bambino dovrebbe alzarsi contento ed energie preziose di andare a scuola dove non ci che potrebbero essere sono urla da caserma, ma si sta investite in altro modo e insieme in un altro modo. La deriva che rischia di scoraggiare aziendalista ed efficientista (che e demotivare. Come brutta parola) è penetrata, invece, se un buon maestro così profondamente nella scuola e non sapesse, vendendo nelle nostre teste da far dimenticare ragionare l’allievo, a le grandi lezioni del dopoguerra e che punto è e di cosa degli anni ’60 e ’70 del Novecento. potrebbe aver bisogno. L’idea della cassetta degli attrezzi, di Così gli studenti saperi immediatamente spendibili e vengono classificati, misurati, etichettati, orientati non più alla creazione della persona ma certificati. Ognuno corre per se stesso in una a un presunto futuro occupazionale (rammentate logica competitiva che spezza i legami di comunità le tre I della riforma Berlusconi? Impresa, Inglese, anziché crearli. Cosa c’è di più diseducativo? Informatica) è prevalsa. Così, nonostante le belle “Quanto hai preso a matematica?” chiedo a un parole delle varie riforme, si legge sempre meno, bambino di terza. “Otto!” mi risponde. E poi: si abbandona la scuola vista come qualcosa di “Ti riguarda che nella tua stessa classe ci siano ostico e noioso, si fatica a trovare una strada e un bambini con l’insufficienza in matematica?”. Ci senso alla propria vita. Questa è la crisi più grave, una crisi culturale prima che economica. pensa un po’, poi risponde candidamente: “No!” I tanti ragazzini che arrivano all’università Dove è finita la comunità educante, quella che alla scuola di Barbiana rendeva i più grandi e i più amando la scuola, l’Ariosto, Dante, la fisica o la avanti maestri dei più piccoli e dei nuovi arrivati. matematica, lo devono alla propria tenacia (oggi 17

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si direbbe resilienza) o ad insegnanti straordinari che letteralmente resistono. Che nonostante le mortificazioni quotidiane, con sforzo titanico, svicolando fra programmi, prove invalsi, verifiche e consigli di classe, hanno messo avanti la classe come comunità a un amorfo insieme di individui, l’amore per le storie e i libri alla mania delle verifiche; che hanno saputo inventarsi ogni giorno, giocare, affabulare, incoraggiare e sedurre i loro ragazzi dando senso al loro stare a scuola e stare insieme. Che spesso, per necessità, li hanno giudicati da ultimo e per forza, guardandoli negli occhi e dicendo loro: “Tu Giovanni sei un grande, anche con un quattro in matematica!” Insegnanti che non hanno dimenticato la lezione di Korzack, di Don Milani, di Mario Lodi e di tanti altri, come ad esempio Loris Malaguzzi in Emilia per i più piccoli. Insegnanti che leggono, studiano, vanno al cinema, cercano le storie giuste per i loro ragazzi. Per questi insegnanti, per una scuola colma d’amore, di passione, di dialettica, di pensiero e di rispetto per il bambino e i ragazzi si attende ancora una riforma. Una riforma che restituisca loro importanza, dignità. Una riforma come una marea che porti via dalla nostra testa di adulti la nevrosi del giudizio e dell’autorità, restituendo ai nostri insegnanti l’autorevolezza e la responsabilità dei grandi maestri. Tutti i diritti riservati: Fabrizio Silei 2017

L’avvenire per i giovani di Gabriella Zocca

quei vigliacchi e molti non avevano nemmeno lasciato il posto che avevano occupato durante il fascismo, tutti impegnati a muovere le loro pedine per impadronirsi ancora dello Stato. Fu un triste risveglio!!! Noi, memori del passato, capimmo che era necessario riprendere un’attività partigiana nella pace e ci stringemmo nell’ANPI, dando un obiettivo di impegno alle organizzazioni politiche e sindacali nelle quali militavamo, per un’attività di difesa e di conquiste sociali, per una società libera e democratica, come avevamo sognato e difeso durante la guerra. Noi ci eravamo impegnati nella costruzione delle organizzazioni democratiche, che avevamo diretto partecipando alle molte e difficili battaglie del dopoguerra, ma avevamo commesso l’errore di non considerare la nostra attività come il seguito naturale delle attività nate nelle battaglie della Resistenza. Questo vuoto ideologico iniziale toglieva forza alla nostra partecipazione. Le battaglie per la conquista della democrazia nella pace erano il seguito ovvio delle battaglie della Resistenza: per questo avevamo partecipato! Quelli che credevamo vinti erano soltanto nascosti e pronti a riprendersi il potere. L’ANPI ha ricomposto le file e l’attività specifica. Con difficoltà e perseveranza abbiamo ridato valore e meriti nelle istituzioni, ricomponendo l’importanza della Resistenza. Richiedevamo che non venisse relegata a un “ricordo storico”, sui muri vicino alle foto di Garibaldi. Da subito la nostra maggiore attenzione è stata per le nuove generazioni, per le scuole. Inizialmente è stato difficile essere accettati, ma nel portare nell’attività politica i valori della Resistenza è stato conquistato il diritto di parlare nelle scuole. E noi ci andiamo, vecchi e stanchi, ma decisi a farci capire.

Finita la guerra noi giovani partigiani eravamo convinti che, avendo vinto, i fascisti e i tedeschi fossero finiti. Ci avevano lasciato una situazione disperata da affrontare. Oltre alla democrazia da costruire, come avevamo a lungo sognato e discusso nei momenti di tregua in brigata, ci Nelle scuole, nelle classi, i ragazzi ci ascoltano lasciavano un’Italia distrutta: non c’era lavoro, attenti. Noi cerchiamo di fare capire che non non mezzi di trasporto, montagne di macerie da desideriamo riconoscimenti “eroici”, ma nel rimuovere, fame e malattie. parlare della nostra giovinezza saccheggiata da ogni sorta di sacrifici e pericoli, vogliamo si Ma avevamo vinto e tutti uniti affrontammo la capisca che la democrazia è fragile, che va difesa, ricostruzione materiale e politica dell’Italia. che se le forze eversive ritornano e si ricrea una Tutti uniti!!! Come ci sbagliavamo nel pensare situazione come quella del nostro passato, questo di aver debellato quella reazione che aveva è il modo di vivere che aspetta chi la democrazia portato l’Italia alla rovina. Si erano nascosti non sa difendere. Ma questi giovani, che ci Resistenza e nuove resistenze

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ascoltano parlare di una vita piena di pericoli, Al “Laura Bassi” una sacrifici, privazioni, capiranno perché lo facciamo? Capiranno che soprattutto cerchiamo di svegliare nuova targa alla in loro la coscienza dei loro diritti alla libertà e Resistenza la difesa contro il ritorno al potere delle forze di Enrico Franchini antidemocratiche? Sinceramente è un dubbio che Nella succursale del Liceo Laura Bassi in via Broccaindosso è stata finalmente rimarginata mi tormenta. la ferita aperta con i ripetuti attacchi incendiari Ma oggi mi è stata offerta una grande dello scorso autunno alla lapide del partigiano soddisfazione. A Villa Spada, nell’angolo dove Giancarlo Romagnoli. si trova il Monumento alle 128 partigiane Il 7 giugno, ultimo giorno di scuola, vi è stata cadute durante la Resistenza, si è tenuta una l’inaugurazione di una targa dedicata a Romagnoli commemorazione, presenti autorità e scuole. Una e a tutta la Resistenza, in risposta alle provocazioni ragazza delle scuole “Manzolini” ha parlato delle avvenute i primi giorni dell’anno scolastico. La visite dei partigiani nella loro scuola, dimostrando necessità di una risposta è stata sentita da alcuni di capire il senso degli interventi. Una maestra (che studenti del Collettivo dell’Istituto, che hanno ringrazio) mi ha inviato alcuni interventi scritti progettato un elaborato ceramico, insieme al da alunne della 3/A. Regalandomi una grande Collettivo del Liceo Artistico, che ha provveduto gioia; sì i ragazzi ci capiscono, capiscono quello alla realizzazione dell’opera. A nostro parere non che successe, i pericoli, i sacrifici. Non abbiamo si è trattato né di vandalismo né di una casualità. Pensiamo che volutamente sia stata colpita la sprecato tempo (e forze); sì hanno capito. memoria di Romagnoli per colpire con lui la È un piccolo seme posto in una grande pietraia: Resistenza e le persone che frequentano la scuola. un piccolo seme di democrazia e di libertà. Il nostro progetto ci ha permesso di studiare a Speriamo si risvegli rigoglioso nel loro domani. fondo la figura di Romagnoli e di riscoprirlo. 19

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L’idea iniziale prevedeva l’affissione del nostro manufatto accanto alla lapide già esistente, ma a seguito della mancata autorizzazione da parte del Ufficio Patrimonio del Comune di Bologna, insieme alla dirigenza scolastica abbiamo optato per l’affissione all’interno della succursale. La giornata dell’inaugurazione è stata il momento conclusivo di un lungo percorso che ha unito le diverse anime che hanno partecipato al progetto, è stata una giornata di festa per superare lo sgomento e la delusione provati di fronte alla decisione di un’amministrazione che non ha autorizzato un monumento alla Resistenza. Sconcerto perché in contemporanea alla mostra cittadina su Dalì l’Amministrazione di Bologna, città medaglia d’oro alla Resistenza, ha autorizzato l’installazione di un’ opera dell’artista spagnolo proprio di fronte al Memoriale alla Shoah. Dalì sostenne infatti il regime franchista, quando molti altri intellettuali dell’epoca scelsero il carcere e l’esilio. A detta di Orwell Dalì era allo stesso tempo “un grande artista ma un disgustoso essere umano”. Il titolo dell’opera esposta a Bologna è La persistenza della memoria” ma a noi, di antifascista memoria, ricorda le fosse comuni degli oppositori al regime franchista che ancora oggi in Spagna non hanno una degna sepoltura. Il 7 giugno nel cortile dell’Istituto si sono succeduti al microfono interventi da parte del Collettivo “Laura Bassi Antifa”, di Simona Salustri per l’ANPI Provinciale, letture sulla figura di Romagnoli e un intervento a sorpresa di Adelmo Cervi. Il Liceo Musicale “Lucio Dalla” ha accompagnato il tutto interpretando Oltre il ponte e Bella ciao con un trio di voce, chitarra e violoncello, davanti a tutti gli studenti e professori del “Laura Bassi” e dell’Isart che quel giorno hanno deciso di partecipare, insieme a cittadini, rappresentanti del Quartiere e delle Sezioni ANPI di Bazzano, Casalecchio, Marzabotto, Monteveglio, Pratello e Savena. Al termine è stata finalmente svelata la targa, collocata in un corridoio, che raffigura due braccia che spezzano una catena, immagine che evoca medaglie commemorative della Liberazione, sormontate da una stella e con una citazione dalla famosa epigrafe di Calamandrei, che è stata anche recitata da uno studente. Un bassorilievo di ceramica che lascerà ai futuri studenti il messaggio “In questa scuola il fascismo non passerà”. Resistenza e nuove resistenze

Sviluppo tecnologico? Attenti agli effetti

di Gabriele Sarti Alcune delle terapie che vengono ultimamente proposte per superare gli effetti (ma non le cause ) della crisi ormai decennale, che travaglia quasi tutti i paesi ad economia di mercato, forse meriterebbero, da parte dei proponenti, una maggiore attenzione circa i concreti effetti della loro applicazione. In particolare lo sviluppo tecnologico necessita di una valutazione critica ben più attenta di quanto non si faccia oggi. Di conseguenza anche il concetto e la pratica degli investimenti, in tale materia, vanno calibrati in funzione dei risultati di questa critica. Una delle caratteristiche storicamente determinatesi nel processo di sviluppo del sistema capitalistico è costituito dagli stimoli esterni che si sono manifestati ed hanno influito sui tempi, sui modi e sull’intensità di tale sviluppo, sommandosi e agendo sui fenomeni ciclici, propri del sistema, ossia le fasi di recessione, quelle di recupero e di sviluppo. Per fare un breve elenco: la macchina a vapore nel XVIII secolo; le ferrovie all’inizio del XIX secolo; l’auto nel XX secolo; le telecomunicazioni. Questo sul piano dello sviluppo tecnologico. Si tratta, com’è evidente, di fattori di grande impatto strutturale e con effetti di medio e lungo periodo. A ciò si sono aggiunti: l’espansione colonialista e le guerre coloniali; le due grandi guerre fra le potenze colonialiste e quelle locali successive; il lavoro di ricostruzione dopo le guerre. Questi fattori hanno determinato, per importanti periodi di tempo, una domanda generale molto potenziata e fenomeni di quasi piena occupazione. Anche la massa dei profitti ha tratto vantaggio da queste situazione. Inoltre si sono verificati altri importanti fenomeni; primo fra tutti: la concentrazione del potere industriale e 20


soprattutto di quello finanziario nei grandi gruppi monopolistici. Se si analizzano le condizioni attuali dello sviluppo nei paesi più forti del capitalismo si possono avvertire differenze sostanziali. Primo: non ci sono più, almeno per il momento, stimoli esterni paragonabili a quelli sopra elencati. Lo svolgimento dei cicli economici, anche, sono diversi. Nella fase sopra descritta abbiamo una serie di processi che tendono a sviluppare l’occupazione ed allargare il mercato (inteso in senso lato). L’uso del vapore ha consentito lo sviluppo dell’industria accentrata; con conseguente aumento esponenziale della produttività, della stessa occupazione ed anche un abbassamento notevole dei prezzi di molti prodotti con relativo allargamento della risposta effettiva a una domanda in rapida espansione. In alcuni casi, vedi l’automobile, un fortissimo effetto indotto su molti altri settori quali l’edilizia, le strade, la gomma, l’acciaio, la petrolchimica, etc. O le ferrovie. Per queste ultime basterebbe dare una scorsa all’effetto avutosi negli Usa: investimenti pari a quelli di tutti gli altri settori economici messi assieme, sviluppo dell’utilizzo delle immense risorse agricole potenziali dell’interno del paese, oltre alla occupazione industriale diretta per la produzione del materiale rotante e delle infrastrutture (ricordarsi delle centinaia di migliaia di cinesi importati e super sfruttati per costruire le linee ferroviarie). La tecnologia attuale, di cui si sta predicando l’applicazione e lo sviluppo, ha avuto fino ad ora la caratteristica di eliminare, spesso in modo pesante, l’occupazione produttiva e ultimamente sta anche producendo la diminuzione dell’occupazione in molte branche dei servizi (es. Amazon). E ciò determina, come ogni giorno constatiamo, una caduta della domanda interna, ma anche dei profitti in taluni settori. Inoltre accentua i fenomeni di concentrazione monopolistica. Va detto che anche le esigenze per la difesa militare, nei vari paesi, subiscono gli effetti dello sviluppo tecnologico. Fino a quaranta anni fa

circa, il servizio di leva comportava che quote significative di giovani, per un certo tempo, venissero tolte dalla massa degli occupati o dei richiedenti lavoro e la tecnologia bellica era sostanzialmente di livello tale da comportare, sì, costi forti, ma sopportabili; oggi invece lo sviluppo tecnologico degli armamenti ha determinato due nuove situazioni: la tecnologia bellica si è fatta sempre più sofisticata e costosa, per cui il suo utilizzo deve essere attentamente valutato anche in termini economici (cosa che ad esempio non fu fatta nella guerra del Vietnam dove furono usate più tonnellate di bombe di ultimo tipo che non nella guerra mondiale in Europa). Il lancio dei missili Usa sulla base militare siriana (di giovedì 6 aprile) è costato 76,7 milioni di dollari. La super bomba sull’Afganistan: 14,6 milioni di dollari. Ma anche il fattore umano è divenuto molto più costoso. Infatti negli eserciti attuali, i contadini semi analfabeti della prima guerra mondiale o quelli normali della seconda guerra sono sostituiti da personale altamente specializzato (i volontari, ossia dei professionisti) la cui preparazione è stata lunga e molto costosa così come molto costoso è il loro mantenimento. Per cui la salvaguardia di questi militari non solo ha una ragione economica (ossia il costo per un eventuale rimpiazzo), ma anche implicazioni organizzative importanti; vedasi ad esempio il tempo necessario per l’addestramento di nuovi soggetti per il rimpiazzo. Questa è la ragione per cui si è così fortemente sviluppato il criterio dei bombardamenti da alta quota o l’uso di velivoli senza pilota oltre ai missili di svariate categorie, impiego e intelligenza. Una prima sommaria conclusione è che certamente non si può né si deve essere contrari per principio allo sviluppo tecnologico, ma lo stesso se non è ricondotto ad una situazione di programmazione effettiva e di controllo politico democratico rischia di procurare più danni che benefici. Quindi coloro che si riempiono la bocca quotidianamente di sviluppo tecnologico con rivendicazione dei relativi investimenti, forse dovrebbero ragionare di più sull’oggetto della loro infatuazione. Inoltre la questione ripropone con grande forza un problema di sempre: l’equa distribuzione della ricchezza sociale anche se la stessa fosse com’è oggi e come sarà sempre più in futuro prodotta dai robot. 21

Resistenza e nuove resistenze


“Pane e Alfabeto”:

le politiche sociali e scolastiche di Francesco Zanardi e dei primi sindaci socialisti del bolognese di Vincenzo Sardone Bologna, dotta, liberale e turrita sotto l’egemonia della Camera del lavoro e dell’analfabetismo. Così titolava l’Avvenire d’Italia il 30 giugno 1914 dando notizia che ormai «la teppa comanda» la città, poiché erano diventati consiglieri comunali anche persone che avevano appena la licenza elementare. La vittoria dei socialisti fu vista dai ceti dell’alta borghesia commerciale e agraria e dalle alte gerarchie cattoliche come «il fango che sale», espressione usata dallo stesso giornale. Alle elezioni del 28 giugno 1914 (data curiosamente coincidente con lo scoppio della prima guerra mondiale, dopo l’attentato di Sarajevo), infatti, il PSI per la prima volta aveva presentato a Bologna una lista di soli candidati di partito, ottenendo 12.689 voti, battendo i clerico-moderati (11.370) e i radicali (1.473). In virtù della legge maggioritaria che assegnava i 4/5 dei seggi alla lista che prendeva più voti, i socialisti ne ebbero 48 su 60 e l’opposizione i restanti 12. Il successo fu sancito anche dagli altri risultati in provincia di Bologna: sugli allora 61 comuni (Borgo Panigale assorbito dal capoluogo nel 1937 e Castelfranco Emilia passato in provincia di Modena nel 1929), 34 elessero un sindaco socialista. Il PSI, fondato a Genova il 14 agosto 1892 per riempire il vuoto di rappresentanza dei ceti operai e contadini, riuniva in sé sia l’esperienza di ispirazione riformista sia quella di derivazione marxista. I suoi principali promotori furono, tra gli altri, Filippo Turati, Claudio Treves e Leonida Bissolati, ma il suo precursore fu l’imolese Resistenza e nuove resistenze

Andrea Costa che già dieci anni prima (1882) era stato il primo deputato di idee socialiste eletto alla Camera, di cui fu anche vicepresidente dal 1908 al 1910. Non a caso il primo comune in Italia a essere amministrato fin dal 1889 da una coalizione di forze di ispirazione socialista fu proprio Imola (sindaco Ugo Tamburini, vicino ad Andrea Costa); nel Bolognese il secondo fu la Molinella di Giuseppe Massarenti (sindaco Luigi Ploner) nel 1900; Anzola, Castel Maggiore e Castello di Serravalle nel 1905; Baricella, Bazzano e Crevalcore nel 1906; Crespellano e San Giovanni in Persiceto nel 1907; Argelato, Minerbio e Budrio nel 1908; Porretta Terme nel 1909; Granarolo, Monteveglio e Zola Predosa nel 1910; Castello d’Argile nel 1911; Castel Guelfo nel 1912. Pertanto, ancor prima dell’introduzione del suffragio universale maschile (1912), in provincia di Bologna i socialisti guidavano già ben 19 giunte municipali. «Pane e alfabeto» era la sintesi del loro programma elettorale, parole d’ordine semplici che racchiudevano significati fondamentali per l’emancipazione e il progresso sociale delle classi lavoratrici. Volevano dire buona alimentazione a prezzi popolari, qualità dei cibi, abitazioni adeguate, igiene delle case e delle persone, istruzione e scuola per tutti, colonie per i bambini, sistema fiscale più equo. Il 15 luglio 1914 il primo consiglio comunale a maggioranza socialista di Bologna elesse sindaco Francesco Zanardi, un farmacista di origine mantovana (nato a Poggio Rusco il 6 gennaio 1873 e trasferitosi a Bologna con la famiglia nel 22


dicembre del 1891). Significativo il fatto che egli assumesse la carica non «In nome di Sua Maestà il Re», secondo la formula di rito, ma «In nome del Popolo». Tra i 48 nomi della lista di maggioranza c’erano 21 operai, 17 professionisti, 5 impiegati, 3 commercianti e 2 ragionieri. Zanardi chiamò nella sua giunta tre avvocati del calibro di Genuzio Bentini, penalista che fu anche presidente dell’Ordine e poi presidente della Provincia, Alberto Calda, rappresentante dei mezzadri e in seguito eletto deputato e Omero Schiassi, difensore della Camera del lavoro; ma anche l’ingegnere Giorgio Levi e il professor Mario Longhena. La nuova giunta ebbe l’arduo compito di gestire una città che, dal censimento del 1911, risultava avere circa 170.000 abitanti, di cui 40.000 analfabeti; le scuole erano una rarità, l’accesso agli studi superiori riservato alla nobiltà laica e religiosa e alla ricca borghesia commerciale e agraria; quasi tutte le abitazioni erano prive di acquedotto e servizi igienici (proprio nel 1911 c’era stata un’epidemia di colera); altissimi i canoni d’affitto, pagati con un anno di anticipo; nessuna iniziativa di edilizia popolare; strade senza massicciata che si infangavano d’inverno; miseria e disoccupazione dilaganti. La prima amministrazione socialista, oltretutto, poté operare liberamente per brevissimo tempo, prima e dopo il conflitto, perché nel 1915 la città fu inclusa nella zona di guerra e la maggior parte del potere amministrativo passò ai militari. Ciò nonostante il comune gestì il delicato equilibrio tra pacifismo socialista e città in guerra, modellando l’organizzazione pubblica a sostegno di quel “fronte civile” composto dalla parte più debole della popolazione.

I primi provvedimenti dimostrarono che una svolta storica era comunque avvenuta a Palazzo d’Accursio. Zanardi fece sottoporre a esame chimico l’impasto del pane nei forni, costringendo quindi i panificatori a migliorarlo. Poi convocò in Comune i lavoratori pastai, in sciopero da tempo, e i loro datori di lavoro per tentare la ricomposizione della vertenza. Il terzo provvedimento qualificante fu la municipalizzazione del servizio di nettezza urbana. Pur nelle difficoltà del tempo di guerra, egli seppe sottrarre i suoi concittadini alla morsa della fame, tenendo bassi i prezzi dei generi di largo consumo, attraverso il sistema del calmiere. Il 26 agosto 1914 aprì uno spazio sotto il Voltone del Podestà dove inizialmente si vendeva uva a basso costo, suscitando l’irritazione dei bottegai che aumentò in ottobre quando, in quello che i

bolognesi chiamavano il “negozio di Zanardi”, iniziò la vendita del pane e poi di pasta e di altri generi alimentari. Inoltre attrezzò un vero e proprio panificio comunale nel palazzo che adesso ospita il Mambo nell’attuale Via Don Minzoni.

L’invenzione più geniale di Zanardi fu però l’Ente autonomo dei consumi, nei cui negozi si trovavano generi alimentari a prezzo di costo. Nel 1917 erano già 15 e salirono a 21 nel 1920, oltre a empori di abbigliamento e altri generi, in grado di rifornire tutta la città. Il comune acquistò persino due navi, la Andrea Costa e la Giosuè Carducci, per approvvigionarsi principalmente di grano dall’Argentina e carbone dalla Gran Bretagna, prodotti che venivano forniti su richiesta anche ad altri comuni della provincia a prezzo di costo. L’Ente gestiva anche un ristorante e un caffè in Sala Borsa, aperti il 7 agosto 1919. Grazie a questa politica, Bologna continuò a lavorare per il fronte, ma soprattutto non conobbe le morti per denutrizione o assideramento come altre città d’Italia. Lo stesso Re in visita in città non esitò a complimentarsi pubblicamente con Zanardi. Ciò nonostante, durante gli anni di guerra gli interventisti manifestarono violentemente contro la giunta socialista con aggressioni personali anche contro il sindaco e tentativi di invadere Palazzo d’Accursio. Francesco Zanardi è passato alla storia come il “sindaco del pane”, convinto egli stesso che «è uno dei prodotti che devono essere sottratti ad ogni speculazione; è necessario che questo alimento possa essere distribuito a tutti, sano, igienico e abbondante». Tuttavia nel 1918 egli affermava che «promettemmo ai nostri elettori pane ed alfabeto: il pane l’abbiamo dato e vogliamo dare anche l’alfabeto». Infatti, quasi a voler smentire il titolo de l’Avvenire inizialmente citato, anche la scuola rappresentò un interesse preminente grazie all’attività del suo assessore Mario Longhena, il quale sosteneva che se la guerra al fronte «cominciava il suo ritmo inutile di morte, la vita rinasceva in tutte le scuole di Bologna», che infatti non chiusero neanche un giorno. Vennero persino sperimentate nuove “scuole all’aperto”, tentativo socialista di rinnovamento elementare che non si riduceva al mero contatto con la natura, ma si riempiva di insegnamenti per i ragazzi a contatto con l’ambiente esterno. Riguardo alle scuole infantili, con il programma “in ogni scuola deve esserci un asilo”, dai due del 1914 si passò alla fine del 1920 a realizzare ben 52 asili o giardini d’infanzia, intro23

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ducendo il metodo di Maria Montessori e facendo registrare circa 2.000 bambini iscritti e 50 maestre, affiancati da personale di servizio e medici scolastici. Dotati di refezione calda, giardinetti e ampi spazi per il gioco, erano aperti ai bimbi di ogni estrazione sociale. Gli asili non dovevano essere «case di custodia» come esplicitamente richiesto dal Ministro della pubblica istruzione, ma luoghi in cui insegnare ai bambini ad «amare le cose belle e disimparare a trastullarsi tra il fango e le immondizie», in linea con una concezione pedagogica moderna. Altro fiore all’occhiello furono: la colonia elioterapica permanente di Casaglia per bambini fragili, iniziata nel 1918 e inaugurata nel 1919, dove alla fine della guerra vennero persino ospitati per quattro mesi circa 600 bambini austriaci per sottrarli al duro inverno, alla fame e al freddo di Vienna; la refezione scolastica e il doposcuola per le donne con il marito al fronte impegnate al lavoro, ma anche l’ante scuola per le lavoratrici che facevano i turni e il post scuola per gli altri, vere e proprie anticipazioni del tempo pieno; la scuola per i tracomatosi (con disturbi visivi), i corsi popolari, le scuole professionali e l’apertura di cinque biblioteche rionali. Le politiche scolastiche nei comuni della provincia amministrati da sindaci socialisti ricalcarono e a volte precorsero quanto attuato a Bologna dalla giunta Zanardi. è il caso di Carlo Termanini, eletto sindaco a Bazzano nel 1906 e riconfermato nella carica fino al 1921, che si adoperò tantissimo, anche indebitando le casse comunali con conseguenti disavanzi di bilancio, per la costruzione dell’edificio scolastico inaugurato il 1° ottobre 1911 «a degna sede per l’educazione dei fanciulli», che tuttora rappresenta uno dei tanti esempi dell’attivismo socialista nel campo dell’istruzione. Resistenza e nuove resistenze

IRMELA LA BATTAGLIERA! di Stefania Saccinto

The Hate Destroyer, di Vincenzo Caruso, Anno 2017, Durata 52’, Produzione Germania-Italia

Irmela Mensah-Schramm è una donna berlinese di 70 anni, sopravvissuta a un carcinoma e a una tristissima storia familiare. Un giorno, andando al lavoro, nota un adesivo neonazista ma, seppure turbata, continua il suo percorso. Durante il suo turno non fa che pensare al motivo per cui non abbia reagito a quell’odioso simbolo e, alla fine della giornata lavorativa, tornando a casa, l’adesivo è ancora là. E tutto il mondo, quasi sfocato, ruota attorno al simbolo, unico punto fermo nel suo sguardo. Finalmente, e con foga inaspettata, comincia a strapparlo. Da quel momento non ha più smesso. Irmela gira per le strade della città-stato Berlino, dove ben il 30% della popolazione ha simpatie conservatrici e di destra e dove, se non si aguzza lo sguardo da sentinella, le svastiche o altri simboli schifosi finiscono per diventare paesaggio urbano, finiscono per essere un graffito come un altro, fino a perdere la loro valenza violenta. Con i suoi “attrezzi”, come li ama definire - spray, pennelli, raschiatori per ceramica, macchina fotografica - tutti nella borsina bianca al cui centro è scritto gegen nazi (contro i nazisti) documenta e distrugge svastiche e slogan, sin dal 1985. Pare ne abbia cancellati più di 80.000 nel suo cammino di cittadinanza attiva. Perché è questo Irmela, una cittadina normale con senso civico che ha acutizzato uno sguardo indagatore e profondamente riparatore, che desidera restituire alla città la dignità ferita dall’estrema destra e dall’indifferenza generale.

Una donna semplice che abbiamo imparato a conoscere grazie a un documentario in gara nella sezione Biografilm Italia 2017. Ed è la sua normalità che colpisce, la sua determinazione, la sua inesauribile forza e la sua simpatia. Una 24


coerenza che non si può dissuadere, come ripete nell’intervista dal vivo dopo la proiezione. Un docu-film che ci mostra anche i pericoli a cui si sottopone con un gesto così semplice. Il regista, infatti, riesce a sbirciare, nascosto tra le fronde di alberi, una losca figura rasata e vestita di nero che la segue e tiene d’occhio tutta la sua attività di eraser (gomma per cancellare). Qui corre un brivido lungo la schiena dello spettatore. Quanti pericoli che affronta questa donna dall’aspetto mite e tenero, solo per compiere dei gesti pacifici, riequilibratori, che diventano a loro volta gesti simbolici portatori di energia pulita.

per riscattarsi agli occhi del babbo farmacista, ex pugile ma soprattutto podestà del paese, di prenderti prigioniero e di nasconderti come un tesoro da custodire gelosamente.

Questa è l’impresa in cui si lancia Bernardo, il dodicenne di cui sopra, che in men che non si dica deve: curare il suo prigioniero, nasconderlo dalle rabbiose ricerche dei nazisti e dei fanatici squadristi del luogo, difendersi dai coetanei bulli che lo perseguitano e, come se non bastasse, anche dalle insidie di un laido pedofilo. Il tutto di nascosto da mamma e papà. Da questo rocambolesco groviglio Bernardo riuscirà a uscire Come nella più classica delle reazioni possibili proprio grazie all’aiuto del pilota, del matto del di quella matrice politica, i neonazisti, che a paese e di Zecca, il suo simpaticissimo cane fifone, Berlino hanno un’organizzazione per tutti gli uno dei personaggi meglio riusciti del romanzo. aspetti della vita (asili nido, campi estivi, ricerca di In 186 pagine, Silei ha coscientemente voluto lavoro e di casa), orchestrano una reazione di tutto condensare, facendoci entrare tutto, dal pilota conto. Già più di 100.000 adesivi con la faccia nero alle fiale di penicillina (allora appena di Irmela inneggianti alla sua morte sono stati inventate negli USA), un pezzo di storia già distribuiti in tutta la città e recapitate, a casa sua, densissimo di per sé. Nonostante questo riesce lettere minatorie piene di insulti e diffamazioni, a trascinare il lettore verso un travolgente finale nella speranza di spaventare la nonna antinazi, in cui il groviglio si districa, buoni e cattivi fino a farla smettere. E Irmela, per sua stessa hanno quello che meritano e Bernardo si ritrova ammissione, è spaventata. Ma non cede. profondamente trasformato, con una visione di Anzi, trova ancora più energia nella ferma sé e del mondo capovolta rispetto a quella che convinzione di essere dalla parte giusta. E la l’educazione fascista gli aveva imposto. parte giusta, sappiamo davvero qual è? Perché, ci racconta ancora il film, è stata denunciata per imbrattamento (lei!) da qualche zelante abitante di quartiere ripulito. è ancora pendente il suo giudizio in Tribunale, per aver rifiutato di pagare una multa. Questo, assieme al fatto di aver restituito una medaglia al valore, offerta nello stesso modo a un politico ex waffen-ss, Heinz Eckhoff, riciclato nelle fila del partito nazionalista e di estrema destra NPD, approdato infine alla CDU, ha trasformato una persona normale in una potenza e trasformato la società in cui vive in una surreale distopia.

Bernardo e l’angelo nero

Fabrizio Silei, Milano, Salani, 2010 di Paola Zagatti Sei uno dei pochissimi afroamericani cui è stato permesso di diventare piloti durante la seconda guerra mondiale, ti abbattono sulla Toscana nell’estate del 1944, ti paracaduti, atterri ferendoti malamente e in che mani finisci? In quelle di un balilla dodicenne, occhialuto e schiappa in tutto ciò che è virilmente ginnico, il quale pensa bene, 25

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Per l’attuazione della Costituzione di Carlo Smuraglia

Abbiamo realizzato, a Bologna, il 22 giugno scorso, il primo dei sei Seminari che abbiamo programmato, per esaminare lo stato di inapplicazione e inattuazione della Costituzione (altro che “la più bella del mondo”: la più disapplicata!).

Il Seminario, impostato sul tema del mancato rispetto e della non applicazione di molti principi e valori della Costituzione (accanto al sottoscritto sono intervenuti in qualità di discussants Gianfranco Pasquino, Andrea Lassandari e Olivia Bonardi), si è svolto nella Sala del Consiglio, della Città Metropolitana, ed ha riscosso vivissimo successo. La foltissima presenza di pubblico, pur in una giornata molto calda e in un orario sconsigliabile ai più, ha dimostrato subito la bontà dell’organizzazione da parte dell’ANPI di Bologna e l’interesse per il tema. Si è trattato di almeno tre ore di discussione seria e altamente approfondita, con contributi molto rilevanti dei discussants e con vivaci e pertinenti interventi anche da parte del pubblico. Unanime la constatazione dello stato della nostra Carta Costituzionale, tuttora in buona salute, nonostante gli attacchi, aperti e/o striscianti, i progetti di riforma (fortunatamente andati a vuoto), la “distrazione” delle istituzioni nella stessa applicazione coerente dei principi fondamentali, l’indifferenza di molti (troppi) rispetto alla necessità di rendere vivi, attuali a e concreti i fondamentali valori espressi dalla Costituzione. Si è, in particolare, insistito sui valori del lavoro, della democrazia, dell’antifascismo, dell’uguaglianza e degli stessi “doveri” spesso dimenticati al pari di fondamentali diritti, resi inefficaci per la mancanza dei necessari interventi legislativi. Comune a tutti l’osservazione che la Costituzione merita di essere “più conosciuta”, valorizzata ed amata; e la convinzione che ci sia molto da lavorare, nella politica e nella società, per restituire ai principali valori la loro profonda e sostanziale imperiosità, per vincere sui disvalori che la società del profitto e delle disuguaglianze e la cattiva politica cercano continuamente di far prevalere, spesso anche con successo. L’ANPI nazionale, d’intesa con l’ANPI di Bologna (a cui va un forte ringraziamento per il bel lavoro compiuto) provvederà subito alla “sbobinatura” del materiale raccolto e registrato, e lo metterà a diposizione del gruppo di lavoro appositamente costituito, con il compito di estrarre l’essenza dei ragionamenti, delle convinzioni e soprattutto delle concrete proposte emerse dal Seminario. Come già annunciato, gli altri cinque incontri si svolgeranno con analoghe modalità, a Torino, Milano, Pisa, Macerata, Roma e si concluderanno entro l’anno, con l’obiettivo di raccogliere tutto il materiale propositivo emerso dai Seminari e di produrre una pubblicazione che attribuisca concretezza e specificazione alla nostra impegnativa richiesta (pretesa) che si dia finalmente piena attuazione ed applicazione a una delle Costituzioni che è, e resta, tra le più avanzate del mondo. È vero che si sentono già nuovi “bagliori di guerra”, nel senso che c’è chi ha già detto e scritto che uno dei compiti della nuova legislatura sarà quello di mettere mano (ancora!) a riforme costituzionali. Ribadisco, ove ce ne fosse bisogno, che la Costituzione può certamente subire “revisioni”, come dice l’art. 138, ma non stravolgimenti. Confido che l’esperienza del 4 dicembre insegni qualcosa anche a chi non vuol capire: sui temi costituzionali c’è molta attesa da parte del “popolo”, che infatti è corso a votare proprio il 4 dicembre scorso; ed è meglio che nessuno dimentichi che - proprio secondo l’art. 1 della Costituzione – il popolo è “sovrano”. Resistenza e nuove resistenze

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PATTO DI GEMELLAGGIO TRA ANPI “ALTA VALLE DEL RENO” E I CUGINI VENETI

Dall’Anpi la catena del ricordo passa dalle mani dei combattenti alle due Sezioni gemellate di Antonio Baruffi Avevo sei anni, nel mio paese di Lizzano in Belvedere, quando vidi un gruppo ben nutrito di persone che entravano nel ristorante in cui mia nonna e le mie zie lavoravano, l’antico Ristorante Mattioli. Un gruppo animato si intratteneva non solo per pranzare, ma anche per parlare, con un accento che non capivo. Ogni anno continuai a rivederli e capii che era una ricorrenza, un festeggiamento. Col passare degli anni il gruppo si faceva più ristretto, fino a scomparire. Seppi, divenuto più grande, che erano tutti componenti di formazioni partigiane di Vicenza che ogni anno si ritrovavano a Lizzano in Belvedere per ricordare il loro amico e comandante Antonio Giuriolo. Lo scorso anno abbiamo contattato la locale sezione ANPI, organizzando un incontro per l’11 dicembre 2016 con una loro delegazione. Quella mattina i rappresentanti delle due sezioni si sono ritrovati alla Corona sul monte Belvedere ed è stato solo l’inizio di un importante risultato. All’incontro davanti al cippo è seguito un momento conviviale che ha fatto maturare l’idea di creare un contatto più stabile, un desiderio di collaborazione sfociato nella proposta di realizzare un gemellaggio per mantenere la memoria delle gesta di coloro che hanno combattuto e dei valori ad essi collegati.

Approfondire la conoscenza di Antonio Giuriolo, ha fatto emergere la sua ampia formazione culturale: credeva nella purezza della politica, nel rifiuto di qualsiasi compromesso, nella necessaria radicalità per conquistare la vittoria contro il nazifascismo, ma ancor più nel realizzare un’Italia nuova. Nella storia dell’antifascismo italiano, quindi, un atipico oppositore. Un giovane intellettuale con spirito libero, fuori dalla cultura allora dominante, un vero antifascista. Uomo di grande dirittura morale, un professore senza cattedra, che sapeva farsi ascoltare. Queste le tante motivazioni che ci hanno condotto sabato 10 giugno, nella Sala comunale di Vicenza dove si è svolta la cerimonia di gemellaggio tra la Sezione ANPI “Alta Valle del Reno” e la Sezione ANPI “Area di Vicenza”. L’accoglienza dell’Amministrazione comunale di Vicenza è stata ottima e l’impegno profuso da parte dell’ANPI Vicenza ne ha permesso la buona riuscita. L’incontro si è svolto alla presenza del sindaco, Achille Variati, che ha espresso parole di elogio per l’importante evento; del presidente del Consiglio comunale Federico Formisano; del Consigliere delegato al gemellaggio, Giancarlo Pesce; dei presidenti ANPI di Vicenza, Luigi Poletto e Danilo Andriolo; del partigiano Eugenio Magri. La nostra delegazione era formata dal sottoscritto, in qualità di presidente ANPI della Sezione “Alta Valle del Reno” e dagli iscritti Valerio Frabetti; Franco Valdiserri; Luciano Cioni; Giuseppe Raimondi; Giuseppina Colella; Christian Molini e Erika Ricci, com la presenza dell’assessore Claudio Seghetti del Comune di Lizzano in Belvedere, uno dei cinque Comuni in cui opera l’Anpi in Appennino. Anello di congiunzione fondamentale, come viene scritto sull’Atto costitutivo, è la figura di Antonio Giuriolo, conosciuto come “Capitan Toni”. Nato ad Arzignano vicino a Vicenza il 12/02/1912, colpito a morte in combattimento sul Monte Belvedere il 12/12/1944. Diversi sono gli obiettivi del gemellaggio esposti nell’atto firmato, tra questi rafforzare il legame che unisce la Resistenza della terra veneta con quella che fu organizzata e combattuta nei Comuni intorno alla Linea Gotica, che oltre diffondere e far conoscere la luminosa figura di Antonio Giuriolo. Il territorio della montagna bolognese fu allora determinante teatro di guerra sul fronte della Linea Gotica. Qui operarono molte formazioni partigiane in stretta collaborazione con gli eserciti 27

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alleati del Brasile e degli Stati Uniti d’America. E la sua storia ha passato il suo testimone. L’incontro delle due Associazioni ANPI è continuato proprio sui sentieri che i partigiani veneti percorrevano sopra l’altopiano di Asiago, con un centinaio di persone che ha aderito all’evento organizzato dall’Istituto di Storia della Resistenza di Vicenza, partendo dalla malga Fossetta, e da lì sui crinali, per percorrere il sentiero dei “Piccoli maestri” e deporre fiori dove i partigiani erano caduti. Il professore Renato Camurri ha concluso esponendo il pensiero di Antonio Giuriolo. Far conoscere la sua storia e preservare la memoria della guerra di Liberazione sono gli impegni che ci siamo assunti. Daremo ora il via alla definizione di un programma di iniziative. Con le firme in calce all’Atto Costitutivo ora il gemellaggio è realtà.

Il confine italo-sloveno. Analisi, riflessioni e una proposta

di Valerio Frabetti Con questo intervento vogliamo affrontare a partire dalla proposta del compianto Giancarlo Grazia, una problematica piuttosto delicata, a cui l’ANPI nazionale ha dedicato nel 2016 un convegno ed una pubblicazione. A seguito dell’iniziativa che ha visto la partecipazione dei più importanti studiosi della materia, l’ANPI nazionale ha riassunto in un documento, successivamente discusso e approvato dal comitato nazionale ANPI del 9 dicembre 2016, i risultati del seminario. “Non vogliamo assumere un ruolo che spetta agli storici – precisa Carlo Smuraglia - ma fornire una piattaforma aggiornata, che consenta gli approfondimenti indicati da diversi relatori, non più sulla base di pregiudizi, ma con la pacatezza di chi sa che sta parlando di vicende estremamente dolorose, che hanno colpito persone e famiglie in modo talvolta indelebile. Un documento che si propone come strumento di avvicinamento tra posizioni anche diverse e come mezzo di prevenzione delle polemiche frequentemente insorgenti, ma raramente produttive di effetti positivi”. Il documento nazionale consente di affrontare il tema di una memoria critica comune, offrendo una piattaforma aggiornata sulle vicende del confine italo-sloveno. Non solo. Ci si è posti anche il problema della legge sul Giorno del ricordo, della portata della riflessione storica, politica ed etica che dovrebbe essere legata a questa celebrazione, nonché dell’utilizzo della stessa, da parte di alcuni in termini di contrapposizione politica. “Secondo questa impostazione, la stessa ricorrenza del Giorno del ricordo potrebbe assumere un significato più consono al carattere assegnatogli dalla legge istitutiva, di celebrazione civile volta alla conservazione e al rinnovamento della memoria delle vicende della guerra e del dopoguerra nell’area giuliano-dalmata. Affinché questo fine sia effettivamente perseguito, infatti, occorre sgombrare il campo della discussione pubblica dai pregiudizi di parte e dagli esclusivismi nazionali, che fino a un recente passato hanno fomentato strumentalmente le divisioni all’interno dei singoli Paesi e tra le diverse nazionalità. In una prospettiva europea, il Giorno del ricordo deve costituire un’occasione non per cristallizzare, ma per superare una eredità storica di conflitto, il che implica in primo luogo la liquidazione di approcci anacronistici che, per troppo tempo, hanno impedito di gettare le fondamenta di un’effettiva e duratura ricomposizione dei contrasti ereditati dal XX secolo”. In questa direzione e in questo quadro si colloca la proposta formulata dal compianto Giancarlo Grazia che suggeriva già qualche anno fa, a partire dall’incontro di Trieste del 13/07/2010 dei capi di stato di Italia,Slovenia,Croazia e dalle relativa dichiarazione comune, l’ipotesi di chiamare il 10 febbraio Giorno del ricordo e della riconciliazione. L’ANPI di Bologna ha così deciso di fare proprie sia la proposta di modifica della denominazione del giorno del ricordo che quella della promozione di un incontro di pace con le rappresentanze istituzionali di Italia, Slovenia e Croazia presso il memoriale del campo di Kampor, da tempo proposto da Giancarlo Grazia. In tal senso opererà ai vari livelli dell’Associazione e a livello istituzionale. Resistenza e nuove resistenze

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Intitolazione del Centro Civico Corticella a: Lino “William” Michelini Lo scorso 22 aprile il centro civico di Corticella è stato intitolato a Lino “William” Michelini (1922 -2014), Comandante Partigiano, Medaglia d’Argento al Valor Militare, Presidente Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Bologna e dirigente nazionale.

Siglato protocollo tra ANCI, AUSER e ANPI La regione Emilia-Romagna è uno dei territori più fortemente segnati dalla decisiva esperienza storica della Resistenza al nazifascismo. Nella sua cultura, nella sua coscienza democratica, nei suoi tratti solidaristici si ritrovano i segni e i valori di riferimento che furono alla base dello straordinario impegno civile che animò tanti giovani partigiani e partigiane assieme a tanta parte delle popolazioni civili che sostennero la lotta di Liberazione. Di tutto ciò il nostro territorio è ricco di testimonianze storiche con migliaia di cippi e monumenti disseminati in gran parte dei comuni della regione. Si tratta di un patrimonio che richiede attenzione per il suo valore testimoniale sia in termini storici sia in termini di collegamento con i valori indicati dalla Costituzione nella sua autentica caratterizzazione antifascista. Ogni targa, ogni cippo, ogni lapide, ogni giardino, ogni monumento che porta il nome di un partigiano caduto, che ricorda una strage, un eccidio ( e nella nostra regione si contano a migliaia), ognuna di queste pietre miliari rappresenta una tappa di una sorta di via crucis laica. Guai se venissero trascurate e abbandonate. Sarebbe il segno di un degrado e di una inevitabile anticamera dell’oblio. E oblio significa dimenticare. È in questo contesto che si inserisce l’importante protocollo siglato tra ANCI, ANPI e AUSER teso al censimento dei cippi e dei monumenti al fine di migliorarne la visibilità e la cura. 29

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Monumento alle 128 Partigiane cadute nella guerra di Liberazione in provincia di Bologna di Mariarosa Pancaldi

Anche quest’anno ci siamo ritrovati in tanti lo scorso 13 maggio a Villa Spada presso il monumento alle 128 partigiane, per ricordare tutte le donne cadute nella guerra di Liberazione. Fin dalla prima edizione scegliemmo di far coincidere tale manifestazione con la ricorrenza della fine della guerra in Europa. Questo per molti motivi, non ultimo quello di onorare il contributo fondamentale delle donne alla costruzione di una nuova patria, democratica e antifascista. La manifestazione negli ultimi anni è andata sempre più caratterizzandosi come momento culminante di un lungo lavoro svolto durante l’anno assieme ad una rete di relazioni informale ma solida, costituita dalla sezione ANPI Magnani di Saragozza, dall’associazione Artecittà e dalla sezione Ortisociali del Centro sociale 2 Agosto 1980. Fondamentale anche il contributo di Letizia Gelli Mazzucato, progettista del monumento che ci ricorda sempre come questo debba vivere nel tempo grazie ad iniziative rivolte in particolare ai giovani e giovanissimi. È così che durante l’anno scolastico l’ANPI organizza nelle scuole percorsi di memoria tramite testimonianze e diverse espressioni artistiche. Il monumento diventa così un palcoscenico per l’espressione della creatività dei ragazzi ma anche luogo vivo e curato dove i ragazzi restituiscono ogni anno il lavoro svolto nell’ambito dei vari progetti. La manifestazione di quest’anno, che ha visto protagonisti i ragazzi delle scuole Guinizelli, rientra nel progetto Spazi per crescere patrocinato oltre che dall’ANPI anche dal Quartiere Porto-Saragozza, dall’Istituto Parri e premiato dall’Assemblea regionale Emilia-Romagna. Particolare attenzione è stata dedicata al ricordo delle 19 cadute di Lizzano in Belvedere nella strage di Ca’ Berna grazie anche alla presenza di Antonio Bernardini, superstite dell’eccidio e della sindaca di Lizzano Elena Torri. I ragazzi poi sono stati veramente bravi sia nell’esporre i manufatti artistici creati con Artecittà (particolarissimi posacenere o vasi portafiori) che contribuiranno a mantenere pulito e ordinato l’incantevole spazio di Villa Spada, sia con i canti, le lettere ai partigiani e la libera espressione artistica di pittura frutto delle loro riflessioni su guerra, libertà e pace. Siamo certi che il nostro lavoro continuerà per i prossimi anni nello spirito di chi volle il monumento,

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in particolare la partigiana Emma Casari e del nostro presidente Giancarlo Grazia che volle fare dell’attività nelle scuole il nostro primo obiettivo. Ulteriore motivo di orgoglio e di soddisfazione è stata la visita a Villa Spada e al suo monumento della Presidente della Camera dei Deputati onorevole Laura Boldrini lo scorso 25 aprile.

Oltre i testimoni di ANPI Sasso Marconi

È una grande responsabilità per ANPI incontrare gli studenti nel momento in cui vengono a mancare i partigiani. La presenza del testimone crea, infatti, una dimensione unica e irripetibile e quelle emozioni non sono più riproducibili. Comunque anche quest’anno abbiamo incontrato in diverse occasioni gli studenti delle scuole di Sasso Marconi. In gennaio per ricordare il Giusto fra le Nazioni Alfonso Canova, poi per ricordare lo sterminio del popolo armeno e il 25 Aprile. La parola che abbiamo scelto di declinare quest’anno è stata “esodo”, sforzandoci di trovare i collegamenti con il presente. Non sempre le nostre aspettative si concretizzano. Oltre 600 ragazzi hanno avuto l’occasione di vedere il bel film La barca è piena di Markus Imhoof, una coproduzione svizzero-tedesca che racconta in modo semplice e diretto come, durante la seconda guerra mondiale, nella neutrale Svizzera per un esule fosse molto difficile essere accettato. Abbiamo avuto riscontri differenti: nelle classi dove era stato svolto un lavoro di presentazione i commenti raccolti sono stati intensi e rispondenti ai contenuti del film, ma dove questo non è avvenuto il film non ha dato particolari stimoli. L’Aula della Memoria di Colle Ameno resta sempre al centro del nostro lavoro in quanto portatrice di un forte legame con gli avvenimenti del 1944 accaduti nel campo di concentramento di prigionieri da destinare al lavoro forzato. Non solo. C’è la possibilità di partecipare a diversi laboratori e percorsi didattici su diversi temi. Info: 3336023692. Con l’esperienza maturata nel tempo possiamo dire che sommando il contributo degli Istituti Storici, al materiale raccolto dall’ANPI oltre alle fonti documentarie si possa mantenere fede, nel modo più corretto, al nostro ruolo di memoria attiva della Resistenza con gli occhi rivolti al futuro.

I ragazzi dell’Istituto comprensivo di Granarolo in visita didattica la monumento di Sabbiuno con i volontari della locale sezione ANPI 31

Resistenza e nuove resistenze


vite resistenti La

perdita di una figura coerente e

appassionata come

Rodotà

provoca

un dolore fortissimo di Carlo Smuraglia Stefano Rodotà ci ha lasciato. Per molti di noi, che hanno compiuto lunghi percorsi con lui, che con lui si sono confrontati, che da lui hanno imparato come si difendono i diritti, che insomma non solo l’hanno apprezzato e considerato come un “maestro”, ma hanno avuto la fortuna di poterlo considerare anche come un amico, la notizia ha provocato un profondo, fortissimo dolore. E non occorre aggiungere parole, perché non servono, rispetto a tutto ciò che ci ha lasciato, compreso l’immenso vuoto, il terribile silenzio che segue alla perdita di un uomo che è stato tra i più rigorosi e intransigenti di quest’epoca derelitta, che ha ridato vita e vigore alla stagione dei diritti e della loro effettività, che ovunque ha operato, ha lasciato il segno, recando il contributo di una personalità forte ed autorevole, ma anche di un’altrettanta forte linearità e coerenza, nel sostenere le ragioni del diritto a fronte di quelle (sopravvalutate) dell’economia. So bene che non tutte le scelte di Rodotà hanno riscosso uguale ed unanime consenso; ma questo non toglie che nessuno, dico nessuno, ha mai potuto trovare una ragione seria per dubitare della sua coerenza, della forza del suo ragionamento, della profonda democraticità ed eticità su cui ha improntato l’intera sua vita. Tutto questo ravviva il nostro dolore, esimendoci dal ricordarne ancora le doti, quando il confronto – di per sé – sarebbe più ingiusto a fronte della meschinità di tanta parte della società politica. È proprio questa impossibilità di procedere a confronti, che rende ancora più dura e grave la perdita che il Paese ha subito. E questo va molto al di là del nostro personale dolore, perché – diceva secoli fa un anonimo – “i dolori passano, ma le virtù sopravvivono”. Rodotà è stato un vero ed autentico protagonista della storia di questo dopoguerra; ed è per questo che non potrà essere dimenticato non fosse altro che per il suo amore per la democrazia, per la laicità, per i diritti, contro le disuguaglianze e le miserie di una fase storica spesso infausta e infelice. Un protagonista di quella che lui stesso definiva “la politica delle libertà”.

Resistenza e nuove resistenze

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