2010 - 01 gennaio-febbraio

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PERIODICO del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia

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editoriale L’ANPI a fianco dell’alleanza per la Locride Antonio Zambonelli

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RESISTENZA AI RESPINGIMENTI

politica Beni mafia in vendita Anna Fava

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estero Obama: premio Nob Nobel o “igNobel”? “igNobel” Saverio Morselli Mor

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economia L’area nord di Reggio Emilia Azio Sezzi

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gennaio-febbraio

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28 febbraio-1° marzo 2010 Contro la ‘ndrangheta e le mafie. La festa a Reggio Emilia

Elisabetta Angelucci


la Copertina

REsistenza ai REspingimenti Respingiamo le sbandate populiste e autoritarie. Salvaguardiamo i principi della Costituzione.

Associandoci all’ANPI Già da dicembre 2009 sono aperte le iscrizioni per l’anno 2010 all’ANPI, l’Associazione degli ex partigiani ma anche di quanti, nati dopo il 25 aprile 1945, si riconoscono negli ideali della Resistenza e nei principi fondamentali della Costituzione repubblicana. Nella nostra provincia già tanti giovani sono iscritti all’ANPI e alcuni di loro fanno anche parte, sia a livello provinciale che comunale, dei gruppi dirigenti. La nostra associazione non è un partito e non sposa nessun partito in particolare, ma cerca di svolgere un’azione

Spedizione in abbonamento postale - Gruppo III - 70% Periodico del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia Via Farini, 1 - Reggio Emilia - Tel. 0522 432991 e-mail: notiziario@anpireggioemilia.it; presidente@anpireggioemilia.it sito web: www.anpireggioemilia.it Proprietario: Giacomo Notari Direttore: Antonio Zambonelli Caporedattore: Glauco Bertani

pre-politica di salvaguardia e difesa dei principi della Costituzione, azione tanto più importante nell’attuale fase della vita nazionale, caratterizzata da rischi di sbandate populiste e autoritarie. Cogliamo anche l’occasione per segnalare che per la prossima denuncia dei redditi è possibile destinare il 5 per mille all’ANPI nazionale firmando nell’apposito riquadro dei modelli CUD 730-1 e UNICO e scrivendo il numero di C.F. dell’ANPI nazionale: 00776550584

Comitato di redazione: Eletta Bertani, Ireo Lusuardi Collaboratori: Paolo Attolini (fotografo), Massimo Becchi, Riccardo Bertani, Bruno Bertolaso, Sandra Campanini, Nicoletta Gemmi, Enzo Iori, Enrico Lelli, Saverio Morselli, Fabrizio Tavernelli Registrazione Tribunale di Reggio Emilia n. 276 del 2 Marzo 1970 Stampa: Centroffset - Fabbrico (RE) Questo numero è stato chiuso in tipografia il 12-01- 2010 Per sostenere il “Notiziario”: UNICREDIT, piazza del Monte (già Cesare Battisti) - Reggio Emilia IBAN: IT75F0200812834000100280840


sommario

editoriale

di Antonio Zambonelli

Sommario Editoriale - Anche la Costituzione si è fermata a Eboli? L’ANPI a fianco dell’alleanza per la Locride, di Antonio Zambonelli ....................... 3 Politica - Beni mafia in vendita, di Anna Fava .............................................. 4 - 28 febbraio-1° marzo 2010. Contro la ‘ndrangheta e le mafie. La festa a Reggio Emilia per la legalità, di Elisabetta Angelucci .... 6 - Sinistra e Libertà. Lo sforzo di Sisifo, di Glauco Bertani ................. 8 - Il processo breve. Ovvero il letto di Procuste, di Giancarlo Ruggieri ................................................................... 9 - Le voci delle sezioni ANPI di Campagnola, Novellara, Rio Saliceto e Fabbrico, di Fiorella Ferrarini ............................... 10 Estero - Mozambico, terra di conquista?, di Bruno Bertolaso ................... 12 - Obama: premio Nobel o “igNobel”?, di Saverio Morselli .............. 14 Economia - L’area nord di Reggio Emilia tra alto profilo e volo basso, di Azio Sezzi .............................................................................. 16 Avvenimenti - Ricordando Nilde Iotti, iniziative e progetti, di Eletta Bertani ....... 19 - Pranzo dell’ANPI a Castelnuovo Monti......................................... 20 Cultura - “Figlio della seconda guerra mondiale”, di Ettore Borghi ............ 21 - Sulle tracce di Fenoglio e Pavese, di Antonio Mammi ................. 22 - L’ANPI di Correggio promuove la lotta al nazifascismo e la studio della Costituzione nelle scuole, di Fabrizio Tavernelli .................................................................. 24 - Memoria della Shoah: la notte di Wiesel, di a.z. .......................... 25 Memorie - Un partigiano di 15 anni, di Paolo Attolini .................................... 28 - L’ultima volta che vidi mio padre, di Paulette Davoli .................... 29 - Commemorazione dei 7 fratelli Cervi e di Quarto Camurri ........... 30 - L’Italia dei fratelli Cervi, di Alessandro Fontanesi ......................... 31 - Albinea. Inaugurato monumento alla Costituzione ....................... 31 - Gli studenti di Montecchio a Sant’Anna di Stazzema ................... 32 - Rinnovato in città il ricordo di Giuseppe Garibaldi ....................... 32 Lutti ............................................................................................. 33 Anniversari.................................................................................. 34 Offerte ........................................................................................ 36 Turismo ....................................................................................... 37 Le rubriche - Primavera silenziosa, di Massimo Becchi.................................... 26 - Conoscere gli altri, di Riccardo Bertani ....................................... 27 - Speciale Reggio che promette, di Glauco Bertani ........................ 38 - La finestra sul cortile, di Nicoletta Gemmi ................................... 39

ANCHE LA COSTITUZIONE SI E’ FERMATA A EBOLI?

L’ANPI A FIANCO DELL’ALLEANZA PER LA LOCRIDE Ci siamo lasciati col numero di dicembre scorso con l’appello “Teniamo gli occhi bene aperti, NO alle trappole anticostituzionali”. Era la parafrasi dell’ammonimento accorato rivolto dal poeta Mario Luzi a Nilde Iotti in occasione del Convegno di Monteveglio del luglio 1993. Da dicembre 2009 a queste prime settimane del 2010 molte cose sono accadute, con velocità travolgente, e spesso l’ultimo accadimento ci ha quasi fatto dimenticare il precedente. Anche se era sembrato, o era effettivamente stato – come l’onda viola del NO B day – evento tale da suscitare dibattiti piuttosto accesi. Questo sul piano nazionale. Su quello locale siamo stati per giorni frastornati dal sì o no alla venuta del Presidente del Senato Schifani alla commemorazione, il 7 gennaio, del Primo Tricolore. Poi Schifani è venuto, ha parlato, e tutto sommato i reggiani hanno accolto con dignità e rispetto la seconda carica dello Stato. Come del resto doveva essere, a nostro parere. Quanto alle parole pronunciate dal sen. Renato Schifani, non tanto in relazione al Tricolore ma, appunto, alla Costituzione, a nessuno sarà sfuggito ciò che egli ha affermato interloquendo con la studentessa Paola Iotti in Sala del Tricolore, precisando che i principi fondamentali contenuti nella prima parte della Costituzione debbono restare intangibili, mentre la parte seconda (Ordinamento della Repubblica) deve potere essere modificata per adeguare le norme alle molte trasformazioni sopraggiunte dal 1948 ad oggi. Affermazione di principio da non sottovalutare (ben diversa dalla sparata di Brunetta sull’art. 1…) Affermazione analoga, del resto, a quella formulata continua a pag. 4 gennaio-febbraio 2010 notiziario anpi

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politica continua da pag. 3

ANCHE LA COSTITUZIONE SI E’ FERMATA A EBOLI? da Giuseppe Dossetti nell’indimenticabile Discorso di Cavriago (13.02.1988). Ma avendo presenti le intenzioni apertamente e sfrontatamente dichiarate dalla maggioranza di governo sarà da vedere se le proposte berlusconiane di modifica della seconda parte non siano tali da ledere anche alcuni dei principi fondamentali della prima. Sempre valido dunque l’appello a tenere gli occhi bene aperti e a guardarsi dalle trappole anticostituzionali. Del resto lo stesso Dossetti, con spirito davvero profetico, fin dal 1994 si fece promotore dei Comitati per la difesa dei principi costituzionali che vedeva minacciati dall’improvvisazione e dalla strategia politica di figure emergenti (cav.B e suoi dipendenti) prive di quel rigore etico che per lui è stato una scelta di vita. Consideriamo una eredità del pensiero di Giuseppe Dossetti anche l’iniziativa che si terrà a Reggio ai primi di marzo e di cui si parla nelle pagine che seguono. Si tratta della Terza Festa dell’Alleanza per la Locride CONTRO LA ‘NDRANGHETA PER LA DEMOCRAZIA E IL BENE COMUNE. L’ANPI reggiana è tra gli enti promotori. E’ una iniziativa, che si terrà a Reggio ma avrà una dimensione nazionale, quanto mai attuale dopo i drammatici eventi di Rosarno che ci interpellano con urgenza, che hanno aperto uno squarcio sulla realtà tragica dei nuovi schiavi, su zone di un Sud governate dalla criminalità, dove “il caporalato è l’unico rapporto di lavoro consentito, il bracciante sottopagato l’unico lavoratore ammesso. Per gli immigrati – conclude un suo scritto l’on. Jean Leonard Touadi – Cristo si è fermato molti chilometri più a nord”. E con Cristo i principi della Costituzione, potremmo aggiungere. La deprecabile violenza con cui i “dannati della terra” hanno reagito a Rosarno ad una insopportabile condizione di vita ci fa ricordare le jaqueries di tanti movimenti di emancipazione ai loro inizi. E insieme ci ricorda che c’è un compito urgente delle forze politiche e sociali progressiste per affrontare alla radice una situazione che rischia di ulteriormente degenerare con conseguenze irreparabili. Come antifascisti, come ANPI, avvertiamo la drammatica esigenza di una nuova Resistenza a fianco di quanti, nel Sud, si battono con coraggio contro le mafie. Compresa Libera di don Ciotti, una delle associazioni che da anni si sono attivate proprio per assistere e aiutare a integrarsi gli africani di Rosarno e che sarà presente a Reggio Emilia, ai primi di marzo, alla manifestazione nazionale contro le mafie, come fu presente, proprio nella persona di don Ciotti, alla prima Festa nazionale dell’ANPI svoltasi a casa Cervi. Antonio Zambonelli 4

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Il regalo di Maurizio Saia alle mafie

BENI MAFIA IN VENDITA Gli uomini d’onore occorre colpirli nel loro tallone d’Achille: sequestrare i loro beni, i loro patrimoni, mettere le mani nei loro portafogli, ecco cosa li indebolisce veramente. Allora sì che vengono umiliati, che perdono il loro lustro, la loro autorità. Confiscare i beni è un gesto esemplare, e nello stesso tempo irreversibile.

L’emendamento presentato senatore del PdL Maurizio Saia è un bel regalo alle mafie: renderebbe vana la legge 109/96 La Torre-Rognoni, la quale destina, per fini sociali i beni confiscati alle mafie...


politica

Ci ricorderemo di Maurizio Saia, senatore del PdL. Non solo per la proposta normativa, assolutamente indispensabile, presentata lo scorso 14 ottobre per adottare per legge “Fratelli d’Italia” come inno nazionale. Ci ricorderemo di lui anche per l’emendamento, presentato un mese dopo in finanziaria che permetterà di mettere all’asta i beni confiscati alle criminalità organizzate. Ci ricorderemo, quindi, di Maurizio Saia per questo bel regalo alle mafie. Un emendamento, quello presentato, che, se approvato, renderebbe vana la legge 109/96 La Torre-Rognoni, la quale destina, per fini sociali i beni confiscati alle mafie. Un oltraggio a Pio La Torre, parlamentare comunista, proprio dalla mafia ucciso il 30 aprile 1982.

Conosce bene il fenomeno mafioso, La Torre. Sa che per colpire le mafie non basta mettere in galera i padrini: togli pure loro la libertà, ma sempre (e forse di più) uomini d’onore rimangono. Occorre colpirli nel loro tallone d’Achille: sequestrare i loro beni, i loro patrimoni, mettere le mani nei i loro portafogli, ecco cosa li indebolisce veramente. Allora sì che vengono umiliati, che perdono il loro lustro, la loro autorità. Confiscare i beni è un gesto esemplare, e nello stesso tempo irreversibile. La legge 109/96 rappresentava l’inizio della fine dei clan camorristici. È stata una vittoria di Libera, che nel 1995 si era fatta promotrice della proposta di legge fortemente voluta a suo tempo da Pio La Torre. È stata una vittoria di quel milione di persone che hanno creduto, sostenuto e firmato perché questa legge venisse approvata. È stata una vittoria della coscienza civile dell’Italia onesta, che non vuole piegarsi ai poteri forti della criminalità. E’ stata una vittoria per tutte quelle associazioni che, sui terreni confiscati hanno creato lavoro onesto e pulito per centinaia di ragazzi, dando una risposta forte alla malavita sempre in cerca di manodopera facile e a buon mercato in una terra dove di lavoro ce n’è da sempre poco. E’ stata una vittoria della coscienza civile dell’Italia onesta. L’emendamento, se verrà approvato, permetterà che, se i beni confiscati alla mafia non vengono venduti entro 90 giorni (tempo assolutamente insufficiente anche solo per raccogliere le carte), possono

essere messi in vendita all’asta. Ma chi può avere disponibilità finanziaria da comprarli, se non le famiglie malavitose? Certo, non i vari Schiavone in prima persona si presenteranno all’asta giudiziaria, ma un qualsiasi altro prestanome. Non c’è garanzia che questo non avvenga: perché le famiglie mafiose sono le prime ad avere disponibilità finanziaria per l’acquisto dei beni, e non vedono l’ora di riappropriarsi del loro potere. Né gli enti locali ove sono ubicati i beni, né le forze dell’ordine ed il personale dell’esercito, nonostante il diritto di prelazione, possono permettersi di acquistare: i primi perché il patto di stabilità non glielo permette, i secondi semplicemente perché non hanno soldi. Inoltre, la legge 109/96 prevede già la vendita dei beni mobili (e, in alcuni casi, anche gli immobili). “La legge voluta da Pio La Torre dice chiaramente che i beni possono essere venduti per risarcire le vittime di mafia”, spiega Giovanna Maggiani Chelli, portavoce dell'associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili (la strage mafiosa di Firenze del maggio ’93 che fece cinque morti e 48 feriti). “La vendita dei beni confiscati alla mafia è una buona notizia. Ci sono organizzazioni che sulla gestione di questi patrimoni hanno fatto la loro fortuna. Adesso però è il momento di occuparsi di chi ha già maturato il diritto ad un risarcimento e non lo ha ancora ottenuto perché il Fondo unico della giustizia è vuoto”. La vendita dei beni così pensata serve

solo allo Stato per far cassa. Non per il Fondo unico, bensì per finanziare altre leggi come quella per il processo breve. Che, detto per inciso, indebolisce ulteriormente la lotta alle mafie (e serve solo al Premier). Come la indeboliscono lo Scudo Fiscale, che ha permesso il rientro in Italia di capitali sporchi, o il DDL sulle intercettazioni, che renderebbe più debole l’azione di contrasto alle mafie. Con l’approvazione dell’emendamento Saia, non solo perdono di credibilità le istituzioni, ma viene colpita una legge che ha tradotto in metodo un principio etico: la lotta alle mafie si fa anche con le politiche sociali ed i progetti educativi rivolti a risvegliare le coscienze, ed a combattere l’illegalità e l’indifferenza nelle quali ingrassa il potere mafioso. Don Ciotti, presidente di Libera, unitamente alle tante associazioni impegnate su questo fronte, ed a molti enti locali, chiede il ritiro di questa norma. Il loro no, ci tiene a precisare, “non è un no incondizionato”. Vuole essere propositivo. “Si rafforzi l’azione di chi indaga per individuare le ricchezze dei clan, s’introducano norme e organismi che facilitino il riutilizzo sociale dei beni, siano destinati ai familiari delle vittime e ai testimoni di giustizia i proventi dei beni mobili. Non vendiamo quei beni che rappresentano il segno del riscatto di un’Italia civile, onesta e coraggiosa. Perché quei beni sono davvero tutti ‘cosa nostra’”. Anna Fava

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politica

La 'ndrangheta e le mafie non sono un problema solo meridionale... festa 28 febbraio-1° marzo 2010 a Reggio Emilia In previsione della terza edizione della “Festa Nazionale dell’Alleanza per la Locride e la Calabria” contro la ‘ndrangheta e le massonerie deviate, per la democrazia e il bene comune, si è costituito il 3 dicembre 2009 il Comitato organizzativo Festa 1° marzo 2010 a Reggio Emilia. Quest’anno, infatti, l’evento si svolgerà, per la prima volta, in una città del nord Italia. La scelta di Reggio Emilia non è casuale, in quanto già da tempo vi sono cittadini che si sono messi in rete per avviare un processo virtuoso di mobilitazione per la legalità e rispondere all’appello dell’Alleanza promossa dal Consorzio sociale Goel, comunità libere e Calabria welfare, il cui scopo non è solo quello di denunciare e manifestare, ma di far conoscere quanto si sta realizzando a livello nazionale, rendendo visibili i primi passi del cambiamento possibile. Il 25 aprile 2008, in occasione del 63° anniversario della festa della Liberazione, il Comune di Reggio Emilia, depositario del Primo Tricolore, che viene assegnato a realtà che si sono distinte nell’impegno per l’affermazione di diritti costituzionali di democrazia e libertà, ha consegnato al presidente del Consorzio sociale della Locride-Goel – copia autentica della bandiera storica Nazionale. Questo riconoscimento viene consegnato al Consorzio Goel con la seguente motivazione: “Per l’impegno a contrastare in ogni modo l’azione delle mafie e dei poteri occulti, a difendere le vittime della ‘ndrangheta e delle massonerie deviate, a operare per favorire forme di mutualismo economico”, consegnando il Tricolore il Sindaco concluse: “sono loro, oggi, i partigiani della libertà e della legalità…”. Dalla consapevolezza che la diffusione della ‘ndrangheta e delle mafie non è un problema solo meridionale, dal 2008 a Reggio Emilia è nato il coordinamento CO.LO.

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per la legalità

RE. (Coordinamento Locride-Reggio Emilia), costituito da diversi enti, associazioni, parrocchie e singoli, il cui scopo è quello di creare informazione e fare sensibilizzazione sul territorio rispetto al sistema delle mafie e delle massonerie deviate, anche attraverso la costituzione di un Osservatorio civico antimafie. Con queste premesse, anche l’ANPI provinciale, insieme al coordinamento CO.LO. RE. e alla Scuola di Pace di Reggio Emilia, si sono fatti promotori del Comitato organizzativo della festa 1° Marzo 2010 con Antonio Zambonelli membro del consiglio direttivo. Presidente del comitato è Rita Bertozzi, ricercatrice all’Università di Modena e Reggio Emilia, vice presidenti Mauro Ponzi, presidente del consorzio “Oscar Romero” di Reggio Emilia, e Caterina Lusuardi, educatrice e attrice, segretario Mara Marmiroli, cooperatrice sociale, tesorieri don Eugenio Morlini, parroco di San Bartolomeo, e Fabiana Bruschi membro del coordinamento della scuola di pace, presidente onorario, Vincenzo Linarello, presidente del Consorzio Goel.

Quanti aderiranno al Comitato, singoli o enti, oltre che dare il proprio contributo alla realizzazione della Festa del 1° marzo, che prevede un ricco programma di eventi a Reggio Emilia, sosterranno quel sogno di liberazione che l’Alleanza per la Locride e la Calabria porta avanti. La prima festa del 1° marzo si è svolta a Locri nel 2008 con il tema “Dal sogno all’alleanza”; il secondo anniversario del 2009, a Crotone, con il tema “Dall’alleanza al progetto”. Quest’anno la festa del 1° marzo avrà come tema l’abitare con consapevolezza il territorio: la cittadinanza attiva per fermare la ’ndrangheta e i poteri occulti. L’invito è quello di diffondere un sogno di liberazione in un territorio già fertile e pronto come quello reggiano e in tutto il nord Italia dove le mafie e le massonerie deviate riciclano e investono. L’obiettivo è di rilevare con sempre maggior attenzione i segnali che giungono dal territorio, e che esprimono condizioni di possibile infiltrazione mafiosa, è fondamentale vigilare, comunicare, entrare in sinergia con l’impegno profuso da altre


politica Nelle foto: momenti di passate manifestazioni

forze sociali, fare rete con le realtà locali e le istituzioni pubbliche, coinvolgere diversi soggetti, soprattutto chi non ha voce. La Festa del 1° marzo a Reggio Emilia vuole essere una tappa significativa per la costruzione di alleanze che continueranno anche dopo il primo marzo del 2010. In questo disegno tracciato a più mani, l’ANPI di Reggio Emilia si inserisce per sviluppare ovunque, attraverso progetti concreti e operativi, l’aspetto educativo sulle tematiche della legalità, della solidarietà con l’obiettivo di essere sempre più coerenti nelle scelte di vita, perché siano sobrie, attente alla sostenibilità e alla tutela delle fasce deboli. L’Alleanza per la Locride sarà allora un’alleanza che promuove la libertà e la democrazia piena e partecipata non solo in Calabria ma su tutto il territorio nazionale, opponendosi alle infiltrazioni mafiose, al potere della ‘ndrangheta e delle massonerie deviate. Il comitato organizzativo è senza fini di lucro, apartitico e si ispira ai principi dettati dalla Costituzione italiana, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e al Manifesto dell’Alleanza per la Locride e la Calabria. Per ricevere ulteriori informazioni e il modulo di adesione è possibile scrivere all’indirizzo e-mail del Comitato organizzativo della festa 1° marzo 2010 a Reggio Emilia – comitato1marzo.re@gmail.com– L’adesione comporta anche la sottoscrizione dell’Alleanza, visitando il sito www.consorziosociale.coop, già firmata da 720 Enti e oltre 3.000 singoli. Elisabetta Angelucci

Iniziative 18 febbraio 2010, Cinema Rosebud di Reggio Emilia, proiezione del film-documentario Cessarè alla presenza della regista Rina Amato Diverse sono state e saranno le iniziative proposte in città e provincia dal Comitato organizzativo Festa 1° marzo a Reggio Emilia, come cene antimafia e spettacoli teatrali, per sensibilizzare la cittadinanza circa l’importanza di presidiare il nostro territorio e preservarlo da sfruttamenti illeciti ed informarli sulla stessa manifestazione che si terrà in città il 1° marzo 2010. Tra le varie iniziative segnaliamo quella che si terrà il 18 febbraio presso il cinema Rosebud di via Medaglie D’oro della Resistenza, a Reggio Emilia. A partire dalle ore 20.30 verrà proiettato un film-documentario dal titolo Cessarè, ambientato nella Locride degli anni ’70, e a cui farà seguito un breve dibattito. Non tutti sanno che anche in Calabria, in quegli anni, ci furono importanti rivolte da parte della cittadinanza, che intendevano opporsi ai poteri forti, alle catene oppressive dei poteri tradizionali che già da troppo tempo negavano loro un presente migliore e soprattutto un futuro. Non tutti sanno che il 27 dicembre del 1975 in un piccolo comune chiamato Gioiosa Jonica venne indetto uno sciopero generale contro la mafia in Calabria, che un sindaco già allora si oppose con passione civile alla ‘ndrangheta, che un prete venne sospeso a divinis solo per la sua opera di incitamento, nei confronti dei suoi fedeli, a prendere in mano il proprio destino per liberarsi da tutte le forme di oppressione. “Un ’68 dimenticato”, come lo definisce la regista Rina Amato, che con entusiasmo ha accettato di partecipare all’iniziativa del 18 febbraio, “una stagione di lotte democratiche e civili dei cittadini calabresi, cui fecero seguito la rassegnazione ed il silenzio dei decenni successivi”. Da quel profondo silenzio, che ha generato senso di vuoto, perdita di punti di riferimento identitari certi per intere generazioni, è nata la necessità di fare la mappa visiva di quell’itinerario civile, di esaminarne le tracce con la speranza di trovare un nuovo inizio; di ripercorrere e sostare, assieme ai protagonisti, nei luoghi della memoria collettiva dimenticata, per assorbirne i suoni e i profumi, la bellezza e il suo contrario; di riallacciare i fili di un dialogo generazionale, porre domande, ascoltare le voci dei “padri” per vivere il presente. Il nome Cessarè è proprio di un luogo geografico: una collina nel territorio del comune di Gioiosa Jonica (RC), coperta da vigneti e castagneti, che negli anni ’70 subisce l’occupazione della ‘ndrangheta locale. Ma è anche il luogo dove inizia la silenziosa marcia di denuncia della popolazione civile di Gioiosa Jonica, che seppe unire assieme interi comuni e territori della Locride, associazioni, comunità di base, sindacati, partiti e studenti – come ricostruiscono nel libro-inchiesta Cessarè i giornalisti Bruno Gemelli e Pietro Melia (Frama Sud, 1980). Il desiderio, per i realizzatori del documentario, è ora quello di far “cessare” le rimozioni e l’oblio; il loro invito è quello di fermarsi, di mettersi in ascolto, di provare insieme a ricostruire dalle “macerie”.

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Riflessioni sul saggio di Alfiero Grandi Per tornare a vincere

politica

Sinistra e Libertà.

Lo sforzo di Sisifo Dice Asor Rosa: “In Italia la sconfitta politica non comporta necessariamente la scomparsa di chi l’ha subita e ne è più o meno responsabile. Siamo circondati da sconfitti che si presentano come futuri possibili vincitori” (Ilgrandesilenzio dasconfittichesipresentanocomefuturipossibilivincitori” Il grande silenzio, Laterza 2009). Di personale politico, autoriprodotto e autoreferenziale, con un simile curriculum pieno ne è il PD, piena ne è Sinistra e Libertà, piena ne è Sinistra e Verdi, pieno ne è il PdCI, piena ne è Rifondazione comunista. Da questa grottesca realtà partirei per dare sostanza (e credibilità) al titolo del libro/ pamphlet di Alfiero Grandi Per tornare a vincere (Ediesse, 2009), che in oltre duecento pagine cerca di mettere in fila, in un’analisi politica forse un po’ troppo ripetitiva, ciò che dovrebbe fare la sinistra per tornare competitiva nell’agone politico nazionale. La crisi economica in corso rimette in campo, secondo l’A., il ruolo dello Stato nella regolazione del mercato, che si è dimostrato lungi dall’autoregolarsi, contraddicendo i corifei delle privatizzazioni quali volano di uno sviluppo “democratico” e antiburocratico tanto dell’economia quanto della società. In questo nuovo contesto, quattro sono le priorità politiche: energia (sviluppo fonti rinnovabili, risparmio, efficienza, innovazione); edilizia (alloggi in affitto, sicurezza anziani, innovazione tecnologica ed energetica, edilizia scolastica, riqualificazione delle periferie); trasporti (priorità alle aree urbane, nuovi treni, risorse ed efficienza del servizio pubblico); sicurezza ambientale (sicurezza idrogeologica, bonifica e reindu-

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strializzazione dei siti industriali inquinanti, bonifica dell’amianto, ciclo dei rifiuti e delle acque). Sinistra e Libertà, di cui Grandi e simpatizzante, avrebbe il compito, partendo da queste priorità, di ricucire un dialogo a sinistra per creare le condizioni di una “coalizione di forze”, unica soluzione politica, secondo l’A., per battere la destra. Politico di lungo corso, sa che le difficoltà sono parecchie, sia interne sia esterne. “Il focus delle sinistre – scrive – è troppo concentrato su aspetti di schieramento e troppo dipendente da esigenze di sopravvivenza politica, che per quanto comprensibili non interessano più di tanto il paese” (p. 19). E qui viene da pensare alla federazione proposta da Paolo Ferrero (PRC) che “dovrebbe essere costruita sull’ipotesi politica di una sinistra che sta per conto suo” (p. 31) escludendo a priori “un’azione di governo comune con il PD e [con] altri” (p. 31). Esclusa, nella prospettiva politica di Grandi, invece la formazione di un’unica sinistra politica che comprenda il partito guidato

Bersani perché il “suo vero significato da Ber questa fase non potrebbe che essere la in ques uenza nel PD”. Secondo il saggista conflue confluire nel PD sarebbe una “stranezza”, perché la questione di fondo è “cercare punti di possibile e necessaria alleanza. Il merito dei problemi è l’unico modo per ricostruire mobilitazione, consenso, capacità di iniziativa, la ragione stessa dell’esistenza della sinistra. I contenuti, e quindi una visione della società e dell’economia, sono la politica concreta su cui costruire l’iniziativa” (p. 22). E’ un compito arduo quello che intende assumersi Sinistra e Libertà, tenendo conto del fatto che a tutt’oggi valgono ancora le parole detta da Franceschini dopo le elezioni, “chi votava PDL, sapeva per cosa votava mentre chi votava PD non lo sapeva” (p. 42)... e che Sinistra e Libertà parte da una dote europea del 3 percento... Tuttavia, pur apprezzando lo sforzo politico dell’A., quando sono giunto all’ultima pagina (interessante il documento firmato dalla CGIL e da Legambiente riprodotto in appendice al volume), ho chiuso il libro e l’ho appoggiato sulle gambe mi sono chiesto se ci crede davvero alla potenziale funzione politico/culturale di Sinistra e Libertà... è vero che in politica, forse, contano solo due principi “non farsi mai troppe illusioni e non smettere di credere che ogni cosa che fai potrà servire” (Italo Calvino). Glauco Bertani


politica

Il processo breve

ovvero il letto di Procuste PROCUSTE P ROCUSTE EERA RA U UN NB BRIGANTE. RIGANTE. Costui assaliva i viandanti sulla strada da Megara ad Atene e li costringeva a sdraiarsi su un letto; se l’ospite era troppo alto rispetto alla lunghezza del letto, gli tagliava le parti sovrabbondanti e così il malcapitato moriva. moriva Allo stesso modo, la legge sul “processo breve” non rende più celere il corso della giustizia mediante lo snellimento dei codici di procedura, infarciti di farraginose incombenze e di meccanismi dilatori, l’approntamento d’idonei strumenti e la razionalizzazione degli organici e delle sedi giudiziarie, ma, lasciando inalterata l’eccessiva durata dei processi, statuisce che, dopo un certo tempo, essi si estinguano. In altri termini, invece di fare in modo che i processi vengano rapidamente definiti, impedisce che gli stessi giungano a compimento. Per avvalorare l’asserita bontà di tale infausta legge, il ministro di Giustizia si è infilato da solo nella classica “alternativa del diavolo”. Se, infatti, detta legge farà estinguere, secondo i suoi calcoli, soltanto l’1 percento dei processi, perché affannarsi tanto per fare approvare un provvedimento normativo inutile? Ma se i processi durano, in media, sette anni e mezzo, come il

ministro pure sostiene, allora, stabilendo che dopo sei anni essi debbano “morire”, vi sarà una generale impunità. Ma vi è di peggio! Per giustificare questa ed altre perniciose riforme del sistema giudiziario, si sostiene avventatamente la parzialità politica dei magistrati, che sarebbero in gran parte “comunisti”, e persino dei supremi organi di garanzia, asserendosi che la Corte costituzionale “si sa bene come è composta” e che il Presidente della Repubblica “si sa da che parte proviene”. Tali valutazioni, potrebbero essere facilmente liquidate come sciocchezze ed insensatezze, se non implicassero un’allarmante distorsione psicologica. Un medico non cura i propri pazienti in base alle loro idee politiche, ma tutti, indistintamente, secondo scienza e coscienza. Allo stesso modo, un giudice, qualunque giudice, si basa, nelle decisioni che è chiamato ad assumere, esclusivamente sugli elementi probatori e non già sulle idee po-

litiche delle parti. Questo semplice ragionamento sfugge a chi invece reputa condizionati dalle rispettive idee politiche i magistrati e persino i supremi organi di garanzia, quali la Corte costituzionale ed il Presidente della Repubblica. Ma fortunatamente, non tutti sono come chi professa tali distorte opinioni: l’imparzialità, oltre che un precetto costituzionale, è un connotato essenziale per chi svolga funzioni pubbliche ed un requisito imprescindibile per chi abbia retta coscienza. Il giudice, in particolare, è per sua natura e formazione, imparziale e refrattario ad estranee pulsioni. Soltanto una mentalità perversa e distorta, agitata da ontologici impulsi mercantili, invece che rettamente ispirata dal senso della Stato e dal rispetto delle Istituzioni, può tacciare i giudici di parzialità politica nell’esercizio delle loro delicate funzioni. E’ il classico caso in cui le parole, lungi

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politica Le voci dalle sezioni ANPI di Campagnola, Novellara, Rio Saliceto e Fabbrico

PROCUSTE ERA UN BRIGANTE. dal descrivere una realtà oggettiva, riflettono, in guisa di specchio, la personalità ed il modo di pensare di chi le esprime. Da tutto ciò e da numerose altre precorse leggi emerge con chiarezza che l’unico intendimento riformatore perseguito da questa maggioranza di governo è quello di salvare dai processi “un solo imputato”, tanto che le leggi ad personam, concepite dall’impropria figura del “difensore-legislatore”, sono state persino più numerose dei temuti processi, il cui esito è stato con esse condizionato ovvero eluso. Ed allora verrebbe da dire: Quale giustizia? Quali riforme? La salvezza di uno ha comportato il sacrificio della funzione repressiva propria della giustizia penale, essenziale per l’esistenza stessa dello Stato. E’ interessante notare che ciò è esattamente l’opposto di quanto il sommo sacerdote Caifa suggerì al Sinedrio, nel processo a Gesù: “E’ meglio che un sol uomo perisca, piuttosto che tutto il popolo”. Il principio ispiratore delle numerose leggi ad personam, volute da questa maggioranza di governo è, infatti, il seguente: il popolo vada pure in malora, purché uno solo si salvi! Ma le anomalie e le distorsioni investono persino il lessico. E così, l’esigenza di eticità, anche nella politica, diventa “moralismo”, il corretto ed indefettibile esercizio della funzione giudiziaria viene definito “giustizialismo”, mentre la naturale scansione e l’osservanza dei termini processuali integrano una “giustizia ad orologeria”. Del resto, non è certo una novità che i potenti ed i prepotenti cerchino in ogni modo di eludere e di sviare il corso della giustizia, se già verso il 700 a.C. così di ciò ci si doleva: “E poi c’è Dike, la Giustizia, vergine figlia di Zeus, / nobile e venerata fra

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gli dei dell’Olimpo. / Quando qualcuno la offende e, iniquo, la disprezza, / subito si lamenta presso Zeus padre, figlio di Kronos,/ del pensiero degli uomini ingiusti. / E il popolo pagherà le scelleratezze dei re, / che nutrono propositi meschini e, parlando iniquamente, / stravolgono le giuste sentenze”. (Esiodo, Le Opere, 256-262). Stupisce poi che esponenti della maggioranza e dell’opposizione concordemente sostengano che, se non si commettono reati, tutto è permesso. E’ sufficiente, infatti, consultare un manuale di diritto, per imparare che il diritto penale costituisce non già una regola di condotta, bensì soltanto il “minimo etico”, infranto il quale, si verifica la dissoluzione stessa dello Stato. Orbene, è lecito e doveroso pretendere che i governanti non si limitino ad evitare di violare la legge penale, ma adottino anche comportamenti pubblici e privati di assoluta ed adamantina integrità. Purtroppo, sovente non viene osservata né l’una né l’altra regola di condotta e così mentre, da un lato, s’invoca la liceità di comportamenti scorretti e talvolta immorali, in quanto non penalmente sanzionati, d’altro canto, si approntano leggi immunizzanti e criminogene, atte ad eludere la responsabilità penale! Ed allora, a ben vedere, il modello di giustizia propugnato da questa maggioranza di governo assomiglia sempre più a quello descritto dal grande poeta spagnolo Luis de Gòngora nella poesia Da bienes Fortuna (vv.: 21-26): “Se in un villaggio / un povero garzone / ha rubato un uovo, / viene impiccato, / mentre chi ha commesso mille delitti / va liberamente in giro”. Così funziona la giustizia, o almeno così funzionava in Spagna, nell’anno 1581... Giancarlo Ruggieri

“RIAFFERMI “RIAFFERMIA

la dignità e l’u l di tutte le pe per Ho avuto il piacere di partecipare il 7 dicembre scorso al Coordinamento intercomunale ANPI di Campagnola, Novellara, Rio Saliceto e Fabbrico. Sento di poter affermare con certezza che anche in queste sezioni “la nuova stagione dell’ANPI” come prefigurata dalla Conferenza nazionale di organizzazione di Chianciano, è davvero una realtà viva. Il documento politico su cui si è incentrata la interessante discussione era di alto livello: partendo da alcuni punti che erano stati in precedenza condivisi in un percorso partecipato, l’intervento introduttivo del presidente Gaetano Diavolio ha esplicitato una chiara visione strategica accompagnata da una grande passione e da una autorevolezza che oggi gli antifascisti sono chiamati ad acquisire ma che i partigiani posseggono definitivamente,


politica perché acquisita con quella strenua lotta per la libertà che hanno saputo condurre e che li ha “segnati” per sempre. Continuo ad essere stupita per l’incredibile memoria di coloro che hanno combattuto nella Resistenza poi mi dico che quelle vicende li hanno “marchiati a fuoco” in modo indelebile, donando loro una lucidità di analisi e una radicalità che per noi è un punto di riferimento certo. Grazie Tano! Il documento non poteva non partire dall’analisi della difficile situazione eco-

della democrazia”. Per realizzare il difficile obbiettivo è indispensabile conquistare sempre più forze giovani “che siano disponibili a mettersi in gioco”, in percorsi di ascolto e di responsabilizzazione delle nuove forze disposte a “remare in salita” verso obbiettivi e temi che siano stati condivisi. I nodi politici su cui concentrare tutte le forze attraverso iniziative di qualità e per cui in passato si è stati fortemente impegnati, sono quelli della pace nel mondo,

MIAMO CON FORZA

e l’unicità della persona, persone...” ersone...” nomica in cui versa l’Italia e che colpisce fasce sempre più ampie di popolazione, dai pensionati ai lavoratori dipendenti che perdono il posto, ai piccoli artigiani costretti a chiudere e ai giovani, precari o senza lavoro. Il governo della destra in realtà non governa, se non per favorire le classi sociali più abbienti o per approvare leggi ad personam, espropriando pericolosamente il ruolo del Parlamento come sancito dalla Costituzione. L’unità sindacale è stata smembrata, per isolare la CGIL e i lavoratori che rappresenta e per indebolire le loro istanze. La crisi di rappresentatività dei partiti, acutizzata da una strisciante corruzione, li allontana dai territori e dai lavoratori che, invece di rivolgersi alla sinistra che tradizionalmente li ha rappresentati, oggi salgono sui tetti delle fabbriche (Enzo Salati), in un corto circuito pericoloso, o guardano alla Lega senza coglierne la forza distruttiva della coesione sociale e dell’unità nazionale. In questa difficile situazione l’ANPI “con la sua storia, la sua identità e le sue battaglie, può costituire sempre di più un punto di riferimento per i democratici di ogni ceto sociale e ogni fede religiosa”, cercando con la sua azione di far rinascere sentimenti di fiducia e speranza per consentire “il dispiegarsi di una azione unitaria per la difesa e il rinnovamento

del rispetto dell’ambiente e dell’equilibrio del pianeta Terra, della difesa e della completa applicazione della Costituzione, e della lotta alle mafie. Da consolidare il rapporto collaborativo con l’Associazione reggiana per la Costituzione; da organizzare in tempi brevi una significativa iniziativa con il prof. Umberto Veronesi e l’associazione “Scienza e pace”, infine da rafforzare il percorso di vicinanza e la solidarietà alla cooperativa “Pio La Torre” anche aderendo a Libera. Indispensabile, come hanno sottolineato gli interventi di Realino Lupi, Valerio Saccani, Corrado Bellesia e Carmen Tacconi un progetto nazionale per entrare nelle scuole con competenza e autorevolezza e per portare una forte testimonianza non solo di quella storia che ha già generato la nostra democrazia ma anche dell’impegno “di resistenza” necessario ancora oggi. Sedi adeguate per l’ANPI (che a Campagnola da anni è gentilmente ospitata della Camera del Lavoro), sono ormai indispensabili e per questo gli enti locali sono chiamati ad impegnarsi tangibilmente, riconoscendo in questa nostra Associazione “un punto di riferimento d’avanguardia unitario nella lotta per la difesa della Costituzione” repubblicana, che non è né comunista né sovietica e che non va assolutamente cambiata nella sua prima parte,

che sancisce i diritti e i doveri fondamentali della persona. In questa nuova stagione un ruolo importante e un nuovo protagonismo va riconosciuto alle donne (Franco Malaguti) la cui importanza è stata in passato misconosciuta ma che nella Resistenza hanno dato un contributo decisivo, anche se spesso silenzioso, e che hanno avviato un cammino di emancipazione e di liberazione, proseguito negli anni della ricostruzione attraverso conquiste di giustizia, di libertà e di civiltà. Commovente l’intervento di Salmi Youssef, assessore nel Comune di Novellara, con cui in passato ho avuto una bella collaborazione all’interno del gruppo immigrazione dei DS. Ha affermato che sente il 25 aprile come festa sua, che ama la Costituzione italiana che è la sua Bibbia, che va difesa e fatta conoscere. In questi tristi giorni sentire da un ex immigrato, ora cittadino italiano in pienezza, esprimere una fedeltà totale alla nostra Carta costituzionale ci riporta per contrasto ai fatti tragici di Rosarno, esempio di quella logica puramente repressiva che caratterizza il governo delle destre nei confronti del fenomeno immigrazione, volta a rappresentarla come fonte di criminalità e di destabilizzazione. A Rosarno lo Stato non c’è più e chiude gli occhi di fronte alla sospensione dei diritti fondamentali, facendo credere che la sicurezza nasca dalla durezza delle leggi e non da iniziative di integrazione di tutti quei lavoratori che vengono sfruttati e poi cacciati come merce. Allora camminiamo insieme con queste sezioni ANPI così determinate, con le nuove generazione cui passare il testimone, accompagnandole “pensando e agendo insieme”, in una coesione indispensabile e fruttuosa (Giorgio Pradella), lavorando sulla memoria per conservarla e “farne il fondamento dell’educazione e della formazione culturale e civile”, parlando con la gente, stimolando un senso di appartenenza a questa nostra Associazione, contro i nuovi fascismi e i nuovi razzismi. E riaffermando con forza la dignità e l’unicità della persona, di tutte le persone. Fiorella Ferrarini

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esteri

MOZAMBICO

terra di conquista? Per aiutare l’indipendenza economica ma anche sociale del Paese non solo aiuti finanziari con fondi raccolti in regione, con la partecipazione anche del Comune e dell’ANPI di Reggio Emilia, ma ricerca e messa a punto dei mezzi necessari al miglioramento della condizioni di vita della popolazione rurale del distretto di Morrumbala e dintorni...

Dopo una guerra civile durata 17 anni, che ha provocato profonde devastazioni nel Paese africano, contrapponendo il Fronte di liberazione del Mozambico (Frelimo) al movimento Resistenza nazionale del Mozambico (Renamo), sostenuto dal regime di apartheid del Sudafrica, lo stato mozambicano di oggi è divenuto un importante esempio di una riuscita ricostruzione postbellica. Nel rapporto annuale sull’Africa della Banca africana di sviluppo (BAD) e dell’OCSE viene sottolineata “la stabilità macroeconomica e politica del paese e un’impressionante crescita economica valutata su una media dell’8% tra il 2000 e il 2006”. Tuttavia rimanendo il reddito medio procapite di 230 euro/anno il Mozambico, è da considerarsi ancora tra i Paesi più poveri del mondo. Una volta finito il conflitto interno e ripristinati i rapporti diplomatici con i Paesi vicini principalmente con Zimbabwe, Zambia e Sudafrica, per il quale il Mozambico è lo sbocco commerciale naturale, Maputo ha cercato di diversificare la sua economia, che gode di notevoli possibilità di sviluppo. L’energia del Paese, ricavata dal gas, da centrali idroelettriche e dal petrolio, le miniere di carbone, titanio, oro e pietre preziose, il turismo sono le sue principali ricchezze, con l’agricoltura e la pesca, che costituiscono ancora il 27 percento del prodotto interno lordo (PIL)

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del Paese. Nel corso del 2000 hanno visto la luce grandi progetti nel settore dell’industria estrattiva, i quali, purtroppo per il Paese, sono stati realizzati da Consorzi esteri e che, su richiesta delle istituzioni finanziarie internazionali, sono realizzati in “zone franche”, indipendenti dal potere centrale, tanto da contribuire assai poco all’incremento della ricchezza del Paese. Malgrado il forte aumento delle esportazioni, avutosi negli ultimi anni, il bilancio dello Stato, riferito in specifico al 2008, ha segnato un deficit della bilancia dei pagamenti pari a ottocento milioni di dollari. Per comprendere questo stato di cose è necessario fare riferimento all’impossibilità del governo mozambicano di sostenere direttamente i gravosi oneri, collegati alla realizzazione di grandi opere e delle relative infrastrutture, effettuate quasi interamente per mezzo di forti investimenti privati, i cui investitori hanno costituito, come previsto dalla legislazione vigente, consorzi d’affari, indipendenti dal governo di Maputo. L’imponente diga di Cahora Bassa costruita nel 1974 nella provincia di Tete, per esempio, era stata concepita per fornire l’energia elettrica al Sudafrica, non avendo allora il Mozambico un parco industriale, che consentisse di sfruttare un tale, forte investimento. Così la linea ad alta tensione che proviene dalla diga, parte dal Mozambico, attraversa il vicino Zimbabwe e arriva al

Sudafrica, scorrendo fuori dal territorio mozambicano. Maputo, in conseguenza a questo stato di cose, è costretto a ricomprare dal consorzio sudafricano Eskom l’energia elettrica di cui ha bisogno, pagando prezzi sempre faticosamente contrattati. A tutt’oggi dei duemila megawat di capacità produttiva della centrale, solo quattrocento sono destinati al Mozambico, duecento al vicino Zimbabwe, mentre tutto il resto viene inviato nel Sudafrica. Il governo mozambicano con mezzi propri, ma anche con l’aiuto d’investitori stranieri, sta lentamente acquisendo le più svariate fonti di energia, oggi ancora in mani straniere, con l’intento, una volta entratone in possesso, di trasformare il Paese in un esportatore di energia di primissimo piano. L’interesse per le ricchezze del sottosuolo del Mozambico, in particolare per il carbone ed il titanio, muove gli appetiti, (ENI presente), di molti Paesi del mondo. Il volume degli investimenti del Brasile e dell’Australia, supera oggi quello del Sudafrica, il quale, da molto tempo, anche se sta riducendo la sua storica preminenza, opera sul territorio mozambicano con oltre 250 società, costituendo da sempre, il maggiore esportatore delle più svariate merci nel Paese, divenendo, quindi, il primo “colpevole” del deficit della bilancia dei pagamenti del Mozambico stesso. A lungo, considerato come una risorsa


esteri

Il presidente del Mozambico, Armando Guebuza

minore, il carbone attira oggi i giganti minerari mondiali. Emerge fra tutti la brasiliana “Vale”, la quale ha vinto la prima gara d’appalto per lo sfruttamento carbonifero del Moatize. Segue l’australiana “Riversdale” che in associazione con l’indiana “Tata Steel” si è assicurata una seconda concessione mineraria in un sito, in cui il carbone coke costituisce uno dei più grandi giacimenti mondiali. Le due compagnie succitate prevedono di estrarre annualmente almeno 20-25 milioni di tonnellate del minerale, subendo peraltro, forti difficoltà per un suo regolare trasporto. Le infrastrutture ferroviarie, risalenti all’inizio del ’900, non sono oggi adeguate al trasporto di grandi quantità di materiali. Il consorzio “Rites&Ircon” dell’India che lavora per l’ammodernamento delle linee ferroviarie, garantisce qualche miglioramento solo per la fine del 2010, tanto che le compagnie minerarie si troveranno costrette a trasportare, a mezzo chiatte, buona parte del carbone estratto, per arrivare fino al delta dello Zambesi, centinaia di chilometri quindi più ad est. Le due succitate compagnie minerarie hanno progettato di realizzare insieme, utilizzando le tecnologie più moderne e sofisticate, una centrale termica a carbone, in grado di produrre 1.800 megawat sui loro siti per alimentare, oltre all’attività di estrazione delle rispettive miniere, anche la rete elettrica nazionale. Sarà questa un’altra dipendenza economica del Mozambico, che si aggiunge a quella in atto con il Sudafrica, partner fondamentale per Paese, ma con il quale i rapporti non sono sempre facili e si assomma ulteriormente alle dipendenze

dell’aiuto finanziario internazionale, che rendono assai stretta la strada, che il Mozambico sta percorrendo, per risolvere i gravosi problemi interni. Peraltro, visti i presupposti messi in atto da un governo, che si è dimostrato, malgrado le forti difficoltà, veramente efficiente e riconfermato nelle recenti elezioni politiche. Tali dipendenze non dureranno ancora per molto, sempre se il governo sarà in grado di controllare i grandi appetiti delle nazioni più forti, evitando, quindi, di divenire “terra di conquista”, ricavando, in tal modo, scarsi profitti dalle proprie, grandi ricchezze del sottosuolo. Per consentire al Paese di uscire da tutta la succitata serie di dipendenze, compresa la lotta alla povertà, alla disoccupazione ed all’HIV della popolazione, anche in Italia ci si muove, sia pure in ordine sparso, con valide ONG, ma senza un coordinamento nazionale e senza l’impegno del governo a prevedere cospicui investimenti ed a fornire al Paese africano eventuali aiuti finanziari. Dopo la visita in Italia del presidente mozambicano Armando Guebuza, che nelle elezioni legislative e presidenziali del 28 ottobre 2009 è stato riconfermato presidente, con circa l’80 percento dei suffragi, sconfiggendo nettamente l’antagonista del Renamo Alfonso Dhlakama, è stato siglato tra il nostro governo e il ministro dell’energia Namburete un accordo di collaborazione in campo energetico, peraltro tutto da definire nei dettagli, anche dopo la visita a Maputo del ministro Scaiola. Intanto, utilizzando fondi privati, la CCS Italia ha consegnato al comune di Muchua nel distretto di Vilankulo, una scuola completa per 370 alunni

Allo scopo di aiutare l’indipendenza economica ma anche sociale del Paese, sono state attivate tutta una serie d’iniziative, condotte dalla Nexus Emilia Romagna, in collaborazione, anche, con CAAF e CGIL di Reggio Emilia, iniziative, che se pure di non grande portata, sono da considerare molto significative, indirizzate come sono a cercare di creare un futuro migliore per le popolazioni di alcune regioni del Mozambico. Ha preso via tra svariati altri, infatti, il progetto “Rafforzamento dell’associazionismo per lo sviluppo rurale nel distretto di Morrumbala” che si propone di avviare corsi di alfabetizzazione, la creazione di banche di conservazioni delle sementi, l’utilizzo del credito per la commercializzazione e il lavoro della terra. Quindi non solo aiuti finanziari con fondi raccolti in regione, con la partecipazione anche del Comune e dell’ANPI di Reggio Emilia, ma ricerca e messa a punto dei mezzi necessari al miglioramento della condizioni di vita della popolazione rurale del distretto di Morrumbala e dintorni. Il Mozambico si avvia a grandi passi, verso un destino ben diverso dalla schiavitù coloniale, alla quale era stato sottoposto dai colonialisti portoghesi, affrontando difficoltà che il conflitto interno aveva spostato ad un livello, che si manifestava di una gestione assai difficile, se non impossibile. Le condizioni ci sono tutte; il governo mozambicano è stabile e gode di grande prestigio nel Paese, è solo necessario svilupparle anche con l’ausilio, da incrementare sempre più, delle forze politiche e del volontariato sociale del nostro Paese. Bruno Bertolaso

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estero

OBAMA:

“La guerra è l’antitesi del diritto: non fa vincere chi ha ragione, ma dà ragione a chi vince” (Norberto Bobbio)

PREMIO NOBEL O “IGNOBEL” ? L’assegnazione del premio Nobel per la pace a Barack Obama ha comprensibilmente destato non poche perplessità nell’opinione pubblica mondiale. Si è trattato – è stato più volte ribadito – di un riconoscimento alle intenzioni e ai lodevoli pronunciamenti in direzione di un netto cambio di direzione della politica estera americana, il cosiddetto “trionfo della mano tesa” che mira alla soluzione negoziata delle crisi internazionali e al riconoscimento della pari dignità degli altri Stati e delle loro culture. Ma, a fronte di ciò, nessuna azione concreta, nessuna firma pesante su trattati, nessun ridimensionamento dello sforzo bellico americano nel mondo. E, in fondo, sarebbe stato assai arduo pretenderlo in poco più di un anno dal suo insediamento. Ma il problema esiste, la contraddizione evidente: il comandante in capo di una nazione in mezzo a due guerre ben lungi dal concludersi viene elevato ad icona pacifista. Certo, l’eredità degli otto catastrofici anni di George W. Bush rappresenta un fardello del quale il Presidente della maggiore potenza economica e militare mondiale non può disfarsi in tempi rapidi. Ma se è, tuttavia, lecito pensare a gesti concreti di discontinuità rispetto alla politica precedente, occorre dire che qualche dubbio inizia ad insinuarsi, partendo ovviamente dal nodo Afghanistan, ove la guerra segnala una impennata senza 14 gennaio-febbraio 2010

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precedenti. Ebbene, il primo anno di Obama si è concluso con ben 53 raid di aerei senza pilota (c.d. droni) che hanno provocato centinaia di morti, in maggioranza civili. E si conclude con la decisione di inviare in quel Paese altri 30.000 uomini, che sommati a quelli già presenti porteranno il contingente americano a 100.000, il doppio rispetto al 2008. Qualche illustre commentatore ha letto in tutto questo un segnale di resa ai vertici militari e alle operazioni mediatiche dagli stessi messe in atto a favore di un inasprimento della guerra basato sul capillare controllo del territorio. Altri lo hanno interpretato come inevitabile e coraggioso tentativo di chiudere una volta per tutte il conflitto, visto il contestuale annuncio di un disimpegno a partire dal 2011: preparare la pace allargando la guerra. Concetto non nuovo e, per altro, con precedenti non rassicuranti. Per capire quale sia il reale giudizio di Obama sulla guerra occorre esaminare attentamente il discorso che ha pronunciato ad Oslo, in occasione del ritiro del premio Nobel: dagli alti assunti pacifisti al più discutibile pragmatismo, dalla necessità di riconciliazione all’inevitabilità della guerra è possibile intravedere ciò che lo muove e, conseguentemente, leggere il suo equilibrio diplomatico senza filtri preconcetti. Ed allora, partiamo dalla dichiarazione più forte:

“A volte la guerra è necessaria e giusta. Lo è quando è l’ultima risorsa possibile, quando è di difesa, come nel caso del terrorismo”. Perché, spiega, “il male esiste nel mondo e come fu giusto combattere contro Hitler lo è oggi farlo contro estremisti violenti che stravolgono il messaggio di una religione come l’Islam”. E ai pacifisti manda a dire che “desiderare la pace raramente basta per ottenerla”. Ma la riflessione sulla guerra di Obama è articolata: occorre “moralizzarla” mediante standard che regolino l’uso della forza, ovvero proporzionarla alla minaccia, rispettare per quanto possibile la vita dei civili, riconoscere la validità della Convenzione di Ginevra, abolire la tortura, perché “l’America non può insistere che altri rispettino le regole se essa stessa rifiuta di seguirle”. Rivendicando il diritto di agire unilateralmente per la difesa del proprio Paese, Obama arriva a rendere omaggio al ruolo che gli Stati Uniti hanno svolto per più di sessanta anni in “in difesa della sicurezza globale e non dei propri interessi”e accetta di vivere all’interno della contraddizione in vero molto forte che fa convivere la guerra necessaria con l’idea di pace duratura non esitando a riportare le parole di Martin Luther King: “La violenza non porta mai a una pace permanente. Non risolve i problemi sociali, ne crea di nuovi e più complicati”. Ma ricorda che la responsabilità che gli deriva


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dall’aver giurato di difendere la sua nazione non gli i li consente t di essere guidaid to solo dalla nonviolenza della cui forza morale dice di sentirsi comunque, con rischiosa capriola ideale e dialettica, “testimonianza vivente”. Ciò che colpisce immediatamente e non convince nel discorso di Obama è il riferimento all’esistenza del “male”. Ma cosa significa, che cosa identifica, cosa traduce al di là della sua definizione astratta il “male”? Forse una sorta di innata tendenza alla altrui distruzione teorizzata dall’estremismo islamico? Il primato dei principi di vita di qualcuno su quelli degli altri? Un demone senza cittadinanza che inquina la civile convivenza? O, più correttamente, si dovrebbe individuare il male nelle disuguaglianze, nella negazione dei diritti, nella discriminazione, nella povertà e nelle ingiustizie o piuttosto nelle loro conseguenze spontanee od organizzate? Parlare del male senza enunciarne anche solo in via di principio le cause non vuole dire granché, significa rincorrere e sopprimerne gli effetti. Significa tranquillizzare l’opinione pubblica pur nella consapevolezza delle inevitabili crisi future.

Significa, Si gnifica, ad esempio, continuare ad invitare alla comprensione e al dialogo in Medio Oriente senza essere in grado di imporre una soluzione duratura in grado di pacificare l’intera area. Oppure sollecitare (giustamente) l’Iran a non procedere in direzione del nucleare senza dire una parola sulla iscrizione al club atomico da parte di Israele e su come tale aspetto inciti al riarmo. Oltre a ciò, dobbiamo forse credere che gran parte delle innumerevoli guerre di questi ultimi sessanta anni siano state combattute per abbattere il “male” o, piuttosto, per consentire l’affermazione degli interessi economici, energetici, militari, strategici americani e occidentali nel pianeta? Ed allora, cosa è “il male”, causa della guerra giusta e necessaria? Anche il mancato riferimento, in tutto il suo discorso, al ruolo delle istituzioni internazionali (ONU in primis) nella risoluzione delle controversie internazionali lascia perplessi: riducendo la guerra giusta al legittimo diritto all’autodifesa, naturalmente intesa in senso molto ampio, Obama non si cura di contestualizzare le tensioni planetarie all’interno di organo sovranazionale in grado di fungere da mediatore, laddove

occorra. Ed ecco che il prinoc cipio di “polizia internaci zionale”, accettato persino zi ddal pensiero nonviolento e iinteso come possibilità di iintervento armato da parte ddella Comunità internazionale nelle zzone di conflitto con il fine interposizione e del ripristidichiarato della in almeno minime di legalità viene no di basi almen favore della unilateralità. bypassato a favor “moralità” della guerra, beh, Quanto alla “mo lasciamola credere ai sognatori e a quanti, come Obama, si sforzano di sostenere che la violenza si può contenere e che gli effetti collaterali siano dettagli inevitabili ma tutto sommato accettabili in nome di una nobile causa. La guerra, storicamente, si è sempre configurata come barbarie e neppure la modernità e le cosiddette “armi intelligenti” hanno potuto mai modificarne gli esiti. La guerra mina il concetto stesso di umanità, disumanizza letteralmente la persona: gli standard che regolano l’uso della forza appaiono semplicemente neologismi privi di senso e non certo la nuova frontiera del conflitto armato. Saverio Morselli http://segnalidipace.blog.dada.net

Ed allora, cosa è “il male”, causa della guerra giusta e necessaria?

Erminio Filippini e Valentina Manfredini “ la maestra Adriana” Un’esistenza insieme di Amore e di lotta contro le avversità della vita e contro il regime Nazifascista Erminio: Incarcerato, poi internato nel Lager di Bolzano, Partigiano Lui e il fratello Franco trucidato dai nazifascisti, primo Sindaco dopo la liberazione di Luzzara, ancora Sindaco e Amministratore Comunale poi, ha insegnato all’Istituto “LORENZINI” a tanti ragazzi in situazioni difficili, Segretario del PCI luzzarese, Presidente dell’Ospedale civile di Guastalla e della IPAB di Luzzara. Un grandissimo stimato Luzzarese.

Adriana deceduta il 2 gennaio 2009 Ermino deceduto il 23 gennaio 1988

L’Adriana: Maestra elementare fu inviata, dai fascisti, coattamente, in Istria ad insegnare la lingua italiana nella regione occupata, a Luzzara ha insegnato ai suoi giovani allievi come fossero suoi figli, visto che la sorte gliele aveva negati, dentro alle sue lezioni vi albergavano valori di onestà e rettitudine, di Libertà e Democrazia che con Erminio hanno condiviso e trasmesso con amore altruista al paese intero di Luzzara Erminio e Adriana rimarranno indelebilmente nei cuori e nelle menti di tantissimi Luzzaresi L’ANPI di Luzzara e la Cognata Tazia con i nipoti tutti li ricordano con commozione ed affetto.

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economia

Il futuro della città L’area nord di Reggio Emilia tra alto profilo e volo basso

L’ambito urbano dell’area nord è delimitato ad ovest e ad est dai torrenti Rodano e Crostolo, a settentrione e a sud della zona industriale di Mancasale e dalle ex Reggiane, ha come centro focale il comparto di circa 1.500.000 mq attorno all’asse Ponti di Calatrava-casello autostradale-nuova stazione TAV, e ha al proprio interno i nuclei abitati di San Prospero e di Santa Croce, la zona industriale di Mancasale l’area dello stadio Giglio, le Reggiane, la Fiera, il centro commerciale Ipercoop.

16 gennaio-febbraio 2010

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L’acceso dibattito che si è aperto nelle scorse settimane intorno allo sviluppo dell’area settentrionale della città ha sollevato, a volte in modo corretto e propositivo a volte con toni strumentali e polemici meno interessanti, diverse questioni, di natura urbanistica, economica ed estetica che meritano di essere approfondite e che possono costituire un contributo alla discussione sul futuro della nostra città. Prima di entrare nel merito delle diverse posizioni emerse, possono essere opportune, vista la complessità del tema, un paio di premesse metodologiche, per puntualizzare gli strumenti amministrativi vigenti e per identificare, almeno in termini indicativi, la porzione di territorio di cui si parla. Sotto il primo profilo, il riferimento va al Piano strutturale comunale (PSC) adottato dal Consiglio comunale, dopo un lungo e articolato percorso di confronto e di costruzione, il 6 aprile del 2009. Il PSC è il nuovo strumento di governo del territorio che sostituisce il Piano regolatore generale (nel caso di Reggio vige quello del 1999) fissando le scelte strategiche di assetto e di sviluppo del territorio comunale, con la finalità ulteriore di tutelarne l’integrità fisica ed ambientale nonché l’identità culturale. Spetta poi al Piano operativo comunale e al Regolamento urbanistico edilizio, a sua volta adottato nello scorso aprile, attuare le indicazioni del PSC e disciplinare le attività ordinarie di gestione, manutenzione e rinnovamento degli insediamenti consolidati. Per quanto riguarda la localizzazione dell’area, possiamo indicativamente parlare dell’ambito urbano delimitato ad ovest e ad est dai torrenti Rodano e Crostolo, a settentrione e a sud della zona industriale di Mancasale e dalle ex Reggiane, che ha come centro focale il comparto di circa 1.500.000 mq attorno all’asse Ponti di Calatrava-casello autostradale-nuova stazione TAV, e che vede al proprio interno i nuclei abitati di San Prospero e di Santa Croce, la zona industriale di Mancasale ma anche l’area dello stadio Giglio, le Reggiane, la Fiera, il centro commerciale Ipercoop. Si tratta di un’area molto estesa, che costituisce un’importante porta d’accesso-vetrina alla città e insieme un punto di snodo fondamentale per la mobilità, attualmente caratterizzata da una forte eterogeneità di


economia presenze e da un certo disordine urbanistico. La consapevolezza della delicatezza e della strategicità dell’area nord era ed è assolutamente chiara all’attuale Amministrazione comunale: il sindaco Delrio, il 31 gennaio 2009, in occasione degli Stati generali della città, sosteneva testualmente: “L’apertura della stazione medio padana sarà una grandissima ed eccezionale opportunità per Reggio Emilia. Avremo uno strumento per attrarre in città – in quantità significativa – diverse tipologie di persone con motivazioni diverse. Già nel Piano strutturale comunale abbiamo cominciato a lavorare sulle destinazioni di quest’area e sulle infrastrutture di collegamento con il resto della città. E’ però indubbio come il decidere quali attività dovranno essere svolte nell’area sia essenziale per massimizzare il valore strategico dell’operazione …”. Il 10 marzo scorso, lo stesso Sindaco e l’assessore all’Urbanistica ed Edilizia Ugo Ferrari annunciavano l’avvio del percorso per la creazione di un masterplan dell’area, condiviso con la città e con gli attori della zona, che dovrebbe essere presentato pubblicamente alla metà di febbraio. Dopo un periodo di relativa calma, tra la fine di novembre e i primi giorni di dicembre, il tema dei destini dell’area nord tornava di attualità, sia per una serie di scaramucce consiliari su un presunto ritardo nella presentazione del masterplan dell’area Nord, sia per la presa di posizione della Confcommercio contro l’ipotesi d’insediamento nella zona di centri commerciali della grande distribuzione cooperativa, abbinata all’accusa al Comune di scarsa trasparenza e di relazioni “privilegiate” con il mondo Coop (che ha trovato dall’Amministrazione comunale e dalla Lega delle cooperative risposte ferme e puntuali), sia infine per le indiscrezioni intorno al progetto presentato dalla famiglia Maramotti di una “città della moda”, ossia un centro commerciale esagonale di 35.000 mq coperti su un’area complessiva di 238.000 mq (tre quarti dei quali di proprietà della famiglia), proprio all’uscita del nuovo casello autostradale. Il vero scossone è però arrivato dall’irrituale (irrituale perché rompeva la discrezione che da sempre caratterizza la dinastia industriale reggiana e irrituale

in quanto non prevedeva la possibilità d’interlocuzione da parte dei giornalisti invitati) conferenza stampa convocata da Luigi Maramotti, presidente di Max Mara srl. In quella sede Maramotti ha proposto una sorta di moratoria edilizia sull’area, rinunciando anche a una parte dei suoi diritti edificatori, in attesa di un tavolo pubblico-privato finalizzato alla elaborazione di un progetto complessivo di eccellenza. Le dichiarazioni hanno provocato una serie di reazioni, alcune entusiaste, per aver finalmente alzato il livello del dibattito, altre decisamente più caute, in quanto non venivano introdotte novità rilevanti, altre ancora critiche, in particolare sul reale “disinteresse” e su alcuni giudizi (negativi) molto forti su outlet e grande distribuzione. Non è questa la sede per entrare nel merito delle singole posizioni, né per esprimere delle valutazioni conclusive su una materia ancora in divenire. Qui s’intende soltanto fissare quattro punti che potrebbero aiutare a leggere l’intera discussione in modo sereno e al contempo concreto. 1) – Il ruolo di coordinamento e di sintesi delle diverse voci e dei diversi interessi spetta esclusivamente all’Amministrazione comunale, che ha l’obbligo di arrivare ad una conclusione in tempi accettabili. Ogni stakeholder, ossia ogni portatore d’interessi – e non ci sono soltanto Maramotti e le cooperative, ma anche il gruppo Brevini e la finanziaria pubblica Sofiser, ad esempio – ha diritto di difendere le proprie posizioni e di perseguire i propri obiettivi, ma soltanto un soggetto ha la legittimità per prendere la decisione finale, e questo è il Comune di Reggio, che si fa garante del rispetto delle regole del gioco e dell’assoluta trasparenza di tutti i passaggi (anche in funzione antispeculativa). 2) – Occorre un progetto d’insieme, di respiro complessivo e di alto profilo capace non soltanto di rispettare i futuri equilibri interni all’area, ma di collegare armonicamente e coerentemente con il resto della città, e in particolare con il centro storico, questo vasto quadrante di territorio, per dare vita a connessioni e non a isolamenti, a integrazioni e non a contrapposizioni. 3) – Sotto questo profilo diventa fondamentale, ed urgente, l’individuazio-

ne dei contenuti. Il principio del mix di funzioni (terziario, residenziale, commerciale, ma anche produttivo) è assolutamente condivisibile, ma deve concretizzarsi in proposte reali. Il pensiero dell’Amministrazione comunale sul ruolo di valorizzazione di alcune delle eccellenze locali nell’ambito della conoscenza e dell’innovazione è chiaro, come dimostrano le localizzazioni del tecnopolo e del Centro internazionale Malaguzzi. Adesso sta a ciascuno dei soggetti coinvolti portare idee e proposte concrete, evitando forse “guerre di religione” intorno alla presenza o meno di un centro commerciale e a che cosa renda, da sola, un “luogo” un “non luogo” e viceversa. 4) – L’ultimo aspetto, ma non per importanza, è l’attenzione alla qualità estetica degli interventi. C’è veramente bisogno di recuperare una cultura (e una pratica) del bello che purtroppo si è perduta nel tempo, e che un singolo intervento, per quanto spettacolare o griffato, non garantisce. Qui l’attenzione alla memoria di questi luoghi, alla loro identità, rivisitata in una chiave moderna e innovativa, salvaguardandone anche gli aspetti ambientali, potrà essere molto utile. Azio Sezzi

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avvenimenti

Iniziative e progetti:

RICORDANDO NILDE IOTTI Tante iniziative nelle settimane scorse hanno ricordato Nilde Iotti, a dieci anni dalla sua scomparsa. Tante ancora se ne stanno organizzando. Vale la pena segnalarle e ricordarle per il loro valore, perchè hanno saputo evitare la retorica e restituire, con intensità e verità, la forza morale, politica ed umana di questa donna, la attualità e modernità del suo pensiero e della sua testimonianza di vita. Ha iniziato l’ANPI nazionale il 28 novembre scorso a Roma, con un affollato incontro (cui hanno partecipato donne di diverse generazioni, anche tante ragazze). L’incontro, dal significativo titolo “Dalla memoria al futuro, ricordando Nilde Iotti”, è stato coordinato da Concita De Gregorio, Direttrice dell’“Unità”. Dopo il lucido intervento di Marisa Rodano sono seguite altre significative testimonianze ed interventi, che hanno posto in evidenza, da diversi punti di vista, il ruolo di Nilde Iotti per la promozione e lo sviluppo dell’emancipazione femminile, per il consolidamento e il rinnovamento delle istituzioni, riflettendo anche su come rilanciare, oggi, il ruolo politico delle donne. E’ stato, infatti, proposto e illustrato da Eletta Bertani il progetto nazionale: “Donne, antifascismo, democrazia: ieri, oggi, domani”, che impegnerà le donne dell’ANPI nei prossimi mesi con una molteplicità di incontri, iniziative, laboratori su tutto il territorio nazionale. Successivamente, il 2 dicembre scor-

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so, alla Camera dei deputati, si è tenuta la celebrazione ufficiale ed istituzionale di Nilde Iotti, presieduta da Gianfranco Fini, con gli interventi di Fausto Bertinotti, Marisa Rodano, Emma Marcegaglia, Giorgia Meloni. Con iniziative l’hanno ricordata anche il gruppo parlamentare del PD e il PD di Reggio Emilia. Di particolare rilievo ed interesse, a Reggio Emilia, la sua città, il programma di iniziative, promosse insieme da Comune di RE, Provincia di RE, Istituto Cervi, Istoreco, ANPI e ALPI. Il vero e proprio “percorso” è iniziato con la manifestazione ufficiale tenuta il 12 dicembre scorso al Museo Cervi, ove, dopo i saluti delle autorità, la figura e l’attività di Nilde sono state ricordate con un approfondita e documentata lezione storica del prof. Giorgio Vecchio e con un importante intervento dell’on. Rosi Bindi. Il programma di iniziative continuerà poi il 6 febbraio prossimo con una tavola Rotonda in città, rivolta alla cittadinanza ed in particolare agli studenti delle scuole

superiori, nella quale, dopo la proiezione di un documentario prodotto dalla Fondazione della CD, sono previste diverse testimonianze tra cui quelle di Albertina Soliani e di Livia Turco. Nel pomeriggio si farà il punto dello stato della ricerca e dell’approfondimento storico sulla Iotti. Sono inoltre previste, entro aprile 2010, l’intitolazione a Nilde Iotti della Sala dei professori del Liceo “Matilde di Canossa”, di cui è stata allieva, e la presentazione a Cavriago dello spettacolo del Teatro dell’Orsa a lei dedicato. Il programma delle celebrazioni si concluderà il 10 aprile in Sala del Tricolore, luogo simbolico perchè Nilde vi ha iniziato la sua attività politica nel ’46 come Consigliere comunale. Vale la pena di segnalare che, anche come effetto di questo lavoro, sta forse accadendo qualcosa di nuovo tra le generazioni più giovani. Mi riferisco alla vera e propria “scoperta” di Nilde Iotti da parte di giovani artiste ed intellettuali che (come Monica Morini del Teatro dell’Orsa o come Paola Cortellesi)


avvenimenti

hanno prodotto spettacoli a lei dedicati o a registe, come Paola Barbaglia, che hanno realizzato video e documentari; alle tesi di laurea o ai saggi di giovani studiose, ai progetti di studio di alcune scuole superiori, o alle pubblicazioni appena uscite (vedasi La ragione e il sentimento: ritratto di Nilde Iotti di Gian Carlo Settimelli editore Castelvecchi) o ad altre monografie sulla Iotti in via di elaborazione. Un contributo significativo alla comunicazione è anche testimoniato dall’inserto speciale del nostro “Notiziario” del dicembre scorso. Di particolare significato poi, per le prospettive che potrà aprire, il progetto di grande rilievo culturale, annunciato da Livia Turco di recente sull’“Unità”, di una Fondazione intitolata a Nilde Iotti, “per promuovere i talenti delle giovani donne e collegare il passato al futuro”. Di questa proposta avremo senz’altro modo di parlare ancora. Ricordo, infine, il già citato progetto nazionale dal significativo titolo: “Donne, antifascismo e democrazia: dalla memoria al futuro, ricordando Nilde Iotti”, lanciato dalle donne dell’ANPI il 28 novembre scorso a palazzo Valentini a Roma. Un progetto che intende tenere assieme la memoria storica e la riflessione sul cosa fare oggi, individuare obiettivi, forme di reazione e di risposta alla messa in discussione di diritti e libertà. Un progetto che vuole suscitare speranza e fiducia nella forza della partecipazione e dell’assunzione di responsabilità. Non è forse questa, recuperare la memoria storica e la voglia di “esserci” nel presente, la sfida più importante da raccogliere e il modo concreto con cui si contribuisce a costruire il futuro ed insieme si recupera il senso vero della testimonianza che Nilde ha lasciato a tutti noi? Eletta Bertani

Tutte le foto sono di Ravagli e sono statte scattate nel corso del convegno “Donne, antifascismo e democrazia: dalla memoria al futuro, ricordando Nilde Iotti”, svoltosi il 28 novembre scorso a palazzo Valentini a Roma. Foto in alto a sinistra: Da destra Wladimiro Settimelli, direttore di “PATRIA indipendente”; la seconda signora è Daniela Brancati e poi Giuliana Sgrena del “Manifesto” Foto in alto a destra: Eletta Bertani e Livia Turco

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avvenimenti PRANZO DI FINE ANNO

DELL’ANPI DI CASTELNOVO MONTI Martedì 15 dicembre, nei locali del Circolo ricreativo sociale di Castelnovo Monti, si è svolto il tradizionale pranzo di fine d’anno organizzato dall’ANPI locale. Questa volta c’è stata una innovazione nel senso che alla simpatica tavolata sono stati invitati (ed hanno partecipato) ben cinque operatori sanitari che hanno fornito notizie importanti ai convenuti sui temi della salute. Eccone i nomi: i medici Hal Allalabi, Vezzosi e Tirelli, dell’Ospedale Sant’Anna; lo psichiatra Galluccio ed il farmacista Francesco Tondelli. Dal canto loro Giuseppe Battistessa e Giacomo Notari hanno rivolto parole di saluto e di auguri ai convenuti (una cinquantina) e di ringraziamento ai sanitari. Nelle foto, due momenti della bella iniziativa.

FESTE TESSERAMENTO ANPI provinciale 2010

PRANZI Dom. 24 gennaio 2010 al CENTRO SOCIALE ROSTA NUOVA pranzo ore 12:30 Centro sociale Rosta Nuova 0522 558766

Dom. 24 gennaio 2010 al circolo CENTRO INSIEME pranzo ore 12:30 Bar centro Insieme 0522 287922

Dom. 7 febbraio 2010 al CENTRO SOCIALE VENEZIA pranzo ore 12:30 Bar Venezia 0522 553501

Dom. 14 febbraio 2010 al CENTRO SOCIALE IL CARROZZONE pranzo ore 12:30 Centro sociale Carrozzone 0522 381412

Dom. 21 febbraio 2010 al CIRCOLO SPORTIVO SESSO pranzo ore 12:30 Bar CIRCOLO sportivo 0522 531511

SERATE Mercoledì 10 febbraio 2010 ore 20:30 presso il CIRCOLO ARCI FUORI ORARIO – Taneto di Gattatico Festa ANPI GIOVANI – “A cena con…. MONI OVADIA” . per informazioni tel. Uffici ANPI 0522 432991 dalle 8,30 alle 12,00 dal lunedì al venerdì Foto di Giuseppe Morelli 20 gennaio-febbraio 2010

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cultura

“Figlio della seconda guerra mondiale”... Il nuovo libro dello storico Leonardo Paggi, Il “popolo dei morti”. La repubblica italiana nata dalla guerra (1940-1946) “Figlio della seconda guerra mondiale”: saranno in molti, fra i lettori del “Notiziario”, a riconoscersi in questa formula. In qualche modo essa dovrebbe valere – nella storia e nella memoria famigliare – anche per i lettori più giovani: i figli (o i nipoti) dei figli. Tale carattere attribuisce a sé Leonardo Paggi, riprendendo l’espressione da Amelia Rosselli, nel suo Il “popolo dei morti”. La repubblica italiana nata dalla guerra (1940-1946), ed. il Mulino. E’ questa la ragione “soggettiva” della ricerca, mentre è in una sollecitazione di Calamandrei, riguardo alle vittime tutte della guerra, al “popolo dei morti” appunto, che si trova la sua ragion d’essere propriamente storiografica. E’ un libro importante, di cui vorrei caldeggiare la lettura, senza la pretesa di farne una recensione, che aspetto da storici veri e qualificati. Qui vorrei limitarmi a sottolinearne l’utilità per quanti provano fastidio di fronte la bassezza di un certo “uso”, o meglio, distorsione politica della storia (la nostra storia), sia che provenga da mediocri voci provinciali, sia che si presenti come forma “alta” di revisione delle presunte “vulgate” o delle non ben identificate interpretazioni “ufficiali”. In effetti converrebbe utilizzare, per questi veri e propri atti propagandistici, non già il termine improprio di “revisionismo” (è ben noto che il sapere storico non è mai dato una volta per tutte, e che la ricerca per sua natura è anche revisione) ma quello più appropriato di “rovescismo”, proposto in modo convincente da Angelo D’Orsi. Il merito principale del lavoro di Paggi è di far uscire il discorso dalle condizioni asfittiche e abbastanza ripetitive in

cui, anche con le migliori intenzioni, ci si trova costretti dalla riproposizione di vecchie tematiche alla Pisanò presentate come verità sinora occultate e finalmente giunte alla luce. Per non parlare della ormai stantia retorica dei “ragazzi di Salò”, di matrice politica, ahimè, anche bipartisan. Perché il libro è veramente nuovo, ed è impossibile leggerlo senza mettere in gioco parecchie nostre abituali rappresentazioni. Intanto abbiamo un rilevante allargamento delle fonti (in particolare agli archivi comunali) e della bibliografia, strumenti decisivi soprattutto per affrontare uno dei temi più importanti (forse il più interessante e centrale) del libro: i bombardamenti, lo sfollamento, l’abbandono a sé dei cittadini, che faceva cadere la maschera del velleitario bellicismo fascista, rivelatosi incapace di proteggere la popolazione. A quella popolazione Paggi restituisce voce e ruolo di sofferente attore della tragedia, rivelando tutta l’inadeguatezza dei discorsi, sia pure “autorevoli”, sulla cosiddetta “zona grigia”. Ma Paggi interroga anche la cultura, ne mette in rilievo il valore di testimonianza, ricorrendo ai poeti (Montale, Sereni, Zanzotto), come portatori del segno dei tempi. Più in generale, è fortissima in filigrana la presenza dei grandi nomi della letteratura e della filosofia contemporanea (si scorra l’indice dei nomi per accorgersene), peraltro quasi non avvertita durante la scorrevole lettura. Una presenza necessaria per intendere a fondo il senso della guerra totale, quella che “travolge ogni distinzione tra combattenti e non combattenti”. Avendo la guerra totale come orizzonte,

lo stesso discorso sui “venti mesi” prende un’altra piega. Né il 25 luglio né l’8 settembre sono inizi assoluti. E nemmeno inizi della svolta, che va piuttosto retrodatata agli ultimi mesi del 1942. Una datazione che contrasta non soltanto col vissuto esistenziale dei vari Vivarelli e Mazzantini (autoassolutorio ed autoapologetico), ma anche “con l’assunto fondante della tradizione antifascista”. Assieme alla dimensione temporale, anche quella spaziale deve essere riconsiderata. La terribile novità della guerra aerea, per esempio, viene esaminata in un’ottica planetaria, senza ignorare gli aspetti di intenzionale terrorismo presenti su entrambi i fronti (non esenti da esso, dunque, le rooseveltiane “ali della democrazia”). Questa sottolineatura, conduce a sua volta ad un’ulteriore riflessione su un altro aspetto dell’antifascismo, la difficoltà di comprendere sino in fondo la “tortuosa” via attraverso cui avviene il distacco della popolazione dal fascismo (in cui le traversie quotidiane e la minaccia della violenza aerea giocavano un ruolo decisivo). Sulla scorta di un Calmandrei ben diverso dall’immagine riduttiva di celebratore un po’ retorico della Resistenza, Paggi dunque mette in rilievo – in questo libro che definisce “autobiografico” – il “nuovo protagonismo popolare che ha le sue origini nelle enormi deprivazioni causate dalla guerra”. Ed è in questa prospettiva che “la nostra esperienza nazionale diventa comparabile, senza perdere niente della sua inconfondibile peculiarità, con quella europea”. Ettore Borghi

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cultura

Sulle tracce di

FENOGLIO E PAVESE

Una Passeggiata Resistente, organizzata dall’associazione culturale “Materiale Resistente” in collaborazione con la sezione ANPI di Correggio, ISTORECO e ISRAT Tu non sai le colline dove si è sparso il sangue – ha scritto Cesare Pavese, il cantore delle Langhe. E Beppe Fenoglio, altro figlio di quella terra, l’ha chiamata “la nostra grande madre Langa, con la sua terra, la sua pietra e il suo bosco”. Due autori sulle cui tracce nello scorso settembre si è svolta la Passeggiata Resistente, organizzata dall’associazione culturale “Materiale Resistente” in collaborazione con la sezione ANPI di Correggio, ISTORECO e ISRAT: quest’ultimo è l’Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea di Asti presieduto da Mario Renosio, gentile e fedele accompagnatore nei nostri giorni “resistenti”. Il venerdì sotto sera si parte da Reggio. La meta è l’ostello Pacha Mama, nel Parco Naturale di Rocchetta Tanaro. Arriviamo che è notte e il silenzio è inusuale per chi viene da scuola o dall’ufficio: l’accoglienza è quella giusta per una comitiva di emiliani e il luogo è da segnalare per la quiete in un angolo di mondo tra le colline e la luna che ci fa strada. Il mattino si riparte in pullman. È una giornata splendida, che anche le guide dell’associazione fenogliana “Il Pavaglione”, mentre ci portano lassù, ci dicono rara. E la passeggiata comincia. 22 gennaio-febbraio 2010

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Un primo percorso tra i nocciòli ed eccoci alla Cascina Langa, quella che “i partigiani la sfruttano sin dal gennaio ’44. Un rustico, un civile e un portico che chiudono per tre lati la vastissima aia. Il quarto lato sarebbe schermato da un filare d’alberi d’alta collina, ma vedi da qui lo stesso la pianura e le Alpi” – scrive Fenoglio negli Appunti Partigiani. Oggi i partigiani del capitano Nord e il partigiano Johnny (quello che “i piedi lo portavano alla Cascina della Langa”) non ci sono più, la Cascina è privata e c’è persino un ristorante di lusso: e la proprietaria ci guarda un po’ male, mentre giriamo nell’aia e ci riempiamo gli occhi “della pianura e delle Alpi”. “Chi non conosce, chi non è mai stato a Cascina della Langa – è ancora Fenoglio – vuol dire che di queste Langhe lui non può parlare”. Noi ci siamo stati, l’abbiamo vista e ora ci sentiamo un po’ più autorizzati a continuare. Ci rimettiamo in marcia sul sentiero tra i boschi e arriviamo al Pavaglione, la cascina in cui Fenoglio ha ambientato La malora, con la storia del ragazzo Agostino venduto “per sette marenghi l’anno” come servitore. Il Pavaglione è stato restaurato e oggi è adibito a incontri e attività culturali: due sale, una biblioteca con tutto Fenoglio e tutto Pavese e tante

opere su di loro. Era una cascina e oggi è un luogo “letterario”, ma è anche un luogo dell’anima, una tappa obbligata per chi cerca di capire le Langhe. Poi di nuovo in cammino, mentre le colline gonfie di vigne ci fanno compagnia. E infine eccoci a Santo Stefano Belbo, il paese che ha visto nascere Pavese. Nella casa natale ci attende Luigi Gatti, il presidente del Centro pavesiano e Museo casa natale: è lui a raccontare di quel ragazzo che qui è nato e poi se ne è andato a Torino, poi al confino in Calabria, e ogni tanto tornava quassù a parlare col Nuto de La luna e i falò. Sì, perché – e lo dice Pavese – le Langhe non si perdono. Qui però c’è rimasto ben poco: il letto in cui nacque, un lavabo, un vecchio comò. Alle pareti le foto d’infanzia e copie dei manoscritti, mentre sul balcone c’è un anziano signore che vendemmia: sì, qui la vite si inerpica fino al balcone della stanza natale, quasi a segnare un destino fatto di carne, di terra e di vigne, di sangue e di colline, quelle che adesso “sappiamo”. Domenica 6 settembre è la Giornata europea della cultura ebraica e ci attende Asti, con la sua Sinagoga, il Museo multimediale Una finestra sulla storia e la mostra Asti in guerra: immagini nuove, ma simili a tante già viste, perché la guerra, il fasci-


Tu non sai le colline dove si è sparso il sangue – ha scritto Cesare Pavese, il cantore delle Langhe.

smo e il razzismo hanno la stessa faccia dovunque. Oggi però, dopo aver visto le Langhe e percorso il sentiero del partigiano Johnny, c’è un sapore diverso e più amaro e una rabbia più forte, che ancora si chiama “Resistenza”. Antonio Mammi

Gabriele Tesauri (attore) legge Fenoglio ai partecipanti che hanno raggiunto il Pavaglione, altro luogo fenogliano, sul “sentiero del Partigiano Johnny”

cultura Foto del gruppo dei partecipanti alla “Passeggiata resistente nelle Langhe e in Asti”, alle spalle della fenogliana Cascina della Langa

Foto: Alessandra Fontanesi Coordinamento del viaggio: Alessandra Fontanesi (Istoreco) – Mario Renosio e Nicoletta Fasano (Israt) – Ass. cult. Materiale Resistente Correggio. In collaborazione con Anpi Correggio

La casa di Cesare Pavese, è visibile la lapide con la sua ultima celebre frase dal diario in data 16 agosto 1950 “La mia parte pubblica l’ho fatta – ciò che potevo. Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti”

Visita la museo ebraico e sinagoga di Asti, dove trova posto anche il piccolo e funzionale Museo di storia contemporanea creato dall’Istituto storico di Asti, di spalle la nostra guida Nicoletta Fasano

Indicazioni e segnaletiche accompagnano i visitatori sui luoghi della Resistenza nella langa narrata da Beppe Fenoglio

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cultura

L’ANPI di Correggio promuove

attività didattiche relative alla lotta al nazifascismo e alla Costituzione italiana Al bando hanno risposto: la Scuola statale infanzia “Collodi”, la Scuola media statale “A. Allegri” di San Martino in Rio, il Convitto nazionale statale “Rinaldo Corso, il Liceo classico statale “Rinaldo Corso”, l’Istituto agrario “Motti”. Tra gli obiettivi principali e necessari della nostra associazione, vi è quello del mantenimento di un rapporto costante con la scuola. Luogo di formazione, momento fondamentale di educazione, di formazione, confronto con gli altri e presa di coscienza del proprio essere. Come sappiamo la scuola è anche quel luogo in cui la storia e di conseguenza la memoria (e viceversa) sono oggetto di diverse visioni, di diverse interpretazioni e spesso di tensioni. Il filo diretto tra ANPI e istituzione scolastica è vitale affinchè l’esperienza della Resistenza diventi finalmente un bene condiviso da tutti gli italiani e quale momento migliore se non quello scolastico in cui è possibile lasciare qualche traccia da seguire insieme alla maturazione dell’individuo? E’ una stimolazione che deve essere costante e puntigliosa, un’ opera composita che insieme alla lotta di liberazione, deve considerare la conoscenza e la protezione della costituzione. Valori che anche in ambito scolastico sono passibili di riletture, cancellazioni

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scientifiche e dimenticanze spesso volute da disegni politici strumentali. L’ANPI di Correggio, da sempre porta avanti una proficua collaborazione con gli istituti del proprio territorio e negli anni ha cercato di trovare nuove forme per incontrare docenti e studenti. Incontri con ex-partigiani, proiezioni di film, organizzazioni di viaggi a tema, discussioni aperte con le classi, progetti più elaborati come raccolte di testimonianze concretizzatesi poi in libri. Per il 2009 è stato inviato un bando a tutte le scuole, da quelle dell’infanzia a quelle superiori, in cui si offriva l’opportunità di usufruire di contributi economici per progetti legati a viaggi della memoria, conoscenza e divulgazione degli articoli della costituzione, ricerche e approfondimenti sulla resistenza e la lotta partigiana. La somma disponibile è stata precedentemente raccolta attraverso lo stand del gnocco fritto che, grazie al prezioso supporto del gruppo di volontari, ci ha poi permesso di destinare sostanziosi supporti ai progetti pervenuti e valutati dal nostro direttivo. Al bando hanno risposto i seguenti istituti: la Scuola statale infanzia “Collodi” con un iniziativa sulla costituzione italiana, la Scuola media statale “A. Allegri” di San Martino in Rio con il progetto “Conoscere per non dimentica-

re”, il Convitto nazionale statale “Rinaldo Corso” con un “Viaggio della Memoria” destinazione Cracovia/ Auschwitz, il Liceo classico statale “Rinaldo Corso” con “Introduzione alla costituzione repubblicana”, l’Istituto agrario “Motti” con un viaggio della memoria in Germania. L’erogazione del contributo, vincolata all’effettuazione dell’attività descritta nella richiesta, è avvenuta a consuntivo previa presentazione di succinta documentazione e rendicontazione dell’attività svolta. E’ stato inoltre possibile, su richiesta motivata, in casi eccezionali da valutare singolarmente, l’anticipazione della somma prevista, in parte o per intero, secondo modalità da concordare successivamente. Crediamo che il buon successo e le risposte ricevute possano essere di buon auspicio per ripetere e rilanciare nei prossimi anni. Questo per rendere l’ANPI attiva e capace di controbattere positivamente alle impegnative lotte culturali che ci attendono. Fabrizio Tavernelli

Da sinistra: Avio Pinotti, ANPI di Correggio, Artullo Beltrami ex partigiano, Matthias Durchfeld, Istoreco, nel dicembre scorso, all’Istituto agrario “Motti” di Correggio


MEMORIA DELLA SHOAH:

cultura

LA NOTTE DI WIESEL

NELLA NOTTE E NEBBIA DELL’EUROPA Primi anni Ottanta. Giorgio Perlasca con la moglie in Sala del Tricolore dove venne accolto e onorato

Mentre stiamo preparando questo numero del “Notiziario” siamo in gennaio ma ancora abbastanza lontani del giorno 27, dedicato al ricordo della Shoàh, la “distruzione” degli Ebrei d’Europa da parte dei nazisti e dei vari fascismi, a partire da quello italiano, asserviti ad Hitler. Anche se, giustamente, ogni volta si associano nel ricordo tutte le vittime delle persecuzioni e delle deportazioni: Zingari, Testimoni di Geova, Omosessuali, Oppositori politici. Mentre scriviamo, conosciamo soltanto una delle iniziative previste a Reggio città: la lettura-staffetta del libro di Elie Wiesel La Notte, che si terrà nella giornata di domenica 24. Si tratta di uno dei testi più sconvolgenti sul tema e meriterà di essere preso in mano da quanti più lettori possibile anche dopo la staffetta del 24. Eliezer (questo il suo nome originario) Wiesel, è nato nel 1928 in Romania, dunque in un lembo di quell’area centro orientale dell’Europa che registrava la più grande presenza ebraica. Si trattava degli ebrei ashkenaziti, la stragrande maggioranza delle vittime di uno Sterminio che fu così anche distruzione di una affascinante cultura: dalla spiritualità chassidica, alla letteratura yddish, alla musica klezmer. Una cultura che oggi, in Italia, è fatta rivivere dalle straordinarie qualità artistiche di Moni Ova-

dia. Eliezer fu deportato assieme ai suoi familiari: Birkenau, Auschwitz, Buna, Buchenwald furono le terribili tappe lungo le quali passarono per il camino suo padre, sua madre e la sorella minore. Sopravvissuto alla tragedia, ed anche ad una delle terribili selezioni del dott. Mengele, Eliezer visse in Francia, dove abbreviò il suo nome in Elie, e compì gli studi fino all’Università (Sorbona). Soltanto nel 1958, su impulso di François Mauriac, pubblicò il libro basandosi anche su una serie di appunti che era riuscito a fissare su fogli di carta durante la terribile esperienza concentrazionaria. Terribile al punto da fargli perdere la fede dei padri. Di fronte alle atrocità di cui fu testimone credette di sentire la “morte di Dio”. Anche se poi tornò, se non alla fede, alla saggezza antica dei grandi maestri dell’ebraismo, come avemmo occasione di ascoltare dalla su viva voce tra gennaio e febbraio del 2000, con le Riflessioni sul Talmud esposte nell’Aula di Santa Lucia, a Bologna (poi in volume ed. Bompiani, 2004). Insignito del Premio Nobel per la Pace nel 1986, Wiesel nel 1987 diede vita ad una Fondazione “per far progredire la causa dei diritti umani e della pace nel mondo”.

I Giusti fra le Nazioni Come è noto lo Yad va-Shem (Segno e Nome, cioè “Memoriale” degli Ebrei sterminati) di Gerusalemme, attribuisce il titolo onorifico di “Giusto fra le Nazioni” a quanti, non ebrei, hanno salvato la vita di ebrei durante gli anni delle persecuzioni. “Chi salva una vita salva il mondo”, come leggiamo sulla medaglia di Giusto attribuita alla memoria di don Enzo Boni Baldoni. E non fu l’unico reggiano ad avere aiutato ebrei a rischio ella propria vita. In Ebrei reggiani tra leggi razziali e Shoàh (“RS”, dicembre 2001) abbiamo illustrato anche l’opera di Teresa Ferrari e della sua

famiglia, a Campagnola, di Ennio Griminelli ed Ester Bruschi, nella stessa Campagnola, di Dorina Storchi a Reggio città, delle famiglie montanare di Costabona che accolsero e protessero i Padoa. E chissà quanti altri casi rimasti sconosciuti. Sconosciuto, per decenni, rimase a livello nazionale quello di Giorgio Perlasca, lo “Schindler italiano” come venne poi definito quando il suo caso assurse a notorietà... Lo citiamo anche perché siamo recentemente venuti in possesso di una fotografia (e ringraziamo Duilia Burani che ce l’ha fatta avere) di Perlasca quan-

do venne accolto nella nostra città, oltre vent’anni or sono, e gli fu consegnato il Primo Tricolore. Nato nel 1910, Perlasca è morto nel 1992. Fascista in gioventù, fu contrario alle leggi razziali del ’38 e non aderì alla RSI. Tuttavia non rinnegò mai nulla del suo passato e probabilmente oggi si riconoscerebbe nel pensiero e nella prassi politica di Gianfranco Fini. Durante la seconda guerra mondiale, in Jugoslavia per lavoro, assiste ai massacri di ebrei operati dai nazisti. Fingendosi diplomatico spagnolo, riuscì a salvare migliaia di ebrei in Ungheria.(a.z.) gennaio-febbraio 2010 25 notiziario anpi


di Massimo Becchi

QUANDO LA NATURA SI RIPRENDE I SUOI SPAZI TRASFORMATE UNA PISTA ABUSIVA IN UNA PARK WAY

L

’andamento climatico di queste ultimissime settimane ha riportato in luce i vecchi problemi che da sempre abbiamo sul nostro territorio, con un appennino franoso e un rischio di inondazione in alcune zone della bassa per effetto delle piene dei fiumi dei torrenti. L’andamento climatico, infatti, ci propone sempre più spesso una situazione di abbondanti precipitazioni a carattere nevoso seguite poco dopo da un innalzamento della temperatura che porta ad un repentino scioglimento delle nevi spesso accompagnato da ulteriori precipitazioni, con conseguente rigonfiamento improvviso dei corsi d’acqua. Circa il 20 percento del territorio collinare e montano dell´Emilia Romagna, e il nostro appennino non fa eccezione, è occupato da corpi di frana di cui circa un terzo attivi o riattivatisi negli ultimi vent’anni. Tale caratteristica condiziona inevitabilmente lo sviluppo urbano e infrastrutturale delle comunità locali, causando diffusi danni ma fortunatamente poche vittime, grazie alla lentezza dei fenomeni franosi presenti nel territorio regionale. Rientra in questo quadro quanto accaduto a gennaio di quest’anno, con una piena del Secchia che ha riportato alla luce il problema di quella viabilità precaria ed insicura che collega il ponte della Gatta con quello del Pianella, erodendo la pista in più punti ed asportandola completamente per parecchie decine di metri. Era già accaduto lo scorso anno con gli eventi meteorologici del 19-21 gennaio, che hanno portato il Secchia ad avere la meglio su questa struttura che in parte occupa il suo alveo. In quest’occasione a Lugo il fiume aveva una portata di 250 mc/sec e a Ru-

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biera all’ingresso della cassa di espansione la portata è stata stimata in circa 700 mc/sec. Evento che mediamente ha un tempo di ritorno di cinque anni, ma che già quest’anno è stato superato. Non si tratta quindi di decidere come regimare un fiume per permettere la costruzione di una pista, ma di lasciare che il fiume si prenda il suo spazio cercando, se possibile, di farvi convivere una struttura viabilistica che possa all’occorrenza essere invasa dal fiume senza subire danni. Gli studi effettuati dal Dipartimento di Scienze ambientali dell’Università di Parma alcuni anni fa avevano già messo in evidenza come fosse molto limitato il traffico degli autoveicoli in quell’area mentre il ben più alto valore geologico ed ambientale gli è stato riconosciuto con l’ingresso nel parco nazionale dell’ Appennino e da numerose pubblicazione. La presenza dei gessi triassici rende unica, infatti, la vegetazione dell’area e gli conferisce delle peculiarità geologiche, legate al diapirismo, ossia il sollevamento di parte dell’alveo del fiume per effetto della spinta dei gessi stessi, che obbliga quindi il corso d’acqua a divagare continuamente fra le due sponde, facendosi gioco delle difese poste a protezione della pista che dovevano difenderla, a detta dei progettisti, da tempi di ritorno delle piene non annuali, come ormai capita, ma venticinquennali, quindi eventi veramente importanti. Ovviamente il Comune di Villa Minozzo non è più in grado di affrontare con le sue finanze questi danni ed il ripristino della pista, il cui costo comunque è giusto che ricada solo sui quei cittadini che l’hanno voluta e non sulla collettività, non essendo una strada, ma solo una

struttura ad uso turistico-ricreativo e per emergenze viabilistiche. Un destino diverso lo si sarebbe potuto avere se la si fosse progettata con lungimiranza. In altre parti del mondo esistono già strutture viarie che vengono temporaneamente chiuse perché sommerse dalle acque, senza per questo essere asportate o danneggiate. Si può realizzare nella valle dei gessi triassici una park-way, ovvero una strada di accesso al parco nazionale che sia costruita per resistere alle piene, con un profilo basso rispetto all’alveo, più stretta dell’attuale e che impatti meno, ma che in caso di piena possa essere facilmente sommersa senza essere asportata. La chiusura di pochi giorni all’anno a questo punto può essere ben tollerata piuttosto che una pista che deve restare chiusa per settimane prima di poterla ripristinare. L’accesso deve comunque essere consentito gratuitamente solo ai residenti, altrimenti occorre pagare un pedaggio, in modo da evitare che si trasformi in una pista da corsa, come d’estate capita sempre più spesso e che l’impatto dei mezzi di locomozione sia quindi calmierato, rendendo questa una vera porta del parco nazionale. Purtroppo al grido di “poveri noi” di pochi montanari si è preferito dall’allora presidente della provincia Ruini fare un’opera elettorale, che oggi mostra tutti i suoi limiti, senza pensare che non è il fiume a doversi adeguare alla pista, ma viceversa e che l’andamento climatico di questi ultimi anni vede le piogge sempre più concentrate in pochi giorni con effetti immediati sulle portate dei corsi d’acqua.


di Riccardo Bertani

JAKUDI (o YEHUDI) C

osì chiamano se stessi gli Ebrei che alla metà del XIX secolo, provenienti dall’Asia centrale (Iran, Afghanistan, ecc.), vennero ad insediarsi nella regione di Buchara (e per tale motivo sono conosciuti in Occidente quali “Ebrei di Buchara”) per poi espandersi in seguito in altre città dell’Uzbekistan e del Tagikistan, occupandosi in special modo al mercato dei tessuti di seta. Altra occupazione era quella dedicata alla coltivazione del cotone, del tabacco e alla viticoltura. All’inizio del secolo scorso alcuni gruppo di essi migrarono in Palestina, tanto che nel 1914 gli emigranti furono 1500. Tale periodo di emigrazione si protrasse fino all’avvento del potere sovietico, quando gli Jakudi cominciarono ad andare a lavorare nelle fabbriche , e finalmente nel 1940 essi poterono esprimersi nella propria lingua stampando anche libri e giornali. A Samarkanda fondarono addirittura un teatro dove si recitava in lingua “juraki”. Ma tale espansione della lingua e cultura juraki durò ben poco, perché a seguito della pesante campagna di russificazione intrapresa dal regime sovietico, anche la cultura degli ebrei juraki fu completamente repressa. Così dal 1970 in poi si assistette ad una inesauribile emigrazione degli ebrei juraki vero Israele. Il credo religioso professato dagli Juraki è il giudaismo e scarso è stato l’influsso subito dai loro vicini islamici. Il nostro Riccardo Bertani ci ha fatto la gradita sorpresa di una favola corredata di belle tavole a colori di Alfonso Borghi. Qui di seguito pubblichiamo la sua introduzione.

veniva spogliato di tutto, rimanendo metaforicamente solo in pataia, ossia quel rozzo camicione, considerato, un tempo, l’indumento più intimo. Pistigril invece, risultava un gioco di interesse, poiché venivano messi in palio preziosi semi di zucca, che erano l’unica moneta di cui noi bambini potevamo disporre durante l’inverno. Le varie figure delle carte venivano apostrofate in base alle nostre cognizioni dialettali. Per esempio l’asso di coppe, per la sua caratteristica forma veniva denominato al femminile campana o pignàta (campana o pignatta); l’ asso di spade, essendo raffigurato con un putto alato, veniva chiamato per assimilazione angiolein (angioletto) ed a volte anche ozmarein, riferendosi, in questo caso, al serto che avvolgeva il putto, il cui aspetto ricordava i rami sempreverdi del cespuglio di rosmarino, sempre presente dinanzi alle case contadine. L’aquila che rappresentava l’asso di denari, veniva apostrofata con il nome poco aulico di pita, cioè con quello di una stupida tacchina; mentre l’asso di bastoni, per la sua grezza arborea figura, veniva chiamato stangòn (stangone), se non con il dispregiativo metaforico di vigiolòn, con senso di minchione, sciocco. L’immagine di pistigril, cioè il fante di coppe, proviene invece da quel regno lontano e fantastico con il quale, l’iconografia colorata delle carte, faceva sognare noi bambini confusi nell’umida penombra della stalla. Sull’intraducibile nome dato al fante di coppe, non avendo alcuna conferma scritta, si può solo azzardare l’ipotesi che esso sia un relitto dialettale da tempo scomparso che indicava un essere “pestifero” il cui significato, visto in senso figurato, poteva anche essere il nostro esuberante pistigril”.

“Questa fiaba trae origine dai ricordi della mia lontana infanzia, quando nelle fredde e uggiose giornate invernali la gente di campagna era costretta a stare rinchiusa nel caldo della stalla. In quei giorni l’unico passatempo per noi bambini era quello di giocare a carte, appartenenti queste, ad un mazzo sporco e consunto, scartato dagli adulti. A volte nel mazzo mancava una qualche figura, ma si rimediava sostituendo la carta mancante con un semplice cartoncino, magari ritagliato dalla facciata illustrata di una qualche scatola. Il nostro “tavolo” era di solito rappresentato da una larga panca di legno, posta nel luogo più oscuro della stalla, dato che lo spazio più illuminato era riservato alle donne sempre intente a filare, sferruzzare o agucchiare. L’angolo riservato a noi bambini era spesso situato vicino a dove stavano legati alla greppia i giovani bovini. Una volta che me ne stavo seduto tranquillamente a giocare, una manza, scambiando i miei capelli biondo chiari per un ciuffo di fieno, li afferrò e si mise a tirarli; mentre io strillavo dal dolore, tutti gli altri ridevano a crepapelle. I giochi preferiti da noi bambini, perché anche i più semplici, erano quelli denominati pataia e pistigril. Questi erano due giochi ai quali partecipavano indistintamente maschi e femmine: il primo aveva solo scopo di divertimento, dato che il perdente

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memoria

UN PARTIGIANO DI 15 ANNI

1950. Paolo e il padre Armando “turisti” nella zona di Ligonchio dove furono entrambi partigiani

Il nostro Paolo Attolini, già sul numero precedente, ha pubblicato una paginetta autobiografica relativa a quando, nel 1936 (aveva otto anni,) poté incontrare in carcere, dopo anni di lontananza, il padre Armando, condannato dal Tribunale speciale. Paolo non ci aveva mai detto di essere stato partigiano, un partigiano di 15 anni. Abbiamo pescato la sua scheda di riconoscimento dalla quale risulta la qualifica di “partigiano combattente” inquadrato nella 145a Brigata Garibaldi. Gli abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa della sua esperienza resistenziale peraltro cominciata ben prima, scopriamo, della data (27.09.44) di arruolamento nella 145a. Merita davvero di leggere quanto segue. Aggiungiamo che molti altri potrebbero farci conoscere proprie esperienze relative al periodo della lotta di liberazione inviandoci testimonianze scritte.

28 gennaio-febbraio 2010

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In queste giornate invernali, quando sono in casa casa, mi rammento di episodi di cui sono stato partecipe durante la Resistenza. Debbo precisare subito che la Resistenza a Reggio Emilia ha cominciato a organizzarsi già il 25 luglio ’43, quando si valutò la necessità di preparare bande armate, cosa che poi dopo l’8 settembre si è sviluppata in pieno. Ed il contributo a questo sviluppo è stato ampio, perché le prime squadre partigiane non avevano bisogno soltanto di armamenti, ma anche di vettovagliamento. A ciò contribuirono i contadini con maiali, frumento e mais. Se ne ricavavano insaccati, farine e pasta. Io, che avevo allora sui 14-15 anni, andavo in giro con uno di quei carriolini attaccati alla bicicletta a prendere tali derrate nei luoghi di produzione e compivo così la prima frazione di una staffetta che avrebbe fatto giungere il tutto dalla pianura ai partigiani della montagna. Un giorno ero andato a Roncocesi a prendere della pasta e, nel ritorno, arrivato sulla Via Emilia nei pressi del ponte sul torrente Modolena, notai una casa contadina che bruciava. Non ci feci caso perché il mio compito era di portare a destinazione ciò che avevo raccolto. Perciò imboccai la Via Emilia in direzione della città e via pedalando velocemente. A Villa Pieve Modolena incappai in due posti di blocco della Brigata nera, ma non dissero niente e mi lasciarono passare senza storie. Grande fu però la mia sorpresa apprendendo, il giorno dopo, che avevo attraversato indenne un rastrellamento, forse a causa del mio aspetto di ragazzino. Altri episodi singolari li ho vissuti anche in montagna, a Montecagno dove aveva sede il comando della 145a Brigata Garibaldi. Tengo a precisare che ero studente dell’ITI (Istituto tecnico industriale) e che pertanto non frequentai l’anno scolastico 1944-45. Un giorno mi ordinarono di portare un dispaccio al distaccamento con sede a Minozzo. Non riesco ancora a spiegare fino in fondo quale fu la mia sorpresa quando, arrivato a Minozzo, consegnai il dispaccio alla professoressa Crotti, che era la mia insegnante di matematica all’ITI. Mi resi conto che non avevo marinato la scuola soltanto io. Anche i rapporti con gli abitanti del paese di Montecagno erano ottimi. Un giorno una famiglia mi invitò a mangiare qualcosa.

Mi fecero assaggiare un una na fetta di polenta di farina di castagne fritt fritta ta su lardo tritato e servita ricoperta dallo stesso lardo. Mi ricordo che la pietanza m mi gustò molto e mi chiedo come mai non vengano serviti anche oggi questi piatti della tradizione montanara nelle trattorie del posto. Al comando di brigata avevamo poi il forno per il pane. Il personale addetto alla produzione del pane era… altamente specializzato: il fornaio era un dipendente delle poste ed il garzone ero io, studente dell’ITI. Mi ricordo di aver “gramolato” non so quanto impasto. Ad ogni modo la mia muscolatura si rinforzò notevolmente. Va però detto che non ci sono mai stati reclami circa la qualità del pane o per eventuali disturbi intestinali. Penso però che l’episodio più inverosimile mi sia capitato a Ligonchio, dove il comando di brigata si trasferì ai primi di aprile ’45, in ragione dell’attacco tedesco teso a far saltare la locale centrale idroelettrica. A causa di tutti i viaggi a piedi fatti sia di giorno che di notte io ero stanco morto per cui, dopo aver pranzato, il commissario Nino (Avvenire Paterlini) mi disse di andare a dormire in una stanza al piano superiore dell’edificio in cui eravamo acquartierati. Salii e mi trovai in un locale privo di mobili ma con un soffice strato di paglia sul pavimento. Da un lato notai tre partigiani russi della squadra sabotatori “Cane Azzurro” che dormivano beatamente. Seguii il loro esempio sdraiandomi sul lato opposto e di colpo mi addormentai. Ad un certo punto fui svegliato da un rumore, guardai i tre russi e notai che non si erano nemmeno mossi. Pensai perciò di aver avuto una allucinazione sonora, mi girai sull’altro fianco e mi riaddormentai. Verso sera mi vennero a svegliare perché dovevo portare in centrale un dispaccio che doveva essere trasmesso telefonicamente al Comando unico in Val d’Asta. Colui che mi consegnò il dispaccio mi avvertì di fare attenzione perché sulla strada c’erano dei proiettili di artiglieria inesplosi. Io chiesi ingenuamente chi ce li aveva messi; mi rispose che per tutto il pomeriggio i tedeschi avevano cannoneggiato Ligonchio con cannoni situati a Piolo, sull’altro lato del torrente Ozola. Davvero pesante il mio sonno in quel gennaio del ’45! Ma avevo compiuto 16 anni due mesi prima, il 15 novembre ’44. Paolo Attolini


memoria

In memoria di Paolo Davoli, Sertorio (25.09.1900-28.02.1945) Testimonianza di Paulette Davoli

L’ULTIMA VOLTA CHE VIDI IL MIO EROICO PADRE

25 aprile 1999. Paola alla manifestazione commemorativa portando con fierezza la medaglia del Padre

La vigilia di Natale col cuore pieno d’amore e di gioia andai alle carceri per portare i tortellini a papà. Avevo fatto un pacco speciale, con bella carta da regali. Alla vista di quel pacco, il carceriere fece un’esclamazione e, anziché aprire solo lo sportello, aprì anche il portone facendomi entrare sulla soglia. Prese il pacchetto e chiamò altri militi fascisti dicendo: “Guardate che bel pacco ci ha portato oggi questa biondina!”, e così dicendo aprì il pacchetto. Alla vista dei tortellini tutti si fecero avanti e in un istante se li mangiarono tutti quanti. Mi dissero grazie con atteggiamento canzonatorio, poi rudemente fui spinta fuori con disprezzo. Fu per me una cosa atroce, avendo essi ucciso, in quel modo, i miei tortellini e, insieme, qualcosa dentro di me. [...]. Poi venne quel tanto atteso giorno in cui venne concesso il sospirato permesso. Al pensiero di rivedere il mio adorato genitore sentii in me un forte malessere, quasi le gambe non mi reggevano. Fummo accompagnate, la nonna ed io, da quattro briganti di Villa Cucchi. Ricordo solo il nome e la figura dell’Olmi. Forse perché cammin facendo solo con lui si colloquiò. Ci portarono alla caserma Muti dove papà era ricoverato e che era adibita ad infermeria. La nonna cercò di parlare con quei quattro. Essa più di me era ottimista. Pensava che se al suo amato figlio avevano curato la gamba significava che non c’era l’intenzione di ammazzarlo, altrimenti, diceva, non c’era scopo nell’averlo operato […]. Io invece non mi sentivo tanto rassicurata per questo. La nonna espresse i suoi pensieri all’Olmi, che si capiva essere il capo “Vedremo, vedremo”, rispose Olmi. La nonna prese coraggio e continuò: “Beh, io ci spero, e poi sa, se anche mio figlio avrà una sola gamba per il suo mestiere [di sarto] gli basterà”. “Cara la mia donna – replicò l’Olmi con

Pubblichiamo alcuni stralci, tratti da un più ampio memoriale, in cui Paola Davoli racconta gli ultimi momenti passati col padre Paolo, l’eroico Sertorio, che sopportò atroci torture a Villa Cucchi venendo in fine fucilato, con altri sette patrioti, il 28 febbraio 1945 in comune di Cadelbosco, lungo la strada per Gualtieri. Nato a Reggio il 25.09.1900, Paolo Davoli fu tra i fondatori del PCd’I nel 1921. Esule in Francia dal 1924, assieme a Cesare Campioli e altri “fuorusciti” diede vita, nel 1936, alla Fratellanza reggiana di Parigi. Rientrato in Italia nel 1941, fu artefice della riorganizzazione del PCI clandestino nel Reggiano e componente di quel gruppo di una sessantina di comunisti reggiani reduci dalle galere fasciste e dall’esilio, che diedero inizio alla Resistenza nella nostra provincia. Fu decorato di Medaglia d’argento al v.m. alla Memoria.

fare più sgarbato – non è detto che vostro figlio la passi poi così liscia. Lui è un capo comunista per cui ha tanti conti ancora da fare con noi”. Parole che mi raggelarono il sangue ma stranamente, anziché per mio padre, in quel momento sentii tanto dolore e tanta pena per la mia cara nonnina. Alla caserma Muti ci fecero entrare in un salone adibito ad infermeria. Mi guardai attorno in cerca di mio padre ma non riuscii a vederlo. Ad un tratto sentii la sua cara voce chiamarmi con gioia “Paulette!”. Mi voltai e guardai incredula il mio amato padre. Fu straziante. Era irriconoscibile, non mi pareva vero fosse lui. Lo riconobbi solo dal suo sorriso, unico tratto rimasto tale e quale. Anche se troppo grande in quel viso scarnito. Pure gli occhi erano diventati troppo grandi, parevano uscire dalle orbite, ed erano spenti, senza luce. I suoi capelli neri erano diventati quasi completamente bianchi. Nella scollatura della camicia, ch’egli si affrettò ad abbottonarsi, feci in tempo ad intravedere sul suo petto numerose ferite e profonde cicatrici. Questo e altro era ciò che gli avevano fatto. Mi gettai nelle sue braccia ma un po’ titubante nel timore di fargli male. Tra le sue braccia, mentre mi baciava e mi accarezzava ero soltanto capace di piangere. Invece di essere io a incoraggiare lui, era lui ad farmi coraggio. Mi disse: “Non piangere Pulona, stai tranquilla, vedi, io sto bene”. Volli vedere la sua amputazione. Mostrandomi il moncherino mi disse: “Vedi Paulette, sono quasi guarito, però ogni giorno cerco di nascosto riaprirmi la ferita per prolungare qui il mio fermo”. Seduta sull’orlo del letto lo guardavo e lo ascoltavo meravigliata di vedere in lui ancora tanta calma e serenità. Ad un tratto mi si avvicinò e mi chiese a bassa voce: “Paulette, lo sai a che punto è la lotta partigiana?” Forse lui nutriva la spe-

ranza che la guerra potesse finire presto e in tempo per la sua salvezza. Mi chiese in oltre, con tono di apprensione, se Ernesto Spallanzani, il campanaro di Cavazzoli, era riuscito a mettersi in salvo. Si vede che papà aveva saputo qualcosa della vicenda anche stando in carcere. Io sapevo che Spallanzani era stato fucilato e sentirne parlare da mio padre come se fosse vivo, quella domanda mi fece uno strano effetto. Sentii un brivido nella schiena, per un attimo rimasi perplessa, ma immediatamente mi ripresi e istintivamente risposi: “Sì, sì, è andato tutto bene e ora si trova sano e salvo in montagna”. Rimasi sorpresa di me stessa per essere riuscita a mentire così bene. Mio padre, che mi guardava e aspettava col fiato sospeso la risposta, al mio sì fece un lungo sospiro di sollievo,sorrise e si diede una sfregatina di mani […]. Di quell’ultimo incontro con mio padre non scorderò mai il suo coraggio, la sua serenità e il grande senso di altruismo che ancora manifestava. […] Come si sa, mio padre poco tempo dopo fu rinviato ai Servi, nuovamente torturato e poi barbaramente trucidato. Nella notte del suo martirio e nel medesimo istante in cui venne ucciso, io mi svegliai di soprassalto, urlando e provocando un grande spavento ai nonni. Avevo fatto un orribile sogno. Bibliografia A.Z., Paolo Davoli nelle lettere dall’esilio e nei documenti di polizia, in “Ricerche storiche”, n. 35/36, dic. 1978 A. Canovi (a cura di ...), L’orma di Paolo, Comune di Reggio E. e III Circoscrizione, Reggio Emilia, 1991

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memoria 28 DICEMBRE

SOLENNE COMMEMORAZIONE DEL SACRIFICIO DEI FRATELLI CERVI E QUARTO CAMURRI

Omaggio alla lapide in memoria di Quarto Camurri nel cimitero di Guastalla

Il 28 dicembre u.s. si è rinnovato l’omaggio alla memoria dei sette fratelli Cervi e di Quarto Cimurri nel 66° anniversario della loro fucilazione. Dopo l’omaggio alla tomba di Camurri, nel cimitero della natìa Guastalla, e quello alla tomba dei Cervi, a Campegine, si è svolta la cerimonia presso il Poligono di tiro, dove si sono svolte le orazioni. L’on. Maino Marchi ha affermato tra l’altro “Non siamo qui per un rito formale, ma per omaggio alla lotta di un popolo e a una memoria che qualcuno vorrebbe cancellare”. Le commemorazioni si sono poi concluse a Casa Cervi, dove, dopo l’intervento di Rossella Cantoni, Presidente

Cimitero di Guastalla. Da sinistra, Francesco Bertacchini col Medagliere dell’ANPI, il Sindaco Giorgio Benaglia, la sen. Albertina Soliani e, sulla destra, i nostri Bruno Menozzi e Paolo Borciani

30 gennaio-febbraio 2010

notiziario anpi

dell’Istituto Cervi, la presidente della Provincia Sonia Masini ha sottolineato come “ora la memoria rischi di affievolirsi” e ha denunciato “il rischio di degrado storico e culturale” che stiamo correndo nella fase attuale della vita politica nazionale. Dopo brevi interventi della vice sindaco di Reggio Liana Barbati ha svolto il suo intervento il nostro presidente Giacomo Notari che ha esordito ricordando l’impegno che aveva mentalmente preso nel 2002, di custodire il patrimonio morale trasmesso dai tanti resistenti che, come i Cervi, ci hanno lasciato. “Oggi possiamo dire – ha affermato Notari – con misurato orgoglio, che molto cammino si è compiuto. Dopo oltre sessant’anni di pace e libertà democratiche avere un’associazione partigiana antifascista come l’ANPI, articolata anche nelle regioni meridionali, costituisce una garanzia, di fronte ai propositi di modifiche costituzionali tali da travolgere gli argini che garantiscono il sereno svolgimento della vita democratica”. Oggi nell’ANPI abbiamo anche tanti giovani, “nuovi partigiani”, impegnati nell’azione culturale per sconfiggere le paure artatamente fomentate da forze eversive come la Lega Nord e altre. Dall’eredità che abbiamo ricevuto dai nostri caduti per la libertà deve partire l’invito all’unità di quanti hanno a cuore le sorti della nostra democrazia repubblicana, in sintonia con i ripetuti appelli del Presidente Giorgio Napolitano. Ai primi di marzo avremo a Reggio i giovani che in Calabria lottano contro la ‘ndrangheta (si veda l’articolo pubblicato in altra parte del giornale); sono anch’essi dei “nuovi partigiani”, anch’essi la prova che la promessa fatta ai fratelli Cervi viene mantenuta.

Un aspetto della cerimonia al Poligono di Tiro. Da sinistra: Giorgio Carpi, Giacomo Notari, il Prefetto dott.ssa Antonella De Miro, Maino Marchi, Albertina Soliani, Liana Barbati


memoria L’ITALIA DEI FRATELLI CERVI Qu Quando il 25 ottobre del ’45 papà Cervi prese la parola per tributare Ce ai sette figli l’ultimo doloroso saluto, durante i solenni funerali in lut quel di Campegine, con lungimiqu rante saggezza ebbe a dire: “Non ra chiedo vendetta, ma giustizia... ch Dopo un raccolto ne viene un altro. Andiamo avanti”. Il vecchio Alcide, uomo del secolo passato, non era certo un visionario, ma un uomo che conosceva bene la sua terra, la sua gente e gli ideali per cui i figli avevano dato la vita; gli anni a seguire infatti, hanno dimostrato quanto la martoriata famiglia dei Cervi abbia saputo guardare con intelligenza al futuro. Dopo il nonno vennero le mogli, poi prese forma la casa-museo, quindi fu il turno dell’indimenticabile Maria, figlia di Antenore, che testimoniò la vicenda famigliare fino ai giorni nostri. Come aveva auspicato il vecchio Alcide, i morti hanno saputo ispirare i vivi e quel famoso raccolto di frutti ne ha prodotti davvero tanti. Ricordare indefessamente dopo 66 anni sempre con tanta partecipazione, non è cosa da poco visti i tempi che corrono. Certo non è forse questa l’Italia a cui avevano guardato i sette fratelli, in questo Paese ancora manca quella giustizia che papà Cervi chiedeva non solo per i figli, ma idealmente anche per tutti quelli che lottarono e morirono per la Liberazione durante la Resistenza. Recitando le parole di una famosa epigrafe: “sono tornate da remote caligini, i fantasmi della vergogna, troppo presto li avevamo dimenticati”; questo per dire che l’Italia voluta dai Cervi non è certamente quella dove fascismo ed antifascismo vengono confusi in un orribile minestrone di ipocrisia, menzogna ed opportunismo politico. I fratelli Cervi erano contadini che già allora avevano precorso i tempi e la loro voglia di progresso ed emancipazione, sfocerà nella scelta di opporsi all’intolleranza, all’inciviltà ed alla violenza del nazifascismo. L’Italia del 2009 appare distratta e con poca memoria, ma così oggi come 66 anni fa, l’Italia dei fratelli Cervi è senza alcun dubbio quella che non teme di distinguere i quasi trecentomila partigiani, donne e uomini, che diedero cuore ed anima alla Resistenza, dai “volenterosi” in camicia nera che invece preferirono torturare, rastrellare ed uccidere per conto delle SS. Alessandro Fontanesi

Mentre c’è chi la vorrebbe stravolgere MONUMENTO ALLA COSTITUZIONE ALLA FOLA DI ALBINEA

L’inaugurazione del monumento nello spazio retrostante la moderna biblioteca di Albinea

Sopra: Da sinistra, l’on. Danilo Morini, che nella sala polivalente della biblioteca ha tenuto una lezione sulla Costituzione e le sue radici storiche, attentamente seguita dagli studenti delle Medie. Seguono: il comandante dei CC, don Bassissi, Denti (ANPI Scandiano), Claudio Venturi (Pres. ANPI Albinea), Antonella Incerti

Sabato 28 novembre, in una fresca mattina di sole, alla Fola di Albinea, nelle adiacenze della modernissima e bella biblioteca comunale, si è svolta la cerimonia di inaugurazione del Monumento alla Costituzione repubblicana, alla presenza del Sindaco di Albinea, Antonella Incerti, e di numerose autorità e rappresentanti delle associazioni partigiane e d’arma. Unico nel suo genere, salvo errori, quel monumento è nato dall’impegno ideale e fattivo di vari soggetti: ANPI e ALPI-APC, Amministrazione comunale, persone e ditte che hanno contribuito finanziariamente, insegnanti e studenti della scuola media, i quali ultimi, in occasione del 60° dell’entrata in vigore della Carta costituzionale, si sono impegnati nell’approfondimento dei principi fondamentali che regolano la nostra convivenza civile. Da segnalare che l’impegno della scuola, diretta dal prof. Franco Razzoli, è consistito anche nella realizzazione di decine di bozzetti (grafici e tridimensionali, nell’occasione esposti nella sala conferenze della biblioteca), da parte degli allievi guidati dalla prof. ssa Rossella Menozzi. E proprio a partire da quei bozzetti due scultori, Paolo Bertani e il nostro Giorgio Romani, hanno materialmente realizzato e installato l’opera. Nella fase preparatoria i due artisti hanno avuto incontri con i ragazzi della scuola media “per parlare di Arte e Costituzione e trattare di come l’arte possa essere un veicolo per capire l’essenza di questo insuperabile documento […]. Di lì a qualche mese i ragazzi ci hanno proposto una serie di bozzetti assolutamente adeguati, tutti molto belli per forma e contenuto”. Così scrivono, nell’opuscolo di presentazione dell’opera, i due artisti che alla fine hanno scelto un bozzetto nel quale hanno individuato “simboli precisi: la ruota dentata, le ali, più elementi per costruire una cosa unica. Quel bozzetto ci parla di lavoro, di libertà, di unire piccole cose per formarne una grande”.

gennaio-febbraio 2010 31 notiziario anpi


memoria STUDENTI DI MONTECCHIO A SANT’ANNA DI STAZZEMA Grazie al contributo della Regione, del Comune di Montecchio e dell’ANPI comunale, quattro classi di terza media dell’Istituto D’Arzo, il 28 e 29 ottobre 2009 (in due turni) hanno compiuto un viaggio della memoria a Sant’Anna di Stazzema, la località collinare della Versilia dove il 12 agosto del 1944 nazisti della SS Panzergrenadier, coadiuvati da fascisti italiani, compirono una delle più orrende stragi contro inermi civili: 560 furono le vittime, neonati, bambini, donne e vecchi.

Al centro del gruppo, dove compaiono anche ragazzi e ragazze “nuovi italiani”, il nostro Bruno Friggeri, ex partigiano e presidente dell’ANPI montecchiese, ed Elisa Brindani, accompagnatori assieme a Mirco Mazzini, autore delle due foto

Un gruppo di studenti montecchiesi davanti al Sacrario dedicato alle vittime della strage

Verso il 150° dell’Unità d’Italia

RINNOVATO IN CITTA’IL RICORDO DI GARIBALDI A REGGIO NEL 1859 Fatto emergere il filo rosso di uno spirito garibaldino che dal Risorgimento giunge alla Resistenza.

La lapide inaugurata il 5 dicembre 2009 sotto l’arco di Porta Santa Croce

Giovanni Mariotti mentre parla nei pressi dell’Hotel Posta, l’antica “Locanda” in cui soggiornò Garibaldi nel 1859

32 gennaio-febbraio 2010

notiziario anpi

Il 5 dicembre 2009 si sono concluse le celebrazioni (dopo quella del 4 maggio in Sala del Tricolore) del 150° anniversario della venuta a Reggio di Giuseppe Garibaldi. Promossa dall’ANVRG (Associazione nazionale veterani e reduci garibaldini) e col particolare impegno del Presidente della sezione reggiana cav. Giovanni Mariotti, la manifestazione del 5 dicembre si è svolta in due fasi: la prima, davanti all’Hotel Posta, l’antica Locanda in cui nel 1859 soggiornò l’Eroe dei due Mondi, alla presenza di dirigenti nazionali e regionali dell’ANVRG, studenti di vari Istituti scolastici superiori, di associazioni d’arma e combattentistiche (compresa l’ANPI) con labari e bandiere, e di un rappresentante della Provincia. In quella sede Giovanni Mariotti ha rievocato l’evento del 18 agosto 1859, quando Garibaldi fu accolto da una folla plaudente. Si è poi formato un corteo che si è diretto in Via Roma fino all’antica Porta di Santa Croce, dove è stata ufficialmente inaugurata la lapide, dedicata al ricordo del passaggio di Garibaldi diretto verso la bassa reggiana e recante un ritratto dell’Eroe realizzato con un bassorilievo in terracotta di Giuliano Iori, tecnico di laboratorio all’Istituto

d’arte “G. Chierici”. Qui, alla presenza anche di varie autorità (Prefetto, Comandante FF.AA. Regione Emilia Romagna, Questore, Comandante dei Carabinieri) l’assessore Del Bue, in rappresentanza del sindaco Delrio, ha sottolineato l’ispirazione socialista di molti dei reggiani che seguirono volontari Garibaldi. Il presidente nazionale dell’Associazione garibaldini, Bortoletto, ha evidenziato la continuità del garibaldinismo fino all’epopea di migliaia di soldati che, dopo l’8 settembre ’43, in Jugoslavia, combatterono da partigiani in quella Divisione Garibaldi di cui fecero parte anche diversi reggiani, da Valdo Magnani a Bigliardi, la cui recente scomparsa è ricordata in altra pagina. Da ultimo Anita Garibaldi Jallet, trisnipote di Giuseppe, ha rievocato il ruolo dell’Antenato nel mettersi al servizio dell’unità nazionale sotto la monarchia sabauda lasciando da parte i propri ideali repubblicani e il dolore per la cessione della natia Nizza alla Francia. Nell’occasione è stato distribuito l’opuscolo Giuseppe Garibaldi. Note sul 150° della venuta a Reggio Emilia,scritto dallo stesso Mariotti e pubblicato dal Centro stampa del Comune di Reggio (a.z.).


lutti

Dante Bigliardi

1°/10/1922 – 29/12/2009 Una copia dell’“Unità” sulla bara, garofani bianchi e rossi e tanti visi sinceramente commossi, prima a Reggio, poi a Poviglio erano davvero in tanti a salutare il “leone”. Dante Bigliardi, presidente della FILEF reggiana, dopo una breve ma devastante malattia ci ha lasciato negli ultimi giorni del 2009. A lui, il presidente della Repubblica Napolitano, l’anno precedente, aveva conferito l’onorificenza di Commendatore della Repubblica. Un “costruttore di Polis”, un “ambasciatore di pace”, un “leone militante”: tante sono state le definizioni a lui attribuite dalle persone che lo hanno voluto ricordare. Ma Dante andava orgoglioso di essere stato un “partigiano della libertà”. Ultimogenito di una famiglia contadina antifascista, cresciuto a pane, giustizia e solidarietà, a vent’anni parte militare per l’Africa, poi in Jugoslavia, ed è lì, che dopo l’8 settembre del ’43 sceglie da che parte stare: si unisce alle file dei partigiani di Tito contro il nazismo, e con loro combatterà fino alla fine della seconda guerra mondiale. Rientra in Italia solo dopo la Liberazione. La solidarietà, per Dante, non è scontata: nell’immediato dopoguerra si attiva per l’accoglienza dei bambini di Milano presso le famiglie della bassa Reggiana, ritorna in Jugoslavia per la ricostruzione della ferrovia Shamar-Sarajevo ed è tra i fondatori del Fronte della Gioventù, divenendone da subito dirigente provinciale. Crede in quello che fa, Dante, crede nelle sue idee. Nel 1948, l’allora PCI lo manda in Sicilia, per organizzare il partito e lì rimarrà per dieci anni al fianco dei contadini in lotta per la riforma agraria (ci ritornerà poi nel 1968, dopo il terremoto del Belice, lavorando per la ricostruzione e coinvolgendo gli enti locali reggiani negli aiuti alle popolazioni). Rientrato a Reggio, viene eletto consigliere comunale a Castelnuovo Sotto. Difendere i diritti dei più deboli era la sua parola d’ordine: insieme a Carlo Levi, nel 1967, è tra i fondatori della FILEF, la Federazione lavoratori emigrati e immigrati della quale diventerà il presidente della sezione Reggiana. Un “paladino degli immigrati”. Prima degli emigranti italiani all’estero, poi degli immigrati che dal Sud venivano al Nord a cercar lavoro, ultimamente al fianco delle tante persone straniere che arrivano in Italia, cariche di speranze ma troppo spesso sfruttate. Si batteva per dare loro casa e lavoro, credeva nell’integrazione vera e

propria, quella della convivenza delle diverse culture, ma anche quella dell’importanza della diversità fra le culture. A loro consegnava sempre una copia della Costituzione, un gesto non solo simbolico, ma importante e carico di significato. A loro ha dedicato la sua vita, ed erano in tanti, al suo funerale. E in tanti hanno voluto salutarlo, ringraziandolo nel loro italiano stentato per il suo altruismo incondizionato. Un messaggio è arrivato anche dai responsabili della Fratellanza Reggiana di Parigi “Dante è stato nostro compagno di strada per molti anni, per sostenerci e condividere i momenti conviviali in occasione delle feste della Fratellanza, a cui non voleva mai mancare”. Parole di stima da parte di Mirco Carrattieri, presidente Istoreco, Vanni Orlandini e Giannetto Magnanini che ricordano la dirittura morale e la spiccata onestà di Dante Bigliardi. Il sindaco di Reggio, Graziano Del Rio ha sottolineato “l’altruismo e la solidarietà che la comunità reggiana ha ereditato da Bigliardi” e dal canto suo la Presidente della Provincia Sonia Masini, ricorda “il suo appassionato contributo alla politica e all’associazionismo che lo ha animato sempre e lo ha tenuto vicino alla gente, in particolare ai giovani, che spronava ad andare avanti con impegno e partecipazione”. In una nota del PD reggiano, al quale Bigliardi aveva aderito, si ricorda la sua figura di politico entrata nella storia di Reggio, ma si sottolinea anche che la sua “carità sociale era molto più grande della sua immensa preparazione politica”. Mancherà a tanti, Dante Bigliardi, il “partigiano”. La sua vita è stata una lezione per tutti noi: una lezione, oggi, più attuale che mai. Ci lascia in eredità la sua generosità, la sua onestà morale, la sua coerenza. Raccogliamola e portiamo avanti ciò che ha costruito. E’ il modo più bello per ricordarlo nel tempo. Anna Fava

AFRA TONDELLI in Mussini Settembre Per ricordare Afra Tondelli in Mussini, deceduta, sorella di Afro, martire del 7 Luglio ’60, le famiglie Franchi e Ferioli sottoscrivono pro Notiziario.

gennaio-febbraio 2010 33 notiziario anpi


lutti TISBE BIGI

DEMOS MANZOTTI (ROSSI)

Il 10 dicembre 2009 è scomparsa Tisbe Bigi. Moglie e compagna di vita di Ervè Ferioli, comandante partigiano e primo sindaco eletto, dopo il 25 Aprile, di San Martino in Rio, si è resa protagonista fin dall’autunno del 1943 della lotta di resistenza, dando vita al Comitato comunale di Difesa della Donna e partecipando al coordinamento provinciale dello stesso organismo. Successivamente fu attiva organizzatrice dell’Unione donne italiane. Permanente ed esemplare è stato il suo impegno nella lotta per l’emancipazione femminile, per il quale la comunità sammartinese le rimarrà sempre grata. Il nipote Giuseppe Bigi e la sua famiglia devolvono in memoria di Tisbe una offerta all’ANPI.

16/09/1926-16/12/2009 Per onorare la memoria di Demos Manzotti, Partigiano appartenente alla 77a bgt. SAP, le nipoti Alda e Deledda Donelli offrono pro Notiziario. Le nipoti Giuseppina e Violetta offrono in memoria dello zio Demos che ricordano con affettuoso rimpianto.

anniversari PASQUALE RIVI

FULVIO BARBIERI (GOR)

1° ANNIVERSARIO

9° ANNIVERSARIO

Per ricordare nel 1° anniversario della scomparsa il fratello Pasquale che, bambino di 7 anni, portava messaggi per incarico del padre Luigi, partigiano deceduto il 4 febbraio 2009, i fratelli in suo onore offrono pro Notiziario.

Il 27 gennaio ricorreva il 9° anniversario della scomparsa del Partigiano Fulvio Barbieri Gor comandante di distaccamento della 144a Bgt. Garibaldi. La moglie Pierina Castellani, il figlio Aldo e famiglia nel ricordarLo sottoscrivono pro Notiziario.

VANDO BARICCHI (CARLO)

TONINO GAZZINI

4° ANNIVERSARIO

1° ANNIVERSARIO

“Sei sempre e rimarrai con noi”. Il 20 gennaio scorso ricorreva il 4° anniversario della scomparsa del Partigiano Vando Baricchi Carlo. Lo ricordano con immutato affetto la moglie Bruna Cattani, i figli Roberto e Stefano, le nuore e i nipoti e in sua memoria sottoscrivono pro Notiziario.

ELIO SASSI (RUGGERO) - IRMA SPAGGIARI

ANNIVERSARI Per ricordare la Staffetta partigiana Irma Spaggiari, scomparsa 27 anni fa, e il Partigiano Elio Sassi Ruggero, scomparso 18 anni, i figli Nilde e Uliano, unitamente alle famiglie, sottoscrivono pro Notiziario.

34 gennaio-febbraio 2010

notiziario anpi

Il 23 gennaio scorso ricorreva il 1° anniversario della scomparsa di Tonino Gazzini. Nel ricordarLo il fratello e la sorella sottoscrivono pro Notiziario.

FRANCO RABITTI

6° ANNIVERSARIO Il 24 dicembre ricorreva il 6° anniversario della scomparsa di Franco Rabitti di Chiozza di Scandiano. Lo ricordano con immutato affetto la moglie Dinora, i figli Ivan, Simonetta e Tania, le nipoti e in sua memoria offrono a sostegno del Notiziario. Una nota curiosa per ricordare Franco. Dopo l’8 settembre 1943, fu incarcerato ai “Servi”, il carcere fascista a Reggio Emilia, poi la fuga, accompagnata dalla “sua” Dinora in bicicletta per raggiungere, nelle nostre colline a Viano, le formazioni della 76a bgt SAP, che si stavano formando sotto il comando di Amleto Paderni Ermes.


anniversari ALDO GOVI

WERTER BIZZARRI

45° °ANNIVERSARIO

12° ANNIVERSARIO

Nel 45° anniversario della scomparsa di Aldo Govi di Montericco (Albinea), militante del PCI e diffusore dell’“Unità”, lo ricordano con affetto i famigliari sottoscrivendo pro Notiziario.

In occasione del 12° anniversario della scomparsa di Werter Bizzarri, ex internato militare, avvenuta il 5 gennaio 1998, la moglie Valentina Rinaldi e la nipote Annusca sottoscrivono pro “Notiziario”.

MARCO MARASTONI

PIERINO SCALABRINI (ENOS)

38° ANNIVERSARIO

7° ANNIVERSARIO

Licinio e Afra Marastoni ricordano con rimpianto il 38° anniversario della scomparsa del loro amato figlio Marco. In sua memoria offrono pro Notiziario.

Il 26 dicembre scorso ricorreva il 7° anniversario della scomparsa di Pierino Scalabrini Enos. La moglie e il figlio ing. Paolo lo ricordano con immutato affetto.

ELIO TROLLI (SERGIO)

REDEO PECCHINI

12° ANNIVERSARIO

3° ANNIVERSARIO

Licinio e Afra Marastoni, nel ricordare con affetto il Partigiano Elio Trolli Sergio sottoscrivono pro Notiziario.

La moglie Ada Borgonovi, il figlio Nicola e la nuora Lariana ricordano, con immutato affetto, il Partigiano e sindacalista Redeo Pecchini deceduto il 4 febbraio 2007.

MARIO SPAGGIARI

FRANCESCO MIARI (GARIBALDI)

3° ANNIVERSARIO

40° ANNIVERSARIO

In ricordo del figlio Mario, maestro d’arte, deceduto il 21 febbraio 2007, la famiglia Spaggiari Pantaleone Gherardi offre pro Notiziario.

Nel 40° anno della morte del loro caro Francesco Miari Garibaldi, avvenuta il 22 febbraio 1970, la moglie Anna, il figlio Mirco e la cognata Laura Tirelli in suo ricordo offrono a sostegno del Notiziario.

GENOEFFA RICCÒ (NÈNA)

AMELIA, ARTEMIO, ITALO, ALBERTO E REGINA ROZZI

1° ANNIVERSARIO

ANNIVERSARI

Il 29 gennaio scorso ricorreva il 1° anniversario della scomparsa di Genoeffa Riccò, da sempre sostenitrice della Resistenza ed esempio di volontariato sociale svolto presso il CTL di Bagnolo in Piano. I parenti sottoscrivono pro Notiziario.

In memoria dei Partigiani Amelia, Artemio, Alberto, Italo e Regina la famiglia Rozzi offre pro Notiziario.

ADRIANA ORLANDINI VED. TAGLIAVINI -ADORNO TAGLIAVINI

ANNIVERSARI In memoria di Adriana Orlandini e Adorno Tagliavini, i figli Emore e Mirca sottoscrivono pro Notiziario. La casa dei Rozzi, base partigiana, sul greto del torrente Crostolo a Rivalta (Reggio Emilia) oggi demolita.

gennaio-febbraio 2010 35 notiziario anpi


Il “Notiziario ANPI” è una voce della resistenza e della democrazia. PER VIVERE HA BISOGNO DEL TUO AIUTO

- GIUSEPPE CODELUPPI .........................................euro 30,00 - FAM. FRANCHI e FERIOLI in ricordo di Afra Tondelli in Mussini ............................................ “ 100,00 - GIUSEPPE CAMPIOLI – Scandiano – a sostegno ....... “ 25,00 - ENZA ISTELLI – Scandiano – a sostegno.................. “ 10,00 - IVAN RABITTI – Chiozza ........................................... “ 50,00 - ANTONIO RANGONI – a sostegno ............................. “ 20,00 - CURZIO ZANICHELLI – a sostegno............................ “ 25,00 - MIRCA e EMORE TAGLIAVINI in memoria dei genitori............................................ “ 50,00 - FRATELLI RIVI per ricordare il fratello Pasquale ........ “ 75,00 - MARIA ROSA CODELUPPI – a sostegno ................... “ 10,00 - SIDRACO CODELUPPI – a sostegno .......................... “ 30,00 - CAROLINA CAROLI e figlio in memoria di Pierino Scalabrini “Enos”..................................................... “ 50,00 - ANNA SALSI – a sostegno........................................ “ 120,00 - FAM.ROZZI – Correggio in ricordo di Rozzi Gino “Palot” ................................................ “ 100,00 - GIANCARLO MATTIOLI – a sostegno ......................... “ 20,00 - PAOLO ATTOLINI – a sostegno ................................. “ 20,00 - SERGIO GUALERZI – a sostegno .............................. “ 10,00 - VALENTINA RINALDI e ANNUSCA in onore di Werter Bizzarri........................................ “ 50,00 - AFRA E LICINIO MARASTONI in ricordo di Marco Marastoni ed Elio Trolli .............................. “ 200,00 - FERNANDO GUALANDRINI – a sostegno ................... “ 20,00 - NEALDA DONELLI E ALICE in memoria di Lauro Scolari ....................................................... “ 50,00 - FAM. SPAGGIARI-PANTALEONE in ricordo del figlio Mario......................................................... “ 30,00 - NINO VACONDIO e figli in memoria di Altea Borghi ... “ 20,00 - GIACOMO “Nemo” BARBIERI – a sostegno ............... “ 20,00 - ELIO BONACINI – a sostegno ................................... “ 50,00 - CARLO ROCCHI e ROSSANA MOTTI – a sostegno ..... “ 50,00 - CESARE INCERTI MARCACCIONI – a sostegno .......... “ 45,00 - SEZ. CASTELNOVO MONTI – a sostegno .................. “ 100,00 - UN AMICO – a sostegno........................................... “ 50,00 - LEA FRANCIA – a sostegno ...................................... “ 20,00 - CLAUDIO GALLI – a sostegno................................... “ 20,00 - RUFFINO GHINOI – a sostegno ................................. “ 20,00 - PAOLO BORCIANI – a sostegno ................................ “ 35,00 - GIUSEPPINA VEZZOSI – a sostegno .......................... “ 10,00 - ENZO RABITTI – Scandiano – a sostegno ................. “ 50,00 - SERGIO MOSCARDINI – a sostegno.......................... “ 30,00 - BRUNO TASSELLI – a sostegno ................................ “ 20,00 - SORELLE LINI – a sostegno ..................................... “ 100,00

36 gennaio-febbraio 2010

notiziario anpi

- ALDA e DELEDDA DONELLI, in memoria di Demos Manzotti ................................ “ 150,00 - DIMER LANFREDI a ricordo di Rino Soragni “Muso” . “ 50,00 - PEPPINO CATELLANI – a sostegno ........................... “ 50,00 - LAILA GROSSI – a sostegno ..................................... “ 50,00 - GIANFRANCO SARATI – a sostegno .......................... “ 35,00 - VINCENZO CAMPANIELLO – a sostegno ................... “ 20,00 - GIULIANA PECCHINI – a sostegno ............................ “ 30,00 - PAOLO ROZZI-ATHOS PAGLIA in memoria fam. Rozzi ............................................. “ 250,00 - ANTONIO PANCIROLI – a sostegno ........................... “ 20,00 - ALFIO e MADDALENA GHINOLFI – a sostegno .......... “ 20,00 - CIRCOLO ANZIANI – 4 Castella – a sostegno ............ “ 100,00 - BRUNO GRULLI e SILVANA POLETTI – a sostegno .... “ 50,00 - SECONDO MENOZZI in ricordo della moglie Bruna ... “ 25,00 - BRUNA CATTANI in memoria del partigiano Vando Baricchi ........................................................ “ 50,00 - ILLER GARIMBERTI in ricordo di Agostino Bonacini dal figlio Gianluca e amici ........................................ “ 140,00 - FRANCO SCARDOVA – a sostegno ........................... “ 100,00 - FAM. PECCHINI ricorda Redeo nel 3° anniversario della scomparsa ...................................................... “ 150,00 - ERIO PRANDI – a sostegno ...................................... “ 20,00 - LAURA TIRELLI e fam. MIARI in ricordo di Francesco Miari ................................................... “ 50,00 - ENZO BORCIANI in memoria del padre Walter .......... “ 30,00 - WILMER, CARLA, LIDIA e DENIS in ricordo di Demos Manzotti................................................... “ 80,00 - MARIA MANZOTTI, ENRICO, MATTIA in memoria di Demos Manzotti................................................... “ 50,00 - ULIANO e NILDE SASSI in memoria di Elio Sassi ...... “ 50,00 - VALENTINO REDEGHIERI. Correggio – a sostegno ..... “ 20,00 - FAM. GAZZINI per ricordare Tonino Gazzini ............... “ 40,00 - GAUDENZIO e ERIO MONTANARI in onore di Dante Bigliardi .................................................... “ 50,00 - VASCO e RENZA MONTECCHI in memoria di Dante Bigliardi .................................................... “ 50,00 - LINA MONTANARI – a sostegno ............................... “ 100,00 - ALCIDE BENELLI – a sostegno ................................. “ 50,00 - NEALDA DONELLI in memoria del marito Otello Dazzi .................................................. “ 25,00 - EROS MATTIOLI – a sostegno .................................. “ 50,00 - GIUSEPPINA e VIOLETTA COCCONI in memoria dello zio Demos Manzotti ......................................... “ 100,00 - GIUSEPPE BIGI e FAM. in memoria di Tisbe Bigi ....... “ 150,00 - I PARENTI in memoria di Genoeffa Riccò .................. “ 50,00


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speciale

REGGIOCHEPROMETTE Un po’ di storia. Elezioni amministrative 6-7 giugno 2009

Il Tentatore... “Gentile Bertani Glauco Le chiedo di non gettare questa lettera nel cestino: non è la ‘solita’ propaganda elettorale. Il suo voto alle amministrative del 6 e 7 giugno sarà determinante per il cambiamento della nostra Reggio. Dopo 64 anni d’egemonia da parte delle sinistre, scelga la ‘nuova Reggio Emilia’. Non sprechi questa grande occasione, scelga un’amministrazione che crede nei valori e nella famiglia” (Fabio Filippi sindaco, PDL)

La donna della Provvidenza “Tra il dire e il fare... Un progetto “riformista” – lo definisco io – che vede ancora una volta Reggio Emilia come laboratorio politico che mette insieme la sinistra più moderna, il civismo, la cultura liberale e il centro cattolico che rifiuta l’egemonia di Berlusconi. Il cambiamento, lo so, fa paura ma bisogna vere coraggio. Si è parlato di questa mia scelta, hanno detto che sono diventata di destra. Sono bugie... La mia candidatura a sindaco di Reggio Emilia ha una motivazione principale: l’immobilismo intollerabile di una giunta inadeguata, che ripropone per la seconda volta lo stesso programma, segno che non ha fatto nulla ... Alla fine, e vi lascio immaginare quale travaglio la cosa abbia comportato, ho capito che nemmeno i miei vecchi compagni sarebbero riusciti a evitare lo sfascio. Da qui la decisione di impegnarmi in prima persona, esponendomi ad accuse tanto false quanto dolorose.” (Antonella Spaggiari sindaco, Città Attiva)

Nostalgia “... un progetto, di speranza e di rilancio... Da tempo questa città non è più quella che eravamo abituati a vivere” (Danilo Manari, Città Attiva)

E a destra? “l’ambiente a sinistra” (Sinistra e Verdi)

38 gennaio-febbraio 2010

notiziario anpi

Per il dialogo in famiglia “La rinascita del centro storico per eliminare la desolazione nelle ore serali e notturne e la scarsa frequentazione nelle ore diurne ... Lo spegnimento delle telecamere nel fine settimana e nelle ore serali” (Alessandro Verona con Alessandri sindaco)

Mumble, mumble... “Occorre una riflessione culturale e politica che non sia penosa ripetizione di slogan ma dura fatica di studio competente, di rigore culturale, di capacità di guardare lontano. Con questi obiettivi offriamo il nostro contributo come occasione per indicare una prospettiva di futuro per Reggio Emilia” (Angelo Alessandri sindaco, Lega Nord)

Hip, hip urrà “per i giovani, per le famiglie, per le imprese” (Laboratorio Baldi per Reggio)

??? “Favorire la cultura: Rilanciare l’attività dei teatri mediante l’ingresso, in qualità di soci con ruolo decisionale, di privati e fondazioni” (Marco Eboli, PDL)

Solo lì? “Un comunista in Provincia” (Alberto Ferrigno, PRC)

Angolo giro “L’energia per crescere. Investire con decisione sulle fonti rinnovabili; Benessere di comunità. Avvicinare i servizi ai cittadini. Partecipazione civica e regole condivise per una città cordiale e senza paura; Reggio Emilia, città dell’educazione e dei talenti. Qualità nella scuola a 360°” (s. Graziano Delrio, sindaco)

Per il week end “Reggio Emilia: sicurezza senza noia. Aperitivo...” (PD città storica)


la finestra sul cortile L’uomo che verrà di Giorgio Diritti Dirittti

La strage di Marzabotto attraverso gli occhi di una bimba

“Non è un film storico, né tantomeno bellico, anche se mi sono avvicinato a una pagina cruenta della ‘grande Storia’”. Nel realizzare L’uomo che verrà, passato al Festival Internazionale del Film di Roma, Giorgio Diritti aveva le idee ben chiare: non doveva trattarsi di un saggio storico, ma di uno sguardo prima di tutto umano su una terribile vicenda.

Quella della strage di Marzabotto, scatenata dalle SS il 29 settembre 1944 come rappresaglia contro le azioni dei partigiani della zona; l’eccidio, che portò alla morte di circa 770 tra bambini, donne e anziani, si prolungò per giorni nell’area di Monte Sole. La storia che ha scelto di raccontare Diritti, però, mette al centro la famiglia di Martina, una ragazzina di 8 anni che, anni prima, aveva scelto il mutismo dopo la morte del fratellino, e che ora aspetta con ansia la nascita di un altro bimbo che la mamma porta in grembo. Il piccolo verrà alla luce proprio nella notte che precede la strage. “Ho cercato le persone normali nella dimensione del conflitto, puntando l’attenzione sul martirio che subiscono i civili in tempi di guerra, quando vengono negate loro alcune cose fondamentali della vita, come il diritto di crescere una famiglia. L’evolversi dei racconti è l’evolversi di quei tempi, dove la grande “Storia”, quella che troviamo nei libri e negli studi accademici, entra nelle case, sui sagrati, nelle chiese, ed uccide”. Parlato in stretto dialetto bolognese (e quindi sottotitolato in italiano) il film ha per protagoniste Maya Sansa, Alba Rohrwacher e Claudio Casadio, nei panni rispettivamente della mamma, della zia e del papà della piccola Martina, attorno a cui ruotano gli abitanti della zona di Monte Sole, interpretati per lo più da attori non professionisti. “Maya San-

sa è il volto a cui ho pensato subito, anche se inizialmente sembrava non fosse disponibile – racconta Diritti – Con Alba Rohrwacher ho condiviso un lungo percorso di preparazione del film: è venuta a Monte Sole e ha partecipato con passione, cioè adesione e dolore, alla costruzione di questa storia”. La sceneggiatura è frutto di approfondite ricerche bibliografiche, interviste ai partigiani, ai sopravvissuti e agli storici: “Il progetto di L’uomo che verrà è partito diversi anni fa, il che mi ha permesso di far sedimentare a dovere l’immenso materiale scaturito dalle ricerche. Ho cercato di fare in modo che il film fosse vero e storicamente corretto, pur nell’ambito di una vicenda di finzione. Ho inventato una famiglia e l’ho inserita in un contesto di eventi davvero accaduti, stando attento alla dimensione realistica ma senza calcare la mano e cadere in una facile strumentalizzazione”. Il rischio polemiche, in effetti, è alto, come sempre quando si tratta di rileggere artisticamente fatti drammatici realmente accaduti. Ma il regista si dice tranquillo: “Qualcuno sicuramente cercherà di sollevare polemiche… ogni tanto scatta qualche meccanismo revisionista, ma spero e penso che il film non offra questa occasione. Non si può discutere sul fatto che le SS abbiano messo in atto un’operazione sistematica di sterminio in cui hanno ucciso donne e bambini come fossero topi. Questo

è chiaro nel film e lo è storicamente. La loro logica era quella della sopraffazione ariana sulle altre razze, e noi eravamo considerati inferiori anche in quanto ‘traditori’”. Girato in 11 settimane per la maggior parte vicino a Bologna – “due colline più in là rispetto ai luoghi reali” – L’uomo che verrà è stato prodotto con un budget di 3 milioni e mezzo di euro da AranciaFilm e Rai Cinema, e sarà nelle sale dal 22 gennaio 2010 con Mikado. Un bel salto in avanti rispetto alle vicissitudini produttive e distributive di Il vento continua a pag. 40

gennaio-febbraio 2010 39 notiziario anpi


la finestra sul cortile continua da pag. 39

fa il suo giro, opera prima di Giorgio Diritti che fu protagonista di un vero e proprio exploit: ignorato dal circuito “ufficiale” della distribuzione, il film vinse decine di Festival in Italia e all’estero e, pur essendo programmato in poche sale sparse per la penisola (il Cinema Mexico di Milano lo ha tenuto per più di un anno e mezzo), grazie al passaparola raggiunse tantissimi spettatori. Mentre L’uomo che verrà è nato proprio a Roma grazie alla menzione speciale vinta dal progetto del film al New Cinema Network, un progetto nato dalla prima edizione della Festa di Roma. A questo proposito il regista aveva infatti, ad ottobre, affermato: “Il primo motivo che ci ha portato al Festival di Roma è stato l’entusiasmo di

Piera Detassis (Direttore del Festival Internazionale del Film della Capitale), che voleva a tutti i costi il film in concorso – sottolinea Diritti – ci sembrava una collocazione migliore rispetto all’apertura della sezione Orizzonti che ci aveva proposto il Festival di Venezia, senza nulla togliere alla Mostra di Marco Müller”.

La strage di Marzabotto attraverso gli occhi di una

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