Notiziario ANPI 2019 -N.3

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NOTIZIARIO

ANPI PERIODICO DEL COMITATO PROVINCIALE

Poste Italiane s.p.a. - Spediz. in abb. post. - codice ROC 25736 d.l. 353/2003/ (conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1 - comma 1- CN/RE - Filiale R.E. - Tassa pagata taxe perçue - Anno XLIX - N. 03 luglio 2019 In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio P.T. di Reggio Emilia detentore del conto per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.

ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D'ITALIA DI REGGIO EMILIA

NUMERO

03

2019

03 FASCISMO E ANTIFASCISMO NELL’EUROPA DI OGGI 04 7 LUGLIO 1960. UNA PAGINA CHE PUò ANCORA INSEGNARE 08 L’INDISPENSABILE DIALOGO TRA GIUSTIZIA E LEGALITÀ 10 MAFIA E CAMORRA NON SONO STATE SCONFITTE 15 IL FUTURO DI REGGIO PASSA DAL RITORNO ALLA COMUNITà

RESISTENZA SEMPRE


Notiziario ANPI

Sommario 03 - fascismo e antifascismo nell’europa di oggi di Ermete Fiaccadori

13 - Le piazze reggiane del 25 aprile di redazione

21 - in cammino verso la speranza a cura di ANPI Guastalla

04 - comunico, dunque governo di Barbara Curti

14 - La storia è un bene comune, difendiamola di Antonio Zambonelli

22 - Libia: porto (e paese) insicuro di Saverio Morselli

06 - Sette Luglio 1960, una pagina che può ancora insegnare” di Roberto Scardova

15 - Il futuro di Reggio passa dal ritorno alla comunità di Damiano Razzoli

23 - Casa Manfredi è patrimonio pubblico e date da ricordare

16 - la parola ai giovani Studenti Russell

24 - Dalle sezioni

08 - l’indispensabile dialogo tra giustizia e legalita di Paolo Bonacini 10 - Ivano Bosco: “Mafia e camorra non sono ancora state sconfitte” di Roberto Scardova 12 - Medaglia al Valor Militare per San Martino in Rio e Cavriago

18 - “L’odio per le atrocità del nazifascismo mi faceva superare la paura” di Alessandro Fontanesi 20 - le civiltà in ascesa costruiscono strade e ponti, quelle in declino edificano muri di Giancarlo Ruggieri

25 - 26 Anniversari 27 - Lutti e sostenitori In copertina: Foto storiche di San martino in Rio e Cavriago con medaglia al Valor Militare Quarta di copertina: Studente dell’Istituto Motti durante una iniziativa dell’ANPI (foto A. Bariani)

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Periodico del Comitato Provinciale Reggio Emilia ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA C.F. 80010450353 Via Farini, 1 – 42121 Reggio Emilia Tel. 0522 432991 – Fax 0522 401742 Ente Morale D.L. n. 224 del 5 aprile 1045 Reg. Tribunale di Reggio Emilia n.276 del 2/3/1970 Spedizione in abbonamento postale – codice ROC 25736 Proprietario e direttore: Ermete Fiaccadori Condirettore: Antonio Zambonelli Caporedattore: Barbara Curti

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Sito web: www.anpireggioemilia.it Email: redazione@anpireggioemilia.it Numero 3 Luglio - Settembre 2019 Chiuso in tipografia il 25/05/2019 Stampa Litocolor

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Editoriale

luglio 2019

fascismo e antifascismo nell’europa di oggi di Ermete Fiaccadori

In

Italia i conti con il fascismo sono stati fatti in maniera incompleta e perciò inadeguata. Il nostro paese, uscito distrutto e stremato da venti anni di fascismo e dalla devastante seconda guerra mondiale, seppe riscattare il proprio onore con la lotta dei partigiani che, appoggiati dalla grande maggioranza della popolazione e dall’intervento delle forze alleate, sconfissero il fascismo e il nazismo. Concluso il conflitto, i capi delle potenze vincitrici decisero a Yalta la nuova geografia politica, stabilendo precise aree di influenza che ressero le sorti dell’Europa e del mondo intero. L’Italia, paese strategico dell’alleanza atlantica guidata dalla leadership Usa, si caratterizzò per avere il più forte Partito Comunista dell’Occidente con uno stretto collegamento politico e ideale con l’URSS. L’equilibrio di quella situazione iniziò a vedere le prime novità politiche dopo il 1968, con l’alleanza di centro-sinistra capeggiata da Craxi e con il compromesso storico Moro-Berlinguer che rappresentò la rottura della discriminazione a sinistra dopo oltre 35 anni dalla Liberazione. Con l’amnistia nel 1946, (Palmiro Togliatti ministro della giustizia) presero corpo le varie amnistie dei delitti della guerra e del dopoguerra. Contemporaneamente iniziò la cacciata dei partigiani e il reinserimento nei loro ruoli

di tanti ex dirigenti fascisti in tutti i gangli dello stato tra cui le forze armate, i ministeri e la magistratura, determinando quello che gli storici hanno definito “continuismo”. Questo retroterra portò anche alla decisione di occultare tutti i documenti presenti nel cosiddetto armadio della vergogna che celò per quasi 50 anni i fascicoli delle orrende stragi perpetrate dai nazifascisti ed anche il registro dei crimini di guerra commessi sul territorio italiano. Oggi la discussione sul fascismo nel nostro paese registra posizioni diametralmente opposte. C’è chi teme un ritorno al passato. C’è chi esclude il pericolo di un ritorno alla dittatura e quindi conclude qualificando come sproporzionato e inutile l’allarme lanciato. Ma negli ultimi anni in Italia e in Europa si sono moltiplicate le iniziative di chiara impronta fascista fino a trasformare il 25 aprile in un elemento di contrasto identitario. Si tratta di fatti che non vanno sottaciuti ma, al contrario, attentamente considerati per capirne la natura e la portata. Ciò che oggi si definisce fascismo vuole essere fuori dalla storia, si dichiara estraneo dalle pratiche di violenza e sopraffazione proprie del ventennio fascista. Solo così può rivendicare una identità senza farsi carico del peso e dell’eredità di quel regime ed essere al riparo dal giudizio storico.

Si tratta di una presenza che nasce e si spegne nell’azione politica, senza una teoria, che trova un radicamento sociale nelle fasce di disagio ed emarginazione (che la pesante e prolungata crisi economica ha provocato). Una presenza che trova terreno fertile anche nel crescente distacco della politica tradizionale, dalle trasformazioni che ha subìto il paese, dimostrando di non essere più in grado di intercettare i loro suoi bisogni e di dare una adeguata rappresentanza. Tutto questo ha allontanato la gente dalle storiche forze politiche, generando delusione e abbandono (con un crescente astensionismo) ed ha favorito il nascere ed il crescere di nuove formazioni politiche “post ideologiche”, senza una chiara identità ed anche forze contrarie ai principi di democrazia rappresentativa della nostra Costituzione, con venature più o meno marcate di segno fascista. Questi segnali e comportamenti sempre più diffusi, non possono essere derubricati come episodici; caratterizzano l’attuale confronto politico nel quale l’Anpi è impegnata a sostenere i valori e i principi presenti nella nostra Costituzione. Vogliamo una Italia e una Europa contrarie a qualsiasi forma di discriminazione e di fascismo, impegnate sui temi del lavoro, dell’istruzione, del sostentamento di chi ha bisogno. 3


Notiziario ANPI

Politica e media

comunico, dunque governo Sovranismo e comunicazione sono armi fondamentali per guidare un paese confuso, stanco dei partiti e affascinato da uomini forti e populisti. di Barbara Curti

O

rganizzazione del consenso, marketing politico, informazione e potere, analisi del linguaggio politico. Sono alcune delle materie che il reggianissimo Massimiliano Panarari insegna nelle università italiane. Se si aggiunge che è anche sociologo, scrittore, commentatore su importanti organi di informazione, otteniamo tutti gli ingredienti per definirlo un esperto analista di tutto quanto ruota attorno alla comunicazione, alla politica e all’informazione. Per questo gli abbiamo chiesto di aiutarci a districarci tra populismi, neofascismo e sovranismi. Insomma, a capire come stanno cambiando la rappresentanza e la politica nella società che lui definisce ‘post moderna’. L’ultimo libro che ha dato alle stampe s’intitola “Uno non vale uno. Democrazia diretta e altri miti d’oggi”. Iniziamo proprio da qui. La democrazia diretta dunque non può esistere? Caduta la fiducia nella politica a partire dagli anni ‘70, è entrata in crisi anche la forza e la credibilità di rappresentanza di partiti e corpi intermedi. È qui che si inserisce l’idea di auto-rappresentarsi senza regole. Le persone sono portate a pensare di potersi rappresentare da sole, così come è avvenuto, ad esempio, col commercio elettronico. In realtà si tratta di un equivoco che consente ad una serie di imprenditori-politici di intestarsi questa presunta rappresentanza diretta. I populisti sono i più bravi a presentarsi in quanto tali. Scricchiolano i partiti e arrivano populismo e uomo forte? L’uomo forte è un eterno ritorno della politica, si pensi a Napoleone o ai dittatori europei del 4

Massimiliano Panarari, docente universitario alla Luiss School of Government e alla Bocconi

Novecento. Ci sono veri e propri cicli storici per cui, al crescere della complessità, si richiede una semplificazione che si appoggia sull’uomo forte. Ma questo va al contrario della democrazia rappresentativa che prevede corpi intermedi tra le istituzioni e il cittadino. L’uomo forte è una delle declinazioni dei populismi. Cerchiamo di capire meglio cos’è il populismo. È buono o cattivo? Il populismo è al tempo stesso: un’ideologia debole, riempita con contenuti a volte di destra a volte di sinistra; un nemico della democrazia rappresentativa e quindi espressione di spiccato antiparlamentarismo; un determinato stile comunicativo e linguistico (Renzi aveva uno stile comunicativo populista pur trattandosi di un rappresentante di una forza politica di centro sinistra); un comportamento politico che guarda al consenso. Mussolini è stato un politico populista a 360 gradi e ha utilizzato il vero mezzo di comunicazione di massa che ai suoi tempi era la radio. Oggi il populismo si appoggia alla tivù commerciale (dal Berlusconismo in poi) e alla “rete”;

abbraccia concetti e tendenze presenti nella società che risultano redditizi dal punto di vista del consenso. Sulla domanda, se è buono o cattivo... In quanto studioso mi devo limitare a descrivere, senza dare valutazioni; dal punto di vista personale, invece, lo considero tendenzialmente cattivo. La comunicazione dunque riveste un ruolo fondamentale? Nella Lega salviniana la comunicazione è essenziale. Raccogliere un partito di poco più del 4% e portarlo alle percentuali impressionanti di oggi è impresa costruita sulla comunicazione. Tutto è comunicazione: le dichiarazioni, le interviste, gli interventi sui social sono tesi tutti al mantenimento del consenso. La comunicazione ha il compito di alzare i toni, stupire, tastare il terreno per vedere fino a dove può spingersi. Tutto è modificabile a seconda dell’interesse. La strategia dei partiti populisti di governo italiani, Lega e Movimento 5 stelle, è quella di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica nei momenti di crisi. Si usano le armi di distrazione di massa, una stra-


Politica e media

tegia non nuova ma importante in questo contesto dove esiste una convergenza tattica di due partiti che hanno difficoltà a costruire una linea politica unitaria. La comunicazione è molto più efficace, tanto più è propaganda. La forza che hanno, in Lega e M5s, i giganteschi apparati comunicativi è proprio quella di pianificare l’uscita pubblica; è la vera politica. In questo c’è la grande differenza con la sinistra e il centro sinistra e con i problemi strutturali della loro comunicazione. Oggi si parla molto anche di sovranisti e neofascisti. Dobbiamo considerarli legati alle tendenze populiste? Sono in realtà questioni separate. Il sovranismo, nato in Francia negli anni Ottanta, è una parola tornata di moda che si innesta su piattaforme politiche evanescenti e incoerenti ma l’incoerenza politica oggi funziona. Il leader della Lega, Salvini, diventa sovranista perché capisce che, in un contesto di crisi di legittimità dell’Unione Europea, questa posizione porta consenso. Il neofascismo, rappresentato da Casapound e Forza Nuova, è l’ultimo tornante di una storia che parte dal fascismo, attraversa il Movimento Sociale Italiano e la sua istituzionalizzazione arrivando fino ad oggi. Oggi il neofascismo si riconosce anche in una linea di abbigliamento, cosa impensabile prima. Veniamo all’Anpi, all’importanza della sua esistenza oggi. L’importanza si vede in questa fase di ritorno del veleno fascista. Il senso dell’Anpi sta nel fatto che l’antifascismo è scritto nella Costituzione ed è la cultura politica che dovrebbe fare da cemento in tutte le forze politiche, al di là degli orientamenti di destra o sinistra. In Italia l’antifascismo non è riconosciuto come fondamento politico di tutti i cittadini italiani, da qui la necessità dell’Anpi. E l’importanza di rideclinare i propri contenuti per le giovani generazioni, fortemente digitalizzate e a rischio di perdita della memoria storica.

luglio 2019

La “galassia nera” continua a crescere Il punto della situazione a due anni dalla prima uscita della ricerca curata da “Patria Indipendente” sulle pagine neofasciste di Facebook.

Immagine delle interazioni tra pagine neofasciste e di estrema destra su facebook

Aumentano costantemente, di circa 70 ogni mese, le pagine di

Facebook legate al neofascismo. E questo, nonostante l’intervento dei dirigenti del social network che hanno imposto la chiusura di alcune centinaia di pagine apertamente nostalgiche del Ventennio. L’operazione è stata fatta lo scorso anno a ridosso delle elezioni, spazzando via in un solo mese 60.000 post e 850.000 ‘mi piace’. Ad oggi rimangono comunque oltre 4800 le pagine Facebook della “Galassia Nera”. Per chi non ha dimestichezza con il linguaggio dei social, possiamo riassumere così: la comunicazione sul web legata all’apologia di fascismo funziona, si allarga e fa crescere il consenso. Funziona anche perché spesso si mimetizza. Lo ha spiegato bene Giovanni Baldini che ha curato questa interessante ricerca per conto del progetto editoriale dell’Anpi nazionale “Patria Indipendente”. Baldini, nei giorni scorsi, è venuto a Reggio per partecipare ad un’iniziativa organizzata dall’associazione partigiani, dallo Spi e da Rete Studenti Medi. “L’estrema destra neofascista – ha spiegato – si esprime anche attraverso una linea di abbigliamento, un centinaio di gruppi musicali, birrerie, associazioni culturali, scolastiche e turistiche, case editrici. Poi c’è l’attivismo sociale che nei gruppi più importanti come CasaPound, Forza Nuova e Lealtà–Azione ha raggiunto una specializzazione di assoluto rilievo”. Si raccoglie cibo (anche se solo per gli italiani), si sensibilizza sulla pedofilia, si ripulisce il parco dai rifiuti. I neofascisti, in cerca di consenso politico, fanno anche molta attenzione alle parole: non parlano ad esempio di razzismo ma di differenza culturale che va salvaguardata. E sanno usare i nuovi mezzi di comunicazione a loro vantaggio, soprattutto i social. “Ciò che preoccupa – sottolinea Baldini - sono le idee coltivate in quegli ambiti neofascisti, idee che hanno una capacità di penetrazione verso altri soggetti ben più capaci di incidere sulla società italiana”. Dal pubblico qualcuno chiede: si vogliono sostituire alla sinistra? “Non puntano a questo. La loro ambizione è ben altra – conclude amaramente Baldini – puntano a sostituirsi alla Stato che non risponde ai bisogni della gente”. 5


Notiziario ANPI

Memoria

Sette Luglio 1960, una pagina che può ancora insegnare Reggio e l’Italia intera dissero no al tentativo di cancellare la Resistenza e le sue conquiste. Alessandro Carri: “È tempo di un nuovo impegno perché si studi una vicenda fondamentale della nostra storia recente”. La proposta di una Fondazione dedicata ai cinque Martiri.

7 luglio 1960, una camionetta della polizia disperde i manifestanti

di Roberto Scardova

“Le camionette avanzavano da

tutte le parti, convergendo verso Piazza della Libertà. I cittadini in attesa del comizio sindacale si trovarono praticamente circondati. La polizia in assetto da combattimento risaliva via Crispi, via Allegri, via Cairoli, via Sessi e via Secchi e spingeva tutti verso l’isolato S. Rocco, verso i teatri. Poi iniziarono i caroselli a sirene spiegate, i celerini colpivano alla cieca coi manganelli ed i calci dei moschetti tutti quelli che non erano riusciti a mettersi al riparo sotto i portici. Entrarono in azione anche gli idranti, e furono lanciate le bombe lacrimogene”. Alessandro Carri ricorda benissimo quel pomeriggio del 7 luglio. Si trovava in piazza coi ragazzi della Federazione Giovanile Comunista, di cui all’epoca era segretario provinciale. Udì i primi colpi di arma da fuoco dalle parti di via Battaglione Toscano, nei pressi dell’ufficio postale: raffiche di mitra, secche e metalliche, e poi 6

colpi singoli, esplosi dai moschetti. Vide il sindaco Cesare Campioli e l’assessore Enrico Lelli avanzare verso i poliziotti a braccia spalancate, urlando loro di non sparare, di cessare la carneficina. Ma inutilmente. Un sottufficiale dei carabinieri puntò anzi il mitra contro il sindaco, ingiungendogli di andarsene. Pochi passi più in là, in piazza Cavour, alcuni carabinieri spararono davvero in direzione di Campioli, uccidendo uno dei lavoratori che gli stavano al fianco. Altri corpi erano già a terra, le magliette coperte di sangue: pallottole continuavano a fischiare da tutte la parti, ad altezza d’uomo. “Non c’è dubbio: si trattò di una strage, una strage ancora impunita. Un massacro voluto e preordinato dal governo di allora, quello di Tambroni, per far credere che il Paese vivesse una fase pre-insurrezionale, che esistesse una minaccia comunista contro la democrazia. Era vero il contrario: proprio Tambroni rappresentava uno sfacciato ritorno al passato, con un governo sostenuto dai voti dei neofascisti.

Genova s’era ribellata per prima, il 30 giugno, impedendo la celebrazione di un provocatorio congresso del Msi nella città medaglia d’oro della Resistenza. Da quel momento si scatenò la violenza: il 5 luglio la polizia uccise un lavoratore a Licata, il 6 luglio a Roma i carabinieri a cavallo manganellarono un corteo antifascista, spaccando la testa all’onorevole Pietro Ingrao. A Reggio la Cgil proclamò per il sette luglio lo sciopero generale: e la polizia di Tambroni si preparò all’attacco. Da Padova arrivarono qui da noi i reparti speciali e si costituì un concentrato di forze di polizia mai visto. La città fu praticamente posta in stato d’assedio”. Cinque le vittime, ventitré i feriti assistiti in ospedale. Il massacro cessò soltanto quando il sindaco Campioli riuscì ad imporre al prefetto il ritiro dei militari. Ma la polizia continuò a sparare altrove: l’otto luglio a Palermo si contarono tre morti e 54 feriti tra i manifestanti antifascisti, a Catania una vittima e 25 feriti. Tambroni si dimise soltanto il 19 luglio, per la pressione politica del segretario democristiano Aldo Moro. Era stato Moro a chiedere al professor Corrado Corghi, reggiano, di relazionare alla direzione della Dc sui gravissimi avvenimenti nella sua città: egli smentì categoricamente che la polizia fosse stata aggredita e denunciò invece la scelta autoritaria e reazionaria del governo, di cui chiese le dimissioni. Corghi stesso partecipò ai funerali, fianco a fianco con Palmiro Togliatti. “E per questo Corghi dovette poi subire le ire del vescovo Beniamino Socche, che lo mise sotto accusa davanti alle autorità del Vatica-


Memoria

no. Per fortuna il Papa era Angelo Roncalli, ossia Giovanni XXIII: l’iniziativa di Socche non ebbe seguito. Del resto Corghi aveva ragione: le responsabilità del governo erano chiare, l’appoggio chiesto alle forze neofasciste negava d’un colpo la natura popolare della Dc, e intendeva cancellare le premesse della svolta che avrebbe poi portato ai primi governi di centro sinistra proprio sotto la guida di Aldo Moro”. Oggi Alessandro Carri, già deputato e senatore del Pci, guarda avanti, e ritiene che l’ormai prossimo sessantesimo anniversario del 7 luglio meriti un impegno particolare delle forze democratiche. “Non possiamo rinunciare ad individuare le responsabilità politiche di quegli avvenimenti. Occorre raddoppiare gli sforzi perché siano resi noti gli atti del Ministero degli Interni, ancora secretati, che possono chiarire da chi vennero le disposizioni, chi diresse la catena di comando, chi autorizzò a sparare sui cittadini inermi. Informazioni che possono aiutare a riaprire quel processo che mandò tutti assolti e nemmeno si occupò di individuare le colpe degli uomini al governo. La proposta di istituire una commissione di inchiesta, avanzata a

suo tempo dal senatore Antonio Soda, non è mai stata presa in considerazione”. “Ed è tempo – prosegue Carri – di dar vita ad una iniziativa di grande respiro politico e culturale, quale potrebbe essere la istituzione di una Fondazione che raccolga il materiale disponibile e stimoli la ricerca su una fase delicata e decisiva della nostra storia, da cui trarre insegnamento anche per l’oggi. Perché bisogna dirlo: in quei giorni, pur bagnati dal

all’angolo tra via Crispi e piazza Cavour. Aveva soltanto 19 anni. Il nonno Fermo, vecchio cooperatore e socialista prampoliniano, era stato più volte minacciato dai fascisti; il padre era stato operaio delle Reggiane, poi licenziato. Ovidio, studente-lavoratore, era segretario dei giovani comunisti della zona cosiddetta “Cirenaica”: appassionato colombofilo, il 7 luglio aspettava tre dei suoi colombi di ritorno da Reggio Calabria. Lauro Farioli era orfano da quando il padre, uno dei primi iscritti al Partito Comunista d’Italia e dirigente del partito clandestino, si era tragicamente suicidato convinto che il fascismo avrebbe trionfato. Lauro crebbe tra mille stenti. A 22 anni, sposato e padre di un bimbino, fu tra i reggiani che con le motorette raggiunsero Genova per

sangue dei nostri compagni, noi abbiamo vinto. Era in gioco la democrazia e noi abbiamo vinto, le tentazioni autoritarie sono state battute, si è mantenuto aperto il sentiero tracciato dalla Resistenza antifascista. Per questo, dopo tanti anni, sarebbe anche opportuno ridare importanza e visibilità al piccolo monumento oggi un po’ seminascosto dedicato alle cinque vittime, in quella che pure si chiama piazza Martiri del 7 Luglio”.

Alessandro Carri, allora Segretario della Fgci, in visita ai feriti (Fototeca Biblioteca Panizzi)

I MARTIRI DEL 7 LUGLIO Ovidio Franchi fu il primo a cadere,

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le manifestazioni contro il congresso missino; il 7 luglio volle indossare la maglietta rossa per riunirsi con gli amici in piazza della Libertà. Marino Serri, 41 anni, era stato partigiano combattente nonostante fosse stato colpito due volte da polmonite. Era tra i più convinti sostenitori della necessità di aprire sindacati e cooperative alle esigenze dei giovani. Il 7 luglio fu il primo a tentare di soccorrere Lauro Farioli, abbattuto dai colpi di mitra davanti alla chiesa di San Francesco. Serri accorse verso di lui nonostante la gragnuola di proiettili, gridando “assassini!” ai militari che continuavano il fuoco. Fu investito a sua volta da una raffica di mitra, e morì pochi metri più avanti. Afro Tondelli 36 anni, aveva partecipato alla Resistenza nelle file della 76ma brigata Gap, insieme a Marino Serri. Sposato e con due figli, era organizzato-

re della sezione Pci dell’ospedale Santa Maria ove lavorava come operaio meccanico; era anche segretario locale dell’Anpi. In ospedale era in grado di riparare qualsiasi strumento, anche i ferri chirurgici. Gravemente ferito in un vero e proprio tiro al bersaglio sotto i cedri dei giardini, gli amici dell’ospedale si prodigarono ma non riuscirono a salvargli la vita. Emilio Reverberi 39 anni, era stato commissario politico presso il distaccamento partigiano Amendola. Sposato, due figli, dopo la Liberazione trovò lavoro alle Reggiane. Licenziato con gli altri, avviò una attività artigiana continuando l’impegno nella sezione del Pci e studiando, anche nottetempo, le opere degli autori preferiti. Fu ferito da una prima pallottola davanti al negozio Zamboni in galleria Cavour: cercò riparo trascinandosi a terra, ma fu raggiunto dal suo assassino e finito con un colpo di grazia.

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Notiziario ANPI

Legalità e giustizia

l’indispensabile dialogo tra giustizia e legalita’ di Paolo Bonacini

Il

1960 e l’epoca attuale. Due momenti storici caratterizzati da un duro attacco ai diritti fondamentali del cittadino: le libertà, la dignità, il lavoro. Diritti messi in discussione allora da un governo che si reggeva sfacciatamente sulla stampella dell’MSI; oggi dalla combinazione nefasta, dilagante nel paese, di istigazione all’odio e sovranismo, capaci di offuscare i principi irrinunciabili alla base della nostra democrazia: antifascismo, solidarietà, uguaglianza. Che le mafie ci sguazzino e si ingrassino, in questa cornice di degrado etico e politico, è solo la conseguenza, non certo la causa. Leggere i tratti comuni di queste epoche lontane significa ragionare sul binomio legalità/giustizia: due parole che spesso utilizziamo come sinonimi sebbene abbiano significati diversi e implichino differenti sfere di merito. Il rispetto della legalità è un fondamento del vivere comune in democrazia. Ma non sempre ciò che è legale è anche giusto, ed è compito politico e collettivo produrre giustizia e orientare la legalità quando lo spazio dei diritti si comprime togliendo l’aria per respirare alle persone. Il 7 luglio 1960 a Reggio Emilia, ci dice la sentenza 56/64 della Corte d’Assise di Milano pronunciata 4 anni dopo l’uccisione di cinque persone in piazza, i poliziotti e i carabinieri che spararono non commisero alcun reato perché eseguirono gli ordini ricevuti “al fine della rigorosa tutela dell’ordine pubblico e della libertà del lavoro, per prevenire qualsiasi tentativo di cortei non autorizzati”. Le squadre di polizia dovevano eseguire “perlustrazioni col preciso compito di frustrare sul nascere qualsiasi tentativo di assembramento”. Anche a costo, evidentemente, di sparare ad altezza d’uomo ferendo una trentina di persone e ammazzandone cinque. 8

I funerali dei martiri del 7 Luglio 1960

È dura accettare l’idea che ciò sia legale, che si siano uccisi dei lavoratori per “tutelare la libertà del lavoro”, ed è forse ancora più dura quando nella sentenza si legge che diversi agenti sono stati assolti perché “il fatto non sussiste”. Andatelo a dire a Silvano Franchi, che “il fatto non sussiste”. Andate a chiedergli come sta suo fratello Ovidio, perché se “il fatto non sussiste” allora dovrebbe essere ancora vivo e ci siamo sbagliati noi… Andate a chiedere a Oldano Serri se ha mai più giocato in cortile con suo papà Marino… Sarà legale ma non c’è nulla di giusto in quella sentenza. Come non c’era nulla di giusto nelle cariche armate della polizia che uccise. Eppure i famigliari delle vittime, i lavoratori che al pari di Ovidio, Lauro, Marino, Afro ed Emilio avevano scioperato, in definitiva la stragrande maggioranza dellapopolazione di Reggio Emilia, non risposero a quella ingiustizia violando la legalità; non pretesero, come fanno oggi le mafie e i centri di potere che con esse dialogano senza imbarazzo, di imporre un sistema diverso di regole e valori; non misero a ferro

e fuoco la città. Corrado Corghi, il segretario regionale della DC all’epoca dei fatti, ricorda nel film “Vento di luglio” la cosa che più lo impressionò nel giorno dei funerali dei cinque martiri ai quali lui stesso volle partecipare a fianco dei dirigenti del PCI: “Il silenzio”. Migliaia di persone che piangevano. In silenzio. Senza scatenare reazioni violente, neppure a parole. È la risposta di un popolo che non ha bisogno di riflettere su cosa significhi democrazia; che ne riconosce i principi naturalmente, nelle proprie pratiche, che farà certamente tutto quanto in suo potere per ottenere giustizia, ma senza dirottare dalla legalità che assume come fondamento e linguaggio comune nella propria vita. Anche quando legge, ed è una provocazione che manda il sangue alla testa, il titolo pubblicato il 9 luglio dalla Gazzetta di Reggio, allora in mano a un editore certamente più amico di Almirante che di Togliatti: “Ritornata la calma in città”. Come a dire: tutto è bene ciò che finisce bene. Basta questo per capire cosa intendesse Delfina Franchi quando


Legalità e giustizia

disse al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale, nel settembre 2001: “Io non voglio vendetta. Io voglio solo verità e giustizia”. Quella verità ancora negata ufficialmente e che dopo quell’incontro fu finalmente possibile scolpire nella storia, attribuendo la dignità di martiri ai cinque morti di Reggio Emilia. Quella giustizia che si potrà dire completata solo quando anche la legalità farà un passo avanti rispetto al processo che fu tolto dalla sua sede naturale di Reggio Emilia. Andrebbe rifatto; non per condannare sessant’anni dopo le persone che spararono, ma per condannare le ragioni e i moventi politici di quei colpi di pistola e di fucile. Ragioni e moventi tutt’altro che legali, tutt’altro che democratici. Oggi siamo qui a chiederci cosa ci sia di giusto, o anche più semplicemente di umano, nel voler condannare chi soccorre migranti in mare e chi dà asilo a disperati sulla terra. Cosa ci sia di colpevole nel dramma umano di quei disperati che fuggono da guerre, povertà e prospettive di morte. Siamo a chiederci cosa ci sia di giusto nel piegare l’intero mercato economico alla logica del massimo profitto e alla distruzione della dignità e dei diritti del lavoro, producendo disuguaglianze che provocano danni irreversibili alle comunità, alla salute fisica e mentale, agli ambienti, al rispetto della legalità. Sono l’economia truccata e l’au-

mento del divario tra ricchezza e povertà, dicono premi Nobel e studiosi statunitensi come Joseph Stiglitz e Robert Sapolski, a generare oggi una crescita esponenziale dei tassi di imbarbarimento delle relazioni umane, di violenza e di illegalità. Non certo i flussi migratori. L’andamento delle disuguaglianze nel mondo è stato analizzato con rigore scientifico, e la forbice dei redditi ci dice che tra il 1970 e oggi l’1% della popolazione mondiale più ricca ha visto quadruplicare i propri ricavi e patrimoni, mentre il 90% della popolazione più povera è ancora più povera. Questa è “la colossale ingiustizia dei tempi nostri” sulla quale si innescano anche le mafie che offrono l’illusione di scorciatoie per l’arricchimento facile. Ma a ben vedere il male viene prima delle soluzioni proposte dalla ‘ndrangheta. Il male è il sistema di regole che accettiamo quasi come ineluttabile e che consente a questo tumore della disuguaglianza di diffondersi senza freni. Il male è la mancanza di consapevolezza che solo attraverso la rivendicazione di maggiore giustizia potremo ottenere maggiore equità e dunque un codice di legalità più aderente ai valori della democrazia e del diritto. È battaglia politica, perché nessuno regala nulla a nessuno. Ma almeno in queste terre non dovremmo avere paura a combattere le giuste battaglie per l’affermazione dei diritti collettivi. La sentenza della Terza Sezione del Consiglio di

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Stato del 30 gennaio 2019, che sancisce la legittimità di una informativa antimafia redatta dalla Prefettura di Napoli, dice: “Anche le imprese hanno un limite nel proprio operare fissato dalla Costituzione, che vincola l’iniziativa economica privata, benchè libera, a non svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Oggi, dopo il processo Aemilia, più persone di prima dovrebbero essere consapevoli che la regola degli “affari senza regole” è un attentato alla libertà dell’impresa, alla sua utilità collettiva e alla dignità umana, che offre sponde per l’approdo di qualsivoglia sistema illecito di accaparramento dei profitti e dei poteri. Mafie incluse, naturalmente. Anche nel 1960 era evidente che abbracciare nuovamente i fascisti per la guida del Paese avrebbe rappresentato un “attentato alla dignità umana”; eppure allora ci fu chi tentò comunque di rendere legale ciò che era ingiusto. E dovette fare marcia indietro solo grazie ad una generale e convinta reazione collettiva che pagò con molte morti la propria scelta di campo nella democrazia. È la stessa sfida di oggi. E certamente anche di domani. Tenere gli occhi aperti, e avere chiaro per cosa combattiamo, è la nostra “frontiera avanzata della prevenzione” in difesa di una giusta legalità, ancor più necessaria quando il territorio è contaminato e le idee sono confuse.

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Notiziario ANPI

Attualità

Ivano Bosco: “Mafia e camorra non sono ancora state sconfitte” Il nuovo segretario della Camera del lavoro di Reggio parla di legalità, antifascismo e antirazzismo, che definisce principi inderogabili. Il ricordo delle vittime del 7 Luglio: “in guardia contro le nuove minacce al sistema democratico”. di Roberto Scardova

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on immaginava certo, quand’era a Genova, che una volta a Reggio tanta parte del proprio impegno sarebbe stata assorbita dal problema della criminalità. La minaccia mafiosa all’economia, la constatazione di quanto profonda si sia rivelata l’infiltrazione ‘ndranghetista nel sistema produttivo e commerciale hanno costituito invece una spiacevole sorpresa. Di Reggio, insomma, aveva tutt’altra idea. Incontriamo Ivano Bosco, da poco segretario generale della Camera del lavoro reggiana, all’indomani dell’ennesima assemblea di iscritti che la Cgil ha tenuto nei comuni della provincia. Dai colloqui coi lavoratori, ci dice Bosco, emerge chiara la consapevolezza che il fenomeno di stampo mafioso è grave e diffuso. Le sensazioni allarmanti già ben presenti da tempo nelle varie strutture del sindacato sono divenute certezze col processo Aemilia. Ed è diffusa la convinzione che le cosche non abbiano affatto mollato la presa su aziende e servizi. Che, anzi, si siano già attrezzate per gestire i traffici malavitosi con sistemi e strategie ancora più efficaci, mettendo in campo la generazione che ha potuto studiare, ed è in grado di penetrare anche i centri di controllo finanziario. Aemilia ci ha fatto capire che l’azione mafiosa e camorrista avviene attraverso una pressione continua sugli operatori economici. Non si spara più, per fortuna, non si uccide. Ma si è assistito ad una progressiva conquista di spazi, anche grazie ad alcuni imprenditori che hanno creduto di potersi avvalere dei vantaggi offerti dalle operazioni illegali. Purtroppo, 10

Manifestazione della CGIL (foto di A. Bariani)

commenta Bosco, una parte della società civile di questa provincia ha continuato a rigettare l’idea stessa che il controllo criminale sull’economia fosse possibile. Oggi, di fronte alle risultanze processuali, ogni forma di resistenza va combattuta: una battaglia nella quale il sindacato sarà in prima linea, come lo è stato negli anni passati. Bosco sorride compiaciuto quando ricordiamo il prezioso impegno della Cgil reggiana a sostegno della magistratura, e ci complimentiamo per il sostanzioso volume, curato dal giornalista Paolo Bonacini, che la stessa Cgil ha dato alle stampe per ricostruire meticolosamente l’inchiesta Aemilia, attraverso le significative storie dei malavitosi e delle loro vittime. Ne emerge una vicenda criminale che ha preso le mosse, però, almeno

trent’anni fa. Sì, è vero, annuisce Bosco: la società civile reggiana se ne è accorta un po’ tardi. Resta il fatto che qui il sindacato è stato tra i primi a denunciare, a pretendere attenzione verso comportamenti illegali che hanno finito per inquinare gravemente tanta parte del tessuto economico. Quello della legalità, sottolinea Bosco, è del resto uno dei tre temi fondamentali dell’agire del sindacato: antifascismo, antirazzismo ed appunto lotta alla corruzione ed ai sistemi malavitosi. Princìpi irrinunciabili, ripete con fermezza. Sino a pochi mesi fa Ivano Bosco era segretario generale della Camera del lavoro a Genova, la sua città. Genovese a metà, tuttavia: perché la mamma è di Ramiseto, trasferita in Liguria dopo la guerra, e la moglie insegnante è originaria di Cervarezza. Alla realtà di


Attualità

casa nostra, quindi, Ivano Bosco è fortemente legato. Chissà, tutto questo ha forse influito sulla decisione con cui la segreteria nazionale lo ha designato alla guida della Cdl reggiana: una scelta dovuta alla difficile situazione in cui erano precipitati i vertici

del sindacato Cgil della nostra provincia, con le divisioni emerse nel congresso dello scorso ottobre che hanno portato alla mancata rielezione del precedente segretario, Guido Mora. Divisioni che oggi non appaiono ancora del tutto superate, anche se Bosco si dice cautamente convinto di possibili soluzioni a breve termine. Il dialogo tra le diverse posizioni è in qualche modo ripreso, è in via di definizione una proposta unitaria che il segretario si augura possa portare al superamento delle contrapposizioni politiche e personalistiche. Siamo al lavoro per ricostruire l’unità, ribadisce Bosco: e si capisce che rimpiange il clima di Genova, dove per sua fortuna il confronto fra le diverse componenti è risultato ben più sereno. Il sindacato si prepara del resto ad affrontare una crisi economica che

a Reggio si annuncia problematica. Forse non è ancora recessione, riflette Bosco, ma certo si avvertono inquietanti sintomi di stasi. Le aziende se ne stanno guardinghe in un quadro complessivamente incerto: la disoccupazione si aggira sul quattro per cento, altrove è molto peggio, è vero, ma il centro studi Ires avverte che a Reggio la crescita è inferiore rispetto a Modena o Bologna. I settori industriali, del terziario e dell’edilizia residenziale appaiono fermi quando non in calo: gli imprenditori mandano segnali preoccupati. Quella reggiana è tuttavia una economia viva, che sollecita politiche espansive incoraggianti. Non è purtroppo quello che si annuncia da parte del governo, commenta Bosco. Genova e Reggio Emilia: c’è un filo rosso che le unisce, ricordiamo, ed è quello del 7 luglio 1960. Sì, annuisce Bosco, ed è un ricordo ancora oggi straziante. Si trattò di un vero e proprio assassinio di Stato, ancora impunito perché la magistratura di allora era fortemente condizionata dal quadro politico. Un delitto eseguito su disposizioni precise emanate da chi perseguiva un disegno politico autoritario e reazionario. E’ a quel livello che un eventuale

luglio 2019

nuovo processo dovrebbe risalire, per fare chiarezza e giustizia. Non so se sarà possibile celebrarlo, quel processo: va detto però, sottolinea Bosco, che il giudizio storico c’è stato, ed è senza appello verso chi con quei morti cercò di cancellare le conquiste della Resistenza antifascista. L’elenco delle vittime innocenti, conclude Bosco, conferma che in quei giorni al fianco dei partigiani erano scesi in piazza migliaia di ragazzi, giovanissimi animati dal desiderio di costruire un’Italia nuova, pulita, democratica. Oggi, quasi sessant’anni dopo, siamo costretti ad assistere a troppi episodi che minacciano i fondamentali diritti di convivenza e di civile confronto. Quando si permette a quelli di CasaPound o di Forza Nuova di scendere in piazza, di violare la legge riproponendo violenze razziali e stantìe coreografie fasciste, a sostegno anche di partiti al governo, vuol dire che sulla strada della democrazia si è camminato a rilento. Che la generazione di adesso è certamente più colta, ma assai meno istruita e consapevole di quella del 1960. Ricordiamo ed onoriamo le vittime di quei giorni, allora, e rimaniamo in guardia per consolidare e difendere le conquiste democratiche.

Ivano Bosco, Segretario della Camera del Lavoro di Reggio Emilia (foto A. Bariani)

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Notiziario ANPI

Resistenza

Medaglia al Valor Militare per San Martino in Rio e Cavriago È stato il Ministro Elisabetta Trenta a consegnare le due Medaglie di Bronzo ai rappresentanti dei comuni reggiani. La cerimonia ufficiale è avvenuta a Roma, a palazzo Salviati, alla vigilia del 25 aprile.

Le delegazioni del Comune ed ANPI di San Martino in Rio e Cavriago a Palazzo Salviati a Roma (foto Comune di Cavriago)

di redazione

“Fu il primo comune della pro-

vincia reggiana a liberarsi con le proprie forze il 23 marzo del 1945 e ad essere amministrato dal locale Comitato di liberazione nazionale”. Così sta scritto sulla motivazione che ha portato il comune di San Martino in Rio a ricevere la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Una motivazione che riconosce anche gli atti di valore ed “il forte impegno patriottico, civile e sociale della sua popolazione”. La richiesta di riconoscimento era stata presentata nel 2016 e, dopo un iter durato tre anni, è stata finalmente accolta. Alla cerimonia hanno partecipato, tra gli altri, il sindaco Paolo Fuccio e la Presidente della sezione locale dell’Anpi, Assunta Pistone. “La medaglia – ha dichiarato il primo 12

cittadino - vuole essere un “ponte” tra passato e presente, per le nuove generazioni”, per ricordare i sacrifici che hanno permesso a tutti di diventare liberi e protagonisti del proprio destino. Un riconoscimento che arriva dopo quasi 74 anni ma che rende ancora attuale l’esemplare storia di questo comune. “Fu, senza dubbio, insieme con le manifestazioni di massa organizzate in molti comuni dai gruppi di difesa della donna - scriveva Ginetto Patacini su l’Unità nel 1975 - l’avvenimento di maggior rilievo politico della Resistenza reggiana che si è verificato nella primavera 1945.” Fu un distaccamento di Sap, appoggiato dai partigiani modenesi di Panzano, a liberare il paese che venne amministrato per un mese dal Cln. Ma come fu possibile liberare il paese

e governarlo a guerra ancora in corso? Lo spiega bene sempre Ginetto Patacini. “Se la guerra non voluta, i bombardamenti, la miseria e la fame avevano allontanato le masse popolari dal fascismo, l’otto settembre 1943 segna la definitiva rottura. Il fascismo agisce come forza di oppressione, le violenze e gli eccidi suscitano odio e ribellione nel popolo.” E così prevalgono “l’unità di tutte le forze popolari e antifasciste, della mobilitazione della lotta di massa contro gli egoismi e gli interessi antinazionali. È la via – concludeva Patacini oltre 40 anni fa - che ancora oggi appare la sola valida per portare il Paese fuori dalla crisi, per il rafforzamento e lo sviluppo della democrazia e il rinnovamento dell’Italia”. Parole ancora attuali. Può andare fiero della Medaglia di Bronzo al Valor Militare anche Cavriago. A ritirarla a Roma, il


Resistenza

24 aprile, in rappresentanza del comune, c’era il sindaco Paolo Burani, accompagnato da rappresentanti di Anpi e gruppo Alpini. Il comune fu – si legge nella motivazione ufficiale – “teatro di molteplici e ardimentose azioni partigiane finalizzate al sabotaggio, alla requisizione di armi, munizioni e medicinali, oltre che alla cattura di militari nemici, poi consegnati agli alleati. Generosissima fu la partecipazione corale alla lotta di Liberazione e l’impegno femminile in azioni

di combattimento e di spionaggio, collegamenti informativi, raccolta di armi, abiti e assistenza alle famiglie che furono pagati a caro prezzo di vite umane”. Il sindaco Paolo Burani ha sottolineato, a proposito della medaglia, che “non sono tanti i Comuni che hanno ottenuto questo riconoscimento fino ad oggi. Siamo onorati che il sacrificio e l’impegno dei cavriaghesi per la lotta di Liberazione siano stati riconosciuti ufficialmente dallo Stato, con decreto del Presidente della Repubblica”. Ora

luglio 2019

sono 9 le medaglie conferite a paesi della nostra provincia per “l’eroismo di quanti - queste le parole del ministro Elisabetta Trenta nel consegnare le medaglie - seppero riscattare l’Italia dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista”. Oltre a San Martino in Rio e Cavriago, hanno ricevuto la medaglia di bronzo Cervarolo e Fabbrico, la croce di guerra Correggio e Ramiseto, la medaglia d’argento Gattatico e Villa Minozzo, la medaglia d’oro Reggio Emilia.

Le piazze reggiane del 25 aprile In tutta la provincia eventi e manifestazioni per ricordare la festa della Liberazione. Nonostante il tempo incerto, in migliaia al corteo di Reggio Emilia e all’appuntamento nazionale di Casa Cervi.

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alla montagna alla pianura, dalla Val d’Enza a quella del Secchia passando per Reggio. Anche quest’anno il 25 aprile è stato un giorno importante. Cortei, momenti di festa e riflessione sono stati organizzati in tutta la provincia. In tanti hanno voluto partecipare alle iniziative per testimoniare l’appartenenza agli ideali partigiani e ai valori scritti oltre settanta anni fa nella Costituzione italiana “che è – come ha ricordato il presidente dell’Anpi provinciale Ermete Fiaccadori – il frutto più importante della lotta di Liberazione e ha marcato la discontinuità più netta con gli anni della dittatura non tanto con la proibizione della riorganizzazione del partito fascista ma soprattutto con l’affermazione di quei principi e diritti che il regime fascista aveva invece sistematicamente offeso e violato”. Fiaccadori, parlando il 25 aprile in piazza a Reggio a migliaia di persone, si è rivolto anche a chi tenta di far passare la Resistenza come un movimento ‘di parte’: “tutte le forze antifasciste e democratiche (dai comunisti ai socialisti, dai democristiani, ai popolari, ai repubblicani) diedero vita ad un’alleanza perché convennero sulla priorità di un obiettivo: sconfiggere il fascismo e cac-

ciare i nazisti invasori”. La lotta di Liberazione dunque è un bene di tutte le forze democratiche: “fu un moto di ribellione crescente al fascismo, con il coinvolgimento di persone di vari orientamenti ideali, di diversi strati sociali e culturali”. “Sia questo 25 aprile – gli fa eco da Gattatico Albertina Soliani,

presidente dell’Istituto Cervi – il giorno di unità per tutti gli antifascisti. Oggi la paura percorre il mondo e diffonde razzismo, antisemitismo, pregiudizi, respingimenti, chiusure, guerre. Dobbiamo prenderci cura della convivenza, nel rispetto del dialogo, della non violenza, del lavoro, dei valori universali”.

Un momento delle celebrazioni del 25 Aprile in Piazza Martiri del 7 Luglio (foto A. Bariani)

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Notiziario ANPI

Società

La storia è un bene comune, difendiamola Ha già raccolto migliaia di firme l’appello lanciato dallo storico Giardina, dalla senatrice Segre e dallo scrittore Camilleri perché non vengano indebolite la ricerca e la conoscenza critica del passato.

Da sinistra Andrea Camilleri, Andrea Giardina e Liliana Segre

di Antonio Zambonelli

Chi si ricorda della legge del 10

febbraio 2000 (n.30), nota anche come Riforma (Luigi) Berlinguer? Entravamo nel Terzo Millennio, c’era il Governo dell’Ulivo, Prodi Presidente del Consiglio alla testa di un vasto schieramento di centro-sinistra. All’interno di un ampio disegno organico, la legge Berlinguer prevedeva di (punto 5.3): “Dare maggiore spazio alla storia moderna e contemporanea...con l’obbiettivo di rendere i giovani cittadini consapevoli del tempo in cui vivono”. Si prevedeva anche una diversa periodizzazione prospettando di dedicare l’ultimo anno di ognuno dei tre cicli (elementare, medio e superiore) allo studio del Novecento. Quella legge, che accendeva in molti di noi grandi speranze, non entrò mai in vigore. Fu abrogata nel marzo 2003 con la cosiddetta riforma Moratti, Berlusconi regnante. Da allora, memoria e conoscenza storica diffuse, circa le radici delle Istituzioni nazionali, europee e internazionali, andarono progressivamente deteriorandosi, fatte salve autonome esperienze dovute alla buona volontà di singoli insegnanti e all’impegno meritorio di enti 14

locali a sostegno di iniziative di Istituti Storici della Resistenza e di Anpi. Il deterioramento di una seria formazione, nella scuola, basata sulla conoscenza di storia e necessariamente connessa geografia, è giunto, sotto il governo giallo-verde, fino all’espulsione di tali discipline dagli esami di maturità nei Licei nonché alla riduzione delle ore ad esse dedicate. C’è voluto l’impulso di alcune personalità di grande livello intellettuale e morale per protestare contro tale andazzo frutto e causa di un progressivo rilassamento in cui fenomeni vari di regressione politica e sociale sono andati sempre più prendendo piede. “La storia è un bene comune. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di uguaglianza tra cittadini”, è l’incipit dell’appello sottoscritto da Andrea Giardina, Liliana Segre e Andrea Camilleri. Persone che hanno ben vivo il ricordo di ciò che è stato il Novecento: come storico il primo, sopravvissuta ad Auschwitz la seconda, testimone e narratore della contemporaneità il terzo. “Ignorare la nostra storia vuol dire smarrire noi stessi, vuol dire

vivere ignari in uno spazio fittizio proprio nel momento in cui i fenomeni di globalizzazione impongono panorami sconfinati alla coscienza e all’azione dei singoli e delle comunità”. Tale appello, quasi un “Aridàtece la Storia!” è stato via via sottoscritto da centinaia di altre personalità della cultura e dell’arte. Ma non deve rimanere, ancora una volta, qualcosa che riguarda soltanto le cosiddette élites. L’Anpi deve avere un ruolo di diffusione capillare di tale richiesta. E le forze politiche che si riconoscono nelle radici non retoricamente antifasciste della nostra Repubblica e della Costituzione dovrebbero rimettere mano ai principi ispiratori che quasi vent’anni fa dettero origine alla inattuata Riforma Berlinguer. Le angosce, le paure e gli smarrimenti che inducono in vasti strati della società confusi impeti di ribellione, di cambiamento e l’impulso ad affidarsi ad un uomo solo al comando, sono già stati vissuti negli anni Trenta del secolo XX. La Storia, se non sempre riesce ad essere maestra di vita, aiuta però a saper cogliere analogie e differenze con un passato che rischia di ripetersi nel presente.


luglio 2019 pensieri su reggio

Il futuro di Reggio passa dal ritorno alla comunità Vi proponiamo un contributo alle riflessioni sulla città di ieri e oggi avviate dall’Anpi nelle scorse settimane con il progetto “Pensieri su Reggio”. di Damiano Razzoli*

“Pensieri

perché viene maturata la consapevolezza che da soli non si ottiene nulla.

Chi e con chi siamo? Di fronte alle trasformazioni socioeconomiche, con l’avvento di nuove tecnologie che hanno gradualmente digitalizzato il lavoro e le relazioni, le persone stanno rimettendo al centro del loro pensiero e agire quotidiano due domande essenziali: da una parte si chiedono “chi siamo?”, con un forte recupero dell’identità confortante del proprio cortile come contraltare dell’identità globale, che soffre la chiusura limitante in recinti autoreferenziali e cerca una cittadinanza cosmopolita che apra orizzonti ed esperienze; dall’altra parte si chiedono “con chi siamo?”, con un accento rilevante sull’individuo, con le sue relazioni amicali sicure e familiari vissute in modo funzionale per soddisfare esigenze personali e compensare la paura soggettiva dell’isolamento, oppure sul bisogno di comunità, in cui le relazioni entrano nella dimensione della scoperta

Fare squadra L’iniziativa dell’Anpi si inserisce nella dialettica offerta da queste domande e ci dice che le persone hanno bisogno di conoscersi e di riflettere sul senso del loro stare al mondo. Poche settimane fa, un amico mi raccontava della sua voglia di realizzare un’idea e dell’esigenza di trovare ascolto: lo è andato a cercare e ha visto una Reggio in fermento, con un potenziale pronto ad esprimersi ancora in attesa di supporto e strumenti perché diventi risorsa per tutta la collettività. Come fare? Basta guardare alle origini, come osservano le figure a cui Anpi ha chiesto “Pensieri su Reggio”, quando insieme si perseguiva un sogno, si realizzava un’idea “facendo impresa”. Allora, si torni a fare squadra, come scrive don Giuseppe Dossetti, così da dare forma comunitaria alla spinta della libertà individuale, prima di tutto da un rinnovato rapporto tra amministrazione e sistema produttivo, basato sulla solidarietà “corale” e sulla riflessione teorica che è stato e sarà “l’impasto migliore” della società reggiana nei momenti più duri, dice Giuseppe Gherpelli. Nei passaggi più difficili della sua storia, i reggiani non si sono mai lamentati, racconta Tiziano Rinaldini, ma si sono sempre pensati in relazione con la grande Storia, con le città europee, traducendo la propria cultura provinciale in responsabilità politica del creare e del gestire. Per esempio, quando negli ann’50 arriva il boom economico,

su Reggio” è un libro minuto ma enorme, auto ciclostilato e militante, che impone alla nostra attenzione il cuore della missione e del senso che l’Anpi ha per tutti noi: l’interminabile e immensa urgenza del significato della Liberazione, prima di tutto quella delle paludi del conformismo e del sonno della ragione. Nel leggere le parole di chi vi ha contribuito e che riassume le radici valoriali del socialismo cooperativista e del cristianesimo sociale, ho trovato due chiavi per interpretare le dinamiche italiane ed europee in atto.

Reggio è pronta perché ha imparato dalle esperienze del passato e ha saputo generare un mare di apprendisti che insieme lavorano. Tuttavia, per coltivare un tessuto sociale pronto a immaginare il futuro e ad affrontare quel che sarà, oggi serve ancor più educazione; non tanto asili o scuole, precisa Carla Rinaldi, ma “luoghi di partecipazione, di costruzione culturale”. La nostra identità Questi “Pensieri su Reggio” mi hanno convinto dell’urgenza di continuare ad alimentare la riflessione su “quel che siamo e vogliamo essere come paese”, impegno di Anpi che tutti dovremmo abbracciare. Intanto, possiamo ripartire da qui: interpretare con più attenzione e più umiltà i valori della nostra identità – confronto, impresa e comunità solidale – per ascoltare le voci e vedere le strade che già oggi ci mostrano un possibile orizzonte di progresso.

* docente presso l’Università di Modena e Reggio.

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Notiziario ANPI

La parola ai giovani

la parola ai giovani Il Notiziario Anpi ha deciso di dedicare in ogni numero uno spazio alle nuove generazioni per riflettere sui valori fondanti della nostra Repubblica. In questo numero vi proponiamo le lettere, scritte dai ragazzi del Russell di Guastalla ai loro coetanei e ai giovani che verranno. Le hanno idealmente spedite dopo un percorso didattico sulla legalità conclusosi con un viaggio d’istruzione a Palermo, a pochi giorni dalle celebrazioni del ventisettesimo anniversario della strage di Capaci e via D’Amelio.

cari compagni,

ci hanno sempre parlato di legalità in modo astratto, un concetto che non pensavamo di poter sperimentare concretamente. Con questa esperienza abbiamo invece avuto modo di vedere i segni di uno dei più grandi e spaventosi problemi nella nostra società: la mafia… Associazioni come Libera, che ci ha accompagnato in questa esperienza, si sono impegnate a trasformare i beni confiscati in beni utili alla società e all’economia italiana: ne è un grande esempio la Cantina dei Cento Passi a San Giuseppe Jato. Ciò che più ha colpito i nostri cuori è stato l’incontro a Cinisi con Giacomo, un amico di Peppino Impastato che ci ha raccontato degli anni trascorsi insieme a battersi per la legalità. Ascoltare la sua testimonianza ha in qualche modo dato vita al film “I Cento Passi” rendendolo reale e facendoci partecipare in prima persona. …Possiamo dirvi che l’ingiustizia, l’omertà, la superficialità e l’ignoranza sono ciò che più ci infastidiscono. Prima di questo viaggio non pen16

L’albero dei ricordi di Peppino Impastato a Cinisi

savamo che questo argomento ci potesse coinvolgere così tanto, che si rivelasse un’esperienza così significativa. Invece ci ha reso partecipi e ci ha fatto crescere, dandoci maggiore consapevolezza di ciò che è la mafia e di come nel nostro piccolo possiamo contribuire alla legalità. Vi chiediamo quindi di prendere coscienza di ciò che ci circonda e di trovare il coraggio per parlare, agire e combattere, perché è giusto avere paura ma bisogna saperla affrontare. Perché come dice Peppino: ”la mafia è una montagna di merda”… Ed è ora che sboccino i fiori! Classe 3a T

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lle nuove generazioni e a tutti coloro che ci ascoltano, …Innanzitutto vorremmo chiarire che abbiamo ben compreso che cosa significhi la parola “mafia” e come abbia condizionato la nostra società: omertà, criminalità organizzata, ritualità, ingiustizia e violazione dei diritti individuali e collettivi sono le parole che la definiscono. Molto spesso si tende a sottovalutare questo fenomeno che

ha invece contaminato tutte le parti della società. Come abbiamo appreso attraverso gli incontri con Libera e nelle lezioni tenute in classe, le attività criminali sono molto più vicine di quanto si pensi – vedi processo Aemilia. Successivamente, grazie al nostro viaggio a Palermo, possiamo confermare che la Sicilia non può essere stereotipata come “terra di mafia”: ogni luogo è frutto della cura e dell’attenzione della comunità che vi risiede. Lo dimostrano i beni confiscati alla mafia, che noi abbiamo visitato... Ci teniamo a ricordare una guida davvero unica: Marilena Bagarella. La sua descrizione di Corleone ci ha fatto camminare per il paese con nuovi occhi, così come lei si definisce testimone di legalità. Lei è la dimostrazione che si può continuare a combattere la mafia a testa alta, senza timore e con grande coraggio. Secondo noi, è sbagliato pensare che debba essere solo lo Stato a contrastare la mafia. Ricordiamoci che lo Stato siamo anche noi. Vi chiederete allora cos’è che possiamo fare? Dall’esperienza che abbiamo fatto nel nostro viaggio, vi possiamo dire che esi-


La parola ai giovani

ste uno strumento importante: la solidarietà. Essere solidali l’uno con l’altro rispettando le regole, anche per il benessere collettivo, consente un notevole passo in avanti... Ora vogliamo terminare questa lettera con un messaggio lasciato da Peppino Impastato a chi viene a visitare “Casa Memoria”: <<Ragazzi studiate non perché qualcuno possa dirvi di farlo ma per il piacere di studiare. Coltivate pensieri positivi, abbiate le idee chiare e andate dritto per la vostra strada che deve essere la strada della legalità, del servizio sociale, della Pace…>>. Un caro saluto, classe 3a S

A

chi combatte la mafia e ai coetanei, …Peppino Impastato, Giuseppe di Matteo, Pio la Torre, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono solamente alcune delle vittime di mafia di cui ci hanno

parlato… Ci ha colpito molto il fatto che la loro forza e il loro coraggio abbiano diffuso tra le persone la consapevolezza che la mafia esiste, che non si può fare finta di niente e che bisogna attivarsi e unirsi per sconfiggerla. In particolare è stato molto emozionante recarsi all’albero di Borsellino, stracolmo di oggetti lasciati dalle persone che l’hanno visitato… Abbiamo capito, come dice Falcone, che “gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Un’altra vicenda che ci ha colpito è quella relativa a Giuseppe di Matteo, un ragazzo rapito da mafiosi per ricattare il padre, diventato un collaboratore di giustizia. Per quasi 2 anni fu tenuto imprigionato in condizioni disumane … all’età di 15 anni, venne ucciso e sciolto nell’acido. La crudeltà di questo episodio ci ha fatto riflettere sulla mentalità dei mafiosi che… arrivano persino

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a torturare e uccidere un ragazzo così giovane, solo per ottenere potere e denaro con più facilità… Tutte queste parole e queste foto sono solamente delle proiezioni e non saranno mai in grado di esprimere le nostre emozioni, che si trovano nei nostri cuori, e che ci porteremo con noi per sempre. Anche quando permane un senso di impotenza e ci si arrende alla realtà dei fatti, credendo che non si possa più fare nulla per cambiare il mondo, è lì che le voci di ragazzi, giornalisti oppure di persone comuni possono far rinascere la speranza di un futuro migliore. L’antidoto alla vita criminale non può essere altro che la cultura, ovvero la scuola, che ci educa ad essere cittadini consapevoli, responsabili, ma soprattutto liberi. Come dice Bertrand Russell: “Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.” classe 3a A

Scatti

i legami di fotografia europea. È il tema scelto per l’edizione 2019 di Fotografia Europea che per settimane ha animato la città. Tra gli artisti che hanno esposto all’interno del Circuito Off c’è anche il nostro prezioso collaboratore, Angelo Bariani. I suoi scatti ci parlano di affetti: dolcezza, amicizia, amore. Le fotografie sono ancora visibili al Centro Sociale “Insieme” di via della Canalina,19, a Reggio Emilia. 17


Notiziario ANPI

Storie partigiane

“L’odio per le atrocità del nazifascismo mi faceva superare la paura” Con la storia di Laura Polizzi, “Mirka”, continua il nostro viaggio nei ricordi di chi ha contribuito a liberare l’Italia dal nazifascismo. Oggi vi proponiamo uno stralcio della lunga intervista, mai resa pubblica, rilasciata nel 2005 a Denis e Alessandro Fontanesi. mantenere i miei studi e così iniziai a lavorare come sarta. In che misura tutto questo ha influito nelle tue scelte future? Per avermi fatto abbandonare la scuola, mio padre Secondo mi fece leggere i libri di Victor Hugo, London, Gorki, letture che furono per me decisive. Ancor più determinante per la mia maturazione politica, fu l’incontro con Lucia Sarzi, già molto attiva nel nascente movimento partigiano a Reggio Emilia ed in seguito al quale accettai la proposta di collaborare col Partito Comunista, svolgendo i primi incarichi prima dell’8 settembre ’43.

“Mirka” con il suo futuro marito “Luigi” Pio Montermini a Parma dopo la Liberazione (foto Archivio Istoreco)

di Alessandro Fontanesi Mirka qual era la condizione tua e della tua famiglia durante il fascismo? La mia era una famiglia convintamente antifascista nella quale avvenivano incontri e forti discussioni politiche. Abbiamo subìto umilianti intimidazioni, perquisizioni notturne, abbiamo conosciuto la disoccupazione, nonché la condanna al confino ed il carcere dello zio Remo, fratello di mio padre. A undici anni fui costretta ad abbandonare la scuola, perché i miei genitori non potevano 18

Dopo l’armistizio cosa accadde? La sera dell’8 settembre ero in Piazza Garibaldi a Parma, dove incontrai mio zio Remo, uscito da poco dal carcere. Si tenevano i primi comizi dei partiti antifascisti ma la vista delle persone che se ne andavano, mi indussero a salire le scale del monumento esortando i giovani a partecipare alla lotta contro i fascisti. Di fatto l’adesione alla Resistenza iniziò per me in quel momento. Nelle ore successive ricevetti l’incarico di mantenere i collegamenti tra gli antifascisti di Oltretorrente, gli esponenti riuniti a Villa Braga di Mariano e quelli che operavano in città a Parma. Determinate è stato il contatto con Mario Malvisi, sotto la cui direzione si costituirà a Parma il primo nucleo femminile, con il compito di organizzare le donne su vasta scala. In seguito alle esperienze legate all’incarico di responsabile del settore “AgitProp” (Agitazione e propaganda), ini-

ziai ad operare a livello provinciale a fianco di Bruno Longhi, con il quale vivrò una esaltante esperienza politica e umana. Bruno verrà catturato e ucciso dopo indescrivibili torture nel febbraio del 1945. Come sei arrivata a Reggio Emilia? Avevo iniziato a lavorare in un negozio di scarpe, in seguito alla denuncia di una collega, nel febbraio del ’44 fui ricercata dalla polizia fascista, che nel frattempo arrestò mia sorella diciassettenne Lina (anch’ella partigiana col nome di battaglia “Gabri”), lo zio Luigi ed un partigiano ferito ospite a casa nostra. Non mi presero e fui costretta immediatamente a lasciare Parma per Piacenza, con l’incarico di organizzare il movimento femminile. A Piacenza il rischio di essere arrestata era comunque alto, così passai a Reggio Emilia dove il movimento femminile manifestava già una discreta organicità. Qui organizzai il primo nucleo dei Gruppi di Difesa della Donna nel maggio del ’44. Fui aiutata da altre partigiane di grande capacità come Tisbe Bigi e Idea Del Monte. A loro si aggiungeranno Carmen Altare, Bianca Boni, Rina Manzini, Lea Mazzali, Velia Vallini, Clara Vacondio, Gina Monciglioli e Rosina Becchi “Anna”. da tutte queste donne, che avrei dovuto preparare ed indirizzare all’organizzazione clandestina, fui invece io ad apprendere i fondamentali valori di umiltà e coraggio. C’è un episodio di particolare rilevanza nella tua esperienza nella Resistenza?


Storie partigiane

Verso fine maggio del ’44, di mia spontanea iniziativa e senza informare nessuno, salii in Val d’Asta fra le formazioni partigiane. Qui arricchii enormemente la mia preparazione organizzativa e operativa. Così, grazie anche alla mia tenacia, ricevetti l’incarico di Vice Commissario Generale delle Brigate Garibaldi nel reggiano, su proposta di “Eros” Didimo Ferrari, Commissario Generale, approvata tra gli altri da “Aldo” Osvaldo Salvarani, che diventerà in seguito Capo di Stato Maggiore del Comando Unico di Zona. Com’era la vostra vita da partigiani e la tua in particolare? Le mansioni quotidiane erano molto semplici: turni di guardia, pulizia e addestramento. Il mio primo incarico era di formazione e controllo dei miei compagni. Ho combattuto in prima persona tra Reggio e Parma, durante il grande rastrellamento nazifascista del luglio ’44. Fu questo uno dei periodi più duri della mia vita ed anche uno dei più piacevoli, poiché conobbi colui che diventerà mio marito Pio Montermini “Luigi”, comandante partigiano tra i più coraggiosi e preparati. Con lui ho condiviso molte difficili situazioni, nonostante il Comando Generale ci mise in guardia dai rischi legati all’intrattenere, nel contesto di guerra partigiana, questo tipo di rapporti personali. Tornai così in pianura, a Reggio, il dolore per il distacco da “Luigi” era grande, ricordo che ci salutammo commos-

“Mirka” nella primavera 2006 durante un’intervista (foto Archivio Istoreco)

si, ripromettendoci di incontrarci nuovamente a guerra finita, naturalmente se nel frattempo non fossimo morti.

luglio 2019

LAURA POLIZZI “MIRKA”

Mirka hai provato paura durante le tue azioni? Molto francamente no e non perché fossi dotata di particolare coraggio, anzi, ma perché i sentimenti e gli stati d’animo che animavano quel periodo della mia vita, compreso l’odio nei confronti dei nostri nemici, superavano di gran lunga la paura. Per tutto ciò che toccò alla mia famiglia, per i miei compagni caduti, per le nefandezze perpetrate dal regime fascista e dai nazisti. Quanto ha pesato il tuo continuo peregrinare e la mancanza di un ambito familiare? La mancanza di casa e di mio padre in modo particolare, furono motivo di ansia, di grande tristezza e di solitudine, ma continuai a portare avanti i miei compiti. Il momento più tragico per me è stato quando fui sul punto di costituirmi ai fascisti. Volevo farla finita. Era l’inverno tra il ’44 ed il ’45, quando scoprii che tutti i miei famigliari erano stati arrestati. Tramite una staffetta fidata, riuscii a recapitare una lettera a mio fratello Primo, che riuscì a strapparla un pezzo alla volta nel tragitto dal carcere di Parma verso il lager di Mauthausen. Se scoperta, lo avrebbero fucilato. Nel gennaio ’45 a mia volta ricevetti la lettera clandestina di Bruno Longhi, con la quale mi informò erroneamente della fucilazione di mio fratello, ma io non lo sapevo. Sento ancora un’enorme commozione nel raccontarlo… In quell’istante ebbi una forte crisi emotiva, al punto di volermi costituire. Sentivo di non poter più reggere quel peso, con grande preoccupazione anche per i miei compagni di lotta. Fu grazie alla dolcezza dei componenti della famiglia Cattani, presso i quali ero ospite, unitamente a quella delle mie compagne che riuscii a ritornare alla normalità, salvandomi la vita.

Laura Polizzi “Mirka” partigiana a Villa Minozzo nel 1944 (foto Archivio Istoreco)

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aura Polizzi nasce a Parma il 30 settembre 1924, da una famiglia antifascista: il papà Secondo è iscritto al Partito Comunista, lo zio Remo svolge attività clandestina. Aderisce alla Resistenza l’8 settembre 1943. Prende diversi nomi di battaglia: “Ermanna”, “Bruna”, e dal marzo ‘44 “Mirka”. L’intelligenza e le spiccate capacità cospirative, ne fanno una delle partigiane più combattive ed un’autorevole dirigente sia della Resistenza che del Pci. Organizzatrice dei Gruppi di Difesa della Donna nelle province di Parma, Piacenza, Reggio Emilia e Milano, diviene Vice Commissario Generale per le Brigate Garibaldi nel reggiano. La madre Ida e la sorella Lina, anch’essa partigiana, vengono deportate a Ravensbruck, da cui faranno ritorno dopo la guerra. il fratello Primo (partigiano della 12^ Brigata a Parma) e il padre vengono deportati a Mauthausen, dove il padre muore il 22 aprile 1945. “Mirka” sposa il comandante partigiano Pio Montermini, “Luigi”, e continua l’attività politica dopo la guerra, come dirigente dell’UDI e dell’ANPI e nel consiglio comunale di Parma. Laura Polizzi è deceduta il 22 gennaio 2011. 19


Notiziario ANPI

Diritti

le civilta’ in ascesa costruiscono strade e ponti, quelle in declino edificano muri Nell’antica Grecia si usava offrire cibo e bevande allo straniero, senza chiedergli nulla, né il nome né la provenienza. Oggi il nuovo ‘decreto sicurezza’ cancella il diritto d’asilo per ‘ragioni umanitarie’ e riduce l’accesso ai servizi sociali e assistenziali per i richiedenti asilo. di Giancarlo Ruggieri

Manifestazione unitaria Cgil, Cisl e Uil a Roma lo scorso del 9 febbraio 2019 (foto di A. Bariani)

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a grande muraglia cinese non ha impedito ai Mongoli di conquistare la Cina e governarla per molto tempo. Le possenti mura aureliane non hanno evitato che Roma venisse più volte saccheggiata. Sin dagli albori dell’umanità, il fenomeno delle migrazioni ha connotato il corso della storia, dando luogo a fecondi approcci interculturali e a dinamismi economici e sociali. L’impero romano ha retto tanto a lungo, in quanto connotato da un cosmopolitismo tollerante degli usi locali e dalla capacità di integrare le popolazioni barbariche nel tessuto politico e sociale, giungendo 20

finanche a inquadrarle nei ranghi delle legioni. Davanti all’attuale fenomeno migratorio si assiste invece in molti Paesi ad un atteggiamento di chiusura, determinato dalla “sindrome del recinto”, da difendere anche contro ogni considerazione umanitaria. La parola “umanitaria” non è scelta a caso: la recente modifica normativa (contenuta nel cosiddetto “decreto sicurezza”) del diritto d’asilo, costituzionalmente tutelato, lo esclude nella generica ipotesi di “ragioni umanitarie”. Infatti, nel precedente sistema, tale clausola di salvaguardia assicurava il diritto d’asilo anche a coloro che non rientrassero nelle ipotesi tipiche previste dalla legge mentre con la restrittiva riforma si è scelta la strada dell’assoluta tipizzazione dei casi particolari, nei quali il diritto d’asilo possa essere concesso. Ben si comprende allora che qualora il richiedente asilo non rientri in uno dei casi specificamente previsti, non possa più invocare la generica previsione delle “ragioni umanitarie” e rimanga perciò escluso dal beneficio. Ma non basta! La protezione umanitaria poteva essere convertita in permesso di soggiorno per motivi di lavoro mentre ora, di norma e salvo casi speciali, ciò non è più possibile. Inoltre, la sua durata (rinnovabile) è stata ridotta da due a un anno e la tutela giurisdizionale viene, in gran parte, demandata alla giustizia amministrativa, con conseguente declassamento di alcuni aspetti del diritto di asilo, pur costituzionalmente protetto, in meri interessi legittimi, sacrificabili dalla Pubblica Amministrazione. Un altro profilo dell’intervenuta restrizione normativa concerne il divieto di iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo, che determina l’impossibilità di accedere a taluni servizi sociali e assistenziali. Anche il conseguimento della cittadinanza per intervenuto matrimonio è stato reso più problematico, con l’abrogazione del previgente silenzio-assenso nonché con il raddoppio del termine da 24 a 48 mesi, trascorso vanamente il quale si determina una situazione d’incertezza sprovvista di tutela. In conclusione, si deve rilevare che il cosiddetto “decreto sicurezza” presenta specifici e plurimi aspetti di criticità costituzionale, ponendosi in contrasto, quanto meno, con gli articoli 77, 2, 32 e 24, che riguardano, rispettivamente, la decretazione d’urgenza, i diritti inviolabili dell’uomo, il diritto alla salute e il diritto alla difesa in sede giurisdizionale.


Letture

luglio 2019

in cammino verso la speranza Incontro a Guastalla con la giornalista e scrittrice guastallese Martina Castigliani che ha raccontato la sua esperienza nei campi profughi della Grecia. Un’occasione per riflettere sul dramma dei migranti. a cura di ANPI Guastalla

Nell’agosto 2106 Martina è partita come volontaria in appoggio alle organizzazioni umanitarie nei campi dei migranti in Grecia. Voleva aiutare, ma anche ascoltare e capire, le parole di chi soffre e di chi è costretto a fuggire dalla propria terra. Non aveva l’intenzione di scrivere o fare inchieste, ma quando è arrivata in Grecia ha capito che doveva raccontare il dolore, la speranza, l’ingenuità dei bambini già infranta dalle sofferenze. E così è nato il libro “Cercavo la fine del mare - Storie migranti raccontate dai disegni dei bambini”, presentato a Guastalla grazie all’impegno delle sezioni ANPI di Novellara, Luzzara, Gualtieri e Guastalla con il patrocinio di comuni, associazioni e sindacati. L’incontro fa parte di una serie di iniziative, dal titolo “Nuovi Cammini, Nuove Resistenze”, messe in campo nella bassa reggiana per riflettere sulle oppressioni e le tante guerre che generano l’esodo di genti disperate in cerca di libertà e migliori condizioni di vita. “Sono le testimonianze reali di un mucchio di persone – racconta Martina Castigliani - che cercavano la libertà e che ora si sentono fantasmi”. Si tratta di un libro che contiene una raccolta di storie preziosa e rara, da portare con sé e diffondere per contribuire a vincere l’indifferenza e l’egoismo, nuovi mali del nostro vivere. Martina ha parlato anche ai ragazzi delle scuole superiori,della sua attività nei campi greci e dei rapporti intensi che sono nati tra persone di popoli diversi. Spinta dai profughi rinchiusi nelle tendopoli, ha raccolto le testimonianze dei drammi vissuti da quelle genti, partite in cerca di li-

Uno disegni dei bambini in un campo profughi in Grecia contenuto nel libro “Cercavo la fine del mare” (foto ANPI Guastalla)

bertà e ridotte a vivere di stenti. Quando le difficoltà della lingua non consentivano un dialogo diretto ha chiesto, in particolare ai bambini, di raccontare la propria storia con dei disegni, tracciati con i pennarelli sul bloc-notes che aveva portato con sé. E i piccoli hanno disegnato ciò che conoscono di più: vittime, armi, guerra e barche della speranza. “Comunicare non i bambini – ha spiegato Martina - è stato più

facile che parlare con gli adulti perché i più piccoli hanno le idee limpide e chiamano le cose con il loro nome. Dicono: la morte, la vita, la violenza, il dolore”… Al tavolo dell’ANPI si sono alternati anche i giovani che redigono la rivista bimensile “Radici” (di cui Martina è direttrice responsabile). “Radici” è un progetto autoprodotto dai ragazzi, indipendente, che ospita racconti e storie senza padroni. 21


Notiziario ANPI

Dal mondo

Libia: porto (e paese) insicuro di Saverio Morselli

N

ell’aprile scorso, l’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar (che trova il sostegno tra gli altri di Egitto, Emirati e Arabia Saudita), ha mosso le sue truppe con l’intenzione di conquistare Tripoli ed abbattere il governo riconosciuto dalla comunità internazionale, Italia compresa, guidato da Fayez al-Sarraj. In meno di due mesi, dice l’organizzazione Mondiale della Sanità, ci sono stati circa 600 morti e 3000 feriti. Ma per capire cosa sta accadendo oggi in Libia occorre andare indietro nel tempo, alla Primavera Araba, alle sommosse popolari del 2011 (sostenute da NATO e numerosi Paesi europei) che portarono alla caduta e alla morte di Mu’ammar Gheddafi. Quella che avrebbe dovuto essere la fase di transizione per accompagnare la Libia a un governo del popolo si è tradotta in una condizione permanente di instabilità, frammentazione, caos interno. Le contrapposizioni delle numerose milizie tribali (in Libia ci sono 140 tribù e clan) hanno portato alla spartizione – di fatto – del territorio libico sulla base di aree di influenza. D’altra parte, l’intervento occidentale ha lasciato ad una ONU ormai scarsamente autorevole l’onere di (ri)mediare, favorendo soluzioni ben poco rappresentative della composita realtà libica, costituite da governi deboli che non sono riusciti a disarmare o integrare nell’esercito nazionale i diversi gruppi paramilitari. La dissoluzione della Libia si è così costruita tra apparente anarchia e robusti centri di potere politico-militari, unendo le spinte identitarie e tribali agli interessi economici legati alle immense ricchezze energetiche del paese. E alimentando il ricco business 22

Il Primo Ministro Fayez al-Sarraj ed il Generale Khalifa Haftar

del traffico di esseri umani, tanto che oggi la Libia è diventata la principale base da cui imbarcare i migranti provenienti da ogni parte dell’Africa. Ma sarebbe ingeneroso, oltre che miope, addossare esclusivamente agli spregiudicati centri di potere libici la responsabilità della dissoluzione. Perché su questo terreno si giocano diverse partite in ambito economico, religioso e strategico. Non può sfuggire come le ricchezze del sottosuolo (petrolio e gas naturale) rappresentino un “tesoro” che le grandi aziende multinazionali europee (soprattutto la francese Total e l’italiana ENI) si contendono. Non può neppure sfuggire il ruolo esercitato da Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi da una parte e Turchia e Oman dall’altra, impegnati ad affermare una contrapposta visione dell’Islam all’interno delle nazioni di osservanza musulmana, ivi compresa la Libia.

Sullo sfondo (ma neanche tanto) si muovono Stati Uniti e Russia, intenti ad ampliare la loro influenza strategica sulla base delle garanzie politiche e militari che i diversi “attori” dell’intricato scenario libico di volta in volta riescono a offrire. E gli “attori” principali in questo momento sono Khalifa Haftar (che ha il controllo dei pozzi ma non di Tripoli e neppure dell’unico ente autorizzato a vendere petrolio) e Fayez al-Sarraj (che ha invece il controllo della capitale e del porto). Difficile dire come finirà: la guerra in atto rischia di provocare un’ennesima crisi umanitaria senza per altro risolvere i problemi di stabilità politica ed istituzionale. È invece probabile che questo conflitto sia funzionale per Haftar al raggiungimento di una posizione di maggior forza, sia politica che economica, così da ottenere un’aumentata attendibilità al tavolo della prossima, prevedibile conferenza di pace.


Attualità

luglio 2019

Casa Manfredi è patrimonio pubblico

Il 25 aprile scorso è stata inaugurata la riqualificazione storica di casa Manfredi a villa Sesso. Questo risultato è stato raggiunto grazie all’impegno del Comune di Reggio Emilia, di Istoreco, dell’ANPI, di Sicrea Group e di tanti cittadini della zona. Casa Manfredi è oggi un “cantiere resistente” che si raggiunge partendo dalla Statale 63, in direzione dell’argine del Crostolo. sbucando dal sottopassaggio dell’Autosole ci si trova di fronte ai pannelli in cui è raccontata la storia di Villa Sesso in quel tragico inverno 1944-45. Proseguendo il cammino si vedono, sulla recinzione di casa Manfredi, anche le varie foto che illustrano quella storia. Si tratta del primo passo di un progetto pensato per mettere in sicurezza e rendere fruibile casa Manfredi. L’iniziativa si propone di attualizzare la memoria di quegli avvenimenti e di accomunare il sacrificio della famiglia Manfredi, della famiglia Miselli e dei tanti altri giovani antifascisti che hanno dato la vita per il riscatto del nostro paese.

DATE DA RICORDARE GIUGNO 10 Giugno 1944 Combattimento allo Sparavalle di Castelnovo ne’ Monti 24 Giugno 1944 Rappresaglia della Bettola di Vezzano sul Crostolo 30 Giugno 1944 Rastrellamento nazifascista Ligonchio (Cinquecerri)

LUGLIO 7 Luglio 1960 Eccidio del 7 Luglio 1960 28 Luglio 1943 Eccidio delle Officine Reggiane AGOSTO 2 Agosto 1980 Strage alla Stazione Centrale di Bologna SETTEMBRE 8 Settembre 1943 Armistizio

17 Settembre 1944 Rappresaglia di Reggiolo 29 Settembre 1944 Strage di Marzabotto OTTOBRE 8 Ottobre 1941 Adunata sediziosa a Cadelbosco di Sopra 6 Ottobre 1944 Combattimento di Buvolo di Vetto 7 Ottobre 1944: Rastrellamento di Campagnola

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Notiziario ANPI

Sezioni

L’Anpi di Bagnolo porta il nome di Lea e Zelina Rossi

“Le

sorelle Rossi racchiudono nel loro vissuto e nella loro opera i tratti esemplari della lotta di Liberazione”. Così recita la motivazione di intitolare l’Anpi di Bagnolo a Lea e Zelina, staffette, combattenti e protagoniste della Resistenza reggiana. I loro nomi rimarranno impressi anche sulla bandiera della sezione. Il vicepresidente provinciale dell’Associazione, nel ricordare Lea e Zelina, ha sottolineato il ruolo importante che tutte le donne hanno avuto nella lotta di

Liberazione sia come partigiane che operando nelle case di latitanza, per la raccolta di viveri, medicinali e indumenti da inviare in montagna. Alla giornata, tenutasi alla Ctl di Bagnolo, ha partecipato anche Paola Salsi, figlia di Zelina, commossa da questa iniziativa dedicata alla memoria della zia e della madre. La storia delle sorelle Rossi è esemplare: coraggiose, decise e pronte a sacrificarsi per il bene di tanti. Lea, nome di battaglia “Anita”, era una ragazza graziosa e delica-

ta nei modi ma determinata e disponibile ad ogni azione di lotta, nonostante le sue precarie condizioni di salute. Fu a Zelina, la partigiana “Anna”, che il Cln Alta Italia chiese invece di trasportare, da Milano a Reggio, le disposizioni per l’insurrezione finale. Arrivò a destinazione dopo 11 ore di viaggio in bicicletta sotto la pioggia e tra vari posti di blocco. “La mia più grande gioia – dichiarò nel ricordare quella sfida – fu più grande della mia stanchezza”.

I “NUOVI” VOLTI DELLA RESISTENZA REGGIANA Si chiama “Manifesta Resisten-

za” il progetto nato dalla collaborazione tra l’associazione culturale Totart e l’Anpi di Correggio. L’idea è stata quella di dare un volto contemporaneo alla Resistenza attraverso le immagini “rinnovate” dei partigiani e delle partigiane che hanno combattuto per la libertà. Quindi è stato chiesto ad un gruppo di artisti di elaborare 8 ritratti, utilizzando il loro talento e la loro sensibilità. Ed è stato un successo. Lucamaleonte, Luogo Comune, Seba Mat, Elisabetta Bianchi, PIERPE (Giuseppe Bertozzi), Luca Neviani hanno così realizzato delle vere e proprie opere d’arte che ridanno vita a importanti figure della Resistenza correggese. 24

Sono nati dei manifesti che sono stati affissi in paese ed esposti a palazzo Principi. Cisberto Vecchi,

Abbo Panisi, Luciano Tondelli, Angiolino Morselli, Vittorio Saltini, Vandina Saltini, Giuseppe Campana e Luciano Dodi sono in un certo senso tornati tra noi per ricordarci il valore del sarificio per gli altri. “In un’epoca in cui tutto era oppressione - scrivono gli organizzatori - serviva un urlo di umanità per spezzare le catene del fascismo. Questi uomini e queste donne hanno capito che quell’urlo spettava a loro. È stato un gesto di ribellione che tutti hanno pagato con la vita. “Manifesta Resistenza” è dunque una storia vecchia, ma sempre nuova, perché nel suo cuore pulsa l’energia dei sogni che sembrano impossibili”. Ritratto di Luciano Dodi dell’artista “Pierpe”


Anniversari

luglio 2019

Anniversari

Romano Sassi

Pieraldo Campani

Il 14 maggio 2017 è mancato Romano Sassi, lasciando un grande vuoto tra parenti ed amici. La moglie Deledda Donelli “Alice”, ne ricorda con rimpianto la figura onesta e generosa e ne onora la memoria. A lei si uniscono le sorelle Alda e Nealda Donelli che ,con profonda stima ed affetto, rendono omaggio al cognato.

Novello Rocchi

Il 4 luglio ricorre l’8° anniversario della scomparsa di Pieraldo Campani. La moglie Antonietta, i figli Stefano e Daniele, la sorella Giovanna, i cognati ed i nipoti tutti, che lo ricordano con rimpianto e sempre vivo affetto, ne onorano la memoria.

Carlo Gregori

In memoria del partigiano Novello Rocchi, già espressione del movimento antifascista santilariese e, dopo l’8 settembre 1943, attivo combattente contro i nazi-fascisti nelle formazioni partigiane greche dell’Ellas. i figli Massimo, Tamara e Giorgio sottoscrivono pro Notiziario.

Bruna Mammi Sono 9 anni che Bruna Mammi ha lasciato la sua famiglia, lasciando i suoi cari nel rimpianto della sua presenza costante e generosa. Il marito Bruno Menozzi ed i figli Nerio e Marina la ricordano con immutato affetto.

Norma Morelli ricorda sempre con immutato affetto il marito Carlo Gregori, nome di battaglia “Morgan“, partigiano della 145^ brigata Garibaldi e con profonda nostalgia gli dedica il seguente pensiero “Il pensiero tuo è con me”.

Ero Gibertini Il 29 marzo 2018 si è spento, dopo una lunga malattia, il partigiano Ero Gibertini “Gibo” di Cadelbosco Sopra, lasciando nei familiari un sentimento di gratitudine per i valori di pace, libertà e rispetto, che in vita ha saputo trasmettere. La moglie Iolanda, la figlia Nadia, con la sua famiglia, con profondo affetto ne onorano la memoria.

Loris Confetti – Enermere Beggi Ileana e Mauro Confetti rendono onore, con immutato affetto e rimpianto, al padre Loris Confetti “Giulio”, Partigiano della 76^ Brigata Sap e alla madre Enermere Beggi e li ricordano agli amici e parenti per mantenere viva la loro memoria.

Sparto Cocconcelli “Demos”, Maddalena Cerlini “Cicci”, Armando“Caio”, Colorno “D’Artagnan” e Emma “Kira” Cocconcelli

Marino Bertani “Massa” Il partigiano Marino Bertani “Massa”, appartenente alla 76^ Brigata SAP, è deceduto Il 5 giugno 2003. Per onorarne la memoria, la moglie Teresa Giovanardi ed i figli Delfino e Marinella lo ricordano con profondo affetto nel 16° anniversario della scomparsa.

Armanda e Livio ricordano con nostalgia Sparto Cocconcelli “Demos”, vice Commissario della 1^ divisione Brigata Garibaldi, Maddalena “Cicci”, unitamente a Armando “Caio”, commissario distaccamento della 145^ Brigata Garibaldi, caduto a Ligonchio il 21 aprile 1945, a Colorno “D’Artagnan” e ad Emma “Kira” entrambi della 77^ Brigata Sap.

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Anniversari

Notiziario ANPI

Renzo Sironi Edda Romei ricorda il marito Renzo con immutato affetto e rimpianto. In vita è stato un onesto lavoratore, un convinto sostenitore della democrazia , delle istituzioni e un sincero amico dell’Anpi. La moglie ne onora la memoria insieme agli amici e parenti.

Irmes Tedeschi Nel mese di giugno ricorre il 4° anniversario della scomparsa di Irmes Tedeschi, partigiano combattente nella zona di Borgo Taro, facente parte della Brigata “100 Croci” nota per le azioni di sabotaggio, di combattimento e prelevamento spie. Finita la guerra si è ritirato a vita privata: era “il fornaio di Campegine”. Lo ricordano con affetto la figlia Franca ed il genero.

Abbo Barigazzi e Marisa Lanciano In occasione dell’anniversario della scomparsa dei genitori Abbo e Marisa, la figlia Chiara Barigazzi così li vuole ricordare: “E’ sempre il tempo che fa la differenza - Quante stagioni prive della vostra presenza Nell’anima, nel cuore colgo le vostre parole negli anni seminate sulle mie orme lasciate - Messaggi raccolgo, raccolgo le memorie di una vita insieme - raccolgo le speranze - raccolgo il vostro seme di Libertà, Giustizia - queste primavere che la mappa dei ricordi espande, concede - L’impegno civile, umano da voi profuso sia da monito in chi vi ha conosciuto.

Adriana Orlandini, Adorno e Emore Tagliavini

Anselmo Bisagni Il 29 giugno ricorreva il 10° anniversario della scomparsa di Anselmo Bisagni, amico e collaboratore Anpi. La moglie Angiolina Bertani insieme ai figli, genero, nuore e nipoti ne onorano la memoria con sempre vivo rimpianto ed affetto.

Pietro Govi e Umberta Losi Il 24 luglio ricorre il 14° anniversario della scomparsa del partigiano Pietro Govi (Piretto) di Rio Saliceto. Le figlie Adriana e Lorena lo ricordano insieme alla mamma Umberta Losi, deceduta il 9 aprile 2018, con infinito amore. Per onorarne la memoria sostengono il notiziario ANPI.

Avio Pinotti Mirca Tagliavini mantiene sempre viva la memoria della madre Adriana, del padre Adorno e del fratello Emore, che hanno lasciato in lei un grande vuoto e desidera onorarne la memoria ricordandoli agli amici e parenti.

Aristide Brugnoli “Baderone” L’11 Settembre 1985 è scomparso il partigiano Aristide Brugnoli “Baderone” della 77^ Brigata SAP. La moglie Pierina Righi ed il figlio Gianni mantengono viva la sua memoria con profondo affetto e con rimpianto desiderano ricordarlo ai parenti ed amici.

Nello Lusoli “Geo” “Sono 12 anni che Nello Lusoli ci ha lasciato dopo una vita spesa per l’affermazione dei valori di libertà e di eguaglianza. Ancora oggi sono da difendere i suoi ideali con lo stesso impegno dei partigiani. Ti ringraziamo per l’esempio di coerenza e onestà che ci hai trasmesso. Ti ricordiamo sempre con grande affetto“ La moglie Liduina con tutta la famiglia.

A due anni dalla scomparsa di Avio Pinotti, la moglie Marina Salami e i figli Diana e Massimo sottoscrivono pro notiziario in suo ricordo.

Laura Casini “Frea” - (Errata Corrige) Il giorno 19 febbraio 2019 è mancata Laura Casini “Frea” vedova Severi. Nel ricordarla alle tante persone che l’hanno conosciuta e ne hanno apprezzato le doti di grande simpatia, intelligenza e socialità, Rossella Pedroni, Carlo e Agnese Savazza ne onorano la memoria.

Franca Caroni - (Errata Corrige) Il 26 gennaio 2019 è scomparsa all’età di 93 anni Franca Caroni, compagna del partigiano Adriano Pedroni “Robin“, col quale ha condiviso gli ultimi trentacinque anni di ideali partigiani. La ricordano con affetto Rossella, Fulvio, Ivetta con Carlo ed Agnese. Le famiglie Pedroni e Savazza sottoscrivono pro notiziario.

Lauro Scolari e Otello Dazzi Deledda Donelli (Alice) mantiene vivo il legame che la univa ai cognati e non perde occasione per onorare la loro memoria, sottoscrivendo pro notiziario per ricordarli ai familiari ed amici.

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Lutti

luglio 2019

Lutti Odoardo Vaccari Il 1° Aprile u.s. è venuto a mancare Odoardo Vaccari, Partigiano “Lauro” della 26^ Brigata Garibaldi. Lo ricordano con affetto i figli Villiam, Adriana, Carmen e Ivano insieme ai familiari, i quali, per onorarne la memoria, fanno propria la frase riportata nella sua foto ricordo “Persona onesta e generosa, la sua vita è stata un’importante testimonianza per tutta la famiglia”.

Laura Casini “Frea” Il 19 febbraio scorso è deceduta la mia cara mamma Laura Casini “Frea”. La voglio ricordare su questo Notiziario che amava leggere e che esprime i valori in cui ha sempre creduto e difeso: Democrazia, Giustizia, Libertà. Ti voglio bene mamma, tua figlia Ivetta.

Teresa Panisi “Aide” Il 6 Agosto 2018 lasciava i suoi cari Teresa Panisi vedova Tondelli, detta Aide. La sua presenza di donna semplice, attiva e generosa manca alla sorella Carmelina, che nell’imminenza del primo anniversario della scomparsa ne onora la memoria e la ricorda ai parenti ed amici.

Sostenitori nominativo Artioli Gian Paolo Barigazzi Chiara Bisagni Maria Teresa Cocconcelli Armanda Confetti Ileana Daolio Gilberto Donelli Alda/Nealda Donelli Deledda Gibertini Nadia Giovanardi Teresa Govi Adriana Lari Antonia Morelli Norma Panisi Carmelina Righi Pierina Rocchi F.lli Romei Edda Salami Pinotti Marina Severi Ivetta Tagliavini Mirca Tedeschi Franca Tincani Liduina Vaccari Adriana

in ricordo della madre Tina Ferrarini dei genitori del padre Anselmo dei familiari dei genitori e fratello attività ANPI di Romano Sassi del marito e cognati del padre Ero del marito Marino Bartani dei genitori del marito Pieraldo Campani di Carlo Gregori “Morgan” della sorella Aide del marito Aristide Brugnoli del padre Novello Rocchi del marito Renzo Sironi del marito Avio Pinotti della madre Casini Laura “Frea” dei genitori e fratello del padre Irmes del marito Nello Lusoli di Odoardo Vaccari

€. 150 100 50 200 100 50 50 150 100 100 50 50 70 50 50 50 50 200 100 50 50 200 200

nominativo

€.

Cerioli Alfredo Pistone Assunta Ligabue Francesco Fiaccadori Giancarlo Ferri Guido Bartoli Ione Tarasconi Ivano Gradellini Lorena Pilli Massimo Melioli Mauro Manni Olga Buffagni Pietro Spaggiari Renzo Arleoni Telemaco Ferretti Duna Papi Maurizio Piccinini Linda

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Sezione Cavriago Sezione Rio Saliceto Ass. Nazionale Alpini Circolo ARCI Cella Cittadini anni 2018-2019

attività istituzionali attività istituzionali contributo Stele Castelnuovo Monti pro attività sezione Villa Cella pro attività sezione Cavriago

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