2011 - 05 SETTEMBRE

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notiziario

PERIODICO del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia Poste Italiane s.p.a. - Spediz. in abb. post. - d.l. 353/2003/ (conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1 - comma 1- DCB - Filiale R.E. - Tassa pagata taxe perçue - Anno XLII - N. 7 di settembre 2011 - In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio P.T. di Reggio Emilia detentore del conto per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.

TUTTI GLI ESSERI UMANI NASCONO LIBERI ED EGUALI IN DIGNITÀ E DIRITTI…

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03 l© editoriale L’ANPI e l’impegno nel presente Antonio Zambonelli 07 l© politica L’antifascismo in Italia e in Germania Massimo Storchi 12 l© estero Le rivoluzioni in Nord Africa Giuseppe Napolitano

"L'ITALIA SONO ANCH'IO"

19 l© rubriche Ivo Lambruschi, Partigiano Riccardo Bertani, Giovanni Cagnolati


sommario Editoriale - Difesa della memoria e impegno nel presente, di Antonio Zambonelli . ......................................3

LA COPERTINA

Politica - La nuova linea Torino-Lione. L’interesse generale deve prevalere sugli egoismi particolari, di Angelo Bariani ...............................................5 - L’antifascismo in Germania e in Italia, di Massimo Storchi ...........................................7

Reggio Emilia, 6 settembre 2011 (foto di Angelo Bariani)

Società - Matrimoni omosessuali. “L’unico modo per tornare a riaprire il dibattito è quello di farlo in modo forte”, intervista a Simone Beghi, a cura di Glauco Bertani ....................................9 - Dalla Libia. Profughi a Poviglio, di Anna Fava ...................................................10 - L’ANPI provinciale aderisce a “L’Italia sono anch’io”, di g.b . .........................11 Estero - Le rivoluzioni di chi non immaginavamo, di Giuseppe Napolitano ...................................12 Cultura - Un bracciale di sterline per la libertà, recensione, di Giovanni Guidotti .........................................14 Generazioni - Resistenza al femminile. Marta Lusuardi e Eva Lini, di Eletta Bertani . .............................................22

Memoria - Bologna 2 giugno 1980. “Qui c’è l’Italia che vuole giustizia”, di Anna Fava ...................24 - Reggio Emilia 1° agosto 2011, una staffetta per non dimenticare, di g.b. . ...........................25 - La strage di Marzabotto. Con l’ANPI di Poviglio gli studenti brescellesi sul luogo dell’eccidio nazista, di Raffaella Rozzi . ...........................................26 - Una domenica di giugno per ricordare la strage di Cervarolo, di g.b. . .........................27 Avvenimenti - Presentata a Festareggio la scuola “G. Carretti” di Seilat, di a.z. ............................28 - Nuove destre in crescita e radici antifasciste dell’Europa . ....................................................29 Lutti ..................................................................30 Anniversari ......................................................32 I Sostenitori .....................................................39 Le rubriche - Cittadini-democrazia-potere, di Claudio Ghiretti . ..........................................15 - Opinion leder, di Fabrizio “Taver” Tavernelli ...........................16 - Primavera silenziosa, di Massimo Becchi ........17 - Segnali di pace, di Saverio Morselli .................18 - Conoscere la nostra storia, di Riccardo Bertani, Giovanni Cagnolati ...........19 - La finestra sul cortile, di Nicoletta Gemmi . ......38

Un momento della manifestazione del 6 settembre 2011 a Reggio Emilia

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Spedizione in abbonamento postale - Gruppo III - 70% Periodico del Comitato Provinciale Associazione Nazionale Partigiani d'Italia di Reggio Emilia Via Farini, 1 - Reggio Emilia - Tel. 0522 432991 e-mail: notiziario@anpireggioemilia.it; presidente@anpireggioemilia.it sito web: www.anpireggioemilia.it Proprietario: Giacomo Notari Direttore: Antonio Zambonelli Caporedattore: Glauco Bertani Comitato di redazione: Eletta Bertani, Ireo Lusuardi Collaboratori: Paolo Attolini (fotografo), Massimo Becchi,

Riccardo Bertani, Bruno Bertolaso, Sandra Campanini, Nicoletta Gemmi, Enrico Lelli, Saverio Morselli, Fabrizio Tavernelli Registrazione Tribunale di Reggio Emilia n. 276 del 2 Marzo 1970 Stampa: Centroffset - Fabbrico (RE) Questo numero è stato chiuso in tipografia il 12-09-2011 Per sostenere il “Notiziario”: UNICREDIT, piazza del Monte (già Cesare Battisti) - Reggio Emilia IBAN: IT75F0200812834000100280840 CCP N. 3482109 intestato a: Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - Comitato Provinciale ANPI


editoriale

di Antonio Zambonelli

IA R O M E M A L L E D A S IFE

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E IMPEGNO NEL PRESENTE Tutto era cominciato a inizio estate con la negazione, da parte di Berlusconi & C., della crisi economica e sociale che stava investendo l’Italia in modo particolare rispetto ad altri paesi di un’Europa che comunque fatica a passare dall’unità monetaria a quella politico-economica. Ed ora siamo al tracollo. La classe dirigente politica si preparava a lunghe vacanze di una calda estate. Ma ecco improvviso il fulmine, l’urgenza di porre rimedio all’incombente tracollo. Una, due tre, quattro manovre da Ferragosto a inizio settembre, ad opera di un governo sempre più in preda alla confusione, a divisioni interne, all’incalzare di sempre nuove notizie sulle cattive frequentazioni di un Presidente del consiglio sotto ricatto per le sue abitudini da basso impero. Tutte manovre comunque miranti a far pagare, ancora una volta, l’uscita dalle difficoltà, ai soliti noti, ai lavoratori, ai precari, ai pensionati, senza intaccare gli interessi dei grandi percettori di redditi e di rendite, senza intaccare le grandi ricchezze patrimoniali, senza un serio piano di riduzione della scandalosa e tutta italiana evasione fiscale. Senza alcuna idea, in particolare, su come rilanciare uno sviluppo economico sostenibile, che dia prospettive e speranza di futuro alle giovani generazioni. E, quasi a siglare “culturalmente” tanta disastrosa insipienza, la proposta di abolire le tre festività civili, 25 Aprile, 1° Maggio e 2 Giugno, accorpandole sempre, per il futuro,

alle domeniche più vicine. In pratica, fingendo di credere che ciò avrebbe aumentato la produttività, si mirava a portare avanti, con l’annacquamento di festività fortemente simboliche, quel processo di cancellazione della identità democratica e antifascista della Repubblica italiana, che ha precedenti in ricorrenti operazioni mediatiche spacciate per storiografia super partes, nei tentativi di cancellazione della XII disposizione transitoria della Costituzione, di equiparazione tra milizie della RSI e Partigiani, nel determinarsi di un terreno di coltura favorevole al pullulare di Case Pound, di formazioni e convegni variamente ma sempre più sfacciatamente filofascisti, in un pullulare di pulsioni, apparentemente contraddittorie, in cui un rinnovato antisemitismo si alterna ad una più “moderna” ostilità verso un indistinto mondo arabo-islamico. Registriamo con soddisfazione che i meschini tentativi di cancellazione surrettiziamente infilati in una delle “manovre” sono stati sconfitti grazie all’impegno di tanti, personalità e soggetti politici, che hanno condiviso l’appello dell’ANPI nazionale. Impegno che come ANPI di Reggio

Emilia abbiamo variamente manifestato, anche con la visibilità della nostra partecipazione allo sciopero del 6 settembre indetto dalle CGIL. Le parole pronunciate con passione dal palco dalla nostra vice presidente Fiorella Ferrarini sono state la limpida riconferma del nostro essere insieme custodi gelosi di una memoria e di una storia ma anche impegnati nelle lotte del presente, quando ha affermato di portare alla manifestazione “il saluto di tutti i partigiani e le partigiane che ancora sono con noi, anche qui oggi con i loro stendardi e indomabili costruttori di speranza, malgrado tutto, aderendo pienamente alle ragioni di questo sciopero, impegnati sull’oggi e indignati, insieme ai tanti antifascisti che credono nella necessità di lottare in difesa di questo nostro Paese alla deriva”. L’autunno che ci attende dovrà vederci, come organizzazione, più che mai vigili e impegnati a far fronte agli sviluppi di una situazione che si prospetta disastrosa sia sul piano economico che su quello politico e morale, e che richiederà ancora la nostra capacità di intervento a fianco di tutto il movimento democratico. Antonio Zambonelli

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politica

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Sciopero generale della CGIL L’ANPI di Reggio insieme ai lavoratori, ai precari, ai pensionati, ai lavoratori stranieri per ribadire ancora una volta il diritto al lavoro, alla cittadinanza, alla memoria. Le foto qui a fianco sono il breve racconto di quella giornata piovosa ma combattiva. Il gruppo dell’ANPI di Reggio Emilia durante la manifestazione. La vice presidente Fiorella Ferrarini salirà sul palco per portare il saluto dei “vecchi” e nuovi partigiani


ro Nost zio i serv a Val dallusa S

politica La nuova linea Torino-Lione

L’interesse generale deve prevalere sugli egoismi particolari

Fonti: Quaderno 1, 2 e 3. Osservatorio ferroviario linea Torino-Lione, 2007; Rfi 2007; Andrea Allasio, Tav Tac, 2006; Sitaf 2005, "La Repubblica", "Il Corriere della Sera", rassegna stampa 2011

La nuova linea Torino-Lione (impropriamente chiamata TAV) doveva essere il “Collegamento internazionale inserito nel Corridoio 5 della rete TEN-T, dalla penisola iberica, passando per il sud della Francia e per la pianura padana, fino alla Slovenia, Ungheria e Ucraina”; ma sta diventando un problema di ordine pubblico della Val Susa con conseguente militarizzazione del territorio. Mario Virano, Commissario straordinario del governo per l’asse ferroviario TorinoLione, nel 2010 scrive ai cittadini della ValSusa una lunga lettera, questa è la prima parte: “Nel 2005 si partì con un Progetto Definitivo, ma lasciava pochi spazi a correttivi; nel 2010 si comincia la discussione da un Progetto Preliminare, che serve a raccogliere critiche e proposte migliorative. Ci sono due anni di tempo (fino al 2012) per arrivare al progetto definitivo. In mezzo ci sono le Valutazioni di impatto ambientale e le Conferenze dei servizi in cui tutti hanno la possibilità di esprimersi. Inoltre la Torino-Lione, a differenza di ogni altra grande opera in Italia, gode di un’opportu-

nità in più: il confronto tecnico preventivo a livello locale con l’Osservatorio e quello politico a livello nazionale con il Tavolo Istituzionale di Palazzo Chigi”. Allegati anche due schemi del tracciato. Un giornalista del quotidiano francese “La Tribune”, Frank Paul Weber, sostiene che: “Le ferrovie ad alta frequenza come la TAV o le navi che trasportano mezzi pesanti dai porti francesi a quelli spagnoli e italiani sono lo strumento per arrivare a questo sistema di trasporto meno inquinante. Meno mezzi pesanti nei tunnel del Frejus e del Monte Bianco, e quindi sulle strade collegate, sia in Francia sia in Italia, significa anche meno incidenti gravi. Tutto

questo val bene alcuni miliardi di euro e qualche cantiere”. Come non essere d’accordo! Altra cosa è quello che si vuole fare in Val Susa. Intanto la struttura geomorfologica di Spagna e Francia è assai diversa dalla nostra: la Parigi-Marsiglia non ha avuto bisogno di bucare nessuna montagna, e così pure la Madrid-Barcellona. Si dirà che sono quisquilie di fronte al progresso che ci propone la TAV. E’ vero, la TAV esistente in Italia (TO-VE e MIRoma) ha portato via dalle strade molti passeggeri e l’uso che ne viene fatto è in aumento. Ma in Val Susa si parla di trasporto merci, spostare il traffico merci dalla gomma al ferro: ma allora per quesettembre 2011 notiziario anpi

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politica sto scopo non ci vuole una linea ad alta velocità. Lo spostamento non dipende dal guadagno di un’ora ma, come dimostra la Svizzera, dipende da una politica che penalizza la circolazione dei tir su strada. Una linea per trasporto merci e passeggeri in Val Susa esiste già, ed è collegata da Torino a Lione, viene usata pochissimo, il trasporto merci sempre meno. Basta rinnovarla, potenziarla, renderla appetibile all’uso: non c’è nessun bisogno di aprire cantieri e tenerli aperti per trent’anni con dei costi spropositati. In Francia, la patria dell’alta velocità, la parola finale su questi progetti spetta alla comunità locale, che viene coinvolta in tutti i passaggi e deve essere convinta della bontà dell’opera. In Italia nonostante le belle parole scritte da Mario Virano ai cittadini della Val Susa, i fatti si sono svolti in modo diverso. Il 3 maggio 2011 c’è stato l’incontro del “tavolo istituzionale” a Roma: otto sindaci dentro Palazzo Chigi e una ventina fuori (tutti i primi cittadini dei territori interessati). A questo incontro è stato confermato il via ai lavori del cunicolo esplorativo a Chiomonte (detto della Maddalena) a giugno, e l’avvio dei cantieri della Torino-Lione nel 2013 (ma solo per il tunnel internazionale e il nodo di Torino), rinviando al 2023 i lavori tra Bussoleno e Avigliana (tunnel dell’Orsiera). Sandro Plano, presidente della Comunità montana Val Susa e Val Sangone (anche esso tenuto fuori nonostante facente parte dell’Osservatorio) ribadisce l’inutilità del cunicolo esplorativo della Maddalena: “L’ho già detto e lo ribadisco: il tunnel è inutile. Dicono che si tratta di un sondaggio. Ma i sondaggi si fanno per conoscere la geologia dei tracciati e per redigere i progetti. Qui i progetti ci sono già. Quel cantiere ha solo un valore simbolico, serve a dire che i lavori partono e a prendere i finanziamenti europei. Il problema è come evitare che a Chiomonte si vada allo scontro. Sono molto preoccupato. Noi su questo vorremmo interloquire con Governo, Regione e Provincia, ma troviamo sempre le porte chiuse. Non vogliono parlarci”. Per il Governo il cantiere deve partire ad ogni costo, quindi dal ministero dell’Interno si pensa bene di militarizzare il territorio, e la tensione con i valsusini sale. La gente della valle non sopporta la militarizzazione del suo territorio. E’ stato organiz-

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L’interesse generale deve prevalere sugli egoismi particolari

zato e realizzato un presidio a Chiomonte, un presidio formato da tende dove dormire, strutture dove discutere e cucinare. Il 27 giugno è partito l’ordine militare di assaltare il presidio e “ripulirlo da ogni critica e resistenza”. Marco Revelli, giornalista e scrittore, quella notte era lì dove le forze dell’ordine hanno spaccato tutto, tagliato le tende, urinato sui sacchi a pelo: “Con don Ciotti, Petrini, Mercalli e tanti altri avevamo rivolto un accorato appello a non intervenire manu militari, consapevoli che lo sgombero violento di un presidio pacifico avrebbe aperto uno scenario pericoloso”. Domenica 3 luglio è indetta una manifestazione nazionale in Val Susa. Tre cortei partono da punti diversi, gli organizzatori hanno stimato 50-60.000 persone, sindaci, amministratori, intere famiglie partecipano in modo pacifico, festoso e soprattutto determinato, perchè “Se la giornata finirà senza violenze, gli amministratori potranno chiedere con forza che si riapra un confronto nazionale” diceva Antonio Ferrentino sindaco di S. Antonino di Susa. Ma come fu nel luglio 2001 a Genova, anche qui sono apparsi i “black block”, i “palombari” come li ha definiti Marco Revelli: “Si aggiravano intorno e dentro il corteo ricoperti di tecnologie e divise nere da combattimento: corpi estranei alla protesta, parlavano altre lingue, attraversavano la folla spintonando... non era gente al servizio del territorio. Hanno provocato un moto di rigetto tra i valligiani quando hanno portato lo scontro vicino alla centrale dove erano concentrate le famiglie con i bambini, innescando un eccesso di risposta con centinaia di candelotti lacrimogeni,costringendo ad andarsene chi avrebbe voluto assediare pacificamente l’area”. E come fu a Genova, nessun black-block è stato fermato, sono state trovate bottiglie di ammoniaca (“tentato omicidio” tuona Maroni... anche alla “Diaz” furono “trovate” le molotov!). Ad oggi (15 luglio) le forze dell’ordine hanno ripreso il controllo della situazione: tre-quattro cento tra carabinieri, polizia e guardia di finanza, presidiano la “zona rossa” dove è vietato a chiunque di entra-

re. Alcuni giorni fa ha fatto visita l’europarlamentare Gianni Vattimo, dopo un’ora di visita guidata ha dichiarato: “Abbiamo constatato semplicemente che il cantiere non c’è, non c’è ancora traccia della CMC di Ravenna che ha vinto l’appalto per scavare il tunnel”. I sostenitori del progetto continuano a dire che “L’interesse generale deve prevalere sugli egoismi particolari!”.Va bene, dobbiamo andare oltre alla cocciutaggine di qualche contadino che continua a difendere quel suo pezzo di terra e le sue capre o le sue vigne; andiamo oltre a questi egoismi particolari! Ma siamo sicuri che l’interesse generale siano quei due tunnel di cui sentiremo il primo vagito fra più di trent’anni? Il 1° luglio sul “Manifesto” c’è stata un’intervista a Stefano Vescovi (consigliere economico dell’ambasciatore svizzero), sosteneva che “Il 90 percento del flusso merci corre verso il nord, in particolare sul corridoio Genova-Rotterdam, cosiddetto dei due mari, e non sull’asse estovest. Nel 2016 sarà pronto il tunnel del Gottardo, la ferrovia Alp Transit sarà una pista perfetta per trasportare da Milano o da Torino merci e persone verso il nord”. Claudio Burlando, ex ministro dei Trasporti, ora presidente della Regione Liguria, sostiene la stessa cosa (da un’intervista del 15 luglio sul “Fatto”): “La TorinoLione non ha senso. Le merci in Europa non viaggiano sulla direttiva est-ovest, ma su quella nord-sud. Dunque ritengo più ragionevole un collegamento infrastrutturale da Genova verso Rotterdam, l’altro grande porto europeo. E per farlo è necessario realizzare il terzo valico verso il nord. In Valle Susa protestano a migliaia, a Genova eravamo in piazza per chiedere il terzo valico”. Domandina finale: qual è veramente l’interesse generale? (che senz’altro deve prevalere sull’egoismo di quella povera donna che non può più andare a vendemmiare nella sua vigna perché dentro la zona rossa!). Angelo Bariani


politica

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L’ANTIFASCISMO IN GERMANIA E IN ITALIA In questo afoso agosto, tempo di vacanze e di riposo (crisi economica a parte) c’è anche il tempo di leggere con più attenzione la stampa quotidiana, così l’attenzione è stata attirata da una pagina di “Repubblica” (22 luglio) e ho così scoperto l’esistenza di una paesino della Baviera dove è accaduta una cosa interessante. Wunsiedel, ospitava nel suo camposanto le spoglie mortali di Rudolf Hess, il delfino di Hitler, fuggito in Scozia nel 1941 in una vicenda mai chiarita del tutto. Per questa sua fuga il gerarca nazista scampò la forca che toccò inceve ai suoi colleghi al processo di Norimberga e fu condannato all’ergastolo (vero) che scontò nel carcere berlinese di Spandau fino all’agosto 1987 quando, bontà sua, decise di suicidarsi. Le spoglie mortali furono sepolte in quel cimitero bavarese e lì nacquero i problemi: ogni anno quella tomba, nella ricorrenza della morte, divenne luogo di adunata di naziskin, gentaglia in giubbotto e mimetica, rasati, eccetera, la solita paccottiglia che l’Europa ormai conosce. Hans Jürgen Buchta, diacono evangelico di quella parrocchia, allo scadere della concessione cimiteriale, ha deciso di chiudere la questione e, nella notte del 20 luglio, insieme a sette assistenti, ha preso mazza e piccone distruggendo la lapide e la sepoltura del caro estinto. Quello che resta del corpo sarà cremato e le ceneri

sparse in mare. Hess segue così il destino dei suoi camerati, anche i condannati di Norimberga, impiccati, furono cremati e le loro ceneri sparse in mare. Nel 1972, nel corso di lavori in un cantiere a Berlino, furono ritrovate le ossa di Martin Borman, il braccio destro del Führer, riconosciute dal DNA nel 1998. Si era favoleggiato di una sua salvezza dall’inferno di Berlino e di una sua presenza in Brasile. Bormann, invece, era morto alla fine di aprile 1945, nell’ultimo tentativo di fuga. Le ossa ritrovate, furono riconsegnate al figlio del defunto che, però, le rifiutò sdegnosamente. Lo stato tedesco provvide allora alla cremazione e decise, in linea con quanto già fatto nel 1946, a spargerle nelle fredde acque del Mare del Nord, stavolta però fuori dalle acque territoriali tedesche, a sottolineare l’estraneità di quei resti alla sovranità del paese. Così si è fatto (e si fa) in Germania, dove le leggi contro il nazismo sono serie e, soprattutto, vengono applicate. Quella gentaglia che andava sulla tomba di Hess si guardava bene da esporre simboli nazi, ben conscia che anche una minuscola svastica avrebbe comportato l’arresto immediato. Noi, invece, abbiamo Predappio, dove nell’agosto 1957, su decisione dell’allora Presidente del Consiglio, il DC Adone

Zoli (nativo del medesimo luogo), fu autorizzata la sepoltura nella tomba di famiglia della salma del cavalier Benito Mussolini. Da allora ogni anno centinaia (se non migliaia) di fascisti sfilano in quella cripta, lasciano messaggi appassionati sul registro d’onore, si irrigidiscono all’uscita nel saluto romano, quando poi, le foto/video sono disponibili sul web, vecchi e giovani idioti si presentano in divisa da federale GNR, brigata nera. Come logico, intorno al cimitero di Predappio, operano lucrose bancarelle che offrono in vendita ai turisti del manganello, oggettistica relativa all’illustre defunto. Parliamo pure di antifascismo ma risulta difficile coniugare il tema con la constatazione che noi italiani i conti con il fascismo li abbiamo chiusi nel 1957 con un bell’atto di perdono, concedendo a Mussolini l’onore di una sepoltura. Condannare quella scelta non significa mancare di rispetto a un defunto o accanirsi su povere spoglie, ma capire che quella sepoltura costituisce un palese atto di ingiustizia. Abbiamo concesso ai famigliari di un dittatore un onore e un conforto che è stato negato, nei fatti, alle migliaia di famiglie che non hanno avuto mai la possibilità di piangere sulla tomba di quei soldati mandati, ad esempio, a morire in Russia proprio ad opera di quel cavaliere di cui onoriamo le spoglie. Sarebbe pensabile che fosse eletta al Par-

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società lamento tedesco la nipote di Hitler? Noi abbiamo l’onorevole Mussolini che, con vivacità partenopea, ci viene a raccontare in diretta tv quanto fosse buono e bravo il nonnino e quanto gli italiani siano ingrati nel suoi confronti. Difficile parlare di antifascismo in un paese così. Ora alziamo gli scudi-giustamenteper la progettata cancellazione del 25 Aprile ma siamo facili all’indignazione occasionale, dimentichi che il 25 Aprile si costruisce tutto l’anno, con un serio lavoro di educazione, che non basta spargere belle parole dal palco in quella giornata e far finta di nulla per i restanti 364 giorni. Salvo poi stupirsi dell’ennesimo tentativo dei (post)fascisti di ridisegnare il calendario civile sui cui dovrebbe basarsi l’identità democratica di una nazione. I (post) fascisti continuano a fare il loro (sporco) lavoro, non sarà che gli antifascisti hanno smesso, da troppo tempo, di fare il loro? L’antifascismo non è un feticcio, un mitico graal che tutto salva e tutto spiega. Si deve tornare a ripensarlo, ridiscuterlo, prendere atto di una storia complessa e articolata. Chiederci perché l’antifascismo, uscito dalla guerra e dalla Resistenza, non sia divenuto un patrimonio condiviso ma sia rimasto limitato solo ad una parte culturale e politica del paese. Riflettere sulla necessità di aggiornarlo in un più corretto antitotalitarismo. Oppure possiamo fare finta di niente, alzare ancora grida e proteste, contemplare le nostre piazze piene di bandiere, fino alla prossima volta in cui ci troveremo ancora, increduli e sbigottiti, a chiederci “come mai?”, “perché?” ma, soprattutto, a porci la più ipocrita delle domande: “che fare?”. Massimo Storchi

i, ne Begh o m i S a a Intervist ponente del PD es giovane o reggian

Matrimoni omosessuali

“L’unico modo per tornare a riaprire il dibattito è quello di farlo in modo forte”

Secondo te perché tanta resistenza da parte del mondo politico ad accettare, e quindi codificare, realtà sociali che vanno dalle coppie di fatto alle relazioni omosessuali? Credo che le ragioni si ritrovino, tra gli altri, nel fatto che, a differenza di molti Paesi occidentali come la Germania o il Regno Unito, l’Italia non abbia mai visto all’interno della propria legislazione penale la criminalizzazione dell’omosessualità. Lo stesso Codice Rocco, adottato in epoca fascista e mantenuto con le opportune revisioni dai governi del dopoguerra, non ha mai previsto alcuna norma a riguardo, sebbene poi questo non abbia precluso al regime dell’epoca di sanzionare i cosiddetti comportamenti omosessuali con l’ammonizione ed il confino. Ben diversa ad esempio la situazione in Germania, dove gli omosessuali sono stati internati a migliaia nei campi di concentramento, o nel Regno Unito, dove l’omosessualità è stata depenalizzata solo nel 1967. Questa peculiare situazione italiana è stata determinata in particolare dal fatto che se da una parte i comportamenti omosessuali fossero ritenuti sanzionabili, dall’altra la classe politica ha portato avanti l’idea che ciò non fosse compito dello Stato bensì della Chiesa, in quanto la sanzione riguardava l’ambito della morale. Ritengo che tutto questo abbia evitato che nascessero movimenti organizzati che potessero fare pressione per chiedere l’abolizione di norme che in Italia non esistevano, e così di conseguenza per chiedere normative nuove in materia di famiglia e diritti in generale. La nascita, infatti, in Italia di un movimento omossessuale è assai recente, mentre ad esempio negli Stati Uniti esso ha visto la luce già durante gli anni ’60 anche a seguito di atti di repressione da parte della polizia ed è divenuto un movimento influente sia in ambito sociale che politico. Non credi che la rivendicazione diretta, e mi riferisco soprattutto ai matrimoni omosessuali, considerando la realtà politica italiana, sia controproducente per lo scopo, un tema che divide anche il tuo partito, il PD?

Credo che dopo l’esperienza fallimentare dei Dico, che pure a suo tempo ho appoggiato, sia impossibile ripartire da lì. Ricordo che in un intervento durante l’ultimo congresso provinciale dei DS nel 2007 dissi che, pur concordando sul fatto che quella proposta di legge fosse lacunosa e migliorabile, essa doveva essere difesa in tutto e per tutto affinchè fosse approvata, asserendo che nel caso fosse decaduta non si sarebbe più parlato di questo tema per anni. Non credo di essermi sbagliato poi di tanto. L’unico modo per tornare a riaprire il dibattito penso sia quello di farlo in modo forte. Negli ultimi anni in diversi Stati occidentali si è andati spesso verso la direzione della parificazione dell’istituto del matrimonio anche per le coppie dello stesso sesso e non mi spaventa se alcuni esponenti del mio partito ci accusano di voler provocare divisioni. Anche perché chi ha portato avanti tali accuse non ha mai risposto nel merito sul tema, forse anche perché non lo conosce o lo conosce poco. Francamente penso questo: non sarebbe più utile parlare in generale dei diritti civili per le coppie di fatto, i famosi PACS (Patto Civile di Solidarietà), e lavorare con tutte quelle componenti politiche e civili della società italiana, per cercare alleanze, insomma, anche solo per raggiungere obiettivi intermedi? Un passo per volta… Riprendo quanto detto sopra. Nel 2007 la proposta di legge sui Dico, che riguardava i diritti individuali dei conviventi e non i diritti della coppia, è stata affossata per tante ragioni che non sto qui ad elencare. Siamo pronti ad aprire un confronto sull’allargamento del matrimonio per tutte le coppie oltre che nel PD anche con chi nella società vorrà farlo lasciando, però, da parte gli stereotipi e le preclusioni. Non dobbiamo avere paura a considerare “famiglia” tutti coloro che si vogliono assumere nei confronti del proprio partner la responsabilità di mettere insieme gli sforzi e i mezzi per costruire qualcosa per il futuro. La Famiglia non è forse questo? a cura di Glauco Bertani

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società

DALLA LIBIA

PROFUGHI A POVIGLIO

cile in a non fa it v a n u padre è 8, iutare orte del lasse 197 telli e sorelle da a m c , a ll io a h c i, c cuola, i ve fra ann oro. è il più no della s rare. genitori, solo 24 so di lav o i s a d i y e h n b a a , m rm d b o a e b n p a tr Su di en on un iovanissim miglia, l’ ibia per poter lavo la perdita ferirsi in Libia, c ris è g ido ad un’altra fa h C Nigeria, s re in L a tr ff in a ne di e di anda to n io a is io d c is e to c d e ta d s e la la ando pagare e e, ma qu o. id debiti da rr o s n o ntr Soluti molta rabbia de a h non , , ta a n ri o e racc Nig in , o ic non n Figlio u studiare perché rsi i ha potuto ldi per compra o s vendere aveva i iato col c in m o c aperto libri. Ha to, poi ha n ce u a le r e ricambi p , ma quando no ebiti zio un nego tta a pagare i d fa quella di l’ha più e è stata n io z lu o l’unica s . i in Libia trasferirs Storie simili.

Storie di profughi che loro malgrado, sono arrivati in Italia. Storie di vita, storie di ragazzi che hanno visto la povertà, la miseria, la violenza. Storie di partenze e di arrivi. Partenze più o meno volontarie, dolorose, alla ricerca di qualcosa di meglio, per se stessi e per la loro famiglia. E poi arrivi, in terre straniere, lontane, con il problema della lingua, dell’alloggio, del lavoro… E poi di nuovo partenze, per fuggire da una terribile guerra civile, che non risparmia nessuno, nemmeno loro, che con questa guerra non hanno nulla a che fare. Fuggire, senza porsi troppe domande, imbarcandosi in fretta, per un’attraversata dove l’unica certezza è la partenza. Partenza senza destinazione certa, senza documenti, solo con i vestiti che hai indosso. Solo se stessi, i loro ricordi, la loro rabbia e la loro disperazione. Dove si arriva non si sa, l’importante è arrivarci vivo. Sì, perché tre, quattro, cinque giorni su un barcone, in mezzo al mare, senza acqua né cibo, met10 settembre 2011

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tono alla prova i fisici più robusti. Sunday, Chris e Solution ce l’han fatta. La Sicilia, poi Campobasso, Rimini, i centri di identificazione, mille domande, poi, dall’inizio di giugno a Poviglio. “Possiamo comunicare alle famiglie che siamo vivi?” è stata la loro prima richiesta. Sono vivi. E questo è l’importante, perché, “… alcuni di noi, durante l’attraversata, non ce l’hanno fatta” mi racconta Solution. Dopo qualche giorno l’altra richiesta: “Possiamo far qualcosa? Lavorare?” Sono giovani e volenterosi. Non sopportano di vedersi seduti davanti al loro alloggio: in Libia avevano un permesso di lavoro, e lavoravano duro, nell’edilizia o come meccanici. “Sono dei gran lavoratori, instancabili” sono le parole dell’Assessore e responsabile del progetto di accoglienza dei profughi Domenico Donelli. Per la legge italiana però loro hanno lo status di profughi, il ché da loro diritto ad un permesso di soggiorno temporaneo: possono ave-

re assistenza sanitaria ma non un lavoro. Hanno già inoltrato la richiesta di asilo politico, l’iter sarà lungo e dall’esito incerto, in quanto sembra non ci sia trattato in tal senso tra Italia e Nigeria. Ma se lo ottenessero potrebbero lavorare: “Magari, così possiamo comunicare con le famiglie ogni qualvolta ne sentiamo il bisogno!” La Nigeria, e le loro famiglie sono al centro dei loro pensieri. “Abbiamo pensato di iscriverli al registro del volontariato, questo permette a noi di assicurarli, a loro la possibilità di rendersi utili per la comunità ma soprattutto ridar loro la dignità di essere umano” continua l’assessore. “Per il necessario si appoggiano alle strutture comunali. La comunità povigliese ha riservato loro un’ottima accoglienza, i volontari AVO hanno donato loro 3 biciclette, e la felicità era a mille! Sono cattolici, e hanno cominciato a frequentare le funzioni religiose, e anche questa è integrazione.” Puliscono pedonali, parchi, risistemano giochi per bambini,


società danno una mano nelle feste di paese. “Stiamo bene a Poviglio! Rimanerci per sempre? Perché no! Ma con una condizione giuridica migliore e che dia a noi i diritti fondamentali”. Tra Reggio e provincia sono quasi 200 i profughi ospitati, i primi arrivati nella primavera, a Viano, ragazzi minorenni, poi, negli altri comuni: pochi i cittadini libici, la maggior parte provengono dai paesi sub-sahariani, in Libia soggiornavano con un permesso di lavoro e dalla Libia sono stati costretti a scappare a causa delle rivolte al regime di Gheddafi. Per i laici l’accoglienza è dettata dalla nostra storia e dal nostro essere stati, prima di altri, emigranti noi stessi.

Per i cattolici significa rileggere ed applicare il Vangelo, che, con le parole di Matteo (25, 35 ricorda che “ero straniero e mi avete accolto”. Per tutti è la nostra Costituzione che indica la strada: “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione Italiana, ha il diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge…” recita il terzo comma dell’articolo 10. La nostra provincia ha affrontato l’emergenza profughi in maniera forte e decisa, senza remore, coinvolgendo tutte le forze presenti sul territorio. Così la protezione civile, le amministrazioni, le associazioni

di volontariato hanno saputo gestire questo “esodo” in virtù della nostra legge, di accordi internazionali ma soprattutto nel rispetto della vita umana. Diventa davvero difficile vedere la vita con gli occhi di Chris, Sunday e Solution. Perché i loro occhi sono una finestra su un mondo non troppo lontano da noi, a noi noto solo dalle immagini della televisione e dagli articoli sulla stampa. Non è sufficiente. È importante, per ognuno di noi confrontarci con i loro occhi. Anna Fava Con la collaborazione di Clare Arnold, madrelingua inglese, che mi ha fatto da interprete con i tre ragazzi.

L'ANPI PROVINCIALE ADERISCE A

“L’ITALIA SONO ANCH’IO”

Campagna per i diritti di cittadinanza e il diritto al voto per le persone di origine straniera L’ANPI Provinciale, facendo proprio l’invito dell’ANPI nazionale, aderisce a “L’Italia sono anch’io”, campagna per i diritti di cittadinanza e il diritto al voto per le persone di origine straniera lanciata da 18 organizzazioni della società civile. In base al principio Ius soli e non sanguinis. Il primo fa riferimento alla nascita sul territorio dello Stato e si contrappone, nel novero dei mezzi di acquisto del diritto di cittadinanza, allo ius sanguinis, imperniato invece sull’elemento della discendenza o della filiazione. Per i paesi che applicano lo ius soli è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori. L’ANPI è dunque impegnata nella raccolta di firme a sostegno di una legge che vuole riconoscere quest’ultimo principio, condividendo pienamente le istanze espresse nel manifesto dell’iniziativa: 1. Promuovere in ogni ambito l’uguaglianza tra persone di origine straniera e italiana. 2. Agire a tutti i livelli affinché gli ostacoli che impediscono la piena uguaglianza tra italiani e stranieri vengano rimossi, determinando le condizioni per la sua concreta realizzazione. Lavoratori stranieri allo sciopero del 6 settembre 2011

3. Promuovere la partecipazione e il protagonismo dei migranti in tutti gli ambiti sociali, lavorativi e culturali. Siamo, infatti, convinti che esercizio della cittadinanza significhi innanzitutto possibilità di partecipare alla vita e alle scelte della comunità di cui si fa parte. 4. Avviare un percorso che porti alla presentazione in Parlamento di due proposte di legge di iniziativa popolare: In sostanza è una proposta di legge (occorre raccogliere almeno 50.000 firme) che intende riformare la normativa sulla

cittadinanza, aggiornando i concetti di nazione e nazionalità sulla base del senso di appartenenza ad una comunità determinato da percorsi condivisi di studio, di lavoro e di vita. E’ una proposta di legge che vuole riconoscere ai migranti il diritto di voto nelle consultazioni elettorali locali, quale strumento più alto di responsabilità sociale e politica Per chi volesse maggiori informazioni le può trovare sul sito: www.litaliasonoanchio.it/index.php?=528 (g.b.)

settembre 2011 11 notiziario anpi


L’ANPI e i giovani

LE RIVOLUZIONI MO A V A N I G A M M DI CHI NON I Le rivolte in Tunisia ed Egitto Il 16 giugno scorso è stata presentata, presso la Camera del Lavoro di Reggio Emilia, la mostra fotografica “Le rivoluzioni che non immaginavamo”. Con l’ANPI hanno collaborato all’allestimento Generazione articolo 3, Associazione giovani che amano l’Egitto, Associazione tunisina in amicizia con Reggio Emilia. L’incontro succcessivo, che aveva come tema Le rivoluzioni dei paesi arabi, la resistenza italiana, la democrazia, la costituzione italiana, si è svolto presso la sala DI VITTORIO”. La mostra, che ha riscosso un notevole successo, si è chiusa il 26 giugno. Le foto dell’incontro sono di Angelo Bariani. La mostra è stata poi allestita allo spazio Sputnik di FestaReggio 2011, la kermesse provinciale del PD, dal 24 agosto all’undici settembre. La mostra è stata inaugurata dai vice presidente provinciali dell’ANPI, Fiorella Ferrarini e Alessandro Frignoli, e dal presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, che si è impegnato di portarla nella Capitale e farne una pubblicazione a uso delle scuole della provincia di Roma. Il testo che pubblichiamo è il pannello introduttivo alla mostra stessa. 12 settembre 2011

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Un pensiero ad Alaa e Davide nel cuore della rivolta araba Il titolo di questa mostra fotografica non è stato casuale, mentre noi italiani c’indignavamo, manifestavamo in forme pacate, nella nostra “democratica Italia”, in Egitto e in Tunisia, quasi simultaneamente la popolazione scendeva nelle piazze.

Il 17 dicembre in Tunisia, il giovane disoccupato Mohamed Bouazizi si suicidava, dimostrando nella forma più estrema il dissenso all’ennesimo sopruso della gendarmeria del presidente Ben Alì. Da quel momento la rivolta dilaga in tutta la Tunisia, per la prima volta le donne tunisine sono per le strade a manifestare con gli studenti e quella parte del paese che

In alto: Giuseppe Napolitano, vice presidente sezione ANPI cittadina di Reggio Emilia, Alaa Salamony e Davide Mattioli In basso: Il pubblico, tra cui si roconosce il vice presidente dell’ANPI provinciale Alessandro Frignoli e, seduto accanto, Giancarlo Ruggieri, della segreteria provinciale dell’ANPI


estero

lotterà nei mesi a seguire fino alla caduta del dittatore. In Egitto la data della rivolta viene fissata nella memoria e nella storia, il 25 gennaio, il giorno dove oltre due milioni di egiziani si riversano a piazza Tahrir nel centro del Cairo. Un altro giorno 25, a segnare il riacquisto della dignità di un popolo. Ma tornando alle motivazioni di questa mostra, tutto nasce da un confronto tra giovani reggiani e giovani tunisini ed egiziani, che confrontandosi per le strade di Reggio, e su facebook, si scambiano conoscenze e pareri. Noi italiani vogliamo sapere di più sulle motivazioni di queste rivoluzioni, e loro rimangono affascinati dalla nostra storia, dalla nostra Resistenza. La cosa che lascia interdetti i giovani nordafricani, è di come abbiano fatto i partigiani, senza mezzi di comunicazione e senza facebook, a organizzare la lotta di Liberazione, e già "senza Facebook", perché questo illimitato mezzo di comunicazione è stato uno strumento importantissimo, per mantenere i contatti e le comunicazioni tra i dimostranti. Nasce da qui un percorso di condivisioni di ideali, speranza, solidarietà, un percorso che ha avuto l’ANPI come collante. Scioperi, il 25 aprile, il congresso provinciale dell’ANPI, con la presenza dell’ambasciatore palestinese, e la presentazione dell’inaugurazione della scuola in Palestina intitolata a Carretti, storico presidente dell’ANPI reggiana, il 1° maggio, lo sciopero generale, la campagna sui referendum, Se non ora quando, la comme-

morazione dei martiri del 7 luglio, momenti di lotta in cui i giovani nordafricani di Reggio Emilia e i ragazzi italiani dell’ANPI, di vari movimenti di lotta civile, come Art.21, Generazione articolo 3, Giovani contro le mafie, hanno condiviso strenuamente, fino ad arrivare ad un viaggio nel cuore della rivolta araba. Sono proprio le rivoluzioni che non immaginavamo, quelle rivoluzioni nate dove pensavamo che la rassegnazione fosse padrona, ma proprio da quei paesi c’è arrivata una lezione storica, che a noi nuovi resistenti ha dato nuova linfa per la cosiddetta resistenza del terzo millennio. In questa storia, i valori della resistenza superano i confini nazionali, trovando la condivisione di popoli che non immaginavamo, ma che sono già parte integrante della nostra società, della nostra nuova Italia. Le fotografie di questa mostra sono in piccola parte scaricate da internet, ma la maggior parte sono state scattate sui luoghi delle rivolte, con macchine digitali e con telefonini, da ragazzi che hanno spesso rischiato la vita o sono rimasti feriti, quindi il valore che attribuiamo ad esse è immenso. Con queste foto immaginiamo le urla, la disperazione, la voglia di libertà: Con queste foto immaginiamo il prezzo della ritrovata dignità d’interi popoli. Adesso non immaginiamo più, siamo certi. Giuseppe Napolitano

La rivolte in Tunisia ed Egitto, alcune foto originali arrivate clandestianmente. Sopra: Tunisia. Il coraggio delle rivolte Nella pagina a fianco, in alto: Cairo, piazza Tahrir, la folla immensa che rivendica la propria libertà

Cairo. La paura dei più deboli

Cairo. Lo scambio del fiore della libertà

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libri che ho letto (a.z.)

cultura Un bracciale di sterline

per la libertà “È una storia meravigliosa. È la mia storia, e la storia della mia gente”. Sono parole di Scott Fitzgerald che possono essere fedeli compagne nella lettura di Il bracciale di sterline (Aliberti editore), ovvero, come precisa il sottotitolo, Una storia di guerra e di passioni con Cento bastardi senza gloria protagonisti di una delle imprese più spericolate e determinanti per le sorti del conflitto a nord della Linea Gotica. Questa meravigliosa “nostra” storia inizia con l’Operazione Tombola, nome in codice dell’attacco condotto, nel marzo del 1945, da formazioni partigiane (i Gufi Neri in particolare) ed alleate contro uno dei principali comandi tedeschi dell’Italia settentrionale, situato nei pressi di Reggio Emilia, a Botteghe di Albinea, in due edifici limitrofi, Villa Rossi e Villa Calvi. A Matteo Incerti e Valentina Ruozi, giovani giornalisti reggiani “cacciatori di ricordi” e artefici di una lunga, accurata ricerca storica ampiamente documentata alla fine del volume, va il merito di aver legato all’invisibile filo della narrazione quell’azione di guerra ed altre vicende successive, con un fitto intreccio di eventi, luoghi, personaggi e tempi. Nasce così un racconto affascinante, coinvolgente, un lungo ma agevole viaggio di trecento pagine che inseguendo un bracciale di sterline, un suono di cornamusa ed un telo di paracadute trasformato in abito da sposa conduce quei cento “eroi per caso”, partiti in una lontana primavera, sino ai nostri giorni. E prende corpo allo stesso modo un romanzo corale, un libroverità in cui la memoria è per gli autori volontà di ricordare, impegno di essere, sebbene di una generazione successiva a quella della Resistenza, interpreti sinceri e commossi di un momento decisivo nel quale le coscienze migliori si sono ritrovate. Il senso e il valore della guer-

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ra di liberazione, che per Franco Fortini ha rappresentato un “corso accelerato di storia del secolo, di etica, di estetica”, vengono salvati ne Il bracciale di sterline dallo “scialo ontologico” del tempo e ricondotti al presente, senza strumentalizzazioni politiche, arricchiti dalla carica umana dei protagonisti di quegli avvenimenti; dal partigiano Bruno, ad esempio, indignato dall’attuale sfacelo morale dell’Italia, a David E. Jones e “Rocky” Riojas, militari statunitensi ancora segnati nell’intimo dalla violenza del conflitto. Il primo elemento di originalità del libro consiste nella capacità di affrontare con semplicità una materia vasta e complessa: nell’arco degli anni le innumerevoli tessere di eventi e di esperienze individuali si affiancano nella composizione di un mosaico, storico e morale, spinto oltre i confini temporali della guerra, quasi a rispondere ad una domanda tanto frequente quanto ignorata: “ma cos’è accaduto dopo?”. Ed è una tale nota distintiva a rendere difficile la collocazione dell’opera in un ambito di “genere”, quale il “romanzo storico”, o nelle correnti tradizionali della letteratura “resistenziale”, racchiusa entro i limiti di un periodo, di una memoria e di una connotazione ideale fortemente connessa alla militanza partigiana. Il secondo elemento è di carattere divulgativo: lo sviluppo del racconto, la chiarezza di esposizione, la ricchezza di fonti e di dettagli aprono la prospettiva di un nuovo orizzonte di scrittura, dove la verità storica assume la forma di un romanzo proiettato nel presente, rivolto alle giovani generazioni, di forte tensione pedagogica e con un prezioso messaggio racchiuso nell’ultima riga: Per non smettere mai di sognare, di lottare, per non smettere mai di sperare . Giovanni Guidotti

VALDA BUSANI (a cura), Il DonGio e Ca’ de Caroli, Circolo Le Ciminiere, 161 pp. Valda Busani torna a scavare nella memoria del territorio scandianese (di cui fu Sindaco) con la stessa sensibilità con cui affrontò il tema della violenza durante la guerra nel volume C’era freddo dentro al cuore di tutti, offrendoci ora con Il DonGio e Ca’ de Caroli, una serie di “ricordi, frammenti di memoria, immagini per un racconto collettivo” dedicato alla storia di un prete, don Giovanni Voltolini, e dei ragazzi che intorno a lui, dal 1951 in poi hanno costruito una rete di solidarietà che dura da 50 anni, oltre la scomparsa del DonGio, avvenuta nel 2009. PIETRO MARIANI CERATI, La locanda della Pace, Aliberti ed., 2010, 157 pp. Ecco un esempio di come la storia, in questo caso del Novecento, possa essere proposta sotto forma di romanzo con una capacità di coinvolgimento del lettore a volte superiore a quella del saggio. Anche questa volta Pietro ambienta la narrazione nella sua Novellara, non più nel secolo XVI come fece con Novellara Dajjenu, ma nel XX, precisamente a fine settembre 1922 dove l’inizio del fascismo si mescola con “teologia, cibo, teatro, gioco delle carte, esegesi e devotio moderna, amore e sesso” senza dimenticare Bibbia e Chassidim, secondo la propensione al dialogo ebraico-cristiano di cui Pietro è tra i protagonisti attorno alla rivista “Qol”. VITTORIO PRODI, Il mondo a una svolta, Socialisti e Democratici del Parlamento europeo, 2011, 157 pp. Di fronte agli smarrimenti del tempo presente ecco un testo limpido e denso di proposte concrete per l’uscita dall’impasse in cui il mondo sembra essere bloccato. “In questa ultima fatica – scrive Rosy Bindi nella prefazione – Vittorio Prodi offre una preziosa testimonianza del lavoro di formazione di una nuova cultura politica democratica , autenticamente ambientalista. Questo suo sforzo appassionato e competente, si dispiega sul terreno decisivo della questione ambientale in cui è più evidente l’urgenza di ripensare la nostra idea di sviluppo, di società e, in fin dei conti di convivenza mondiale”. Una volta c’erano, coi loro difetti ideologici ma anche molti pregi, le “scuole di partito”. Se si pensasse a rifare qualcosa del genere questo libro sarebbe da proporre allo studio ed alla riflessione degli eventuali allievi.


cultura www.governareggio.it

FARMACIE ancora un grande COMUNALI futuro davanti

C

osa sta succedendo alle Farmacie Comunali Riunite di Reggio Emilia? E’ la domanda che, in queste settimane, dopo le polemiche e i titoli allarmistici dei giornali locali, molti reggiani si sono fatta. Per fortuna non c’è nulla di cui allarmarsi e il turbine che si è scatenato, più che ad un tifone tropicale sembra assomigliare a quella, ben più modesta, della tempesta in un bicchier d’acqua. Questi i fatti. Il primo: l’acquisto delle azioni Iren del Comune da parte di FCR. Il Comune di Reggio, già nei primi mesi di quest’anno, strangolato dal cosiddetto patto di stabilità imposto dal governo Berlusconi, non sa più come fare a pagare i fornitori. Ha molti soldi in cassa, ma non li può usare. Allora decide di cedere parte delle sue azioni Iren alla sua azienda speciale, le Farmacie (FCR), appunto, per il loro valore attuale che è di circa dieci milioni di euro. Con questa operazione, dieci milioni di liquidità passano da FCR al Comune e questi potrà usarli per pagare i fornitori e continuare a fornire i servizi pubblici. Si tratta di un’operazione di trasferimento temporaneo di un pacchetto azionario che non incide sui costi di FCR e, comunque, almeno in teoria, incide soltanto sulla liquidità e mette le FCR, quale detentrice formale delle azioni, nelle condizioni di poter riscuotere i dividendi annuali delle azioni Iren. Si tratta senz’altro di una iniziativa straordinaria, per far fronte ad una situazione di tensione finanziaria straordinaria, che, però, non porterà ad alterazioni sostanziali delle condizioni gestionali delle Farmacie. Il secondo fatto: la proposta di privatizzare il magazzino. Qui la questione riguarda la strategia di sviluppo e l’evoluzione aziendale. L’azienda FCR ha un posto speciale nel

vissuto dei reggiani. E’ un’azienda di oltre cent’anni, nata da una felice intuizione di amministratori illuminati per rispondere ai bisogni primari dei cittadini più bisognosi è diventata un caso di successo guardato con ammirazione da tutti i comuni italiani. Oggi è giunto il tempo di pensare ad un ammodernamento imprenditoriale e di adeguare le strategie aziendali per affrontare tempi difficili ed incerti e gettare le basi per un rinnovato ruolo a favore della comunità reggiana. Si tratta, tuttavia, di fare scelte, come altre volte l’azienda ha fatto nel corso della sua lunga storia. Basti ricordare, quando agli inizi degli anni ’70, di fronte allo sviluppo dell’industria farmaceutica italiana, decise la dismissione del laboratorio di produzione dei medicinali, per investire nell’ampliamento della rete di vendita, cioè la realizzazione di nuove e più moderne farmacie. L’azienda FCR, nel corso degli anni, non si è sviluppata soltanto attraverso l’aumento del numero delle farmacie a gestione diretta, ma lo ha fatto, anche rifornendo medicinali a farmacie comunali di altri comuni, poi ad altre farmacie private, poi ad enti e comunità, ecc. In sostanza, ha sviluppato anche un’attività da grossista, tipicamente commerciale, che non ha molto a che fare con gli interessi del Comune di Reggio Emilia, né con l’interesse pubblico in generale. Il magazzino, non è nient’altro che lo strumento per realizzare l’attività commerciale di grossista e, come tale, deve competere sul mercato con il sistema industriale e commerciale farmaceutico nazionale e internazionale. In questo tipo di attività, per essere competitivi, sono importanti i volumi. Per aumentare i volumi occorre rifornire un numero sempre maggiore di farmacie da servire in luoghi sempre più lontani da Reggio. Per perseguire un simile obbiettivo, occorrono ingenti investimenti tecno-

logici, in reti logistiche e la disponibilità di notevoli risorse da spendere sul piano commerciale. Da questo quadro, emergono chiaramente tre problemi: 1° - Chi mette tutti quei soldi?; 2° - L’azienda è controllata al 100 percento dal Comune: aumentano e non di poco, i rischi d’impresa. E’ giusto che il Comune si faccia carico di rischi imprenditoriali che potrebbero travolgerlo?; 3°- Infine, è giusto che il Comune sottragga ingenti quantità di risorse ai servizi pubblici per fare l’imprenditore?. A queste domande l’amministrazione comunale ha risposto no. Non è giusto esporre il Comune ai rischi commerciali di un’attività d’impresa che ha assunto dimensioni tanto grandi. Mentre la gestione delle Farmacie reggiane rimane un interesse pubblico primario da salvaguardare, non lo è la gestione commerciale del magazzino. Per questi motivi ha deciso di mettere a valore l’attività di grossista approvando un piano di sviluppo, messo a punto dal management dell’azienda FCR, che prevede la ricerca di un partner privato, cioè un imprenditore, per costituire un’azienda separata ed autonoma cui conferire il magazzino ed assegnargli il compito di cercare nuovi clienti sul mercato nazionale e sviluppare le necessarie reti logistiche e commerciali. Perciò, non vi sarà alcuna privatizzazione delle farmacie comunali, perché sono e saranno un servizio fondamentale d’interesse pubblico. E’ probabile, invece, possa essere ceduta l’attività di grossista commerciale, se si troveranno imprenditori privati o del privato sociale, disposti ad investire e rischiare in un’attività piuttosto impervia e competitiva, ma questa, come abbiamo visto, è un’altra storia e ci consente di concludere che le Farmacie Comunale Riunite di Reggio Emilia hanno ancora un grande futuro davanti a loro.

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CHI CANTERÀ LE NUOVE CRONACHE?

I

n occasione della partecipazione allo sciopero generale della CGIL contro la manovra finanziaria ho avuto modo di discutere con Zambonelli del fatto che la colonna sonora delle manifestazioni, delle adunate di piazza, delle iniziative politiche sia da qualche tempo sempre la stessa. In un certo modo rassicurante ma forse abitudinaria. Detto questo, tanto per non essere fraintesi, meno male che ancora abbiamo la possibilità e la libertà di cantare queste canzoni, questi inni, da Bella Ciao in poi. Il tema del discorrere più precisamente verteva sulla sensazione che dall’esperienza del gruppo del Cantacronache non si siano più presentate situazioni e proposte che in un certo modo abbiano proseguito quel percorso e quel racconto della società italiana in evoluzione. Altri episodi ci sono stati prima e dopo e, citando a braccio, vengono in mente le uscite dei “Dischi del Sole”, certi progetti folk tesi a rivalutare il patrimonio popolare e la canzone di protesta, i canti sindacali, gli anni ‘70 degli Area e dell’etichetta Cramps, la Coperativa degli Stormy Six e in genere il cantautorato politico. Ci si chiedeva se esista oggi un racconto in tempo reale del nostro momento storico-sociale. Qualche segnale c’è, anche se da scovare, da interpretare, da evidenziare. D’altra parte in questi ultimi decenni il filo non si era esaurito e una moderna canzone in grado di narrare i momenti salienti dei fatti che ci coinvolgono ha fatto capolino tra la massa montante di musica commerciale, da format, sparata ossessivamente da network totalizzanti. Dunque il problema maggiore

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è stato quello della emersione di musica diversa , della comunicazione di concetti, della trasmissione di altre parole e di suoni altri. Occorre ricordare diverse vicende della musica italiana alternativa: per esempio la scena hard-core-punk (nata verso fine anni ‘70) gravitante intorno ai centri sociali e al mondo anarchico. In questo caso i testi espliciti e le posizioni no-compromise dei gruppi sono stati un esempio di opposizione al sistema con temi che andavano dall’antimilitarismo alla rivolta sociale. Sempre legati ai centri sociali nei primi anni novanta prende il via la stagione delle posse. Fenomeno italiano che prende ispirazione dal rap militante d’oltreoceano, tramutando i versi di rivendicazione sociale degli afroamericani nelle rime che diventano un documento giovanile delle periferie e del disagio. In particolare forte sarà il legame con le lotte studentesche della Pantera. Un altro importante momento della rinascita della musica impegnata (come si diceva un tempo) è stato quello legato all’operazione “Materiale Resistente” dove una serie di band legate all’etichetta Consorzio Produttori Indipendenti si è fatta carico di rileggere ed attualizzare il patrimonio dei canti resistenziali. Questa iniziativa non a caso ha come data il 1995: cinquant’anni dopo la Liberazione e nel momento in cui si faceva ormai evidente e preoccupante l’avvento del berlusconismo. Oggi questi episodi si sono dispersi in mille direzioni, in interpretazioni che hanno comunque un approccio più intimista. Qualcuno ha parlato degli anni zero come un tempo in cui è possibile mettere sullo stesso pia-

no decadi e generazioni, dove è possibile fare continui salti temporali. Dove è possibile citare e mescolare suggestioni, ideologie, estetiche su un piano orizzontale. Sono mille rivoli in cui è ancora possibile ritrovare racconti del nostro tempo o ascoltare parole sulla deriva italiana, sulla inettitudine dei politici, sulla crisi economica globale. Certo non si tratta più di slogan, proclami o manifesti politici in musica e forse è venuta a mancare quella sfera pubblica, di condivisione di ideali e lotte. Forse ha vinto una sorta di spleen romantico, una quotidianità malinconica, una politica dei sentimenti come nelle trame dell’ultimo cinema italiano che semplicisticamente potremmo definire mucciniano. Da un lato abbiamo un ritorno di certo folk, della canzone popolare o in forma sempre più diffusa di un nuovo cantautorato che prende a piene mani dalla scuola autoriale degli anni 60’ e ‘70, dall’altro assistiamo al ritorno della canzonetta melensa che ci riporta ad un clima da anni ‘50. Senza dubbio la musica, come un termometro, segnala la temperatura della società, dunque le stesse insicurezze e le paure teorizzate dai sociologi si ritrovano nelle liriche e nei suoni e di certo molti musicisti più o meno consapevolmente hanno difficoltà a schierarsi, a prendere posizione. Molta musica si è fatta qualunquista, indifferente ma è nella clandestinità che è ancora possibile scoprire sacche di resistenza, possibili futuri, occorre soltanto mettere di nuovo in comunicazione le diverse voci che hanno voglia di raccontare il nostro complesso e composito presente.


di Massimo Becchi

Reggio e le politiche della mobilità

SE LA ZUPPA E’ SEMPRE

LA SOLITA

“E sul fronte del trasporto pubblico abbiamo dovuto aspettare i primi mesi di quest’anno, quando l’ATC ha deciso (in realtà su richiesta di alcuni partiti politici) di intensificare i controlli, scoprendo migliaia di “portoghesi” sui nostri bus, evidenti da anni a chiunque utilizzasse il mezzo pubblico. In un solo mese, maggio, si è arrivati a circa 1900 verbali. Ci viene ovviamente da chiederci quanti soldi ha perso l’azienda in questi anni…” Finita la pausa estiva (o meglio delle ferie estive) ci aspetta una lunga nuova stagione di regolamentazione della circolazione nella nostra città, che miracolosamente sparisce con la stagione calda per riaffacciarsi poco dopo la riapertura delle scuole. Negli ultimi anni abbiamo assistito alla solita zuppa riscaldata, fatta da limitazione alle auto più inquinanti, blocco del traffico solo per superamenti consecutivi di tre giorni delle polveri fini e una miriade di deroghe, che hanno assuefatto i cittadini, sicuri intanto che i controlli, tolti i primissimi giorni, sono pressoché insignificanti e che comunque non riguardano le festività natalizie. E la dimostrazione arriva dai dati delle polveri fini, che sono e restano influenzati dalla variabile meteorologica più che dalle decisioni della giunta cittadina, che nonostante abbia investito sulla mobilità attraverso la costruzione di nuove strade fatica a dirottare il traffico dalle vecchie direttrici: è il caso di Canali, attraversata la migliaia di auto al giorno, poco meno di quando non aveva la tangenziale, che non raccordandosi con la viabilità prima dell’abitato, ha lasciato la nuova strada di fatto scarica. Non meglio è andata a via Benedetto Croce – solo per citare un altro esempio – che nonostante la nuova tangenziale sud è meno intasata di una volta ma comunque strada di attraversamento cittadino molto utilizzata. E sul fronte del trasporto pubblico abbiamo dovuto aspettare i primi mesi di quest’anno, quando l’ATC ha deciso (in realtà su richiesta di

alcuni partiti politici) di intensificare i controlli, scoprendo migliaia di “portoghesi” sui nostri bus, evidenti da anni a chiunque utilizzasse il mezzo pubblico. In un solo mese, maggio, si è arrivati a circa 1900 verbali. Ci viene ovviamente da chiederci quanti soldi ha perso l’azienda in questi anni… E le piste ciclabili da sole non possono bastare a rendere meno impattante la mobilità interna alla città, lasciandola nella morsa delle polveri fini per tutto il periodo invernale. Ci vuole da questa giunta una presa di posizione più marcata e decisa, lontana quindi da quelle proposte regionali, annacquate e ormai vetuste, che da anni si trascinano senza incidere sul problema. Dopo una prima e doverosa sperimentazione si doveva, infatti, intensificarle, abbinando ad un disincentivo del mezzo privato, una maggior offerta qualitativa e quantitativa di trasporto pubblico, sfruttando la sensibilizzazione ormai diffusa fra la gente su questo tema. Il trasporto privato è una concausa della mediocre qualità dell’aria nella nostra città, ma riveste un ruolo significativo, e su cui realmente si può incidere. Per favorire il trasporto pubblico occorre aumentare la velocità media del servizio (come ben sa il Comune visto che lo cita fra le priorità nella sua pagina internet sulla mobilità) e far si che si possa fare il biglietto anche a bordo, senza più dover preoccuparsi di cercarlo prima. Senza corsie preferenziali è ovvio che il primo aspetto non può esse-

re realizzato, visto che oggi troviamo gli autobus incolonnati in mezzo alle auto e le corsie preferenziali si limitano di fatto al centro storico, dove già la circolazione è fortemente regolamentata. Le campagne di comunicazione non possono sopperire ad una politica sulla mobilità ormai fiacca e logora, né si può sperare del resto in un numero consistente di giorni di pioggia che purifichino l’aria. L’Amministrazione comunale deve uscire dalla logica dei palliativi regionali per dare una sterzata vigorosa alla gestione della mobilità, smettendola di progettare nuove infrastrutture viarie (ormai con tempi di realizzazione molto lunghi e incerti), ma promovendo il trasporto pubblico e la mobilità sostenibile, ricordandosi che ormai è sempre più assodata la correlazione fra fenomeni acuti di inquinamento e l’aumento delle patologie all’apparato respiratorio. E’ una questione di salute e civiltà. Sopra: Al centro Angelo Malagoli, presidente ACT, alla sua destra Paolo Gandolfi, assessore alla Mobilità del Comune di Reggio, e alla sua sinistra Michele Vernaci, direttore generale ACT In basso: Un autobus urbano ACT

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LIBIA DALLA PARTE DEI FATTI Tutto ciò che è accaduto in Libia dall’inizio della ribellione armata al regime ultraquarantennale di Gheddafi può senza alcun dubbio essere considerato un clamoroso esempio di tutto il bagaglio di nefandezze che la guerra porta con sé: morte e distruzione, naturalmente, ma anche menzogne, censura, disinformazione, grossolana semplificazione. Il tutto finalizzato ad indurre l’opinione pubblica al bisogno di schierarsi e, perché no?, a rendere normale e lungimirante il cinico primato degli affari. Come sempre accade in questi casi, dire le cose come stanno significa esporsi all’accusa di sostenere o giustificare il tiranno o, quanto meno, di sollevare questioni pretestuose quando la posta in gioco è da che parte stare. Ma siccome a noi (guarda un po’) importa stare dalla parte dei fatti e siccome la massima “il fine giustifica i mezzi” ci sta un po’ stretta, (anche perché spesso e volentieri il fine non è mai chiaramente esplicitato), proviamo ad analizzare alcuni passaggi di questa ennesima sciagura che soltanto ipocriti e stolti possono definire umanitaria. 1. Voce del verbo interpretare La risoluzione n. 1973 del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che di fatto ha consentito l’intervento aereo in Libia delle forze che si sono riconosciute nella Unified protection a guida NATO, affermava testualmente che il fine da perseguire era la difesa della popolazione civile dalle azioni assassine del regime “con ogni mezzo necessario” e disponeva la No fly zone per impedire all’aviazione di Gheddafi di massacrare a suo piacimento. Al di là della dubbia legittimità dal punto di vista del diritto internazionale di una decisione del genere, tra l’altro assunta tra forzature ed astensioni, l’esigenza di tutelare la popolazione inerme cannoneggiata ed affamata in numerose zone del Paese avrebbe potuto anche ritenersi legittimata all’interno di un principio di ingerenza umanitaria urgente in quanto non esercitabile in altro modo. Abbiamo visto tutti, viceversa, che a questa “nobile” ingeren18 settembre 2011

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za è stata in fretta interpretata, ovvero snaturata dalla volontà di essere parte del conflitto attraverso decine di migliaia di missioni aeree che non hanno risparmiato alcun obiettivo, dalle basi militari ai bunker del Raiss, dai carri armati al Palazzo della TV di stato, dalle stazioni radar a ogni insediamento militare gheddafiano, sino all’obiettivo dichiarato e rivendicato espressamente dell’eliminazione fisica di Gheddafi stesso quale mandante delle direttive strategiche ostili alla ribellione (“capo della struttura militare di comando e di controllo e quindi obiettivo legittimo”). Questa (prevedibile) trasformazione è passata senza che alcuno sollevasse la minima obiezione: d’altra parte, come opporsi allo strapotere politico, militare, strategico e mediatico delle grandi potenze occidentali, guidate da una Francia alla ricerca dell’antica grandeur? Qualcuno, in verità, avrebbe potuto obiettare, ovvero l’ONU stessa alla quale andava necessariamente riferita la interpretazione autentica della propria risoluzione. E invece silenzio, e invece colpevole connivenza. Possiamo raccontarcela come vogliamo, possiamo magnificare il ruolo delle tribù berbere che hanno attaccato da sud Tripoli, ma la realtà è che l’esito del conflitto è stato determinato dai bombardamenti NATO. Statuto alla mano, il ruolo dell’ONU – esercitato anche attraverso le alleanze militari esistenti – è quello di prevenire o comporre i conflitti internazionali. Nel momento in cui vi prende attivamente parte, come è avvenuto in Libia, o comunque legittima l’intervento armato allora è un’altra cosa, di cui sinceramente non si sente la necessità. Anche perché questo comunque inaccettabile diritto di (pre)potenza appare in tutta evidenza non applicato in altre situazioni, dal Darfur alla Somalia, dalla Palestina alla Siria e via confliggendo. Come mai?

2. Soldi soldi soldi Chissà, forse perché la “torta” libica, fatta soprattutto di petrolio (1,58 milioni di barili al giorno prima della guerra, quarto produttore dell’Africa) fa gola a tanti, specie a coloro che si sentivano un tantino discriminati dal regime di Gheddafi. Alla Francia, per esempio, con un misero 16,7 percento di importazione, che rivendica di essere stata il vero motore dell’intervento occidentale; o alla Gran Bretagna, i cui Tornado hanno scaricato quantità incalcolabili di missili e che è in attesa di poter aumentare le proprie concessioni e ampliare i luoghi di perforazione, già in atto nel golfo di Sirte. E naturalmente anche all’Italia, che dalla Libia sino al 19 marzo riceveva il 23 percento del proprio fabbisogno di petrolio e il 30 percento di gas metano. Oltre ad essere, cosa non trascurabile, il principale mercato di sbocco delle esportazioni libiche (20 percento), nonché il primo esportatore in quel Paese (17,5 percento). E via via tutti gli altri, dalla Russia alla Cina, dal Brasile alla Germania. Si accomodino, ce n’è per tutti. Per non parlare della finanza vera e propria: la Banca Centrale Libica e la Libyan Investment Authority dispongono di circa 168 miliardi di dollari in asset sparsi all’estero, 50 miliardi dei quali in depositi bancari di tantissimi Paesi europei , tra cui naturalmente quelli che si sono accorti solo negli ultimi tempi della ferocia di Gheddafi. Il denaro, come si sa, non puzza. Ora la corsa è, come si dice, per vincere la pace: mentre i cadaveri dei libici sono ancora caldi, gli amministratori delegati di multinazionali e società quotate in borsa si affannano ad arrivare per primi, a far pesare il preminente ruolo militare esercitato dalla nazione di cui sono espressione, a strappare contratti miliardari che devono rimettere in sesto le infrastrutture di un Paese letteralmente distrutto da una guerra costata per difetto non meno di 15 miliardi di dollari. Insomma, un enorme business che trae origine dalla mancanza di tutto.


LIBIA DALLA PARTE DEI FATTI Cosa c’è che non va? In fondo, qui l’etica non ha mai avuto cittadinanza… 3. Comitato Nazionale di Transizione. Chi? I punti di vista si sono sprecati anche nell’improvvisa, fastidiosa inquietudine che ha attanagliato le diplomazie e fior di osservatori di politica internazionale nel momento in cui è emersa la assai eterogenea composizione del Comitato e gli orientamenti dei ribelli. Ovvero, “in che mani ci stiamo mettendo?”. Passi che il presidente sia Mustafà Abd al Jalil, già gheddafiano ministro della Giustizia e recentemente accusato da Human watch right e da Amnesty international per i metodi di arresto e prolungata detenzione senza processo di cittadini libici; o che il premier Mahmoud Jibril abbia guidato il Consiglio nazionale per lo sviluppo economico e il Consiglio per la

pianificazione nazionale di Tripoli; o che il vice-responsabile delle relazioni estere Ali Al-Isawi sia stato ministro dell’Economia dal 2007 al 2009; che, insomma, una buona metà dei 31 membri iniziali del CNT, oltre che da ufficiali ex golpisti, sia composta da noti politici originari per lo più della Cirenaica che Gheddafi, devoto alla vecchia prassi del divide et impera, aveva assorbito nei governi per tenere insieme la composita realtà tribale della Libia. In fondo, la politica è anche questo, saper capire quando è ora di cambiare cavallo. La vera incognita è rappresentata dalla ossatura politico-sociale che vede nelle tribù il reale riferimento con il quale lo stesso Gheddafi ha in un modo o nell’altro dovuto trovare una mediazione: quattro le principali, intorno alle quali si raggruppano almeno 140 clan, che rischiano seriamente la conflittualità alla ricerca di nuovi spazi di potere. E se un è

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un problema la storica divisione tra bengasini e tripolini, è soprattutto la consistenza della componente islamica e jihadista, rappresentata principalmente dalla “Libyan Fighting Group (LIFG)”, definito ufficialmente dal Dipartimento di Stato americano organizzazione terroristica e sospettato di legami con Al Quaeda, che preoccupa e che pone qualche interrogativo. Sarà un caso, ma nella bozza di Costituzione predisposta dal CNT accanto a principi tipici delle democrazie occidentali quali la sovranità popolare, il pluripartitismo e il rispetto dei diritti umani pare stia spuntando, all’articolo 1, che “in nome di Dio Clemente e Misericordioso, la Sharia islamica è la fonte principale della legge”. Staremo a vedere.

storia

di Riccardo Bertani e Giovanni Cagnolati

Ivo Lambruschi, giovane partigiano campeginese Ivo Lambruschi

A Campegine c’è ancora chi ricorda quando agli inizi degli anni Quaranta, durante uno spettacolo serale del circo equestre, Orzo, un simpatico pagliaccio ed anche gran saltatore, capace di saltare due carrozze appaiate, in chiusura delle esibizioni, lanciò una sfida, chiedendo al numeroso pubblico presente, chi di loro era capace di reggersi in piedi sulla schiena di un

cavallo che procedeva al trotto nella pista del circo. Si fece avanti un esile biondino che affrontò spavaldo la non facile prova, con successo. Quell’adolescente pieno di vita era Ivo Lambruschi, un ragazzo del rione Bergamina, poco distante da Campegine, ove era nato il 23 ottobre 1924. Il padre Italo e la madre Amelia Cagnolati conducevano la propria famiglia con

i miseri guadagni del saltuario lavoro di carrettiere del padre, tanto che Ivo, già all’età di dieci anni cercava di darsi da fare andando “per servitòr”, ossia, come spesso accadeva in quegli anni, a prestare i propri servigi presso una famiglia di contadini del luogo, che lo ricompensava con una damigiana di vino. Al tempo stesso, l’intelligenza e la simpa-

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storia Su una pagina bianca di un vecchio libro, poco prima di morire, Ivo scrisse queste parole a mamma Amelia: “Mamma se mi vuoi bene non piangere e cerca di scordar le pene. Il tuo Ivo vive ancora prigioniero, ma aspetta con ansia la libertà per poterti riabbracciare come un tempo. Ma se il destino purtroppo con me sarà cattivo: e se non ti dovesse assicurare il mio ritorno, non piangere; ti ripeto, perché il tuo figlio è morto per la sua causa, per la santa causa Italiana. 20 agosto 1944. Ivo Lambruschi.” (Pubblicata in Lettere di condannati a morte della Resistenza 8 settembre 1943-25 aprile 1945, Torino, Einaudi, 1952. Riportata in Guerrino Franzini, Storia della Resistenza reggiana, Reggio Emilia, ANPI, III edizione p. 863 e sul sito dell’INSMLI, Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione)

tia che Ivo dimostrò durante la frequentazione delle scuole elementari di Caprara, gli valse la benevolenza della sua maestra Giustina Biasotti, che lo spronò, aiutandolo, a frequentare i corsi serali delle scuole medie. Giovanissimo trovò lavoro presso La Suprema, la fabbrica di conserve di Pompeo Paterlini, nella vicina frazione di Caprara, svolgendo anche all’occorrenza il lavoro di macellaio, nella macelleria che la famiglia Paterlini gestiva, sempre nella frazione. Al biònd (il biondo), come era soprannominato sul luogo di lavoro per il colore dei suoi capelli, già in quei primi anni di permanenza presso la fabbrica, godeva di molta considerazione per il suo intuito, la sua manualità e la prontezza con cui attendeva alle riparazioni più disparate. Per questo motivo viveva per lunghi periodi presso la residenza dei padroni, nel palazzo adiacente la fabbrica medesima, occupando la stanza a fianco di quella del figlio di Pompeo, Enzo, il quale ricorda ancora come quella camera fosse tutta tappezzata di foto di Alida Valli, di cui Ivo era un ardente ammiratore. Tra le ragazze che lavoravano presso la Suprema, Ivo incontrò il suo primo amore, la giovanissima Ilde Dallaglio, che abitava nel rione di Parigi a Caprara. In quei tempi si addensavano intanto, sempre più cupe, le nubi della guerra in atto e le sempre più sciagurate azioni del

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regime fascista. Era il 1943 e Ivo fu chiamato alle armi. Non passò molto tempo da quando aveva indossato la divisa, che fu coinvolto nei tragici eventi che fecero seguito all’armistizio, una vera e propria resa agli alleati anglo-americani sottoscritta a Cassibile e proclamata dal maresciallo Badoglio l’otto settembre di quel medesimo anno, quando oltre un milione di soldati italiani si ritrovarono allo sbando, senza direttive, incalzati dalle agguerrite ed organizzate truppe “amiche” tedesche. Così quel ragazzo di campagna, dal carattere vivace, fu catturato, finendo su di un convoglio alla stazione di Reggio Emilia, destinato ad essere internato in Germania. Presagendo un triste destino, saltò dal treno, sfidando le nutrite pattuglie tedesche che lo presidiavano e, per meglio mimetizzarsi, prese sottobraccio una ragazza che incontrò sul suo cammino, dileguandosi tra la gente che affollava il marciapiede della stazione. In quei giorni di settembre fece ritorno a casa, riabbracciando i familiari, ma il vortice degli avvenimenti di quei pochi mesi, aveva ormai segnato la sua vita: Ivo doveva nascondersi, la GNR non gli dava tregua, per i fascisti era un disertore da catturare, la sua famiglia, un obiettivo da colpire. Suo malgrado fu costretto ad arruolarsi nell’esercito della Repubblica sociale italiana, di fatto subordinato ai co-

mandi militari tedeschi. La sua permanenza a Cremona da dove, verso la metà di dicembre del ‘43 rassicurò la famiglia sulle sue condizioni, fu di breve durata. Raggiunta la Toscana nel gennaio del 1944, assieme a molti suoi compagni, disertò per unirsi ai partigiani della 36ª Brigata Garibaldi, distaccamento Alessandro Bianconcini, divisione Bologna (M) Lupo, operante nell’Appennino tosco-emiliano-romagnolo. Assieme ad Ivo c’era anche Faliero Fornaciari, un altro giovane campeginese, che incontrerà il suo stesso tragico destino, su quelle montagne attraversate dalla Linea Gotica, ove erano dislocati i presidi difensivi delle truppe tedesche per far fronte all’avanzata degli eserciti alleati. Con i nuovi compagni, Ivo si prodigò per mettere loro a disposizione le sue abilità di cuoco, partecipando anche a diversi combattimenti. Il 16 agosto 1944, nel corso di un violento scontro tra la sua compagnia e un reparto tedesco, a Capanna Marcone, una località in provincia di Firenze, durante il ripiegamento della compagnia ordinato dal comando partigiano, Ivo, giunto su di un’altura, scorto un suo compagno ferito, Nello Battilani di Imola, si fermò per venirgli in aiuto, facendolo rotolare giù dal crinale, in modo da toglierlo alla vista del nemico. Battilani ebbe salva la vita, mentre Ivo fu catturato dai tedeschi che lo condussero in


Ivo Lambruschi Il racconto degli ultimi giorni di vita di Ivo Lambruschi giunse alla famiglia, dopo la Liberazione, grazie alle testimonianze di Dina e Giuliana Tagliaferri. Diversi anni dopo gli eventi di Capanna Marcone, Nello Battilani scrisse un’accorata lettera alla famiglia Lambruschi, in cui, scusandosi per il lungo silenzio, inteso solo a non voler riaprire quella dolorosa ferita, chiede perdono alla famiglia. Ivo Lambruschi è ricordato sul cippo dedicato ai caduti della 36a brigata Garibaldi, eretto sul passo della Sambuca che domina la valle del torrente Senio sull’Appennino tosco-romagnolo.

Sopra: Campegine, il feretro di Ivo davanti al cimitero, attorniato dai familiari e da una folla straripante A destra: Ivo e la fidanzata

un cascinale nelle vicinanze di Moscheta, una frazione del Comune di Fiorenzuola, dove era insediata una postazione del comando tedesco. Fu rinchiuso nel porcile di quella casa colonica, in cui abitavano Dina e Giuliana Tagliaferri, madre e figlia, che presero subito a cuore le sorti di quel giovane, offrendogli, perché potesse sostentarsi, le misere vivande di cui potevano disporre. In quel periodo caratterizzato da continui ed aspri combattimenti, spesso, tra tedeschi e partigiani avvenivano scambi alla pari di prigionieri, ma nel caso di Ivo, nemmeno questa possibilità potè realizzarsi. Il 22 agosto del 1944 segnò il suo ultimo giorno di vita. In località Fonte Coloreta di Moscheta, i tedeschi lo misero, con le mani legate, sulla schiena di un cavallo, avviando l’animale verso le montagne e gli spararono alle spalle uccidendolo. Un metodo che i tedeschi erano soliti mettere in atto, per intimorire con questa vile esibizione, chi era loro ostile. Ivo aveva poco più di 19 anni, quando i sogni della sua vita si oscurarono per sempre. In quella breve prigionia che lasciava presagire un tragico epilogo, il suo pensiero era rivolto alla famiglia, in particolare a mamma Amelia, alla quale

indirizzò una breve lettera, cui affidò la speranza di poterla consolare, rinnovandole il suo grande amore, separandosi per sempre, con grande dignità, dalla vita. Si diede da fare in tutti i modi perché quel biglietto raggiungesse i familiari, difatti, nel 1945, poco dopo il 25 aprile, una mano tuttora ignota, infilò quella lettera sotto la porta della famiglia Lambruschi. In quegli istanti, la sconvolgente consapevolezza del triste destino di quel giovane figlio, gettò i familiari in uno stato di profonda prostrazione. Ciò nonostante, il padre Italo decise di recarsi a Moscheta per recuperare il corpo del figlio. Partì con un camioncino e giunto a destinazione, trovò ad attenderlo il parroco e la maestra del luogo, assieme alla signora Tagliaferri, presso la cui famiglia Ivo aveva trascorso la sua breve prigionia, che conosceva il luogo in cui era stato sepolto. Il padre stesso lo dissotterrò e deposto il corpo nella bara, dopo una semplice e mesta cerimonia sul posto, si avviò verso casa con il feretro del figlio. I funerali si svolsero a Campegine il 9 maggio 1945, con la partecipazione di una grande folla. La salma riposa tuttora nel sacrario dedicato ai partigiani caduti per la libertà, nel locale cimitero. La sofferta e gloriosa morte del giovane

Ivo recò un profondo sconforto alla sorella Iva ed al padre Italo, segnando un incolmabile dolore per la madre Amelia, che il giovane figlio tanto amava. Pure Ilde la bruna fidanzata, mai più seppe dimenticare i felici momenti passati con il suo biondino, tra le speranze della gioventù, che la guerra non diede loro la possibilità di poter realizzare. Oggi questa tragica ed eroica pagina di storia vive ancora nel racconto appassionato della sorella Iva Lambruschi, fedele e gelosa custode per molti anni dei documenti e della memoria del suo indimenticabile fratello. Il suo racconto e la sua grande disponibilità hanno reso possibile questa nostra narrazione. Riccardo Bertani Giovanni Cagnolati

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generazioni

29 aprile 2011-

RESIALS

Marta Lusuardi

Eva Lini

Il 29 aprile scorso ho assistito ad un incontro tra alcuni studenti e studentesse di una classe del Liceo “Moro”, la patriota Marta Lusuardi e la partigiana Eva Lini, staffette durante la Resistenza. L’incontro è stato promosso per iniziativa di un’insegnante attraverso il nipote di Marta, studente del Moro, per approfondire aspetti di storia contemporanea che stanno studiando a scuola, partendo dall’esperienza diretta di chi quella storia l’ha vissuta. Marta ed Eva hanno fatto la Resistenza nel correggese. Dopo la Liberazione Marta ha lavorato per lunghi anni nella Direzione delle scuole e dei nidi d’infanzia del Comune di Reggio. Eva è stata anche decorata di medaglia al valore, è stata insegnante ed una delle prime consigliere comunali di Correggio. Ecco la testimonianza di Marta Lusuardi: “Non so dire come sono entrata nel movimento della guerra di Liberazione; per me è stata una continuità logica di ciò che avevo vissuto ed appreso nella mia famiglia. Mio padre mi raccontava che nel 1922, all’avvento del fascismo, era stato bastonato a sangue ed obbligato a prendere l’olio di ricino dalle squadre fasciste a Correggio, durante una mattina di mercato. (Marta spiega ai ragazzi che questa pratica violenta era una delle “torture” più praticate dai fascisti per umiliare gli oppositori e dimostrare agli altri i loro metodi di convinzione, NdR). Sono nata nel 1927. I miei fratelli erano più grandi di me di dieci-undici anni. Avevo dodici anni quando erano già sotto le armi, richiamati per combattere la guerra. Mio fratello nel 1939 si trovava nel servizio sanitario sul fronte francese. Più tardi in Iugoslavia, in Grecia, in Sicilia, infine in Libia, dove è stato fatto prigioniero dagli inglesi e consegnato ai francesi per scontare la prigione presso Tunisi, come addetto alle grosse piroghe di carbone. E’ rientrato solo nel 1946, a guerra terminata da mesi, assieme ad altri prigionieri grazie ad una delle vecchie navi scampate ai bombardamenti. L’altro fratello, militare in Lombardia, l’otto settembre (Marta spiega ai ragazzi il si22 settembre 2011

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gnificato di quella data, NdR) ha abbandonato gli abiti militari, indossato abiti civili e, attraversato il Po con l’aiuto di vecchi barcaioli, è arrivato a casa clandestinamente. L’esercito era rimasto senza guida e quindi: scappare o darsi prigionieri ai tedeschi di stanza in Italia. Così entrai nel mondo della Resistenza: per motivi di età e di amicizia entrai in contatto con la famiglia Lini di Canolo di Correggio (già attiva nell’antifascismo). Il mio primo contributo era quello di passare da qualche farmacia per acquistare alcool, bende,ecc. che sarebbero serviti per i feriti. Si facevano piccoli contenitori che venivano portati a destinazione. Portavamo anche manifesti, volantini, li arrotolavamo attorno ai polpacci e li coprivamo con i calzettoni. Oppure (in due ragazze, una di guardia) li incollavamo ai muri. Un giorno successe che un ragazzo, conosciuto anche da me, fu arrestato. Fu consigliato a tutti di “cambiare aria”. Io sono andata a casa di parenti (a Limidi di Soliera di Carpi), dove certo il lavoro non mancava. Nella valle di Fossoli gli aerei inglesi facevano lanci di armi che i partigiani raccoglievano e smistavano per essere nascoste in luoghi sicuri e fidatissimi. Anche a noi toccò “ricevere” di queste armi

che di conseguenza, nottetempo, vennero sepolte nella campagna. Una notte, assieme alle mie cugine, fummo svegliate dai tedeschi che erano già entro la stanza, armati di tutto punto. Fummo prelevate e portate sull’aia vicino ad una mitraglia. Mio cugino fu arrestato e portato alla prigione di S. Eufemia di Modena, Attorno alla casa cerano autoblindo. Cercavano armi. Sono rimasti per ore. Non hanno trovato nulla. Ma era giudizioso “ cambiare di nuovo aria”. Il 24 aprile 1945 un partigiano è venuto a chiederci di mettere fuori dalle finestre o sui tetti delle case lenzuola bianche. Stavano per arrivare gli alleati. Noi li abbiamo visti arrivare un po’ come si vedono nei film. Dopo la Liberazione sono stati organizzati corsi di recupero per gli studenti che per tanti motivi avevano dovuto abbandonare o sospendere gli studi. Mi ricordo di questi tempi una insegnante in particolare: la prof. Giovanna Poli. Poi è iniziata la vita,il lavoro, la partecipazione democratica. Interviene poi Eva Lini: A priori, Eva racconta l’avvento al potere di Mussolini ( dopo la fine della prima guerra mondiale) realizzato con mezzi violenti, come l’assassinio di Matteotti e soprattutto soffocando gli ideali rappresentati dai socialisti, dai popolari, dai liberali.


A Z N E ST

generazioni

FEMMINILE “Il ventennio fascista iniziò con la marcia su Roma del Duce, di fronte alla quale avvenne la capitolazione del Re,quindi l’instaurazione della dittatura mussoliniana. La mia famiglia, residente a Canolo di Correggio, è stata resistente al fascismo nel momento stesso in cui il fascismo diede i primi segni di volersi affermare con sistemi contrari alla concezione democratica. Durante il ventennio, in casa nostra, venivano ospitati i perseguitati politici, che, pur di alimentare la speranza di riscossa, rischiavano la vita, la prigione, il confino territoriale. A mantenere vivo il rifiuto e la condanna dell’autoritarismo violento, lavorarono in tal senso sin da tempi remoti Otello e Lucia Sarzi che appartenevano ad una famiglia di commedianti nomadi. I primi approcci personali concreti io li ho avuti con la coetanea correggese Marta Beltrami, che si occupava della diffusione della stampa antifascista. La forma fascista di governo aveva creato nella maggioranza della popolazione uno stato di sottomissione e tanta ma tanta miseria dal punto di vista economico. Il reddito nazionale era incamerato in buona parte dallo stato fascista e da coloro che solidarizzavano con lo stesso. Il 25 luglio 1943 quando cade il governo Mussolini perché coinvolto in guerre disastrose, i movimenti antifascisti riprendono i valori di pace, giustizia e libertà, dando vita alla Resistenza, guidata dai Comitati di Liberazione Nazionale di cui facevano parte tutti i partiti antifascisti. Mio fratello Ezio faceva parte del CLN creato a Correggio. Un altro fratello, Brenno, rimpatriato dalla Libia, perché ferito nella guerra ivi scatenata, scappò dalla caserma di Correggio dove era stato reinserito e diventò partigiano: faceva parte dei SAP (Squadre d’azione patriottica). Il loro fine consisteva principalmente nel sabotare le azioni dei fascisti che collaboravano coi tedeschi a cercare di catturare i giovani partigiani che avevano disertato l’esercito fascista. Un terzo fratello, Lando, di sedici anni, apparteneva ai GAP (Gruppi d’azione patriottica) composti di pochi (due o tre) elementi,

che, anche in pieno giorno, compivano assalti ai fascisti, alle caserme dei carabinieri, ai tedeschi isolati per impossessarsi di armi, di cui i partigiani erano carenti. Un quarto fratello, Sergio, aveva disertato l’esercito, si era rifugiato in Svizzera perché ricercato da tempo. Eravamo anche cinque sorelle, tutte abbiamo dato con passione tutti i contributi possibili. Io stessa facevo da battistrada durante lo spostamento di partigiani ed armi. Ero la staffetta del comando SAP (Canolo, Campagnola, Cognento); portavo missive orali, ma soprattutto scritte ai vari comandi locali fino a raggiungere in bici un punto di riferimento (casa di un contadino) a Pratofontana (RE): qui poi c’era un’altra staffetta che aveva il compito di consegnare le missive al comando centrale di Reggio Emilia in città. Una volta, a Bagnolo, ho anche rischiato di essere vittima dell’aereo “Pippo” che mitragliava anche in pieno giorno a bassa quota in cerca dei punti nevralgici degli spostamenti tedeschi. Durante la lotta partigiana la nostra casa era rifugio dei combattenti. Tuttora all’ingresso dell’abitazione di allora c’è un cippo marmoreo in memoria del nostro contributo alla lotta di liberazione. Le mie quattro sorelle: Olga, Rina, Lidia, Alma, erano variamente partecipi: cucinavano per i partigiani nascosti, portavano loro le notizie dei giornali, di radio Londra, confezionavano tute bianche che i partigiani usavano per mimetizzarsi d’inverno in montagna, quando i tedeschi facevano i rastrellamenti per scovare i loro rifugi. In questo periodo, diverse volte a notte fonda i fascisti irrompevano con violenza in casa mettendo a soqquadro ogni cosa alla ricerca di partigiani e armi. A volte, sicuramente due, portavano via un fratello sospetto che poi rilasciavano. Tra i tanti episodi dolorosi vissuti ce n’è uno particolare: era la vigilia del 25 gennaio 1945: l’indomani ricorreva la tradizionale sagra di san Paolo a Canolo ed alcuni partigiani erano alloggiati nella casa di latitanza di Panisi. Spiati, alle sei del mattino del 25 gennaio si ritrovano circondati ed aggrediti da un notevole numero di mongoli (assoldati dai tedeschi). Snevischiava, si udivano i fischi degli spari che provenivano da

ogni direzione e senza esitare in bicicletta mi dirigo nella zona di casa Panisi, a debita distanza, mi rendo conto della tragica situazione (infatti morirono due valorosi partigiani che per dare la possibilità agli altri di mettersi in salvo affrontarono la sparatoria con i mongoli). Con decisione vado alla ricerca di altri partigiani che non so dove sono nascosti ma nessuno mi riceve, per timore che fossi pedinata. Sono disorientata, imbelle, decido sotto il nevischio di tornare a casa, per precauzione percorro una strada diversa ed incappo in un’altra strage altrettanto dolorosa: altro nucleo di mongoli che hanno incendiata la casa del noto antifascista Vittorio Saltini Toti, responsabile provinciale della Resistenza ed instancabile combattente sin dalla nascita della dittatura. Non mi lascio prendere dal panico, continuo a pedalare, ma dopo poco vedo sul ciglio del fosso antistante alla casa in fiamme, la salma di Saltini e quella della sorella Vandina. A Canolo c’era anche la famiglia dei fratelli Pinotti che nei sotterranei della loro abitazione avevano una stampatrice che ha funzionato per tutto il periodo della Resistenza, fornendo alla popolazione materiale informativo importante. Solo a liberazione avvenuta siamo venuti a conoscenza di questa attività segreta e pericolosissima. Ad un certo punto ho dovuto rinunciare alla mia attività perché ero stata segnalata come sospetta. Mia sorella Lidia mi ha sostituito sino al giorno della Liberazione (aprile 1945). Dopo la gioia della Liberazione sono stata eletta consigliera del Comune di Correggio e compensata per questa attività con una bellissima medaglia ricordo. Conservo anche un caro diploma di partigiana combattente”. Dopo un breve scambio di battute sulle dittature fra le testimoni e i ragazzi, l’incontro volge al termine. I ragazzi e le ragazze hanno preso molti appunti e devono rielaborarli per il lavoro loro assegnato a scuola. Io consegno loro, per una ulteriore documentazione, l’inserto del Notiziario dell’ANPI per l’otto marzo dedicato alle donne partigiane. C’è appena il tempo per una foto di gruppo. A cura di Eletta Bertani settembre 2011 23 notiziario anpi


memoria BOLOGNA 2 AGOSTO 1980- 2 AGOSTO 2011

“QUI C’È L’ITALIA, CHE VUOLE GIUSTIZIA E VERITÀ” 2 agosto 2011: c’è il sole e fa caldo, caldissimo. Proprio come 31 anni fa. Alle 10.25 tre fischi del treno, poi il silenzio. Bologna ricorda. Ricorda la deflagrazione, la confusione, la disperazione, la rabbia. Ricorda i soccorsi, i tram trasformati in ambulanze, il sangue. Ricorda 85 morti, la più piccola aveva solo tre anni, ricorda duecento feriti. Nel suo discorso, Bolognesi, presidente dell’associazione famigliari vittime della strage di Bologna, ricorda come nella loro battaglia per ricercare la verità non si siano mai sentiti soli, perché i cittadini, oggi come allora, non intendono dimenticare. “Un comportamento inqualificabile” ha detto Bolognesi dal palco davanti alla stazione di Bologna nel commentare la decisione del Governo di non partecipare alle celebrazione per il 31° anniversario della strage. Non c’erano perché gli anni scorsi sono stati fischiati, e non volevano che anche quest’anno succedesse: è la versione ufficiale. Non c’erano, forse per coerenza! Non credo per vergogna… perché nonostante la promessa fatta dal Premier e dal sottosegretario Letta lo scorso 9 maggio, di aprire gli armadi che contengono una fitta e precisa documentazione sulla strage, ad oggi nulla è stato fatto, anzi, spesso e volentieri, i fedelissimi tentano di indirizzare le indagini verso altre piste (vedi quella palestinese) tentando, nemmeno tanto velatamente, di riabilitare gli esecuto24 settembre 2011

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ri materiali della strage. Ricorda Bolognesi che "arrivare ai mandanti della strage è possibile, basta mettere in fila i fatti con buon senso e mettendo fine al segreto di Stato". Le sue parole denunciano una strategia del silenzio e la voglia di dimenticare. Non c’era nessun rappresentante del Governo: meglio così! “Qui c’è l’Italia, che vuole giustizia e verità” ha detto Agnese Moro, e con lei c’era la nipote del giudice Amato, ucciso proprio da Fioravanti e Mambro perché indagava sull’eversione nera a Roma. C’era il sindaco di Bologna, Virginio Merola, che, citando la Bibbia, chiede: "il tempo giusto per ogni cosa. Se non sarà per noi, sarà per i nostri figli. Perché nessuno di noi dimenticherà". C’erano tanti sindaci, presidenti e rappresentanti di Province e di Regioni con i loro gonfaloni. C’era, nella città medaglia d’oro alla Resistenza, Marzabotto con i suoi bambini delle scuole elementari che hanno recitato una poesia di Roversi, sottolineando simbolicamente lo stretto legame tra il paese sulle colline bolognesi noto per la feroce strage nazista dell’ottobre del ’44 e la Bologna del 2 agosto. E c’erano 85 palloncini bianchi in cielo, uno per ogni vittima. C’erano le bandiere dell’ANPI, e quelle delle organizzazioni sindacali

e di alcuni partiti. E c’eravamo noi, in tanti, tantissimi. Si parla di diecimila persone. In parte hanno seguito il corteo, molte lo hanno aspettato davanti alla stazione, davanti a quella sala d’aspetto che 31 anni fa ha pianto 85 morti e 200 feriti. C’erano i bolognesi, quelli che sono accorsi allo scoppio, quelli che hanno prestato soccorso, quelli che “hanno mantenuto una lucidità molto superiore a quella della nostra classe dirigente” ha sottolineato Michele Emiliano, ricordando come Bari, la sua città, abbia pagato un prezzo altissimo il 2 agosto dell’ottanta. Ma c’erano anche quelli che il 2 agosto 1980 ancora non erano nati ma la strage, i bolognesi, ce l’hanno nel DNA. C’erano anche tante persone arrivate da fuori Bologna per non dimenticare: singoli, giovani e più anziani, tante famiglie con passeggini al seguito. C’era chi, come me, il 2 agosto di trentun anni fa, se lo ricorda bene. Chi non vuole dimenticare quelle immagini di dolore, disperazione, rabbia che la televisione ha trasmesso per l’intera giornata. C’era l’Italia che non è stanca di cercare verità e giustizia, l’Italia che ha ancora la forza di indignarsi, l’Italia che si arrabbia ma soprattutto l’Italia che resiste. Anna Fava


memoria Da sinistra, Antonio Zambonelli e Nando Rinaldi che hanno portato il saluto rispettivamente di ANPI e Comune di Reggio Emilia. Sul podio, dietro il cartellone, Brunetta Partesotti, instancabile animatrice del legame fra sport popolare e memoria della Resistenza

UNA STAFFETTA PER NON DIMENTICARE Da Milano a Bologna per ricordare le stragi Una staffetta podistica per ricordare le stragi di Milano del 12 dicembre 1969, di Brescia del 28 maggio 1974 e di Bologna del 2 agosto 1980. Partita da Milano il 30 luglio, passata da Brescia il 31, ha fatto tappa a Reggio lunedì 1° agosto in Piazza della Vittoria. L’ANPI reggiana ha accolto, come da tradizione, i protagonisti della staffetta, compresi gli accompagnatori, organizzati dalla UISP di Reggio Emilia. Gli staffettisti reggiani si sono dati appuntamento a Sant’Ilario, presso il Ponte dell’Enza, per poi partire alla volta della città e proseguire fino a Rubiera. Le foto fissano alcuni momenti della manifestazione a Reggio Emilia davanti al monumento della Resistenza. (g.b.)

settembre 2011 25 notiziario anpi


memoria

MEMORIA IN CORSO:

LA STRAGE DI MARZABOTTO I ragazzi delle quinte di Brescello, con l’ANPI di Poviglio, in visita al Parco di Monte Sole a conclusione del progetto “25 Aprile”. Lo racconta la docente Raffaella Rozzi

Nella mattinata del 26 maggio, i ragazzi delle classi quinte di Brescello, accompagnati dai docenti, genitori, dal sindaco Giuseppe Vezzani, dall’assessore alla Scuola Isabella Mazza, dal parroco don Giovanni, insieme ai rappresentanti dell’Associazione ANPI di Poviglio, sono giunti a Marzabotto per percorrere i sentieri del Parco Storico di Monte Sole, ascoltare le testimonianze, oggi, a distanza di più di 65 anni, in quei luoghi che hanno visto i terribili momenti dell’eccidio avvenuto tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944. Com’è naturale, l’eccitazione durante il viaggio è tanta, tuttavia, appena arrivati a destinazione la parola chiassosa dei bambini si attutisce ascoltando le parole del sindaco di Marzabotto, Romano Franchi, che ci accoglie in Municipio e c’introduce ai luoghi che andremo a vedere, sottolineando che l’amore per la cultura e la non violenza, devono essere sempre e indissolubilmente concatenate tra loro, affinché in nessun luogo si ripetano ancora questi luttuosi avvenimenti. La volontaria, signora Edda, ci accoglie poi all’interno del Sacrario; parla in modo sicuro, fermo, calmo e pacato, spiegandoci tante cose in questo luogo appena illuminato da un raggio di sole. Seguono momenti di silenzio e commozione e con gli occhi rivolti a leggere i nomi e le età dei componenti di intere famiglie massacrate: donne, vecchi e bambini piccoli, piccoli, qualcuno ancora non nato. Iniziamo poi il percorso verso le colline dove sono conservati i resti dei paesi in cui i nazifascisti portarono a termine il piano di rappresaglia con fucilazioni indiscriminate, bombe a mano, mettendo a ferro e fuoco casolari e chiese: San Martino, Caprara, Casaglia. Non è rimasto quasi nulla di questi agglomerati di case, ci guardiamo intorno mentre ascoltiamo in silenzio le testimonianze dei pochi sopravvissuti a quei terribili momenti, letti da noi ragazzi, davanti a quei ruderi. Il cammino prosegue, nessuno si lamenta per la fatica e il caldo, poi, all’improvviso, seduto sotto ad una grande quercia, quasi sapesse che saremmo arrivati, ci accoglie Pietro, un signore con un viso buono, sopravvissuto a quei giorni. C’invita a sederci sul prato verde e fiorito, al nostro fianco quello che resta della chiesa di Casaglia, data alle fiamme dopo aver ucciso sull’altare il parroco don

26 settembre 2011

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Marchioni e portate via le persone che vi si erano rifugiate con la speranza che i nazisti li avrebbero risparmiati. Con rispetto per il luogo e a bassa voce, Pietro ripercorre i momenti terribili di quel giorno, ricorda i nomi dei famigliari, conoscenti ed amici, lui si salvò nascondendosi tra i boschi, ma, da allora, il rumore delle armi le urla, le grida dei bambini non lo hanno mai più abbandonato, e così, adesso, tutti i giorni sale a questo luogo e come la grande quercia aspetta, ricorda e risponde a chi chiede, convinto, pur riaprendo sempre una dolorosa ferita, che solo così, con la memoria perenne non si dimenticherà né si traviserà ciò che è stato. Al cimitero di Casaglia, dopo una preghiera e la deposizione dei fiori sulle tombe di don Dossetti e monsignor Gherardi, i nostri occhi hanno guardato i fori veri dei proiettili sul muro di cinta e sulle poche croci che testimoniano l’avvenuta “mattanza” di innocenti; Marco, con la sua tromba ha poi intonato il Silenzio per tutte le vittime, per i morti dell’eccidio, ma, in modo particolare, per tutti quei bambini mai cresciuti, strappati alla vita con tanta ferocia. A scuola, il giorno dopo, abbiamo commentato l’ultima frase scritta sulla lapide posta all’ingresso del cimitero di Casaglia di Monte Sole e che raccoglie il senso della giornata della memoria che abbiamo trascorso a Marzabotto: “Così nel cimitero di Casaglia furono massacrate 195 persone di 28 famiglie fra le quali 50 bambini. La nostra pietà per loro significhi che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare perché mai più il nazifascismo risorga”. Raffaella Rozzi


memoria

Promossa dall’associazione Campo Samarotto

UNA DOMENICA DI GIUGNO PER RICORDARE LA STRAGE DI CERVAROLO “E qui, su questi luoghi – dice Ottavia Soncini, consigliera comunale di Albinea – siamo stati chiamati alla responsabilità di mantenere vivi e riaffermare concretamente i principi contenuti nella Costituzione, poiché essa è patto per una grande missione: quella di ripudiare la guerra e aspirare alla pace". Pochi giorni prima che l’attesa sentenza sulla strage nazista di Cervarolo fosse emessa dal tribunale militare di Verona, nell’aia di Cervarolo si è svolto un incontro dal titolo “Samarotto sopra le nuvole: resistere oggi”, promosso dall’associazione Campo Samarotto, per ricostruire ciò che accade in quel luogo il 20 marzo del 1944. Nel pomeriggio di domenica 5 giugno, con il contributo dello storico Massimo Storchi, autore insieme a Italo Rovali del libro Il primo giorno d’inverno, che ricostruisce tutta la vicenda di quei giorni, e la partecipazione di Fiorella Ferrarini, vice presidente dell’ANPI provinciale, e di Giuseppe Pagani, consigliere regionale del PD, numerosi giovani e cittadini hanno ascoltato la ricostruzione storica della strage, in cui le responsabiltà fasciste emergono con tragica chiarezza. “La scelta di essere lì – scrive, in un resoconto della giornata, Ottavia Soncini, consigliera comunale di Albinea – risponde al desiderio di alimentare una cultura della re-

sponsabilità e del rinnovamento civile delle nostre comunità. Per vivere, la memoria ha bisogno di luoghi che rimangano testimoni dei fatti che costruiscono la storia. E qui, su questi luoghi, siamo stati chiamati alla responsabilità di mantenere vivi e riaffermare concretamente i principi contenuti nella Costituzione, poiché essa è patto per una grande missione: quella di ripudiare la guerra e aspirare alla pace”. Mentre Gabriele Torricelli, consigliere comunale di Casalgrande, anche lui presente all’incontro, afferma: “Credo sia giusto e doveroso raccontare la storia di don Pigozzi, ingiustamente dimenticato, che ha saputo essere un vero pastore per la sua comunità. Nei giorni precedenti alla strage, i tedeschi andarono varie volte da lui, chiedendogli di firmare una lista di nomi; non sappiamo chi componesse quella lista, ma presumibilmente era una lista di uomini di Cervarolo accusati ingiustamente di essere partigiani, e don Battista si rifiutò sempre di firmare, e condannare a morte certa i suoi fedeli”. Il 6 luglio scorso è arrivata finalmente, a 67 anni dai fatti, la sentenza che ha condannato all’ergastolo sette sottufficiali e ufficiali, fra questi i responsabili per la strage di Cervarolo: il sottotenente Fritz Olberg, residente in Westfalia e il sergente Wilhelm Stark, residente in Baviera. In quelle settimane di primavera, dal 18 marzo al 5 maggio 1944, reparti della divisione “Hermann Göring”, con la compli-

Da sinistra Agnese Lazzari, assessore Comune di Villa Minozzo, Massimo Storchi, Istoreco, Giuseppe Pagani, consigliere regionale PD, e Fiorella Ferrarini, vice presidente ANPI provinciale

cità e l’appoggio della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), hanno trucidato, in diversi paesi dell’Appennino tosco-emiliano, circa 400 persone inermi, tra cui donne, bambini, invalidi e sacerdoti.
Ventisette delle vittime erano di Cervarolo e Civago. Al mattino della stessa domenca di giugno, presso la scuola di pace di Santa Giulia, in comune di Palagano, nel modenese, i partecipanti hanno ascoltato Danilo Morini (presidente ALPI-APC) e la testimonianza di Franco Pietrosemoli, un sopravvissuto alla strage di Monchio, Costrignano e Susano, paesi distrutti e dati alle fiamme dai nazisti, per rappresaglia, come per Cervarolo, contro un azione partigiana compiuta nella zona; una rappresaglia feroce e ingiustificata, perché compiuta contro chi (donne, bambini e persone anziane) con le bande partigiane non aveva niente a che fare. Finalmente i responsabili hanno un nome e un cognome. (g.b.)

settembre 2011 27 notiziario anpi


avvenimenti

PRESENTATA A FESTAREGGIO

LA SCUOLA “G. CARRETTI” DI SEILAT Pubblica presentazione a Festareggio, il 31 agosto u.s., del toccante documentario “C’è una scuola in Palestina” realizzato da Paolo Comastri in occasione dell’andata in Palestina della delegazione dell’ANPI reggiana per la inaugurazione della Scuola materna a Seilat, provincia di Jenin, intitolata a Giuseppe Carretti, Dario e realizzata, come i nostri lettori già sanno, grazie al pluriennale impegno della nostra associazione. Vi ha fatto seguito un interessante dibattito, vivacizzato dalla conduzione della giornalista Elisabetta Tedeschi, che ha visto la partecipazione di Hani Gaber, rappresentante della missione diplomatica palestinese per il Nord Italia, i nostri Giacomo Notari e Alessandro Frignoli e Daniela Lorenzoni, delle Donne in nero, da anni solidale frequentatrice, col marito dott. Meinero, della Palestina occupata. “Noi siamo e vogliamo essere un popolo normale – ha detto Gaber nel suo fluente italiano – ma da troppo tempo siamo costretti a vivere in condizioni insopportabili nei campi profughi”. “Due stati per due popoli – ha continuato Gaber - è l’obbiettivo per cui continuiamo a resistere e a batterci. Spero vivamente che in quanto palestinesi possiamo venire ammessi come membri osservatori

28 settembre 2011

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all’ONU, vincendo le resistenze USA al riconoscimento dei nostri diritti”. Dal canto suo il nostro Presidente Notari ha ricordato come l’impegno dell’ANPI per la scuola di Seilat si inserisca in una tradizione di solidarietà cominciata all’indomani della Liberazione con l’accoglienza ai bambini delle città disastrate di Milano e di Napoli, passato per le grandi azioni di aiuto al Mozambico. “Ora – ha concluso Notari – abbiamo 150 nipotini a Seilat, come ho detto alla inaugurazione della scuola nel settembre 2010 . Continueremo ad averne cura”. Frignoli ha fra l’altro affermato che l’ANPI continuerà la raccolta di fondi anche con la presentazione in vari luoghi del filmato realizzato da Comastri. Daniela Lorenzoni, rispondendo a una domanda del pubblico, ha ricordato come la solidarietà di ebrei israeliani verso i palestinesi riguardi soltanto piccole minoranze (comprese le donne in nero israeliane) peraltro considerate con disprezzo da gran parte dei loro concittadini. A sua volta Gaber ha accolto con favore la proposta di Priama Gelati di ripetere,

anche a vantaggio di bambini palestinesi, l’esperienza di accoglienza già positivamente realizzata per i bambini di Cernobil e i Sahrawi. (a.z.) I protagonisti del dibattito. Da sinistra: Daniela Lorenzoni, Hani Gaber, Giacomo Notari, Elisabetta Tedeschi, Alessandro Frignoli. Un aspetto del pubblico nel cosiddetto Loft di Festareggio.


NUOVE DESTRE IN CRESCITA E RADICI ANTIFASCISTE DELL’EUROPA

avvenimenti

Sabato 20 agosto, nel quadro di Festareggio, si è svolto il dibattito, promosso da ANPI provinciale e Istoreco, Da Oslo all’Italia: destre estreme in crescita. Nella foto, da destra, Valeria Montanari del PD, Antonio Zambonelli, Vittorio Prodi, Lidia Campagnano, Massimo Storchi, il giornalista Massimiliano Panarari, animatore della serata “Abbiamo voluto questa iniziativa – ha introdotto Zambonelli – per il pullulare in Europa, non solo di gruppuscoli, ma anche di partiti che ottengono preoccupanti consensi sulla base di posizioni xenofobe e razziste. Le stesse posizioni che il leghista Borghezio afferma di condividere con Breivik, l’autore della strage del 22 luglio in Norvegia (sette morti nell’attentato di Oslo, 61 ammazzati a sangue freddo nell’isola di Utoya). Il parlamentare europeo Vittorio Prodi ha affermato che di fronte alla ricaduta in grettezze

nazionalistiche di alcuni paesi europei, le destre estreme puntano a suscitare paure e odio. Necessario, anche di fronte ad una globalizzazione che produce dislivelli economici, andare verso uno sviluppo sostenibile (segnaliamo al riguardo V. PRODI, Il mondo a una svolta, 2011, N.d.R.). Lidia Campagnano ha denunciato lo “spappolamento etico” che produce tentativi di equiparazione tra fascisti e partigiani. Necessaria dunque la trasmissione della memoria antifascista per impedire che producano frutti le

“uova del serpente”, cioè i germi del fascismo sopravvissuti alla 2a guerra mondiale. Massimo Storchi ha deprecato che in Italia si permettano, per esesempio, le frequenti adunate fasciste alla tomba di Mussolini a Predappio, ciò che sarebbe inconcepibile in Germania, come dimostra il recente smantellamento della tomba del nazista Rudolph Hess. Ha tra l’altro auspicato una nozione disambiguata di antifascismo che coincida con l’antitotalitarismo, recuperando l’impostazione che fu di Giustizia e Libertà.

SOLENNE COMMEMORAZIONE DEL 61° ANNIVERSARIO DEI CINQUE CADUTI DEL 7 LUGLIO 1960

Forte orazione del professore Carlo Smuraglia

Il professor Carlo Smuraglia con alla sua destra Silvano Franchi e alla sua sinistra Sonia Masini e Franco Corradini

Dopo gli interventi di Franco Corradini per il Comune e Sonia Masini per la Provincia è seguita la forte orazione del presidente dell’ANPI nazionale prof. Carlo Smuraglia che fece parte nel 1963 del collegio di parte civile per i familiari dei caduti.

“Siamo un Paese – ha detto fra l’altro Smuraglia – spesso sull’orlo di cadere nel peggio, in cui l’iniziativa popolare ha spesso evitato questo peggio. Pensiamo al degrado morale a cui assistiamo. L’Italia ha trovato sempre la forza di reagire, con quella solidarietà e quell’impegno collettivo, che hanno contraddistinto anche la ricerca di giustizia per i Martiri del 7 Luglio”.

“Questi giovani del ’60 – ha concluso Smuraglia – erano impegnati nel loro presente, per il futuro di tutti. Anche noi oggi dobbiamo finalmente lavorare per il presente, non per un generico futuro. E’ nel presente, nell’adesso, che siamo chiamati, anche dai nostri ragazzi di oggi, a impegnarci per affermare i valori fondamentali della persona. Il loro avvenire è il nostro presente”.

settembre 2011 29 notiziario anpi


memoria

UGO BELLOCCHI

UMBERTO BONAFINI Con Umberto Bonafini, morto l’undici luglio scorso, è scomparso un giornalista curioso e capace, da anni protagonista di primo piano della vita culturale e politica della nostra città, dopo aver spaziato tra le due sponde del Po mantenendo sempre un forte radicamento nella sua Guastalla. L’ANPI di Reggio rende omaggio alla sua figura di sincero democratico e liberale autentico, in varie occasioni anche nostro stimolante e acuto interlocutore

VINCENZO BRANCHETTI (ARGO) 15/04/1922-21/07/2011

Il 21 luglio scorso è deceduto Vincenzo Branchetti, il partigiano Argo. Per onorare la memoria dello zio, i nipoti sottoscrivono a sostegno del Notiziario. Vincenzo Branchetti è stato uno dei tanti

30 settembre 2011

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Ugo Bellocchi è morto il 17 luglio scorso all’età di 91 anni, era nato il 22 agosto 1920. Con Ugo Bellocchi scompare un reggiano profondamente legato alla sua terra, uno spirito liberale sensibile all’eredità culturale del cristianesimo e del socialismo riformista, una importante figura di intellettuale dai molteplici interessi culturali coltivati per oltre 70 anni con una straordinaria capacità di lavoro che si concretizzò, insieme agli impegni

reggiani di origini proletarie, passati giovanissimi per l’esperienza della fabbrica, le “Reggiane”, e della Resistenza, diventati poi protagonisti, come nuova classe dirigente, della ricostruzione democratica e dello sviluppo di quel modello reggiano su cui è più che mai necessario riflettere nei grami tempi che stiamo vivendo. Nato a Borzano di Albinea il 15 aprile 1922, dopo l’8 settembre ‘43, tornato a casa dal reparto in cui prestava il servizio militare, diventò partigiano nel distaccamento “Piccinini” poi nello “Zambonini” della 145a Brigata Garibaldi. Dopo la Liberazione diresse l’organizzazione di sinistra dei commercianti reggiani, fondando il mensile “Il Dettagliante reggiano”. Componente, per alcuni anni, del Comitato federale del Pci, ha collaborato a diversi giornali: l’Unità, Paese sera, La Verità, la Gazzetta di Reggio. Da sempre e fino all’ultimo iscritto all’ANPI, collaborò attivamente alla vita dell’Associazione

di giornalista e di organizzatore culturale, in più di cento titoli di pubblicazioni che spaziano dalla storia del Medio Evo a quella dell’Età contemporanea. Ricordiamo in lui un protagonista della Resistenza reggiana che nei mesi dall’ottobre ’44 alla Liberazione , a fianco del prof. Vecchia, fece della redazione reggiana del “Resto del Carlino” uno dei luoghi di incontro del Comitato di liberazione nazionale cittadino. Di Bellocchi è poi il fondo Finalmente liberi pubblicato sul numero del 25 aprile ’45 di “Reggio democratica”, organo del CLN. In questo 150° compleanno dell’Italia come Stato unitario vogliamo infine ricordare, come parte di grande rilievo della eredità che Bellocchi ci lascia, i suoi numerosi e importanti studi sul Risorgimento.

pubblicando anche diversi suoi scritti su queste pagine. L’ultimo pochi mesi or sono, dove rievocava con commozione il Natale 1944, trascorso con diversi compagni del distaccamento Zambonini ospiti delle famiglie della zona di Ligonchio. Ai compagni del distaccamento fu sempre profondamente legato, organizzando le annuali rimpatriate sui luoghi del partigianato. Nel 1985 diede anche alle stampe il volume Quarant’anni dopo. Ricordi e riflessioni della formazione partigiana “E.Zambonini”, “un’opera di impianto originale e di sicura utilità per l’esplorazione della resistenza dal di dentro”, come scrisse Rolando Cavandoli nella Presentazione. Al quale Cavandoli, amico fraterno di una vita, Branchetti dedicò un altro suo libro, nel 1989, un anno dopo la morte di Rollo; e Rollo, è il titolo del libro, cioè il nome con cui molti amici, a cominciare da Branchetti, avevano sempre affettuosamente chiamato il generoso


intellettuale che fu Rolando Cavandoli. A nome dei tanti suoi associati, vecchi e giovani, l’ANPI rinnova sentite condoglianze ai familiari del nostro compagno e amico Argo. (a.z.)

MARISA LANCIANO

FERRUCCIO COLLINI (BIRO) 01/09/1925-07/08/2011

Il ricordo del figlio Alberto Ci ha lasciato, improvvisamente, in una calda domenica d’agosto il Partigiano Biro, mio padre, uno dei ragazzi di Vezzano s/Crostolo, protagonisti dell’evasione dalle carceri di San Tommaso di Reggio Emilia nell’ottobre 1944. Ora non ci restano che i suoi ricordi. La lotta partigiana, gli anni del Convitto scuola di Rivaltella per costruirsi un futuro, la sua dedizione al lavoro e alla famiglia i suoi ideali, il suo esempio. Una vita normale come tante, ma ben spesa. Ci lascia un grande vuoto, ma anche la consapevolezza che ovunque sia andato, ci sarà sempre vicino e guiderà i nostri passi. Ciao Ferro. La tua famiglia [La storia di Collini e di altri partigiani vezzanesi è raccontata in Ragazzi di Vezzano, un breve film documentario realizzato durante il progetto di storia contemporanea “Intervistiamo ... la nostra storia”. 
Intervistando i protagonisti, i ragazzi della scuola media di Vezzano hanno ricostruito la storia del movimento antifascista “soccorso rosso” a Vezzano, dell'arresto di una ventina di ragazzi avvenuto dell'aprile del 1944 e della loro fuga dal carcere di San Tommaso di Reggio Emilia il 15 ottobre 1944.

Guerrino Franzini racconta la storia della fuga dal carcere reggiano in “RSRicerche Storiche”, nn. 7-8 p. 63, (g.b.)].

Un pensiero a mia madre che il 7 giugno scorso ci ha salutato. La gioia di vivere che ha donato alla “sua gente”, coi suoi canti, le poesie, il volontariato presso il centro “25 Aprile”; le feste di via Casati e nelle case protette rimarrà nel nostro caro ricordo. E in queste particolare occasione credo sia doveroso porgere omaggio alla scomparsa di mio padre, Abbo Barigazzi, avvenuta il 15 luglio di sette anni fa. Anche lui ha partecipato alla vita sociale della nostra realtà cittadina in vari campi, ricoprendo la carica di vice presidente dell’ANPI, sezione di Correggio che lo ricorda con affetto manifestando cordoglio per l’avvenuta perdita di Marisa Lanciano. Porgo un vivo ringraziamento all’Associazione e a tutti coloro che contribuiscono a tenere viva la memoria di chi si è battuto e di chi si batte per i propri ideali. La figlia Chiara

ALFREDO GUIDETTI 07/01/1922-14/06/2011

Per onorare la memoria del caro amico Alfredo Guidetti, scomparso il 14 giugno scorso, la famiglia Cavazzini Fernando offre a sostegno del Notiziario.

TEA GILLI (LUISA)

01/08/1918-31/08/2011 Il 31 agosto scorso è deceduta la Partigiana Tea Gilli Luisa, vedova del Partigiano e garibaldino di Spagna Loris Boni, appartenente alla 37ª GAP. I nipoti Loris, Giovanni, Mimma, Maddalena, Isa, Oretta e Ivan la ricordano offrendo Notiziario. Rinnoviamo fraterne condoglianze al figlio Jones.

WILLIAM POZZI (BERRY) 10/04/1923-9/08/2011

Il 9 agosto scorso è venuto a mancare il Partigiano William Pozzi Berry della 77ª Bgt. SAP . ll figlio Athos e la moglie Naide in suo onore sottoscrivono pro Notiziario. settembre 2011 31 notiziario anpi


DIDIMO FERRARI (EROS) 52° ANNIVERSARIO

Il 7 ottobre ricorre il 52° anniversario della scomparsa del Partigiano Didimo Ferrari Eros, Commissario del Comando unico provinciale. Non c’è limite al ricordo di chi ci ha amato, di chi ci ha educato e farlo sul Notiziario dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia, dove sei stato il primo Presidente del dopoguerra, è doveroso. Quest’anno ti dedico alcune righe che in questi giorni un giovane “nuovo partigiano” del quale saresti stato orgoglioso, ti ha dedicato: “A dispetto di tanta becera propaganda che lo ha sempre guardato come capo della rivoluzione comunista, Eros era un uomo troppo intelligente e sapeva benissimo che gli ideali nei quali aveva sempre creduto, non potevano consolidarsi se non sul terreno democratico. La sua maturità politica di comunista, si formò nei duri anni di carcere e al confino, durante i quali trascorse gli anni più belli della sua giovinezza, cioè dai venti ai 31 anni. E questo la dice veramente lunga su quale sia davvero la conoscenza storica di certi personaggi, insigniti di titoli in materia senza alcuna autorità”. Si associano nel ricordo, tuo genero, Attilio Braglia, i tuoi nipoti Riccardo e Valerio, tuo pronipote Davide. Oggi mi impegno come “partigiana della nuova resistenza” in un’Italia, quella della Costituzione, quella che non ha mai smesso di lottare per una maggiore giustizia sociale, che non tollera più certe insulse proposte e l’equivoca lettura della storia, ma che purtroppo, oggi, ha un governo che non sa far di meglio che tollerare quanti ancora credono nel passato di violenza, razzista, nazionalista e fascista sconfitto proprio dalla Resistenza Ciao Anna

VILMA GALAVERNI - WOLMER VERZELLONI ANNIVERSARI

Le famiglie Alfredo e Luigi Galaverni ricordano con affetto la scomparsa della Vilma, avvenuta il 17 agosto 1999, e del marito Wolmer Verzelloni, deceduto il 3 settembre 1992. In loro onore sottoscrivono per il Notiziario.

WALTER ROZZI (NUOVOLA) 8° ANNIVERSARIO

11° ANNIVERSARIO

Il 14 luglio scorso ricorreva l’undicesimo anniversario della scomparsa di Bruno Marzi Mem, Partigiano combattente del distaccamento “G. Matteotti” della 144a Bgt Garibaldi. Amministratore e sindaco del Comune di Rio Saliceto dal 1946 al 1975. Per onorare la sua memoria e il suo insegnamento, lo ricordano con tanto affetto e profonda nostalgia agli amici, la figlia Katia, Adele, Silvano, Nadia e Simona e sottoscrivono pro Notiziario. La corrente rapida mi trascinava, / con forza irresistibile, quand’ero giovane./ Passava prodiga la brezza primaverile, / gli alberi erano carichi di fiori rossi come fiamma, / nel gorgheggiare gli uccelli non s’assopivano mai. / Ora che la giovinezza è declinata e mi sono incagliato tra gli scogli, posso sentire la musica profonda dell’intero universo… / Il cielo m’apre il suo cuore di stelle. (Rabindranath Tagore)

PIETRO GOVI (PIRETTO) 6° ANNIVERSARIO

Il 24 luglio scorso ricorreva il 6° anniversario della scomparsa di Pietro Govi Piretto, Partigiano combattente del distaccamento “G. Matteotti” della 144a Bgt. Garibaldi. Per onorarne la memoria e per ricordalo con profonda nostalgia agli amici e ai familiari Katia, Adele, Silvano, Nadia e Simona sottoscrivono pro Notiziario. Il dolore è come una notte / nella stagione delle piogge: / piove continuamente, senza interruzione. / la gioia è come il lampo, messaggero di breve sorriso. (Rabindranath Tagore)

NEDO BORCIANI 12° ANNIVERSARIO

Il 5 ottobre ricorre il 12° anniversario della scomparsa di Nedo Borciani, internato in Germania durante la seconda guerra mondiale. Lo ricordano con immutato affetto la moglie Vanda, i figli Evelando, Paolo ed Elisabetta.

ALDO BELLI (ALDO) IN MEMORIA

Il 3 settembre scorso ricorreva l’ottavo anniversario della scomparsa di Walter Rozzi Nuvola. Lo ricordano con immutato affetto la moglie Enrichetta, la figlia Silvia, il genero e i nipoti e sottoscrivono pro Notiziario.

In memoria di Aldo Belli Aldo, Partigiano della 27a Bgt. “Bigi” (MO), caduto a Massa di Toano l’otto novembre 1944, il fratello Bruno, Partigiano nella stessa Bgt. “Bigi”, offre pro Notiziario.

GIOVANNI MUNARINI 5° ANNIVERSARIO

OTELLO NICOLINI (IVANO) 4° ANNIVERSARIO

Il 21 settembre ricorre il 5° anniversario della scomparsa di Giovanni Munarini. La moglie Isella e la figlia Elsa lo ricordano sottoscrivendo pro Notiziario.

32 settembre 2011

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BRUNO MARZI (MEM)

Nel 4° anniversario della scomparsa del Partigiano Otello Nicolini Ivano, i figli Ivano e Silvano sottoscrivono pro Notiziario.



LUIGI CANTAGALLI (FUMO) 6° ANNIVERSARIO

L’otto agosto scorso ricorreva il 6° anniversario della scomparsa del Partigiano Luigi Cantagalli Fumo. Ne rinnovano commossi la memoria i familiari con un’offerta al Notiziario.

FRANCESCO MIARI (GARIBALDI) - LAURA TIRELLI ANNIVERSARI

Per ricordare il marito e Partigiano Francesco Miari Garibaldi e la sorella Laura Tirelli, staffetta partigiana, Marianna Tirelli e il figlio Mirco offrono pro Notiziario.

DINO SASSI 18° ANNIVERSARIO

Il 15 aprile scorso ricorreva il 18° anniversario della scomparsa del combattente Dino Sassi. Lo ricordano con tanto affetto la moglie Iris Notari e i figli con le loro famiglie. In suo onore offrono pro Notiziario.

IVANOE ZAMBONI 4° ANNIVERSARIO

Nel 4° anniversario della scomparsa di Ivanoe Zamboni, il figlio Sergio e il nipote Davide sottoscrivono pro Notiziario.

MARIO CAVALLINI 15° ANNIVERSARIO

Il 27 luglio ricorreva il 15° anniversario della morte di Mario Cavallini. La moglie Maria Rossi e i figli Renza e Silvano offrono pro Notiziario.

FLORIO CAMPANI 3° ANNIVERSARIO

In occasione del 3° anniversario della morte di Florio Campani, avvenuta il 15 agosto 2008, la moglie Anna e i figli Giancarlo e Gianfranco offfrono pro Notiziario.

GINO SETTI (SUSMEL) 7° ANNIVERSARIO

Il 16 agosto scorso ricorreva il 7° anniversario della scomparsa del Partigiano Gino Setti Susmel. La moglie Anna e i figli Giovanni e Marino offrono pro Notiziario.

RICCARDO SONCINI-CARLO SONCINI 10° e 2° ANNIVERSARIO

Il 30 agosto ricorreva il 10 anniversario della scomparsa del patriota Riccardo Soncini di Poviglio. Nel ricordarlo sempre con tanto affetto, la moglie Maria Frigeri e la figlia Marina, in sua memoria, sottoscrivono pro Notiziario. La nipote Marina in occasione del 2° anniversario della scomparsa dello zio Carlo sottoscrive, in suo onore, a sostegno del Notiziario. 34 settembre 2011

notiziario anpi

DUILIO CARRETTI (GIUSEPPE) 13° ANNIVERSARIO

Il 18 luglio scorso ricorreva il 13° anniversario della scomparsa del Partigiano Duilio Carretti Giuseppe. La moglie Clite, i figli Meris e Mauro e i nipoti nel ricordarlo con tanto affetto, offrono un contributo pro Notiziario, perché lo ritengono un importante mezzo d’informazione per la salvaguardia della pace, della libertà e della democrazia.

GIUSEPPE RINALDINI (PINCA) 5° ANNIVERSARIO

Nel 5° anniversario della scomparsa del marito Partigiano Giuseppe Rinaldini Pinca, avvenuta il 1° agosto 2006, la moglie Ernesta Bonacini e i figli Gianfranco e Aloma, per onorarne la memoria, offrono pro Notiziario.

SERGIO FRANCIA (GALO) 10° ANNIVERSARIO

L’8 giugno scorso ricorreva il 10° anniversario della morte del Partigiano combattente Sergio Francia Galo. Da Partigiano a consigliere comunale, da attivo partecipante alla lotta delle Reggiane a padre i famiglia. Sergio ci ha sempre trasmesso valori come la giustizia, la libertà, la solidarietà; ci ha insegnato ad accettare le “diversità”, e a non avere paura. Ciao Sergio, sarai sempre con noi; con tutti quelli che ti hanno conosciuto, apprezzato e hanno condiviso con te l’amore per gli ideali in cui hai sempre combattuto. I tuoi cari con immutato affetto.

EMILIO GROSSI (OBRAI) 2° ANNIVERSARIO

Nel 2° anniversario della morte del Partigiano Emilio Grossi Obrai, avvenuta il 28 agosto 2009, appartenente alla 76a Bgt. SAP “Angelo Zanti”, lo ricordano la moglie e la figlia Laila sottoscrivendo pro Notiziario.


DANTE CALZOLARI (SPADA)

ADORNO BACCARINI (SENGHER) 5° ANNIVERSARIO

6° ANNIVERSARIO

In occasione del 6° anniversario della morte di Dante Calzolari Spada, Partigiano combattente della 26a Bgt. Garibaldi, il nipote Luciano e la famiglia offrono pro Notiziario. Ferito in combattimento a Villa Codemondo nella fase della “pianurizzazione” della lotta al nazifascismo, Calzolari fu anche torturato a Villa Cucchi. Operaio alle Reggiane fu anche protagonista dell’epica occupazione della fabbrica nel 1950. Aveva sempre vissuto in via Cassala, nel quartiere operaio per eccellenza di Santa Croce esterna.

ACHILLE MASINI 1° ANNIVERSARIO

Il 1° ottobre 2011 ricorre il 1° anniversario della scomparsa di Achille Masini. Ne onorano la memoria con profondo rimpianto e affetto la moglie Gianna Catelli e i figli Stefano e Andrea e sottoscrivono pro Notiziario.

La moglie Franca Messori e i figli vogliono ricordare la scomparsa del loro caro Adorno Baccarini Séngher, avvenuta il 16 ottobre 2006, con un contributo al Notiziario.

OLIVIERO CANEPARI (TOM) - LIDE VEZZANI ANNIVERSARI

Il 26 settembre ricorre il 18° anniversario della scomparsa del Partigiano Oliviero Canepari Tom, della 76a Bgt SAP. Lo ricordano i figli e i nipoti, unendo la memoria della moglie Lide, nel 2° anniversario della sua morte. In loro onore sottoscrivono pro Notiziario.

CESARINO CATELLANI (LUIGI)

FEDERICO FRANZONI (PRIMAVERA) 5°ANNIVERSARIO

11° ANNIVERSARIO

Il 21 settembre ricorreva il 5° anniversario della scomparsa del partigiano della 26ª Garibaldi maestro Federico Franzoni, Primavera, di Scandiano.La moglie Palma, il figlio Luciano, la nuora Carmen e il nipote Daniel lo ricordano con immutato affetto e offrono pro Notiziario.

Nell’undicesimo anniversario della morte di Cesarino Catellani, avvenuta il 16 settembre 2000, la moglie Pierina Bisi e i figli Lina, Giorgio e Stefano offrono pro Notiziario.

DINO MACCARI (ALDO) 10° ANNIVERSARIO

Nel 10° anniversario della scomparsa del Partigiano Dino Maccari Aldo, lo ricordano con immutato affetto la moglie Lolde, i figli e i nipoti sottoscrivendo pro Notiziario.

FRANCO SERRI - FERNANDA BONACINI 9° ANNIVERSARI

Nel 9° anniversario della scomparsa di Franco Serri e Fernanda Bonacini, li ricorda con immutato affetto la figlia Ileana, sottoscrivendo a sostegno del Notiziario.

DAVIDE VALERIANI (FORMICA) 10° ANNIVERSARIO

Il 25 settembre ricorrera il 10° anniversario della scomparsa del Partigiano Davide Valeriani Formica. La moglie e i figli lo ricordano con immutato affetto e offrono pro Notiziario.

ANGELO GIARONI (DARTAGNAN)-DOLORES GEMMI ANNIVERSARI

Il 18 novembre ricorre il 26° anniversario della morte di Angelo Giaroni Dartagnan, bracciante, ispettore di battaglione nella 76a Bgt. SAP “Angelo Zanti”. Giovane socialista, a 15 anni (nel 1916), nel 1921 fu fra i fondatori della FGCI. Arrestato nel 1932 per appartenenza al PCd’I, seppe resistere a pesanti interrogatori. Potè così usufruire della “amnistia del decennale” concessa da Mussolini, e continuare la sua attività clandestina. Arrestato ancora nel 1938 nella grande retata contro gli antifascisti reggiani, venne condannato a sette anni di reclusione dal tribunale speciale. Liberato dopo la caduta di Mussolini, all’indomani dell’otto settembre fu tra quella sessantina di reggiani ex carcerati ed ex confinati che costituirono il nerbo del nascente movimento di resistenza. Nel dopoguerra, sempre impegnato nel PCI oltre che nell’ANPI, raggiunse la pensione come operaio del Comune di Reggio Emilia. Lo ricordano, assieme alla moglie Dolores Gemmi deceduta il 21 settembre 1982, dirigente dell’UDI nel post Liberazione, il figlio Gianni e la famiglia offrendo pro Notiziario.

MARIA MANZOTTI ANNIVERSARIO

In ricordo della madre Maria Manzotti, Inealda Donelli sottoscrive pro Notiziario.

settembre 2011 35 notiziario anpi


Associazione Provinciale di Reggio Emilia via Maiella, 4 - Tel. 0522 3561 www.cnare.it



CRIALESE E PATIERNO

di Nicoletta Gemmi

MA IN CHE PAESE VIVIAMO?!

Cinque anni dopo Nuovomondo, grazie al quale ha portato a casa il Leone d’Argento/Rivelazionedurante il Festival di Venezia, Emanuele Crialese torna dietro la macchina da presa per Terraferma, passato in concorso alla Mostra del Cinema, numero 68. Due donne, un’isolana e una straniera: l’una sconvolge la vita dell’altra. Eppure hanno uno stesso sogno, un futuro diverso per i loro figli, la loro Terraferma. Terraferma è l’approdo a cui mira chi naviga, ma è anche un’isola saldamente ancorata a tradizioni ferme nel tempo. E’ con l’immobilità di questo tempo che la famiglia Pucillo deve confrontarsi. Ernesto ha 70 anni, vorrebbe fermare il tempo e non vorrebbe rottamare il suo peschereccio. Suo nipote Filippo ne ha 20, ha perso suo padre in mare ed è sospeso tra il tempo di suo nonno Ernesto e il tempo di suo zio Nino, che ha smesso di pescare pesci per catturare turisti. Sua madre Giulietta, giovane vedova, sente che il tempo immutabile di quest’isola li ha resi tutti stranieri e che non potrà mai esserci un futuro né per lei, né per suo figlio Filippo. Per vivere bisogna trovare il coraggio di andare. Un giorno il mare sospinge nelle loro vite altri viaggiatori, tra cui Sara e suo figlio. Ernesto li accoglie: è l’antica legge del mare. Ma la nuova legge dell’uomo non lo permette e la vita della famiglia Pucillo è destinata ad essere sconvolta e a dover scegliere una nuova rotta. Scritto insieme a Vittorio Moroni, Crialese ha definito il suo nuovo lavoro “un dramma simbolico, sul conflitto tra turismo e integrazione osservato attraverso il prisma delle mutazioni antropologiche”. Il titolo, suggerisce il senso della meta, del miraggio dei naviganti, e che allude però alla natura salda dell’Isola, ancorata a tradizioni e valori fuori dal tempo. E’ un sottile fil rouge quello del mare e dei pescatori, quello che collega la produzione di Crialese, da questo Terraferma, passando per Nuovomondo per arrivare a Respiro. “Ritornare a 38 settembre 2011

notiziario anpi

girare sulla stessa isola di Respiro è stato ritrovarsi in un luogo ‘altro’. E’ cambiato tutto e in peggio. Così ho scritto e realizzato questo film cercando di tenere dentro di me il ‘c’era una volta...’. Ho cominciato a scrivere come se mi rivolgessi ad un bambino, come se potessi raggiungere il bambino che è dentro di me. Ho cercato un linguaggio libero da pregiudizi e da paure. Provo un senso di ribellione all’idea di essere trattato come un piccolo disubbidiente a cui si dice ancora “attento all’uomo nero che ti mangia tutto intero”... questa è la cantilena che ascoltiamo da anni, questo lo strumento usato per renderci più docili, più fragili, più bisognosi di protezione. Dopo 21 giorni alla deriva, approda a Lampedusa un barcone carico di più di settanta persone. Sepolte dai cadaveri dei compagni di viaggio, soltanto cinque sono sopravvissute. Tra questi c’è un’unica donna: Timnit T. Vado a cercarla. La trovo sorridente, dice di essere nata una seconda volta. Le domando di imbarcarsi con me, su una barca immaginaria, quella della rappresentazione. Le ho proposto di reinterpretare alcuni momenti della sua storia vera con l’intesa e l’intento di poter cambiare, di poterla riscrivere, ricreare. Le ho proposto l’incontro con un’altra donna, un’isolana, con la stessa voglia di andare, di ricostruire altrove, per migliorare se stessa per aiutare suo figlio a crescere senza paura”. Terraferma (Italia, 2011), con Donatella Finocchiaro, Beppe Fiorello, Mimmo Cuticchio, Martina Codecasa, Filippo Pucillo

Affrontare il tema dell’immigrazione che coinvolge il Sud e il Nord del pianeta – sotto forma di commedia ma non di burla – è stata una bella scommessa. Francesco Patierno ci racconta con Cose dell’altro mondo, una storia che conosciamo bene ma affrontandola con un punto di vista del tutto originale.

Mettiamo una bella, civile e laboriosa città del Nord Est. Mettiamo che questa città abbia una percentuale alta di lavoratori immigrati, tutti in regola e ben inseriti. E mettiamo, per esempio, che un buontempone d’industriale si diverta a mettere quotidianamente in scena un teatrino razzista: iperbole, giochi di parole, battute sarcastiche, tutte, ma proprio tutte, così politicamente scorrette da risultare esilaranti. Mettiamo che un giorno il teatrino si faccia realtà; che gli immigrati, invitati a sloggiare, tolgano il disturbo. Per sempre. Cose dell’altro mondo esplora questo paradosso, con lo stesso linguaggio politicamente scorretto del suo protagonista: ironia in luogo della drammaticità, imbarazzo al posto dell’ideologia, tenerezza dove si vorrebbe conforto sociologico. Capita così che il buontempone nordico e con lui un cinico poliziotto romano e una ‘buona’ e bella maestra elementare, vadano a gambe all’aria e continuino a rotolare in un mondo che ha perso il suo buon senso per trovarsi in bilico sull’orlo del precipizio e lì lanciare un’occhiatina nell’abisso dei loro cuori e nel buio del loro futuro. Per la prima volta un film italiano affronta le tematiche dell’immigrazione e del razzismo con una robusta vena comica, per la prima volta si racconta il “loro”, mettendo in scena il “noi” per la prima volta si cerca di fare un passo avanti spintonando la coscienza a colpi di risate. La provocazione di Cose dell’altro mondo ha comunque un senso e un valore. Immaginare un mondo di colpo privato dell’apporto che gli deriva dalla presenza di immigrati extracomunitari significa – come ha sottolineato il regista – andare anche al di là della questione puramente economica, che inquadra i nostri gastarbeiter come “forza lavoro”, o quantomeno come quelli-che-fanno-i-lavori-che-noi-non-vogliamo-più-fare. “Se gli immigrati, come racconta il paradosso del film, ci mancassero tutti all’improvviso, ci mancherebbero solo per motivi economici/ lavorativi o anche emotivamente? – chiede Patierno – È una domanda che non ha una risposta, ma che lascia spazio all’approfondimento degli spettatori. Non è una domanda politica né ideologica. Non è una domanda per il nord o il sud del nostro Paese, vale per tutti gli italiani”. Il film è liberamente ispirato alla pellicola A Day Without a Mexican di Sergio Arau e Yareli Arizmendi. Cose dell’altro mondo, con Valentina Lodovini, Valerio Mastandrea, Diego Abatantuono, Renato Nuvoletti


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settembre 2011 39 notiziario anpi



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