Per non dimenticare: testimonianze e luoghi della resistenza a Bibbiano

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Con il patrocinio di:

A.N.P.I. BIBBIANO

ISTITUTO COMPRENSIVO DI MONTECCHIO EMILIA E BIBBIANO SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO “DANTE ALIGHIERI” DI BIBBIANO ~ A. S. 2006 - 2007

Realizzato con il contributo di:

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Sommario

Presentazione

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Introduzione

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SCHEDA: IL MONUMENTO AI CADUTI DI BIBBIANO

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La Resistenza in Europa

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SCHEDA: LA RESISTENZA

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Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana ed europea

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La Resistenza in Italia

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Testimonianze Pierino Agoletti, nonna Olimpia e nonna Autilia, nonna e nonno di Marco Castagnetti, nonna e nonno di Davide Rinaldi, Maria Beggi, Clemente Saccani, Maria Mantovi, nonno di Natalia Tesauri

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La scelta della lotta armata

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Testimonianze Livio Ferretti

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La Resistenza a Reggio Emilia

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I primi caduti della resistenza

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Testimonianze Maria Cervi, Francesca Del Rio

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L’8 settembre a Bibbiano

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Testimonianze Ero Grasselli

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SCHEDA: GLI SFOLLATI

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La Resistenza a Bibbiano

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Le prime organizzazioni Le donne staffette Come si recuperavano le armi Il paramilitare Il campo di concentramento di Bibbiano Rastrellamenti tedeschi a Bibbiano

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pag.

Testimonianze Orio Vergalli, Loris Bottazzi, Dante Fantuzzi, Tommaso Fiocchi

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SCHEDA: LA MACCHINA DA SCRIVERE

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SCHEDA: DON PASQUINO BORGHI

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Staffette partigiane

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Caduti della Resistenza

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Arte per non dimenticare

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Musica e canti, melodie del ricordo e voli di pace attorno al tricolore

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Indice dei disegni

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BibliograďŹ a

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Fonti delle illustrazioni

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Autori

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Ringraziamenti

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Presentazione

Con il passare degli anni aumenta il valore dei ricordi. Ne sono passati sessantatre dal 25 aprile del 1945, il giorno che segnò la fine della Guerra di Liberazione. Il giorno che vide la definitiva vittoria dei Partigiani sull’invasore nazifascista e che pose le basi della Repubblica Italiana e della sua Costituzione aprendo una stagione di democrazia, di speranze, di passioni, di rinascita. E soprattutto di libertà. I ragazzi delle classi terze hanno quindi intrapreso un viaggio nella memoria per fissare una volta di più quella data storica. Tappe di questo viaggio sono stati i luoghi teatro di episodi della lotta di Liberazione. I monumenti che li ricordano. Guide preziose in questo viaggio sono state le testimonianze dei nonni e degli zii che presero parte in prima persona alla Resistenza. Ancora una volta la Scuola Secondaria di primo grado “Dante Alighieri” si dimostra luogo straordinario di approfondimento e di crescita civica, in cui i ragazzi protagonisti di questa ricerca assumono la consapevolezza che il loro domani può avere un senso solo attraverso i valori della democrazia e della pace fra tutti i popoli, della partecipazione delle persone ai destini della comunità, della dignità attraverso il lavoro e della solidarietà fra fasce deboli e i più forti. 9


I ricordi raccolti in questo volume spaziano dalle esperienze personali a singoli episodi. Si delineano figure storiche delle Resistenza reggiana, una su tutte Don Pasquino Borghi. Si racconta come trascorreva la vita di tutti i giorni in famiglia e tra i Partigiani. I ricordi e le testimonianze si arricchiscono poi di un richiamo all’arte. Dalla viva voce di chi visse la Resistenza, visitando i luoghi in cui quelle vicende si svolsero emerge chiaramente il contorno di una lotta di popolo. Una sollevazione spontanea contro il regime condotta da gente comune giovani studenti, contadini, donne. Il viaggio nella memoria delle classi terze aggiunge valore al ricordo di una storia, quella della Resistenza, così lontana eppure così attuale dal momento che su essa si fonda la Costituzione della Repubblica. Il 25 aprile 1945 intere generazioni di ragazzi e di ragazze furono così felici perché così tanto prima avevano sofferto. Avevano rischiato di morire e visto morire i loro coetanei e sapevano quale era il prezzo ed il valore della vita. Sapevano che ciò che si era conquistato era costato molto, perciò lo avevano molto caro. Questa pubblicazione contribuisce a non offuscare quella consapevolezza, a ricordarci di loro, di tutti i giovani nelle guerre, dei loro sogni spezzati, delle loro paure, del contributo dato dalle nostre terre alla lotta di resistenza. Vogliamo che i nostri ragazzi reinterpretando con il loro linguaggio e le loro aspirazioni la nostra Costituzione siano protagonisti attivi di un futuro migliore.

Il Sindaco

L’Assessore alla scuola

Sandro Venturelli

Andrea Carletti




Prefazione Uomini Molte guerre ci hanno segnato, reso sterili i nostri sogni, cancellati per sempre. Non abbiamo imparato se ci sono guerre ancora oggi che devastano popoli, uccidono e massacrano innocenti. Quante guerre, ancora, dovremo combattere? Natalia Tesauri

La nostra Scuola Secondaria di primo grado, “Dante Alighieri”, da molti anni ormai, in collaborazione con l’ANPI e con il patrocinio del Comune si impegna in attività storico-letterarie e artistiche riguardanti il periodo della seconda guerra mondiale, in particolare la lotta contro il nazifascismo, gli eccidi commessi, i campi di concentramento. Quest’anno abbiamo posto particolare attenzione alla storia della Resistenza, soprattutto agli eventi che hanno coinvolto il nostro territorio. Ci siamo rivolti al nostro infaticabile e solerte Nino Fantesini , segretario ANPI di Bibbiano che ci ha fornito documenti, testi, ha organizzato visite d’istruzione e soprattutto ci ha dato l’opportunità di incontrare ed ascoltare nella nostra Scuola la testimonianza di ex-partigiani.

E’ stato un lavoro difficile e abbiamo dovuto consultare molti testi dai quali abbiamo “preso” a piene mani; abbiamo visitato i luoghi della memoria di Bibbiano e abbiamo intervistato i nostri nonni e nonne, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Questa attività vede il suo compimento in una mostra allestita presso la sala polivalente del Teatro Metropolis di Bibbiano il 25 aprile e la pubblicazione di questo testo. Ora abbiamo capito meglio che cosa è stata la Resistenza e soprattutto l’eredità che ci ha lasciato.

Gli alunni di III E e III F anno scolastico 2006 / 2007

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FOTO MONUMENTO AI CADUTI BIBBIANO

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IL MONUMENTO AI CADUTI DI BIBBIANO

Alla memoria dei caduti per la liberazione dal fascismo. al loro sacrificio che riaprì nella storia d’Italia il cammino dell’indipendenza e del progresso democratico a ricordo di tutti coloro che dal risorgimento alla resistenza dettero la vita per la libertà e l’unità della patria nel ventesimo anniversario dell’insurrezione antifascista vittoriosa perché i suoi ideali si compiano perché avanzi la democrazia perché si consolidi la pace il popolo di Bibbiano dedica questo monumento 25 Aprile 1945

Un pomeriggio di ottobre siamo andati con le nostre professoresse in Piazza Damiano Chiesa a Bibbiano per osservare il monumento ai Caduti, inaugurato il 19 aprile 1965. Opera dello scultore Walter Ferretti, su committenza dell’Amministrazione Comunale di Bibbiano, il monumento della piazza è costituito da una stele con un bassorilievo in bronzo posizionata su una base

in marmo su cui compare l’epigrafe di Piero Calamandrei e da una statua in bronzo a tutto tondo. Questo monumento ci ha fatto pensare molto anche perché c’eravamo passati parecchie volte ma, come spesso succede, si vede ma non si osserva. Siamo molto contenti di aver capito ciò che rappresenta e adesso che lo abbiamo osservato bene, ne cogliamo il vero significato.

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La Resistenza in Europa “…Quando avrà fine il tormento dell’Europa sepolta?” Edith Thomas

I movimenti di Resistenza si svilupparono, in clandestinità, in tutti i paesi europei che subirono l’occupazione della Germania nazista e dell’Italia fascista, come era avvenuto in altre parti del mondo come nell’Asia occupata dai giapponesi e furono uno dei fatti nuovi della seconda guerra mondiale; la guerra assunse il carattere di scontro frontale tra democrazia e totalitarismo, tra fascismo e antifascismo di cui si era avuta un’anticipazione durante la guerra di Spagna del 1936-39. Furono movimenti politicizzati nella maggior parte dei paesi occupati ed uscivano degli schemi tradizionali sia dal punto di vista militare che politico: utilizzavano infatti la guerriglia, l’azione cioè di piccolissime unità dotate di armamento leggero e molto mobili, capaci di infliggere alle forze occupanti perdite anche pesanti.

Solo il movimento partigiano dell’URSS fu organizzato e guidato dal Comando supremo dell’Armata Rossa, cioè dall’esercito russo; gli altri movimenti di Resistenza erano clandestini e rappresentarono le risposte delle popolazioni invase al regime di occupazione. Con il passare del tempo e con l’allargarsi dei movimenti clandestini, soprattutto dopo che l’Italia uscì dalla guerra organizzando essa stessa uno dei più forti movimenti partigiani, il peso che le forze naziste dovettero sostenere si fece sempre più pesante; finì con l’essere, nell’Europa occupata, un vero e proprio secondo fronte interno e segreto che combatteva al fianco dei fronti della guerra guerreggiata. Le truppe tedesche repressero la lotta partigiana con rappresaglie feroci e mas-

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RESISTENZA Nel periodo che va dal settembre 1939 al maggio 1945, l’Europa visse uno dei periodi più tragici e gloriosi della sua millenaria storia. Il dominio diretto o indiretto dei nazisti, aiutati spesso dai fascismi locali, tennero l’Europa sotto una cappa di paura, lotta, sofferenza, stragi mai viste prima. I popoli conquistati e oppressi da una dittatura feroce e disumana che li teneva soggiogati con il terrore e una ferocia inconcepibile, seppero reagire in modi diversi accomunati dal desiderio di liberare se stessi e i propri paesi con fierezza, dignità e sacrifici immensi. Alle torture, deportazioni in massa, distruzione di interi villaggi, esecuzioni sommarie, risposero con una lotta senza sosta, sui monti, nelle campagne, nei quartieri di città; mai nella storia dell’intero globo si era verificato un evento storico come questo. Per la prima volta uomini, donne, giovani ed anziani e perfino bambini, in qualche caso, appartenenti ad ogni classe sociale, contadini, operai, borghesi, sacerdoti, intellettuali furono accomunati da un identico ideale di giustizia e libertà; ognuno lottava per il bene di tutti: era la Resistenza.

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Resistenza, noi abbiamo provato a darne la definizione cercando di ricordare quello che avevamo imparato al riguardo, qualcuno ha avanzato l’ipotesi che significa “non voler accettare”, altri hanno ricordato che è stata fatta dai partigiani, altri ancora che era una “guerra” contro i tedeschi. A questo punto abbiamo deciso di consultare il vocabolario:

resistenza s.f. 1. opposizione, contrasto ad una forza, ad un volere altrui // opporre resistenza, incontrare resistenza // 2. come termine storico (scritto con iniziale maiuscola), la Resistenza è un movimento politicomilitare, a carattere popolare, sorto durante il secondo conflitto mondiale in opposizione al nazifascismo. // la Resistenza italiana, la Resistenza francese //.


sacri anche di persone inermi e innocenti, perché per loro questa guerra aveva assunto un carattere quasi di incubo. I soldati tedeschi cantavano allora una triste canzone nella quale esprimevano tutto il loro dolore e la loro paura nel trovarsi in una simile situazione. Una testimonianza autorevole di uno specialista tedesco nella lotta antipartigiana, il col. Redelis, così riassume il suo giudizio sugli effetti della lotta partigiana: “Nel corso della seconda guerra mondiale la Wehrmacht tedesca fu posta, dall’attività clandestina e partigiana, dinnanzi a difficili problemi che non fu possibile risolvere per tutta la durata della guerra. Non è possibile combattere unicamente con mezzi militari un moderno movimento clandestino e partigiano; è necessario l’impiego senza risparmio di ogni mezzo militare, politico e psicologico. La lotta assume quindi il carattere di una contesa politico-militare e psicologica”1

Questa non è la nostra patria Dove il Duce governa senza paese e senza potenza dove i partigiani non danno pace dove la notte in ogni angolo si spara dove ogni notte ci saltano le rotaie dove il treno salta per aria dove le lettere ci arrivano dopo molte settimane non è questa la nostra patria eppure perseveriamo dalle foci del Tevere fino alle Alpi. Al diavolo questo maledetto paese tutti i tedeschi gridano in coro. Non lasciarci qua Führer, prendici in patria nel Reich. (canzone dei soldati tedeschi dislocati in Italia)

Soldati tedeschi si riposano ascoltando la radio

La resistenza nacque nella maggior parte dei paesi invasi come reazione al tentativo di imporre con la forza l’unificazione dell’Europa al servizio delle potenze fasciste, in particolare del Nuovo Ordine europeo della Germania nazista, alla cui sommità avrebbe dominato la Germania. La Resistenza non può essere considerata solo come una lotta patriottica per la liberazione del proprio paese dallo straniero, né solo come reazione ai metodi terroristici dell’occupante;

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Gruppo di partigiani posa per una foto con la bandiera della propria Brigata

fu anche questo ma fu soprattutto, la volontà dei popoli di uscire dalla crisi europea e mondiale che era esplosa con il conflitto e trovare uno spirito di solidarietà e collaborazione rispettoso dell’integrità e dell’indipendenza di tutti gli Stati. In Italia la Resistenza assunse il carattere di continuazione in armi della lotta antifascista clandestina del precedente ventennio ma nei paesi in cui la collaborazione con i tedeschi fu ampia, come ad esempio nella Francia di Vichy, fu la risposta ai tentativi di fascistizzazione imposta dall’esterno e fu anche la via per la formazione di una nuova classe dirigente, di una nuova maturità civile in contrasto con i regimi d’anteguerra.

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In Europa ci furono tanti movimenti di Resistenza quanti furono i paesi in lotta; diverse furono le condizioni in cui si sviluppò ciascun movimento, diversa la tattica della guerra partigiana nelle diverse regioni in relazione alle circostanze geografiche, ambientali e sociali, passando dalla semplice azione di sabotaggio di gruppi di guastatori individuali (come ad esempio in Belgio e Norvegia), a forme più complesse di guerriglia e di lotta armata sino a raggiungere, in alcuni paesi, carattere di vera e propria guerra popolare (il caso più esemplare fu quello della Yugoslavia). Ma dappertutto la forza della Resistenza fu rappresentata dal vuoto di consensi che essa riuscì a creare intorno alle autorità occupanti, fu la resistenza passiva delle grandi masse della popolazione urbana e rurale, la loro solidarietà intorno ai gruppi di resistenza militare e militante. E’ questo certamente il legame che fa sì che si possa parlare della Resistenza come di un fenomeno europeo ed europea fu anche l’ispirazione morale che animò i suoi protagonisti pur nella loro diversità; così accanto al partigiano che moriva al grido di “Viva Cristo Re!” c’era chi lanciava un grido d’amore per la propria patria: “Muoio volontariamente per la mia Patria”. Nelle Lettere di condannati a morte della Resistenza Europea ed Italiana si ritrovano i sentimenti comuni, lo spirito della Resistenza, uno spirito di rinnovamento e una speranza di un modo migliore. NOTE 1 Redelis V. (1958), Partisanenkrieg, Heidelberg, p.9.


Lettere di condannati a morte della Resistenza europea e italiana Cari genitori, dolore, ma vi ho visti de an gr un erà ur oc pr vi era la mia leĴ n ne dubito, continuerete a così pieni di coraggio che, no l’amore che avete per me….. mantenerlo, se non altro per o una Francia libera e dei Muoio per la mia Patria. Vogli cia orgogliosa e prima nazione Francesi felici. Non una Fran oratrice, laboriosa ed onesta. lav cia an Fr a un ma o, nd mo l de nziale. Nella vita bisogna sse l’e o ecc , ici fel no sia esi nc Che i fra saper cogliere la felicità. i: Devo aěreĴarmi.La mia I soldati vengono a prenderm tita. ma perché ho una piccola ma te, lan mo tre se for è a afi gr lli ca enza talmente tranquilla! sci co la ho , rte mo lla de a ur Non ho pa nsa che se muoio è per il mio Pe a. eg pr o, lic pp su ne te , pà Pa vole di questa? Muoio ore on più ere ess ò pu rte mo bene. Quale tria………… volontariamente per la mia Pa Viva la Francia

Aldo Mei 32 anni (sacerdote)

H. Fertet 16 anni (studente)

Babbo e Mamma, state tranquilli – sono sereno in que st’ora solenne. In coscienza non ho commesso delitti. Solamente ho am ato come mi è stato possibile. Condanna a morte – 1° per aver pro tetto e nascosto un giovane di cui volevo salva l’anima. 2° per ave r somministrato i sacramenti ai partigiani, e cioè aver fatto il prete. Il terzo motivo non è nobile come i precedenti – aver nascosto la radio. Muoio travolto dalla tenebrosa bufera dell’odio io che non ho voluto vivere che per l’amore! “Deus Chari tas est” e Dio non muore. Non muore l’amore ! Muoio pregando per coloro stessi che mi uccidono. Ho già sofferto un poco per loro….E’ l’ora del grande perdono di Dio! Desidero avere misericordia; per que sto abbraccio l’intero mondo rovinato dal peccato – in uno spiritu ale abbraccio di misericordia…

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Amati miei, tra un momento sarò già con voi, mie i cari! Finisco la mia vita e ho l’animo così leggero. E’ così bello mo rire in una disposizione d’animo così bella. Ho perdonato a tutti e pre go tutti coloro che ho offeso di perdonarmi: Mammina mi sono ricord ato di te per la tua festa, ti ho baciata e ti ho augurato una vita feli ce. Sii tanto felice mia cara| Papà, sai, è così bello morire nella spe ranza di un migliore domani per tutta l’umanità…… Mia bella patria come ti voglio bene! Dolce casa mia! Oggi muoio, è maggio, siamo quattro nella cella, asp ettiamo di separarci. Sarò da voi…………..Che l’amore e non l’odio domini il mondo! Vi saluto e vi bacio, sono felice che ormai sarò presto tra voi. Chiedete le mie ceneri.

Georg Schroder 39 anni (operaio)

Jaroslaw Ondrousek 19 anni (studente)

Miei cari tutti, Giustizia scrivo. Il Ministro della vi e ch ra tte le a m lti l’u è questa . Sono convinto di essere ia az gr di de an m do le ha respinto tutte alla mia o, perciò vado incontro sc bi su e ch no sti de l de e innocent lo per voi e non ho voluto so ne be al to ra pi as o H . fine con serenità ini. che la felicità degli uom e, studiate, studiate! at di stu : sa co a un tto tu A voi dico soprat senza dirà di diventare uomini pe im vi e ch a rz fo la è Il sapere carattere. r tutta la vita

Saluti affettuosi e baci pe

Mia adorata Pally, sono gli ultimi istanti della mia vita. Pally adorata ti dico a te saluta e bacia tutti quelli che mi ricorderanno. Credimi non ho mai fatto nessuna cosa che potesse offendere il vostro nome. Ho sentito il richiamo della Patria per la quale ho combattuto, ora sono qui,,, ,fra poco non sarò più, muoio sicura di aver fatto quanto mi era possi bile affinché la libertà trionfasse. Baci e baci dal tuo e vostro Paggetto

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Irma Marchiani “Paggetto” 33 anni (casalinga)


Eusebio Giamone 41 anni (tipografo)

Cara Gisella, n sarà più. Il tuo papà no pà pa o tu il e gh ri te quando leggerai ques i e la sua grossa od m i ch us br oi su i o malgrad che ti ha tanto amata Il tuo papà è stato . ta ta en av sp ai m ha n ti nza. voce che in verità no giustizia e di Uguaglia di ee id e su le r pe te se, condannato a mor rfettamente queste co pe re de en pr m co r pe a lo Oggi sei troppo piccol gliosa di tuo padre e go or i ra sa de an gr ù ma quando sarai pi già che lo ami molto. so hé rc pe , oi pu lo se io, amerai ancora di più, i tuoi occhi, tesoro m a ug ci as a, lin el is G Non piangere, cara e sei. a da vera donnina ch m am m a tu la re a ol ns co a, la vita vale di esse ci in m co in te r pe , ta Per me la vita è fini onestamente, quando ve vi si do an qu , le ea un id vissuta quando si ha a se stessi ma a tutta ili ut lo so n no re se es si ha l’ambizione di l’umanità… che più utile; se an re se es r pe a m , re tuo avveni ai Studia non solo per il inuare gli studi e dovr nt co di o nn ra te et rm pe rivare un giorno i mezzi non studiare ancora ed ar ò pu si e ch i at rd co ri cercarti un lavoro, o…….. cultura pur lavorand lla de i ad gr i vente m m so ai se è bene che pensi so e re ce es cr e re ve vi Tu sei giovane, devi affare dal dolore, sei pr so i rt ia sc la a nz se arci n solo al tuo papà, devi pens lo vuole la tua età e no e m co ti ir rt ve di e ti piccola, devi svagar piangere. mamma…… Devi far coraggio alla abbraccia ed il suo ti te en m sa en m im a amat Il tuo papà che ti ha fine per te e mamma. Il tuo papà pensiero sarà fino alla Eusebio Giamone

Cara mamma, vado a morire, ma da partigiano, con il sorriso sulle labbra ed una fede nel cuore. Non star malinconica io muoio contento. Saluto amici e parenti, ed un forte abbraccio e bacioni al piccolo Imperio e Ileno e il caro papà, e nonna e nonno di ricordarsene per sempre.

Domenico Capogrossi “Miguel”

Ciao Vostro figlio Domenico

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Mario Brusa Romagnoli “Nando”

Papà e Mamma, è finita per vostro figlio Mario, la vita è una piccolezza, il maledetto amico mi fucila; raccogliete la mia salma e ponetela vicino a mio fratello Filippo. Un bacio a te Mamma cara, Papà, Me lania, Annamaria e zia, a Celso un bacio da suo fratello Mario che dal cielo guiderà il loro destino in salvo da questa vita tremenda. Addio. W l’Italia. Mario-Nando Mi sono perduto alle ore 12 e alle 12 e 5 non ci sarò più per salutare la Vittoria.

Arnoldo Avanzi

Carissima Mamma, essere giudicato con le di a es att in o iol gg Re a i qu mi trovo ancora relative conseguenze. rà come quella di Dio, sa ni mi uo gli de zia sti giu la Fatti coraggio e se uito del male che non ho fatto. vedrai che non mi sarà attrib che pure lui saluta i suoi cari. ri rra Fe n co i qu ra co an no So Arnoldo Avanzi

Arnoldo Avanzi

di Carissimi, ea, senza però far nulla id ia m la r pe to or m no Non piangetemi so mini. male alle cose e agli uo o, rbo rancore per nessun se n no e o un ss ne io od Non ci rivedremo in cielo. Arnoldo

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Albino Albico (biglietto ritrovato dopo la Liberazione, nascosto tra i calcinacci d’una parte della cella)

Carissimi, mamm a, papà, fratello so rella e compagni mi trovo senz’altro tutti, a breve distanza d a ll ’e se Mi sento però calm cuzione. o e muoio sereno e co n l’animo tranquil Contento di mori lo. re per la nostra ca usa: il Comunismo e p er la nostra cara e bella Italia. Il sole risplender à su di noi “doma ni” perché TUTT riconosceranno ch I e nulla di male ab b ia mo fatto noi. Voi siate forti com e lo sono io e non disperate. Voglio che voi sia te fieri del vostro Albuni che sempre bene. vi ha voluto Albino Albico

ci ad Angeli miei, 24 ore per sottopor di ta vi la o at ng lu ci hanno al ta mi è passata vi un interrogatorio. la a tt Tu . ri ie ns ta lunga di pe figlia E’ stata una giorna o, tu moglie mia, tu tt tu at pr so o, tt tu innanzi, ma più di ata mia…. e se per questo è st e: rt ce e en at si à, fa Il mondo migliorer . La mia fede mi ci e… tt de ne be te re sa vita, necessaria la mia . andare sorridendo , come io per tutta ta vi la a tt tu r pe e cuor Tenetemi nel vostro bbo l’eternità. Tuo marito, tuo ba Paolo Braccini

Paolo Braccini “Verdi” (partigiano)

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La Resistenza in Italia “[...] su queste strade se vorrai tornare ai nostri posti ci troverai vivi e morti con lo stesso impegno popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza” Piero Calamandrei

Tre anni erano trascorsi da quel lunedì 10 giugno 1940 in cui Mussolini era comparso sul balcone di Piazza Venezia a Roma per annunciare alla folla lì riunita e all’Italia tutta che la guerra era scoppiata: “Combattenti di terra, di mare, dell’aria; Camicie nere della Rivoluzione e delle Legioni; uomini e donne d’Italia, dell’impero e del regno d’Albania, ascoltate! Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria: l’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia . [...] L’Italia proletaria e fascista è per la terza volta in piedi, forte, fiera, e compatta come non mai.

La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti: Essa già trasvola e accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: Vincere! E vinceremo……!”2 Fin dai primi mesi del conflitto si frantuma il mito fascista dell’Italia “grande potenza imperiale” dimostrando come otto milioni di baionette siano ben poca cosa riferite alle potenze militari delle forze in campo. Da quel giorno sanguinose e terribili prove dovettero affrontare l’esercito italiano impegnato su più fronti (spesso male organizzato e soprattutto male equipaggiato) e la popolazione civile bombardata dagli aerei degli alleati; la disastrosa campagna di Russia e la sconfitta nel nord Africa, la distruzione di

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Numero de “Il Popolo d’Italia dell’11 giugno 1940

aerei e navi, la perdita dell’impero africano tanto esaltato da oltre mezzo secolo dai nazionalisti, che era costato tanto in sacrifici umani e di risorse economiche, alla fine portarono l’Italia verso una crisi che ebbe il suo epilogo il 25 luglio del 1943, quando il regime fascista fu spazzato via, senza incontrare alcuna opposizione, dal colpo di stato della monarchia, colpo reso possibile non soltanto perché era già stato schiacciato dalla sconfitta militare, ma anche perché era venuta meno intorno ad esso ogni solidarietà e consenso. A distanza di poco più di due anni da quel 10 giugno 1940, in cui il Duce prometteva di fronte alla folla entusiasta, onori e gloria, i segnali della disfatta scavalcano prepotentemente ogni censura. Da tutte le città del paese si moltiplicano le allarmate relazioni di questori e prefetti che parlano di “disagio diffuso” ; le forze antifasciste cominciano ad organizzarsi. Tra il giugno del 1942 e i primi mesi del ’43, in riunioni clandestine, vedono la luce gli organi della democra28

zia italiana. Nasce il Partito d’Azione, si organizzano le anime socialiste, viene fondata la “Democrazia Cristiana”; si fanno sentire anche i liberali. Il partito comunista, forte di un apparato clandestino ed esperto, consolida la sua presenza nel paese. All’inizio la popolazione non risponde agli appelli di mobilitazione, prevale il disorientamento, la confusione,, in particolare tra le generazioni cresciute sotto il fascismo. La crisi del 1943 era maturata sull’onda della sconfitta e del diffuso malcontento contro la guerra e contro l’alleanza con la Germania nazista. Era stata necessaria la tragedia delle campagne invernali in Albania e in Russia nella quale era stata messa a nudo la miseria della guerra fascista per dare al paese la spinta decisiva a dissociarsi dal regime. Le ragioni di un nuovo impegno collettivo anche degli intellettuali e delle giovani generazioni più politicizzate che nella Resistenza avrebbero trovato il senso della Nazione e dell’uguaglianza della società. In alcuni casi questo disagio è la prima tappa di una presa di coscienza; il 25 luglio si trasforma in gioia passeggera, nella rabbia degli emblemi fascisti divelti; l’8 settembre diventa smarrimento che via via acquista la forza di una scelta. L’abbattimento del regime fascista non era stato opera del movimento antifascista che nei lunghi anni dell’occupazione aveva tenuto viva l’idea della lotta contro la dittatura per rinnovare il paese, tuttavia, la situazione nuova creata dal colpo di stato, offriva anche all’antifascismo il modo di cominciare ad attivare concretamente la sua lotta.


Quando il re decide di allontanare Mussolini dal potere, si preoccupa di fare in modo che la sua azione appaia come una “conseguenza legale” del voto contrario a Mussolini durante il Gran consiglio del 25 luglio. Attorno al 20 agosto si ebbero alcuni pesanti bombardamenti alleati su Genova, Milano e Torino; il 3 settembre viene firmato segretamente l’armistizio tra il governo italiano, presieduto da Badoglio e gli alleati. A livello istituzionale la confusione regna sovrana, lo stato non esiste più, l’esercito si sfalda, il re e Badoglio fuggono, l’Italia è spaccata in due: nel sud si ricostituisce il governo, prima a Brindisi, poi a Salerno e si distende il potere dei nuovi alleati anglo-americani; nel centro-nord riappare il governo fascista col nome di RSI (Repubblica Sociale Italiana) mentre si allarga ovunque il potere e l’occupazione tedesco. Lo stesso giorno, la popolazione romana a Porta S.Paolo e in altri quartieri di Roma, affianca alcuni reparti dell’esercito per impedire l’avanzata delle truppe tedesche di Kesserling. Di lì a pochi giorni anche i partigiani, con le poche armi recuperate, salgono sulle montagne dando inizio alla lotta partigiana; sono consapevoli della scelta, delle difficoltà e dei sacrifici che dovranno affrontare. A uomini che si erano formati nella lotta politica clandestina si uniscono spontaneamente militari, sbandati, operai, contadini, giovani della piccola e media borghesia, intellettuali.

Elena Bono, poetessa italiana, ha dedicato una poesia a Luigina Camotto, savonese, fucilata a settant’anni per aver detto: “Sono vecchia e non servo più a niente: Invece i giovani che cercate servono a qualcosa e non sarò io a darveli: Fate quel che volete”

Morire una morte così! Fucilata a settant’anni. Il tuo mucchietto d’ossa insanguinate. Per salvare quei giovani non ha rinunciato alla vita ma alla tua morte la dolce morte da tanto tempo aspettata. Elena Bono

Un gruppo di partigiani in montagna

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Un sogno: Libertà

Piove

Apro gli occhi e vedo un campo di battaglia sofferenza, violenza. Sogno di libertà, sogno di pace, ma ci aspetta solo morte e dolore per i nostri cari.

Piove… Non semplice pioggia ma lacrime di dolore per ciò che è accaduto per tutte le crudeltà della guerra passata

Debora Fino

La giornata è lunga La giornata è lunga la guerra ancora non finisce. Chiassosi spari di fucili dilaniano il corpo di un ragazzo che voleva la pace. Rossella Prisco

Anche le motivazioni che spingono questi uomini a prendere la via della montagna sono diverse: è una guerra di liberazione nazionale e, al tempo stesso, di scontro civile a cui si affiancano, soprattutto per il carattere politico prevalentemente di “sinistra” delle bande partigiane, la speranza e la lotta per il rinnovamento sociale. A imbracciare il fucile è comunque una minoranza: ad ottobre circa 10.000 uomini: le cifre ufficiali non tengono conto della Resistenza della popolazione

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Piove… Piove tutto il sangue versato per un’inutile guerra di singola idea contorta, di diversità Piove… Piove il semplice ricordo di tutto ciò che è accaduto di tutto ciò che ci unisce… Piove… Andrea Montepietra

civile, quel moto di opposizione al nazifascismo fatto di piccoli e grandi gesti, di solidarietà e di lotta quotidiana per il rinnovamento anche sociale. La maggioranza della popolazione si rinchiude nel silenzio, in una lotta quotidiana per la sopravvivenza che spesso lascia posto all’egoismo e all’opportunismo; è chiamata, questa, la “zona grigia” che comunque andrà progressivamente maturando il rifiuto e la disaffezione verso il fascismo. Non pochi sono quelli, specie fra i giovani, che ancora credono in Mussolini,


che aderiscono alla RSI3 costituitasi il 23 settembre ’43; è una scelta che spesso ha i contorni della disperazione, della sensazione che, tanto, non si può fare niente. Alcune formazioni fasciste come la X Mas, la legione “Ettore Muti” e altre scelgono la via del terrore; e il terrore fa la sua apparizione più odiosa negli eccidi della popolazione civile: in settembre, a Boves, nei pressi di Cuneo, per rappresaglia per l’uccisione di un soldato tedesco, le SS incendiano il paese e uccidono 23 persone. E’ il primo di una serie di eccidi i cui protagonisti saranno vittime civili e combattenti partigiani. Un’altra strategia del terrore attivata dai nazi-fascisti, è la deportazione, soprattutto nei confronti degli ebrei. Il 16 ottobre 1943 il “ghetto” di Roma è circondato e rastrellato dalle SS: più di mille ebrei, uomini, donne, bambini, vecchi e giovani, saranno deportati nei campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau e solo undici di loro faranno ritorno dopo la guerra. Tra il settembre e l’ottobre del ’43 migliaia di soldati italiani sono deportati nei campi di lavoro in Germania e Polonia per lavorare nell’industria e nell’agricoltura. E’ nel centro-nord che si prepara la lotta armata. I primi partigiani sono alle prese con problemi di organizzazione, di addestramento delle reclute, di reperimento e rifornimento di armi tra mille difficoltà di collegamento e nella massima segretezza con cui i gruppi sono costretti ad operare; i lanci degli alleati non sono regolari, le armi sono solo quelle leggere e spesso capita che quello che cade dall’alto

finisca in mano ai nazi-fascisti anziché ai partigiani. Nel giugno del ’44 il comando militare dei reparti dei partigiani venne affidato al generale dell’esercito Raffaele Cadorna, a Ferruccio Parri, appartenente al Partito d’Azione e a Luigi Longo del Partito Comunista Italiano (PCI). Durante tutto l’anno 1944 questi raggrupparono e riorganizzarono le fila partigiane alle dipendenze di un “Comando Corpo Volontari per la Libertà”. Le singole formazioni vennero strutturate in reparti con compiti soprattutto militari: ostacolare con sabotaggi e attacchi di sorpresa i tedeschi e i fascisti, occupare buona parte dei reparti tedeschi in rastrellamenti o azioni di sorveglianza in modo da tenerli lontani dai fronti dove si combatteva, attaccare l’avversario quando era possibile. Il momento più aspro della guerra combattuta dai partigiani contro i tedeschi e i fascisti si ebbe tra l’autunno e l’inverno del ’44, dopo che il fronte si attestò sulla “Linea Gotica” che andava da Rimini a Forte dei Marmi. Mentre i partigiani cercavano con le loro azioni di aiutare l’avanzata degli alleati, i tedeschi si diedero a imponenti opere di rastrellamento della popolazione civile ed esecuzioni in massa come a Marzabotto, S. Anna di Stazzema e in altre località.

NOTE 2 Da Il Corriere della Sera, 10 giugno 1940 3 R.S.I. = Repubblica Sociale Italiana, capeggiata da Benito Mussolini

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Testimonianze

Testimonianza di Pierino Agoletti (anni 89) reduce della II Guerra Mondiale combattente col I Battaglione Autocarrato (reparto che fu inviato a combattere in Russia dove venne decimato. Pochi furono, tra i suoi compagni ed amici, quelli che si salvarono). Lui, quando l’esercito italiano partì per la Campagna di Russia, era in licenza agricola (era un contadino), così rimase in Italia e fu affiancato ad un Battaglione di Presidio. “Nel 1943 il mio battaglione viene trasferito in Corsica dove ero addetto al servizio nei porti che venivano bombardati spesso dagli alleati. Con noi italiani non c’erano tedeschi che invece sono arrivati dopo l’8 settembre con l’intento di catturare noi soldati italiani. Quando il

governo firmò l’armistizio con gli alleati, il comando delle forze italiane in Corsica non era stato avvertito e neppure erano stati impartiti ordini. Così molti di noi, non sapendo cosa fare, decisero, insieme ai comandanti e agli ufficiali di darsi “alla macchia” sulle montagne, quando vedemmo delle navi tedesche attraccare a Bastia e quando notammo che i i nazisti sbarcavano sui loro carri armati. Alcuni soldati italiani non scapparono, furono presi e deportati in Germania. Su quelle montagne si pativa la fame, eravamo in mezzo alla montagna, mangiavamo quello che capitava; una volta abbiamo ucciso e mangiato uno dei nostri cavalli. Lì i tedeschi non venivano a scovarci, per fortuna, perché noi non avevamo, come armi, altro che una baionetta a 33


Soldati spingono un’auto durante la campagna di Russia

Vita Cambiata Una notte come tante a letto alla solita ora. Ma quella notte tutto cambiò; sentii spari,rumori di aerei da guerra che volavano sul mio tetto. Quella notte tutto cambiò il sogno di trasformò in incubo, un incubo chiamato: guerra. Giovanna Lietone

testa e poche munizioni perché quando eravamo scappati avevamo lasciato tutte le nostre armi, che comunque non erano molto potenti, in caserma. Dopo più di un mese della nostra permanenza alla macchia, arrivarono gli alleati: A quel punto alcuni ufficiali che

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avevano preso contatto con gli americani, vennero a chiamarci sulle montagne perché tornassimo a ricostituire il nostro battaglione. Così, a piccoli gruppi, scendemmo e ci ritrovammo; non tutti, perché qualcuno mancava. Si formò un battaglione alle dipendenze degli americani che ci portarono a lavorare chi da una parte, chi dall’altra nei porti e nei campi d’aviazione. Io era addetto alla mensa e lì ci stavo proprio bene. Dalla Corsica fummo portati in Sardegna poi a Napoli già liberata, poi a Caserta dove andammo a far parte dell’esercito cobelligerante sotto il comando degli anglo-americani. Io lavoravo nelle officine dove mi ha raggiunto la notizia della resa dei tedeschi e della fine della guerra in Italia il 25 aprile del 1945. Non avevo potuto tornare a casa subito, anche se lo desideravo tanto: erano due anni che non avevo notizie di casa mia e della mia famiglia e loro non sapevano niente di me; mi diedero una licenza il 9 maggio, arrivai a Reggio l’11 maggio dopo aver viaggiato su di un camion di soldati diretto a Milano. La strada da Reggio fino ad Aiola la feci a piedi: ebbi così modo di vedere i disastri e le ferite che la guerra aveva lasciato e sentivo crescere in me un’angoscia che cresceva via via che avanzavo. Quando arrivai dove c’era la mia casa non vidi altro che una spianata; mi prese un colpo al cuore, pensavo alla mia famiglia e temevo


che non avrei più rivisto mia moglie, la mia bambina e mia madre. Tutti i più brutti pensieri mi affollavano la mente, ero proprio disperato, piangevo, ero distrutto. Per fortuna passò un mio conoscente che si fermò, incuriosito nel vedere quel soldato così disperato , mi riconobbe e mi disse: “Piero, non preoccuparti, la tua famiglia è salva, stanno tutti bene; ora abitano a Tortiano, dopo che i tedeschi hanno raso al suolo “al ghèt” 4 per costruire un campo volo per i loro aerei”. Così finì la guerra per me perché non sono più tornato dalla licenza; che mi venissero a prendere, se volevano, io avevo deciso di non lasciare più la mia famiglia e di rimettermi al più presto a lavorare”.

Testimonianza di nonna Autilia e nonna Olimpia, abitanti ad Aversa, in provincia di Napoli, che erano ragazzine durante la II Guerra mondiale:

concentramento. La sera c’era il coprifuoco: ad un certo orario non si poteva più uscire, chi lo faceva veniva ammazzato se incontrava le pattuglie dei fascisti o dei tedeschi. Per avere una scodella di pasta bisognava lavorare sotto il comando dei tedeschi e bisognava per forza ubbidire; questo valeva anche per i bambini; chi non ubbidiva veniva punito, sembrava un inferno. Spesso tutte le famiglie del paese si nascondevano nelle grotte per sfuggire al rastrellamento durante il quale prendevano le persone che trovavano, soprattutto gli uomini. Non vedevamo l’ora che finisse tutto questo. Nel 1944 noi, al sud, incominciammo a stare un po’ meglio perché arrivarono gli Americani”. Le truppe alleate marciano per le strade di Roma

“Durante la guerra si viveva male perché non c’era niente da mangiare e si poteva acquistare una sola razione a persona con una tessera, in mano. Non avendo da mangiare molto, la gente si ammalava e spesso moriva. In quel periodo era diffusa una malattia molto brutta, chiamata scabbia, dovuta alla poco igiene; spesso si prendevano i pidocchi o la scabbia. C’era molta paura dei tedeschi perché ammazzavano le persone con grande facilità, prendevano ostaggi e molta gente veniva portata via, messa nei campi di

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Testimonianze del nonno e della nonna di Davide Rinaldi raccolte dal nipote:

Soldati tedeschi presso un villaggio

Testimonianza della nonna di Marco Castagnetti raccolta dal nipote: Mia nonna Giuseppina, cha al tempo della seconda guerra mondiale aveva otto anni, mi racconta spesso che allora c’era molta povertà. Lei ricorda che alle undici di ogni sera passava un aereo chiamato “Pippo” e se vedeva una luce in una casa iniziava a bombardare, perciò bisognava stare sempre con le luci spente. Di giorno, poi, spesso si sentivano i fischi delle bombe; se il fischio era più forte significava che bomba era caduta vicino. Mi ha raccontato che un giorno d’estate stava passeggiando in un campo quando, ad un certo punto, sentì una voce: era un partigiano nascosto dove , di solito, venivano riposti gli attrezzi agricoli. Questo partigiano le chiese del cibo e lei corse a casa a prenderlo, poco dopo ritornò dal partigiano con quello che aveva trovato da mangiare. Il partigiano, ringraziandola, le chiese di non riferire a nessuno il suo nascondiglio. 36

“Mio nonno un giorno si è messo a raccontare della sua vita durante gli anni della II Guerra Mondiale, di quando era a Bibbiano come militare e doveva stare con i tedeschi, mangiare con loro, vivere con loro, insomma, perché il Nord dell’Italia era ancora sotto i nazifascismi. Una notte, stanco di aiutare i tedeschi, prese una moto con due suoi amici e scappò verso sud per raggiungere gli alleati. Erano già in Toscana quando da un treno tedesco furono avvistati e fermati. Dopo che ebbero fatto alcune domande i tedeschi capirono che i tre erano scappati dal Nord e quindi furono arrestati. Il treno era pieno di deportati, cioè persone che erano dirette in Germania, nei campi di lavoro o nei campi di sterminio; mio nonno e gli altri due furono caricati sul treno, in un vagone insieme ad una trentina di altri sfortunati. Mio nonno ha descritto l’interno di quel treno come un vero inferno, tutto buio e sporco. A metà viaggio mio nonno e i suoi amici riuscirono a saltare giù dal treno e a salvarsi. Poco dopo la guerra finì: è stato davvero fortunato!”. “Mia nonna mi ha raccontato di quando abitava a Scandiano, dove ha visto cose così brutte che ancora oggi fa fatica a raccontare. Aveva un vicino vecchio e gobbo che nonna Dimma conosceva da quando era una bambina. Un giorno sei o sette fascisti,


che stavano girando per il quartiere, videro il povero vecchio che stava trasportando un sacco di grano da casa sua al mulino; insospettiti, si avvicinarono e gli bucarono il sacco: dentro, oltre al grano c’era anche della carne e delle verdure. Stava portando questo cibo a suo figlio che era partigiano, nascosto nel bosco, vicino ad un piccolo fiume che scorreva nei pressi. Lo presero, il povero vecchio e, davanti a tutti, in piazza, con una pinza, gli staccarono gli occhi e glieli misero in tasca; poi presero un ferro da stiro e gli stirarono la gobba, infine, dopo averlo così torturato, lo fucilarono. Questo racconto mi ha sconvolto perché non pensavo che la crudeltà potesse arrivare a tanto!

La nonna mi ha raccontato anche di quando i suoi zii e i suoi cugini ospitarono un tedesco in casa: lui sembrava una brava persona e non di certo un nazista. Lo zio era un partigiano ma ormai era troppo vecchio per raggiungere gli altri e si occupava quindi di trovare e far recapitare i viveri ai partigiani accampati in montagna. Dopo un po’ di tempo che il tedesco viveva con i miei zii, un giorno scomparve; alcuni giorni dopo a casa di mio zio giunse un gruppo di nazisti che distrusse la casa e uccise tutti gli occupanti tranne una ragazza che non era lì in quel momento. Le disgrazie della famiglia della nonna non finirono lì, perché suo padre fu preso dai nazi-fascisti e portato in un campo di concentramento da dove non tornò mai più”.

Libertà

Quando l’uomo potrà sperare?

Libero di pensare di parlare felice intorno a me c’è pace dove prima c’era la guerra.

Per una guerra, milioni di morti. Per una guerra, una bandiera e un vincitore. Uomini salvi sulle colline guardano il tramonto su un fiume di sangue dove la morte è coperta da un velo di nebbia. Per una guerra, soldati che a casa non torneranno. Per una guerra, dolore e sofferenza. Quando l’uomo potrà sperare?

Marco Castagnetti Bianco Bianca la neve su cumuli per terra Bianco il fumo dal camino Bianche le voci che gridano al cielo Ma nulla è bianco, in tutto questo.

Andrea Arnone

Mattia Morini 37


Gli abitanti di un paese osservano il cratere di una bomba d’aereo

Testimonianza di Maria Beggi, bisnonna di Mattia Morini attraverso il racconto fatto al nipote. “Erano tempi molto difficili quelli, soprattutto perché mancava mio marito da casa. Infatti mio marito, ovvero il tuo bisnonno Gino Vergalli, era un militare distrettuale a Reggio, proprio nel ’39, quando io ero incinta della mia prima figlia Eles (poi verranno Rosanna nel ’41 e James nel ’42) e avevo solo diciassette anni. Ma quando gli americani sbarcarono in Sicilia, lui e tutti i soldati furono mandati sul posto. Là capì che era meglio disertare e, grazie ad una moto, riuscì a scappare e lavorare come contadino per una contessa. Man mano che gli americani risalivano l’Italia, lui risaliva con loro, facendo “viaggi” molto rischiosi come il passaggio dalla Sicilia alla Calabria su una barca come clandestino. Alla fine arrivò fino a Prato. Intanto , però, a casa, nessuno sapeva se era ancora vivo, perchè era stato dato per 38

disperso. Riuscì alla fine ad arrivare a Rubiera e si ricordò di un contadino bibbianese che abitava lì e si fece prestare una bici. A casa però non era meno dura: io avevo vent’anni e tre bambini piccoli ed ero costretta, a volte ad ospitare dei partigiani. Fu sganciata anche una bomba vicino alla stazione, che per fortuna non fece danni, infatti precipitò in un campo. Ma a far paura non erano solo i tedeschi o i fascisti, infatti anche i partigiani, una volta, entrarono in casa e rubarono tutto quello che c’era, anche il cavallo. Fortunatamente un comandante partigiano vide la scena e ordinò di rimettere l’animale al suo posto. Era l’unica cosa che ci permetteva di spostarci e procuraci il cibo; sono convinta che se non si fosse presentato quel comandante sarebbero entrati anche nel negozio che avevamo. Nella nostra casa c’era un grande salone diviso in due: una parte fungeva da magazzino, l’altra da abitazione. Un giorno aprii i finestroni e passarono i fascisti che vollero entrare per vedere cosa fosse tutta quella roba che si vedeva dalla strada. Non trovarono niente ma a mio marito piaceva portare le camicie nere e ne trovarono una. Subito divennero furibondi e cedettero che ci fosse qualcosa di losco. Fortunatamente andarono via senza fare danni. Nei giorni immediatamente precedenti la liberazione ci furono anche dei festeggiamenti prematuri: gli americani andarono in paese a festeggiare, distribuirono anche caramelle ai bambini, ma poi scapparono perché passarono i tedeschi che si stavano ritirando e che, arrabbiati, distrussero molte cose.”


Testimonianza del nonno di Clemente Saccani Vezzani, che abitava nella Valle di Maddaloni (Caserta), dove operavano, nei boschi sui monti, i partigiani.

dentro le fascine di legno; in questo modo passavano inosservate e raggiungevano i combattenti con le provviste.”

“Quando un tedesco veniva ucciso, fucilavano dieci italiani presi durante i rastrellamenti fra la popolazione maschile. I tedeschi entravano nei paesi, cercavano in tutte le abitazioni per arrestare tutti gli uomini e anche i ragazzi; quelli che tentavano di scappare li fucilavano sotto gli occhi delle loro famiglie. Avevo undici anni quando fui catturato dai tedeschi e mi misero in un campo con altri prigionieri; mi facevano caricare sui camion le munizioni e poi, quando non servivamo più ci facevano scavare delle grandi buche. Se veniva ucciso un tedesco, ci mettevano in fila sul bordo della fila e contavano: uno si e uno no; i primi venivano fucilati, i secondi si salvavano. Quelli che si erano salvati dovevano coprire le fosse dei loro sfortunati compagni. Io sono stato fortunato perché, ogni volta che contavano, mi trovavo sempre al posto giusto, di quelli che si salvavano. Un giorno il campo dei tedeschi fu bombardato dagli anglo-americani e io, insieme con altri amici, riuscii a scappare e a nascondermi nei boschi, fino a quando non arrivarono gli alleati a liberare la nostra terra. I partigiani se ne stavano sulle montagne e il cibo veniva mandato dalle loro famiglie o da altre persone non alla luce del sole, ma di nascosto. Venivano mandate delle ragazzine che nascondevano il cibo

Testimonianze di Maria Mantovi, nonna di Tesauri Natalia. “Una sera invernale del 1944 al Ghiardo, un piccolo gruppo di partigiani andò a casa di Maria, chiedendo, con un fare privo di gentilezza, come fosse un ricatto, di poter essere ospitato. I partigiani per non essere riconosciuti portavano una specie di passa montagna, ma Maria che stava cucendo ad un tratto le cadde un gomitolo e nel raccoglierlo, guardando dal basso un partigiano, lo riconobbe. Maria e le sue sorelle prepararono del gnocco fritto con del salume. Due giorni dopo i fascisti, durante il loro solito giro d’ispezione andarono a casa di Maria per fare un controllo perché avevano visto un buco in una tenda. Infatti a quel tempo le finestre dovevano essere oscurate con dei sacchi per non vedere fuori se no si veniva bombardati dagli aerei. Veduta dell’Appennino reggiano

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Un’altra notte tutta la famiglia di Maria e lei compresa stavano dormendo quando, all’improvviso bussarono alla porta dei fascisti, che però si finsero partigiani e chiesero di poter entrare. La famiglia rispose di andarsene perché non li conoscevano. A quel punto i fascisti iniziarono a minacciare che avrebbero buttato giù la porta. Nessuno voleva andare ad aprire la porta perché avevano paura, ma alla fine ci andò il padre di Maria. I fascisti lo presero per la gola e gli chiesero dov’era il raduno dei partigiani, ma lui non lo sapeva così i fascisti chiesero in quanti abitavano in quella casa e la loro età. Se avessero trovato una persona in più sarebbe stato ucciso. I fascisti scoprirono che il cugino di Maria, Giuseppe, aveva diciassette anni, quindi lo presero e lo portarono nel covo fascista, forse credendo che fosse un partigiano perché a quell’età era molto probabile.

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Tutti erano disperati perché non si sapeva cosa gli avrebbero fatto, si rincuorarono un po’ quando in fondo allo stradello sentirono le voci di alcuni loro amici, almeno Giuseppe non era stato l’unico ad essere catturato. Il mattino seguente il padre di Maria andò dal prete del paese, Don Spallanzani, supplicandolo di andare dai fascisti per riavere il figlio perché era gente che non lavorava con i partigiani. Giuseppe fu interrogato per tutta la notte, ma poiché non conosceva il covo dei partigiani, nel pomeriggio del giorno seguente la cattura, venne rilasciato insieme agli amici, con grande sollievo di tutti”.

Testimonianza del nonno di Natalia Tesauri, raccontata dalla nipote: “Mio nonno Camillo, durante il periodo bellico, era ancora un ragazzo, aveva circa diciotto anni quando La semplicità della vita nelle nell’Italia del montagne negil anni ‘40 nord venne instaurata la Re pubblica Sociale. A quell’età bisognava presentarsi militare ma Camillo non lo fece e restò nascosto in casa fino a quando si


presentò a casa sua la Brigata Nera5 minacciando che avrebbe arrestato il padre di Camillo, Antonio, se il ragazzo non si fosse arruolato. Camillo dovette presentarsi. La Brigata Nera lo portò a Reggio dove stette per un mese facendo il fante, poi fu portato a Novara dove, nel 1944, arrivò l’ordine di partire per la Germania. Camillo, temendo che da là non sarebbe forse più tornato a casa, tentò la fuga riuscendo ad arrivare a piedi fino a Piacenza, dove fu però scoperto e catturato. Stette un giorno in carcere poi venne riportato a Novara dove subì il processo; la condanna fu quaranta giorni di carcere poi la fucilazione. Il nonno naturalmente era disperato ma quattordici giorni dopo fu deciso di spedirlo in Germania insieme ai compagni. Così, in febbraio, in pieno inverno, Camillo partì con la sua divisione per la Germania su un treno di vagoni per il bestiame, completamente chiusi e sigillati. Il treno si fermò al Brennero per fare rifornimento: chi cercava di fuggire, veniva facilmente catturato e fucilato subito. Il treno riprese il viaggio e la divisione arrivò a North Lager, un campo di addestramento dove Camillo affrontò sei mesi di istruzione; per tre mesi gli fecero fare le “grandi manovre”. A North Lager Camillo arrivò a pesare 35 chili perché il cibo era molto scarso e per niente nutriente. Una volta rubò una rapa e per questo dovette subire un processo; il suo colonnello lo salvò. Tutti i giorni si alzava molto presto e, in mutande, faceva un chilometro di marcia poi si vestiva e faceva colazione e infine

Nonno, ti chiedo come Come hai vissuto la guerra? Tu taci, il volto cambiato, gli occhi bassi pieni di antiche immagini della tua giovinezza violata da orrori. Non hai voglia di ricordare e cambi discorso. Natalia Tesauri

si recava al campo di addestramento dove Camillo aveva il compito di stendere i fili del telefono. Alla fine del marzo 1945, quando gli alleati erano ormai prossimi ad arrivare a Bologna, Camillo decise di scappare da solo, di notte; riuscì ad arrivare a Piacenza, a piedi, per lo più, poi, grazie a dei pompieri che l’avevano caricato sul loro camioncino, riuscì ad oltrepassare un posto di blocco da dove proseguì a piedi. In due giorni Camillo fu di nuovo a casa ma, essendo scappato, dovette nascondersi dai suoi zii a Ciano e solo il 25 aprile, riuscì a tornare a casa”.

NOTE 4 Gruppo di poche case con tante famiglie 5 Brigata Nera: Corpo armato di guardie fasciste

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La scelta della lotta armata

Alle origini della Resistenza italiana, di quel ciclo di eventi che ha inizio la sera dell’8 settembre del 1943 con l’annuncio radiofonico di Badoglio dell’armistizio con gli anglo-americani e che si concluse il 25 aprile 1945 con la liberazione delle grandi città del nord, c’è l’evento epocale del XX secolo: la seconda guerra mondiale. Quando viene dato l’annuncio dell’armistizio una parte della popolazione italiana, quella più cosciente e più preparata era pronta a intraprendere, anche se ancora non se ne rendeva conto, una nuova lotta. La guerra fascista era stata un totale fallimento, era tempo che iniziasse una guerra “popolare” condotta non più da un esercito regolare ma da libere e autonome forze della gente che voleva cambiare le cose e opporsi al fascismo e alla dominazione nazista.

La fuga del re, di Badoglio e l’indegno comportamento di alcuni generali furono la causa della dissoluzione del vecchio esercito; all’indomani della proclamazione dell’armistizio, l’esercito allo sbando, lasciato senza ordini e senza direttive , con quelle parole di Badoglio: “la guerra continua” che apparivano senza logica, ogni soldato non pensò ad altro che a raggiungere la propria casa, Era questo un gesto di rifiuto di un conflitto che era stato iniziato e condotto solo per la mania di grandezza, di prestigio e di potenza del fascismo, che non poteva che infiammare l’animo delle persone se non per breve periodo poiché ci si sente spinti al sacrificio solo quando c’è la possibilità di realizzare qualche ideale che possa far migliorare la propria vita, quella degli altri e, soprattutto, quella delle generazioni future.

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Un vecchio partigiano di Bibbiano, Remo Bonazzi, un giorno , quando un gruppo di alunni della scuola media si recò al Centro Anziani, che lui frequentava, raccontando le motivazioni che lo avevano spinto, insieme ai suoi compagni, a prendere la via della lotta armata e farsi partigiani, disse: “Ragazzi, noi pensavamo che dovevamo costruire un’Italia migliore, dove tutti potessero avere le stesse possibilità e occasioni e io, quando vedo i ragazzi come voi che vanno tutti a scuola a imparare, indipendentemente dal fatto che la famiglia sia ricca o no, allora sento che ho fatto la cosa giusta a combattere, che i miei compagni caduti si sono sacrificati per qualcosa di importante e che tutti noi abbiamo vinto”. Il 9 settembre 1943 i partiti antifascistiì: democratico-cristiano, socialista-unitario, comunista, liberale, demolaburista e azionista, annunciarono ,con un proclama la costituzione, del Comitato Di Liberazione Nazionale (CLN). La decisione fu presa da Alcide De Gasperi per la democrazia cristiana, da Pietro Nenni per il partito socialista unitario e da Mauro Scoccimarro per il partito comunista. Ben presto però si evidenziò una spaccatura tra coloro che volevano escludere una guerra civile e coloro che invece avevano deciso che i fascisti andavano combattuti comunque e con ogni mezzo. Alla fine, nel nord Italia, prevalse questa linea. La rivolta spontanea, invece, slegata dai partiti si realizzò quasi esclusivamente nell’Italia del Sud e solo nei giorni im-

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mediatamente successivi all’8 settembre 1943. Oltre questo ci fu la ostinata silenziosa resistenza dei seicentomila soldati italiani deportati in Germania e la disperata azione compiuta il 14 settembre 1943 dai soldati di Cefalonia6, massacrati poi dai tedeschi. A Milano e in altre città del centronord si costituì il Comitato di Liberazione Nazionale e le prime formazioni partigiane furono costituite da militari sbandati, da giovani che non volevano rispondere ai bandi fascisti e tedeschi che imponevano loro di presentarsi. Durante la prima fase della lotta partigiana, quando ancora le formazioni partigiane non si erano ben organizzate , il popolo italiano diede aiuto spontaneo ai prigionieri alleati o agli ebrei, molti dei quali, furono accompagnati al di là della frontiera svizzera; molti giovani ebrei, invece si aggregarono alle prime bande partigiane per combattere con loro. La resistenza italiana, tuttavia, non fu mai vista dagli alleati, soprattutto dal premir inglese Winston Churchill con eccessiva simpatia, perché temevano che, se fosse riuscita ad acquistare il carattere di un vero e proprio esercito, avrebbe potuto avanzare richieste pesanti e modificare ciò che era stato sottoscritto nel documento dell’Armistizio e poter ottenere clausole meno dure. L’aiuto degli alleati alla lotta clandestina fu piuttosto limitato, fino all’inizio del ’44, avrebbero voluto che si limitasse a compiti secondari come, appunto, l’aiuto ai prigionieri o al sabotaggio. In Italia, ma anche in altri paesi si arrivò a discutere se si doveva considerare


vero partigiano colui che aveva combattuto con le armi o anche chi appoggiava questa lotta e la sosteneva: alla fine si capì che senza il sostegno e l’appoggio di coloro che restavano nelle campagne o nelle città, non si sarebbe potuto raggiungere nessuna vittoria. Nell’autunno-inverno del 1943 le prime “bande” partigiane raccoglievano circa 10.000 persone che, già nella primavera del ’44 diventavano 30.000 e nell’estate 70-80.000 per raggiungere, nei primi mesi del ’45 la cifra di 120-130.000. I nuclei partigiani formavano una sorta di esercito organizzato , strutturato e disciplinato. Secondo calcoli del tempo il 40-50% dei partigiani appartenevano a formazioni comuniste, un altro 30% era legato al partito d’Azione e il resto era formato da cattolici e socialisti. C’erano infine le formazioni monarchiche che si dichiaravano apolitiche e facevano riferimento al generale Badoglio. La guerra partigiana fu lunga, durissima, segnata da feroci rappresaglie e da eccidi nazi-fascisti nei confronti delle popolazioni inermi che ritenevano appoggiassero i partigiani. Nella lotta di Liberazione caddero oltre 30.000 partigiani e 10.000 vittime civili; 40.000 furono deportati nei campi di concentramento e sterminio tedeschi, oltre 700.000 soldati italiani furono internati dopo l’8 settembre perché si rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò.

Se guardi il cielo Se guardi il cielo Vedrai la neve scendere giù E il sole che non splende più Se guardi il cielo Non smetterai più di piangere Non hai più niente da perdere Se guardi il cielo Forse smetterai di soffrire Forse smetterai di patire. Adesso non guardi più il cielo Gli occhi li hai chiusi Speravamo di vivere Ma eravamo degli illusi. Irene Trisolini

Marc Chagall: Ebreo in preghiera

NOTE 6 Un’isola della Grecia che era stata occupata dagli italiani

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Testimonianze

Testimonianza di Livio Ferretti (anni 83) , staffetta partigiana di nome Eros. “Avevo 19 anni quando mi hanno preso e costretto ad andare a militare nella RSI. Mi hanno spedito in Germania dove sono rimasto dalla fine del ’43 alla fine del ’44. Lì ci facevano istruzione sull’uso delle armi, ci addestravano per andare a combattere. La zona in cui ci avevano portato era vicino ad Ulma, non lontano da Monaco di Baviera e dalla Svizzera. Eravamo tanti giovani, circa 600-700 e all’inizio non volevamo aderire alla Repubblica di Salò e perciò ci trattavano come prigionieri; ci avevano mandato in una fabbrica di sapone e da mangiare ci davano del miglio col quale fare la zuppa. Quando abbiamo aderito, ci davano anche

delle patate e questo ci ha impedito di morire di fame, ma era dura ugualmente. Altri soldati italiani, invece, catturati dopo l’8 settembre, come prigionieri perché non avevano voluto aderire alla Repubblica di Salò, erano magri come quelli dei campi di concentramento; contro di loro spesso aizzavano anche i cani, li bastonavano e li maltrattavano. Alla fine del ’44, dopo l’addestramento, ci hanno portato in Italia, a Parma; dovevamo proseguire fino a La Spezia, dove dovevamo fare un rastrellamento di partigiani. Quando con il treno, che andava piano, siamo arrivati a Fornovo, sono scappato; era la notte di Santa Lucia. La ferrovia in quel punto scorre sopra un argine e quando mi sono lanciato dal treno mi hanno sparato contro, per for-

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tuna non mi hanno colpito; mi sono infatti lanciato giù dall’argine e mi sono ferito coi rovi che lo coprivano. Avevo male dappertutto ma almeno non ero stato ferito dalle pallottole, soltanto dalle spine che si erano conficcate nella pelle scoperta e là dove i vestiti si erano strappati. Sentivo un forte bruciore e mi sono accorto che ero insanguinato , comunque quando il treno fu abbastanza lontano mi sono alzato e ho cominciato a camminare, anche se non sapevo dove ero.

Locomotiva a vapore del Reich

Ho seguito da lontano, in mezzo ai campi, la ferrovia e alla fine sono arrivato nei pressi di una fontanella. Lì mi sono lavato come potevo e ho proseguito. Quando sono arrivato presso la stazione, sono riuscito a salire su un treno e arrivare a Parma. Il mio pensiero fisso era quello di allontanarmi più che potevo e andare a casa. Mi sono ritrovato in via Mantova e lì ho incontrato un pollaiolo7 che conoscevo; mi ha portato a prendere qualcosa in un’osteria poi mi ha accompagnato sulla strada per Brescello da dove sono arrivato a casa mia a Meletole. Il giorno dopo, a casa mia, c’era già uno che si chiamava Pietranera: era uno dei capi fascisti più “cattivi”; era venuto a

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vedere se ero a casa. Io però ero gia nascosto da un mio zio a Nocetolo e ci rimasi per sei, sette giorni. Una notte, però, è arrivata la Brigata Nera a cercarmi e voleva perquisire la casa; quando si è allontanata, mio zio non mi ha più voluto perché io stavo mettendo a rischio la sua famiglia. A quel punto un mio amico di Boretto mi mise in comunicazione con un suo conoscente di Parma, un certo Bertozzi; lui era un partigiano e quindi, col suo aiuto, cominciai a fare la staffetta col nome di Eros; io veramente avevo scelto come nome Bobi, ma ce n’era già un altro, così è stato scelto il nome sotto il quale ho operato fino alla fine. Andavo su e giù da Parma a Langhirano a portare e ricever ordini. Un giorno mi hanno mandato anche a Poviglio dove c’era un partigiano gappista8 di nome Drago che è stato avvertito proprio da me di scappare altrimenti l’avrebbero arrestato. Era pericoloso, per me, fare la staffetta perché mi stavano ricercando, ma questo era il lavoro che mi era stato affidato. Un giorno mi hanno spedito a S. Ilario d’Enza, il giorno dopo che avevano ucciso 21 partigiani a Cadè, a casa di un certo Silvio Cantoni che teneva due camioncini nascosti sotto la paglia; io lo dovevo avvertire che la sera dopo i partigiani sarebbero passati per ritirarli. Mentre tornavo verso Parma, incontravo di continuo fascisti e nazisti che erano dappertutto; ho incontrato un certo Riccò, che mi conosceva ed era un Maresciallo delle Brigate Nere. Io ero molto spaventato ma lui si è comportato con me come una brava persona, infatti mi ha chiesto: “Cosa fai qui?” Io gli ho spiegato


che dovevo andare a Parma a prendere delle cose e lui ha fatto finta di credermi e mi ha fatto scortare da uno dei suoi fino al Ponte d’Enza. Quel Bertozzi che mi aveva aiutato, era uno che faceva il doppio gioco: era un partigiano ma spesso si mescolava anche ai fascisti, per avere informazioni. Io però non ho mai saputo come si muoveva e cosa faceva, in realtà. Un giorno io e lui stavamo portando dei garofani rossi su un luogo dove avevano ucciso dei partigiani a Boretto; lungo la strada incontriamo due fascisti e lui mi fa: “Ci stai che li disarmiamo?” Io veramente avevo un po’ di paura, ma lui, senza aspettare la mia risposta, è andato dietro ai due e puntando sulla loro schiena le dita delle mani ha detto: “Mani in alto!” I fascisti hanno fatto cadere i mitra, io li ho presi al volo e messi dentro un sacco e poi siamo scappati a gambe levate perché c’era pieno di “neri” in giro. Siamo stati fortunati anche quella volta perché i fascisti, per non fare figuracce nei confronti dei loro camerati, non hanno dato l’allarme subito. Prima di Parma però ci hanno avvisato che i fascisti ci stavano cercando e siamo dovuti tornare indietro e nasconderci nella casa di qualcuno di cui non ricordo il nome. Quello dei partigiani non era un esercito regolare, ma era un vero e proprio esercito per quanto riguarda la disciplina: quello che veniva ordinato di fare, bisognava farlo. Anche mia sorella era fra i partigiani; anche lei era staffetta. Spesso, insieme andavamo a prendere le armi nelle case dei fascisti dove sapevamo che ce n’erano. Nel cortile della nostra casa c’era un pagliaio di quelli

che si facevano allora dove lei nascondeva spesso le armi requisite in attesa che arrivassero i partigiani a ritirarle. Io, per un certo periodo avevo portato una rivoltella ma poi me la fecero posare perché era ancora più pericoloso, per una staffetta, portare armi addosso. Nei primi mesi del ’45, a Parma, sono stato preso prigioniero. Io e un altro eravamo andati a fare un giro in città e lì mi hanno preso come civile durante un rastrellamento. Avevano ucciso un fascista detto Bragòn e questo era il modo in cui reagivano i fascisti che la notte seguente hanno ucciso tre persone e messo su di loro dei cartelli con su scritto: “Hanno rubato da Scarlatti”:. Quelli uccisi erano probabilmente dei partigiani che erano fatti passare dai fascisti come ladri o banditi. Sono rimasto in prigione circa 15 o 20 giorni e poi sono riuscito a scappare. Durante il periodo di prigionia mi avevano portato al comando provinciale e dormivo con i soldati. Una sera è venuto il momento giusto e sono scappato. Durante la prigionia, mi interrogavano e mi picchiavano, volevano sapere se avevo ucciso Bragòn. Io non ne sapevo niente. Con me c’era anche un Bonazzi di Taneto e anche lui è poi uscito tramite conoscenze, era amico di preti o del vescovo, non ricordo. Finalmente alla fine di aprile arrivò la Liberazione” . NOTE 7 Venditore di pollame che andava anche di casa in casa 8 Facente parte dei GAP: gruppi armati partigiani

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La Resistenza a Reggio Emilia

Anche a Reggio Emilia e in provincia la caduta di Mussolini fu salutata con espressioni di gioia, si era convinti che, con il fallimento del governo fascista fosse possibile che tornasse la pace. In tutta la provincia ebbero luogo manifestazioni, avvenimenti; il corteo più importante fu quello che si portò sotto la Prefettura per chiedere che fossero liberati i prigionieri politici. Venne anche deciso di scioperare alle Reggiane la più importante industria della provincia di Reggio Emilia che costruiva anche macchine belliche. Due giorni dopo, quando gli operai decisero di uscire dalla fabbrica occupata per andare a manifestare in centro, si trovarono sbarrati i cancelli da un reparto dell’esercito che aprì il fuoco sui dimostranti uccidendo nove lavora-

tori: Antonio Artioli, Vincenzo Belocchi, Eugenio Fava, Nello Ferretti, Armando Grisendi, Menozzi Gino, Osvaldo Notari, Domenica Secchi, Angelo Tanzi; cinquanta furono i feriti. Presto ai reggiani e agli italiani fu chiaro che la dittatura non era finita: sui giornali la censura era rigidissima, erano pieni di spazi bianchi, i cinema venivano chiusi presto, i soldati presidiavano le officine e i luoghi di interesse pubblico, le strade erano deserte ma si sapeva che molti cercavano notizie attraverso la radio. Vennero proibite assemblee di più di tre cittadini. Il colonnello Francesco De Marchi, comandante del Presidio militare, il primo agosto comunicò che “ il lavoro e l’ordine siano mantenuti ad ogni costo” e che “gli istigatori del disordine, riconosciuti come tali siano senz’altro

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fucilati se presi sul fatto, altrimenti (siano) giudicati immediatamente dal tribunale di guerra”. Nei giorni che seguirono l’eccidio delle “Reggiane” una parte di lavoratori non si presentò al lavoro e il comandante militare dichiarò “tutti coloro che non hanno ancora ripreso il lavoro, lo riprendano subito per non essere arrestati e deferiti al Tribunale Militare”, infine ordinava: “chiunque anche isolatamente compia atti di violenza o ribellione contro le FFAA o la Polizia o insulti le stesse istituzioni venga immediatamente passato per le armi” La gente era spaventata, nessuno osava avventurarsi lungo le vie, fermarsi a chiacchierare, ritrovarsi in bicicletta; il caldo insopportabile di quell’estate così avara di pioggia, rendeva tutto più allucinante. La speranza della fine di un incubo era svanita , ci si ritrovava senza prospettive, con l’esercito italiano ancora sparso in vari campi di battaglia e non se ne avevano che scarne notizie; ad aggravare il tutto, i tedeschi erano sparsi su tutto il territorio e questo creava, se possibile, ulteriore situazione di inquietudine. Il governo Badoglio e Vittorio Emanuele III non ispiravano nessuna fiducia anche perché non davano nessuna spiegazione e non indicavano nessuna prospettiva.

Vicolo di reggio Emilia

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I primi caduti della Resistenza

Il 25 luglio 1943 i gerarchi fascisti da quelli più in vista a quelli meno noti scomparvero immediatamente dalla scena, il regime si afflosciò su se stesso rivelando quanto fosse fragile di fronte ad una situazione così grave. Fra il 25 luglio e l’8 settembre, erano accaduti, a Reggio, due avvenimenti di notevole importanza: il primo fu la liberazione dei detenuti politici, trattenuti presso le carceri giudiziarie di San Tommaso che fu il risultato della manifestazione dei reggiani che si portarono in corteo sotto la Prefettura. In poco tempo i lavoratori si radunarono davanti al carcere e nelle vie adiacenti urlando a gran voce ed esigendo la liberazione dei compagni. All’inizio il personale del carcere ebbe un momento di incertezza ma alla fine i detenuti politici

furono liberati e accolti dalla folla con grande affetto. IL secondo avvenimento , invece, fu quello tragico dell’uccisione dei nove operai delle Reggiane il mattino del 28 luglio verso le 9,30 , mentre cercavano di uscire dalle officine con cartelli inneggianti alla pace. L’ufficiale che comandava i soldati posti davanti alle uscite delle Reggiane era molto agitato e ad un certo punto gridò: “Fermatevi o faccio sparare!”.La mitraglia cominciò a sparare contro gli operai, i soldati, invece, sparavano in aria. La gente credeva che stessero sparando a salve, ma il sangue cominciò a scorrere e ci si rese conto che i proiettili erano veri. L’ufficiale responsabile della carneficina venne poi giustiziato da un gruppo di 53


Manifesto di chiamata alle armi del Comune di Modena

gappisti nei primi giorni della lotta di liberazione. L’8 settembre segnò l’inizio della Resistenza e della Liberazione nazionale.Il 23 settembre, i fascisti, costituirono la Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) uno stato fantoccio manovrato dai nazisti , e la guardia nazionale repubblicana (G.N.R) la quale , verso la fine del 1943 prese il posto dei tedeschi a guardia anche di Bibbiano . In gran parte dell’Italia, intanto, si costituivano comitati di liberazione nazionale (C.L.N.) ed il P.C.I. decise la costituzione dei Gruppi Azioni Patriottica (G.A.P.) . L’8 Ottobre il prefetto di Reggio Emilia comunica che sono state attuate violenze e 54

sabotaggi a danno delle truppe germaniche di occupazione e annuncia che i tedeschi hanno imposto il coprifuoco alle ore 21 e la chiusura degli esercizi pubblici alle 20.30. Il 9 Novembre vengono richiamati alle armi gli ufficiali e sottufficiali in servizio permanente e i giovani delle classi 192324-25 per formare un nuovo esercito repubblicano fascista. Intanto i primi gappisti, per lo più isolati, compiono le loro prime imprese in tutta la provincia; cominciano ad uccidere qualche gerarca fascista; questo provoca rappresaglie ordinate dal nuovo prefetto ed eseguite dalla guardia nazionale. Il capo della provincia annuncia che verranno condotti altri atti di rappresaglia: per ogni tedesco o fascista ucciso, verranno fucilati dieci ostaggi. Una delle operazioni di questo genere, che suscita nella popolazione orrore e voglia di ribellarsi a cose così irrazionali ,fu l’uccisione dei sette fratelli Cervi nel dicembre del ’43 e, un mese dopo, la fucilazione di Don Pasquino Borghi, prete bibbianese che aveva aiutato, nella sua canonica in Tapignola, tutti coloro che avevano avuto bisogno del suo aiuto, in questa prima fase della lotta partigiana.

Partigiani a Reggio Emilia nel 1945


Testimonianze

Noi ragazzi delle classi terze siamo andati a visitare il Museo “Alcide Cervi”9 che, al tempo della seconda guerra mondiale, era la dimora della famiglia Cervi che era costituita dai fratelli: Ettore, Ovidio, Agostino, Ferdinando, Aldo (Gino), Antenore e Gelindo, dalle loro quattro mogli e i loro dieci figli (una delle mogli era in attesa ) e infine dai genitori: Alcide e Genoeffa Cocconi. Abbiamo avuto la fortuna di conoscere e conversare con Maria Cervi, la maggiore dei dieci nipoti, figlia di Antenore. Questa donna aveva solo nove anni quando visse la sua terribile esperienza, ma mentre raccontava, appariva serena ed era contenta di avere come ascoltatori dei giovani:

Testimonianza di Maria Cervi, figlia di uno dei sette Fratelli Cervi raccolta da Noemi Panciroli durante la visita effettuata al Museo Cervi a Gattatico: “Nella notte del 25 novembre del 1943 fui svegliata da spari: era in corso una battaglia tra mio padre e i miei zii e i fascisti che avevano circondato la casa. Mi alzai e mi diressi verso il pianterreno; lungo le scale c’era una finestra accostata che dava su un vivaio di olmi dietro la casa, mi affacciai e vidi che dietro ogni pianta spuntava la canna di un fucile. Pur essendo piccola capii quello che sarebbe accaduto. I Fascisti avevano circondato la casa, avevano incendiato il fienile e per di più gli uomini di casa avevano finito i proiettili. Non era rimasto che arrendersi; così prima uscirono gli uomini della famiglia con 55


Maria cervi nel 2007

Quarto Cimurri, un partigiano che era nascosto in casa nostra, poi uscimmo noi: donne e bambini. Tutti gli uomini, anche il nonno, vecchio e malato, che non volle separarsi dai suoi figli, furono portati in carcere. Quasi tutti i giorni le donne della famiglia andavano al carcere a salutarli, a portar loro dei vestiti puliti e buon cibo. Il 27 dicembre 1943 i partigiani compirono un attentato al segretario fascista del Comune di Bagnolo che morì. In quel periodo era in vigore una legge che decretava che per ogni fascista ucciso venisse ucciso un certo numero di partigiani; così portarono i sette fratelli e Quarto Cimurri al poligono di tiro di Reggio Emilia e li fucilarono per rappresaglia in data 28 dicembre 1943. 56

La loro fucilazione era un segnale di intimidazione alla Resistenza che si stava consolidando e alla popolazione. Questo obiettivo non fu raggiunto perché, in risposta alla fucilazione dei fratelli Cervi, un grande numero di giovani si presentò in montagna per poter diventare partigiani. Noi bambini e le donne invece, verso l’alba, fummo spinti, scortati da due militi armati, lungo la strada che passava davanti alla nostra casa; non sapevamo cosa ci sarebbe successo e noi bambini eravamo spaventati; mentre passavamo davanti alla casa di una nostra vicina, la donna ci invitò ad entrare in casa sua. Noi accettammo, i due militi esitarono un po’ a darci il permesso ma alla fine acconsentirono; così potemmo rifocillarci con del latte caldo e ci potemmo scaldare, visto che eravamo poco vestiti. I fascisti se ne andarono; noi bambini fummo mandati, quel giorno stesso, da parenti materni mentre le donne, aiutate da un cugino, Massimo, misero un po’ a posto la casa. La famiglia non fu avvisata dell’esecuzione dei fratelli Cervi; un giorno le donne andarono in carcere per visitarli ma le guardie non accettarono più i vestiti puliti all’infuori di quelli del nonno Alcide. Così capirono che c’era qualcosa che non andava; si recarono al cimitero dove chiesero al custode se potevano dissotterrare alcune salme ma lui, naturalmente, rispose di no. Si arrampicarono sul muretto intorno al cimitero e videro otto nuove tombe. Il sospetto che avessero ucciso i loro mariti era fondato, ma la prova decisiva apparve il 9 gennaio: durante un bombardamento degli Alleati, una bomba provocò il dis-


sotterramento di due salme che le donne riconobbero. Il peso più grande da sopportare fu quando mio nonno tornò dal carcere convinto che i suoi figli fossero ancora in vita e che fossero stati portati a Parma per il processo. Per motivi di salute non gli dicemmo nulla per qualche tempo. Lui era tornato il 9 gennaio quando Reggio era stata colpita da un forte bombardamento; una bomba aveva centrato il carcere in cui era rinchiuso mio nonno che ne approfittò per scappare a casa; non sapeva ancora che i suoi ragazzi erano stati fucilati e ne parlava sempre come se fossero vivi. Questo acuiva ancora di più il dolore della nonna che tutto sapeva ma non poteva dirglielo perché si temeva che il suo vecchio cuore non avrebbe retto. Oltre tutto questo i problemi per la nostra famiglia non erano finiti perché nei mesi successivi i fascisti tornarono a dar fuoco alla casa più di una volta. Durante una di queste, mia nonna si sdraiò sul suo letto, si addormentò e non si svegliò mai più: era morta di crepacuore”. A questo punto noi chiedemmo a Maria come aveva potuto sapere tutte queste cose, vederle, e sopportarle lei, che era ancora una bambina: “La maggior parte delle cose le ho scoperte quando ero più grande. Sentivo il bisogno di fare un percorso mio personale per ricongiungermi alle mie radici, sapere chi ero, perché fosse successo tutto questo e quale ruolo avesse avuto la mia famiglia nella storia del mio paese e perché tanta parte di essa fosse stata fucilata. Così mi

sono messa a fare ricerche su ricerche, fino a scoprire tutte le cose che vi ho detto. La mia famiglia non mi diceva tanto, solo il minimo indispensabile, per non farmi preoccupare; ad esempio io poco sapevo delle persone di altre nazionalità scappate dal campo di concentramento di Fossoli e che ospitavamo spesso nella massima segretezza. La mia famiglia aveva origini cattoliche-praticanti, metteva in pratica i valori cristiani, il principio di solidarietà e di uguaglianza; partecipava alle cerimonie

La casa colonica, oggi Museo cervi, a Gattatico

della Chiesa ma si rendeva conto anche che non sempre la Chiesa è coerente con quanto predica. Così i fratelli incominciarono un percorso che li allontanò dalla chiesa e li fece avvicinare all’ideologia comunista. Erano animati da una coerenza estrema e mettevano sempre in pratica ciò in cui credevano; misero un grande impegno per il miglioramento delle loro capacità professionali anche se non avevano studiato ed erano animati da una grande voglia di sapere: studiavano, leggevano per approfondire le loro conoscenze professionali,

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Il trattore dei Cervi

la storia, la letteratura, la grammatica. Il loro primo obiettivo era quello di essere dei bravi contadini. In questo podere erano venuti nel 1934, io allora avevo pochi mesi. Scelsero di venire non come mezzadri ma come affittuari perché questa, per loro, era una scelta di libertà: avrebbero potuto coltivare il loro terreno liberamente e non essere condizionati dal padrone che non voleva rischi e sperimentazioni. Apportarono migliorie enormi e il loro podere passò dalla capacità di allevare otto capi di bestiame a quella di cinquantaquattro: questi erano gli animali che avevano al momento del loro arresto. Se questa fu la loro prima scelta di libertà la seconda è quando decisero di “mettersi contro”: contro la guerra non andando a combattere una guerra che non volevano, perché era l’opposto dei principi che avevano sempre perseguito e contro la legge che imponeva di portare i raccolti all’ammasso9. Naturalmente questo comportava dei rischi ma ci credevano in quello che facevano e cercavano di adottare soluzioni che li compromettessero in minima parte. Escogitavano sempre qualcosa di nuovo , ad esempio trovavano stratagemmi

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come quando riuscirono a fare stare a casa da militare Aldo: Ferdinando aveva l’ernia ed era stato scartato alla visita militare, così, quando arrivò la lettera per Aldo, andò Ferdinando davanti alla commissione medica, al suo posto; naturalmente fu scartato e Aldo quindi non partì per il militare. Agostino, invece riuscì a stare a casa perché adottò la figlia di suo fratello Aldo che, non essendo sposato, non poteva darle il suo nome; così la bimba ebbe il cognome Cervi e Agostino, avendo quattro figli, poté starsene a casa. Una volta i fascisti trovarono del grano nascosto in una cesta dietro la casa e per questo misero in prigione Ferdinando e Gelindo. Aldo allora mandò una lettera al carcere dicendo che era lui il colpevole e, per non farsi catturare, fu per dieci mesi latitante e solo qualche volta, di sera, tornava per parlare con gli adulti della famiglia. Avevano anche costruito un bunker sotterraneo nel nostro cortile nel quale tenevamo le nostre provviste e per fortuna, quello non l’ hanno mai trovato, i fascisti. Le idee rivoluzionarie nella nostra famiglia le introdusse Aldo, che era stato per un po’ di tempo in prigione a Gaeta; lì c’erano spesso politici antifascisti, persone istruite che gli trasmisero molte idee. Per lui, il carcere, fu come l’Università. Tornato a casa coinvolse con le sue idee anche i fratelli che si resero conto che bisognava coinvolgere anche gli altri contadini, bisognva convincerli a non consegnare i prodotti agricoli e a non andare a fare il militare. Così, quando il 25 luglio del 1943


cadde il governo di Mussolini ci furono festeggiamenti ovunque e i Cervi offrirono una pastasciutta a tutto il paese: tutti sapevano che qualcosa sarebbe cambiato. In questa casa cominciarono ad essere ospitati giovani che volevano sfuggire al reclutamento (circa ottanta in tre mesi), poi c’erano quelli scappati da Fossoli o giovani soldati stranieri fuggiti alla prigionia. Si comincia pian piano a preparare le condizioni per combattere la guerra partigiana. Si cerca di fare tutto in gran segreto ma la famiglia è notata e tenuta sotto mira. Aldo e altri fratelli vanno in montagna ai primi di ottobre del 1943 per organizzare la lotta armata contro i nazifascismi. Assaltano qualche caserma per procurasi le armi ma più si spingono nelle zone alte e meno trovano terreno favorevole per le loro azioni. La popolazione della montagna non è ancora pronta per dare sostegno e solidarietà. Si trovano in grande difficoltà quando arrivano a Tapignola di Villaminozzo dove vengono accolti da Don Pasquino Borghi che non è solo un parroco che li accoglie per carità cristiana, ma già sta organizzando dei gruppi per combattere contro i nazifascisti. Si incontrano così, uniti nel perseguire gli stessi obiettivi, dei comunisti e un prete, che dice loro: “Mi piace che abbiate nel vostro gruppo anche dei russi perché si stanno battendo fortemente in questo momento”. Il 30 gennaio, appena un mese dopo i miei familiari, anche don Pasquino venne fucilato. Il simbolo della mia famiglia era e lo è tuttora, il trattore, cioè il lavoro, con sopra il mappamondo, cioè il sapere; an-

che questa di mettere il mappamondo sul trattore era stata un’idea di mio zio Aldo che voleva in questo modo trasmettere un messaggio: applicare il sapere al proprio lavoro”. Quando Maria finì di parlare il silenzio era totale: ognuno di noi stava cercando di capire come si possa parlare di cose così terribili capitate alla propria famiglia con commozione ma anche con quel distacco che le permetteva di essere così chiara e precisa.

I giovani, anziché spaventarsi e desistere, cominciano a sentire un forte senso di ribellione e voglia di combattere per cambiare le cose. A Reggio fu nominato come segretario politico locale del Fascio Repubblichino un tal Pasquale de Bruna, romano, che cominciò subito con repressione degli antifascisti. Sguinzagliva per i paesi, dopo l’ora del “coprifuoco”, una squadra di fascisti locali in abiti civili che aveva il compito di controllare che nessuno uscisse di casa e che non si ascoltasse Radio Londra. Se veniva individuato qualche “ribelle”, questi era segnalato ai tedeschi che provvedevano a mandarlo in Germania, nei “campi di lavoro”. Coloro che non avevano risposto alla chiamata alle armi della Repubblica di Salò, i “renitenti”, venivano accusati di essere simpatizzanti dei partigiani e allora potevano essere arrestati e deportati a Reggio o a Ciano, dove subivano maltrattamenti e sevizie.

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I vecchi antifascisti, coloro che si battevano da vent’anni contro la dittatura cercavano tra i giovani, le donne e i contadini coloro che avrebbero potuto dar vita a formazioni in grado di dare appoggio e supporto ai partigiani. Un giorno il nostro Nino ci ha portato a scuola un’altra testimone di quei terribili giorni, una testimone che ci ha commosso per gli avvenimenti che ci ha raccontato e di cui è stata protagonista; li ha presentati in modo semplice, come fossero cose da poco e invece noi crediamo che bisogna essere degli eroi per sopportare le torture come ha fatto lei e che bisogna avere un coraggio da leoni per affrontare situazioni così rischiose e pericolose per sé e per gli altri suoi compagni.

Documento di Francesca Del Rio

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Testimonianza di Francesca Del Rio, nome di battaglia: Mimma. “Il mio nome è Francesca del Rio ma quando ero partigiana il mio nome era Mimma. Quando mi nacque una figlia la chiamai con quel nome. Io provengo da una famiglia antifascista , mio padre aveva aderito subito, nel 1921, al partito Comunista di Gramsci; aveva combattuto due guerre: una , quella contro i Turchi e poi la prima guerra mondiale, in totale nove anni della sua vita li aveva passati in guerra. Il sono nata nel 1925 e quando avevo dieci anni mio padre è stato aggredito dalle squadracce fasciste e massacrato di botte; da quell’aggressione non guarì mai e nel 1940 morì dopo un calvario durato cinque anni. A un mio vicino è andata meglio, era anziano e a lui


hanno fatto bere “solo” un fiasco di olio di ricino e poi se ne sono andati dopo averlo lasciato steso a terra. La mia famiglia non era ricca e quando mio padre non fu più in grado di lavorare cominciò per noi una vita di sacrifici e di stenti e in me cominciò a crescere un sentimento di avversione nei confronti dei fascisti che erano padroni del nostro paese. Non vedevo l’ora che le cose cambiassero e potessi agire per vendicare la morte di mio padre; quest’occasione si presenta dopo l’8 settembre 1943. Divenni così una staffetta; il mio lavoro consisteva nel portare e ricevere ordini dai vari gruppi di organizzazione da S.Polo a Barco, Montecchio e Reggio Emilia. Molte volte fui fermata, perquisita e anche schiaffeggiata ma non riuscirono mai a trovarmi addosso qualcosa di compromettente, così si limitavano a dirmi di tornare a casa e non uscirne. Io naturalmente uscivo continuamente anche di notte, per scortare carichi di munizioni e armi che dovevano giungere ai partigiani sulle montagne reggiane. Mi arrestarono l’11 dicembre del ‘44. Fui portata a Reggio, a Villa Cucchi, chiamata Villa Triste . L’ordine del mio arresto venne da un tale Arduini Luigi, fascista e torturatore che amava dire sempre: “sotto le mie mani parleranno anche i morti” . Era vero. Ero stata arrestata perché avevano preso un compagno sappista e lo avevano bruciato con un ferro da stiro dappertutto: volevano sapere da lui dei nomi. Sotto la tortura non è stato in grado di trattenersi, così fece il nome della famiglia di mio marito, allora mio fidanzato, dove erano nascoste delle armi , nella piccionaia.

Manifesto fascista contro gli oppositori

Perquisendo quella casa, vicino alla ferrovia di S. Polo, prima di bruciarla, trovarono una mia foto. Si informarono e scoprirono che ero la fidanzata del ragazzo che lì viveva ma che non avevano trovato: anche lui era partigiano, Athos. Dall’8 settembre a dicembre i tedeschi avevano svuotato la montagna e avevano portato via tutto, anche le persone, creando campi di concentramento come quelli di Bibbiano. Fui denunciata da un fascista locale, amico di famiglia e fui prelevata da casa mia, in avanzato stato di gravidanza, alle 4,30 del mattino vestita solo della camicia da notte e con un paio di ciabatte di pezza ai piedi. Mia madre riuscì a gettarmi un tabarro prima che mi portassero via e questo mi salvò dal freddo pungente di quel gennaio di guerra.

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Un soldato tedesco si rivolge a una contadina

Io feci due mesi nel carcere di Ciano situato nell’Albergo della Posta, senza dire una parola. La prima cosa che vidi quando entrai fu la scritta con le parole dell’Arduini. Mi misero in una cella in solaio e lì conobbi un certo Del Rio Jones di Montecchio, anche lui prigioniero. In quel presidio Iones era stato portato dopo che l’avevano catturato perché faceva raccolta di viveri e vestiti per i partigiani; lui faceva il carrettiere . Lì nel presidio fu poi fucilato. Pochissimi furono quelli che si salvarono, come me, solo quelli che riuscivano a scappare. Nella cella non c’erano materassi, era freddo ; dalle fessure della porta vedevo quando riportavano nelle celle i partigiani sottoposti a tortura, sanguinanti. Per i bisogni fisiologici si andava in un bagno ricavato in uno stanzino dove c’era una specie di turca, accompagnati da un tedesco.

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Quando ci andavo, guardavo sempre dal finestrino che c’era un po’ in alto. Fui sottoposta a torture, ma di queste non voglio parlare, ho impiegato tutta la vita a cercare di dimenticare, soffro troppo ancora, a questi ricordi. Quando mi torturavano c’era sempre presente un ufficiale di Firenze che alzava la mano quando era ora di smettere. Un giorno mi disse che era ora che fuggissi perché da lì non usciva vivo nessuno. Alla sera mi mettevano dentro la cella una certa Meri di Castione che era una “collaboratrice”, il suo compito era quello di cercare di farmi parlare e strapparmi delle confessioni. Io non mi fidavo di nessuno anche perché ci avevano avvertiti, i nostri capi che, se fossimo stati catturati, avrebbe potuto succedere una cosa del genere. Una mattina ebbi la conferma dei miei sospetti: dal finestrino la vidi salire su una camionetta e mi sembrava vestita come un tedesco. Poi non venne più. Un giorno mi dissero: “Ti portiamo a Buchenwald, domani”. Io non sapevo nemmeno più che giorno fosse, chiesi di essere accompagnata in bagno e lì sono riuscita ad aprire il finestrino poi, mi aiutai con la catena dello sciacquone e riuscii ad issarmi ed uscire e, aggrappandomi alla grondaia, scesi dal secondo a pian terreno; per fortuna c’era sotto un mucchio di neve che attutì la mia caduta . Così scappai, scalza e corsi nella notte perché sapevo che mi stavano cercando. Arrivai a Grassano da un certo Canapini dove mi diedero da vestirmi ma non andai a casa mia. Avvertirono mia mamma che ero in una casa vicina. Dovetti partire subito e raggiungere il Comando partigiano col mio cavallo, senza sella e un mitra


che avevo nascosto, con un po’ di roba che mia madre mi aveva preparato. Quella notte, con la neve, ci si vedeva come fosse di giorno; lungo la ferrovia c’era la ronda che cominciò a sparare, il cavallo scivolava. Io provai a sparare un colpo a raffica e colpii una pianta. Arrivai a Ceredolo dove incontrai mio suocero. Lì ci fu un attacco, il primo cui assistevo; lì vidi morire Notari Dante “Saetta”10 di ventiquattro anni, perché si era spostato quando credette che non sparassero più e così gli staccarono la testa con un colpo di mitra. Io proseguii per Vetto che era Territorio libero partigiano con un dolore tremendo dentro per la morte cui avevo assistito; in seguito purtroppo ci furono molti altri episodi di questo genere; la guerra è fatta così. Lì non ero più staffetta, facevo la partigiana e il mio compito era quello di parlare con le altre donne per prepararle al governo democratico che sarebbe venuto dopo la guerra, prepararle ad affrontare la nuova situazione che sarebbe giunta. Il pericolo più grande per i partigiani, secondo me era in pianura perché in montagna potevi essere ucciso in combattimento ma in pianura eri sempre in pericolo; ci si doveva muovere in un territorio controllato dai nazi-fascisti. Se si era renitenti alla leva bisognava stare nascosti di giorno; le donne e i ragazzi erano quelli che si esponevano maggiormente. Io porto ancora i segni di quello che mi è accaduto. La notte in cui fuggii mi si congelarono i piedi; quando me li immersero nell’acqua tiepida per scongelarli, chiedevo di tagliarmeli, tanto era il dolore che provavo. Ancora adesso mi sto curan-

do, mi sembra sempre di portare scarpe di ferro ai piedi. Oltre questo dentro di me ho ricordi così tremendi che non riesco a tirarli fuori. Due anni fa sono arrivati due carabinieri di Reggio Emilia , dopo che era stato trovato “l’Armadio della Vergogna”11 perché avevano trovato anche il mio nome su dei documenti. Scrissero e scrissero e volevano sapere e io mi sentii male. Dopo la guerra per i torturati non ci fu mai un riconoscimento, solo per i feriti.

Io ho tanti ricordi di compagni che hanno lottato con me e qualcuno, purtroppo , è morto; vi voglio parla di Folgore. Il suo nome era Mario Grisendi ed era di S.Polo. Figlio di una ragazza-madre, mondina e socialista, prima della guerra, era stato un convinto fascista; era cresciuto credendo ciecamente in ciò che la propaganda fascista inculcava nelle menti dei giovani attraverso la scuola. Appena ne ebbe l’età si arruolò nella “Folgore”, un corpo paracadutistico, nel quale erano presenti molti volontari; partecipò alla battaglia di El Alamein12 combattendo sulle Pagnottelle, i carri armati piccolissimi di cui erano dotati lui e i suoi commilitoni. Perse una gamba e fu catturato dagli inglesi e fu internato in un campo di prigionia in Kenia. Tornò a casa quando ci fu uno scambio di prigionieri nella primavera del ’43; fu trattato come un eroe e portato nelle scuole come esempio dell’eroismo dei soldati italiani, da imitare.

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Ma lui era tornato dalla guerra non più fascista perché aveva capito cosa fosse la dittatura e a quale disastro avesse portato l’Italia e gli italiani. Nel campo di prigionia aveva capito che la democrazia era ben altra cosa dalla dittatura; lì aveva potuto leggere sui giornali inglesi come, nei paesi liberi, la stampa possa criticare il potere e come venissero sempre diffuse le notizie belle e quelle spiacevoli. Così, quando anche da noi nacque la Resistenza, fu tra i primi ad aderire alla lotta partigiana in pianura. Una volta perse Lettera di Teresa Vergalli, “Annuska” a Francesca Del Rio “Mimma” la gamba artificiale a Bibbiano e fu ricoverato a casa Io intanto mi ero nascosta in mezzo della signora Veggero alla Fila. Un giorno che eravamo insieme, ve- ad una campo di granoturco e non vedemmo arrivare la ronda; mi disse di andare devo più da che parte si fosse nascosto avanti, e fermarmi davanti ai soldati. Feci Folgore, però sentivo sparare dietro di quanto mi aveva ordinato e lui arrivò in noi. Quando arrivai a casa mia madre mi bicicletta alle spalle dei tedeschi e puntò la ri- disse: “Ho visto che i tedeschi sono passati con voltella nella schiena di uno di loro che gettò una gamba di legno fuori dal finestrino della macchina”. immediatamente a terra la sua arma.

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Si salvò arrivando a gattoni a casa mia dove mi ordinò di portarlo in un luogo più sicuro dove curare le ferite, poi di andare a casa sua a prendere la gamba di scorta. Il problema era che proprio davanti a casa sua c’erano i tedeschi. Mi ero però portata un sacco di erba e chiamai la madre di Folgore che aveva intuito cosa dovesse fare. Infatti mi chiamò in casa, nascose la gamba del figlio in mezzo all’erba e la consegnai a qualcuno che gliela fece avere. Dopo essere guarito fu ucciso durante un’azione di guerriglia a Monte Falcone di Quattrocastella il 20 gennaio del 1945. Nel cimitero di S. Polo si formò un picchetto d’onore che sparò in alto, ai suoi funerali. Per alcuni giorni, noi staffette posammo sulla sua tomba dei volantini.

NOTE 9 La Legge imponeva che i prodotti agricoli fossero consegnati tutti alle autorità 10 Di Notari Dante abbiamo un breve ricordo di Orio Vergalli: “Il partigiano Saetta era di famiglia cattolica. Mio padre parlava sempre con i giovani e loro gli erano amici. Quando Dante fu chiamato alle armi, fu mandato in Africa da dove scriveva cartoline a mio padre. Una volta per far sapere a mio padre che l’esercito italiano si stava ritirando scrisse: - Qui non va male ma mi mandano sempre a vangare -. Quando si vanga si va all’indietro e mio padre capì quello che intendeva dire: che gli italiani si ritiravano”. 11 E’ un armadio contenente documenti sulle stragi, gli arresti, le torture perpetrati nell’Italia centrosettentrionale, rimasto abbandonato per decenni in un locale, con le ante rivolte verso il muro, così che non fosse ritrovato e i documenti usati per punire i colpevoli, ancora viventi, di quei crimini. 12 Località del deserto libico dove le truppe italotedesche subirono un arresto della loro avanzata ad opera dell’esercito britannico.

Francesca ci ha dato il testo di una poesia che il nipote Mirco Del Rio, che ha frequentato la nostra scuola qualche anno fa, le ha dedicato: Zia Francesca (Mimma) Le squadre nere t’ hanno strappato l’affetto sincero martoriata nel fiore degli anni quante acerrime lotte al fianco compagni partigiani per dare al prossimo una primavera Mimma faceva freddo quella notte quando sei scivolata giù dalla grondaia era lontana casa tua ma il sole dell’avvenire batteva nel tuo cuore batte ancora!!! Mimma l’aurora di un nuovo millennio da poco ha dipinto il cielo la memoria ha bisogno d’esser risvegliata la tua missione è una pietra miliare mai sconfitta dal vento per noi chiusi tra le quattro mura che un sol temporale ci fa paura.

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L’8 settembre a Bibbiano

Anche a Bibbiano dopo il 25 luglio qualcuno sfogò, come poteva, la rabbia che aveva covato dentro per più di vent’anni, ma non furono compiuti atti di violenza verso gli uomini e le cose: “…una vetrina rotta (quella della farmacia gestita da un fascista), una sberla al segretario del fascio locale, la distruzione di emblemi e documenti fascisti nella sede del fascio... Nelle fabbriche Melloni e Lanzani i comunisti Ugo Incerti e Mario Ferrari organizzarono lo sciopero delle maestranze contro la guerra. Furono per questo arrestati dai Carabinieri e portati alle carceri di Montecchio, da dove vennero ben presto liberati dalla pressione popolare di bibbianesi che andarono a protestare davanti alla caserma dei Carabinieri”.13

I tedeschi, subito dopo l’armistizio dell’8 Settembre, occuparono i nostri territori; infatti il 18 Agosto si era installato un loro presidio presso le scuole della Fossa. L’ armistizio che il governo Badoglio aveva firmato con gli alleati poneva l’ Italia contro i Tedeschi. Dopo un momentaneo sbandamento, i soldati Tedeschi a Bibbiano ripresero il controllo della situazione, occupando la stazione, la posta, il municipio. Tuttavia alcuni giovani si infiltrarono durante la notte nei depositi militari per procurarsi armi e munizioni . Nel salone “Masetti” e nella sala parrocchiale vi erano di alcune decine di soldati del 3° Reggimento fanteria dell’ esercito italiano ed erano quasi tutte reclute del meridione, classe

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Non trovo parole Non trovo parole per una cosa crudele scolpita per sempre nella mente dell’umanità coinvolta dalla bufera che annienta e distrugge, senza senso. Giulia Veneselli

Sognare Cade la neve Fa freddo, ma devo lavorare e non posso parlare. Siamo carcerati, ma liberi di sognare: la neve che cade su di noi, essere liberi… Irene Trisolini

La serratura di una cella

1925 . Buona parte di questi furono fatti prigionieri dai soldati tedeschi e spediti in Germania. Altri riuscirono a fuggire , lungo il canale dietro la chiesa parrocchiale , aiutati dai cittadini bibbianesi , con vestiti e viveri . In questi giorni fuggirono anche circa 200 prigionieri di guerra alleati dal castello di Montechiarugolo . Alcuni di questi , di nazionalità inglese , trovano rifugio presso la casa dei fratelli Viani , in località Casale . Guido, il più giovane di questi, in seguito, andò presso la parrocchia di Don Pasquino Borghi a Tapignola. “Intanto ad una riunione indetta da Angelo Zanti, parteciparono i rappresentanti del P.C.I. di Bibbiano, San Polo, Quattro Castella, Montecchio e Cavriago. L’incontro avvenne in una casa di Angiolino Silvi (Alfeo) per discutere su come organizzare la lotta contro i Nazifascismi”. In seguito vennero tenute altre riunioni, vi parteciparono fra gli altri Walter Sacchetti, Guerri di San polo, Onder Boni di Cavriago e Enzo Cattini di Barco. Si parla di come strutturare i gruppi dei combattenti.

NOTE 13 Mario Ferrari in Ricerche Storiche, n. 23-24, dicembre 1974

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Testimonianze

Testimonianza di Ero Grasselli reduce dalla prigionia nel campo di concentramento di Falinbosten (Ildesain) Ruhr, Germania: “Avevo compiuto diciannove anni il 3 giugno 1943 e andai a fare il militare il 6 luglio, a S. Giovanni in Persiceto. L’8 settembre fummo circondati nella caserma dai tedeschi che ci portarono direttamente in Germania, su vagoni da bestiame. Per tre giorni rimanemmo chiusi e quando aprirono i vagoni eravamo nel campo di concentramento di Falinbosten: ci mandarono a lavorare in fonderia, in una fabbrica che faceva le stufe prima della guerra, ma che allora costruiva macchine per l’esercito. Nella fabbrica eravamo 24 italiani, 24 russi presi come prigionieri civili, 24

ragazze russe e polacche dai 18 ai 24 anni. Quando arrivai, l’unica persona di mia conoscenza era un certo Remo Naldi di Barco. Lì, in quel campo, restai fino al 25 agosto ’45 anche se già dal 9 aprile eravamo stati liberati dagli anglo-americani, perché dovemmo stare in quarantena. La cosa peggiore della vita nel campo era il cibo: alla mattina non ci davano niente , poi ci venivano distribuiti 2 hg di pane nero, con dentro anche della paglia, 1 mestolo di cavoli o rape o crauti; tutto questo una sola volta al giorno. Io sono sempre stato 80 kg ma, dopo qualche mese mi pesai ed ero soltanto 50 kg. Se mi sono salvato è perché da casa mi hanno mandato tredici pacchi; questi mi hanno proprio salvato la vita. Dentro c’era formaggio, sfoglia, un pezzo di pancetta.

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Arrivavano attraverso la Croce Rossa Internazionale. Noi potevamo corrispondere con quelli di casa ma non ci potevano dare notizie sulla guerra: noi là eravamo all’oscuro di tutto.. Non tutti i tedeschi erano cattivi; molti, anche tra loro, non potevano parlare per non essere uccisi. Qualcuno però parlava con noi, si sfogava qualche volta coi prigionieri e ci informava un po’ di come stava andando la guerra. Quando ci fu lo sbarco in Normandia, un tedesco ce lo disse e noi andammo in fabbrica cantando una canzone fatta da noi che diceva così: “L’internamento è assai duro ma volontario no di sicuro”. A volte ci chiedevano se volevamo andare volontari a combattere contro gli alleati. Il primo anno è stato molto brutto ma poi passammo come prigionieri civili e potevamo anche uscire. Intorno al campo c’erano dei reticolati e non si poteva uscire, di notte; una volta però abbiamo smontato una finestra della baracca per andare a prendere patate nei campi.. Io e altri riuscimmo a rientrare, quattro, invece, non ce la fecero e furono costretti a passare dalla strada. Un poliziotto che aveva un cane, li vide, li catturò e venne nella baracca per controllare. A quel punto vide la finestra aperta, quella del gabinetto che era stato costruito su un canale; da lì noi eravamo passati. Si arrabbiarono moltissimo e portarono via quei quattro disgraziati e noi non ne sapemmo più niente. Dal campo non si poteva fuggire, il capo aveva un cane Danan che era bravissimo a trovare qualunque cosa.

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Il comandante, quando ci aveva scoperto durante l’episodio delle patate ci aveva consigliato di non farlo più o ci avrebbero punito in modo esemplare. Nel lager noi eravamo un numero, il mio era: 156417 lager XI V; ancora oggi lo ricordo in tedesco, perché loro non lo chiamavano certamente in italiano e l’appello era fatto coi numeri, non avevamo nomi, là. Non eravamo persone, solo numeri. Tutti i giorni ci facevano l’appello. Ci avevano dato una giacca blu con una scritta in bianco: IMI che in italiano significava: italiano militare internato. Ci alzavamo alla mattina all’alba e si lavorava fino a sera. Abbiamo anche imparato a parlare un po’ tra di noi, così io sapevo un po’ di russo e un po’ di tedesco. I forni presso cui lavoravamo avevano una temperatura di 1800°; se si veniva colpiti da una goccia di metallo fuso, questa andava diritta dentro la carne, fino alle ossa; per questo eravamo coperti da più strati di vestiti. Una volta mi presi un’infezione ad una mano e dovettero inciderla; quando mi tagliarono, lo fecero senza anestesia, non potevo neppure lamentarmi o muovermi perché, dietro, avevo un fucile puntato, se mi fossi mosso mi avrebbero sparato. Il dottore, mentre operava, mi disse: “Bravo Badoglio?” Io non dissi niente, non potevo rispondere certamente si, del resto non mi importava niente in quel momento né di Badoglio né di Mussolini”.


SFOLLATI A Bibbiano erano pochi i fascisti, un gruppo di cittadini, invece, che avevano creduto nel fascismo erano delusi e scontenti, un gruppo consistente, infine, era formato da antifascisti che avevano in serbo speranze e sogni e che non vedevano l’ora di poter agire per realizzarli. Quando tornano dalle prigioni o dal confino le persone che erano state perseguitate dai fascisti, alcune rientrarono nelle loro case, come Angelo Zanti, politico antifascista che prima era emigrato in Francia poi era stato condannato al confino a Ventotene14, che, ritornò a Bibbiano dove si erano rifugiati la moglie e i figli. “……sfollati. Sembra una parola leggera, aerea, con quel suono quasi di farfalla. E’ stata una parola terribile per chi l’ha vissuta. Sfollavano, fuggivano via dalla città tutti quelli che potevano, perché nelle città piovevano le bombe e non si trovava da mangiare. I paesi intorno alla città erano pieni di sfollati. In genere sfollavano le madri con i figli. I padri, se avevano il lavoro in città, restavano a rischiare le bombe e raggiungevano le famiglie solo se potevano.

A volte i padri non c’erano nemmeno perché erano in guerra. Gli sfollati si accalcavano nelle case dei parenti, a volte a casa dei padri e delle madri. In altri casi erano accolti dai contadini, nelle scomode ma spaziose abitazioni. Da noi non si dice fattoria e nemmeno casale o cascina. Si dice più che altro podere, in dialetto sit, cioè “sito”.15 Questi sfollati nei nostri paesi potevano trovare qualcosa da mangiare in aggiunta alle misere razioni dalla”Tessera” .

Una madre con i figli dopo i bombardamenti

NOTE 14 Angelo Zanti: durante la Resistenza fu ufficiale di collegamento Nord Emilia, decorato con megaglia d’argento alla memoria. 15 T. Vergalli (2007), Storie di una staffetta partigiana, Roma, Editori Riuniti

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La Resistenza a Bibbiano

Le prime organizzazioni Nel frattempo nel comune di Bibbiano, a Fossa e a Barco, come nei comuni limitrofi, si erano costituite le organizzazioni del F.d.G. (Fronte della Gioventù) e i G.d.D. (Gruppi di Difesa delle Donne) ad opera di giovani che già operavano nella Resistenza. Il F.d.G. era stato fondato a Milano nel 1943 da Eugenio Curiel, eroe della Resistenza italiana; esso era: “…l’organizzazione di tutti i giovani che vogliono unirsi e lottare per l’indipendenza e la libertà: tutti i giovani, di tutte le categorie, tendono ad unirsi per contribuire alla lotta di Liberazione poiché in questo momento nessuna differenza deve togliere il bisogno di lottare per la Patria. E’ ne-

cessario quindi che combattano tutte le forze del paese; ciò viene realizzato dai giovani organizzati di tutti i partiti affinché comprendano i loro problemi odierni….” La prima attività F.d.G. a Bibbiano fu quella della diffusione ed affissione di stampe e manifesti clandestini.

Le donne staffette Le prime che si occuparono di dare appoggio alle formazioni partigiane che si stavano organizzando furono le donne. Il loro lavoro consisteva principalmente nello svolgere le attività di staffetta e di sostenitrici per creare quella rete di aiuti e connivenze che poterono

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Le staffette Nei pensieri il ricordo torna nella mente. I campi coltivati, il lavoro tranquillo delle persone. Ora tutto è diverso, la gente si guarda con sospetto, gli occhi bassi della paura. Passa qualche bicicletta, in silenzio si allontana: sono le nostre partigiane. Ritorna la speranza. Maila Caroppo

Staffetta partigiana

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rendere efficaci le azioni della guerriglia partigiana. Teresa Vergalli così racconta nel suo libro come venivano reclutate: “Io ho cominciato dalle donne che mi stavano attorno. Il primo aiuto l’ ho avuto da mia zia Dirce, sarta. A catena, la rete partiva dalla sua sartoria, poi dalle sue ex-allieve e infine da queste ad altre donne vicine di casa, colleghe di lavoro, operaie delle Officine Reggiane, fidanzate di soldati lontani, madri di giovani imboscati o partigiani”. Teresa non era da sola a collegare e assoldare questa rete, aiutavano molto anche gli uomini; in seguito c’erano anche ragazze che si attribuivano incarichi vari e diventavano staffette. Il più delle volte era lei a sostenere le riunioni per spiegare cosa volevano ottenere, i compiti, i rischi da assumersi; per questo giravano anche materiale propagandistico e circolari. Per accrescere il suo sapere Teresa si faceva procurare libri e dispense. Con questa rete femminile sono state prese importanti iniziative di lotta aperta, con manifestazioni e distribuzione di alimenti. Quasi sempre le donne trovavano le case di latitanza. Le donne staffetta avevano spesso il delicato compito di accompagnare giovani che volevano raggiungere i partigiani o partigiani stessi che dovevano raggiungere i loro reparti su in montagna; allora si accollavano la fatica di macinare chilometri e chilometri in bicicletta passando per sentieri non battuti, per non incontrare i fascisti o i tedeschi.


I percorsi erano lunghi e tortuosi per maggiore sicurezza, viaggiavano sempre una davanti e l’altro dietro ad una certa distanza perché se avessero incontrato pattuglie nemiche avrebbero potuto dire di non essere insieme. Una volta giunti a destinazione la staffetta prendeva messaggi dai partigiani e ripartiva, spesso dovendo sobbarcarsi l’immane fatica di un’altra bicicletta da trascinarsi a mano. Oltre alle donne anche i più giovani tra i partigiani o i ragazzini svolgevano il lavoro di staffetta. Ci ha fatto sorridere leggere una descrizione che Teresa Vergalli fa del fratello quando ufficialmente sostituì la sorella: “Sacchetti sta aspettando in un luogo convenuto e vede arrivare mio fratello. Lo saluta e dice: - sto aspettando la staffetta. Speriamo che non tardi troppo!- E Orio, tutto serio, gli risponde: - La staffetta sono io! - Dovete immaginarlo, quel ragazzino. Nella bicicletta da uomo a malapena arrivava alla sella. Doveva essere tutto fiero di quel suo incarico, che poi ha svolto per tutti i mesi che mancavano alla liberazione”. La testimonianza che ci ha chiarito meglio queste attività ci è stata offerta proprio dal sig. Orio Vergalli, ex-sindaco di Bibbiano che al tempo della guerra era un ragazzino di dodici, tredici anni che diventò “staffetta” sostituendo la sorella, Teresa Vergalli, che era stata costretta a rifugiarsi presso i gruppi dei partigiani combattenti, in montagna.

Fucile mitragliatore americano della Seconda Guerra mondiale

Come si recuperavano le armi Le armi usate dalle prime formazioni partigiane provenivano dalle sedi del partito fascista e dalle caserme dei militi o dei soldati tedeschi; esse rappresentavano il “bottino” che veniva accumulato da giovani coraggiosi che, incuranti del pericolo e delle conseguenze dei loro gesti, assalivano queste sedi. Altre armi erano prese da partigiani singoli o a coppie, a piccole pattuglie di carabinieri o militari fascisti e tedeschi sotto la minaccia, di armi, che spesso erano di legno e fabbricate artigianalmente. Una volta, un gruppo di resistenti bibbianesi, saputo che dei dirigenti del fascio avevano nascosto l’armamento nel cimitero di Bibbiano, decise di andarlo a prendere; così una notte del marzo del ’44 i partigiani si introdussero nel cimitero e cominciarono a cercare dappertutto, specialmente nei sepolcri vuoti. Alla fine, in un loculo sotterraneo, trovarono il “ tesoro” nascosto: anche questo era un modo per procurarsi le armi. 75


Non dimentichiamo

Il Paramilitare

Non dimentichiamo i caduti, morti per la libertà. Non dimentichiamo il sacrificio per la patria dei loro ideali. Non dimentichiamo la rinuncia Del loro futuro Donato in silenzio A tutti noi.

Nella primavera del ’44 venne organizzato il “Paramilitare”, un’organizzazione in cui, coloro che aderivano, avevano il compito di procurarsi delle armi e stimolare la popolazione ad essere solidale nei confronti dei partigiani che avevano cominciato ad operare in montagna. I vecchi antifascisti avevano gettato le basi di questa organizzazione cercando di allargarle con l’inclusione di giovani, donne e contadini. Tra coloro che condussero la loro battaglia politica antifascista si ricordano Mario Ferrari, Ugo Incerti, Prospero Vergalli, Alfeo Silvi, Giuseppe Calisti, Giovanni Castagnetti, Umberto Manni, Emore Iemmi e Alfeo Bonazzi; questi ultimi andarono, in pieno giorno, a prendere un fucile mitragliatore nascosto in casa di Prospero Vergalli, al “casale” e, in un sacco, lo trasportarono in bicicletta in casa dei Manni dove c’era il punto di incontro con i partigiani combattenti di S. Polo e dove si trovavano Elso Guerri e Sergio Viappiani. Certo ci voleva un bel coraggio e una forte motivazione ideale per compiere imprese come questa. Questo episodio, anche se non è di grande rilievo dà comunque l’idea di come era fatta quella “ragnatela” che la Resistenza aveva creato sul territorio e di come alcuni italiani erano disposti a combattere i nazifascismi anche a costo della propria vita. Quando le attività svolte nel Paramilitare venivano scoperte dai servizi di spionaggio dei nazifascismi, le persone

Nicholas Rocchi Ricordi di un bambino Ricordo…Ricordo vago: sorrisi di mia madre, gli abbracci di mio padre… Ma sono solo ricordi… Ricordi strappati da mostri, che con me, hanno seppellito sotto candida neve. Naomi Panciroli Il partigiano Nella strada buia e paurosa Accompagnato da triste sensazione Della fine in agguato. Poi un inferno si scatena Mentre corro con i compagni Verso i monti della salvezza. La nebbia che cala e ci nasconde È come il paradiso. Lia Sagliocco

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coinvolte dovevano passare nelle formazioni partigiane della montagna, dove operarono e combatterono fino alla fine della guerra; altri, invece si rifugiarono in montagna solo poco prima del 25 aprile.

Il Campo di concentramento di Bibbiano Alla fine di giugno del 1944 i fascisti e formazioni aeronautiche di tedeschi si unirono per distruggere ogni rifugio partigiano e la possibilità di rifornirsi in montagna per i combattenti. Il nostro campo sportivo, che allora era circondato da alte mura e si trovava all’inizio di via Franchetti, venne trasformato dai tedeschi in un campo di concentramento con le torrette, i turni di guardia e mitragliatrici puntate all’esterno e all’interno del campo. Gli uomini utilizzano spesso i campi sportivi trasformandoli in “prigioni”; così una struttura nata per il divertimento e l’esercizio fisico diventa luogo di dolore e disperazione. Le condizioni dei prigionieri rastrellati inizialmente in Toscana, sull’Appennino reggiano e parmense, erano terribili esposti come erano, tutto il giorno, al sole, con poca acqua e con il solo cibo che i cittadini bibbianesi riuscivano a dare loro.

Tra le vittime del rastrellamento c’era anche un gruppo di seminaristi che poi furono trasferiti, tramite l’intervento della Curia, nelle carceri di Parma. Oltre agli uomini anche i capi di bestiame erano stati razziati furono e trasportati a Bibbiano e ammassati lungo la strada che porta alla Barcaccia; alcuni abitanti di Bibbiano furono “precettati” per andare ad accudire le bestie.

Monumento alle vittime della deportazione a Bibbiano

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I tedeschi si erano stabiliti presso abitazioni private che avevano requisito; su tutto il paese gravava la cappa di piombo della paura e dell’incertezza. Il dirigente della Resistenza di Bibbiano, Mario Ferrari, chiese al Commissario Prefettizio, Franco Pioli, di intervenire per chiedere di rendere meno pesante la vita ai prigionieri e ai loro familiari. Il Commissario fece presente che ciò avrebbe significato mettersi in pericolo, tuttavia collaborò con la Resistenza e si riuscì anche a far fuggire diversi gruppi di prigionieri. Altri, invece, furono trasportati in Germania e molti di loro non fecero più ritorno, come ricorda la lapide che si trova dove si ergeva il campo (vedi pagina precedente). Per alcuni bibbianesi, in quel periodo, restare nel loro paese pieno di tedeschi, cominciava ad essere pericoloso e molti decisero di andarsene in montagna, tra questi Teresa Vergalli, “Annuska”.

Soldati tedeschi in azione

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Rastrellamenti tedeschi a Bibbiano I tedeschi il 18 ottobre 1944 circondarono il paese di Barco e per mezzo dei megafoni intimarono a tutta la popolazione maschile di presentarsi nel cortile delle scuole. Solo alcuni anziani si presentarono e comunque persone che non potevano essere arruolate. I tedeschi allora, casa per casa, rastrellarono circa 200 persone che trasportarono a Montecchio e poi a Parma. Per fortuna molti, durante il trasporto, riuscirono a fuggire. Solo due di Barco: Aldo Fabbi ed Edmondo Prandi vennero spediti a Fossoli poi a Berlino e costretti a lavorare. Dopo otto giorni venne fatto un rastrellamento anche a Bibbiano: I rastrellati vennero portati a Parma. Solo uno, il più giovane fu mandato a Fossoli: Luciano Casamatti, poi spedito in campo di concentramento. Il successivo rastrellamento non ebbe esiti positivi poiché i giovani avevano imparato a nascondersi.


Testimonianze

Testimonianza di Orio vergalli, ex sindaco di Bibbiano, dodicenne all’epoca dei fatti “Io sono nato in una famiglia povera e di contadini al Tugurio Mio padre aveva combattuto nella prima guerra mondiale che era stata un massacro totale nella quale si salvarono indenni solo cinque tra tutti i soldati di Bibbiano. Avendo sperimentato la brutalità della guerra, mio padre decise che non avrebbe mai più combattuto e perciò diventò antifascista e socialista. Nei primi anni venti i fascisti misero in atto un colpo di Stato e il re acconsentì In seguito furono proibiti tutti i libri che non promuovessero l’ideale fascista, musiche straniere e giornali dell’opposizione; chi non era d’accordo o si opponeva veniva picchiato, imprigionato o ucciso.

A scuola ci dicevano che gli italiani erano i migliori del mondo, erano i forti discendenti dei romani, tutti gli altri erano dei rammolliti; nella scuola elementare, il sabato, si andava vestiti in divisa , si doveva parlare di fascismo sempre in modo positivo. A scuola, inoltre, si faceva una propaganda martellante che inneggiava alla razza ariana e disprezzava le altre. Nel 1940 l’Italia entrò in guerra alleata con la Germania; le prime vittorie furono facili, poi cominciarono i bombardamenti alleati. Dopo il 25 luglio del ’43, Mussolini venne incarcerato e a capo del Governo il re nominò il Maresciallo Badoglio; l’8 settembre l’Italia firmava l’armistizio con gli alleati. Dopo questa data iniziò la Resistenza.

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Orio vergalli e Nino Fantesini con la macchina da scrivere usata durante la lotta di liberazione

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Tutti i soldati italiani che non volevano arruolarsi nell’esercito dell’ RSI, fuggirono; ma poi quando furono a casa dovettero presentarsi ai vari comandi tedeschi e fascisti. Chi non volle farlo si rifugiò sulle montagne. A Bibbiano, quelli contrari al fascismo, facevano da guida a questi giovani, li nascondevano e li aiutavano in ogni modo. Non può esistere un esercito partigiano senza l’aiuto della popolazione. E’ da tener presente, inoltre che, nella lotta clandestina, occorre la massima segretezza: ognuno deve conoscere il meno possibile. Bisognava poi informare, soprattutto informare e questo era difficile perché non esistevano mezzi di comunicazione liberi perciò cominciarono a circolare le pubblicazioni clandestine. Io, ragazzi, oggi ho portato con me un’arma. Vedo che siete rimasti sorpresi e perplessi, ora vi spiegherò. Io, da ragazzo, leggevo molto, a volte la sera, non avrei mai voluto spegnere la lucerna o il lume; ricordatevi che allora non c’era la luce elettrica. Ebbene, leggevo qualunque cosa: romanzi d’avventura, storici, di fantasia e mi appassionavano molto le armi. Ben presto, però percepii che l’arma migliore è l’informazione. Ecco, oggi vi ho portato la mia arma: una macchina da scrivere. Vedete com’è vecchia ed è così pesante! Allora erano fatte tutte di ferro, la plastica non esisteva. A Bibbiano di macchine per scriver ce n’erano ben poche: una in Municipio, una nella caserma dei carabinieri, due o tre nelle varie ditte. Quando mia sorella, che era più grande di me, cominciò a fare la staffetta, poiché

Vedo un immenso prato Vedo un immenso prato fiorito; le persone, guardando, gli occhi abbassano, compaiono espressioni tristi. Riconosco una macchia scura, tra l’erba e i fiori piccola lapide a ricordo del giovane caduto partigiano; il paesaggio cambia e rinasce, ricordi di storie ritornano indelebili. Natalia Tesauri

La guerra Cielo grigio e nuvoloso di rancore e tristezza sul rosso sangue di tante persone uccise dalla morte nera uscita col fumo dai fucili schierati Rossella Prisco La Pace La Pace ha colori di speranza, esultanza di fiori dell’amore che unisce agli altri. La Pace dà forza per aiutare il fratello e insieme riprendersi la vita. Rajni

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era studentessa, fu affidata a lei la macchina per scrivere portata via da S. Polo d’Enza dalla caserma dei carabinieri assalita dai partigiani. Con essa si scrivevano le veline e con la carta carbone si potevano fare più copie. Era un bene prezioso la macchina da scrivere ed era ricercata anche dai carabinieri che, se l’avessero trovata, l’avrebbero certamente riconosciuta. Noi la tenevamo nel solaio, nascosta bene e mia sorella la prendeva per scrivere volantini, ordini e tutte le informazioni che si dovevano trasmettere. La carta carbone che serviva per le copie veniva poi bruciata perché non restasse traccia dello scritto. Oltre ad avere poche armi e pochissime munizioni, la Resistenza aveva anche pochi mezzi per fare propaganda. Quando mia sorella divenne troppo nota, non poté più resistere in pianura e dovette aggregarsi a formazioni partigiane combattenti, in montagna. In certi casi fui io a prendere il suo posto; io ero piccolo, dimostravo meno della mia età e passavo inosservato. I miei sapevano del rischio che correvo, ma le informazioni dovevano comunque essere diffuse. L’altra fonte di informazione era Radio Londra, una radio inglese che trasmetteva in italiano per far sapere cosa stava realmente succedendo in Europa e nel mondo. Io ho conosciuto molti partigiani perché dalla mia casa passavano in molti. Mia sorella li accompagnava spesso con la bicicletta perché loro non conoscevano dove erano dislocati i posti di blocco e quindi dovevano passare per sentieri, carraie o attraversare campi che non fossero

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controllati. Per non fare tutto il cammino a piedi, si usavano le biciclette; le staffette accompagnavano magari uno con la bicicletta e poi , quando lo lasciavano, tornavano con entrambe le biciclette. Mio padre faceva propaganda perché i giovani non andassero coi fascisti ma coi partigiani. Se c’era qualcosa da riferire ai partigiani, mandava me. Il pericolo più grande era quello di essere catturati, sia per i partigiani che, soprattutto per le staffette e quelli che per ragioni varie agivano nelle campagne, nei paesi e nelle città. A Reggio i fascisti hanno picchiato, torturato, ucciso. Molte persone furono uccise per rappresaglia, che è una delle “armi” più infami che una dittatura può utilizzare perché con essa viene punito chi non è responsabile di un fatto. La rappresaglia spaventa la popolazione che così non si ribella e fa sentire il senso di colpa a coloro che sono i veri responsabili di ciò che accade durante le azioni di lotta. Mi ricordo che una volta i partigiani avevano ucciso tre fascisti e li avevano sepolti nello stesso luogo in cui erano stati uccisi per nasconderne i cadaveri, perché i loro camerati non se la prendessero con le case vicine a quel luogo incendiandole dopo averne ucciso gli abitanti. Anche questo facevano i fascisti per rappresaglia. Anche mio padre, una volta, era stato catturato insieme ad altre quattordici persone e minacciato di essere ucciso con tutti gli altri per rappresaglia se non si fossero presentati i veri colpevoli di un attacco partigiano. Per fortuna non ne fecero niente e mio padre venne liberato.”


LA MACCHINA DA SCRIVERE

La macchina da scrivere Arma di parole, mezzo di propaganda temuta da quelli che nascondono la verità; batti lettera dopo lettera, parola dopo parola; componi frasi parlanti d’incontri segreti. Sulle ali di messaggi incogniti, fai volare notizie attese a volte liete, a volte disperate. Il tuo clandestino ticchettio, arma di Resistenza, è rumore assordante per i nemici della Libertà.

Natalia Tesauri

Una nostra compagna è stata ispirata dal racconto di Orio Vergalli e ha scritto questa poesia. L’immagine di questa insolita “arma” ci ha colpito molto, non avremmo mai immaginato che quello strumento ormai in

disuso, un pezzo d’antiquariato che a noi sembrava un “ferrovecchio” fosse stato in quel periodo un bene così prezioso da valere la pena di rischiare la vita pur di averne uno e custodirlo.

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Testimonianza di Loris Bottazzi presidente ANPI di Bibbiano. Io avevo dodici anni quando, il giorno prima della Liberazione, un ufficiale tedesco bloccò me e alcuni amici e ci chiese: “Quanti banditi ci sono?” Intendeva per banditi, i partigiani. Io, senza averne consapevolezza, risposi in tedesco, volevo dire sedici o diciassette, sbagliai e dissi sessanta o settanta. L’ufficiale mi trattò male, però i tedeschi si fermarono e non andarono oltre. A me è rimasto il dubbio se il mio errore li abbia indotti ad andarsene oppure se questo era nei loro piani. Ho anche il senso di colpa perché sicuramente, senza essermene reso conto, avevo dato una notizia ai tedeschi. I primi soldati alleati ad entrare in Bibbiano furono dei Brasiliani perché il Brasile aveva partecipato, con alcuni reparti, a fianco degli USA dopo il 1943.

Testimonianza di Dante Fantuzzi partigiano combattente e decorato con Medaglia di Bronzo; nome di battaglia: Ivan. “Avevo ventun anni quando divenni partigiano. La Resistenza è stata come salire dei gradini piano, piano. All’inizio più che partigiani eravamo dei cospiratori: distribuivamo volantini, discutevamo tra di noi; ballare era proibito ma io avevo trovato di nascosto dei dischi di jazz e li ascoltavamo. Una volta a Cavriago i carabinieri, in

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seguito ad una denuncia, mi portarono in caserma per tre o quattro giorni e mi requisirono il grammofono e i dischi, poi me li restituirono ma tutti scassati. Non si potevano leggere libri di autori francesi o americani perché venivano da paesi liberi e temevano che avremmo riflettuto sul nostro modo di vivere mettendolo a confronto con quello di popoli che non avevano la dittatura. Più tardi abbiamo preso le armi per combattere. Io sono nato ottantaquattro anni fa là dove c’è ora la Casa di Riposo, di fianco alla chiesa, in una famiglia cattolica di venti persone. La domenica, quando ero piccolo, andavo sul sagrato della chiesa dove c’era un banchetto con scarponi e altri oggetti che erano appartenuti a soldati della I Guerra Mondiale. Una volta chiesi alla nonna perché avessero quell’odore e lei rispose: “l’è l’ odor ed gas”16 Poi cambiammo casa e cominciai ad andare a scuola, divenni così un Balilla17 e dovetti imparare il Giuramento al Duce. I miei libri erano uno piccolo, di lettura, molto povero e il sussidiario che conteneva un’infarinatura di nozioni da due soldi. Al sabato facevamo ginnastica. Il libro che lessi per primo fu Quo vadis? Che mi era stato dato dal parroco. Con i miei amici cominciai a leggere altri libri e ci accorgemmo che molti di quelli erano vietati perché di autori stranieri.. Ci piaceva ballare ma i dischi di musica americana erano vietati. Cominciammo a capire che tutto questo non ci piaceva. Poi scoppiò la guerra e la gente cominciò a partire. Quelli a casa cominciarono a vivere ancora di più nelle ristrettezze, non c’erano il pane e i generi di prima necessità.


Da sinistra: Ero Grasselli, Tommaso Fiocchi e Dante Fantuzzi il giorno della loro testimonianza a scuola

Quando crollò il fascismo eravamo contenti, ma fu per poco; dopo alcuni giorni dei carrarmati occuparono il paese e i soldati occuparono le scuole. I bambini…, a casa; mia sorella ha fatto solo fino alla terza elementare. Tutto precipitò, eravamo meno contenti di prima. C’erano bandi che intimavano ai giovani di presentarsi per essere arruolati e c’era scritto che chi non lo avesse fatto, sarebbe stato fucilato. Io me la cavai perché lavoravo alle Reggiane che furono poi bombardate; allora persi il lavoro, mi nascosi, andai alla “macchia” e con i più anziani

decidemmo di entrare nella Resistenza. Era pericoloso, chi veniva catturato era torturato o ucciso: Noi, partigiani di pianura, stavamo nascosti di giorno e agivamo di notte; in montagna le azioni erano diurne e notturne. Noi eravamo organizzati, c’era chi prendeva le armi attaccando le colonne dei soldati o le caserme, chi procurava cibo da spedire in montagna, chi portava notizie. Un giorno io e un mio compagno dovevamo andare sulle prime colline ad incontrare una squadra di partigiani di montagna che avevano armi pesanti per accompagnarli la 85


Il Partigiano

Finito è….

Il partigiano cammina all’orizzonte vano, il fucile in mano. La fine è vicina, dietro la collina. L’orgoglio e la speranza rimangono nella mente; Penserà a lui tanta gente.

Finito è il giorno di guerra. Come falena con ali della notte, scrolla la polvere di mille soldati morti e città distrutte. Chiederemo aiuto alla luna per riempire dei loro ricordi gli immensi spazi notturni. Andrea Arnone

Mattia Morini

Guerra è…

Il soldato

Guerra è tensione Guerra è paura Guerra è sangue Guerra è nero Guerra è rosso Guerra vuol dire Sacrifici di uomini Per amore degli altri

Il soldato camminava bendato sul fronte armato. Quando alla meta arrivò l’alt si levò. La benda fu sciolta E la pallottola accolta. Mattia Morini

Maria Elisabetta Ambra

notte seguente sulla Via Emilia ad attaccare i nazifascisti. La mattina, a Caverzana, ci accorgemmo che i nemici ci avevano circondati; noi eravamo in otto, piovviginava, quando cominciammo a sparare da dentro una stalla, poi salimmo sul fienile e da lì ci difendemmo. C’erano dei buchi nel muro e noi sparavamo da quelli; i tedeschi e i fascisti non sapevano quanti fossimo, usavamo le armi meglio di loro che però lanciarono delle granate e incendiarono il fienile.

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A quel punto tornammo giù, il combattimento si stava mettendo proprio male per noi; io decisi allora di fare una sortita, anche perché speravo che la leggera nebbia che era calata ci aiutasse. Ho incontrato in mezzo alla foschia un paio di avversari e ho fatto quello che si fa in guerra, poi mi lanciai giù dal torrente. Cieca venti metri più in là fui colpito ad una gamba; pensavo di essere finito e mi buttai in un cespuglio quando sentii dei rumori:


erano tre compagni che erano riusciti a seguirmi. Io non camminavo più e rimasi lì, nascosto, loro proseguirono. Fui poi accolto in una casa e sistemato in una grotta, al sicuro. I quattro compagni rimasti nella casa si nascosero nel pozzo nero e si salvarono in questo modo. La famiglia che mi nascose, non era una famiglia di partigiani, ma tutti mantennero il silenzio; una donna fece venire il dottore partigiano di S. Polo che mi curò; mi diedero altri vestiti e una staffetta, quando fui in grado di muovermi, mi accompagnò attraverso sentieri non frequentati, alla Mòja, sopra Quattro Castella, a casa di parenti. Qualcuno andò dalla mia famiglia che mi mandò un carretto con delle casse da uva e così nascosto, mi portarono in una casella in mezzo ai campi dove venivano ricoverati gli attrezzi. Dopo un paio di giorni, d’accordo col prof. Pampari, tre ragazze della Fossa, con una bicicletta senza catena, mi spinsero fino all’ospedale di Montecchio dove, come era stato convenuto, entrai. Lì diedi la parola d’ordine “Maria ha bisogno” ad una suora che mi accompagnò dal prof. Pampari che mi tolse il proiettile. Tornai indietro con lo stesso mezzo dell’andata e fui di nuovo ricoverato nella casella, poi fui trasferito in un altro posto. Siccome c’erano dei rastrellamenti, mi fecero arrivare a S. Polo dove non c’era più il presidio fascista e poi, con un cavallino mi portarono all’ospedale partigiano dove c’era un dottore che curava i feriti. Io non vidi la fine della guerra fino a quando una camionetta di americani mi riportò a casa. Dopo la guerra, il lavoro mi portò a Milano. Nel 1970, ero in fabbrica, arrivarono i

Vecchio grammofono

carabinieri, mi era arrivata una decorazione: Medaglia di Bronzo al valor militare. Era stato per l’episodio di Caverzana di San Polo. Prima di chiudere il mio racconto, una cosa vi voglio dire: quando si è costretti ad uccidere, è una brutta cosa, ricordatelo.”

Testimonianza di Tommaso Fiocchi, partigiano; dopo la guerra fu il primo rappresentante dei giovani di Bibbiano. “Argo era il mio nome di battaglia; l’avevo scelto ispirandomi al cane di Ulisse e agli argonauti. Io sono della classe 1925 e, verso la fine della guerra, questa era l’ultima ad essere richiamata. Io e altri

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DON PASQUINO BORGHI In via Rosemberg, a fianco del Teatro Comunale “Metropolis” c’è un monumento delicato, in mezzo all’erba, opera dello scultore Augusto Giuffredi; su un piano di marmo poggiano la statua raffigurante don Pasquino Borghi in bronzo, una fontana costituita da due blocchi di marmo raffiguranti una vite (simbolo di vita) e una stele (vedi figura) dove sono incise le parole: Resistenza, Democrazia, Giustizia, Libertà, Consapevolezza, Impegno, Meditazione, Carità, Vocazione, Fede. Essi descrivono tutti valori in cui credeva Don Pasquino e per difendere i quali ha lottato ed è morto. Sul pavimento si trova anche una targa su cui sta scritto: “Partigiano, Medaglia d’oro, nato a Bibbiano il 26 ottobre 1903 e morto a Reggio Emilia il 30 gennaio 1944 – Cento anni dalla nascita e sessanta dalla fucilazione” Questo monumento è stato eretto nel 2003. Don Pasquino Borghi viveva in una casa colonica molto grande posta sulla strada tra Bibbiano e Montecchio ; era figlio di contadini e la sua vita fu molto movimentata. Da sacerdote compì molti viaggi come missionario in Africa.

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Dapprima fu il parroco di Canolo, dove trovò molti amici e aspiranti preti, poi gli fu affidata la chiesa di Tapignola, un piccolo paese delle nostre montagne. Lì ebbe modo di aiutare gli sbandati dopo l’8 settembre 1943, i primi partigiani e le vittime della guerra; finì varie volte in carcere, quando era già a Tapignola, per aver criticato apertamente il fascismo e Hitler. Dopo l’ultimo arresto subì un processo in cui non furono chiamati testimoni, non furono rispettati i più elementari diritti di difesa, come del resto succedeva in quel tempo e alla fine fu condannato a morte. La condanna fu eseguita al poligono di tiro di Reggio Emilia, dove già erano stati uccisi i sette Fratelli Cervi; fu colpito da sette proiettili: cinque sul braccio e due sul cuore. Aveva sfruttato tutte le possibilità per combattere contro i nazifascisti e non ha mai pensato a salvarsi unendosi ai fascisti. L’aiuto che diede ai partigiani, il suo esempio e la sua morte diedero una forte spinta alla lotta di liberazione. Alla madre di Don Pasquino Borghi, Orsola del Rio, fu consegnata una medaglia d’oro al Valore.


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gie per nascondere le armi, ad esempio dentro le balle di fieno oppure scavando buche che poi ricoprivamo di terra; una volta avevamo fatto un buco all’interno di un gelso che si trovava in un cortile. Non era difficile nascondere le armi che avevamo perché in pianura si usavano armi leggere; le migliori e più efficaci erano in montagna Un pascolo tra le montagne dove avvenivano anche lanci da parte degli alleati. Tenevamo miei compagni eravamo renitenti e voi anche delle riunioni nella segretezza assolusapete già che cosa ci prometteva il bando ta. Nel mio gruppo eravamo sette o otto e di reclutamento se fossimo stati catturati. nulla sapevamo degli altri gruppi di Bibbiano Ero nascosto in casa, a Quattro Castella e così, se fossimo stati catturati, non avremmo una volta, ero a letto tranquillo, La Brigata potuto farne nessun nome. Era un po’ come Nera piombò nella mia camera e mi prese. nel periodo della Carboneria: agivamo in seMia madre, mentre mi portavano via, era greto, senza propagandare. Quello che facevo io, la mia famiglia non disperata e picchiava coi pugni contro lo lo sapeva. Chi si arrendeva ai fascisti o ai stomaco dei fascisti. Subito dopo la cattura fui portato a Reg- tedeschi durante un’azione, era “fritto”, non gio per due giorni, poi in caserma a Guastalla c’era processo, c’era l’esecuzione immediata. Non c’erano età dopo la quale si potee là mi arruolarono con la forza. Venne l’or18 va fare il partigiano; alcuni erano giovanisdine di partire per la Linea Gotica . Una sera, io e i miei compagni, in libera simi: quindici, sedici anni e i comandanti uscita, scappammo e arrivammo a Bibbiano dei reparti, generalmente li utilizzavano attraverso i campi, aiutati dai contadini. Ci con una certa cautela. Tra i partigiani c’era un regolamento da portammo a S. Polo dove venne costituito il distaccamento partigiano “F.lli Corradini” ma seguire, se veniva dato un ordine bisognava eseguirlo, si doveva ubbidire ai capi; eravaeravamo ormai alla fine della guerra. In un’altra occasione sono stato buttato mo organizzati come dei reparti militari. dal letto dai tedeschi, quando erano venuti Quando andavamo a prendere del cibo da a casa mia per requisire la mia camera per una famiglia o ci veniva fatta un’offerta in un ufficiale. Ero molto preoccupato perché denaro, si rilasciava una ricevuta; dopo la nel solaio avevo nascosto una macchina per guerra furono restituite le somme date. Vi porto una testimonianza di Don scrivere; io spesso scrivevo i volantini da diPasquino Borghi, il nostro concittadino di stribuire la notte. Noi partigiani usavamo diverse strate- cui avete certamente sentito parlare. Don

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Pasquino, per me, è stato un vero santo, ma non era un “bravo cospiratore”; noi partigiani, invece dovevamo essere bravi cospiratori e non lasciare capire niente ai tedeschi e ai fascisti. Lui aveva le sue idee di pace, libertà, giustizia che lo portarono a curarsi poco di tenere i segreti. Dovete sapere che allora, da noi, c’era la transumanza: le pecore in inverno venivano portate in pianura a pascolare. Nell’inverno del ’43 una famiglia di pastori era a casa mia; come ricompensa per i pascoli e l’alloggio ci lasciavano il letame delle pecore che allora era un prezioso fertilizzante. Questa famiglia era di Tapignola, il paesino di montagna dove era parroco, appunto, don Pasquino. Un giorno, mentre il prete faceva il giro per visitare i suoi parrocchiani, venne anche a casa mia. Mi disse delle parole che ancora oggi mi commuovono: “Tu resta nascosto fin che puoi, ma quando non lo potrai più, vieni da me, lassù che troverai sempre un piatto di buon cuore. Lassù noi ci difenderemo anche con le pietre”. Quando ho saputo della sua fine, ho avuto un momento di furore; ero in casa mia, con alcuni amici; io volevo andare a prendere le armi, loro, per fortuna mi calmarono. Ricordo ancora due versi che mi emozionavano e che mi tornavano sempre in mente, anche se non mi ricordo chi li abbia scritti: “…che importa mai che le città fian roghi / se tra l’alte fiamme o Libertà riluci…” Mia sorella Milena aveva scritto una preghiera per la pace:

NOTE 16 Si riferisce riferendosi ai gas asfissianti usati Nella I Guerra Mondiale 17 Per allevare le nuove generazioni negli ideali fascisti il regime affiancò alla scuola l’Opera Nazionale Balilla un’organizzazione paramilitare che inquadrava i giovani dai 6 ai 18 anni. Il nome Balilla evocava un ragazzo che nel 1746 aveva dato il via alla rivolta contro gli Austriaci che occupavano Genova. Dai 6 agli 8 anni erano i “Figli della Lupa”, dagli 8 ai 14 erano i “Balilla” e dai 14 ai 18 anni “Avanguardisti”; le ragazze “Piccole italiane” e “Giovani italiane”. 18 Linea immaginaria che correva dalla Lunigiana (in Toscana ), a sud di Rimini che, dal giugno 1944 al 25 aprile 1945 segnava il fronte sul quale erano attestati l’esercito degli anglo-americani, e quello nazifascista.

Un soldato tedesco si arrende

“…fa’ che giunga tra noi la pace attesa tanto e che negli occhi umani finalmente, splenda un sorriso tra un lucor di pianto..”

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Staffette partigiane

Vilma Bertolini, Vera Nata nel 1920. Nell’aprile del 1944 era a servizio presso il generale Vecchi quando fu precettata dal G.N.R.19 per andare a lavorare nelle risaie, attività resa obbligatoria per tutte le donne che, negli anni precedenti erano andate a fare le “mondine”20. Siccome il generale si interessò a far ritirare il decreto nei confronti di Vilma, senza riuscirci, venne il sospetto che si volesse mandarla a lavorare in Germania; così la giovane decise di nascondersi e il 25 aprile del 1944 partì con Sbafi e andò a far parte della 144^ Brigata. Combattè con grande coraggio e i fascisti le affibbiarono il nome di Tigre. Scese in pianura nei giorni precedenti la Liberazione.

Erminia Bigi, Mirka e Nemesia Brindani, Mara Nate rispettivamente nle 1925 e nel 1924. Entrambe iniziarono l’attività clandestina nell’estate del 1944 come staffette. Verso la metà di febbraio del 1945 si videro scoperte e si trasferirono nelle formazioni della montagna per non essere catturate dai nazifascisti. Lì operarono presso il Comando Unico della montagna come staffette per i collegamenti con un comando delle S.A.P. di pianura.

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Pierina Bonilauri, Iva Nata nel 1918 . Cominciò ad operare nel Paramilitare poi si arruolò nella Brigata Garibaldi. Qui fu combattente e staffetta, infine passò al servizio informazioni. Il 20 marzo 1945 a Gottano fu ferita ad una mano ma continuò a svolgere il suo lavoro.

Olga Manni, Tina Nata nel 1925. Iniziò a svolgere attività clandestina fin dall’inizio e fu staffetta. Nella sua casa si svolgeva attività di reclutamento ed ad un certo punto temette che potesse essere presa di mira dai fascisti per cui si arruolò nella 144^ Brigata . Svolse operazioni di staffetta e di servizio investigativo fino alla liberazione.

Ave Melioli, Tita Nata nel 1922, fu la prima ragazza ad arruolarsi nelle formazioni partigiane. All’inizio svolse attività di staffetta poi, ricercata dai fascisti, si rifugiò in montagna, prima nel reggiano e in seguito nel parmense. Durante il trasferimento del Comando di Brigata, quando i nazifascisti accerchiarono il Monte Caio, fu falciata da una raffica di mitra il 20 novembre 1944 a Ponte di Lugagnano in comune di Monchio delle Corti.

Adriana Prandi, Annusca Nacque nel 1925. Iniziò la sua attività clandestina nel Paramilitare, poi divenne staffetta nella prima “squadra volante” che si era costituita al Ghiardo e aveva la sua “base” nella casa del Maggiore. Trasportò in diverse occasioni volantini, stampa clandestina, armi e altro materiale. Fu sorpresa, durante un rastrellamento, mentre trasportava una macchina da scrivere dentro un sacco. Quando la interrogarono sostenne che stava trasportando la macchina in stazione per spedirla a sua sorella a Reggio. Riuscì a scappare a casa sua e avvisare alcuni partigiani che lì alloggiavano. Qualche tempo dopo però lei, una sorella e il padre furono arrestati e portati nella prigione dei “Servi” di RE, da dove vennero trasferiti e torturati a Villa Cucchi. Adriana venne liberata dopo quindici giorni mentre il padre e la sorella

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dovettero subire sevizie e torture fino alla Liberazione. Adriana andò in montagna e fu inquadrata nel gruppo femminile di staffette.

Ester Immovilli ed Elena Riccò Entrambe dirigenti del movimento femminile locale dovettero fuggire quando la Brigata Nera incendiò le loro case; altre come Ave Capellini , le sorelle e Ansalda Brini si trasferirono per non essere rastrellate.

Teresa Vergalli, Annuska Nacque nel 1927. Studentessa di 17 anni, dovette lasciare le scuole Magistrali che stava frequentando poiché erano state trasferite, a causa dei bombardamenti in un paese della bassa reggiana. Cominciò dall’8 settembre, insieme a suo padre,a fare la staffetta, portando i compagni alle riunioni e riportandoli poi al sicuro. Quando capì di essere stata individuata dai fascisti, si trasferì in montagna fino a quando si avvicinò il giorno della Liberazione e potè tornarsene in pianura.

NOTE 19 Il G.N.R. erano reparti di militi della Repubblica sociale che svolgevano anche attività repressive nei confronti dei resistenti. 20 Così erano chiamate le donne che andavano a lavorare nelle risaie, a “mondare” del riso

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Caduti della Resistenza

Walter Bonacini Nacque a Correggio l’11 novembre 1920; combattè nel comande delle truppe italiane a Creta dove morì il 22 febbraio 1944 per una ferita provocata da una sentinella tedesca.

Afro Bonazzi Nato a Bibbiano 20 gennaio 1925 , partigiano combattente, 76° SAP; emigrò in Francia dove morì di malattia il 15 gennaio 1947.

Odoardo Campani Nacque a Casina il 21 aprile 1876. Aderì alle formazioni dei partigiane della montagna. Fu catturato dai tedeschi ed ucciso per rappresaglia a Vetto d’Enza il 30 giugno 1944.

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Luigi Castagnetti Nacque a Bibbiano il 2 gennaio 1924 si arruolò nelle brigate Garibaldine nel 1944, ferito, catturato, torturato e ucciso il 24 ottobre 1944 a Madurera di Tizzano Val Parma.

Lauro Corradini Nacque a Quattro Castella il 27 febbraio 1925. Si arruolò alle formazioni partigiane. Fu catturato con il fratello nel rastrellamento il 13 aprile1945 poi brutalmente assassinato presso il ponte del Rio Enzola a Bibbiano.

Luigi Corradini Nacque a Quattro Castella il 18 ottobre 1920. Aderì alle formazioni partigiane nel 1944. Durante il rastrellamento a Bibbiano il 13 aprile 1945, fu catturato da una banda di fascisti travestita da Garibaldini. Venne poi percosso e ucciso presso il ponte del rio Enzola a Bibbiano.

Erio Ferrari Nacque a Bibbiano il 4 dicembre 1921; prestò servizio militare in aviazione poi in Artiglieria; portato prigioniero in Germania, morì lì, di malattia, qualche mese dopo la guerra, il 17 agosto 1945.

Marino Fontana Nacque a Bibbiano nel 1916; fu combattente in fanteria e cadde in Albania nel 1941.

Piero Giavarini Nacque a Bibbiano il 3 dicembre 1923; prestò servizio presso il 2 Zat. Padova; portato prigioniero in Germania, morì nel Lasaret di Bergen per Laringite tubercolare il 7 dicembre 1944.

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Emore Gilberti, Eros (cascinaio) Nato a Carpi nel1913, fucilato dalla brigata nera insieme ai fratelli Corradini il 13/4/1945. Armando Grisendi (operaio delle O.M.I. Reggiane) Nato a Bibbiano nel 1918. Morì il 28 febbraio 1943 con altri operai durante una manifestazione di pace Ave Melioli, Tita Nacque a Bibbiano il 23 novembre 1922. Staffetta in collegamento con S.Polo poiché ricercata dai tedeschi dovette passare nella Brigata partigiana Parmense. Morì a Monchio delle Olle il 20 novembre 1944 . Fu insignita della Medaglia d’oro al Valor Militare. Guerrino Neviani Nato a Bibbiano l’8 febbraio 1921, cadde durante una violenta sparatoria il 17 febbraio1945. Fu insignito della Medaglia d’argento al Valor Militare. Dionello Oleari, Tito (operaio) Nato a Bibbiano nel 1913, aderì alle S.A.P. Morì a Bibbiano nel 1945 per malattia. Domenico Pederini Nacque a Bibbiano il 9 dicembre 1912; combattè nel IV Reggimento Bersaglieri; fatto prigioniero, morì a causa di malattia contratta nei lager il 16 dicembre 1945.

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Pierino Piccinini Nacque a Villa Cella il 23/6/1923. Aderì alle formazioni dei militari italiani che combatterono a fianco degli alleati. Morì nella battaglia di Monte Cassino il 7/2/1944. Vittorio Prandi Nacque a S. Ilario d’Enza il 23 luglio 1926; combattè nelle formazioni partigiane e fu ucciso in combattimento a Ramiseto il 21 novembre 1944

Alfredo Tarasconi Nacque il 10 febbraio 1915 a Reggio Emilia; combattè con il 32° Batt.Terr.Bis. Cadde l’8 settembre 1943 a Pola Pisino in circostanze imprecisate.

Ettore Tarasconi Nacque a Gavasseto l’11 febbraio 1908. aderente alle S.A.P. di Bibbiano, cadde sul Ghiardo la mattina del 13 aprile1945, durante la sparatoria avvenuta tra le forze fasciste e una squadra di partigiani appostata sulla sponda del Quaresimo sul Ghiardo di Bibbiano.

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Arte per non dimenticare

“Guerra, bombe, tragedia, scempio, soprusi, dolore, morte, orfani”…….riecheggiano ancora queste parole nei crudi racconti di qualche nonno/a. Oggi, dopo più di mezzo secolo, in una realtà socialmente ed economicamente molto diversa, le loro voci di testimoni diretti continuano a fare breccia nel cuore degli adolescenti. I racconti di chi ha vissuto quegli anni tragici permette ai ragazzi di rivivere la storia, suscita in loro sconcerto, sgomento, angoscia… emozioni forti, cariche di tensione morale. L’attività artistica inerente al tema “per non dimenticare” ha permesso loro di soffermarsi a riflettere sugli eventi e li ha aiutati nella rielaborazione personale delle loro emozioni, pensieri e sentimenti, facendoli diventare progetti, idee, bozzetti, disegni.

La realizzazione attraverso l’uso delle tecniche grafico pittoriche sperimentate nel corso del triennio, ha portato i ragazzi al superamento degli stereotipi figurativi e ad una più approfondita conoscenza della storia dell’arte, in particolare delle avanguardie del Novecento. Quando le emozioni generano la creatività diventano maggiormente comprensibili anche i movimenti artistici astratti e di reazione. Accanto alle opere figurative, appaiono così anche opere istintive, informali, che sfruttano linee, simboli, pittura materica e soprattutto il colore per comunicare in modo evidente la condanna della guerra e della violenza e la speranza di un futuro di solidarietà e di pace. L’insegnante di Arte e Immagine Mirella Mori 103


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Musica e canti, melodie del ricordo e voli di pace attorno al tricolore

Da anni gli alunni e gli insegnanti della nostra scuola sono in piazza il 25 aprile, la giornata che ci ricorda i diritti, il benessere, la libertà di cui godiamo e che non sono solo qualcosa di scontato. Uomini e donne di tutte le età sono morti per garantircele e spetta a noi difendere queste conquiste tenendole vive nella coscienza e negli atti di ogni giorno. Cantiamo le canzoni che ci riportano a quei periodi condividendo con i nostri partigiani, che li hanno vissuti, i ricordi e le certezze di quello che è successo e non deve succedere più. Il 25 aprile è veramente una giornata di festa e di gioia per la liberazione dalla guerra che ci rinforza anche nella consapevolezza del lungo periodo di pace che stiamo vivendo. Nella festa della riconciliazione nazionale la bandiera tricolore sventola, volano in alto le bandiere bianche simbolo della fede delle

idee, quelle verdi della speranza di pace e quelle rosse del sangue dei nostri eroi caduti. I ragazzi cantano in onore della nostra bandiera che è la più bella di tutte e che con i suoi colori ci ricorda che la pace vera è la libertà del mondo, cantano canzoni della guerra e canzoni partigiane e infine l’inno di Mameli, con la mano sul cuore, tutti in piedi e la musica ci unisce tutti come Fratelli d’Italia. Grazie a tutte le persone che sono vissute in un periodo così triste per il nostro paese che ci hanno fatti partecipi della loro storia e ci hanno donato con la democrazia, un lungo periodo di pace. l’insegnante di Scienze motorie Amedea battistelli e l’insegnante di Educazione Musicale Marco Storchi 143


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Indice dei disegni

Maria Elisabetta Ambra, Radiosità di Pace

pag. 104

Sara Basiricò, Incubo

105

Sabrina Caminati, Energie di Pace

106

Maila Caroppo, Manifesto di Pace

107

Marco Castagnetti, Mai più come prima

108

Giulio De Luca, Guerra

109

Rosalba De Rosa, Volti

110

Luca Incerti Del Monte. Desolazione

111

Samuele Federzoni, Pace dominante

112

Simone Fiumanò, Invisibili

113

Davide Giunzioni, I vinti vincitori

114

Giovanna Lietone, Non ostacoliamo la Pace

115

Melissa Mercurio, Resti

116

Giulia Messineo, Segnali di speranza

117

Andrea Montepietra, Oppressione

118

Luca Monti, Sentimento di Pace

119

Mattia Morini, Unità e divisione

120

Naomi Panciroli, Valori vincenti

121

Rossella Prisco, Global Peace

122

Amelia Ragone, Pagine di dolore

123

Rajni, In onore

124

Daniele Re, Grazie a…

125

Davide Rinaldi, Volo per la pace

126 149


Nicholas Rocchi, Antipodi

150

pag. 127

Martina Rosi, I valori della speranza

128

Clemente Saccani Vezzani, Stella di David

129

Clemente Saccani Vezzani, Unica bandiera

130

Autilia Sagliocco, Angoscia

131

Autilia Sagliocco, Fine di un dolore

132

Marta Secchi, Libertà: dov’è?

133

Marta Secchi, Cronaca

134

Natalia Tesauri, Caos

135

Irene Trisolini, Isole di morte

136

Tommaso Turbine, Inaudita ferocia

137

Giulia Veneselli, Volontà di Pace

138

Nicholas Viappiani, Luce

139

Endri Xacka, Memoria

140


Bibliografia

AA.VV. (2002), Lettere di Condannati a morte della Resistenza italiana, Torino, Einaudi AA.VV., (1985), Nuove Questioni di Storia Contemporanea, Milano, Marzorati Editore Bacchelli A. e Verra A. (1986), Dal Mito alla Storia , Torino, Paravia Baranovic M. (1974), Come l’uomo conquista la Libertà, Milano, Edizioni Giorni Vie Nuove Barazzoni R. e Faietti C. (1976), Bibbiano – la gente e le vicende, Reggio Emilia, Tecnostampa Barazzoni R. (1987), Bibbiano – immagini e vicende sul filo della memoria, Reggio Emilia, Tecnograf S.p.A. Bergonzini L. (a cura di) (1976), La Resistenza in Emilia-Romagna. Rassegna di saggi storico critici, Bologna, Il Mulino Brugnoli N. e Canovi A. (2000), Le pietre dolenti, Reggio Emilia, Rs Libri Campioli C. (1965), Cronache di lotta, Parma, Editrice Guanda Cervi A. a cura di Nicolai R. (1955 I^ ed.), I miei sette figli, Roma, Editori Riuniti Fondazione G. Brodoloni, Un popolo per la Libertà – La Resistenza in Italia,VHS Joll J. (1975), Cento anni d’Europa 1870-1970, Bari, Edizioni Laterza Paterlini N. (1977), Partigiane e Patriote nella Provincia di Reggio Emilia, Reggio Emilia, Tecnostampa Procacci G. (1978), Storia degli Italiani, Bari, Edizioni Laterza Vergalli T (2004), Storie di una staffetta partigiana, Roma, Editori Riuniti

151


152


Fonti delle illustrazioni

In copertina: Simone Fiumanò, Prigioniero pag.

14

Foto dei ragazzi delle classi Terze

19

Collezione fotografica in all. a AA. VV. (ris 1991), Enzo Biagi La Seconda guerra Mondiale, Milano, Fabbri S.p.a., foto n. 55

20

Collezione fotografica in all. a AA. VV. (ris 1991), Enzo Biagi La Seconda guerra Mondiale, Milano, Fabbri S.p.a., foto n. 145

28

<www.regiamarina.it>

29

<www.partecipiamo.it>

34

Collezione fotografica in all. a AA. VV. (ris 1991), Enzo Biagi La Seconda guerra Mondiale, Milano, Fabbri S.p.a., foto n. 59

35

Collezione fotografica in all. a AA. VV. (ris 1991), Enzo Biagi La Seconda guerra Mondiale, Milano, Fabbri S.p.a., foto n. 163

36

<www.history.jp> collezione Akira Takiguchi

38

<archives.norfolk.gov.uk>

39

<www.filippore.it>

40

<www.amerigo1934.it>

45

<utenti.romascuola.net>

48

Maedel K-.E., Gottwald A. B. (1994), Deutsche Dampflokomotiven, Stoccarda, Trans Press Verlag, p. 249

52

Collezione Davide Acerbi

54

Archivio Fotografico Istoreco Reggio Emilia

54

<www.istoreco-re.it>

153


pag.

154

56

Foto donata dal marito di Maria Cervi

57

<www.memoriadellealpi.net>

58

<picasaweb.google.com/masiafab/MercantiDiLiquore/photo# 4947644890779287570>

60

Documento di Francesca Del Rio

61

<www.carnialibera1944.it/Immagini/Nazifascismo/ fucilazione.jpg>

62

Collezione fotografica in all. a AA. VV. (ris 1991), Enzo Biagi La Seconda guerra Mondiale, Milano, Fabbri S.p.a., foto n. 23

64

Documento di Francesca Del Rio

68

<www.timglass.co.uk/blog/uploaded_images/DSC_0137734793.jpg>

71

Collezione fotografica in all. a AA. VV. (ris 1991), Enzo Biagi La Seconda guerra Mondiale, Milano, Fabbri S.p.a., foto n. 21

74

<www.ciclistica.it>

75

<www.hormiga.org/fondosescritorio/wallpapers/Militar/Armas>

77

Foto dei ragazzi delle classi Terze

78

<library.thinkquest.org/CR0212881/nazsol.jpg>

80

Foto dei ragazzi delle classi Terze

83

Collezione Davide Acerbi

85

Foto dei ragazzi della classi Terze

87

<www.r-hansen.com/images/gram_final.jpg>

88

digilander.libero.it/lacorsainfinita/schede/donpasquinoborghi.jpg

88

Foto dei ragazzi delle classi Terze

89

Foto dei ragazzi delle classi Terze

90

www.agriturando.com/amicianimali/animali18.jpg

91

Collezione fotografica in all. a AA. VV. (ris 1991), Enzo Biagi La Seconda guerra Mondiale, Milano, Fabbri S.p.a., foto n. 23


Autori

Hanno partecipato alla ricerca e alla stesura dei testi gli alunni: Maria Elisabetta Ambra Andrea Arnone Luana Bonafede Sabrina Caminati Maila Caroppo Giulio De Luca Rosalba De Rosa Samuele Federzoni Simone Fiumanò Luca Del Monte Andrea Montepietra Rossella Prisco Rajni Davide Rinaldi Nicholas Rocchi Clemente Saccani Vezzani Autilia Sagliocco Natalia Tesauri Tommaso Turbine Giulia Veneselli

Sara Basiricò Edera Campos Marco Castagnetti Giorgio Antonio Celi Debora Stefania Fino Giunzioni Davide Giovanna Lietone Mario Loffredo Melissa Mercurio Giulia Messineo Luca Monti Mattia Morini Naomi Panciroli Amelia Rangone Daniele Re Martina Rosi Marta Secchi Irene Trisolini Nicholas Viappiani Endri Xacka

Hanno collaborato gli insegnanti: Ives Arduini Materie Letterarie Dantina Avanzi Materie Letterarie Amedea Battistelli Scienze Motorie Franca Buzzoni Matematica

Antonietta Calcagnile Insegnante di sostegno Mirella Mori Arte e Immagine Marco Storchi Educazione Musicale

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Ringraziamenti

La Scuola Secondaria di Primo Grado “Dante Alighieri” di Bibbiano (RE), nelle persone degli insegnanti e dei ragazzi che hanno partecipato a questo progetto ringraziano per la preziosa collaborazione e la straordinaria disponibilità, i rappresentanti dell’ANPI di Bibbiano e tutte le persone che con la loro testimonianza hanno reso viva quest’opera, nell’ordine: Pierino Agoletti Loris Bottazzi Maria Cervi Francesca Del Rio Nino Fantesini Dante Fantuzzi Livio Ferretti Tommaso Fiocchi Ero Grasselli Orio Vergalli I nonni e le nonne degli alunni per la profonda sensibilità e attenzione verso la scuola e le nuove generazioni, le Istituzioni e i privati che ne hanno permesso la realizzazione: ANPI di Bibbiano Comune di Bibbiano Provincia di Reggio Emilia CIR - Cooperativa Italiana di Ristorazione

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Istituto Comprensivo di Montecchio Emilia e Bibbiano Dirigente: Dott.ssa Nanda Baldi Responsabile di sede: Prof. ssa Annamaria Paderna

Progetto grafico Davide Acerbi Stampa L’Olmo - Società Cooperativa Sociale Tipolitografia Finito di stampare nel mese di aprile 2008




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