ANPI NOTIZIARIO
NUMERO
03 2017
PERIODICO DEL COMITATO PROVINCIALE ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D'ITALIA DI REGGIO EMILIA
03 EDITORIALE ESSERE ANTIFASCISTI OGGI Ermete Fiaccadori
04 EVENTI CAMISASCA IN VISITA A CASA CERVI
Poste Italiane s.p.a. - Spediz. in abb. post. - codice ROC 25736 d.l. 353/2003/ (conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1 - comma 1- CN/RE - Filiale R.E. Tassa pagata taxe perçue - Anno XLVII - N. 03 luglio 2017 - In caso di mancato recapito rinviare all’Ufficio P.T. di Reggio Emilia detentore del conto per restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.
Roberto Scardova
08 COSTITUZIONE I POCHI E I MOLTI: LA RAPPRESENTANZA Giancarlo Ruggieri
20 CULTURA VIAGGIO DELLA MEMORIA: OLTRE MILLE STUDENTI Adriano Arati
GRAMSCI INSEGNA ANCORA
A ottant’anni dalla morte la sua opera fa riflettere sui nostri giorni
Sommario 03. Essere antifascista oggi Ermete Fiaccadori 04. Il perdono e la memoria per riannodare fili superstiti Roberto Scardova
12. 7 luglio 1960, una ferita aperta Silvano Franchi
19.Aderito Ferrari, 80 anni fa il martirio Antonio Zambonelli
14. Reggiane
20. Oltre mille studenti a Berlino per ricordare Adriano Arati
06. I neofascismi e la legge Ermete Fiaccadori
15. A proposito della crisi delle cooperative Ermete Fiaccadori
08. I pochi e i molti: l’esercizio della sovranità popolare Giancarlo Ruggieri
16. REmilia Pride: Reggio ha detto sì Irene Guastalla
22. Anniversari
09. Gramsci tra filosofia, storia e politica Lorenzo Capitani
17. “Las mujeres” dal fiore bianco Anna Fava
26. Sostenitori
10. Parole
18. I GAP e il terrorismo Glauco Bertani
21. Scatti
25. Lutti
27. Tessere
CHI SIAMO L’Anpi, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, è la casa di tutti gli antifascisti impegnati nella valorizzazione della memoria della Resistenza e dei principi e valori della Costituzione. L’Associazione, forte di oltre 124.000 iscritti, è presente in tutte le
110 province d‘Italia, in Belgio, Francia, Germania, Svezia, Repubblica Ceca, Svizzera, Inghilterra ed è organizzata in Comitati provinciali, Coordinamenti regionali e Sezioni.
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Periodico del Comitato Provinciale Reggio Emilia ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA C.F. 80010450353 Via Farini, 1 – 42121 Reggio Emilia Tel. 0522 432991 – Fax 0522 401742 Ente Morale D.L. n. 224 del 5 aprile 1945 Reg. Tribunale di Reggio Emilia n.276 del 2/3/1970 Spedizione in abbonamento postale – codice ROC 25736 Proprietario e direttore: Ermete Fiaccadori Condirettore: Antonio Zambonelli Sito web: www.anpireggioemilia.it Email: redazione@anpireggioemilia.it
Numero 3 luglio 2017 – Chiuso in tipografia il 13/06/2017 Grafica Omnia Edizioni, Via D. Vioni 6, Guastalla (RE) Stampa Litocolor Foto copertina: Angelo Bariani IBAN per sostenere il “Notiziario” Associazione Nazionale Partigiani d’Italia Banca: IT75F0200812834000100280840 Posta: IT50Z0760112800000003482109 c/c postale n. 3482109
Editoriale
luglio 2017
Essere antifascisti oggi di Ermete Fiaccadori
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l 27 maggio si è svolta una giornata antifascista che ha permesso di organizzare un seminario nazionale a Roma e iniziative sul tema in tutta Italia. A Reggio Emilia abbiamo organizzato, d’intesa con Alpi – Apc, un incontro pubblico nella sala del consiglio provinciale alla quale hanno preso parte i rappresentanti della Amministrazione Provinciale, del Comune di Reggio Emilia e San Martino in Rio, il segretario provinciale della Cgil Guido Mora, rappresentanti di organizzazioni, di partiti e movimenti provinciali, oltre a numerosi cittadini che hanno voluto dare un loro personale contributo. Dopo aver ricordato il lascito e l’attualità della Resistenza, ho sottolineato come la nostra Costituzione abbia rimarcato la discontinuità più netta e insormontabile con l’esperienza della dittatura fascista affermando quei principi che il regime aveva invece offeso e violato. Da una lettura dei primi 12 articoli, che trattano i principi fondamentali della Costituzione repubblicana, si evince che la stessa si oppone al fascismo in modo assoluto. Oggi la degenerazione del tessuto economico e sociale, la difficoltà della politica a dare risposte concrete ai problemi e delle stesse forze intermedie quali le Associazioni e i Sindacati a svolgere un ruolo di cerniera importante, evidenzia un rischio di logoramento della democrazia. L’incontro ha anche permesso di illustrare la portata delle leggi di contrasto ai fascismi, dalla legge Scelba del 1952 alla legge Mancino del 1993. Si sono così evidenziati i limiti dei due provvedimenti e la necessità di aggiornarli anche alla luce delle nuove tec-
nologie e la diffusione di internet e della rete dei social media. Una ricerca dell’Anpi nazionale, tuttora in corso, ha evidenziato la presenza di una Galassia nera su facebook con 3.600 pagine e siti internet di chiara marca fascista
combatteremo con gli strumenti della democrazia di cui circa 600 pagine sono dichiaratamente nostalgiche (su Mussolini e altri gerarchi e fatti). I principali attori della Galassia nera sono Forza Nuova con 720 pagine e Casa Pound con 680 pagine. Per comprendere il vero significato e la sua portata l’Anpi provinciale ha proposto di organizzare, nelle varie attività che si svolgeranno in provincia nel periodo
estivo, l’illustrazione della ricerca. La dimostrazione ultima dell’attualità di tali proposte e valutazioni è venuta anche dalla provocatoria affissione di manifesti sul portone di Palazzo Allende, sede dell’incontro, che, presentando un simbolo dell’Anpi sbarrato ed affiancato da quelli di Lotta Studentesca, sollecitava “attenzione disinfestazione” a causa della “puzza di vecchio e marcio”. Si è così avuta la conferma della giustezza della impostazione data all’assemblea secondo cui: “quando siamo in presenza di segnali di intolleranza, discriminazione, autoritarismo e razzismo si tratta sicuramente di segnali di neofascismo in quanto siamo in presenza dei tratti tipici che il fascismo ci ha fatto già conoscere nel lontano ventennio”. Combatteremo contro il significato di quei manifesti (offendere i partigiani e impedirci di discutere) e contro le azioni di quelle forze (che segnalano intolleranza e autoritarismo) con tutti gli strumenti che ci offre la democrazia e la Costituzione conquistata con la lotta di liberazione.
ANPI, ARCI, CGIL, CISL, UIL E ACLI
“Basta con questo gioco alla guerra” Questo è un appello urgente per la pace. Un appello alla civiltà suprema del dialogo, della sua umanità, della sua intelligenza. Leggiamo e apprendiamo di bombe, di grandi eventi nucleari, di raid preventivi. Un irresponsabile e impressionante gioco alla guerra che deve essere subito fermato. Chiediamo con forza alle Istituzioni internazionali, ai Governi
del mondo che si metta a tacere l’assurdo di queste intenzioni che porterebbero a effetti disastrosi e di morte già tragicamente vissuti. Facciamo appello alle cittadine e ai cittadini affinché si mobilitino per diffondere il più possibile voci e iniziative di pace, anche in nome della nostra Costituzione, che sempre ci ricorda che: “l’Italia ripudia la guerra”.
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Notiziario ANPI
Eventi
Il perdono e la memoria per riannodare fili superstiti Il vescovo Camisasca ha voluto rendere omaggio a Casa Cervi. Nella sua visita ha fatto emergere lo stretto legame tra la famiglia dei sette martiri e la coscienza religiosa di Roberto Scardova
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ragazzi sono venuti da Santarcangelo di Romagna. Ora sciamano correndo nel cortile della grande casa. Giocano e scherzano con l’acqua del vecchio pozzo, occupano le panchine, traggono dagli zainetti panini e biscotti per la colazione al sacco. Briciole e brandelli di mollica si confondono ben presto al suolo con la ghiaia. Come una volta, quando questa era proprio un’aia, qui da sempre becchettavano passeri e galline, Alcide Cervi sedeva all’ombra degli stessi alberi, i figli e le nuore nei campi al lavoro, Genoeffa si affacciava premurosa per lanciare un’occhiata allo scorrere sereno della vita contadina. Come migliaia di altri prima di loro, i ragazzi hanno visitato in
Dopo un raccolto ne viene un altro compunto silenzio il commovente museo che ricorda i sette fratelli assassinati. Le foto, gli oggetti, i ricordi di una famiglia divenuta nel mondo simbolo della resistenza alla violenza, all’arbitrio, al terrore fascista. Ora, all’aperto, vivaci colori e rumori si accavallano a dar significato alle parole del vecchio Alcide: dopo un raccolto ne viene un altro, il ricordo serve a perpetuare la vita. Anche il vescovo di Reggio,
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Il vescovo Camisasca saluta Luciana Cervi (figlia di Agostino). Dietro di loro la presidente dell’Istituto Cervi Albertina Soliani (Foto Istituto Cervi)
monsignor Massimo Camisasca, ha voluto camminare su quell’aia, calpestare le pietre corrose che portano alla casa, al museo, al vecchio trattore, al mappamondo, all’immagine dei sette figli. Era già stato qui all’inizio di gennaio, al fianco del presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione dell’anniversario del Tricolore. Ad aprile ha scelto di tornare, questa volta in forma privata, per rendere a Casa Cervi un omaggio colmo di significato. Esplicitato dal personale altissimo auspicio che monsignore ha voluto lasciare scritto sul registro dei visitatori: “La giustizia, la verità e la pace siano accolti come dono di Dio e responsabilità degli uomini alla nostra terra”. Un vescovo a Casa Cervi non c’era stato mai. In verità qualcuno della famiglia crede di ri-
cordare che sì, forse, alla morte di Alcide l’allora vescovo Baroni venne a benedire la salma. Baroni, uno dei protagonisti del Concilio voluto da Giovanni XXIII. Ma erano altri tempi, pesavano ancora le divisioni del difficile dopoguerra, il ricordo di quel gesto s’è affievolito, è svanito. Il rapporto tra le gerarchie della Chiesa e la famiglia dei sette martiri non fu coltivato. Quasi si fosse dimenticato che i Cervi, figli di questa terra dissodata dalla rude fatica, erano anch’essi permeati del solidale pensiero evangelico. Lo aveva ben compreso, insegnato e praticato un altro martire, don Pasquino Borghi, fucilato dopo i Cervi nello stesso Poligono e dagli stessi assassini. Monsignor Camisasca aveva da tempo in animo di visitare Casa Cervi. Lo aveva confida-
Eventi
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to all’amica senatrice Albertina Soliani, presidente dell’Istituto che custodisce e alimenta il patrimonio storico ed umano racchiuso nella cascina museo. Un proposito – ha spiegato il vescovo nell’indirizzo di saluto rivolto alle autorità che lo hanno accolto sull’aia – dettato dal bisogno di venire in preghiera “per chiedere a Dio il suo aiuto e il suo perdono”. Sospinto da un profondo “desiderio di memoria”. Perché – ha spiegato ancora – il ricordo è doveroso ma non sufficiente. La memoria
Ciò che non è riscoperto va perduto invece “è un’azione nel presente, una presenza attiva perché siano custoditi e resi fecondi i valori della conoscenza reciproca, del rispetto, della creazione di una società in cui ciascun uomo e ciascuna donna vedano riconosciuta la propria pari dignità, e il proprio diritto alla vita, all’educazione, al lavoro, alla cura”. Perdono e memoria, dunque. Perdono per quella parte di umanità che a Casa Cervi si macchiò di quell’infame e atroce rappresaglia. E “memoria di coloro che hanno lottato e perso la vita per la libertà della Patria dallo straniero e dalla dittatura”. Perché “anche oggi la nostra democrazia va rafforzata, riscoperta nelle sue radici”. Ciò che non è riscoperto – ha avvertito monsignor Camisasca – “va tragicamente perduto”. Albertina Soliani, presidente dell’Istituto Cervi, riflette oggi con noi sulle parole del vescovo. In particolare sulla sottolineatura con cui monsignore ha voluto illuminare il significato di memoria. Nel senso di ricerca continua della verità, commenta Soliani: la memoria si vive nel
Monsignor Camisasca firma il registro dei visitatori del Museo Cervi (foto Istituto Cervi)
presente, ed è l’unica condizione per costruire uno stabile futuro. Lo stesso vescovo aveva voluto ribadirlo con particolare forza, rinnovando l’affetto verso il popolo ebraico vittima del “terribile evento della Shoa”, e ricordando al contempo come la lotta europea contro le dittature abbia prevalso soltanto a un “costo altissimo e terribile di morti, di distruzioni, di strascichi di cui ancora oggi sentiamo il peso”. Per Albertina Soliani la visita del vescovo a Casa Cervi rientra appieno nel cammino indicato da Papa Francesco: essere cioè vicini alle genti e ai popoli che soffrono, stare al fianco del-
le vittime. Mai, sino ad ora, un esponente della Chiesa reggiana aveva chiesto esplicito perdono a Dio per la brutale disumanità di chi ordinò l’assassinio dei fratelli Cervi. La visita del vescovo e la qualità delle sue parole – annota Soliani – hanno fatto emergere che il legame tra la famiglia dei sette martiri antifascisti e la coscienza religiosa non era mai stato davvero reciso. Monsignor Camisasca ha inteso riannodare i fili superstiti, al fine – sono le sue parole – di “aiutarci in una costruzione in avanti del nostro presente e del nostro futuro”.
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Società
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I neofascismi e la legge La rinascita dei movimenti di estrema destra rende necessario rafforzare i mezzi per impedirne la diffusione di Ermete Fiaccadori
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a legge 645 del 20 giugno 1952, la cosiddetta Legge Scelba, attua la XII norma transitoria e finale della Costituzione secondo cui: “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. Vieta l’apologia di fascismo e le manifestazioni fasciste nei casi in cui, per le loro caratteristiche, nonché per le circostanze di tempo, luogo e ambiente in cui si svolgono, siano idonee a far sorgere il pericolo della ricostituzione di un partito fascista. La sentenza della Corte Costituzionale del 1957 ha precisato che la libertà di manifestazione del pensiero non è un diritto assoluto, ma trova un limite nella necessità di tutelare il fondamento antifascista del nostro Stato. Una successiva sentenza del 1958 precisa che la norma non punisce le manifestazioni fasciste in quanto tali, ma solo quelle che, alla luce delle circostanze del caso concreto, possano considerarsi “pericolose” per il bene giuridico tutelato, cioè sono idonee ad agevolare la ricostituzione del partito fascista. La Corte di Cassazione nel 1982 ha precisato che non andava punito qualunque fatto o gesto che ricordi l’ideologia fascista, ma solo quelle manifestazioni che, per la loro imponenza o capacità di suggestione, siano tali da “spingere” gli animi verso la ricostituzione del partito fascista. Nello stesso anno il Tribu-
nale di Milano ha distinto i gesti, le frasi, i cori meramente nostalgici, ritenuti “non pericolosi”, rispetto alle condotte ritenute invece concretamente idonee a suggestionare le folle. Legge 205 del 25 giugno 1993, la cosiddetta Legge Mancino, punisce la propaganda di idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale o etnico e l’istigazione alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi. Punisce anche chi in pubbliche riunioni, compie manifestazioni esteriori od ostenta emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni o gruppi fascisti. Nella legge Mancino è tutelato il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 e il principio di dignità della persona umana di cui all’art. 2 della Costituzione. Ciò anche in attuazione della convenzione internazionale di New York sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. La legge Scelba prevede il divieto di ricostituzione del partito fascista. La legge Mancino prevede un divieto di costituzione di associazioni o gruppi con finalità di discriminazione e violenza. In sostanza le due leggi non intendono punire le mere opinioni o manifestazioni discriminatorie o violente ma solo quelle manifestazioni, quelle opinioni e quei gesti che, per i modi e il contesto del caso concreto, si traducono in un incitamento, in una istigazione alla discriminazione e alla violenza e sono pertanto offensive per l’antifascismo e i principi costituzionali.
Le leggi Scelba e Mancino non bastano
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Il Neofascismo e internet La Corte di Cassazione nel 2008 ha deciso che la diffusione di idee razziste su internet costituisce di per sé propaganda rilevante per la grande potenzialità diffusiva propria della rete. La stessa Corte nel 2013 ha precisato che non si trattava solo di colpire la propaganda attraverso il web ma di colpire le organizzazioni finalizzate a fare tale propaganda. Ha precisato che la comunità virtuale, che si crea attorno al blog, può essere equiparata a un’associazione nel senso tradizionale del termine e cioè di una associazione a delinquere, con finalità di incitamento alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi. Il blog collegato viene utilizzato per tenere contatti fra gli aderenti, fare proselitismo anche
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ganizzazione e gestione dei siti dichiaratamente ispirati alle ideologie fasciste e naziste e imbevute di discorsi di odio, di incitamento alla discriminazione e alla violenza. Andranno previsti filtri per controllare i contenuti di ciò che viene immesso in rete. Andranno previste sanzioni pecuniarie e interdittive di tipo amministrativo a carico dei providers che abbiano omesso i controlli prescritti. Positivo è il disegno di legge presentato alla Camera dei deputati intitolato “diffusione via internet di comunicazioni a contenuto discriminatorio o incitanti l’odio razzista, etnico, nazionale” nel quale si prevede che i reati possano essere commessi anche con il mezzo tele-
Esiste un vuoto normativo per le realtà online
LA GALASSIA NERA SU FACEBOOK Questa grande mappa rappresenta circa 2.700 pagine Facebook dell’estremismo di destra italiano.
mediante la diffusione di documenti o testi inneggianti al razzismo, programmare azioni dimostrative violente e raccogliere elargizioni economiche. L’applicazione “prudente” delle leggi vigenti ha portato a far sì che una manifestazione fascista possa essere punita non in quanto espressione di un’ideologia sgradita, ma in quanto prodromica alla ricostituzione del partito fascista (legge Scelba) o in quanto forma di istigazione alla violenza contro i principi di uguaglianza e di dignità
della persona (legge Mancino). Ma la realtà degli ultimi anni ha dimostrato tutti i limiti di tali leggi e che vi è spazio per perseguire, in modo più convinto, alcune condotte pericolose per la loro potenzialità diffusiva, quali la esposizione di striscioni agli stadi, o l’uso di nuove tecnologie. Infatti esistono siti internet neofascisti e neonazisti in cui è possibile navigare liberamente; siti con potenzialità diffusive enormi. Molti hanno anche un profilo facebook che funge da cassa di risonanza. La normativa penalistica per queste situazioni è carente. Siamo in presenza di un vuoto normativo al riguardo. La legge Mancino non fu pensata per questo. Va, in primo luogo, garantita la repressione delle attività di or-
matico, introducendo aggravanti alle pene e chiedendo di responsabilizzare i providers per mezzo di apposite sanzioni. Il giudice potrà ordinare la interruzione della connessione internet oscurando il sito. Positivo è anche il disegno di legge che precisa e aggiorna il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista. Purtroppo però queste due proposte sono del 2013 e del 2015 e non hanno avuto alcun seguito. Il diritto penale è certamente l’ultimo degli strumenti, e sicuramente il più inefficace, per contrastare l’avanzata dei neofascismi, ma va aggiornato. La battaglia va condotta, innanzitutto, sul piano culturale, dell’educazione alla legalità e della dignità umana.
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Costituzione
I pochi e i molti: l’esercizio della sovranità popolare La centralità della discussione e del confronto all’interno della democrazia e l’importanza della rappresentanza nelle istituzioni di Giancarlo Ruggieri “Chi ha manifestato dubbi è stato definito ‘gufo’, chi chiedeva modifiche è stato bollato come ‘professorone’. L’antintellettualismo è pensare che riflessioni e approfondimenti siano sinonimi di lentezza e inoperosità e non il frutto di ragionamenti fondati sullo studio. L’antintellettualismo si manifesta anche tutte le volte che si liquida un problema con un informatico cinguettio o con una immagine”. (Elena Cattaneo, scienziata e senatrice a vita)
La democrazia è un sistema complesso ed esige ponderazione, discussione e confronto. Agli antipodi della democrazia, pertanto, si pone una spensierata e incolta velocità futurista, già sperimentata, con tragico esito, nei primi decenni del secolo scorso. Occorre quindi diffidare dei governanti che condiscono i loro discorsi con l’avverbio “semplicemente” e formulano programmi politici scanditi, per solito, con tre parole magiche o compendiati in scioglilingua e infantili giochi verbali privi di senso. La democrazia moderna si fonda necessariamente sulla rappresentanza, non essendo praticabili forme assembleari plenarie di tutti i cittadini, come era invece possibile nelle póleis dell’antica Grecia, ove essa venne concepita e sviluppata. Appare velleitario ogni tentativo di partecipazione informatica di tutti i cittadini, occorrendo invece aggregazioni e discussioni, nelle Istituzioni e nelle formazioni sociali. La sovranità popolare si attua dunque mediante la rappresentanza, per cui occorre un collegamento diretto fra gli eletti e i cittadini, che devono poter scegliere liberamente candidati legati ai
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territori. Inoltre, il rapporto numerico fra corpo elettorale e rappresentanti deve essere adeguato e congruo. Pertanto, costituiscono fattori di compressione della democrazia la sottrazione della scelta dei candidati alla volontà degli elettori e l’eccessiva riduzione del numero degli eletti. In sintesi, il Parlamento, eletto dal Popolo sovrano, fa le leggi; il Governo concorre a promuoverle e le attua, purché sia sorretto dalla fiducia del Parlamento; la Magistratura, indipendente da entrambi gli altri poteri, è soggetta soltanto alla legge che è chiamata ad applicare, in tal modo raccordandosi anch’essa alla sovranità popolare. Tale sapiente equilibrio dei poteri dello Stato, raccordati fra loro, supera la settecentesca e tradizionale divisione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Lo snodo essenziale di questo delicato equilibrio democratico è dunque il Parlamento, quale fondamentale elemento di raccordo fra il Popolo e le Istituzioni. Di conseguenza, una situazione politica che contempli un Parlamento succube e prono, a fronte di un Governo arrogante e insolente, si pone agli antipodi del sistema democratico. Ma il Popolo esercita la sua sovranità anche attraverso istituti di democrazia diretta, costituiti dai referendum abrogativi, proposi-
tivi e confermativi, dalla facoltà di rivolgersi direttamente al Parlamento e dalla partecipazione a taluni organi di giustizia. Il necessario dialogo delle Istituzioni con le formazioni sociali completa armonicamente l’assetto democratico dello Stato. Grazie a tali istituti, accade talvolta che il Popolo faccia irruzione pesantemente nel quadro politico, anche con effetti dirompenti, radendo al suolo scellerate riforme e punendo severamente quei governanti che, fuorviati dalla nefasta ebbrezza del potere, abbiano tradito la fiducia in loro riposta dai cittadini. È il famoso “randello del Popolo”, di cui ha efficacemente scritto Lev Tolstoj, che ristabilisce il violato equilibrio dei poteri. Ben si comprende allora come tutto ciò possa non piacere ad aspiranti autocrati, cacciatori di consenso, adusi ad imbonire i cittadini con mendaci promesse. “Il potere si fonda sulla menzogna e sulla rappresentazione” (Francisco de Quevedo)
Così va il mondo, o almeno così andava nella Spagna del 1600, direbbe, non senza un’attualizzante ironia, Alessandro Manzoni.
Cultura
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Gramsci tra filosofia, storia e politica A ottant’anni dalla morte del grande politico e intellettuale la sua opera rappresenta un importante strumento culturale e morale per riflettere sul presente di Lorenzo Capitani Dopo l’estate del ‘35 le condizioni di salute si fanno sempre più difficili e lo stesso Gramsci non tarda a rendersi conto del carattere irrimediabile del suo aggravamento. Il 5 marzo 1937 riceve l’ultima visita di Piero Sraffa: la richiesta di trasmettere una domanda di espatrio in Russia, le ultime disposizioni sul destino dei Quaderni, un messaggio per il Centro estero del Partito, con una unica raccomandazione, che ai nostri occhi assume un valore quanto mai simbolico: la parola d’ordine della Costituente. A fine aprile il giudice di sorveglianza
28 aprile 2017: l’incontro “Gramsci… filosofia, storia, politica”, nella sala Palme dell’hotel Astoria, con Ermete Fiaccadori, il sindaco Luca Vecchi e i professori Carlo Galli e Lorenzo Capitani
La parola d’ordine della Costituente come eredità gli comunica che è un uomo libero e gli consegna il relativo decreto. È il 25 aprile: dopo aver cenato, Gramsci viene colpito da una emorragia cerebrale, che lo condurrà alla morte alle 4.40 di due giorni dopo, il 27 aprile 1937. Solo dieci anni dopo, quella parola d’ordine prese forma concreta nei lavori dell’Assemblea Costituente, la prima eletta a suffragio universale nella storia d’Italia, sanando una tara storica, su cui Gramsci aveva speso molte delle sue parole. Ho voluto qui riprendere l’apertura della bella e affollata serata promossa di recente dall’Anpi e
da diverse associazioni culturali della città, anche per l’impegno che in quella sede è stato autorevolmente assunto: ritornare sulla vita e sull’opera di uno dei grandi italiani del Novecento, cogliendo l’occasione di un anniversario che tanto interesse sta suscitando anche a livello internazionale, attraverso specifiche iniziative che facciano uscire la conoscenza di Gramsci dalle nicchie degli studiosi. Del resto è l’invito che Carlo Galli, concludendo la sua stimolante lezione magistrale, ci ha rivolto con grande profondità. L’attualità di Gramsci, ci ha ricordato, risiede principalmente nel modo originale con cui egli cerca di coniugare pensiero e politica, nel cuore di una riflessione svolta nelle condizioni più drammatiche. Quel “cervello” che il regime intendeva non far più funzionare ci ha consegnato invece un lascito di cui ancora fatichiamo a percepire originalità e profondità. Infatti nella “fi-
losofia della prassi” gramsciana, da un lato si prendono le distanze dalle pretese di verità sia di matrice idealista (con il primato dello spirito astratto) sia di matrice positivista (con la mitizzazione di uno scientismo in cui i rapporti sociali vengono spiegati in modo deterministico con il meccanico richiamo ai rapporti naturali), dall’altro, attraverso la visione della “guerra di posizione” che concettualmente prende il posto della presa del potere di tipo insurrezionale, acquistano una nuova centralità le riflessioni sulla società civile, sui soggetti plurali, sui corpi intermedi, sui partiti e sulla mediazione politica. La politica, allora, come ci ha ricordato Carlo Galli, non può fare a meno di sforzarsi di cogliere la complessità della società moderna, come capì bene Antonio Gramsci, il cui lavoro, se adeguatamente conosciuto può rappresentare un grande ausilio culturale e morale nel nostro tormentato presente.
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Cultura
Parole Riflessioni di un pensatore critico Al Gramsci giornalista di costume, acuto osservatore dei movimenti della società civile, si riferiscono i due brani che riportiamo, tratti dalla rubrica “Sotto la mole” sull’edizione torinese dell’Avanti, l’uno, precedente di un brano più noto di due anni successivo, dedicato al tema dell’impegno, l’altro, rivolto alle conseguenze sociali dell’evento spartiacque della storia occidentale, considerato da Gramsci come la grande frattura storico-politica con cui si doveva con più cura e sapienza fare i conti e a cui dedicherà acutissime pagine critiche.
L’indifferenza È invero la molla piú forte della storia. Ma a rovescio. Ciò che succede, il male che si abbatte su di tutti, il possibile bene che un atto di valore generale può generare, non è tutto dovuto all’iniziativa dei pochi che fanno, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa dei cittadini abdica alla sua volontà, e lascia fare, e lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada può tagliare, e lascia salire al potere degli uomini che poi solo un ammutinamento può rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia è appunto l’apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, perché mani non sorvegliate da nessun controllo tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora. I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati di piccoli gruppi attivi,
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e la massa dei cittadini ignora. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare, ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento, e allora sembra che la fatalità travolga tutto e tutti, che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo, chi indifferente. E quest’ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe che apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli è irresponsabile. E alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno, o pochi, si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere di uomo, se avessi cercato di far valere la mia voce, il mio parere, la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno, o
Pochi si fanno colpa della propria indifferenza pochi, si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro appoggio morale e materiale a quei gruppi politici ed economici che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano. Costoro invece preferiscono parlare di fallimenti di idee, di programmi definitivamente crollati e di altre simili
piacevolezze. Continuano nella loro indifferenza, nel loro scetticismo. Domani ricominceranno nella loro vita di assenteismo da ogni responsabilità diretta o indiretta. E non è a dire che non vedano chiaro nelle cose, che non siano capaci di prospettarci delle bellissime soluzioni dei problemi piú attualmente urgenti, o di quelli che vogliono piú ampia preparazione, e piú tempo, ma che sono altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è conseguenza di una curiosità intellettuale, non di pungente senso di responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, nell’azione, che non ammette agnosticismi ed indifferenze di nessun genere. E bisogna perciò educare questa sensibilità nuova, bisogna farla finita con i piagnistei inconcludenti degli eterni innocenti. Bisogna domandar conto a ognuno del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. Bisogna che la catena sociale non pesi solo su pochi, ma che ogni cosa che succede non sembri dovuta al caso, alla fatalità, ma sia intelligente opera degli uomini. E perciò è necessario che spariscano gli indifferenti, gli scettici, quelli che usufruiscono del poco bene che l’attività di pochi procura, e non vogliono prendersi la responsabilità del molto male che la loro assenza dalla lotta lascia preparare e succedere. (Avanti!, Sotto la Mole, 26 agosto 1916)
Cultura
Storia di veterani e di esercenti Un veterano ritorna dal fronte per un breve periodo di licenza: ha la manica segnata di due ferite, ha il viso solcato dall’indurimento della vita di trincea. Passeggia per le vie con l’aria grave e meditabonda di chi è abituato alle lunghe solitudini, ai soliloqui interiori prolungati per giorni e giorni, ruminati in mezzo al pericolo, alla morte sempre imminente. Il veterano vuole ritrovarsi una volta a tavola con qualche amico. Intraprende il viaggio di esplorazione attraverso l’intricato bosco dei negozi e degli spacci municipali. Avrete già notato quale rassegnata costanza riportino all’interno i reduci dalle trincee. Pare, ad osservarli, ad accompagnarli, che lo spazio e il tempo siano per loro due categorie abolite. Un chilometro di piú o di meno, bah! una scrollata di spalle, una lisciata a piene mani nei baffi, e sorridono, e riprendono la strada, senza stupori o irritazioni. È certo che la trincea ha trasformato il carattere di molti italiani, e se ne accorgeranno, dopo la guerra, coloro che di questi mutamenti non si preoccupano, e fidano di aver ancora a che fare con l’abulica indifferenza, coll’allegro menefreghismo d’una volta. Il veterano dunque mosse in perlustrazione per catturare un po’ di cibo rintanato nelle caverne e nelle boscaglie del paese di esercenteria. Batti e scova, trovò la pasta e il burro, non trovò il formaggio. Viaggia,
viaggia, in un negozio gli sembrò che la faccia dell’esercente avesse il colore mimetico di alcuni insetti che abitano fra i formaggi, o nel formaggio sogliono presentarsi. Il veterano si stabilì dinanzi al bancone, disposto a fermarvisi fino alla consumazione dei secoli o al termine della guerra. Spaventato, l’esercente fece passare qualche tozzo di quel formaggio di capra che il pubblico, commosso e riconoscente per i benefici ricevuti, ha battezzato formaggio del calmiere. E il veterano fermo come una torre. Finalmente l’ottimo esercente, raffinato psicologo, estrasse, coi segni del piú alto giubilo e della piú violenta commozione, un pezzo di formaggio aromatico, giallino, ricoperto delle stigmate piú espressive di una venerabile maturità, e lentamente lo fece transitare sotto le narici del soldato. - Buono davvero, e quanto? - Due e cinquanta all’etto, prezzo di vero favore. Esclamazione di alta meraviglia (strabiliante in un reduce dal fronte) e la risposta fulminea: - Ma non lo sa lei che siamo in guerra? Il veterano passa le mani sui baffi, e si ritira. Anche gli esercenti si sono formati un’anima di guerra, e il veterano dice sorridendo con malinconia di aver trattenuto uno schiaffo per non essere arrestato come disfattista.
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IN BREVE UNA NUOVA BIOGRAFIA A distanza di cinquanta anni dal volume di Giuseppe Fiori, è uscito in questi giorni un prezioso volume, Gramsci. Una nuova biografia, di Angelo D’Orsi, storico del pensiero politico all’Università di Torino, che tra l’altro dirige una rivista Gramsciana (Mucchi editore). In una sua recente intervista sulla rivista “Left” (n. 16, 22 aprile-28 aprile 2017), alcuni spunti che possono essere particolarmente utili per chi si avvicina alla figura di Gramsci anche senza una specifica preparazione.
IL GIORNALISMO, IL GIORNALISTA Nel quadro delle tante iniziative che cercano di mettere in luce le tante immagini della “galassia Gramsci”, tra cui spicca il nuovo piano della Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci, che sta facendo significativi passi in avanti, ci piace segnalare l’attenzione alla lunga esperienza del Gramsci giornalista, riproposta dal volume Il giornalismo, il giornalista, a cura di Gian Luca Corradi, con introduzione di Luciano Canfora e postfazione di Giorgio Frasca Polara, per la nuova casa editrice Tessere.
(Avanti!, Sotto la Mole, 7 aprile 1918)
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Notiziario ANPI
Testimonianze
7 luglio 1960, una ferita aperta Lettera aperta di Silvano Franchi, fratello di Ovidio ucciso in piazza dalle forze dell’ordine insieme ad altri quattro compagni di Silvano Franchi
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ono Silvano Franchi, fratello di Ovidio. Ho 75 anni; all’epoca dei fatti ne avevo 18, Ovidio 19. Eravamo figli di operai, famiglia semplice con forti ideali antifascisti, molto politicizzati: mio padre partecipò alla realizzazione del R60 alle Officine Reggiane. Era il tornitore con incarichi al reparto attrezzeria, insegnava ai giovani dell’Artigianelli. Partecipò alla lotta contro la chiusura della fabbrica negli anni ’50-’51. Del sostentamento famigliare si fece carico mia madre facendo lavori stagionali agricoli, lavandaia per alcune famiglie di Reggio e contribuì anche uno zio, fratello di mio padre. Dopo le elementari ci fu consigliata una scuola professionale: l’ITI. Io, dopo l’avviamento, lasciai la scuola intraprendendo il mestiere di macellaio, fu il mio lavoro per 46 anni. Ovidio invece continuò gli studi fino al conseguimento del diploma come disegnatore meccanico. Aveva superato l’esame quattro giorni prima della sua morte. Eravamo una famiglia con grande passione alla politica, Ovidio ed io facevamo parte della Federazione giovanile del PCI. Ovidio dirigeva assieme ad altri il circolo della Cirenaica; per la passione e l’impegno che ci metteva, posso pensare a una sua bella carriera politica. Era il desiderio della nostra famiglia. Tutto venne spezzato dalle forze di polizia e carabinieri schierate il 7 luglio 1960, che, sparando, uccisero in piazza cinque cittadini. Pensavamo che a quindici anni dalla fine della guerra di Liberazione essere in piazza partecipando a uno sciopero, indetto dalla Camera Confederale del Lavoro, fosse un dirit-
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La piazza di Reggio Emilia durante la manifestazione del 7 luglio 1960
to sancito dalla Costituzione. La Democrazia Cristiana di allora, pur di mantenere il potere, accettò i voti determinanti del MSI, partito dichiaratamente fascista e dunque fuorilegge e, con solo 25 voti, fece nascere il Governo Tambroni. I fascisti, al centro della politica italiana, cercarono una legittimazione indicendo il loro congresso a Genova, città Medaglia d’oro della Resistenza. In seguito a questo scioperi e proteste di piazza si estesero dalla Sicilia al Piemonte; i giovani, sorprendendo tutti, furono protagonisti portando avanti gli ideali antifascisti dei genitori, dicendo “Riposatevi. Ora tocca a noi. Seguiremo il vostro esempio”. Così è stato il pomeriggio del 7
luglio a Reggio Emilia. Una giornata in cui lo Stato ha dimostrato l’incapacità di affrontare cittadini, giovani inermi, con la sola colpa di essere in tanti a protestare contro un governo clerico-fascista, intollerante verso l’antifascismo. Il potere andava difeso anche con le armi, e così è stato. Reggio, per la sua storia, doveva pagare un prezzo molto alto: cinque caduti, venti feriti, dieci arrestati. Il Governo Tambroni aveva un solo obiettivo: usare la forza di polizia e carabinieri, con le armi, per reprimere i movimenti di piazza. Alla fine di questi giorni di manifestazioni diffuse si contarono 15 morti: uno Stato che spara su cittadini inermi spara su se stesso.
Testimonianze
1963: il processo a Milano Il processo del ‘63 si è svolto a Milano, sottraendolo dalla sede naturale che doveva essere Reggio Emilia. Le motivazioni: legittima suspicione, i giudici potevano non essere sereni nel giudizio, ordine pubblico, sicurezza. Sono convinto che il tribunale della nostra città fosse invece all’altezza e avrebbe emesso una sentenza ben diversa; convinzione resa pubblica anche dall’avvocato Felisetti, membro del Col-
Facciamo giustizia La storia ce lo chiede legio di difesa a Milano assieme agli avvocati reggiani Landini e Bonazzi, già sindaco. Con una sentenza già scritta, lo Stato poté non essere condannato. A Milano la verità dei fatti emerse chiaramente, così come dimostrano decine di testimonianze scritte e verbali. Queste furono però zittite dal presidente della Corte Dott. Curatolo. Le forze di polizia e carabinieri difesero il loro operato: “Le direttive vanno eseguite”. Ma molti agenti si rifiutarono di sparare sulla folla, evitando così una carneficina. Penosa, invece, fu la deposizione del vicequestore Cafari Panico, responsabile dell’ordine pubblico che coordinava le azioni dal Palazzo delle Poste, dietro la Banca d’Italia. Venne imputato di quat-
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L’assoluzione dei responsabili In seguito ai fatti di Reggio Emilia, il 29 novembre 1962 la Sezione istruttoria della Corte d’appello di Bologna rinviava a giudizio il vicequestore Giulio Cafari Panico per omicidio colposo plurimo: “Omettendo per imprudenza, negligenza ed imperizia, di prescrivere le modalità e l’uso delle armi, provocando così, per l’indiscriminato uso delle armi, la morte di quattro persone: Emilio Reverberi, Ovidio Franchi, Lauro Farioli e Marino Serri”. L’agente Orlando Celani era invece imputato d’omicidio volontario per aver sparato contro Afro Tondelli. Per motivi di legittima suspicione il dibattimento venne celebrato avanti la Corte d’assise di Mi-
tro omicidi. Fu assolto per non aver commesso il fatto. È stata una sentenza che ha offeso la città di Reggio, la sua storia, la libertà del nostro Paese. Pensavamo di vivere in uno stato di diritto, sancito dalla Costituzione, invece amaramente dovemmo ricrederci: il 7 luglio 1960 non è stato così. Ovidio, Lauro, Emilio, Afro, Marino non hanno potuto difendersi dagli errori commessi da un tribunale: uccidere è un delitto, i responsabili vanno condannati, dal Ministero fino agli esecutori materiali. Alcuni mi avvicinano e mi dicono “Franchi, ancora una volta l’abbiamo fatta franca”. Dunque, per i tribunali, i responsabili sono i partecipanti allo sciopero. Avrei tanto da scrivere, cinquantasette
lano e non a Reggio Emilia. La sentenza venne pronunciata il 14 luglio 1964. Il vicequestore fu assolto con formula piena, per non aver commesso il fatto, mentre l’agente venne assolto con formula dubitativa. Due anni dopo la Corte d’assise d’appello riformò la sentenza assolvendo l’agente con formula piena. Successivamente gli eredi di Afro Tondelli e Lauro Farioli convennero in giudizio il Ministero dell’Interno per il risarcimento dei danni. Il tribunale di Bologna, territorialmente competente ex art. 25 del Codice di procedura civile nel 1969 decise ritenendo la responsabilità civile del Ministero.
anni sono stati per me un motivo di vita, una piena convinzione di essere stati al posto giusto il 7 luglio. Sono state spente cinque luci luminose. Un giorno saranno collocate nel paradiso dei giusti, hanno donato la loro vita e riposano con i 620 partigiani caduti per conquistare e difendere la libertà e la democrazia di cui oggi in tanti beneficiano. Facciamo giustizia per i nostri morti, altrimenti che uomini siamo? Vostro, con amore, ci spero tanto. La storia ce lo chiede. Grazie Anpi, grazie Notiziario.
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Notiziario ANPI
Poesia
Reggiane La lotta delle “Officine Reggiane”. Ovvero coscienza operaia (1940 – 1951) Il testo che segue è stato scritto, in una data non meglio precisata, dal partigiano Cesare Incerti Marcaccioni (1923-2010) “Tonino”, vicecommissario di battaglione nella 26esima Brigata Garibaldi. Dopo la “licenza industriale” all’ITI, giovane operaio (poi disegnatore tecnico) alle Reggiane, visse per intero, e con passione (come dimostrano i suoi versi), la vicenda del grande stabilimento industriale dagli anni della II Guerra Mondiale al periodo della “Lotta” (1951). Dopo la chiusura delle Reggiane trovò lavoro a Milano. Ritornato a Reggio, eccolo disegnatore tecnico alla Lombardini fino al pensionamento. La carrellata su 11 anni di storia delle Reggiane e dintorni, dal punto di vista di “uno che c’era”, ci sembra particolarmente efficace nel 74° dell’eccidio del 28 luglio ‘43. (a.z.)
di Cesare Incerti Marcaccioni Alle “Reggiane” il tempo si è fermato / tra le corsie dei macchinari. Chiusi i cancelli e aperta la lotta. / Ehi tu, vieni resta con noi, ascolta.../ Gli daremo del filo da torcere! Ricordi? La camicia si appiccicava / sulla schiena. I piedi li scaldavi / la sera vicino alla tua sposa. Ricordi il cottimo nemico dei tempi / con le grinfie della fame / per la tessera annonaria? Ricordi le corse sfrenate, il forte / ansare nel fossato? C’era la guerra! In cielo in mare, caldo deserto africano / gelide steppe del Don. Vincere / era la nostra volontà. Vincere / era il saluto. Perdurava la guerra... Sul finire del quarantadue / le bandierine dell’Asse appuntate / in bacheca, giorno dopo giorno / sempre avanzavano. Al VOLGA / fiume di frontiera sostarono. / Il Caucaso miniera di petrolio / era di là, a portata di mano. / Poi Mosca, Leningrado, la Vittoria.../ Uno strano mattino però come? / Chissà perché? La bacheca scomparve. / Ci informò radio Londra: STALINGRADO! / “Stalingrado” principio della fine! / Addio gelide steppe del Don. /
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Addio caldo deserto africano. / La guerra ritorna in casa. / Venticinque di luglio ‘43. Il Re / passa la mano a Badoglio. / Fascismo in soffitta / Mussolini agli arresti! / Ma la guerra continua.../ In fabbrica gli operai allora / covavano la protesta. / Assiepati ai cancelli d’uscita / inermi coi loro cartelli / chiedevano la pace, volevano / la fine della guerra./ La risposta fu atroce inattesa. / “Vile mitraglia maledetta che batti / con alzo a zero avvicinato il petto / il cuore d’un’avanguardia operaia”. / E non si placò la condanna / l’odio per quel piede maligno. / “Ma gloria sempre gloria/ ai combattenti valorosi eroi/ della pace!” E non bastò il tempo / di piangere i nostri caduti / quando alla luce dei bengala / stormi di fortezze volanti / ruppero il silenzio della notte. / Bombe feroci! / Con la luce del giorno / tabula rasa, macerie fumanti! / Addio Officine Meccaniche Italiane, / addio patria nostra del lavoro! / Il venticinque Aprile del ‘45 / chiuse tutte le partite. / Lenta e fiduciosa la ripresa, / il lavoro, la speranza. / Adesso siamo qui dentro e fuori / nelle vie nelle piazze ovunque / in città, in provin-
cia. Pane e Lavoro! / Pane e Lavoro! Le biciclette divelte / dalle camionette del potere / il bastone nero pronto a colpire,/ il registro dei bottegai indebitati! / Dalli al rosso, dalli al comunista. / “Forte e gloriosa classe operaia / alle “Reggiane” lotta con valor, / dalla miniera, alla risaia / s’ode il fragore del nostro trattor...” / Così canta la canzone. / Un grande cuore batte / sopra la fabbrica, gli risponde / un palpito infinito / per le vie cittadine. / I contadini che vennero coi polli / giurarono di darti anche il grano / del millenovecentocinquantadue. / “Per tutto questo risorgerà / un nuovo giorno domani./ La giustizia finalmente sputerà / sui vermi esseri immondi. / Da vicino e da lontano / il tintinnio dei metalli / intreccerà per l’aria / immense meraviglie..../ Bianco come la luce del Sole / che abbaglia pieno di luce / sarà l’uomo del domani.”
Attualità
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A proposito della crisi delle cooperative Riflessioni sulla situazione delle coop edili della provincia reggiana. Dopo crisi e fallimenti servono un tavolo di confronto e misure straordinarie a tutela dei soci e dei lavoratori di Ermete Fiaccadori
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e cooperative sono nate con l’obiettivo di difendere il reddito e valorizzare il lavoro permettendo alle fasce più deboli della società di trasformarsi da lavoratori marginalizzati e indifesi a “imprenditori di se stessi”. Negli anni del ventennio fascista, malgrado gli attacchi e le violenze contro le sedi e il tentativo di assimilarle al regime di Mussolini, le cooperative hanno rappresentato una base importante per il sostegno economico di tante famiglie e per la crescita del movimento di opposizione al regime. Nel Dopoguerra, con il passare degli anni, la cooperazione, per le scelte effettuate ed anche grazie all’assetto legislativo, ha registrato un’adesione massiccia di nuovi soci ed è diventata una parte fondamentale del settore produttivo del nostro paese ed in particolare della nostra Regione. La forma associativa di produzione è così passata, negli anni ‘70‘80, da un ruolo di difesa dei soci a una scelta di apertura verso i mercati in competizione con le altre forme di impresa. Questa evoluzione ha visto processi di trasformazione profondi, con tante fusioni che hanno fatto crescere le dimensioni e la complessità delle cooperative, crescente peso hanno assunto gli aspetti finanziari e tecnologici. In alcuni settori le storiche cooperative hanno assunto posizioni di grande rilievo a partire dalla distribuzione, alla produzione e lavoro e al settore agroalimentare. In altri sono nate nuove realtà che processi di sviluppo e di accorpamento hanno collocato ai vertici del loro settore come è accaduto nei servizi. Questi processi e gli elevati tassi di crescita hanno evidenziato il basso livello di capitalizzazione delle imprese che sono però state capa-
ci di generare forti incrementi del patrimonio indiviso della società cooperativa e hanno spinto a una esplosione del valore del prestito sociale. Sono cresciute anche le competenze professionali dei soci lavoratori e si è assistito all’ingresso di manager ai vertici delle strutture tecniche e amministrative. Con l’avvento di una fase di pesante crisi economica del paese,
Servono interventi per il rilancio delle attività a partire dal 2008-2009, non tutte le cooperative sono state in grado di adeguare i loro piani di sviluppo e la loro organizzazione aziendale alle nuove condizioni dei mercati. È stato quindi registrato, per tante di loro, un’inevitabile riduzione delle attività e conseguentemente del fatturato. Negli ultimi cinque anni, dopo una lunga fase di boom delle costruzioni che ha generato una grande entità di abitazioni invendute, si è assistito al dissolvimento dell’intero settore edile con il fallimento di cooperative storiche, che avevano complessivamente 70 milioni di euro di prestiti da parte dei soci, 1.480 posti di lavoro diretti e hanno causato la crisi di più di 300 piccole imprese dell’indotto. Legacoop Emilia Ovest, che in passato si è concretamente impegnata per risarcire almeno una parte del prestito sociale di CMR e Orion, ha dichiarato però di non avere più risorse adeguate per fare fronte alle situazioni di disse-
sto che si sono verificate a Cormo, Coopsette e Unieco. In considerazione delle gravi conseguenze che questa situazione ha generato nella realtà economica e sociale reggiana si auspica che: - Siano istituiti organismi terzi di vigilanza sui bilanci delle cooperative. - Siano previste forme di controllo stringente per le cooperative che raccolgono prestiti dai soci e sia prevista una normativa amministrativa tesa a salvaguardare i prestiti stessi. - Sia adottato un provvedimento che istituisca un fondo di garanzia nazionale a tutela del prestito sociale, sul modello di quanto previsto per la tutela dei depositi bancari, con un coinvolgimento delle cooperative che utilizzano questo strumento. - Sia adottato un provvedimento straordinario per la tutela dei soci sottoscrittori che oggi, con il fallimento delle cooperative, vedono compromessi i loro prestiti. - Siano adottate misure straordinarie per i soci e i lavoratori colpiti attivando ammortizzatori sociali adeguati a tale finalità. - Sia favorita la nascita di un tavolo di confronto sulle problematiche di innovazione e sviluppo di nuovi modelli cooperativi per salvaguardare e far crescere il grande patrimonio storico e imprenditoriale delle cooperative nel paese ed in particolare nella nostra Regione. Tale tavolo di confronto dovrà vedere impegnate oltre che le centrali Cooperative, i Sindacati, gli Enti Locali, la Regione, il Parlamento e il Governo. Sarebbe grave e inaccettabile la mancata adozione di misure atte non solo a salvaguardare dal punto di vista economico i soci e i lavoratori colpiti ma anche a favorire interventi idonei per il rilancio delle attività e per non cancellare realtà che tanto hanno dato alle comunità locali e anche alla storia sociale e politica del nostro paese.
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Notiziario ANPI
Eventi
REmilia Pride: Reggio ha detto sì Il 3 giugno l’Anpi in corteo per il primo Gay Pride reggiano che ha abbracciato tutta l’area mediopadana. In 14mila hanno risposto alla chiamata per i diritti LGBT
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La grande manifestazione del 3 giugno lungo via Farini (foto Arcigay Gioconda)
di Irene Guastalla
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n’onda di musica, colori e slogan ha travolto, sabato 3 giugno, le vie di Reggio Emilia. Il primo Gay Pride Mediopadano dal titolo “REmilia Pride. Sì lo vogliamo” ha attraversato la città e nessuno è potuto rimanere indifferente davanti a tanta gioia e bellezza. Era marzo quando l’Arcigay “Gioconda” di Reggio Emilia, insieme con l’Amministrazione Comunale, aveva annunciato il primo Pride della storia della città e dell’area mediopadana. Le incertezze, i dubbi erano molti. Immediatamente è stato dato il via a una campagna di crowdfunding per finanziare questo enorme progetto. Parallelamente è iniziata la ricerca di sponsor e patrocinanti che ha evidenziato l’enorme partecipazione e il coinvolgimento di tantissime realtà, dalla Cgil, che si è occupata anche del servizio d’ordine, ai Comuni, dalle Farmacie Riunite, che hanno fornito circa 3mila preservativi da distribuire durante la giornata, alla Regione e alla Provincia. Realtà tra le quali si è distinta anche la nostra associazione: l’Anpi ha voluto infatti dare il suo patrocinio all’evento, un appuntamento simbolo di libertà e lotta per i diritti
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e l’uguaglianza. Numerosi sono stati gli eventi di preparazione al Pride, iniziative ludiche e informative con ospiti come Monica Cirinnà e lo scrittore Piergiorgio Paterlini, reggiano e primo in Italia ad unirsi civilmente proprio nella Sala del Tricolore. Gli organizzatori avevano ipotizzato 5mila presenze, un grande traguardo per una manifestazione di provincia. Ma oltre ai reggiani sono arrivate tantissime persone da Parma, Modena, Bologna, Ferrara, Mantova… Alla partenza, dietro sette carri creati per l’occasione, le persone hanno marciato e ballato al ritmo di musica. Le bandiere arcobaleno sventolavano ovunque. Il corteo ha raccolto bambini, ragazzi, adulti, anziani, coppie di ogni genere, colorati in viso e nei vestiti, e noi con il fazzoletto rosso dell’Anpi, tutti verso Piazza della Vittoria dove era stato allestito il palco. Lì si sono susseguiti gli interventi: i rappresentanti delle Famiglie Arcobaleno, Franco Grillini, primo tra i fondatori di Arcigay, Flavio Romani, attuale presidente dell’Arcigay nazionale, il gruppo trans di Bologna, i rappresentanti delle Arcigay Emiliane, il sindaco Luca Vecchi, Mondo Insieme, don Franco Barbero, espressione di
una Chiesa molto diversa da quella che si era mostrata la mattina stessa con le 300 persone che hanno sfilato in una processione di protesta al Pride, il comico Daniele Gattano, la cantante Antonella Lo Coco. Questi e molti altri, realtà diverse ma con un denominatore comune: la libertà e la lotta per i diritti. Le unioni civili sono state un passo importante, ma a questo ne dovranno seguire altri. Ad esempio una legge contro l’omotransfobia, il matrimonio egualitario, leggi che possano tutelare anche i bambini all’interno delle famiglie arcobaleno, provvedimenti contro il bullismo, una campagna di informazione capillare sulle malattie sessualmente trasmissibili, l’autodeterminazione per le persone transessuali. Ma la cosa più importante è l’amore. E quindi le grandi espressioni della giornata sono stati i baci, il tenersi per mano, finalmente liberi, il matrimonio di Fabiana Montanari e la sua compagna, in Sala del Tricolore la mattina stessa, e la proposta di Silvano a Salvatore sul palco tra la commozione e gli applausi generali. Dal palco, un annuncio. Eravamo 14mila. Love wins!
Donne
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“Las mujeres” dal fiore bianco In Venezuela le donne hanno protestato contro il governo di Maduro per avere nuove elezioni, rilasciare i prigionieri, chiedere giustizia. Il coraggio femminile non si spegne di Anna Fava
È
una storia lunga, quella delle donne, fatta di tante storie. Di coraggio, di parole appena sussurrate e di canti. Di gambe buone, di fazzoletti in testa e di fiori in mano. È una storia di rivoluzioni, silenziose e potenti. È una storia che parte da lontano, e spesso sottovoce, ma che, goccia dopo goccia, scava un canale nella roccia. L’America, in questo, è stata una buona maestra: dai cori di donne piegate sulle piantagioni, alle voci urlate nelle manifestazioni contro il razzismo dei bianchi. Poi in Argentina, con le Madri di Plaza de Mayo, i loro fazzoletti in testa e le foto dei figli in mano. Ogni sacrosanto giovedì di ogni sacrosanto anno da quel 30 aprile del ’77, “las locas” hanno marciato sulla Piazza e, con i loro passi silenziosi, hanno urlato al mondo cos’è stata la dittatura di Videla. Per finire con lo scorso gennaio a Washington, dove circa 2 milioni di persone hanno marciato contro il maschilismo razzista del neo eletto presidente Trump, che sul corpo delle donne ha posto la sua prima firma. Storie diverse, solo per ricordarne alcune. Adesso in Venezuela. Erano a migliaia, il 6 maggio scorso. Lei, Lilian Tintori, le ha chiamate. Loro, le “mujeres” hanno risposto. E così, a Caracas e nelle altre città venezuelane, sono scese in piazza e, a gran voce, hanno chiesto la fine dell’era Maduro. Esigono nuove elezioni, il rilascio degli oppositori (il marito della Tintori è in carcere con “l’accusa” di essere il leader del partito centrista “Voluntad Popular”), giustizia per i 36 morti ammazzati e gli oltre 700 feriti negli scontri tra gli oppositori e i militari.
Chiedono l’apertura di un canale umanitario, perché il Venezuela è ormai allo stremo e mancano i beni di prima necessità. “Eccoci qua, siamo le mamme del Venezuela, ecco il popolo del nostro Paese” ha dichiarato Maria Corina Machado, volto noto dell’opposizione. Erano vestite di bianco, con un’unica arma: un fiore in mano. Bianco anch’esso. Che ad un certo punto hanno gettato ai piedi dei militari, alcune centinaia tra uomini e donne, dicono le agenzie di stampa. Eh sì, perché schierati in tenuta antisommossa c’erano anche donne. Una mossa meschina, quella di Maduro, crudele e sadico nello schierare militari donna. Nonne, mamme, mogli e figlie. Erano lì, le une di fronte alle altre, da una parte il giubbotto antiproiettile d’ordinanza, dall’altra un fiore in mano, da una parte i mariti in carcere, dall’altra, forse, i mariti disoccupati. Immagino i loro sguardi quando si sono incrociati e immagino i loro pensieri che correvano veloci su un lungo filo che le accomunava: le incertezze sul futuro, le risposte che mancano, così come il pane
Una manifestante infila un fiore bianco nella divisa di una donna militare
e le medicine. Immagino non ci fosse odio nei loro occhi ma rabbia, solo tanta rabbia e la consapevolezza di essere usate per un gioco sporco, che solo i dittatori sanno fare. Storie che s’intrecciano. Storie che si ripetono. Mi tornano in mente le parole di Ida, che nell’ottobre del 1941, a Cadelbosco, durante una manifestazione spontanea di donne per avere più pane nella razione giornaliera, fu arrestata dai fascisti, portata in caserma e insultata dalla Brigata Nera. Nonostante tutto, nel suo racconto, non si leggono parole di odio, ma ancora una volta di rabbia “questo pover’uomo (il brigadiere ndr) vittima come noi del fascismo, anche se non lo sapeva (…)”. Storie di donne e di tempi diversi, ma di lotte comuni. Storie per ricordare ancora una volta il loro coraggio. Oggi come allora.
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Notiziario ANPI
Società
I GAP e il terrorismo La mancanza di chiarezza sulla storia dei Gruppi d’Azione Patriottica non fa la Resistenza più forte, ma la indebolisce È difficile – mi disse – uccidere a sangue freddo un uomo che non si conosce...” (Giorgio Amendola, Lettere a Milano)
di Glauco Bertani
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n un documento del PCI, presumibilmente databile all’indomani del 8 settembre 1943, si legge: “Va da sé che i GAP non possono proporsi le forme di combattimento dei guerriglieri, intesi nel senso classico, cioè di guerriglieri raggruppati in distaccamenti o squadre. Sparsi nelle città e nei Comuni in cui risiedono, dove generalmente è impossibile la vita ai distaccamenti di partigiani, effettuano piccole operazioni di agguato, di imboscate e di sabotaggio”. Affermare che i gappisti non erano terroristi per rispondere “alla vulgata politica e storiografica antiresistenziale e antipartigiana”, come scrive Alessandro Fontanesi sul numero di aprile 2017 del Notiziario, non rende giustizia alla realtá della lotta di resistenza al nazifascismo. A una vulgata si risponde con una non verità. E la confusione aumenta. Giorgio Amendola, dirigente del PCI, ricorda in Lettere a Milano alcune azioni organizzate a Roma, nel dicembre 1943, insieme a esponenti del Partito d’Azione. Scrive: “Ci trovammo, in questa impresa a collaborare ancora una volta strettamente [Edoardo] Volterra ed io. Bisognava vedere come l’austero studioso della storia del diritto romano si era trasformato in un freddo e preciso organizzatore di attentati. [...] Fu il colonnello Montezemolo [monarchico] che ci passò le informazioni precise sull’ora di passaggio dei treni e sulla possibilità di agire quasi alla stessa ora sulle due linee [Cassino e Roma]. Egli ci assicurò anche un importante rifornimento
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di esplosivi e detonatori. Lo incontrai a un appuntamento fissato, tramite Giuliana Benzoni, nei locali dell’Associazione per il Mezzogiorno, nel palazzo Taverna. Che cosa avrebbe detto Giustino Fortunato se avesse saputo che l’associazione da lui patrocinata doveva diventare sede di organizzazioni terroristiche ?”[corsivo mio]. Alla voce GAP (Gruppi d’Azione Patriottica) nel Dizionario della Resistenza, a cura di Enzo Collotti, Renato Sandri e Frediano Sessi (Torino 2006), si legge che i documenti di Giovanni Pesce “Visone”, relativi al bilancio delle azioni gappiste torinesi prima e poi milanesi, ci restituiscono una vicenda “di intensa drammaticità”. “Vi emergono in controluce le interrogazioni etiche, militari, politiche che la scelta gappista ha sempre evocato (proponendosi azioni di stampo terroristico con ampio rischio dei gappisti e a volte della popolazione che poteva essere sottoposta a rappresaglie)” (p. 438) ma poteva succedere anche che civili estranei potessero morire, come accadde. Un’altra citazione significativa che riporto – e che spiega il perché dagli anni ‘70 del Novecento il termine terrorismo è stato espunto dalla descrizione dell’attività dei GAP – è tratta da C. Pavone, Una guerra civile. Saggio Storico sulla moralità nella Resistenza (Torino 1991): «La parola “terrore” e “terrorismo”» – scrive lo storico recentemente scomparso – «si trovano usate promiscuamente nelle fonti resistenziali, senza inibizioni e senza gli echi di oggi suscitati dalle vicende italiane e internazionali degli ultimi decenni»[corsivo mio]. La vicenda resistenziale cadde in una situazione che aveva visto esaurirsi la
tradizione romantica e anarchica dell’attentato terroristico come atto individuale ed esemplare (la propaganda del fatto) e che aveva contemporaneamente conosciuto lo scatenarsi del terrore di massa, fino al genocidio. In questo contesto, il “terrorismo” resistenziale non va confuso con il “terrore” e appare come la punta estrema della reazione armata al nazifascismo, con motivazioni e implicazioni lontane tanto da quelle degli attentatori ottocenteschi quanto da quelle dei terroristi degli anni ‘70 e ‘80 del Novecento» (p. 493). La svolta sul terrorismo urbano nel PCI avvenne nel corso del 1943. Scrive Pavone: «Uno dei primi organizzatori in Italia di partigiani e di gappisti, Francesco Scotti [PCI], ha testimoniato che qualche compagno “sosteneva che non era giusto scatenare il terrore individuale che era contrario ai principi marxisti-leninisti” e ha aggiunto: “Queste e altre obiezioni si erano già dovute superare in Francia per costituire i FTP”» (Ivi p. 494). Parole che trovano conferma in Fausto Pattacini “Sintoni” nella memoria del 1991, depositata all’Archivio di Istoreco: «Fare attentati contro singoli fascisti [ne racconta uno del gennaio 1944], senza indicazioni precise da dirigenti, non era una prospettiva allettante. Anzi, era qualcosa che, in un certo senso, ripugnava». Poi la Resistenza si organizzò. Io credo che fare storia debba essere un impegno a far luce sugli avvenimenti in cui gli uomini sono protagonisti. Nel caso specifico, nascondersi dietro le parole per un condivisibile desiderio di difesa della Resistenza, spesso sotto attacco interessato, non fa la Resistenza più forte, ma paradossalmente la indebolisce.
Storie e personaggi
luglio 2017
Aderito Ferrari, 80 anni fa il martirio Al confino organizzò una scuola clandestina, poi la malattia lo uccise. Il ricordo del compagno Graziadei: “Caduto sul campo, di fronte al nemico, eroicamente” di Antonio Zambonellli
I
l 30 agosto 1937, dopo una lunga detenzione nelle galere fasciste, moriva in ospedale a Foggia il comunista reggiano Aderito Ferrari. Aveva solo 33 anni. Nato a Montecavolo il 18 gennaio 1904, aderì alla Gioventù Socialista a soli 15 anni, quando già abitava a Villa Rivalta e lavorava come muratore come altri suoi familiari. Impegnato nelle lotte contro il nascente fascismo fin dal 1921, nel 1923 aderì al Partito Comunista con il gruppo dei socialisti terzinternazionalisti (i cosiddetti “Terzini”). Membro del direttivo provinciale della Fgci, col dilagare della violenza omicida dello squadrismo fu costretto ad emigrare a Milano, come diversi antifascisti rivaltesi, nel 1925. Attivo sindacalista nel capoluogo lombardo, fu animatore di un gruppo di muratori reggiani che alloggiavano nel magazzino della Cooperativa (reggiana) Muratori di via Archimede. Diventato segretario della Fgci di Milano, venne eletto nel Comitato centrale nazionale della stessa organizzazione. Arrestato nel 1927, condannato dal Tribunale speciale a 10 anni di reclusione, ne scontò sette, dedicandosi allo studio. Amnistiato nel 1934, rientrò a Rivalta e riprese l’attività clandestina nel Pci. Nuovamente arrestato nel 1936 con altri compagni reggiani, venne assegnato per cinque anni al confino di Tremiti, dove organizzò una scuola clandestina. Gravemente ammalato, privo di cure adeguate, venne ricoverato in ospedale il 27 agosto 1937. Morì tre giorni dopo. Dei suoi ultimi giorni di vita lasciò una toccante testimonianza il suo compagno di pena avvocato Corrado Graziadei (Sparanise di Caserta 1893-1960), partigiano com-
Gruppo dei socialisti terzinternazionalisti (i cosiddetti “Terzini”). Aderito Ferrari è il primo in basso a destra, con il foglio dell’Avanti.
battente, eletto alla Costituente poi al Parlamento (1953-’58) sempre nelle file del Pci. Del testo, senza data, ma inviato certamente nel 1953 (dopo le elezioni del 7 giugno) dall’On. Graziadei ai compagni di Reggio, pubblichiamo di seguito alcuni stralci. “...Credo sappiate dell’attività spiegata da Aderito nella creazione e nello sviluppo della biblioteca dei confinati. Tale lavoro fu improvvisamente interrotto il 23 luglio 1937 dall’ordine impartito dal direttore della Colonia di salutare romanamente all’atto dell’appello mattutino. Vi fu il tentativo di percosse contro i riluttanti, la rivolta nostra, la repressione sanguinaria e feroce dei birri. Novantacinque compagni vennero arrestati immediatamente e portati a Lucerna sotto l’imputazione di ammutinamento. Restammo in circa 400 e 65 di questi, nei giorni successivi, continuarono a rifiutare di alzare la mano: in questo numero fummo io ed Aderito. Ci rinchiusero in due cameroni e in uno di essi io ed Aderito ci sistemammo alla meglio uno a fianco dell’altro. [….] Formammo, con un altro compagno, l’esecutivo clandestino del camerone, disponemmo un corso di studio, scrivemmo persino un bollettino. Ma la brutalità e la ferocia degli aguzzini non ci dava respiro. Eravamo in 32, in due camere contigue nelle quali
normalmente dormivano 12 confinati. Tutte le porte chiuse e l’aria e la luce venivano da due piccole finestre […]. Il caldo era soffocante […] Per pasto ci ammannivano una brodaglia immangiabile e l’acqua, ogni cinque giorni, ci veniva portata in un barile sporco, maleodorante e putrido. Quell’acqua mefitica e adulterata fu il veleno che uccise il nostro Aderito. Dopo 15 giorni di tale martirio alle 9 del mattino fummo scarcerati e dopo due ore si procedette al nuovo appello: di 65 scarcerati 63 continuarono a non salutare e, immediatamente arrestati, il martirio continuò. Aderito non resse. Una infezione viscerale ne obbligò il ricovero in infermeria, ma il male precipitò e, solo quando tutto apparve ineluttabile ne fu disposto il trasporto a Foggia. Ma, in effetti, venne inviato moribondo. Passò Aderito su una barella innanzi la nostra prigione e sul viso aveva già le stimmate del trapasso. Gli gridai: Coraggio! Un cenno impercettibile della mano fu la sola risposta. Aderito non aveva più la forza di parlare o forse era già conscio della condanna. Egli non finì di morte naturale. Fu assassinato, con premeditazione, con ferocia, con studiata efferatezza. […] Caduto sul campo, di fronte al nemico, semplicemente, eroicamente”.
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Notiziario ANPI
Cultura
Oltre mille studenti a Berlino per ricordare Nell’edizione 2017 del Viaggio della Memoria Istoreco il ricordo dei deportati militari italiani. Un boschetto di Treuenbrietzen luogo di confronto tra letture, interventi e canti di Adriano Arati Tante resistenze, tutte diverse e ugualmente coraggiose, a un regime di infinita abilità propagandistica. Tornano a casa da Berlino con tante storie e tante emozioni da macinare e da elaborare, i mille e cento studenti delle Scuole Superiori di Reggio Emilia coinvolti nell’edizione 2017 del Viaggio della Memoria organizzato da Istoreco assieme a tanti storici partner, a partire da Anpi Reggio Emilia. È uno dei viaggi più solidi, visto che quella conclusa è la 19esima annata, e uno dei principali per capacità di coinvolgimento: tutte le Scuole Superiori della provincia reggiana hanno partecipato all’iniziativa, e per il sesto anno di fila le presenze sono oltre il migliaio. Il fulcro del Viaggio era Berlino, non vista solo come centro del potere e della comunicazione nazista, ma anche come luogo di resistenze. Resistenze che spesso
Berlino come luogo di resistenze non sono state riconosciute: nel 2017 il lavoro di Istoreco si è infatti concentrato sugli IMI, i deportati militari italiani, oltre 600mila soldati che dopo l’armistizio non accettarono di arruolarsi nell’Esercito Italiano, prima, e nella RSI, dopo. Un’esperienza ricordata a gennaio con la mostra I soldati che dissero NO, incentrata sulle vicende dei quasi 8mila IMI reggiani, fra testimonianze e ricostruzioni postume. L’ultimo atto
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Il Memoriale dell’Olocausto a Berlino (foto Angelo Bariani)
Il ciclista della Memoria 24 marzo 2017. Ecco Giovanni Bloisi, ciclista della Memoria, al suo arrivo davanti a Villa Terrachini proveniente da Casa Cervi, durante la solitaria pedalata a tappe da Varese (19.03) a Gerusalemme, costellata da soste presso i Luoghi della Memoria, per ricordare Deportazioni, Shoàh e per far conoscere Sciesopoli di Selvino (BG), dove dal 1945 al 1948, 800 bambini ebrei, orfani, sopravvissuti ai campi di sterminio, furono accolti e riportati alla vita. Nella tappa reggiana ha sostato davanti a
Villa Terrachini e alla Caserma Zucchi, dove nel 1946 erano stati ospitati centinaia di ebrei sopravvissuti allo Sterminio ed in fuga verso la Palestina. Il 24 aprile, Yom haShoà, Bloisi, scortato da ex bambini di Selvino diventati adulti in Israele, ha raggiunto la meta ricevuto dal Presidente Rivlin in un’atmosfera che ha visto tutti i presenti cantare Bella Ciao attorno alla bandiera della pace portata per tutto il viaggio dal Ciclista della Memoria. (a.z.)
Cultura
prima del Viaggio ha visto invece come graditissima ospite Mirella Stanzione, una delle pochissime italiane sopravvissute alla detenzione a Ravensbruck, il principale campo di concentramento nazista, costruito a nord di Berlino. La Stanzione ha incontrato tutti i futuri viaggiatori in un bellissimo incontro ospitato al Teatro Valli. Il Viaggio della Memoria ha portato a Ravensbruck e a Sachsenhausen, un lager aperto nel 1936, nei giorni delle Olimpiadi, spesso indicato come modello per il sistema concentrazionario tedesco. Fra i momenti più apprezzati, quelli allo Stadio olimpico, perfetto esempio della visione e dell’abilità propagandistica del nazismo. L’ultimo atto, chiusura del cerchio, vedeva le varie classi della
luglio 2017
Scatti Uno sguardo sul mondo resistente
127 gli IMI fucilati dai nazisti settimana ritrovarsi, per una volta, insieme per un momento di confronto in cui chiunque poteva parlare delle proprie emozioni. C’è chi ha letto, chi ha improvvisato, chi ha cantato. Tutti lo hanno fatto in un boschetto a Treuenbrietzen, nella campagna al sud di Berlino, nei resti di una cava di sabbia che durante la guerra ha ospitato una fabbrica. Lì lavoravano tanti IMI italiani e solo loro vennero uccisi il 23 aprile 1945. I nazisti, ormai scacciati, tornarono al campo per vendicarsi dei “traditori” italiani. Li separarono dagli altri prigionieri e li fucilarono. Erano 131 ragazzi, solo 4 sopravvissero, salvati dai corpi dei compagni. Fra i 127 caduti un reggiano dal nome inequivocabile, Allenin Barbieri. A Cadelbosco, dove ha vissuto libero per l’ultima volta, ora c’è una pietra d’inciampo a suo nome. Gli studenti hanno anche realizzato un diario di viaggio con le loro riflessioni e le loro foto. Tutto pubblicato sul sito www.ilfuturononsicancella.it.
Questa foto è parte di un progetto fotografico realizzato dal fotografo Antonio Sansica e mostra un tricolore posato sulle mura di Villa Calvi, ad Albinea. Antonio ha attraversato una vasta pianura, incontrando strade fitte di nebbia, montagne di ricordi brillanti di un periodo della storia italiana: la Resistenza. Ha soprattutto incontrato uomini e donne, grandi un secolo, che hanno combattuto all’unisono, per un ideale comune: l’antifascismo. Le storie a lui raccontate, sono sì storie
d’altri tempi, ma per molti altri, purtroppo sono ancora la realtà, la vita di tutti i giorni al cospetto della tirannia; per questo motivo egli intende esporre le storie a lui raccontate, per ricordarci che “nessuna conquista è per sempre” e perché “Resistere” è anche una necessità, per difendere quello che altri vogliono continuamente toglierci. Il progetto Partisans: There was no time for fear è visibile sul suo sito www.antoniosansica.com.
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Notiziario ANPI
Anniversari
Anniversari ANNIVERSARIO
12° ANNIVERSARIO
Emilio Grossi
Elena Riccò
In memoria del Partigiano Emilio Grossi “Obrai”, appartenente alla 76a Brigata SAP “Fratelli Manfredi”. Laila Grossi, con immutato affetto, sottoscrive pro Notiziario.
ANNIVERSARIO
Aldo Mussini e Velia Verzelloni
Il 4 aprile ricorreva il 12° anniversario della scomparsa di Elena Riccò “Nella”. Il figlio Marco, la nuora Marina e la carissima nipote Roberta, ricordandola con grande rimpianto e affetto, sottoscrivono pro Notiziario.
2° ANNIVERSARIO
Giuseppe Campioli
In occasione del 25 aprile, nell’anniversario della scomparsa si ricorda Aldo Mussini, il partigiano “Eros” del distaccamento “Rolando Iotti” di Roncocesi, appartenente alla 76a Brigata Sap. In ricordo del suo impegno politico e del suo attivismo sociale, insieme al caro ricordo della moglie Velia Verzelloni, scomparsa il 25 aprile 2016, la figlia Maela, il genero Rino e i nipoti Marco e Sofia, con tanto affetto, sottoscrivono pro Notiziario. ANNIVERSARIO
Amarenzio Montanari e Marina Notari
Il 19 Luglio ricorre il 2° anniversario della scomparsa del partigiano Giuseppe Campioli, personaggio noto per la sua intensa attività sociale e già presidente della sezione Anpi di Scandiano per lunghi anni. La moglie Giuliana, i figli Fausto e Marica insieme alle nipoti e al fratello Cesare ne conservano la memoria, condividendone gli ideali. Con immutato affetto e rimpianto sottoscrivono pro Notiziario per rendergli onore.
ANNIVERSARIO
Wolmer Verzelloni e Wilma Galaverni
I figli Mirco e Rino, con le rispettive famiglie e i nipoti, Marco, Sofia e Francesca, in occasione del 25 aprile ricordano Amerenzio Montanari (Mirco), comandante del distaccamento “Rolando Iotti” di Roncocesi della 76a Brigata Sap, insieme alla moglie Marina Notari e sottoscrivono pro Notiziario.
ANNIVERSARIO
Wanda Diacci, Pierino e Ezio Caretta
Le sorelle Italina, Marisa e Gianna, addolorate per la scomparsa della sorella Wanda, avvenuta in data 11 febbraio 2017, per onorare la sua memoria insieme a quella del marito Pierino Caretta e del suo amatissimo figlio Ezio, sottoscrivono pro Notiziario.
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Per onorare la memoria dei coniugi Wolmer Verzelloni e Wilma Galaverni, in occasione del 25 aprile, la nipote Maela Mussini e famiglia, ricordandoli con tanto affetto, sottoscrivono pro Notiziario.
ANNIVERSARIO
Dario Rodolfi Nel gennaio dello scorso anno è venuto a mancare Dario Rodolfi, già partigiano combattente della 26a Brigata Garibaldi, molto attivo nella sezione Anpi di Rubiera nella quale ha rivestito per lunghi anni il ruolo di presidente. Le figlie, le sorelle e il fratello, con immutato affetto, per onorarne la memoria e ricordarlo a quanti lo hanno conosciuto e apprezzato per la sua intensa attività sociale, sottoscrivono pro Notiziario.
Anniversari ANNIVERSARIO
Carlo Porta e Lea Rodolfi
6° ANNIVERSARIO
Ezzelino Torreggiani Il 24 maggio ricorreva il 6° anniversario della scomparsa del partigiano Ezzelino Torreggiani, appartenente alla 76a Brigata Sap “Angelo Zanti”. Lo ricordano con tanto affetto la moglie Adelma e la figlia Mirella che in sua memoria sottoscrivono pro Notiziario.
In memoria dei genitori Carlo e Lea Rodolfi, per i quali conserva un profondo affetto e rimpianto, la figlia Vanna sottoscrive pro Notiziario perché vengano ricordati anche dai parenti e dagli amici, che hanno condiviso con loro gli ideali di pace e giustizia. 1°ANNIVERSARIO
luglio 2017
5° ANNIVERSARIO
Giovanni Incerti
Adriano Pedroni (Robin)
Lo scorso 19 giugno ricorreva il 1° anniversario della scomparsa di Giovanni Incerti, per tanti di noi “Squalo”. La moglie Loretta Veroni, per onorarne la memoria e per mantenere vivo il suo ricordo tra i parenti ed amici, sottoscrive pro Notiziario.
12° ANNIVERSARIO
Augustina Ferrarini (Tina)
Il 15 giugno ricorreva il 5° anniversario della scomparsa del partigiano Adriano Pedroni “Robin”, appartenente alla 144a Brigata Garibaldi. La sua forte personalità, la sua voglia di lottare per un mondo migliore ci mancano tanto, ma li portiamo sempre dentro di noi. Lo ricordano con amore i figli Rossella e Fulvio, la compagna Franca, la nipote Silvia e la nuora Ivetta. 8° ANNIVERSARIO
Anselmo Bisagni
Il 25 aprile ricorreva il 12° anniversario della scomparsa di Augustina Ferrarini (Tina) della 76a Brigata Sap. La figlia, il figlio, la nipote, il genero e la nuora portano sempre dentro di loro il ricordo del suo ottimismo e dei suoi valori di giustizia e libertà. Per onorarne la memoria e per ricordarla ai parenti e agli amici, sottoscrivono pro Notiziario. ANNIVERSARIO
Per ricordare Anselmo Bisagni, deceduto il 29 giugno 2009, la moglie Angiolina Bertani, i figli, il genero, le nuore e i nipoti lo ricordano con immutato affetto sottoscrivendo pro Notiziario.
ANNIVERSARIO
Tina Salsi
Angelo Reverberi (Pantera) I nipoti Salsi, appartenenti a una nota famiglia di partigiani e antifascisti, ricordano con immutato affetto la zia Tina, scomparsa nel novembre del 2009, lasciando un grande vuoto. Nell’occasione rendono onore alla zia Alberta, recentemente scomparsa, della quale, in questa sede, esiste il necrologio.
15° ANNIVERSARIO
Sergio Ferrarini (Spartaco)
Nella ricorrenza della scomparsa di Angelo Reverberi (Pantera), uno degli ultimi partigiani della 145a Brigata Garibaldi, avvenuta il 13 dicembre 2016, la moglie Ida, la figlia Ileana e il nipote Alex lo ricordano con grande rimpianto e gli dedicano un affettuoso saluto “Ciao Pantera, sei nei nostri cuori”.
6° ANNIVERSARIO
Pieraldo Campani
“Ti ricordiamo a chi ti ha voluto bene. Nel nostro cuore sei sempre vivo”. Nel 15° anniversario della scomparsa di Sergio Ferrarini (Spartaco), avvenuta il 18 maggio 2002, lo ricordano Anna, Linda e Vittoria e sottoscrivono a sostegno del Notiziario
ANNIVERSARIO
Il 4 Luglio ricorre il 6° anniversario della scomparsa di Pieraldo Campani. La moglie Antonietta, i figli Stefano e Daniele, la sorella Giovanna, i cognati e i nipoti tutti, ai quali manca ancora e sempre la sua presenza e il suo affetto, per onorarlo sottoscrivono pro Notiziario.
ANNIVERSARIO
Romualdo Sberveglieri (Aldo) e Alma Felici Lidia Bellesia e Lino Ferretti Per onorare la memoria del padre partigiano Romualdo Sberveglieri “Aldo” della 144a Brigata Garibaldi, deceduto il 7 febbraio 1998, e della madre Alma Felici, staffetta partigiana, deceduta il 22 agosto 2016, Ciria Sberveglieri, insieme alla famiglia, offre a sostegno del Notiziario.
Ai partigiani Lino Ferretti e Lidia Bellesia, che hanno trasmesso valori di democrazia e libertà e che hanno combattuto per un mondo più giusto e migliore il ricordo più affettuoso di Lorena, Matteo e Tiziano. In loro memoria sottoscrivono pro Notiziario.
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Notiziario ANPI
Anniversari
4° ANNIVERSARIO
Giorgio Franzoni Il 12 aprile scorso ricorreva il 4° anniversario della scomparsa di Giorgio Franzoni. I compagni Valter, Ottavio ed Edda, per onorarne la memoria, offrono a sostegno del Notiziario.
12° ANNIVERSARIO
Pietro Govi (Piretto) Il 24 luglio ricorre il 12° anniversario della scomparsa di Pietro Govi “Piretto” di Rio Saliceto, appartenente al distaccamento “G. Matteotti” della 144a Brigata Garibaldi. La moglie Umberta, le figlie Adriana e Lorena lo ricordano con infinito amore e, in sua memoria, sottoscrivono pro Notiziario.
4° ANNIVERSARIO
Gino Furghieri (Brunello) Sono già trascorsi purtroppo 19 anni dalla tua scomparsa e risulta difficile oggi prendere come esempio una figura come la tua, in questa società dove ogni giorno di più si stanno perdendo i valori di democrazia, uguaglianza e libertà, che noi però quotidianamente portiamo avanti nel tuo ricordo e in tuo nome. Tutto questo perché con i tuoi insegnamenti ci hai permesso di continuare nella correttezza, trasmettendoci la volontà di non dimenticare mai quello che hai fatto per liberare il tuo Paese, il tuo Comune, dall’oppressione nazifascista, insieme ad un altro tuo compagno. Inutile dire che ci manchi. Dimma, Katia, Nicoletta, Mario sottoscrivono pro Notiziario.
Vanna Melloni ved. Francescotti Ho dovuto superare un certo pudore nell’affrontare questioni che riguardano la mia famiglia ma, nell’anniversario della scomparsa di Vanna nell’aprile 2013, non ho potuto fare a meno di ricordarla non solo come staffetta partigiana ma per il suo coraggio, la sua dignità di persona, la sua vivacità e la sua voglia di vivere. Dicevo del pudore; non ha mai ritenuto di dare importanza a eventi che l’hanno riguardata direttamente così come è un po’ nello stile di mio padre, della mia famiglia e di me stesso. Ma sono accaduti fatti straordinari che meritano di essere, se pur brevemente, raccontati. Suo padre Domenico Melloni, dipendente dell’allora Cremeria Emiliana, fu licenziato per motivi politici e sindacali per la sua aderenza agli ideali di sinistra contrapposti al fascismo. Fu convocato insieme ad altri, tra i quali ricordo Govi Dello, Paterlini Socrate, ecc. all’allora Cinema Italia dalla Brigata Nera per informazioni (lo scopo della convocazione si rivelò di ben diversa “finalità”). Una provvidenziale non coincidenza tra il nome col quale era conosciuto comunemente Domenico Melloni e il riscontro effettuato dalla Brigata Nera tra coloro che erano convenuti al Cinema Italia, fece sì che i fascisti si recassero a casa di mia nonna e di mia madre per chiedere per quale motivo non si fos-
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se presentato alla “riunione”. Mia nonna e mia madre capirono subito che quel “convegno” nascondeva un grave pericolo. Mia madre, allora sedicenne, con la determinazione che nasce dal terrore e dalla preoccupazione, pensò di prendere con sé del pane, che poi mostrò alle guardie che erano davanti al cinema Italia per dire che suo padre non aveva ancora mangiato e che lei intendeva portargli del cibo. Fu quasi un miracolo il fatto che riuscì a convincere le guardie a lasciar avvicinare suo padre che fu avvertito di un rastrellamento in corso e del fatto che la convocazione aveva finalità di spietata repressione politica: riuscì a eludere la sorveglianza e a fuggire. In effetti cinque di coloro che rimasero nella sala del Cinema Italia furono portati nei luoghi di detenzione dei fascisti a Reggio Emilia e si trovarono, con ferocia disumana, trucidati con le mani legate da fil di ferro dietro la schiena, il 28 gennaio 1945 lungo la via Emilia, tra i dieci fucilati al ponte del Quaresimo. Devo dire che mia madre confermò poi negli anni il suo coraggio continuando insieme a suo padre la lotta in montagna con i partigiani, stante ovviamente che suo padre e lei stessa erano da quel momento ricercati come pericolosi oppositori al regime. Il figlio Primo Francescotti
Lutti
luglio 2017
Lutti Avio Pinotti Il 29 maggio 2017 è mancato all’ospedale correggese Avio Pinotti, il partigiano “Athos”. Pinotti è uno dei simboli della storia reggiana dagli anni ‘40 ad oggi, giovanissimo militante comunista, amministratore, operaio, testimone dai modi gentili. Negli ultimi vent’anni ha preso parte a tanti progetti sulla memoria, dai Sentieri partigiani di Istoreco all’evento correggese sulla Resistenza europea. Per 47 anni presidente dell’Anpi correggese, si era dimesso nel 2002 mantenendo poi la carica di presidente onorario. Grazie a lui si può capire il valore e l’importanza dell’esperienza partigiana e di Anpi, l’importanza di includere e di non dividere, ma con ben chiari i principi condivisi. Dire che grazie a persone come Avio viviamo in un Paese migliore è la cosa più lontana dalla retorica che si possa affermare. Se ne va un’altra parte di noi, noi Anpi, noi amici, noi resistenti. La Sezione Anpi di Correggio lo ricorda così: Il comandante Athos ci ha lasciati. È deceduto lunedì 29 maggio u.s., all’età di 92 anni, Avio Pinotti, partigiano combattente e presidente onorario dell’Anpi di Correggio. Con lui se ne va un pezzo fondamentale della storia della Resistenza correggese. Non solo per la sua militanza armata nel periodo della lotta di Liberazione, ma anche per l’impegno profuso nel dopoguerra per tenere alti i valori della libertà e della democrazia attraverso la guida della principale associazione combattentistica reggiana. Avio Pinotti, contadino, figlio di mezzadri, fu uno dei primi quattro partigiani correggesi a scegliere la via della montagna per unirsi alle formazioni garibaldine. Trascorse dieci mesi sull’Appennino reggiano inquadrato nel distaccamento “Piccinini” dell 76° Brigata SAP, periodo in cui prese parte ai combattimenti dello Sparavalle, di Villa Minozzo e all’assedio di Febbio. Nell’estate del
1944 rientrò in pianura, a Correggio, dove continuò l’attività resistenziale organizzando il distaccamento SAP di Lemizzone di cui diventò comandante. Successivamente en trò a far parte anche del distaccamento celere “Borghi”. Ambedue le formazioni appartenevano alla 77° Brigata “F.lli Manfredi” che operava tra la via Emilia e il Po. Fu tra i combattenti della battaglia di Fosdondo, il principale evento militare della bassa reggiana. Dopo la Liberazione ritornò alla sua attività di contadino per partecipare poi alle lotte agrarie del 1948 in qualità di segretario dei Comitati Terra provinciali. Dopo aver frequentato la scuola del PCI a Reggio Emilia entrò a far parte delle Brigate Costruttori e fu inviato dal partito a svolgere il lavoro di funzionario in alcune aree del Sud Italia. Al suo rientro nel 1955 fu eletto presidente della sezione Anpi di Correggio, carica che mantenne per 47 anni, fino al 2002. Negli anni Sessanta fu consigliere comunale ed assessore nella giunta del sindaco Renzo Testi, recentemente scomparso. Per quasi mezzo secolo Avio Pinotti è stato un’instancabile organizzatore di attività culturali e didattiche, viaggi della memoria, ma anche iniziative di solidarietà e raccolta fondi per le popolazioni in aree di conflitto. Nel 1997 grazie al suo impulso, nasce l’associazione culturale “Materiale Resistente” che per oltre dieci anni fiancheggerà l’attività dell’Anpi indirizzando la sua azione verso le generazioni più giovani. La sua profonda conoscenza del mondo partigiano e la documentazione raccolta in anni di ricerche consentiranno la realizzazione del videodocumentario “Partigiani” (1997) per la regia di Guido Chiesa, Davide Ferrario e Daniele Vicari, questi ultimi due coinvolti anche nel successivo “Comunisti” (1999) sulle vicende del delitto Don Pessina e del comandante “Diavolo”, Germano Nicolini. Queste due produzioni sono, ancora oggi, preziosi documenti per la storia locale del periodo. Avio lascia la moglie Marina ed i figli Diana e Massimo. A tutta la famiglia vanno le nostre più sentite condoglianze.
Attilio Pattacini In occasione della scomparsa di Attilio Pattacini, avvenuta il 18 aprile 2017, la figlia Franca e la moglie Paola, commosse per la grave perdita sottoscrivono pro Notiziario per onorarne la memoria e per ricordarlo ai parenti e agli amici quale “uomo giusto che credeva nei valori della pace e della libertà”.
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Sostenitori e lutti
Notiziario ANPI
ALBERTA SALSI (Luciana) All’alba del 5 maggio è deceduta, all’età di 92 anni, la partigiana Alberta Salsi “Luciana” della 37a Brigata GAP. Cresciuta in una famiglia di tradizioni proletarie ed antifasciste, era sorella dei partigiani Luciano “Ivan” e Vivaldo “Tancredi”, condannato dal tribunale speciale negli anni Trenta, capo di Stato maggiore della 37a Brigata. Alberta, abile stenografa, nel Dopoguerra lavorò anche a Roma, nella segreteria nazionale del PCI. Non si era mai sposata. L’Anpi reggiana, nel rendere omaggio a un’altra delle importanti figure di donne che hanno contribuito alla liberazione del Paese dal fascismo e poi alla costruzione della democrazia repubblicana, esprime fraterne condoglianze alle nipoti Simona (figlia di Luciano) e Giuliana (figlia di Vivaldo). Le nipoti Giuliana, Simona e la cognata Marisa sottoscrivono pro Notiziario.
Romano Sassi Il 14 maggio u.s. è venuto a mancare Romano Sassi, lasciando in profonda tristezza gli amici e i parenti. La moglie Alice Donelli e la cognata Nealda, per onorarne la memoria, fanno propria la frase riportata nella sua foto ricordo: “L’onestà fu il suo ideale, il lavoro la sua vita, la famiglia il suo affetto” perché ritengono che rispecchi completamente la sua personalità e sottoscrivono pro Notiziario.
Sostenitori BRUNA AGUZZOLI GIAN PAOLO ARTIOLI ADA BARTOLI ANGIOLINA BERTANI VALENTINA BIZZARI RINALDI EDDA CAMINATI CESARE CAMPIOLI GIOVANNI CARBONARA LAURA CASINI IDA CATELLANI IDA COTTAFAVI ITALINA, MARISA, GIANNA DIACCI
Pro Notiziario In ricordo della madre Ferrarini Tina Pro Notiziario In ricordo del marito Anselmo Bisagni Pro Notiziario Pro Notiziario In ricordo di Giuseppe Campioli Pro Notiziario Pro Notiziario In ricordo del marito Angelo Reverberi Pro Notiziario In ricordo della sorella Wanda
In ricordo del cognato Romano NEALDA DONELLI Sassi ALICE DONELLI In ricordo del marito Romano Sassi In ricordo delle zie Tina e Alberta NIPOTI FAM.SALSI Salsi In ricordo della madre Elena Riccò MARCO FERRATI (Nella) LORENA FERRETTI In ricordo dei genitori Lino e BelleRINALDINI sia Lidia FRANCO FIACCADORI Pro Notiziario ANNA FIORANI In ricordo del marito Sergio Ferrarini PRIMO FRANCESCOTTI In ricordo della madre Melloni Vanna LAILA GROSSI In ricordo del padre Emilio PAOLO INCERTI Pro Notiziario MARISA INCERTI Pro Notiziario CAPRETTI In ricordo del marito Pieraldo ANTONIETTA LARI Campani In ricordo del marito Pietro Govi UMBERTA LOSI “Piretto” FRANCESCO MARCONI Pro Notiziario GIULIANO MELLI Pro Notiziario
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€ 25 € 150 € 20 € 50 € 30 € 20 € 100 € 20 € 10 € 40 € 50 € 20 € 50 € 50 € 50 € 30 € 200 € 20 € 50 € 100 € 50 € 20 € 10 € 50
FABIO MONTANARI GAUDENZIO MONTANARI VALTER MONTECCHI
Pro Notiziario
€ 20
Pro Notiziario
€ 50
In ricordo di Giorgio Franzoni In ricordo di Amarenzio Montanari, MAELA E RINO Marina Notari,Aldo Mussini Velia MUSSINI E MONTANARI Verzelloni,Wolmer Verzelloni,Wilma Galaverni OLINDO OLMI Pro Notiziario GIUSEPPE PARALUPI Pro Notiziario FRANCA E PAOLA In ricordo di Attilio Pattacini PATTACINI FULVIO E ROSSELLA In ricordo del padre Adriano PEDRONI GIANCARLO PIGUZZI Pro Notiziario In ricordo dei genitori Carlo e VANNA PORTA Rodolfi Lea ENZO RABITTI Pro Notiziario GABRIELLA RODOLFI In ricordo del padre Dario MARIA ROSSI Pro Notiziario SALVATORE RUSSO Pro Notiziario MARISA SALA Pro Notiziario GIULIANA SALSI In ricordo della zia Alberta ANNA SALSI Pro Notiziario In ricordo dei genitori Romualdo e CIRIA SBERVEGLIERI Alma Felici GIUSTINA SPADONI Pro Notiziario MIRELLA In ricordo del padre Ezzelino TorTORREGGIANI reggiani EBE VECCHI Pro Notiziario In ricordo di Bruno Veneziani SERGIO VENEZIANI “Oscar” e Caleri Laura “Mirna” In ricordo del marito Giovanni LORETTA VERONI Incerti SPI /CGIL Pro Notiziario
€ 50 € 300 € 20 € 20 € 100 € 100 € 30 € 100 € 30 € 100 € 40 € 40 € 20 € 100 € 25 € 50 € 50 € 50 € 20 € 300 € 50 € 20
€ 50 € 20 € 20
SEZIONE ANPI DI BAGNOLO IN PIANO
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Tessere
luglio 2017
Tessere Memoria e iconografia, la storia attraverso i documenti associativi dell’Anpi Continuiamo la carrellata di immagini che rappresentano tappe della storia dell’Associazione. Per tutti gli anni Cinquanta le tessere avranno raffigurazioni didascaliche di impianto realistico, riprendendo i temi più importanti della realtà sociale e politica del Paese.
1950
L’iconografia della tessera del 1950 si fa più complessa e la simbologia più articolata. Il volume della Costituzione fa da sfondo alla figura in primo piano con il fazzoletto al collo, classica rappresentazione del partigiano.
1951
L’operaio, in tuta blu e con la bandiera tricolore, diventa il protagonista della tessera. Sullo sfondo campeggiano i due settori del lavoro: la fabbrica e la campagna. A lato la scuola, centro dell’attenzione politica e sociale degli anni ‘50.
1952
La tessera si apre con lo slogan “Uniti per la pace e l’indipendenza”. Le mani unite a reggere la bandiera simboleggiano una spinta verso l’unità, dopo che il ‘51 era stato l’anno di una possibile guerra civile e di uno scontro politico durissimo.
1953
La parola chiave è “La Libertà”, parola che l’uomo raffigurato sta scrivendo sul muro, alla stregua di quanto avevano fatto, a rischio della vita, gli antifascisti durante gli anni bui del regime.
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