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A terra o verso il cielo On the ground or to the sky

Gianluca Sortino

Docente a contratto di Composizione architettonica e urbana, Scuola AUIC, Politecnico di Milano. gianluca.sortino@polimi.it

A terra o verso il cielo

Vuoti urbani al riparo dell’architettura

On the ground or to the sky The paper investigates the correlation between architecture and empty spaces through Francesco Venezia’s reconversion project of a commercial building in Piazza Garibaldi in Treviglio (Bergamo), an exemplary intervention of urban restoration that today would be called regeneration. It’s the renewal of an entire area of the city center, making it walkable and doubling the existing square with a theatre open to the sky and shifted on the top of the converted building.*

Il contributo indaga il tema del rapporto tra architettura e vuoto attraverso il progetto di Francesco Venezia per la riconversione di un edificio a uso commerciale nella piazza Garibaldi di Treviglio (BG), un esemplare intervento di restauro urbano che oggi si direbbe di rigenerazione. Si tratta del rinnovamento di un intero comparto del centro cittadino, rendendo passante ai pedoni tutto un isolato e raddoppiando lo spazio pubblico della piazza esistente a terra, con l’invenzione di una seconda piazza, in forma di teatro pensile aperto sul cielo e traslata sulla cima dell’edificio trasformato.* cosa accadrà dello spazio in quanto vuoto? Troppo sovente appare solo come una lacuna. […] Senza dubbio il vuoto è in qualche modo affratellato con ciò che è più proprio del luogo e per questo motivo non è una mancanza, ma un portare allo scoperto” (Heidegger, 2000, p. 35).

Vi è in questo passo, tradotto dal saggio Die Kunst und der Raum del 1969 di Martin Heidegger¹, un’idea del vuoto che evidenzia non tanto l’assenza di contenuto, quanto il predisporsi a svelarlo, a portarlo, appunto, allo scoperto. E il suo unirsi, si direbbe intimamente, a un luogo, per manifestarne il carattere più vero. È proprio dell’architettura impossessarsi dei luoghi occupandone i vuoti, ordinando e disponendo forme costruite e spazi aperti che si fondano a terra e guardano al cielo. L’atto compositivo del limitare, accordando dimensioni e distanze, prepara il vuoto all’abitare e le cose a porsi in reciproca relazione.

Ogni edificio misura l’intervallo tra la terra e il cielo e, nel frapporsi, se ne appropria in parte, esibendone più concreta la presenza e sottraendoli all’esclusivo essere dati naturali o astronomici. Il progetto e la costruzione fissano gli estremi di quest’intervallo, dando forma al suo agganciarsi al suolo e frenando, verso l’alto, lo sviluppo. Attacco a terra e coronamento possono avere la consistenza di uno spazio vuoto, quando dell’edificio si fa permeabile il basamento o se, in copertura, lo si scoperchia.

La condizione comune a molte città in merito al consumo di suolo e allo stato malandato di ampi settori suggerisce la necessità d’intervenire sull’esistente, riconoscendo in esso occasioni per il restauro di luoghi urbani, secondo strategie e idee interessate a volgere in positivo gli effetti di perdite, degradi e abbandoni.

Interpretando, dunque, l’esistente come duplice opportunità. Per avviare metamorfosi, anziché demolire: a conferma dell’antica prassi dell’architettura che si stratifica su se stessa, utilizzando frammenti o intere parti di ciò che c’è. E per risarcire la città del suolo sottratto: erodendo da

edifici inusati quote di volume al chiuso per disegnare spazi vuoti che, all’interno e al riparo dell’architettura, offrano inattesi punti d’incontro e di vista sull’intorno.

Per quanto marginale a fronte di iniziative anche recenti di grandi capitali, il caso del rinnovamento di un edificio della centrale piazza Garibaldi di Treviglio, nella pianura bergamasca, rappresentava una di queste occasioni quando, nel 1998, l’Amministrazione comunale bandì un concorso a inviti, promuovendo di fatto un’iniziativa che oggi si definirebbe di rigenerazione urbana. Quattro gli architetti invitati: Carlo Aymonino, Giorgio Grassi, Boris Podrecca e Francesco Venezia². Quanto all’edificio, si trattava di un fabbricato a uso commerciale, “disegnato in palese discontinuità con le caratteristiche tipologiche e ambientali dell’antico nucleo su cui sorge” (Irace, 2000, p. 16). “Due le opzioni prospettate nel bando di concorso, adeguamento e riconversione o demolizione e ricostruzione” (Venezia, 1998, p. 21). Oltre all’edificio, la piazza, così com’era allora, “con la sua forma stretta e allungata, poco più di uno slargo che [...] è diventata [...] un importante elemento gerarchico del tessuto edilizio del centro storico”; con il ruolo “di delimitare da sud […] l’isolato forse più importante della struttura urbana di Treviglio, certamente il più importante per la morfologia della città antica, cioè quello che corrisponde al suo nucleo originario, il castrum vetus” (Grassi, 1998, p. 18) (img. 03). Una piazza che piazza non era, almeno fino

02. L’isolato di piazza Garibaldi e il grande magazzino ex Upim, planimetria, prospetto e sezioni: 1 grande magazzino ex Upim; 2 piazza Garibaldi; 3 piazza Manara: 4 via Galliari; 5 vicolo del teatro; 6 basilica di San Martino; 7 torre campanaria; 8 palazzo del Comune; 9 santuario della Madonna delle Lacrime. Piazza Garibaldi’s area and the ex Upim department store, planimetry, elevation and sections: 1 ex Upim department store 2 piazza Garibaldi; 3 piazza Manara; 4 via Galliari; 5 vicolo del teatro; 6 basilica di San Martino; 7 bell tower; 8 City hall building; 9 Madonna delle Lacrime sanctuary. Laboratorio di Progettazione architettonica del Corso Laurea Magistrale in Architettura, coordinato da A. Torricelli con G. Sortino – Scuola di Architettura Civile – Politecnico di Milano, 2009-11

atro verrà abbattuto negli anni Settanta e sostituito proprio dal grande magazzino Upim, oggetto del concorso, realizzato nello spazio sgombro per le demolizioni e costretto nella maglia dei palazzi della sinuosa via Galliari. Qui la cortina compatta delle case è ritmata dai grandi portoni che si aprono su androni ombrosi, oltre i quali si scorge lo spazio vuoto dei cortili porticati. L’insieme Attacco al suolo e coronamento posso ravvicinato degli accessi lascia intuire un isolato poroso, disponibile a faravere negli edifici la consistenza di uno si attraversare, varcando i limiti delle facciate (img. 02). spazio vuoto Questo tratto di via Galliari, sul lato opposto ai palazzi, s’avvia a ovest con il santuario della Madonna delle Lacrime al XVIII secolo occupandola il cimitero dei Disciplini e che, per concludersi a est con l’edificio del Comune, che segnala solo in seguito, diventa luogo pubblico — come piazza del lo sbocco in piazza Manara, dove svetta la torre campanaria mercato — e di rappresentanza, con il nuovo Teatro Sociale della basilica di San Martino. Di fronte alla chiesa, lo stretto affacciato su di essa. Riconfigurato nel corso del ’900, il Te- passaggio del vicolo che conduceva al Teatro, spingendosi

03. Treviglio e l’isolato di piazza Garibaldi: 1 la piazza e il grande magazzino ex Upim; 2 il santuario della Madonna delle Lacrime visto da via Galliari; 3 il palazzo del Comune in piazza Manara; 4 la torre campanaria della basilica di San Martino vista dal vicolo del teatro; 5 i portici di via Matteotti.Treviglio and piazza Garibaldi’s area: 1 the piazza and the ex Upim department store; 2 the Madonna delle Lacrime sanctuary view from via Galliari; 3 the City hall building in piazza Manara; 4 the bell tower of the basilica di San Martino view from vicolo del teatro; 5 the porticoes of via Matteotti. Laboratorio di Progettazione architettonica del Corso di Laurea Magistrale in Architettura, coordinato da A. Torricelli con G. Sortino – Scuola di Architettura Civile – Politecnico di Milano, 2009-2011

dentro l’isolato con tracciato rettilineo e parallelo all’asse di piazza Garibaldi. Risulta evidente che “l’adeguamento architettonico di piazza Garibaldi e del fabbricato di proprietà comunale ad essa prospiciente” — questa l’intestazione del bando — incitava a un progetto che potesse tradursi in un più ampio intervento, capace di cogliere tutti gli indizi di un tessuto così denso e stratificato. E di riconoscere le emergenze già in scena, coinvolgendole in un rinnovato intreccio che ne ri-presentasse ruoli, gerarchie e valori simbolici.

È lungo il processo che forma nel tempo i centri storici delle città; adeguamento e riuso di quanto permane si sommano a nuove edificazioni. Francesco Venezia lo coglie anche a Treviglio e sceglie di trasformare, evitando la demolizione completa. Certamente influiscono aspetti economici e pratici, ma anzitutto le “ragioni dell’architettura: i vincoli, nel progetto, possono giocare a favore dell’invenzione, mettendo in moto insospettate possibilità” (Venezia, 1998, p. 21). Ogni invenzione, peraltro, rimanda per etimo a quel “trovare investigando” che assimila il progetto a un’indagine, stimolando proprio a cercare in quel che già c’è il quadro delle opportunità per quel che sarà. Lungi dal confidare in presunte originalità e genialità creative, l’architetto inventore manifesta le cose trovando nei fatti esistenti segni e tracce per nuove combinazioni e metamorfosi appropriate3. Ma una vera invenzione è una riscrittura sempre, anche quando non si confronta con dati concreti di un edificio da riformare; un altro patrimonio, più generale e astratto, resiste infatti al tempo e alle particolarità di singole opere: quello di idee, temi e forme che, permangono e ricorrono così spesso in architettura, rigenerandosi e aggiornandosi a ogni ricomparsa⁴.

Del grande magazzino, il progetto di Venezia conserva le strutture e, su tre lati, il perimetro, optando invece per la costruzione di un nuovo fronte sulla piazza Garibaldi, parallelo all’esistente ma più avanzato, per allinearsi alla cortina che risvolta in piazza Manara (img. 04).

04. Progetto per piazza Garibaldi a Treviglio, 1998: planimetria con evidenziati i vuoti degli attraversamenti pedonali. Project for piazza Garibaldi in Treviglio, 1998: planimetry showing the empty spaces of the pedestrian crossings. Città di Treviglio; F. Venezia

All’irregolarità dei bordi, specie sul vicolo del Teatro, e della forma, si oppongono i nuovi pezzi della composizione, perfetti nella loro geometria e proporzione: la lunga rampa che occupa la distanza tra i due fronti e conduce agli spazi interrati per le esposizioni, attorno al rettangolo della sala conferenze; il volume della scala che invade la piazza e sale al primo piano, dove incontra la galleria e la loggia rivolte alla città; il teatro all’aperto posto in copertura, con le due cavee a gradini incurvati che si fronteggiano (img. 05).

L’anno precedente al concorso, nel 1997, si concludeva ad Amiens la costruzione di un importante edificio su progetto dello stesso Venezia, il polo universitario, che anticipa sia il combinare le irregolarità al perimetro con “parti interne basate sulla simmetria” (Venezia, 2006, p. 202), che l’invenzione dei due anfiteatri contrapposti5. Ma un’indagine ben condotta sull’opera dell’architetto potrebbe far risalire il primo apparire di quest’idea a Salemi, tra il 1983 e il 1986, nel teatrino all’aperto che, in luogo del Convento del Carmine distrutto dal terremoto, distende sul suolo il vuoto di un belvedere di pietra, misurato e sopraffino, rivolto ai resti e al paesaggio, mutevole al muoversi lungo la gradinata o il piano inclinato. Così fosse, per trasferimento d’idee e forme, potremmo immaginare il piccolo teatro sradicarsi da Salemi per approdare a Treviglio, sulla cima dell’edificio trasformato6 .

A terra una decisiva modifica ridisegna lo spazio pubblico. L’addizione del volume aperto con la scala — un ricetto che accoglie e fornisce riparo, spingendosi oltre il nuovo fronte — conquista la piazza Garibaldi, riproporzionandola, e conclude la piazza Manara, precisandola in forma di “S”. Morfologia dei vuoti e disposizione del ricetto accentuano (o ri-scoprono) le relazioni tra il palazzo del Comune e la basilica; la posa di due fontane avverte della doppia simmetria che regola sottotraccia le nuove geometrie.

Dalle piazze due percorsi vomitoria traversano l’edificio per giungere uno al vicolo del Teatro, l’altro nella corte di un palazzo di via Galliari; sottraendo volume al costruito e mutando i limiti in soglie, la circolazione pedonale nell’isolato si fa continua. La successione di vuoti e coperti, il ritmo scandito da compressioni e dilatazioni dello spazio pubblico, accompagnano l’ingresso in questa parte della città, invitando alla pausa per addentrarsi nelle cose. Ostacola lo scorrere distratto il ricetto, attirando a sé il passante per guidarlo lungo le tappe di una passeggiata che conduce in copertura e concreta un’idea cara all’architetto napoletano: quella del traguardare camminando e, camminando, registrare gli accadimenti architettonici che, uno dopo l’altro, il progetto ha predisposto. La scala solleva il punto di osservazione e il percorso diviene misura e motore di molteplici variazioni: i vuoti delle due piazze durante la salita; le inquadrature sull’intorno elencate al passo entro il nastro della galleria; l’ultimo scorcio su piazza Garibaldi, dall’alto di una loggia schiacciata in angolo e in leggero sbalzo. A metà circa della galleria, un ampio varco introduce alla meta e alla sorpresa finale: un recinto di pietra avvolge il vuoto di uno spazio all’aperto e in piena luce, per nulla visibile prima di averlo raggiunto (img. 06). L’architettura si fa

05. Progetto per piazza Garibaldi a Treviglio, 1998: pianta piano terra. Project for piazza Garibaldi in Treviglio, 1998: ground floor plan. Città di Treviglio; F. Venezia; Studio Mandelli Caravaggio 06. Progetto per piazza Garibaldi a Treviglio, 1998: pianta del piano primo con il vuoto del teatro all’aperto. Project for piazza Garibaldi in Treviglio, 1998: first floor plan with the empty space of the open-air theatre. Città di Treviglio; F. Venezia

07. Progetto per piazza Garibaldi a Treviglio, 1998: veduta del modello. Project for piazza Garibaldi in Treviglio, 1998: view of the model. Città di Treviglio; F. Venezia discreta, la forma essenziale: un muro al perimetro stringe due cavee contrapposte; una sottile e continua modanatura lo solca d’ombra per marcare più solida la linea oltre la quale può riapparire il paesaggio urbano. Volgendo lo sguardo, s’incontrano le falde dei tetti nel reciproco combinarsi con gli edifici più rappresentativi della città: la basilica, la torre campanile, il santuario. Colti parzialmente però, nelle sole terminazioni verso il cielo, liberati dal contatto con le piazze e straniati dall’intrico di strade e isolati (img. 01 e 07). La piazza Garibaldi, che l’ingombro del ricetto aveva sezionato e ridotto in dimensione, è risarcita e raddoppiata da questo vuoto che è a un tempo cavità e stanza scoperchiata, terrazza e piazza pensile; e teatro, nel senso più proprio del mettere in scena e deputarsi al guardare meravigliato. Con lo spettacolo dell’orizzonte che si cattura muovendosi lungo le gradinate, discendendo la prima e risalendo la seconda. Come un’antica pàrodos, la galleria immette direttamente nel luogo della rappresentazione, cui accedervi di lato; e porta il cammino non più al di dentro ma al di sopra dell’architettura, allo stesso livello dei tetti.

Incastrati alla base e nel corpo degli edifici o incisi in sommità a sostituire coperture malmesse, i nuovi vuoti portano allo scoperto, rivelandole e celebrandole, insospettabili qualità teatrali di ambiti urbani stretti entro dense edificazioni. Danno forma costruita allo stare nello spazio per abitarlo; e all’abitare restituiscono porzioni di suolo della città, estendendo in quota possibili percorrenze. Sia esso ricetto, passaggio coperto, galleria o loggia, teatro en plein air, il vuoto intesse relazioni visive con l’esterno e diviene dispositivo di mediazione tra la scala dell’architettura e quella della città; luogo pronto ad animarsi di luci e ombre che convoca a sé perché si compia a fondo lo spettacolo. D’altronde, “il privilegio dell’architettura tra tutte le arti […] non è di assumere un vuoto comodo e di circondarlo di garanzie, ma di costruire un mondo interno che misura lo spazio e la luce secondo le leggi di una geometria, d’una meccanica e di un’ottica” (Focillon, 1943, p. 35). Per quanto poco noto e diffuso rispetto ad altri lavori dello stesso autore, la risposta di Venezia suggerisce un esemplare intervento di restauro urbano con un progetto capace di svelare ciò che, senza e prima di esso, rimarrebbe meno leggibile. Fosse stato realizzato, con quei vuoti in sequenza, così centrali e decisivi, avrebbe di certo vinto la sfida, “resa ancora più interessante dal fatto che si tratta[va] di trasformare un edificio recente e del tutto estraneo all’ambiente circostante in un edificio in grado di arricchirlo” (Venezia, 1998, p. 21).*

NOTE 1 – Il saggio è la rielaborazione del testo della conferenza Raum, Mensch und Sprache, tenuta da Heidegger nel 1964 a St. Gallen; trad. it. in Id., L’arte e lo spazio, Il Melangolo, Genova 2000, p. 37. 2 – Il concorso è stato vinto dal gruppo guidato da G. Grassi, ma l’edificio non venne realizzato. Nel 2009 il Comune ha bandito un nuovo concorso (I premio L. Pastorini, capogruppo) che ha portato alla costruzione dell’edificio tutt’oggi esistente. 3 – A. C. Quatremère de Quincy, “Dizionario storico”, voce invenzione: www.archive.org/ details/bub_gb_ktXcW_Ry108C/page/n1/mode/2up?q=invenzione (ultima consultazione dicembre 2020). 4 – In una raffinata opposizione lessicale, Francesco Venezia affianca il concetto di metamorfosi, “trasformazione di materia”, a quello di metafora, “trasferimento di relazioni”; in Id. (2010), La natura poetica dell’architettura, Pordenone: Giavedoni, p. 24. 5 – Per congettura tornano alla mente gli studi di G. Terragni per un cinema-teatro a cavee affrontate; in Ciucci, G. (a cura di) (1996) Giuseppe Terragni. Opera Completa, Milano: Electa, Milano, p. 612. 6 – Non è dato sapere, ma è fecondo pensarlo, se abbia inciso il ricordo dell’arena che A. Libera pone sulla terrazza della Sala Congressi all’EUR. Né se, nella scelta d’incurvare le gradinate e sezionarle con muri paralleli, risuoni l’eco dell’aula interna all’edificio-ponte che L. I. Kahn immagina per Venezia.

BIBLIOGRAFIA – AA. VV. (2000). La proposta di Treviglio per il rinnovamento del centro cittadino. La rivista di Bergamo, n. 20, pp. 14-25. – Focillon, H. (1990). Vita delle forme seguito da Elogio della mano. Torino: Einaudi. Tit. or. (1943), Vie des Formes suivi de Éloge de la main. Parigi: Presses Universitaires de France. – Grassi, G. (1998). Relazione di progetto. La rivista di Bergamo, n. 20, pp. 18-20. – Heidegger, M. (2000). L’arte e lo spazio. Genova: Il Melangolo. Tit. or. (1969), Die Kunst und der Raum. St. Gallen: Erker-Verlag. – Heidegger, M. (1976), (a cura di Vattimo G.). Saggi e discorsi. Milano: Mursia. Tit. or. (1957). Vorträge und Aufsätze. Pfullingen: Verlag Günther Neske. – Irace, F. (2000). Risanamento, demolizione e nuova architettura. La rivista di Bergamo, n. 20, pp. 16-17. – Santagiuliana, T. e I. (1965). Storia di Treviglio. Bergamo: Poligrafiche Bolis. – Venezia, F. (1998). Relazione di progetto. La rivista di Bergamo, n. 20, p. 21. – Venezia, F. (2006). Le idee e le occasioni. Milano: Mondadori Electa. – Venezia, F. (2011). Che cosa è l'architettura. Lezioni, conferenze, un intervento. Milano: Mondadori Electa.

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