7 minute read

THINK TANK

L’UFFICIO CHE VERRÀ

SARÀ BELLO, APERTO, FLESSIBILE E TECNOLOGICO, E IN GRADO DI DIALOGARE CON LA CITTÀ E IL TERRITORIO. CONTENITORE DI NETWORK E RELAZIONI, HUB DI IDEE E CREATIVITÀ. DISEGNATO IN SINTONIA CON I BISOGNI, LE ESPERIENZE E LE EMOZIONI DELLE PERSONE

Advertisement

txt Roberto Negri

“D isruption” è il termine che la lingua inglese utilizza per descrivere rapidi cambiamenti di paradigma che portano a un generale ripensamento delle modalità di lettura e interpretazione della realtà che ci circonda. Una profonda trasformazione, a volte fluida e a volte traumatica, ma sempre rivoluzionaria. E l’attuale emergenza sanitaria è certamente uno straordinario acceleratore del cambiamento di stili di vita e di lavoro, così come degli ambienti che li ospitano. Acceleratore, più che artefice, perché al di là delle misure di sicurezza recentemente adottate, altre dinamiche e fenomeni sono già da tempo in atto. L’evoluzione delle forme del lavoro contemporaneo, in particolare quelle dei cosiddetti “knowledge workers”, già da alcuni anni ha infatti innescato una progressiva ridefinizione dell’identità degli ambienti office come contenitori di relazioni e acceleratori di idee e innovazione supportati da servizi e facility, concepiti all’insegna

della trasversalità e dell’ibridazione e perciò sempre più lontani dalla rigidità distributiva e funzionale dell’ufficio tradizionale. E, a una scala superiore, inseriti in un ambito urbano non più concettualmente e fisicamente separato, ma al contrario affluente di una fitta e vitale rete di relazioni. Una trasformazione alla quale architettura e interior design stanno fornendo un importante contributo. Gli obiettivi sono chiari: generare spazi più accoglienti, in grado di ospitare più servizi e tecnologie ma anche più qualità estetica, migliorare il benessere mentale ed emotivo degli utilizzatori, stimolare la creatività e il lavoro di squadra. Anche grazie a un dialogo più stretto con il tessuto sociale che li circonda.

Dall’ufficio alla città

Una delle lezioni che questa particolare fase storica ci sta impartendo è la riscoperta del valore della socialità. La dimensione umana, e in particolare la relazione tra uomo e spazio architettonico, è sempre più al centro di un approccio alla progettazione in sintonia con i bisogni e le attese delle persone, la loro dimensione emotiva, capace di impattare positivamente sulle attività e sulle esperienze che queste vivono all’interno degli spazi che li accolgono e di creare le condizioni più favorevoli all’espressione delle loro potenzialità. Un approccio che oggi parte dall’enorme potenziale di relazioni fra workspace e ambito urbano, il cui confine si fa sempre più sfumato, e rappresenta una straordinaria occasione per (ri)costruire un legame con la comunità trovando nuovi significati e funzioni per un patrimonio immobiliare il cui tasso di occupazione è destinato a un profondo mutamento. In questa ottica, il piano terra dell’edificio si apre all’esterno e ospita spazi dedicati al coworking, a iniziative culturali o a eventi, secondo una visione in cui l’office building non è più slegato dal contesto ma struttura socialmente integrata, in grado di offrire un contributo importante alla comunità. Ma anche una risposta all’esigenza di reimmaginare il ruolo dell’edificio per uffici che nel prossimo futuro, con l’espansione sempre più accelerata di modalità di lavoro remote e distribuite, dovrà necessariamente trovare nuovi significati e funzioni. Gli ultimi mesi hanno indotto le aziende a imprimere un’ulteriore accelerazione al ripensamento strategico dell’ufficio tradizionale, dai suoi spazi fisici ai protocolli di controllo, dalla gestione delle risorse umane alla cultura organizzativa che lo governa. Inoltre, lo smart working indotto dalla pandemia ha manifestato evidenti vantaggi in termini di migliore equilibrio fra lavoro e tempo libe-

Headquarter Gusto a San Francisco, progetto Studio Gensler. Pagina a fianco, Fitler Club Philadelphia, progetto M-RAD Architecture

ro, maggiore autonomia organizzativa e minore impatto sull’ambiente urbano dovuto alla riduzione dei trasferimenti. Accanto alle ricadute positive tutto ciò ha tuttavia fatto emergere con evidenza il tema, altrettanto cruciale, della necessità di mantenere il tessuto di relazioni personali e professionali dell’ambiente di lavoro, che le piattaforme informatiche hanno in questo periodo surrogato ma che non può prescindere dalle interazioni umane. Significative, in questo senso, le statistiche emerse dalle numerose indagini condotte in questi mesi, dalle quali emerge che le relazioni restano insostituibili, non solo per il benessere emotivo e psicologico ma anche per le performance aziendali. In questa ottica, la progettazione in ambito office si orienta verso una complessa sintesi: bilanciare i vantaggi dello smart working con quelli offerti dal lavoro in presenza. Un orientamento di per sé non nuovo, poiché la crescente diffusione di modalità di lavoro ibride già da tempo ha generato nuovi spazi activity-based, supportati da un utilizzo esteso della tecnologia e svincolati dalla postazione di lavoro fissa. Spazi in cui comfort e benessere sono perseguiti anche attraverso la ricerca di una maggiore qualità estetica e di soluzioni proprie degli spazi abitativi e dell’ospitalità. A questo fenomeno si sta affiancando un’ulteriore tendenza: l’allontanamento dal tradizionale headquarter a favore di uffici di prossimità di minori dimensioni, decentrati ma strategicamente localizzati per consentire un rapido accesso alla sede centrale. La sede diviene così un hub in cui ospitare meeting periodici e momenti di lavoro collaborativo, i cui spazi non utilizzati possono essere rifunzionalizzati per soddisfare una nuova domanda di servizi e attività, sia interne sia del contesto urbano circostante (coworking, strutture benessere, auditorium, spazi per eventi).

Workplace e team working

Fino a un recente passato, a questo approccio si contrapponeva una concezione guidata dalla necessità di massimizzare l’utilizzo delle superfici e il numero delle postazioni di lavoro, con un progressivo abbassamento del rapporto spazio/scrivania. Tendenza che si accompagnava a una rigida separazione dagli ambienti dedicati al team working e ai servizi. Ripensare il workspace in un’ottica orientata alla collaborazione e alle interazioni significa al contrario abbracciare un concetto totalmente nuovo, che vede gli spazi fisici dell’ufficio come elemento strategico di una rete di supporto organica per una forza lavoro distribuita. Quindi, la sin-

In questa pagina, Uffici a Chicago, progetto Alvisi Kirimoto Pagina a fianco, la nuova sede di Jerde, progetto Rapt Studio

gola postazione di lavoro non è più centrale e trainante, e la pianificazione distributiva degli spazi diventa molto più granulare. Il puro criterio numerico di occupazione viene affiancato, se non interamente sostituito, da un approccio che privilegia forme lavoro svincolate dalla presenza fisica, che può invece essere periodicamente programmata come momento di confronto e verifica. Tutto ciò modifica radicalmente l’impostazione distributiva, che deve implementare gli spazi di circolazione e di servizio e ridurre la superficie dedicata alle postazioni di lavoro (secondo recenti studi fino al 30% in meno). Un’importante de-densificazione degli spazi che nell’immediato risponde alle esigenze di sicurezza sanitaria, ma che in prospettiva lascia spazio alla progettazione di ambienti di qualità superiore, in grado di migliorare l’esperienza degli utenti, la loro creatività e le loro performance.

Uffici ad assetto variabile

Riorientare il workspace in un’ottica aderente ai nuovi modelli di lavoro, al collaborative working e al benessere degli utilizzatori significa anche creare ambienti rapidamente riconfigurabili, con una separazione flessibile tra postazioni individuali e ambienti condivisi. In questa transizione dell’ufficio da puro spazio fisico ad ambito di relazione, le singole workstation mantengono un ruolo importante, pur se probabilmente ridotte nel numero e non tutte assegnate in permanenza a un unico utilizzatore e riarticolate in minihub dedicati a specifici gruppi di lavoro. E anche ridisegnate per interpretare esigenze e aspettative individuali. I sistemi di illuminazione possono essere calibrati e impostati in funzione delle abitudini del suo utilizzatore. Arredi, scrivanie e sedute possono variare in altezza, forma e materiale, non solo per motivazioni legate al comfort ma anche per restituire alla persona il controllo del suo spazio di lavoro. Mentre soluzioni per il distanziamento e la sicurezza individuale possono essere personalizzate per adeguarsi alle preferenze del singolo, generando una sensazione di maggiore sicurezza. Alla scala dell’edificio questo nuovo approccio necessita, in prospettiva, anche di immobili più intelligenti, in cui la tecnologia crea ambienti di lavoro in linea con le esigenze psicologiche, emotive e funzionali dei suoi occupanti. L’edificio, ad esempio, può rilevare in tempo reale la qualità dell’aria interna ed esterna, mappare e indicare gli spazi di lavoro disponibili. E ancora, definire percorsi sicuri da un’area all’altra tramite display interattivi o monitorare l’occupazione e l’accessibilità di aree di servizio come bagni, aree ristorazione e spazi dedicati al relax e alla socialità. Stiamo insomma assistendo a un’accelerazione di processi trasformativi già in atto, di cui oggi emergono con chiarezza vantaggi e criticità. L’evoluzione del lavoro verso forme sempre meno legate alla presenza quotidiana in ufficio è destinata a proseguire, senza tuttavia sostituire integralmente il lavoro in presenza, che rimane indispensabile promotore e veicolo di idee, creatività e relazioni. Accompagnare questa transizione significa permettere a una forza lavoro sempre più smart di scegliere con flessibilità come e dove svolgere le proprie attività. Mettendo a sua disposizione uffici più aperti, flessibili e tecnologici, capaci di ospitare sia attività individuali che di team working. Al design il compito di renderli anche più confortevoli e belli. |end

This article is from: